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Brazile: una samba simbolica

BRAZILE

UNA SAMBA SIMBOLICA

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VERONICA GUARISCO, 3D

3,51 réales (circa 70 centesimi): a tanto ammonta la multa, quasi simbolica, per i brasiliani che non si recano alle urne a votare. L’obbligo legale di esprimere la propria preferenza alle elezioni nazionali e le misure adottate per facilitare il raggiungimento dei seggi (come la gratuità dei trasporti pubblici), in alcune aree periferiche difficoltoso nonché costoso, hanno mobilitato più di 156 milioni di elettori e portato ad un astensionismo quasi nullo nella più vasta e popolosa nazione del Sudamerica. Con il 50,83% dei voti, Luiz Inácio Lula da Silva è stato riconosciuto dal Tribunale Superiore Elettorale come vincitore e futuro presidente del Brasile con un record di oltre 60 milioni di preferenze, e assumerà la guida del Paese a partire dal 1° gennaio 2023 in qualità di leader brasiliano più votato della storia, esattamente 20 anni dopo l’inizio del suo primo mandato. Parallelamente Jair Bolsonaro, principale oppositore sconfitto di misura con uno scarto inferiore ai due punti percentuale, ha lasciato trascorrere ben 45 ore di silenzio prima di pronunciare, il 1° novembre 2022, il tanto atteso discorso con il quale avrebbe dovuto iniziare la transizione dei poteri, e nel quale invece non ha mai riconosciuto ufficialmente né citato la vittoria di Lula. Al contrario, ha dichiarato che continuerà a svolgere il suo ruolo di presidente secondo i principi costituzionali e ha giustificato le manifestazioni di protesta se “pacifiche” e purché non ricalchino “gli schemi di sinistra”, in un discorso pieno di ambiguità. Questa mancanza di chiarezza ha te-

nuto con il fiato sospeso il mondo intero, allarmato dalle proteste definite “golpiste” dalla stessa stampa brasiliana, ma pochi minuti dopo la tensione è stata allentata dal capo di gabinetto Ciro Nogueira, che ha dichiarato l’inizio delle procedure burocratiche a partire dal giorno successivo su autorizzazione di Bolsonaro. In un video postato sui social la sera del 2 novembre, il presidente ha invitato gli autotrasportatori a liberare le strade dai blocchi con cui per giorni hanno impedito la circolazione dei veicoli sulle principali arterie delle città, causando gravi disagi nel rifornimento di generi alimentari, medicine e benzina, in quanto stavano ledendo “il diritto costituzionale di andare e venire”, ma ha definito le altre proteste “benvenute, perché sono parte della vita democratica”. Infatti, militanti di estrema destra ed elettori insoddisfatti sono scesi nelle strade e nelle piazze per denunciare presunti brogli riguardo al voto elettronico, non confermati da alcuna prova, ma sostenuti da dichiarazioni di Bolsonaro che circolavano online da mesi, fino a sfociare, il 6 novembre, nella richiesta da parte dei manifestanti riuniti davanti al quartier generale dell’esercito a Brasilia di un “intervento federale delle forze armate per salvare il Brasile dal comunismo”. L’ex capitano dell’esercito, soprannominato il Donald Trump dei Tropici, sta facendo molto discutere per l’equivocità con cui sta sostenendo il passaggio dei poteri, ma anche in passato ha fatto molto discutere soprattutto per quanto riguarda la promozione di una politica poliziesca -“se un poliziotto uccide 20 delinquenti non lo metto sotto inchiesta, gli do una medaglia”, ha dichiarato -, contro le donne - ha richiesto per loro uno stipendio più basso- e volta a diminuire i diritti della comunità LGBTQ+ -“preferisco avere un figlio morto che gay”-. Inoltre, durante il suo governo ha adottato una serie di misure per incentivare le concessioni minerarie e l’attività di estrazione nei territori indigeni, ha ridotto la vigilanza ambientale in tutto il paese tagliando i fondi e durante il suo mandato la deforestazione e gli incendi sono cresciuti così tanto che, secondo molti scienziati, la foresta sta raggiungendo il punto di non ritorno, quello cioè in cui comincia a emettere più carbonio di quanto ne possa assorbire, entrando così in un processo di desertificazione. Anti-abortista,

contrario all’identità di genere e alla legalizzazione delle droghe, difensore della famiglia “tradizionale” e del possesso di armi da fuoco, ha condotto la campagna elettorale al motto di “Dio, patria e famiglia”. Questo però non è bastato, e a breve il suo posto verrà preso dal primo operaio senza un diploma universitario a raggiungere la massima carica dello Stato, Lula. Già presidente del Brasile dal 2003 al 2011, durante il suo governo ha strappato alla fame milioni di persone con il programma di sovvenzioni “Bolsa Familia”, diventando uno dei leader latinoamericani più popolari all’estero: la reintroduzione di questo sussidio è uno degli obiettivi del suo governo, che dovrà fronteggiare una grave crisi economica e sociale. Tuttavia, la sua politica non è stata immune agli scandali della corruzione, per la quale è stato condannato in due diversi processi e ha trascorso un anno e mezzo in prigione tra il 2018 e il 2019, senza potersi candidare alle elezioni di quattro anni fa. Nel 2021 la Corte Suprema ha annullato le sentenze, restituendo a Lula i diritti politici, e da allora il leader di sinistra ha cercato di riabilitare il suo nome e di riconquistare la fiducia del popolo. Vista la condizione in cui versa il paese e la netta spaccatura del consenso, il suo percorso sarà sicuramente lungo e complesso: a noi non resta che confidare nella bontà del suo proposito, ossia di essere “il presidente di tutti i brasiliani”, e augurargli un buon lavoro.

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