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Il mistero dei cerchi delle fate
GIORGIO GANZARI, 3E; GIULIA MAROTTA, 3E; ALTEA PLAKU, 3E
I cerchi delle fate, noti come “fairy circles”, possono essere sia zone circolari prive di vegetazione (principalmente individuabili nei territori del deserto della Namibia, in Africa meridionale) sia aree circoscritte da funghi (tipiche delle zone europee). È il secondo lo scenario cui si trovarono di fronte gli antichi abitanti dell’attuale Europa e che ne stimolò la fantasia, portandoli a ricollegare la peculiare disposizione fungina ad un mondo mistico e incantato. Nel folklore britannico, scandinavo e celtico le formazioni circolari di funghi costituiscono il luogo di ritrovo per fate oppure elfi che, attraverso gli stessi, hanno la possibilità di accedere a una realtà magica in cui lo spazio e il tempo sono assenti. La concezione dei “cerchi delle fate” come varchi magici garanti l’accesso a mondi fatati fu enormemente diffusa dalla stesura della commedia “Sogno di una Notte di Mezza Estate” di William Shakespeare: la narrazione racconta di una fatina dall’atteggiamento vanitoso che si dà arie con il folletto Puck per aver realizzato dei cerchi delle fate per la regina Titania. La fantasia delle popolazioni germaniche, invece, attribuì ai luoghi caratteri maledetti e stregati: i cerchi sono punto d’incontro per terribili streghe che, in particolari giorni dell’anno (come la notte di Valpurga, l’antica celebrazione pagana dell’arrivo della stagione primaverile), si riuniscono per danzare e svolgere nefasti rituali. Gli antichi abitanti dell’attuale Tirolo Austriaco assumevano che la nascita di simili aree fosse causa diretta del
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contatto delle code fiammeggianti dei draghi con il terreno, che finiva per perdere la vegetazione in superfici precise.
Affascinante notare come il drago, una costante nell’immaginario di culture così differenti e distanti tra loro, si ripresenti anche in una delle due leggende avanzate principalmente dal popolo Himba. Ancora una volta l’inspiegabilità dei fenomeni naturali, di fronte alla presenza così misteriosa di aree circolari prive di vegetazione e al contempo circondate da regolari anelli di erba alta, non può far altro che alimentare delle credenze popolari. Ci troviamo nel deserto della Namibia meridionale, nel continente africano: gli Himba (o Ovahimba) sono dei pastori nomadi della Namibia che si tramandano da generazioni una storia dalle radici ancestrali e dall’intrinseco elemento magico. Racconti che si alternano in ciclici passaparola tra le sabbie del deserto, leggende sussurrate di fronte all’incontrollabilità del vento, all’imprevedibilità della natura: così l’ostilità del paesaggio assume una nuova validità e si riflette in un terreno che prende vita, acquista un’origine, diviene “fatato”. Secondo questo popolo, e poi nel folklore africano, i cerchi (distribuiti in maniera irregolare e dalla variabile durata “vitale”, fino ad un massimo di 75 anni)
testimoniano sia il passaggio sulla Terra del loro dio Mukuru, loro antenato ancestrale, portatore di pioggia e responsabile della guarigione dei malati; sia (interpretazione ripresa dai Sudanesi) la presenza di un drago che vive nel sottosuolo e che, avvicinandosi alla superficie, produce con i suoi sbuffi incandescenti, velenosi per la vegetazione, dei cerchi così unici e perfetti. Una leggenda dinamica, che si diffonde emanata dalla matrice africana pregna del suo fascino: basti pensare che il parco della NamibRand Nature Deserve ha reso possibile al pubblico turista l’adozione di un cerchio delle fate a propria scelta, con annessa la possibilità di ammirarne la crescita grazie a Google Earth! Tuttavia, se mai dovesse capitarvi di osservarne uno da vicino, attenzione a non finirci in mezzo: proprio poiché gli Himba ne ricollegano la formazione al passaggio degli dei, le conseguenze potrebbero essere catastrofiche per voi e per la loro intera comunità! Il mistero dei cerchi delle fate inevitabilmente ha calamitato l’attenzione di studiosi ed esperti, che hanno fornito varie teorie, spesso in contrasto tra di loro. Ma questo non può impedire a chi lo desidera di essere rapito dalla bellezza autentica, primordiale delle tradizioni popolari nel loro ingenuo tentativo di spiritualizzare una natura non compresa. Ma esiste una spiegazione scientifica definitiva del fenomeno? Nel corso del tempo le interpretazioni possibili sono state parecchi e varie, tuttavia non abbastanza esaustive; ciononostante, negli ultimi anni, due ipotesi si sono fatte particolarmente strada diventando le più accreditate. La prima si basa sulla costante presenza di termitai sviluppatisi al di sotto dei cerchi stessi: le termiti avrebbero dunque sgranocchiato le radici dell’erba del genere Stipagrostis riducendone la quantità in espansione nel corso della stagione delle piogge, ed allo stesso tempo giovando, nella stagione secca, ai vegetali che crescono sui bordi mediante l’umidità trattenuta dal terreno presente al centro e reso sterile. A sostegno di questa ipotesi vi sono i numeri: nell’80% dei casi, i cerchi delle fate situati in Namibia presentavano gruppi di termiti che vivevano sotto agli stessi. Tuttavia la medesima ipotesi si contraddice spostando lo sguardo in Australia, dove il fenomeno si manifesta,
nonostante i cerchi abbiano dimensioni minori, ma viene a mancare proprio la presenza di termiti presso le zone interessate. A destare sospetti vi sarebbe stata anche l’incredibile regolarità dei fairy circles, che se avessero come unica causa l’azione delle termiti, sarebbero sicuramente meno conformi. Si ricorre dunque alla seconda ipotesi che sostiene che la manifestazione del fenomeno sia dovuta alla lotta per l’acqua attuata dalle erbe autoctone: la localizzazione in zone particolarmente aride, avrebbe reso necessaria una riorganizzazione delle specie vegetali finalizzata al raggiungimento delle risorse idriche. Un’ipotesi che divideva quanto la precedente, sino ad uno studio più recente pubblicato su Nature da Korina Tarnita e dal suo gruppo di ricercatori, che vede la soluzione di uno dei maggiori misteri della natura nell’unione delle due teorie. Secondo gli studiosi dunque le termiti si nutrono effettivamente della vegetazione superficiale e là dove le colonie vivono vicine, le regioni di erba intatta simboleggiano la divisione delle varie fazioni. Mentre la questione australiana e la forma circolare troverebbero risposta nella riorganizzazione della vegetazione. A questo proposito sono stati costruiti modelli in laboratorio con ottimi risultati, ora però la conferma dovrà essere cercata nella realtà. Nel frattempo questo incredibile fenomeno continua ad affascinare chiunque lo osservi nella sua enigmatica origine, citando Korina Tarnita: «Termiti? Piante? Può darsi, ma qui tutti continuiamo a chiamarli i “cerchi delle fate”».