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La codardia
ILARIA MARTUCCI, 2D
Leggendo, soprattutto durante la mia infanzia e in particolare libri di genere fantasy, ho incontrato sempre due distinti tipi di personaggi: i coraggiosi e i codardi. I coraggiosi sono di solito i protagonisti, i buoni, che sacrificano la propria vita per gli altri, che affrontano i pericoli per il “Bene” e per il lieto fine. I codardi invece solo coloro che si nascondono nell’ombra di qualcuno, spaventati dalle minacce. È normale, quando si legge, che ci vengano presentati i primi come i migliori, come modelli da imitare, mentre si disprezzano i secondi e si considerano i loro valori come insignificanti. È evidente la distinzione di queste due fazioni, soprattutto nei classici fantasy. In questi, il protagonista è spesso una persona senza macchia e senza paura, piena di risorse, che sfida stupidamente le avversità, rischiando il proprio benessere, la propria salute, e solitamente anche la propria vita. Ci sono poi sempre personaggi secondari, spesso vicini al protagonista, che vengono ridicolizzati per la loro paura nell’affrontare i pericoli. Questo accade probabilmente anche perché i libri sono sempre scritti dal punto di vista del protagonista, che sembra stranamente estraneo alle paure e alle esitazioni degli altri. Quando invece, cosa che accade molto raramente, si riesce a leggere un libro dal punto di vista di qualcuno che non sia il classico eroe dall’armatura scintillante, il “codardo” compie un percorso personale per riuscire ad assomigliare di più al perfetto e coraggioso ideale di eroe. Un più facile e conosciuto esem-
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pio può essere quello di Don Abbondio, famoso personaggio de “I Promessi Sposi”: egli viene presentato dall’autore come un fifone ed un codardo per non voler celebrare un matrimonio. Alternativa la morte. Ora, spogliamo questo personaggio della sua identità di prete e dalle critiche alla Chiesa del 600, e guardiamo l’uomo dietro all’abito. Perché criticare una persona del genere? È forse un futile matrimonio più importante della propria vita? Non è forse quello di Don Abbondio – il desiderio di non rischiare la propria salute perché due ragazzi si vogliono sposare – un ragionamento più che sensato? Manzoni lo descrive come un pavido, prendendosi quasi gioco del poco coraggio che c’è in lui. Eppure, non posso fare a meno di essere d’accordo con Don Abbondio sulla decisione presa. C’è forse qualcuno tra i lettori che ammetterebbe che, nei panni di questo uomo, si sarebbe rifiutato di assecondare le richieste dei “bravi” e avrebbe risolutamente celebrato il matrimonio? Don Abbondio è una persona comune, che pensa alla propria vita. Se questo è un codardo, allora anche il 99 % della popolazione mondiale lo è. Il coraggio non è una questione di rischiare la propria vita – o anche banalmente una parte del corpo o il proprio benessere – per una causa tanto triviale. Il coraggio è saper esprimere le proprie idee, sebbene si sappia di avere persone contro. Il coraggio è essere sé stessi, senza curarsi di quello che gli altri potrebbero pensare. Il coraggio si esprime con le proprie opinioni, non con fatti e azioni stupide e incoscienti. E la codardia, invece, è avere paura di essere noi stessi e di dire quello che pensiamo. Certo, il coraggio di alcune persone, come soldati, eroi di guerra o rivoluzionari, è da rispettare, ma così deve essere anche per la paura, che non va giudicata e criticata. Non credete anche voi che gli ideali di coraggio siano un po’ troppo distorti e avulsi dalla realtà dei fatti e della quotidianità?