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Il falso Messia

POLITICA IL FALSO MESSIA

LUCA SARACHO, 3F “Gioite signori e signore, fratelli e sorelle, l’era dell’oscurità è giunta al termine! Il salvatore è finalmente qui tra noi, e lo scorso 20 gennaio è asceso alla carica di Presidente degli Stati Uniti d’America. La luce brilla nuovamente dalla Casa Bianca, l’America è stata curata; sia lode a Joseph Robinette Biden Jr!”. Approssimativamente con questi toni è stato accolto l’insediamento dell’ora 46° Presidente degli USA da numerosi dei maggiori esponenti nel mondo giornalistico: dallo scontato elogio degli attivisti che infestano la rete sotto lo pseudonimo di “giornalisti”, all’altrettanto scontato elogio di personalità super establishment quali Chris Wallace su Fox News. Proprio Wallace, affermando di aver seguito i discorsi d’insediamento sin dal 1961 (anno in cui JFK divenne presidente), ha affermato, senza dubbio alcuno, che quello di Biden era stato “il miglior discorso inaugurale che io abbia mai sentito”.

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Van Jones su CNN ha dato la sua versione del discorso, sostenendo che “[Biden] ha parlato dal profondo della sua anima. È stato bellissimo: la bellezza cura. Non c’è stata una parte in quel discorso che non fosse la cura sulla ferita”. La follia non termina qui. Oprah Winfrey su un suo tweet ha innalzato al cielo un profondo “Hallelujah!”, mentre la rivista socialista Jacobin ha persino dedicato a Biden un’intera copertina che lo vede dipinto nelle vesti di Gesù Cristo, non sto scherzando, sovrastato dalle gaudenti figure angeliche di Barak Obama e dei felicissimi coniugi Clinton.

A tutte queste illustrissime élites proporrei una citazione shakespeariana: “the sweetest honey is loathsome in his own deliciousness and in the taste confounds the appetite”. Come frate Laurence consigliò al giovane Romeo cautela nel “violento” e precipitoso piacere che lui provava a causa del suo amore per la bellissima Giulietta, io consiglierei loro la medesima cautela nell’interpretare le parole di Biden: il primo assaggio del dolce miele può dare l’illusione di placare il più vorace degli appetiti, ma troppo e potrebbe dare alla nausea. Le parole in sé hanno una natura volubile, particolarmente malleabile, e si consumano nel momento in cui vengono pronunciate, come il bacio tra la polvere da sparo e la scintilla per ritornare alla tragedia di Shakespeare. Peccato che io non abbia scritto questo avvertimento nei mesi scorsi, perché avrebbe risparmiato loro la scoperta della vera natura delle promesse.

Riporterei innanzitutto alla memoria del lettore come qualche anno fa, esponenti del partito democratico e non solo, avessero condannato l’operato dell’allora Presidente Donald Trump in merito alle condizioni in cui versavano i bambini giunti al confine meridionale degli States. Quanta rabbia di fronte alle immagini di quelle “gabbie”, quanta indignazione da parte di una sinistra iper-immigrazionista quale appunto quella americana! A tali forti sentimenti si potrebbe obbiettare razionalmente innanzitutto il fatto stesso che fossero delle gabbie, ma ciò che stupisce di più in questo momento è che la maggior parte degli stessi moderati democratici ora tace di fronte all’evidenza non solo del fatto che non Trump, bensì Obama, fu la “mente malvagia dietro questa deplorevole violazione dei diritti umani”, ma anche del fatto che Biden non ha ancora mosso un dito a riguardo. O per meglio dire, ha fatto tutto il contrario di ciò che aveva promesso, riaprendo un temporaneo centro per minori non accompagnati a Carrizo Springs, in Texas, e un rifugio a Miami, Florida, all’esterno del quale la adesso Vice-presidente Kamala Harris protestò nel, a quanto pare, lontanissimo giungo del 2019. Le uniche voci a sollevarsi contro ciò sono state quelle degli esponenti più “progressisti”, per usare un eufemismo, dello schieramento Dem, prima tra tutti quella di Alexandria Ocasio-Cortez, alla quale deve essere riconosciuto per una volta il fatto di esser rimasta coerente con i propri ideali, per quanto pienamente discutibili.

Altro segno di profonda e vile incoerenza da parte delle élites di partito può essere ravvisato riguardo ai recenti bombardamenti avvenuti in Siria per ordine dello stesso Presidente, che hanno portato alla morte di diciassette combattenti filo-iraniani, avvenuti “in risposta ai recenti attacchi contro americani e personale della coalizione in Iraq”, stando alle parole del portavoce del Pentagono John Kirby. Molto potrebbe essere criticato rispetto a questa azione armata, iniziando proprio dal coinvolgimento del gruppo nella sfera d’influenza iraniana: sul New York Times, a riguardo, si legge che “Poco si conosce riguardo al gruppo, incluso se sia supportato dall’Iran o se sia collegato alle organizzazioni che facevano uso delle strutture prese come bersaglio dai raid America-

ni”, in un articolo dal titolo “Raid americani in Siria bersagliano milizie sostenute dall’Iran che avevano attaccato truppe americane in Iraq”. La contraddizione si allarga tuttavia al pacifista partito di cui Biden fa parte e ai mass media che lo sostengono. Lawrence O’Donnel di MSNBC, per esempio, che nel lontanissimo 2018 prese chiare posizioni contro gli interventi dell’allora Presidente Trump, oggi nel 2021 riporta che Biden aveva ordinato una “risposta proporzionata”. Tracce di indignazione in quest’ultimo tweet non ve ne sono. A quanto pare il fattore discriminante nel condannare o meno azioni di identica entità è la persona seduta nello Studio Ovale, che strano!

