Catechesi e vocazione

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VOCAZIONE: È LA VITA INTRODUZIONE

Da tempo andavo pensando ad una piccola catechesi sulla vocazione. Ho chiesto a più persone di curare questo tema e sono ancora in attesa di una risposta. Infatti ci sono delle difficoltà: Come trovare il modo di parlare ai giovani di oggi? Come indovinare le parole semplici e chiare che arrivino al cuore dei bambini, e perché no, degli adulti e anziani? Si potrebbe iniziare in modo sbagliato, o troppo impegnativo sì da scoraggiare alcuni o disinteressare altri e spingere al rifiuto. Infatti se io dovessi cominciare così: ... e se mi facessi prete o suora? Potrebbe essere la via sbagliata perché costringerebbe a camminare in una sola direzione. Trascurare questo aspetto sarebbe ugualmente errato perché indurrebbe ad eliminare una dimensione umana nella nostra vita. Ebbene, dopo molta preghiera e riflessione, mi pare di aver trovato una via che può interessare la maggior parte dei lettori Darei questo titolo: LA NOSTRA VOCAZIONE, VEDIAMOLA INSIEME. Forse questo modo potrebbe avere un particolare significato concreto. Infatti si tratta di un argomento che, si voglia o no, ci porta a degli incroci attraverso i quali bisogna passare. Proviamo allora a camminare insieme e scopriremo qualcosa che ci potrà, senza dubbio, interessare. Questo avverbio "insieme" spiega e giustifica il tono amichevole della nostra ricerca. Mi piacerebbe iniziare sempre in questo modo: Caro amico. L'età non ha alcuna importanza. Infatti anche un anziano che si volesse impegnare a leggermi potrebbe scoprire il perché della sua scelta e porvi qualche rimedio nel caso fosse sbagliata. Proviamo a camminare insieme, mano nella mano, senza la pretesa di farci da maestri, ma con la semplicità del bambino che non teme di guardare negli occhi la sua mamma. Incominciamo cosi: LASCIAMO OGNI PAURA Caro amico; non ci conosciamo di vista ma questo non ha alcuna importanza. Ci scambieremo pensieri e scoperte e arriveremo certamente a stabilire una comunione di vita. Un giorno mi si avvicinò un anziano che partecipa sempre alla mia Messa e mi disse: "Padre, io sono solo, non riesco a parlare con nessuno, lei vorrebbe essere mio amico?" Ben inteso che non si tratta solo di fare qualche chiacchierata, tanto per passare il tempo, ma vogliamo impegnarci a scoprire insieme il perché della nostra esistenza. E questo anziano voleva proprio impegnarsi in tale ricerca. Oggi tutti vogliono rivendicare diritti perduti o scoprirne altri che ancora non conoscono. Le donne cercano ancora la parità, gli anziani vogliono il rispetto, i giovani si sentono capaci di dominare il mondo e il bambino vuole attirare l'attenzione alzando la voce perché nessuno lo guarda. E la società va realizzando tutto, ma spesso pone l'accento solo sull'aspetto sociale e tralascia quello spirituale. Per questo noi vogliamo comunicare insieme per sviluppare i due aspetti, perché se quello spirituale fosse tralasciato si priverebbe la persona di una dimensione umana. In questo modo la paura dovrebbe scomparire perché se fossi dominato da essa ne andrebbe di mezzo il tuo avvenire. Non dobbiamo neppure avere la pretesa di scoprire tutto al primo incontro, tuttavia da parte mia che ti scrivo, vorrei che mi fosse usata la cortesia di non mettere da parte questa nostra ricerca, solo perché vogliamo offrire a tutti alcune considerazioni sul tema vocazionale.


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Se poi la parola "Vocazione" non fa paura, potremo essere amici con i nostri lettori e recare a tutti l'occasione per uno scambio di idee. Tuttavia la paura persiste: si ha paura del buio, paura di essere soli, paura di non essere capiti ed anche paura della propria vocazione. Perciò dobbiamo fare luce per dissipare ogni timore. Infatti in molti serpeggia una convinzione: se ti acciuffano, devi necessariamente andarci, non puoi farne a meno. Ed allora il bambino e il giovane si guardano bene dall'avvicinarsi al sacerdote o alla suora e c'è questo fuggi fuggi generale al solo sentirne parlare. Quando si parla o si pensa al tema vocazionale in una sola direzione ci sfuggono espressioni ormai da tutti conosciute: 1- Se poi mi lascio persuadere che Dio davvero mi chiama, non ho più pace e tutto è finito. 2- Ho paura di avere la vocazione. Come debbo uscirne? Ecco la paura del buio: basta fare luce e tutti quei pregiudizi scompaiono. Non si può parlare di vocazione concentrando le nostre riflessioni in una sola direzione, perché "vocazione", è semplicemente questa nostra vita, come servizio di amore. Debbo solo scoprire qual'è il modo che più mi rende felice. Per questo non si farà mai luce abbastanza sul tema vocazionale. Proviamo ad accettare questa chiarificazione: vocazione è la vita. Concludendo questo primo incontro ci facciamo alcune domande: • È vero che molti hanno paura di parlare della propria vocazione? È anche tua questa paura? • Come si giustifica questa paura? Da che cosa potrebbe essere causata? • Come aiutarci per superarla? Quali le tue esperienze in proposito? Potrebbe nascere un dialogo. Potresti anche scrivermi, e le tue risposte e domande potrebbero aiutarmi per comunicare meglio assieme.


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AL SORGERE DEL SOLE

Caro amico il nostro dialogo continua. Ti sei chiesto il perché delle tue azioni? Conosci i tuoi progetti? Hai trovato un amico che ti aiuti a dare motivazioni valide? Nel dialogo precedente abbiamo parlato della paura, e questa dovrebbe essere scomparsa. Ma se ci fosse ancora dovresti continuare nella ricerca delle motivazioni. Infatti la paura ha ragione di esserci solo quando uno scopre di non servire a nulla Ricordati: la disgrazia più grande che ti possa capitare nella vita è di non servire a nulla. Non importa se non trovi interlocutori, se fai domande e non trovi risposte, se passi e nessuno si accorge di te; infatti non a tutti è dato di capire, dice Gesù. E questo succede specialmente quando non ci siamo dati un volto, o quando non abbiamo motivazioni valide, nel nostro agire. Per questo mi accosto e vorrei sintonizzare il mio passo con il tuo; intuire i tuoi pensieri, aiutarti ad interpretare le tue attese e sviluppare il tutto in un dialogo molto semplice. Per questo ti chiedo la bontà di leggermi. Mentre passano i giorni e le ore è necessario riempirli di "perché". Infatti ci sono sempre degli incroci obbligati che, se imboccati bene e con calma troviamo la soluzione per una giusta direzione nella vita. A volte mi chiedo perché ci sia un po' in tutti la sensibilità al tema del dolore, del male, dell'ingiustizia e non al problema del perché delle proprie scelte e delle motivazioni che le animano. In parole semplici è poco sentito il problema della propria vocazione. Infatti si pensa ancora che la vocazione sia un problema di pochi privilegiati, per un gruppo scelto e non per tutti. Tutto questo potrebbe creare in te una mentalità errata che ti porta a guastare il tuo mondo. Perciò ti invito a restare in questo discorso amichevole e a considerare il problema della vocazione come il sole che sorge all'alba della tua vita Prova ad immaginare una notte senza luna e senza stelle: è il buio più sconcertante. Non vedi nulla: tutto ti appare informe, tetro, pauroso; e un senso di angoscia ti invade. Se tu conosci il paesaggio e sai che ci sono delle aiuole, fiori, piante, ora è come se non ci fosse nulla. Ma se al mattino al primo sorgere del sole ti affacci alla finestra della tua camera hai dinanzi a te un quadro del tutto diverso: tutto splende. Cosa è successo? È sorto il sole, e tutto prende luce, calore, vita. Così è nella tua vita quando senti sorgere un ideale, tutto si immerge in una luce nuova. E tu stesso capisci che quanto più nobile è questo tuo ideale tanto più porta chiarezza, entusiasmo e vitalità in ogni tuo impegno per conseguirlo. E quando anche una sola dimensione materiale o spirituale che sia, ti venga nascosta sei lasciato nel buio più o meno intenso. E capita spesso che proprio le cose più importanti siano lasciate sotto silenzio perché sono quelle che più si temono. Le possono temere gli altri perché pensano che tu possa sfuggire al loro dominio, e ti lasciano nell'ignoranza per tenerti più facilmente sotto la loro protezione; oppure tu stesso potresti preferire di non entrare in dialogo perché la scoperta di un grande ideale ti scuoterebbe e ti spingerebbe a maggior impegno, cosa che preferisci lasciare. Ecco pertanto la notte che incombe su molti. Costoro di tanto in tanto spalancano la finestra della loro vita ma non vedono nulla. Per loro tutto è buio: i fiori, le gioie, le speranze; e queste notti possono essere frequenti. Sorgerà il sole, la natura si risveglierà ma nel loro animo potrebbe rinascere il buio. Ed allora bisogna riflettere. Tu sei un valore per il fatto stesso che esisti. Non sei un oggetto, non devi lasciarti usare per un vantaggio altrui; tu sei "vocazione", sei vita! Sei un chiamato. Da chi? Da colui che veglia sulla tua vita, che ti conserva, ti guida. Cioè da Dio. Per questo non puoi più dirti: a che servo io? Chi ha interesse per me? Perché questi pensieri creano in te la notte di delusione. Tu devi tenere vivo davanti a te il pensiero che la tua esistenza è vocazione. Non sei un isolato, uno


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sconosciuto nel mondo, un messo da parte, un dimenticato, perché c'è uno che ti ha chiamato, ti considera, ti guarda, ti ama. Anzi devi vivere questa dimensione: entrare nella vita è avere una vocazione. Pensa al giorno della tua nascita, ad ogni compleanno, al tuo battesimo. Da quel momento Dio ti parla. Io confido sempre nel dialogo anche se nessuno mi rivolgerà domande. Per questo ti consegno alcune considerazioni che ti faranno riflettere e forse dialogare con te stesso. - Vocazione, non sta nel fare, ma nell'essere. - Vocazione è luce perché è vita e mi fa capire lo scopo della mia esistenza. - Vocazione è impegno. E vivere impegnato diventa luce per gli altri. - Se senti dire che questo problema non interessa, è come dire che la vita non interessa. - Voglio farti questo dono: aiutarti a scoprire la tua esistenza come vocazione; che tu riesca a scoprire quello che Dio vuole essere per te. - Quali i tuoi pensieri in proposito? Vuoi scrivermi? Potresti aiutarmi ad approfondire l'argomento con i tuoi quesiti. ( PRIMA PARTE )


