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Una bella “gvattata“

MARCO FANTASIA, 3E; LUIGI SALA, 3CC; ANDREA PIROTA, 3CC

Vi è mai capitato di sentirvi perseguitati dalla sfortuna, come se qualcuno vi avesse lanciato una maledizione? In un ambiente scaramantico come quello sportivo, il tema delle maledizioni è spesso ricorrente. Noi di Zona Νίκη vi raccontiamo in questo articolo tre storie incredibili legate al mondo del baseball, del calcio e della Formula 1.

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BILLY G.O.A.T.

Cosa può collegare una capra e una maledizione? Il 6 Ottobre del 1945 il Wrigley Field, lo stadio di baseball dei Chicago Cubs, fu teatro di una delle più famose maledizioni nella storia dello sport. I padroni di casa dovevano affrontare i Detroit Tigers in gara 4 delle World Series, le finali del campionato americano di MLB. William Sianis, proprietario della taverna “Billy Goat” e tifoso accanito dei Cubs, decise di andare a vedere la partita insieme ad un’accompagnatrice insolita: la sua capra da compagnia. Inizialmente riuscirono ad entrare allo stadio, ma poco dopo vennero allontanati a causa del cattivo odore emanato dall’animale. Sianis decise così di lanciare la sua maledizione, che negli anni diventò famosa come “The Curse of the Billy Goat”, minacciando la squadra di Chicago di non vincere mai più un titolo. I Cubs, nonostante fossero avanti 2-1 nella serie e fiduciosi di avere la vittoria in pugno, furono invece clamorosamente battuti nella settima e decisiva partita dai Tigers che si laurearono campioni. Negli anni a seguire ci furono diversi tentativi di spezzare la maledizione. Fu addirittura lo stesso William Sianis, prima della sua morte nel 1970, a provarci in prima persona. Un tentativo lo fece anche Sam, suo nipote, che portò una capra per due volte allo sta-

dio e curiosamente proprio in entrambe le occasioni i Cubs vinsero la propria divisione (1984 e 1989) ma non riuscirono comunque a conquistare le World Series. Nel 2008, un sacerdote spruzzò acqua santa all’interno della panchina dei Cubs e in tutto lo stadio, senza però ottenere alcun risultato. Dopo 108 anni, di cui 71 “maledetti”, il 22 ottobre 2016, giorno del 46esimo anniversario dalla morte di Sianis, i Cubs riuscirono a sconfiggere i Cleveland Indians in gara 7. Finalmente la maledizione di Billy Goat ebbe fine.

KIRICOCHO! Questa è la storia, o meglio, la maledizione di Kiricocho, grande tifoso dell’Estudiantes de La Plata, club che milita nel campionato argentino di calcio. Intorno agli anni ’80 del secolo scorso Kiricocho divenne noto in Argentina per la sua grandissima fama di iettatore: ogni qual volta che assisteva ad un allenamento della squadra del cuore, un giocatore si infortunava, oppure quando andava a vedere la partita, la sua squadra puntualmente veniva battuta. Kiricocho portava così tanta sfortuna che un giorno l’allenatore dell’Estudiantes, Bilardo, decise di mandarlo a seguire gli allenamenti di tutte le avversarie che la squadra di La Plata doveva incontrare nei match successivi, così da influenzarle negativamente. Si narra che l’anno in cui nacque questa leggenda l’Estudiantes vinse il campionato argentino. Non c’è conferma che Kiricocho sia realmente esistito oppure se faccia parte di una storia metropolitana calcistica che corre ancora oggi da un’area di rigore all’altra di un campo. Il termine è certamente ancora attuale visto che venne ripreso nella magica estate dell’Europeo 2021 da Giorgio Chiellini che nella finale di Wembley, al momento del rigore decisivo di Saka, gli urlò proprio “Kiricocho”. Sappiamo tutti come andò a finire: Saka sbagliò il rigore, facendosi ipnotizzare da Donnarumma e… ”♫ alziamo la coppa a Wembley ♫”

ASCARI E QUEL MALEDETTO 26 Montlhéry, 26 Luglio 1925. Si sta correndo il Gran Premio di Francia, che vede il pilota italiano Antonio Ascari in testa. Al ventitreesimo giro, però, Ascari prende male una curva a sinistra e la sua Lancia sbatte contro una staccionata e si ribalta, causando la sua morte. Quel giorno, il figlio Alberto prende una decisione: seguirà le orme

di suo padre. Alberto diventa così un pilota affermato e scrive pagine importati della storia della Formula 1. Una delle sue caratteristiche principali è stata la scaramanzia: indossava sempre maglietta e casco azzurri e nella vita quotidiana questo suo comportamento lo portò ad evitare il numero 13 e a credere a tutti i detti popolari riguardanti il malocchio. Ma la sua abitudine più particolare fu probabilmente legata al fatto che non guidò mai il giorno 26 di ogni mese, memore della data in cui suo padre morì. Il 22 maggio 1955, durante il Gran Premio di Monaco, Alberto Ascari tallona sulla sua Lancia la Mercedes di Stirling Mosse. Nel tentativo di raggiungerlo, esce a gran velocità da una galleria, affronta la famosa chicane del circuito, poi però tira dritto alla curva successiva e finisce in mare. Si teme il peggio, ma il pilota italiano riemerge incolume dalle acque del porto di Montecarlo. Quel giorno guidava la monoposto numero 26. Quattro giorni dopo, il 26 maggio, Alberto Ascari è a casa, quando riceve una chiamata: c’è una nuova Ferrari da testare a Monza. Alberto decide di infrangere la sua tradizionale usanza di non guidare mai il giorno 26 e si presenta all’Autodromo. Non riuscirà a terminare neanche un giro. I meccanici sentono infatti un boato fortissimo provenire dalla curva del Platano (una curva a sinistra oggi denominata “Ascari”) e trovano la Ferrari ribaltata con il corpo dello sfortunato pilota schiacciato al di sotto. Sia Antonio che Alberto muoiono prematuramente a 30 anni, entrambi il giorno 26, tutti e due prendendo una curva a sinistra.