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Devo essere soltanto un’arancia meccanica?

SOFIA MARCANTONI, 4H

“il bene dovrebbe nascere dall’animo, 6655321. È qualcosa che noi scegliamo. Quando un essere umano non può più scegliere, smette di essere umano” Un ragazzo giovane, quindici anni al massimo, che gironzola con la sua combriccola di amici, di drughi, a compiere atti molesti e violenti per puro divertimento, perché pervasi dall’irrefrenabile desiderio di mettere a soqquadro tutto ciò che capita loro sotto tiro. Il principale punto di ritrovo? La latteria Korova, famosa per il suo Latte+, il latte “con aggiunta di qualcos’altro”. È un ragazzo pericoloso, mal educato e trascurato dai propri genitori, cresciuto in un ambiente malsano, in una società corrotta in cui il problema principale risulta essere il sovraffollamento delle carceri. Picchia un anziano signore perbene, violenta e importuna una piccola bambina, stupra e quasi uccide una donna dopo essersi infiltrato abusivamente in casa sua, aver pestato suo marito, scrittore di professione, e distrutto l’opera di costui attualmente in fase di realizzazione, denominata “Arancia Meccanica”, che, guarda un po’, caso vuole sia anche il titolo vero e proprio del libro in questione, scritto da Anthony Burgess nel 1962 e in seguito riadattato per il grande schermo da Kubrick una decina di anni dopo. Per farla semplice, Arancia Meccanica, anche A Clockwork Orange in inglese, è un romanzo distopico che narra di violenza. Violenza di qualsiasi tipo – politica, psicologica, fisica, verbale - apparentemente ingiustificata, che viene descritta attraverso episodi espliciti e piuttosto crudi. Il protagonista, un ragazzo aggressivo e decisamente senza scrupoli, ma appassionato

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di Beethoven, si chiama Alex. Alex e basta, perché il suo cognome non viene mai nominato nel libro. Dopo aver combinato diverse “marachelle” per circa la prima metà del romanzo, Alex viene catturato dalla polizia, in seguito al pestaggio, commesso assieme ai suoi drughi, di un’anziana signora. Alex, o meglio, 6655321, il numero con cui viene ora identificato, si trova in prigione, circondato da carcerati non meno aggressivi di lui, ai quali però riesce comunque a tenere testa, tant’è che arriverà ad ammazzare uno di loro. Egli è giovane, sfrontato, cattivo, senza alcun rimorso per ciò che ha fatto. Viene per ciò affidato alla comunità di ricerca scientifica, per la sperimentazione della cosiddetta “cura Ludovico”. “Io, giovane delinquente spietato, verrò trasformato al punto da risultare irriconoscibile. E queste slovode orche, fratelli, sono state tipo l’inizio della mia libertà”: Alex inizialmente brama la cura Ludovico, la desidera più di ogni altra cosa. È un trattamento speciale, che lo avrebbe fatto uscire di prigione in un batter d’occhio, e star certo di non rimetterci mai più piede. Per le successive due settimane, Alex viene sottoposto alla visione di parecchi filmati crudi, violenti: pestaggi, stupri, torture. Alex è disgustato, non si sente molto bene, non vuole guardare. Preferisce stare in prigione piuttosto che vedere quelle oscenità che, paradossalmente, rappresentano la sua quotidianità di un tempo. Vanamente tenta di opporsi: egli è legato a breve distanza dallo schermo, con delle pinze che lo costringono a tenere gli occhi aperti. Alex è frastornato, sconvolto, prova un senso di nausea e malessere perenne, che gli impedisce di compiere qualsiasi azione violenta: ciò che prima provocava gioia in lui, ora lo tormenta. “La prima cosa che mi ha illuminato la mente è stata che mi sarebbe piaciuto picchiarla e stuprarla come i vecchi tempi, ma tipo scorrevolosa come uno sparo è arrivata la nausea, come tipo un detective rimasto a sorvegliarmi nascosto dietro l’angolo e piombato lì in quel momento per fare un arresto grassoso”. Sangue, tortura e stupro ormai sono solo realtà lontane e sorprendentemente raccapriccianti, che lo inducono a compiere azione benevoli solo per reprimere quell’orribile sensazione che si espande dentro di lui. Compiere atti mirati al bene collettivo fanno stare bene Alex, nonostante lui, in

fondo, desideri l’opposto. Al termine del trattamento vi è il reinserimento nella società: Alex, che un tempo sovrastava su tutti, ora è vittima impotente. Tutte le crudeltà compiute negli ultimi anni gli si ritorcono velocemente contro, come un pugno nello stomaco, da parte di vecchie conoscenze, poliziotti e gli stessi genitori. E lui, non potendo opporsi, si limita a implorarli, scongiurando il loro perdono, invano. Ora, una persona potrebbe giustamente chiedersi: “è giusto che ad Alex, individuo crudele e insensibile, spetti lo stesso trattamento che egli ha riservato precedentemente alle sue vittime?”. La risposta è sicuramente molto complicata e ricca di argomentazioni, ma ciò su cui mi voglio soffermare realmente non sono le conseguenze silenziosamente subite, né tantomeno se esse siano giustificabili o meno, bensì l’aspetto maggiormente legato alla volontà di scelta. Alex è un ragazzo spietato, è vero, ma la sua morale, e soprattutto le sue decisioni, possono essere determinate da un qualcosa di più grande? O deve essere lui a scegliere per sé stesso? “E io, io, io. E io allora? Io non c’entro nulla in tutto questo? Cosa sono, un animale o un cane? O devo essere soltanto un’arancia meccanica?”. In questo ambiente falso e ipocrita, l’uomo è una vera e propria macchina comandata dallo stato, un’ “Arancia meccanica”, anche chiamata all’interno del libro “Arancia a orologeria”, predisposta dalla società per compiere del bene. Se ciò non dovesse avvenire, la mente viene bruscamente deviata: a causa di tutto l’orrore e la violenza che Alex ha dovuto obbligatoriamente osservare in quei filmati, egli non è più in grado di fare del male, ma non è nemmeno più in grado di fare una scelta morale. L’essere umano necessita di possedere la capacità di intraprendere decisioni dettate unicamente dalla propria ragione, anche se ciò potrebbe concludersi con la presa di vie sbagliate, perché un uomo che non può scegliere non può più essere considerato tale. La libertà di scelta non può essere soppressa, e il giovane Alex, che viene indotto e costretto a compiere del bene contro la propria volontà, manifestando di conseguenza odio e frustrazione verso il governo ma anche verso sé stesso, è l’emblema dell’uomo, che in tutti i suoi difetti, vale molto più di un’arancia meccanica.