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Carissimo amico, non so proprio se questo discorso ti interessi. Non so se qualche sguardo si poserà su queste righe e neppure posso immaginare se piaccia il tono amichevole che sto usando per comunicarti la gioia della mia scelta e il desiderio di aiutarti a scegliere con serenità e a vivere con gioia ciò che sceglierai. Una cosa è certa: molto dipenderà dalla tua iniziativa approfondire con dialoghi questi punti che ti pongo dinanzi. In punta di piedi mi permetto di avvicinarmi a te per cadenzare il mio passo al tuo; tuttavia se tu hai qualche altro amico o confidente, o direttore spirituale con cui intavolare un discorso impegnativo sei già sulla strada buona. Sono certo che avrai raggiunto la bella convinzione che non è lecito restringere il problema della vocazione al farsi suora o prete, o religioso (con la professione dei voti) né che si tratti di cosa da interessare solo una certa frangia di persone strane o anormali che rinunciano ai piaceri che questa vita offre e guardano a qualcosa che sfugge alla loro esperienza sensibile. Bisogna togliere tutto questo perché le grandi aspirazioni non vengano soffocate da inganni e amarezze. Perciò lasciami ancora sviluppare questo concetto basilare e fondamentale che la vita è vocazione. Infatti è Dio la sorgente di ogni vocazione e quando bussa alla porta della nostra vita offre sempre se stesso e affida un impegno particolare. Da questo impegno scopriamo che nella vocazione c'è un dinamismo; cioè un movimento in crescita: • vocazione umana • vocazione cristiana • vocazione ecclesiale. E c'è un punto fondamentale a cui tutti dobbiamo riferirci: la nostra vita è un atto di amore di Dio, ed è una chiamata. • Dio chiama alla vita: vocazione umana. • Dio chiama alla vita in Gesù: è la vocazione cristiana (mediante il battesimo). • Dio chiama alla vita in Gesù-oggi. Ossia il tuo inserimento nella Chiesa richiede un impegno ben distinto che il Signore ti rivela facendoti provare una forte attrazione a un determinato compito. Da questi principi possiamo trarre alcune conseguenze: I - La vocazione riguarda tutti dal momento che viviamo. 2 - Non dobbiamo temere di parlare di vocazione perché è un problema basato sulla stessa vita umana e cristiana. 3 - Ogni vocazione ha Dio come sorgente 4 - La vocazione non è un "si" dato una sola volta perché è legato ad un movimento vitale. Per questo gode di un continuo sviluppo di crescita - anche con crisi di crescenza -e quindi di nuovi "si", e questo a tutti i livelli. È come 1' apprendimento di una melodia: più si impara e si canta, e più piace. 5 - Non è bene esitare, trepidare, temendo di non possedere tutti i requisiti, né si deve temere di sbagliare. Infatti il Signore che chiama e accompagna a fare quella determinata scelta farà lui il resto. E‟ lui che inizia l'opera e la porta a termine. Alcuni suggerimenti Conviene tenere a mente e agire di conseguenza ponendo 1' accento non tanto su ciò che dobbiamo fare ma su ciò che bisogna essere. Per questo bisogna assicurare la assiduità alla preghiera. È necessario lasciare il dualismo: lavoro e preghiera che per troppo tempo ha portato fuori strada molti credenti. Il lavoro è una cosa, la preghiera è altra cosa. Ma il lavoro va santificato comportandoci nel lavoro come se stessimo pregando (S. Paolo). Perciò vanno tenute presenti tre realtà: 1 - Gesù. Ogni cosa va fatta con lui. È venuto a servire e a rendere efficace il progetto del Padre. 2 - Fedeltà alla missione di Gesù che ha insegnato a perdonare, vivificare, passare dalla morte alla vita, ed ora la affida a te. 3 - Siamo chiamati tutti a renderlo vivo e operante con la nostra condotta.


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Alcune domande 1 - Tra questi punti che ti ho presentato quale ti pare più importante e più decisivo? 2 - Quale aspetto ti interessa maggiormente per le tue esperienze e vorresti sviluppare in modo particolare? 3 - Saresti in grado di ricavare altre conseguenze che io non ho sviluppato? Potresti indicarmele? Il Vangelo ha le sue esigenze, propone un itinerario di perfezione, ma nessuno di noi può avere la pretesa di imporlo. Non siamo chiamati ad imporlo, ma ad offrirlo, mettendo in evidenza le qualità del dono gratuito, la soavità del suo messaggio e la pienezza della sua grazia.


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LA TUA VITA ? COME UN FIORE IN PRIMAVERA .

Carissimo, chiunque tu sia che ti accingi a leggermi, ti voglio rivelare che ti sento mio amico. Infatti se tu, bambino o giovane, donna o uomo, mi ricevi e leggi, sei un vero amico. Non so quali siano i tuoi pensieri, dopo avermi letto in precedenza, tuttavia vorrei cercare di indovinare: mi pare che in te ci sia ammirazione ed esitazione, per quello che ci stiamo comunicando. In precedenza temo di averti detto troppo, senza lasciarti un momento di pausa per riflettere e pregare. Perciò ho preparato una preghiera per te per chiedere al Signore di conoscere il suo progetto su di te. Signore, ti ringrazio per tanti doni che mi hai elargito. Ti ringrazio perché nel mutevole intrecciarsi di tante storie personali tu attui una incessante comunione di amore. Ti prego perché il dono del tuo amore diventi la scelta di molti giovani. Concedi a tutti il dono della preghiera perseverante, di un prudente discernimento, e una sapiente guida spirituale. Ti chiedo pastori capaci di educare i giovani a riconoscere la tua voce, a fidarsi di te, ad avere il coraggio di vivere la tua volontà. Imploro la grazia di vocazioni sacerdotali e religiose che trovino in famiglia genitori aperti e sensibili a questo tuo progetto; in parrocchia, sacerdoti, animatori ed amici capaci di prepararli ad essere tuoi rappresentanti. La Vergine Maria sia per tutti l'incoraggiamento a rispondere al tuo progetto e ci aiuti a lasciarci trovare, amare e chiamare da Gesù costruttore della nostra gioia. Amen. Ed ora senza fretta di arrivare subito a conseguenze concrete, sarebbe bene approfondire i principi e purificare l'ambiente in cui vivi da tutto ciò che ti può distrarre. Perciò ti chiedo di seguirmi ancora sulla strada di questi suggerimenti per dare alla tua anima una grande fiducia che si radica in quel Dio che sempre chiama. È questo il momento di fermare 1' ondata di tutte le in-


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certezze che turbano il tuo spirito. Ti vorrei aiutare ancora con una preghiera che ho preparato per te: A tu per tu con il Signore Signor tu mi chiami ed io ho paura di dirti di sì. Tu mi vuoi ed io cerco di sfuggirti. Tu mi chiedi di entrare nella mia vita ed io mi rifiuto. Così non capisco tutto quello che vuoi da me Tu ti aspetti il dono completo: questo è certo, e io talvolta sono pronto a farlo, nei limiti della mia possibilità. Quando tu mi doni la tua grazia trovo il coraggio e tutto mi pare facile. Ma quando mi accorgo di ciò che devo lasciare per te, come è doloroso decidermi! Allora mi fermo, esito. O Signore, donami la forza di non tirarmi indietro, e aiutami ad avere più fiducia in te. Aiutami a scegliere quello che tu vuoi. Io sono pronto. Non ti sembra che ora si possa continuare il nostro cammino di amicizia che abbiamo iniziato insieme? Non c'è alcuna ragione al mondo per inquietarsi prima di conoscere la strada che dovremo prendere. L'importante è giungere là. Qualunque età tu abbia immagina la tua vita come un fiore in primavera. Tutto ti parla della tua perenne giovinezza. Tieni a mente che la giovinezza non è sempre legata all'età. Ci può essere un giovane di età che è vecchio nello spirito perché non ha ideali, non progetta, non ama l'avventura; e ci può essere un anziano di età che vive sempre con una gioia in cuore da meravigliare quanti lo avvicinano. Ebbene, sul campo di questo mondo è spuntato un fiore, una nuova vita: sei tu. Naturalmente in un giardino dove ci sono molti fiori nessuno si accorge che c'è un fiore in più, ma la terra che lo ha germinato lo sa; così il cielo che sta sopra, lo vede. E tu lo vedi questo fiore? Non è germinato a caso. È stata proprio la mano di Dio a guidare gli eventi perché si creassero le condizioni per far sbocciare questa nuova vita. Rifletti: non te la sei data tu l'esistenza. Se dunque questa vita è iniziata c'è un disegno divino e questo vuol dire che c'è una vocazione. Tutto questo è un dono e richiede un impegno e una risposta. Di qui nasce subito una domanda: quanto puoi dire di aver risposto bene? Nessuno di noi ha il merito di essere entrato nella vita come il seme non ha il merito se un bel giorno è spuntato come un fiore dal terreno. Per questo ti voglio aiutare a dare una risposta coraggiosa pur non sapendo ancora che cosa voglia il Signore da te. Prova a verificare se sei in grado di dare una risposta giusta sul significato della tua vita e prega con me:


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"Padre, io mi abbandono a te: fa' di me quello che ti piace; qualunque cosa tu faccia di me, io ti ringrazio, perché so che vuoi il mio vero bene. Voglio lasciarmi guardare da te. Sono pronto a tutto, purché la tua volontà si compia in me e tu mi aiuti ad adempierla. Io non desidero altro, mio Dio! Depongo la mia anima tra le tue mani, te la dono, o mio Dio, con tutto l'amore del mio cuore, perché voglio lasciarmi amare da te. È una necessità per me di donarmi e di affidarmi alle tue mani senza misura, con infinita fiducia, perché sei mio Padre. Sono parole troppo grandi per te? Non temere! Mi metto in cammino con te, al tuo fianco, senza avere alcuna pretesa di esserti guida, ma solo di essere tuo amico. Se mi hai letto e mi attendi, ti riservo delle sorprese per il prossimo incontro. Per ora ti anticipo una preghiera che il beato don Luigi Orione fece nel 1900 all'età di 28 anni. Forse anche tu ti potresti ritrovare in questa preghiera. Potresti farla tua e metterti in ascolto per poter capire che cosa il Signore possa volere da te. "...Mi dissero, o mio dolce Signore, che, sull'ali dell'amore divino, il povero cuore dell'uomo può sollevarsi molto in alto: mi dissero che in sublimi preghiere può espandersi l'anima tutta e raccogliere torrenti di luce e di gioia. O Signore, quanto sei buono! O Signore, io ammiro la tua bontà e coloro che a tanta altezza sanno elevarsi, ma non ti domando i gaudi delle loro estasi, oh fino a che mi è dato di averti qui davanti nel santissimo Sacramento, lascia che ti ami e ti adori nascosto, o Gesù mio, e dall'abisso delle mie miserie io ti vada gridando che ti amo, ti amo e ti amo! ...Non sciolgo inni di lode, né prego quasi, penso: penso a te, che mi sei così vicino: al tuo cuore che non mi sarà mai straniero né freddo; al tuo amore che è sempre uguale a se stesso! Oggi ero molto afflitto, o mio Dio, adesso invece i dolori non mi turbano più,


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e sono contento di patire. O Signore, amore soavissimo, e vita mia, fa che da ogni ferita di spina, che mi trafigge l'anima, esca la gran voce del mio cuore: ti amo, o Gesù mio, ti amo e ti amo! A te, che vegli apro il mio cuore, con te esamino le occupazioni della giornata: a te espongo pensieri ed affetti; ascolto la tua voce, studio il tuo volere, mentre ti guardo e ti amo, ti amo e ti amo! E anche tu mi ami; oh se mi ami! Dimmi una parola, o Signore, che mi additi il sentiero nel quale tu vuoi che io cammini: illuminami, o Signore, con un raggio di tua luce, ché le tenebre si addensano attorno a me: ed io ti risponderò che ti amo, ti amo e ti amo! Quanto è dolce aprire il cuore davanti a Gesù, e potergli far vedere che è pieno di lacrime e di affanni... e che tutti sono dolci segno di un amore grande e grande... e lui è lì che guarda... Guarda... Guardami bene, o palpito mio e vita della mia vita, o amore inebriante e divino sovra ogni amore... Ah, tu sai tutto... e io ti capisco... ma ti vorrei dire ancora una cosa, che ho sempre timore di non averti mai detto bene: Gesù amore, amore dolce, amore mio. Ti amo, ti amo, ti amo! Gli Angeli cantano in cielo: Santo, Santo, Santo! Ma quale canto sarà più grande del mio? E quale amore più grande del mio amore? Oh Gesù divino! Gesù amore mio: Ti amo, ti amo, ti amo!" (don Luigi Orione, Dall'Opera della Divina Provvidenza 17 gennaio 1900).