Se si volesse rimanere poi nel campo della politica estera, particolarmente preoccupante è stata l’opinione di Biden in merito al genocidio della minoranza musulmana degli Uiguri da parte del Partito Comunista Cinese. Secondo un recente report della BBC pubblicato questo 2 febbraio, nei cosiddetti “campi di rieducazione” verrebbero violati i più fondamentali diritti umani, dall’indottrinamento alla tortura, dalla sterilizzazione forzata al sistematico stupro. Non stupisce che dopo la pubblicazione di questo articolo, il 12 febbraio il PCC abbia bannato l’outlet d’informazione britannico dal loro paese. Durante un recente Town Hall tenuto da CNN a Milwaukee in Wisconsin, Biden, confrontato su questo particolare argomento, ha risposto che non si sarebbe pronunciato contro ciò, che “culturalmente vi sono diverse norme che i paesi e i loro leader devono seguire”. È perfino riuscito a contraddirsi dicendo successivamente che gli Stati Uniti si sarebbero “riaffermati come portavoce per i diritti umani presso l’ONU e altre istituzioni che abbiano un impatto sul loro atteggiamento”. E come avrebbe intenzione di mantenere questo ruolo di portavoce se non condannando esplicitamente ciò che sta accadendo ed esplicitamente pronunciarsi contro Pechino? Avendo introdotto questo relativismo morale Biden ha ufficialmente negato più di settant’anni di relazioni estere, di un pensiero politico americano. Settant’anni in cui si è sviluppata la nozione di diritti universali basati sugli ideali, in passato fieramente americani, di democrazia e libertà, che, in quanto universali, dovevano essere applicati su tutta la superficie del nostro pianeta: dall’Iraq all’Afghanistan, dalla Libia al Vietnam.

Eppure, se Joseph Biden fosse minimamente vicino al glorioso ritratto creato dai mass media nessuno avrebbe dubbi sulla sua capacità di giudizio. Tuttavia, circa tre dozzine di Rappresentanti democratici alla Camera hanno recentemente firmato una lettera in cui si spinge l’attuale Presidente a rinunciare alla sua autorità di ordinare da solo il lancio di ordigni nucleari, sostenendo che “far ricoprire tale ruolo ad una singola persona comporta

reali rischi”.

A questo punto non si può che non riconoscere un collegamento con la richiesta, avvenuta l’8 gennaio, del Presidente della Camera, Nancy Pelosi, di privare l’allora comandante in capo Trump dell’accesso ai codici nucleari. Il capo dello stato maggiore congiunto Mark Milley allora rispose che né per l’esercito né per il Congresso era possibile intervenire a riguardo, o opporsi. Qual è la definizione di forze armate fuori controllo che si rifiutano di eseguire gli ordini del Presidente in carica se non un vero e proprio coup d’etat? Ma se all’epoca il tentativo proveniva dal partito avversario, ciò che rende più preoccupante l’accaduto è che adesso la sollecitazione proviene da membri dello stesso partito di Biden, i quali evidentemente non lo ritengono pienamente all’altezza del ruolo che è stato chiamato a ricoprire.

Dunque come può essere che al più potente scranno sul nostro intero pianeta sia asceso un uomo il cui stesso partito non lo ritiene capace di difendere il popolo americano nei momenti di più grande necessità? Semplice, attraverso la divinizzazione di quest’ultimo e la demonizzazione del suo avversario. Quanto le piazze delle grandi, esorbitanti, soffocanti metropoli avevano celebrato la sua vittoria e la “fine” dell’era Trump! E quanto, dopo neanche un mese, i suoi stessi elettori si sentono traditi nelle promesse ed esprimono il loro disappunto su Twitter!

La sua promessa di zero deportazioni sin dai suoi primi cento giorni in carica, per esempio, pare ormai una barzelletta. In un suo cinguettio, Gravel Institute scrive: “Quando capiremo che non ci possiamo fidare dei Democratici?”. Peccato che la domanda sia stata posta troppo tardi. Non suona di per sé ossimorico credere che un politico di carriera, seduto per 47 lunghissimi anni in Congresso, possa portare il cambiamento necessario per il paese? La speranza tuttavia è sempre quella che eventi del genere possano risultare in una catarsi generale del sistema politico. Ma niente di ciò avverrà finché il popolo affiderà il proprio destino nelle mani di eloquenti affabulatori. Le parole hanno una consistenza eterea, impalpabile. Le parole di questo falso Messia di consistenza non ne possiedono alcuna.

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