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CON LE RADICI NEL TERRENO

Caro amico, se mi hai letto in occasione della Pasqua, ricorderai quanto abbiamo meditato assieme: LA TUA VITA È COME UN FIORE 1N PRIMAVERA. Oggi vorrei riflettere con te su una realtà conseguente: IL FIORE PER VIVERE DEVE RIMANERE CON LE RADICI NEL TERRENO. Così pure l'uomo per realizzarsi nella sua chiamata alla vita, non deve sradicarsi da Dio. Questa è la prima condizione essenziale e poi deve puntare verso l'alto. Osserva lo stelo del fiore che si dirige verso il cielo anche se la sua capacità di innalzarsi è molto piccola. E così avviene per ogni vita umana, sempre molto fragile, perché c'è sempre il rischio di lasciarsi intisichire dal di dentro, accontentandosi del minimo, strisciandosi sul terreno come certe erbacee; e così molti vorrebbero salire ma solo verso qualcosa che soddisfi il benestare; ed ecco la tendenza verso il denaro, il piacere, le attrattive sensibili. Mentre la vocazione umana vuole vedere l'uomo in piedi, con le radici ben collegate alla famiglia umana, perché solo questo è il terreno comune che ci rende fratelli. A questo punto se continui a leggermi vorrei condurti a considerazioni più impegnative per fornirti qualche elemento che ti aiuti a rispettare la tua umanità. Per essere davvero umani non basta ritrovarsi nella società, né è sufficiente lasciarsi coinvolgere dalle problematiche attuali, né essere figli del nostro tempo; così pure non è sufficiente riconoscere che Dio ci abbia chiamati alla vita, perché uno risponda al disegno concreto che lo riguarda umanamente. Noi non siamo solo corpo ma abbiamo un' anima razionale, ed è questa che vuol essere lasciata libera di tendere verso l'alto. Perciò la vocazione umana, cioè il nostro vivere su questa terra con le nostre dimensioni, ha un suo risvolto nel pensiero divino, impresso proprio in questo slancio vitale che tende verso 1' alto e sboccia a primavera. Ti sarai trovato molte volte a contemplare un fiore appena sbocciato; prova richiamare alla tua mente i pensieri di quel momento: la gioia pura che hai provato e il desiderio di richiamare l'attenzione di altri gridando la tua felicità. Quand'è che uno ti fa dire che ha una forte personalità e una grande umanità? Forse quando è bello e tondo come un pallone, oppure quando scopri in lui una notevole capacità di intesa e di comunicazione con gli altri? Il beato don Luigi Orione possedeva una grande umanità e lo dimostrava con la sua comprensione profonda della natura umana nelle debolezze, nei suoi desideri, e nelle sue possibilità, adattandosi ai piccoli, ai grandi, ai dotti, ai semplici lavoratori della campagna. Egli è stato definito un individuo "riuscito" in questo fondamentale livello di vocazione umana. Anche Ignazio Silone (nome illustre della letteratura italiana) non dimenticherà mai il suo viaggio da Roma a Sanremo fatto in treno con Don Orione. Silone aveva solo 15 anni eppure rimase affascinato e seppe cogliere tutto ciò che gli servirà nella vita, anche nei momenti più tristi e lontani, e a momento giusto gli infuse il coraggio del ritorno. Sono sue parole: "Sentivo un piacere infinito a udirlo parlare in quel modo; provavo una pace e una serenità nuove. Decisi allora tra me che l'indomani avrei preso nota di ogni parola scambiata. Il treno correva lungo la costa tirrenica. Udivo nel buio della notte il fragore per me nuovo del mare, nomi nuovi di stazioni. Mi sembrava di andare alla scoperta del mondo. «Non sei stanco?», mi chiese don Orione a un certo momento. «Non vuoi cercare di dormire?». «Vorrei che questo viaggio non finisse mai», riuscii a balbettare. Ciò che di lui, nel ricordo, mi è rimasto più impresso, era la pacata tenerezza dello sguardo. La luce dei suoi occhi aveva la bontà e la chiaroveggenza che si ritrova talvolta in certe vecchie contadine, in certe nonne, che nella vita hanno pazientemente sofferto ogni sorta di triboli e perciò


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sanno o indovinano le pene più segrete. In certi momenti avevo proprio l'impressione che egli vedesse in me più distintamente di me; ma non era un'impressione sgradevole. Un paio di volte egli interruppe la conversazione, come per aprire una parentesi. «Ricordati di questo», mi disse a un certo momento. «Dio non è solo in chiesa. Nell'avvenire non ti mancheranno momenti di disperazione. Anche se ti crederai solo e abbandonato, non lo sarai. Non dimenticarlo». Egli me lo disse con la stessa voce e la stessa semplicità delle altre cose, ma mi accorsi che i suoi occhi erano lucidi di lacrime". Ma queste doti di comprensione, di tenerezza, di apertura, come braccia supplicanti al cielo, ma anche sempre aperte nel dono di sé, si illuminano in Gesù e divengono vocazione cristiana. E da questo punto tutto cambia. Infatti ognuno di noi incorporato in Gesù con il Battesimo deve svilupparsi e crescere. Abbiamo ormai tutti gli elementi per affermare senza alcuna esagerazione né sicurezza personale che la vita non si vive per sé ma per gli altri come ogni fiore nella sua maturazione, che deve espandersi e divenire dono di sé aperto al mondo. Anche tu avrai molti esempi di persone che non dimenticherai mai; e quello che ha caratterizzato in loro la vocazione cristiana è il servizio d'amore. Sì! Un amore che percorra la strada di Gesù: radicato nella realtà dell'amore umano che si fa dono per gli altri. E ancora don Orione ci lasciò scritto, dopo averlo vissuto tutta la vita: "La perfetta letizia non può essere che nella perfetta dedizione di sé a Dio e agli uomini, a tutti gli uomini, ai più miseri come ai più fisicamente, moralmente deformi, ai più lontani, ai più colpevoli, ai più avversi". Avrai anche sentito parlare molte volte della vocazione cristiana e forse sarai rimasto deluso perché non l'avrai trovata vissuta coerentemente; ebbene da quanto abbiamo tentato di dirci, con le testimonianze riportate puoi desumere queste conclusioni che certamente rimarranno più comprensibili se tieni davanti l'immagine del fiore che germoglia a primavera, e il volto di questi bambini che ti gridano gioia, vita, innocenza. Ecco le conclusioni di questa nostra riflessione: 1 - Ogni vocazione alla vita cristiana deve essere radicata nel battesimo come il fiore nel terreno del giardino del mondo. Perciò resta vero che si diventa più cristiani, quanto più si diventa umani e uniti agli altri. Ed anche colui che si consacra a Dio come don Orione ed altri che tu certamente conoscerai sta fortemente unito alla compagine umana, vi si inserisce ponendosi nel cuore di essa, nel suo spirito. Si libera da ogni impedimento egoistico e si dedica completamente all'altro. È questo che Ignazio Silone ha scoperto in don Orione. Ed ora capirai, caro amico, che quando diciamo "umano" non si intende il sensibile, l'istintivo, ma colui che ha realizzato in sé la somma dei valori spirituali che fanno la sintesi del personaggio "uomo". 2- La vocazione cristiana per essere tale deve essere aperta verso l'altro con le braccia aperte, quasi fossero quelle stesse di Gesù, sempre pronte a stringere il mondo. Ha vera vocazione cristiana chi non ha solo pena per la sua anima ma per quella del mondo. E a questo proposito, ancora don Orione ci dice: "Non saper vedere e amare nel mondo che le anime dei nostri fratelli... amore e compassione per tutti: amore ai più lontani, ai più colpevoli, ai più avversi, a tutti…”. Perciò è un inganno e una insidia quella di una vocazione cristiana chiusa nell'individualismo che ha soltanto sé per oggetto e vuole farsi di Gesù un suo privilegio; sarà sempre una falsa vocazione, sarà un pericolo per la riuscita anche delle altre vocazioni. Come Gesù bisogna essere sempre disponibili, pronti a dare e a ricevere. - Ed ora proprio in virtù della nostra amicizia ti offro la possibilità di un dialogo. Ti pare importante porre come fondamento del tema vocazionale la vocazione umana e cristiana? E perché? - Riesci a farti capire quando parli di questo argomento, oppure lo eviti, perché non lo ritieni importante? - Vorresti forse, porre qualche altro quesito che ritieni più importante? Rispettando la tua libertà, ti ringrazio se mi hai letto prego per te anche se non l'avessi fatto.


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IL FIORE SPUNTATO A PRIMAVERA ESPANDE I SUOI PETALI .

Amico carissimo sono consapevole che non tutti saranno attratti dall'argomento e per di più, dato che molti scrivono, c'è il pericolo che si cestini il tutto. Nonostante questa consapevolezza, continuo a proporti qualche riflessione sul tema vocazionale. Mi piace sempre rapportarmi al fiore perché mi offre l'esatta immagine della nostra vita. E penso che non sia difficile neppure per te, rileggere la tua vita pensando al fiore in primavera che espande i suoi petali. Anche tu ti apri alla vita, programmi, ti fissi degli obiettivi; o forse sei adulto e hai già fatto le tue scelte, ma potresti essere sempre in tempo per correggere qualcosa. E puoi chiederti: sarà proprio questa la mia scelta giusta? Puoi consultarti e prima di prendere altre decisioni puoi chiederti se Gesù abbia bisogno di te. Forse di qui verrà anche la difficoltà a cogliere tutto il suo insieme, ma sono certo che la tua attenzione a questo nostro discorso ti farà superare questa difficoltà. Infatti le prime battute che ti hanno aperto al dialogo sono come l'apprendimento di una melodia. Appena la ascolti, attira la tua attenzione, poi comincia a piacerti, la canterelli da solo e quando ti pare di possederla, canti a piena voce. Perciò con tanta franchezza mi piace ritornare all'immagine del fiore spuntato a primavera: cresce, si espande e i suoi petali attirano l'attenzione di tutti. Così è la nostra vita. Il fiore fresco, ricco di colori che attira tanta attenzione, è contemplato da tutti; ma il primo a contemplare il suo capolavoro è proprio il Creatore. Si compiace di ciò che ha fatto, ed ha un progetto chiarissimo su ogni sua creatura. Questo fiore sei proprio tu. Sei contemplato un po' da tutti. Tutti vorrebbero che tu realizzassi qualcosa di loro. Infatti proiettano su di te ciò che non sono riusciti a realizzare in se stessi. A volte stabiliscono già anche il tuo modo di vestire, la scuola che devi frequentare, le amicizie che devi coltivare. Ti senti un po' frastornato. E quando ti si chiede che cosa farai da grande, non sai proprio che cosa rispondere. Mentre il Signore che ti ha creato libero, difende la tua libertà e un po' alla volta ti fa capire il progetto giusto. Qual'è? Ecco perché tu non puoi programmare senza consultarlo. Onestà vuole che tu tenga dinanzi il quadro completo: c'è la vocazione umana, cristiana ed ecclesiale. Ci spieghiamo: - 1. Dio chiama alla vita con un atto di amore. È la tua esistenza o vocazione umana. - 2. Dio chiama alla vita cristiana. Con un atto di amore ti fa rinascere in Cristo mediante il battesimo, ed è la vocazione cristiana. - 3. Dio ti chiama, oggi, come membro della sua Chiesa e ti dà un compito specifico, ed è la vocazione ecclesiale nei suoi vari compiti: matrimoniale, laicale, religiosa, ministeriale (sacerdote). Quale sarà il mio posto nella Chiesa? Cosi si esprimeva anche santa Teresa di Lisieux. È certo che il Signore, proprio perché ci ama e vuole il nostro vero bene ci affida un compito specifico e tutto questo potrebbe assumere per te i caratteri dell'incredibile. Eppure è la verità per ogni creatura. E ci sono realtà che spesso ci appaiono troppo belle e ci fanno venire la voglia di chiudere gli occhi, quasi per dispensarci dal vederle. Ma non è possibile... Debbo affrontare il problema proprio per dare un significato alla mia vita che sia, per quanto è possibile, consono alla volontà del Signore. Mi pare quindi che la via più facile per un approccio alla vicenda vocazionale sia quella storica. Se il fenomeno della vocazione è presente nella vita della Chiesa, nella storia della salvezza e nella nostra storia, penso che sia possibile tracciare una storia personale. E questa storia ci propone di prendere alcuni esempi, tipi, e modelli ed esaminarli, non solo in ciò che hanno di comune, ma anche in ciò che hanno di diverso. Idealmente questa storia dovrebbe essere continua: se, per esempio, esaminiamo Abramo, Mosè, Geremia, Paolo, tale storia dovrebbe continuare anche esaminando sant'Agostino, san Benedetto, san Francesco d'Assisi e naturalmente aggiungerei don Bosco, don Orione, Padre Pio, Madre Teresa fino a giungere alle biografie più recenti, alla storia della mia vocazione sacerdotale, a quella dei


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miei genitori e fratelli che è una vocazione matrimoniale, per giungere alla tua storia vocazionale. Che ne pensi? Che cosa stai progettando? Come pensi di impegnare la tua vita? È solo così che idealmente si può fare una certa analisi storica che ci permetta di rilevare le coerenze, le continuità e le diversità. Possiamo fare una analisi nel quadro biblico, per invitarti poi ad una analisi interiore. Analisi che si può fare tutte le volte che una proposta vocazionale si presenti davanti a noi. E siccome il primo materiale vocazionale siamo noi stessi, l'autobiografia è il primo metodo di analisi e di ricerca. Resti ben chiaro che per qualsiasi vocazione è necessario essere capaci di amare. Chi non sa amare è inutile a qualsiasi impegno e missione; sia per farsi prete o suora e sia per la vita matrimoniale e laicale. L'essenziale è che ogni chiamato sia se stesso; cioè realizzi quella forza di espansione che Dio gli inietta di continuo. Ciò che più conta è accettare la missione che uno sente in sé, affinché lì si realizzi, senza confronti sfibranti con altre vie e senza rimpianti. Deve tenere presente che ogni missione viene da Dio. Uno non se la dà da sé. Così è per ogni opera di bene. Il bene è sempre suggerito dallo Spirito che è in noi. Riassumendo la nostra riflessione puntualizziamo ciò che ci serve per memorizzare ogni aspetto utile. Ancora oggi nonostante il crescere della cultura e la conoscenza del linguaggio si fa fatica ad accettare il termine "vocazione"; spesso se ne fa un tutt'uno con "sacerdote" e "suora". Ma non è così. Ogni missione è vocazione. Anche quella del medico, del politico, dell'insegnante, prima di essere una professione è una missione, è una vocazione. Se questa realtà "vocazione" viene conosciuta nel suo significato profondo, allora le cose cambieranno veramente. L'essere genitore è una missione; l'essere insegnante, medico, politico, sacerdote, suora, è una missione. In questo modo il chiamato eserciterà la sua missione-professione con serietà. Quando ognuno prenderà seriamente coscienza di se stesso, si realizzerà a pieno e quella forza di espansione che Dio immetterà nel suo intimo lo porterà alla piena realizzazione di sé. Una proposta: Ti piacerebbe dialogare con me? Ti propongo alcuni quesiti: 1. Fa una ricerca delle opinioni su questo tema: in casa, a scuola, nella cerchia dei tuoi amici. 2. Non preoccuparti se hanno opinioni diverse dalle tue. Le diversità sono belle perché ci aiutano a riflettere. 3. Non importa che uno non voglia accettare il termine "vocazione" per tutte le mansioni che la società richiede. L'importante è che ne accetti il principio interiore. Per qualsiasi scelta si faccia è necessario che l'interessato sia capace di amare; e amare non è cercare le proprie soddisfazioni, ma recare felicità duratura all'altro. Se mi scrivi per avere ulteriori chiarimenti sono a tua disposizione.


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LA VOCAZIONE È UNA REALTÀ DINAMICA NEL SUO INTERNO

Caro amico mi rivolgo a te ancora con questo tono familiare sperando sempre di farti piacere. Le cose scritte restano e sono certo che presto o tardi qualcuno potrebbe lasciar cadere lo sguardo anche su queste pagine. Mi diceva il mio professore di esegesi biblica, quando ero ancora giovane studente, che vale sempre la pena annunciare o scrivere perché se la cosa arrivasse all'interesse anche di uno solo, avrebbe già raggiunto il suo scopo. A volte temo che queste riflessioni sulla vocazione ti possano apparire troppo sempliciste per il fatto che si riducono all'essenziale e che si ispirano sempre al paragone del fiore in una crescita continua, ma è un modo per renderle più accessibili alla nostra mente. In questo, sono incoraggiato dal modo di parlare in parabole di Gesù che si riferiva sempre alla vita quotidiana, agli usi e costumi della sua gente che lo ascoltava. Perciò con questo linguaggio vorrei togliere le molte oscurità che si addensano attorno al concetto di vocazione. Per questo ho scelto ancora di continuare con l'illustrazione del fiore. Infatti per ogni seme c'è un tempo di semina, di gestazione, di maturazione, di sviluppo. Non spunta di colpo. Così per volere del Signore, tutte le cose, anche le più sublimi sono legate a questo dinamismo, ossia, alla crescita interiore che deve essere armonica per rispecchiare la perfezione di Dio. Quando ti trovi di fronte ad un bel fiore che sboccia a primavera dovresti pensare al lungo processo di sviluppo che lo porta a quel risultato; così è la storia di ogni vocazione. Riflettiamo assieme per essere più attenti e meno superficiali nelle valutazioni. Ci chiediamo quali sono state le tappe di una vocazione, di qualsiasi vocazione riferendoci alle tappe dello sviluppo di quel fiore che ora contempliamo nella sua piena realizzazione? Penso alla vocazione dei miei genitori, fratelli, insegnanti, uomini di governo, della medicina, professionisti di ogni campo e alla mia vocazione sacerdotale. Ecco la parabola: Nel fiore ci fu il lancio del seme in un terreno ben coltivato, il suo crescere armonioso e progressivo; e come ogni pianta e ogni fiore, anche ogni vocazione ha un suo inizio. C'è uno stimolo a volte casuale: un fatto, un incontro che a prima vista sembra fortuito, una esperienza cercata. Ebbene in tutto questo mi piace leggere la presenza di Dio che ci conduce alla sua realtà, sempre con la collaborazione di altri. Per comprendere meglio ogni esperienza vocazionale concreta mi permetto di dare qualche indicazione. Quando si elabora il tema vocazionale ci sono sempre alcune domande che ricorrono e hanno bisogno di un certo approfondimento. Ne espongo alcune invitando a tener conto delle situazioni concrete nelle vicende singole. 1 - La vocazione è per pochi, per uno solo, per molti, o al limite per tutti? È un fatto universale nel senso che ogni uomo può dire di avere una vocazione specifica nella storia, oppure le vocazioni sono casi singoli che diventano tipici e hanno un valore diverso da quello che è il fatto vocazionale nell'esperienza comune? 2 - La vocazione è per un tempo determinato o per sempre? È legata ad un evento che si può prolungare, riprendere, oppure è di carattere tendenzialmente definitivo? Questa considerazione va tenuta presente nel determinare le caratteristiche delle chiamate bibliche. 3 - La vocazione è per uno scopo ben preciso o per una determinazione generica? 4 - È un invito o un obbligo?


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In ogni caso non significa che si debba scegliere l'uno o l'altro dei casi, ma significa che non si deve scegliere in qualche modo o in nessun modo; ma di scegliere la tensione creativa con i suoi aspetti prevalenti. Una cosa va tenuta presente che nell'ambito vocazionale nulla ci permette di rendere arbitrariamente semplice e sistematico ciò che è, come la vita, complesso e ricco. Il fatto vocazionale non va ridotto a degli schemi troppo chiusi facendo così torto alla vita e alla sacra Scrittura. A questo proposito vorrei in seguito esaminare la vicenda della chiamata in alcuni personaggi biblici come Abramo, Mosè e Samuele. E dalla vicenda di questi personaggi potremo conoscere il cammino che si sviluppa nella storia di ogni vocazione dal suo nascere alla sua piena realizzazione. Ecco i passi: 1 - Spesso dobbiamo agli altri quanto avviene nella realizzazione di noi stessi. 2 - Il germe iniziale deve svilupparsi. Il crescere lento e armonioso avviene all'insaputa di tutti, anche di chi lo ha posto. La crescita, spesso avviene attraverso gli aiuti che riceve dal di fuori. Ognuno deve far crescere la propria vocazione umana, cristiana ed ecclesiale aprendosi in donazione, scambiando a livello umano ogni dono ricevuto. La crescita in ogni campo, avviene sempre in questo interscambio di valori. 3 - Infine la crescita deve essere armoniosa e progressiva. Infatti, come ogni pianta, anche la vocazione può essere fermata nel suo sviluppo da blocchi interni. Questi potrebbero essere: a) Non accettarsi. Questi è colui che è in conflitto con se stesso, idealizza, sogna, ignora i suoi limiti, il suo sesso. Costui non può realizzare la sua vocazione umana, cristiana ed ecclesiale, se manca di questa lealtà interiore. b) Altro blocco è non accettare la realtà. Ciò avviene in colui che si pone sempre in confronto l'ideale perfetto; costui rimarrà sempre rachitico e in perenne attesa. Mentre deve accettare le possibili difficoltà, le ingiustizie, la dura legge del tempo, il lento stillicidio del quotidiano. Bisogna crescere come uomini e come cristiani dediti al servizio. c) Altro blocco interno è costituito da chi non accetta l'amore, lo teme, lo combatte come un pericolo. Si ripiega su se stesso e si coltiva astioso, insofferente, ironico. Un uomo di tal genere non è atto a nulla, non deve sposarsi, non deve dedicarsi ad alcuna professione-missione, e tanto meno alla vita consacrata. Prima deve guarire. Tutti i grandi uomini, le vocazioni riuscite, in ogni campo, sono persone con una grande capacità di amare, amare sempre, amare tutti senza distinzione. San Luigi Orione diceva di sé: ho un cuore senza confini. E la mia parabola continua: Una pianticella per crescere bene ha bisogno anche di incontrarsi con situazioni esterne favorevoli. Se tu la porti in cantina al freddo, al buio, senza aria, presto avvizzisce e muore. Se la lasci dove c'è poca luce e poco ossigeno, rimane rachitica; ma se la esponi alla luce del sole, all'ossigeno, cresce e attira 1' attenzione di tutti. Ora possiamo uscire dalla parabola e affermare che per lo sviluppo della vocazione, la luce e l'ossigeno sono in una sola parola la fiducia in te e in colui che pone il germe di ogni vocazione. Il dialogo. Il dialogo serve per approfondire e per educarci alla responsabilità e alla presa di coscienza di ogni situazione. Tuttavia se per te tutto risulta chiaro, lascialo. Se invece ci fosse qualche dubbio ancora, ecco alcune domande:


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1) - Tre sono gli elementi vocazionali: il seme, il suo lento crescere, lo sviluppo armonico e progressivo. Per l'esperienza da te raggiunta, quali ti sembrano maggiormente importanti? 2) - Ti pare che su questi tre elementi ci siano degli equivoci? 3) - Prova a rileggere i tre blocchi interni, verificare se qualcosa ci fosse anche in te e renderli noti al tuo padre spirituale, o a qualche persona di tua fiducia e competenza per risolverli. Hai qualche esperienza personale che possa essere condivisa e torni di aiuto a qualche tuo amico?


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LA VOCAZIONE E’ UNA VICENDA PERSONALE

Caro amico, il Signore vuole che ci incontriamo nuovamente per continuare la nostra riflessione sulla vocazione. Ormai questa parola non ti dovrebbe più spaventare perché ne conosci il significato. Nell'ultimo numero del Bollettino "LA MADONNA DELLA GUARDIA" Marzo 2002 pag. 14 ci eravamo lasciati con la dichiarazione che il fatto vocazionale non va ridotto a degli schemi troppo chiusi facendo così torto alla vita e alla sacra Scrittura. Per questo mi ero impegnato con te di esaminare la vicenda della chiamata in alcuni personaggi biblici come Abramo, Mosè, Samuele e altri. E dalla vicenda di questi personaggi cercare di conoscere il cammino che si sviluppa nella storia di ogni vocazione, dal suo nascere alla sua piena realizzazione. Il Papa Giovanni Paolo II, nel suo messaggio inviatoci per la 39° giornata delle vocazioni celebrata il 21 aprile u.s. ci proponeva questo tema: "LA VOCAZIONE ALLA SANTITA‟ ". Forte è l'annuncio di San Paolo nella lettera ai Romani 1,7 "A quanti sono in Roma, diletti da Dio e Santi per vocazione". Ebbene la santità è la meta di ogni credente secondo il Signore: cfr. Lev. 19,2: "Siate santi perché io, il Signore, sono santo". A questo punto mi pare di scorgere le tue perplessità; e forse qualcuno sarà tentato di interrompere la lettura di questa riflessione perché potrebbe sembrare un argomento troppo impegnativo. Mi permetto allora una piccola spiegazione. Santi per vocazione, cosa vuol dire? È la meta di ogni credente e significa appartenere totalmente a Dio. Siamo suoi. Da lui veniamo e a lui dobbiamo ritornare. È un cammino che lui ci propone, e lo fa in modo sempre personale rispettando culture, mentalità, capacità recettive e ambiente; e ci prepara ad una risposta. Devi pensare che anche la tua chiamata alla santità, qualunque sia il tuo momentaneo impegno è un cammino come quello dei grandi personaggi biblici. Anche tu sei chiamato a grandi cose, perciò voglio meditare con te sul modo di "chiamare" del Signore e sul particolare modo di "rispondere" da parte dell'uomo. E questo dovrebbe portarti a conoscere la tua vicenda vocazionale. Inoltre vorrei pregare con te perché ogni credente sia attento alla chiamata del Signore e vi corrisponda con coraggio. Fondamento e chiave di lettura di ogni vocazione è la Parola di Dio. Camminiamo insieme riflettendo. La parola in genere rivela l'io; cioè la comunicazione della prima persona, come qualcosa di me; e rivela il "Tu"; ossia è la parola come appellativa; chiama!!! Proseguiamo in forma schematica per non perderci in troppe argomentazioni. Prima funzione della Parola: a - La Parola è rivelatrice. C'è la Parola dl Dio: è la manifestazione di ciò che Dio è, di ciò che vuole dire di sé; e c'è la parola dell‟uomo che è manifestazione di ciò che l‟uomo è, di ciò che vuole dire di sé. Anch‟io parlando dico qualcosa di me. Seconda funzione: b - La parola è appellativa e creatrice. Suscita energie di vita: chiedi qualcosa a qualcuno; chiama, comanda. promette, giudica. Rom. 4,17 - "Dio chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono:". Terza funzione: c - La Parola di Dio è messaggio: proclamazione di una realtà. Perciò riassumendo e ordinando abbiamo: la parola comunicazione, la parola messaggio, la parola creatrice.


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La vocazione si colloca nel terzo di questi momenti. Cioè nella parola come appello - creazione - ; nella parola che stimola... che chiama, indicando una via da seguire; nella parola che si rivolge ad un "Tu ". Nella vocazione però vanno tenuti presenti tutti e tre gli aspetti: Dio chiama una persona, comunica qualcosa di sé, e propone un messaggio di salvezza. Perciò analizziamo la Parola di Dio come realtà, nel suo aspetto contenutistico, concreto seguendo San Giovanni, 1,1- "In principio era il Verbo". 1 - Primo significato di Parola di Dio: è la Parola come Verbo ossia come vita stessa, intima di Dio. 2 - La Parola è Gesù Cristo: il Verbo (vita intima di Dio) fattosi carne - ossia manifestazione storica e concreta. E ogni riferimento va fatto al “Verbum” – concreto – manifestato a noi. E Gesù Cristo è anche la Chiesa. Perciò se c'è una vocazione, esiste solo in rapporto a Lui. Non è possibile sentirsi chiamati da Dio a scoprire la propria vocazione senza una relazione reale con la Parola di Dio - cioè con la vita intima di Dio: Gesù. Ogni scelta vocazionale avviene all‟interno di una storia con Gesù Cristo; diversamente non è storia vocazionale, ma solo aggiustamento alle circostanze concrete. 3 - Parola di Dio sono anche le parole dette dai Profeti e dagli Apostoli. Queste parole infatti: - rivelano il piano di Dio, - sono autocomunicazione di Dio, - sono messaggio per l'uomo, - sono proclamazione del piano di salvezza, - sono ammonizione per l'uomo. 4 - È anche la parola dei cronisti, dei saggi; sempre in quanto parola di Dio. Ossia sono le parole che messe per iscritto formano quel complesso di libri che noi chiamiamo la Bibbia. La parola nella sua risonanza e dinamica, è quella del: 1 - Papa, concili, vescovi - ossia il magistero. 2 - a livello liturgico-sacramentale. 3 - a livello omiletico-catechistico. 4 - infine a livello dell'assimilazione personale, la meditazione. La parola di Dio risuona anche in ciascuno di noi – ed è proprio questo il punto di partenza per una analisi più intima e personale della vocazione. La parola di Dio ci tocca, è un seme posto nel cuore. E per la Vocazione c'è un fatto molto importante: il fatto vocazionale si sviluppa in un ambiente in cui la Parola di Dio si manifesta e risuona. Non basta una semplice attrattiva personale, un certo gusto, una qualche inclinazione, ma bisogna che tutto questo (che è pure importante e fondamentale) si nutra e si allarghi a tutte le risonanze della Parola di Dio nella Chiesa. Di qui l'importanza fondamentale per ogni comunità cristiana di essere luogo di vera risonanza della Parola di Dio. Altrimenti non può essere suscitatrice di vocazioni. Infatti non è possibile che una comunità maturi delle scelte vocazionali se non c'è tutto questo ritmo di risonanza della parola nelle varie forme. E tutto questo vale anche per la perseveranza della vocazione. Ogni comunità deve rendere la parola di Dio (nelle sue varie risonanze) attiva, dinamica, efficace.


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Tutto questo si inaridisce se nella Comunità dove si vive, non circola la Parola. E la dinamicità della Parola è discernimento, scelta, decisione. Mi spiego: Discernimento: che cosa devo fare? Scelta: che cosa mi propongo di fare? Decisione: la parola viene accolta come tale. È vocazione!!! A questo punto mi sorgono due difficoltà: a - La vocazione è un fatto molto personale. Infatti, in chi la vive, man mano che matura attraverso varie esperienze, essa diventa qualcosa che è parte integrante di se stessi. Per questo è difficile farne un‟analisi. Ad es.: poco volentieri si analizzano i costitutivi del nostro essere; perché siamo noi e basta. La vocazione è discernimento su ciò che noi siamo e perché lo siamo; perciò entra nel mistero dell' inafferrabile e si prova vero disagio a definirla. La vocazione ha molti fattori spontanei e personali che non si possono giustificare razionalmente e sono quei fattori che formano la persona. La nostra persona è ciò che noi siamo. La vocazione - quando è vissuta personalmente – è parte integrante di questa persona; perciò è difficile analizzarla e studiarla. E alla domanda: ha o non ha vocazione, è sempre difficile rispondere. Perché? Perché si ha a che fare con cose che non si vedono e non si contano. Ma è la persona stessa che è posta in questione, e la persona in fondo è incomunicabile. La realtà di una persona è ciò che si è: è una identità, e la vocazione appartiene a queste realtà personali. E quando si parla di queste realtà c'è il pericolo di svilire e banalizzare il problema. Ecco il disagio che provo. b - La seconda difficoltà si può definire "analogia delle vocazioni ". Abbiamo in mente un modello ben riuscito e siamo tentati di riferirle tutte a questo modello. Le vocazioni, in qualche modo, sono tutte diverse. Ognuna è un caso a sé; è una storia: è una vicenda personale. Ora è mai possibile fare delle persone un sistema, una teoria? Si rischia di generalizzare esperienze personalissime e singolarissime, anzi si può correre il rischio di fissarsi su certi schemi e impedirsi la vera conoscenza del singolo, del concreto; e automaticamente si diventa incapaci di capire questa o quella persona, preoccupati di inquadrare tutto in una serie di concetti sistematici nel voler cogliere qualcosa di quella che è la vicenda singolarissima di ognuno con Dio, della nostra vocazione... Mi permetterei di metterti in guardia da questo spirito di sistema. Questa analogia delle vocazioni si ha anche nelle vocazioni bibliche, pur essendo nella Bibbia racconti tipici di vocazione: Abramo, Mosè, Isaia, Samuele, Geremia, la Madonna, gli Apostoli, Gesù stesso. Ma se si volesse parlarne in termini sistematici cercando delle costanti per farne poi un quadro rigido, si correrebbe il rischio di non tener conto delle varie persone e dei contesti diversissimi in cui si realizzano. E così facendo non potrei mai dire di aver capito la vicenda particolare che io, o un altro, viviamo, oggi, nella Chiesa. Ognuno di noi è una pagina di storia diversa l'uno dall'altro; e tutto va verificato con la vita e nella vita. Altrimenti rimangono gli schemi che ci chiudono gli occhi sulla libertà di Dio con ciascuno di noi e con la Chiesa. Resta chiaro che fonte di vocazione è la Sacra Scrittura, e ogni


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vocazione va inquadrata nel tema più ampio e comprensivo della Parola di Dio. E possiamo anche dire che la vocazione è un'espressione della Parola di Dio. Sempre quindi, la Parola di Dio, nella storia si è fatta chiamata, vocazione. Ed ecco le tappe per ulteriori riflessioni: 1 - La Parola di Dio, si fa, per alcuni, chiamata, vocazione. 2 - La chiamata nella storia biblica della salvezza. 3 - La chiamata di Dio nell'itinerario cristiano odierno della salvezza. Questa volta mi avvierei alla conclusione in questo modo; ti propongo alcune domande: - Ti pare interessante l'argomento? - Ti sembra troppo difficile, troppo impegnativo, irraggiungibile? - Vuoi suggerirmi un modo più semplice? Sono sempre in attesa di un riscontro.


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OGNI VOCAZIONE E’ SERVIZIO

Caro amico il nostro discorso dovrebbe approfondirsi sempre più e prendere la dimensione di un discorso che esamina la realtà che sta attorno a noi e ci coinvolge. So bene che accennando a troppe cose, c'è il pericolo di sfiorarle e passare qua e là come fanciullo che corre in cerca di farfalle senza mai fermarsi e concretizzare qualcosa. Per questo vorrei riflettere con te e offrirti l'occasione di sviluppare il tuo dialogo anche con altri, cercando di approfondire insieme i molti quesiti che emergono da questa catechesi. Con tale spirito e nella certezza di averti sempre come amico attento e intelligente mi accingo a sviluppare il tema proposto, e come accennavo nell'ultimo articolo del mese di agosto partiamo sempre dalla parola di Dio che ci coinvolge personalmente. Riprendo il titolo: OGNI VOCAZIONE È SERVIZIO e mi spiego. Il termine "servire" nel nostro linguaggio corrente indica la dipendenza da uno che sta sopra; mentre nel linguaggio biblico indica il rapporto che lega gli nomini a Dio. Il rapporto con Dio si esprime nelle pratiche religiose e di culto del popolo e dei singoli Israeliti verso il Signore. Perché questo? Perché Dio si manifesta al suo popolo tramite la legge del patto e le molte rivelazioni, e li vuole uniti a sé. "Chi fa la volontà del Signore, questi è servo del Signore". Per fare la volontà del Signore bisogna conoscerla, e per conoscerla bisogna che lui la manifesti. Ma Dio non si manifesta a tutti allo stesso modo. E questo atteggiamento di Dio indica già una particolare scelta o chiamata. Is. 41,8-10: "... Ma tu Israele mio servo... sei tu che io ho chiamato dalle regioni più lontane e ti ho detto: mio servo sei tu... non temere che io sono con te; non smarrirti, perché io sono il tuo Dio. Ti rendo forte e anche ti vengo in aiuto...". Da queste parole emergono tre aspetti fondamentali: • Dio sceglie e affida un compito preciso. • Lo dichiara suo servo o collaboratore. • Servire equivale guadagnare gli altri a Dio. 1 - Dio sceglie Israele per servire le genti Queste parole di Isaia mettono in risalto lo stretto rapporto che c'è fra chiamata (o vocazione) e servizio. Dio chiama perché si serva; ossia ci si metta a sua disposizione per attuare il progetto di salvezza che non è mai individualistico, ma comunitario. Perciò ogni chiamata è per il bene di tutti e comincia con Israele, che è chiamato per rendere testimonianza in mezzo alle genti. Anzi, sia nell'Antico Testamento come nel Nuovo Testamento ogni vocazione è una vera ammissione al servizio di Dio e dei fratelli con lo scopo di aiutarli ad inserirsi nel disegno di salvezza; così è per Abramo. A lui Dio si riferirà sempre, e parlando a Giacobbe dirà: "lo sono il Dio di Abramo, tuo Padre; e moltiplicherò la tua discendenza per amore di Abramo mio servo" (Gen. 26,24). Ancora una volta possiamo sottolineare che lo stesso linguaggio biblico unisce insieme "chiamata" e "servizio". Ma ciò viene dimostrato anche dalla storia stessa di Abramo che dimostra lo stretto rapporto fra queste due realtà. "Il Signore disse ad Abramo (coincidenza con le migrazioni, Dio si adatta alla sua mentalità) vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò; renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione (l'insieme di beni che secondo il piano di Dio doveva esserlo Adamo). Benedirò coloro che ti benediranno (cioè li renderò partecipi di questi


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beni) e coloro che malediranno, maledirò (saranno esclusi da questi beni); e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra..." (Gen. 12,1-4). Qui ci sono tutti gli elementi che costituiscono una vocazione vera e propria: Chiamata, affidamento di una missione e risposta. a) Chiama. Dio irrompe nella storia di un uomo cambiando direzione, piani e contenuti alla propria vita. Dio chiama e sradica dall'ambiente dal modo di pensare e trasferisce in un altro mondo. Toglie da un paese e ne fa trovare uno nuovo. Non ci sequestra solo per sé, anche perché Dio non è mai solo, ma sempre con il suo progetto di amore che coinvolge tutti gli uomini. b) Affida una missione e attende la risposta. "Abramo partì come gli aveva ordinato il Signore". Questa risposta è basata unicamente sulla fede. Ma poi siccome la chiamata è seguita da tanti successivi appelli che perfezionano il primo, si perfeziona sempre anche l‟atto di fede. E così diventa un atteggiamento di fede, una vita di fede, che costituisce in lui una disposizione spirituale per cui diventa “servo”. 2 - Il Signore lo dichiara suo servo Senza mai discostarci dal linguaggio biblico dobbiamo tenere presente che il servo del Signore è modello di immolazione di se stessi per gli altri. Inizia con Abramo e accanto a lui ci sono altri esempi: Mosè, Davide, Isaia, Geremia, ecc... fino ad arrivare ad una misteriosa figura che viene chiamata proprio da Isaia: "Il servo di YAHWE‟". Questo servo viene poi identificato con Gesù stesso che il Padre ha mandato per fare la sua volontà. Qui troviamo l'unione fra la chiamata e la totale disponibilità di servizio a Dio e agli uomini. Il servizio diventa assai duro, arriva al sacrificio estremo per la salvezza di tutti. Diventa una vocazione di salvezza che ci viene rivelata nei quattro carmi del servo di YAHWE' (Carmi perché espressi con un genere letterario elegante, poetico). Seguiamo lo sviluppo: 1° CARME - Is. 42, 6-8 “Ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre. Io sono il Signore ". Qui si evidenzia il rapporto fra chiamata e attuazione del disegno di Dio, che è poi un disegno di salvezza non solo per Israele ma per tutte le nazioni, alle quali deve portare la luce della fede e dell'amore. Chiamata e servizio nel 2° carme 2° CARME - Is. 49, 1-3 "Ascoltatemi o Israele... udite nazioni lontane: il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome; ha reso la mia bocca come spada... Mi ha detto: mio servo sei tu, o Israele, sul quale manifesterò la mia gioia". In questo secondo carme viene evidenziato che il servo deve essere strumento dolcissimo nelle mani del Signore. Incontrerà difficoltà ma avrà sicurezza perché la sua missione è voluta da Dio. Nessuna vocazione è facile, perché esige il totale inserimento nel progetto di Dio e il distacco dalle nostre chiusure e punti di vista. Difficoltà e sofferenze accompagnano ogni vocazione. 3° CARME - Is. 50, 5-6 "Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba ". 53, 3: "Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo di dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo stima". Il terzo carme mette in evidenza la fecondità della sofferenza e della morte stessa, come strumento di redenzione per gli altri. 4° CARME - Is. 53, 11-12 "Il giusto mio servo giustificherà molti ed egli si addosserà le loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini".


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A conclusione di questa profezia appare chiaro che ogni vocazione è a favore di altri, e in ultima analisi, ha una finalità di redenzione. La Chiesa, in queste pagine, vede descritta in anticipo l'opera del Signore Gesù. E l'evangelista Giovanni sottolinea che Gesù è stato mandato dal Padre per compiere la sua volontà che riguarda esclusivamente la sua gloria e la salvezza degli uomini. Dirà infatti, Gv. 17,1-5 : "Glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi Te". "Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l'opera che mi ha dato da fare". 3 - Servire equivale mettersi nei panni degli altri per guadagnare gli altri a Dio San Paolo pare sia l'esempio più luminoso di una chiamata ed una risposta piena, al totale servizio di Dio e dei fratelli. E ci fa vedere come ogni vocazione è un convertirci a Dio. Non importa il punto di partenza da cui ci muoviamo: dalla non fede, o da una certa qual fede, come era quella giudaica professata da Paolo. Ciò che importa è il traguardo a cui Dio chiama; e questo è sempre una realtà che ci sta davanti, a cui Dio ci spinge e alla quale dobbiamo convertirci. Tutto questo lo troviamo nella storia della sua vocazione. Atti 9,1-8; 22,5-16; 26,9-18. Sunteggio ed evidenzio per facilitarti la comprensione. In lui avviene qualcosa di sconvolgente e di nuovo, anche fisicamente. In Paolo siamo davanti ad una vocazione che non si esaurisce nel primo appello, ma verrà perfezionata da tanti avvenimenti successivi, fatti direttamente da Dio. Si tratta di una vocazione in crescita, ecco il dinamismo della vocazione. E in tutto l'arco della sua vocazione troviamo la sofferenza e il martirio uniti quotidianamente; e sono questi due aspetti della sua vocazione che danno il senso pieno alla caratteristica principale della vocazione che è il servizio e che diventerà redenzione. Il servizio è concepito da Paolo in questo modo: sapersi mettere nelle mani degli altri, sì da assumere gli stili di vita, le abitudini, la cultura, la sensibilità, per guadagnarli a Cristo. Infatti nella 1 Cor. 9, 19-23 dice: • essendo libero, mi sono fatto servo di tutti... Giudeo con i Giudei... • debole con i deboli... • mi sono fatto tutto a tutti, per salvare qualcuno. Ed ora possiamo impostare un bel dialogo, io con te e tu con i tuoi amici. Che cosa sono disposto o mi decido a fare per gli altri? Quanto mi dono per salvare gli altri? A che cosa mi sento chiamato? Infatti anch'io sono un chiamato, e il mio "sì" quotidiano diventa vocazione vissuta. Questo è il dinamismo richiesto per essere collaboratori del Signore. Te la senti? Vuoi essere aiutato a dare una risposta? Sono a tua disposizione.


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La CHIAMATA NELLA STORIA BIBLICA DELLA SALVEZZA Caro amico, anche se resti invisibile e personalmente non ti conosco, dal momento che mi leggi, ti considero tale. So con certezza, che non a tutti interesserà 1' argomento perché, oggi, ci sono molto sussidi, ed è già stato trattato da studiosi e grandi personaggi, ma il mio scopo è di poter raggiungere gli ultimi, quelli rimasti per strada, perché i grandi personaggi avendo trattato 1' argomento in maniera magistrale si sono preoccupati di fornire studi a livello esegetico. Non è questo il mio scopo, perciò il mio modo di esprimermi sarà sempre molto elementare, vorrei arrivare dove le grandi cose non arrivano e le parole tecniche sono usate solo tra gli uomini di scienza. Premesso questo vorrei introdurmi con un passo della lettera agli Efesini: "Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti... È Lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo..." (Ef 4,4-6; I1-12). Da queste parole di san Paolo possiamo capire come il Signore arrivi ai singoli, e come provveda per ognuno la propria missione. Naturalmente prima di introdurci a meditare sulla vocazione di Abramo vorrei dire che è difficile trattare 1' argomento in forma sistematica perché si tratta di un fatto strettamente personale e analogo che appare nella Bibbia e nella Chiesa in forme sempre diverse e non è facile metterle in un quadro unico, per ciò che hanno in comune, ma anche in ciò che hanno di diverso. Idealmente questa storia dovrebbe essere continua se esaminiamo per esempio Abramo, Mosè, Geremia, Paolo; e dovrebbe essere continua esaminando pure sant'Agostino, san Benedetto, sant'Antonio Abate, san Francesco, fino a giungere alle biografie più recenti: don Bosco, don Orione, P. Pio, madre Teresa ecc... per giungere alla storia della mia vocazione sacerdotale a quella dei miei genitori e fratelli che è una vocazione matrimoniale, per giungere alla tua storia vocazionale. Che ne pensi? Che cosa stai progettando? Come pensi di impegnare la tua vita? È solo così che si può fare una certa analisi storica che ci permette di rilevare le coerenze, le continuità e le diversità. Per questo vorrei fare una analisi della chiamata nel quadro biblico per arrivare poi ad una analisi su tutte le volte che una proposta vocazionale ci si presenti. Ebbene il primo materiale vocazionale siamo noi, e l'autobiografia può essere il primo metodo di analisi e di ricerca. Incontriamoci nella lettura della vicenda di Abramo. E la prima domanda è ovvia: La vicenda di Abramo è veramente una vicenda di chiamata? E più propriamente: • La vocazione è per pochi, per molti o per tutti? • La vocazione è per un determinato periodo o per sempre? • La vocazione è per uno scopo ben preciso o per una determinazione generica? • La vocazione è un invito o un obbligo?


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Va tenuto presente che in questa materia (chiamata o vocazione) nulla è semplice e sistematico, ma come la vita, è complessa e ricca. Non analizziamo tutti i testi, ma meditiamo complessivamente sottolineando alcuni aspetti che cogliamo qua e là. 1 - È veramente una vicenda di chiamata? (Da Gen. 11,27 a 25,11). Si parla sempre di chiamata di Abramo. Ma dov'è narrata? O è forse una nostra riflessione? Il Nuovo Testamento ordinariamente non ci presenta la vicenda di Abramo sotto una specifica categoria di chiamata. Per qualificare il ciclo di Abramo usa altre categorie: una di queste è, per esempio, quella del giuramento o della promessa. 1. "Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza. del giuramento fatto ad Abramo nostro padre..." (Lc. 1,72-73). 2. "Mentre si avvicinava il tempo della promessa fatta da Dio ad Abramo, il popolo crebbe e si moltiplicò in Egitto" (Atti 7,17). 3. "Appunto ad Abramo e alla sua discendenza furono fatte le promesse" (Gal. 3,16). Questi tre testi sottolineano 1'iniziativa divina: Dio giura, Dio promette. In Atti 7,2 : - Dio si manifesta In Gal. 3,6-7 : - - Dio richiede la fede. In Ebrei 11, 17-19 - Sottolinea la tentazione o prova per verificare la fede. Questi sono alcuni aspetti. C'è però un versetto - Ebrei 11,8: "Per fede Abramo, chiamato da Dio. obbedì, partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava” - che ci permette di leggerlo dal punto di vista della chiamata: chiamata ad obbedire e a partire. Mentre nell'Antico Testamento la vicenda di Abramo non è posta sotto il segno della chiamata. Infatti il verbo chiamare si trova per la prima volta nei Carmi del servo di Jahvé. "Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni ". Is. 42,6 Perciò questa vicenda di Abramo è sotto il segno della Parola di Dio. E per parlare di vocazione nella vicenda di Abramo dobbiamo riferirci al tema della parola di Dio come categoria fondamentale: "Parola" col significato imperativo, suscitatore di energie. 2 - Da dove è chiamato Abramo? Gen. 12,1 - " Il Signore disse ad Abramo: - Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò – “ Sono enumerate tre cose: 1 - il paese (una geografica); 2 - la patria (una culturale); 3 - la casa (un luogo); da cui Abramo viene tolto.


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E non gli chiede un aspetto, ma l'insieme della vita vissuta fino ad allora. Lo chiama da una situazione personale. Abramo non ha terra né figli. Gli domanda di rinunciare a ciò che possiede: cose, paese, patria, casa di suo padre; e gli offre ciò che non possiede: terra, figli: cose che lui non può sperare. E Abramo si avvia verso una speranza che umanamente non avrebbe. 3 - Da chi è chiamato Abramo? Ci troviamo di fronte alla sorpresa della prima vocazione: Abramo è esempio della vocazione in partenza. Tutte le altre si riferiscono a lui. Anche per Mosé dirà: Io sono il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe. In Abramo Dio è l'inizio di un rapporto nuovo. In lui non si riferisce al passato. C'era un precedente senza dubbio: Abramo doveva avere una conoscenza religiosa. 4 - A che cosa è chiamato Abramo? - Gen. 12 Sono le due realtà oggettive in cui si specifica la chiamata di Abramo: Figli, e Terra. Ma resta ancora molto vaga: Quale terra? Quale popolo? Tutto viene concretizzato in un aspetto soggettivo della chiamata, ed è il credere, è l‟affidarsi. Abramo è chiamato a due cose: - il popolo - la terra e soggettivamente, come persona è chiamato ad affidarsi, a sperare, perché la terra non si vede, e il figlio non nasceva e tuttavia crede e si affida. 5 - Specificità della vocazione di Abramo e caratteristiche di questa vocazione: a. È singolarissima - rivolta ad una persona in funzione di un popolo. Gen. 12,3 - "Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione". La parola è rivolta a lui, ma Abramo è chiamato per molti. Così in ogni vocazione c'è un rapporto tra singolarità e universalità. Dio dice: "Tu sei il chiamato per una moltitudine, per tutti!". b. La seconda caratteristica: è il carattere generico. Dio gli chiede di camminare e di attendere. Mentre Mosé avrà una missione specifica, Abramo no! Per questo nel N.T. si vede in lui l'incarnazione della fede. Gli viene chiesto non di fare qualcosa, ma solo di fidarsi. c. Terza caratteristica: la sua chiamata è un invito o un obbligo? E per chiarire meglio ci facciamo una domanda: che cosa sarebbe accaduto se non si fosse mosso? E che cosa non sarebbe avvenuto? Non ci sarebbe stato l'inizio di un popolo. È importante. Dio non minaccia alcun castigo ad Abramo se non parte. Però gli prospetta il suo avvenire: popolo, terra, oppure solitudine!


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Mentre altre volte e in altre circostanze abbiamo dei testi obbliganti - es.: al Sinai: "Scegli la vita o la morte!". Però Abramo viene responsabilizzato sul suo futuro e sul popolo. Non c'è un precetto, ma una parola di Dio che gli propone un avvenire e lo lega al destino degli altri. d. Ultimo aspetto: rottura con il passato. Una domanda. Abramo potrebbe tornare indietro? Non sarebbe successo niente? Anche in altre situazioni si può vedere dalla Bibbia che per altri profeti pare possibile il ritorno alla situazione primitiva. Anche gli Apostoli... dopo la morte e la risurrezione di Gesù ritornarono al loro antico mestiere. In Abramo invece scompare il passato! In realtà non può tornare indietro. Poteva tornare, ma la vicenda lo sospinge verso cose nuove. Termino con qualche domanda: 1. Vi sono figure ecclesiali che maggiormente si avvicinano alla vicenda di Abramo? Mi pare Charles de Foucauld. 2. Vi sono casi della vita ecclesiale o nostra in cui appaiono le caratteristiche di Abramo? Abitualmente la vicenda vocazionale è sempre strettamente inserita in una comunità e vive in essa. Abramo è un caso limite, non nasce in nessuna comunità, anzi, nasce proprio dalla uscita da una comunità già esistente. Caro amico vuoi riflettere attentamente su questa occasione che il Signore ti offre? Vuoi provare a scrivere qualcosa di te e poi rileggerlo per scoprire le caratteristiche della tua vocazione? Ti lascio alla lettura, alla riflessione e mi dichiaro sempre a tua disposizione.


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MOSE’ - I TEMPI DI UNA VOCAZIONE

Caro amico, se la lettura dì queste pagine desta qualche interesse anche in te, cerca di comunicare i tuoi sentimenti a persone di tua fiducia. Non chiuderti in te stesso, non dire: è bello! E poi scrollarti di dosso ogni impegno perché ogni reazione buona è guidata dallo Spirito che è in te, e non è una mozione inutile. Tutto ciò che di bene avviene in noi, secondo i piani di Dio ha uno scopo altissimo. Forse il Signore vuole che tu ti prefigga degli ideali per farti uscire dalle tue chiusure. Tu sai bene che quanto più alto e nobile è il tuo ideale, tanto più ti sentirai stimolato a scoprire le tue potenzialità. Non dovrai precorrere i tempi, ma pazientemente attendere che il Signore si riveli a te, e non tarderà. I tempi del Signore non sono i nostri tempi. Per questo ti propongo la figura di Mosè perché tu possa considerare attentamente e serenamente i tempi di una vocazione. Naturalmente non ho intenzione di forzare i tuoi tempi, ma vorrei offrirti l'occasione di verificare il modo di agire rispettoso e santo del Signore anche nei tuoi confronti. La vicenda di Mosè è assai complessa. La sua vita può essere divisa in tre momenti. Così viene presentata anche in Atti 7,20 - 40. Ecco la chiave di lettura: Mosè - una vocazione a tappe. La parola vocazione, in Mosè, potrebbe sembrare parola di Dio ad un uomo, detta tutta intera, chiara e subito; mentre noi sappiamo che in altre persone questa parola si chiarifica progressivamente e dopo un lungo cammino. Mosè è il prototipo di questo cammino. Dopo molte esperienze riesce a capire che cosa Dio vuole da lui. Abramo invece fin dall'inizio ha chiaro lo scopo della sua vocazione: partire. In Mosè ci sono tre tappe. In queste tappe fa anche degli sbagli; fa delle esperienze dalle quali deve tornare indietro. Finché capisce qual'è la sua vocazione. Leggiamo: Atti 7,20 - 40 "In quel tempo nacque Mosè e piacque a Dio; egli fu allevato per tre mesi nella casa paterna, poi, essendo stato esposto, lo raccolse la figlia del Faraone e lo allevò come figlio. Così Mosè venne istruito in tutta la sapienza degli Egiziani ed era potente nelle parole e nelle opere. Quando stava per compiere i quarant'anni, gli venne l'idea di far visita ai suoi fratelli, i figli di Israele, e vedendone uno trattato ingiustamente, ne prese le difese e vendicò l‟oppresso, uccidendo l‟Egiziano. Egli pensava che i suoi connazionali avrebbero capito che Dio dava loro salvezza per mezzo suo, ma essi non compresero. Il giorno dopo si presentò in mezzo a loro mentre stavano litigando e si adoperò per metterli d‟accordo, dicendo: “Siete fratelli, perché vi insultate l‟un l‟altro? Ma quello che maltrattava il vicino, lo respinse dicendo: “Chi ti ha nominato giudice o capo sopra di noi? Vuoi forse uccidermi, come hai ucciso ieri l‟Egiziano?”. Fuggì via Mosè a queste parole, e andò ad abitare nella terra di Madian, dive ebbe due figli. Passati quarant‟anni, gli apparve nel deserto del monte Sinai un angelo, in mezzo alla fiamma di un roveto ardente. Mosè rimase stupito di questa visione; e mentre si avvicinava per veder meglio, si udì la voce del Signore: Io sono il Dio dei tuoi padri, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”.


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Esterrefatto Mosè non osava guardare. Allora il Signore gli disse: “Togliti i calzari, perché il luogo in cui stai è terra santa. Ho visto l‟afflizione del mio popolo in Egitto, ho udito il loro gemito e sono sceso a liberarli; ed ora vieni che ti mando in Egitto. Questo Mosè che avevano rinnegato dicendo: Chi ti ha nominato capo e giudice?, proprio lui Dio aveva mandato per essere capo e liberatore, parlando per mezzo dell‟angelo che gli era apparso nel roveto. Egli li fece uscire, compiendo miracoli e prodigi nella terra d‟Egitto, nel Mar Rosso, e nel deserto per quarant‟anni. Egli è quel Mosè che disse ai figli di Israele: “Dio vi farà sorgere un profeta tra i vostri fratelli, al pari di me”. Egli è colui che, mentre erano radunati nel deserto, fu mediatore tra l‟angelo che gli parlava sul monte Sinai e i nostri padri; egli ricevette parole di vita da trasmettere a noi. Ma i nostri padri non vollero dargli ascolto, lo respinsero e si volsero in cuor loro verso l‟Egitto, dicendo ad Aronne: “Fa per noi una divinità che ci vada innanzi, perché a questo Mosè che ci condusse fuori dall‟Egitto non sappiamo che cosa sia accaduto”. Questo testo si può dividere in tre parti: 1 - vv. 20-22 = educazione di Mosè; 2 - vv. 23-29 = generosità e delusione di Mosè; 3 - vv. 30-40 = scoperta della propria vocazione. 1 - Educazione di Mosè - vv. 20-22 Caratteristica di questi 40 anni è una formazione raffinata. Il testo dice: divenne potente nelle parole e nelle opere. San Luca dirà lo stesso parlando di Gesù. Lo stesso si dice dei chiamati a seguire Cristo. Dal punto di vista esteriore si può dire che Mosè ha tutto. Ma non ha ancora niente per il suo popolo. Ma si prepara. E‟ il periodo formativo. Tuttavia un vero contatto con la vita non è ancora realizzato. L‟aspetto positivo di questo periodo è l‟arricchimento di tante possibilità. Lo svantaggio di questa situazione iniziale è un carente contatto con la realtà così com‟è. E ci può essere il rischio dello squilibrio fra la preparazione ottima e successi o difficoltà solo apparenti. C'è quindi il rischio di non venire a contatto con le persone ma con ciò che si pensa delle persone. Questo aspetto immaginativo può spingersi addirittura a perdere il contatto con ciò che noi stessi siamo. E ad averlo solo con le immagini che di noi stessi ci siamo fatte. Mosè - come tutti noi - vive questo momento formativo. 2 - Generosità e delusione di Mosè - vv 23-29 In questo secondo periodo, Mosè ha il desiderio di rendersi conto di come stanno le cose. Gli venne l'idea di fare visita ai suoi fratelli. E si rese conto della differenza che c'è fra la realtà e l'immagine che lui si era fatta. E tutto viene meno; è scoraggiato, fugge via. La sua vocazione è giunta ad un momento di prova e lui non ha saputo resistere. Tutta la sua preparazione non ha funzionato. Fugge in terra straniera. Il che equivale quasi a cessare di vivere come essere umano. Per i Semiti un essere umano ha vita solo quando è in comunione con i suoi: fuori dalla famiglia, dagli amici, non è più nessuno; nessuno si impegna a difenderlo, tutti lo vogliono sfruttare; non ha più quasi diritto all'esistenza - ricorda il figlio al prodigo. Mosè si chiude in se stesso, si ritira a vita privata, ha chiuso con i problemi degli altri. 3 - Scoperta della propria vocazione - w 30-40


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In questo terzo momento viene sottolineato che Mosè non ha avuto paura di chiedersi il perché della sofferenza e gradatamente si purifica; entra in una situazione di vigilanza e di attesa. Si purifica dalla fiducia cieca nei propri metodi, e in tutto ciò che aveva imparato e progettato. Comincia a capire che non è sufficiente dire una parola perché gli altri ci seguano; ma guidare gli altri è estremamente più complesso. Bisogna fare il conto con ciò che gli altri sono e non con ciò che io penso che gli altri siano. Confronta la sua figura con quella di altri! Ricorda Elia ad esempio 1 Re 18, 4 ss. È un altro esempio di un uomo buttato a terra (1 Re 19, 3-4) sfiancato da una realtà che non ha saputo affrontare. Dio prova le vocazioni facendole passare per la via dell'insuccesso. Così Mosè scopre di non poter fare molto con le proprie forze; e quando scopre ciò, allora è preparato per ricevere la vocazione e la missione. Sarà poi tutta la sua vita e la sua missione una dimostrazione chiara che nulla farà mai con le sole sue forze, ma sarà sempre Dio che interviene. Proprio mentre pensava che quel luogo - il deserto - era il luogo d'esilio, dove nessuno si ricordava di lui, qui c'è qualcuno che lo conosce. Tutto è diverso da come lui credeva. Si accorge di aver sbagliato, di non aver fatto bene i suoi calcoli. Allora si sente dire: Tu devi andare; io ti mando! Credeva di essere lui, l'unico a capire il suo popolo, ora invece capisce che è Dio che ha visto tutto. Mosè capisce una cosa che è fondamentale per ogni vocazione divina: la chiamata è iniziativa di Dio! E Mosè è solo strumento. Ecco la fatica di Mosè: è passato attraverso l'amarezza e la disillusione per capire che è Jahvé il DIO dell'iniziativa salvifica. Qui pare che si possa cogliere la progressione della vocazione. Ossia la progressiva presa di coscienza. L'oggetto della sua vocazione pare chiaro: il popolo deve essere liberato dalla schiavitù. Però resta da chiarire: È una attività di Dio e Mosè è strumento? Oppure una attività personale di Mosè? Nel primo caso sarebbe vocazione divina! Pare sia qui il punto centrale: è l'iniziativa divina che permea tutto, che tutto trasforma. Considerazioni semplici, chiare, brevi ci fanno capire che anche nella chiesa ci sono figure che sono giunte solo gradualmente alla comprensione chiara della vocazione divina. Ad es. S. Ignazio di Lojola; S. Camillo de Lellis; II nostro San Luigi Orione: frate - salesiano - seminarista - religioso e fondatore. Si potrebbe affermare che in queste anime, la progressione di conoscenza della chiamata divina, sia una costante, cioè un modo abituale di agire di Dio. A proposito di don Orione mi piace farti conoscere qualche sua riflessione per dimostrarti come il Signore abbia agito lentamente anche in lui. Lo scritto risale al 17 Gennaio 1900. Don Orione ha 28 anni ed è agli inizi della fondazione della sua Congregazione e vuole capire a fondo che cosa il Signore voglia da lui. O Signore, a te che vegli apro il mio cuore


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a te espongo pensieri ed affetti. Oggi ero molto afflitto, o mio Dio, e mi pareva di non poter proprio più tirare avanti; adesso invece i dolori non mi turbano più, e sono contento di partire. Fa' che da ogni ferita che mi trafigge l'anima esca la gran voce del mio cuore: ti amo, o Gesù mio, ti amo! Dimmi una parola, Signore, che mi additi il sentiero nel quale tu vuoi che io cammini. Illuminami, Signore, perché le tenebre si addensano intorno a me: e io risponderò che ti amo! Quanto è dolce aprire il mio cuore davanti a Gesù, e potergli far vedere che è pieno di affanni e di lacrime e che tutti sono dolci, segno di un grande amore .... e lui è lì che guarda; guardami bene o Gesù. Ah tu sai tutto ....e io ti capisco. Ma ti vorrei dire ancora una cosa che ho sempre timore di non averti mai detto bene: Gesù, ti amo e ti amo. Così è stato con i grandi personaggi della Bibbia, e ti può tornare utile una rilettura del cammino di Mosè, e se questo ti può sembrare troppo lontano e difficile, non potrebbe esserti più vicino il cammino di don Orione? Perciò concluderei questa riflessione con due domande: 1 - Che cosa è dunque Mosè? È un servitore del popolo! 2 - E' un invito o un obbligo la vicenda di Mosè? Pare si possa dire che la missione accettata (perché ci troviamo di fronte a questo fatto e non possiamo fantasticare) è un rischio tale che prende tutta la persona e non può essere accolta senza timore e trepidazione. Ricordati che nella vita vale la pena rischiare; anzi, a volte, per fare un po' di bene potrebbe essere necessaria un po' di sana temerarietà. Con il Signore non si sbaglia mai.


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MOSE’ IL SERVO DI DIO

Caro amico mi piace riprendere la figura di Mosè per coinvolgerti nel problema della vocazione e offrirti una domanda: A che cosa è stato chiamato Mosè? naturalmente considerando la sua vicenda come vocazione. Mi pare tuttavia che con Abramo una simile domanda ci porterebbe ad una risposta generica: non era chiamato a far nulla di speciale; gli era stato chiesto di fidarsi di Dio. E per Mosè? A CHE COSA È STATO CHIAMATO? Per Mosè la cosa è diversa; pare sia stato chiamato a liberare il suo popolo dalla schiavitù d'Egitto. Es. 3,16-20: "Va'! Riunisci gli anziani d'Israele e di' loro: Il Signore, Dio dei vostri padri, mi è apparso, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, dicendo: Sono venuto a vedere voi e ciò che vien fatto a voi in Egitto. E ho detto: Vi farò uscire dall'umiliazione dell'Egitto verso il paese del Cananeo, dello Hittita, dell'Amorreo, del Perizzita, dell'Eveo, del Gebuseo, verso un paese dove scorre latte e miele. Essi ascolteranno la tua voce e tu e gli anziani d'Israele andrete dal re di Egitto e gli riferirete: Il Signore, il Dio degli Ebrei si è presentato a noi. Ci sia permesso di andare nel deserto a tre giorni di cammino, per fare un sacrificio al Signore nostro Dio. Io so che il re di Egitto non vi permetterà di partire, se non con l'intervento di una mano forte. Stenderò dunque la mano e colpirò l'Egitto con tutti i prodigi che opererò in mezzo ad esso, dopo egli vi lascerà andare". Riflettendo più attentamente ci accorgiamo che non sempre la cosa viene rievocata così. In certi passi della Bibbia la vicenda dell'uscita dall'Egitto non la si attribuisce a Mosè, ma è Dio che ha fatto uscire il suo popolo dall'Egitto. Sal. 136, 10-14: Percorse l'Egitto nei suoi primogeniti: eterna è la sua misericordia. Da loro liberò Israele: eterna la sua misericordia; con mano potente e braccio teso: eterna è la sua misericordia. Divise il Mar Rosso in due parti: eterna è la sua misericordia. In mezzo fece passare Israele: eterna è la sua misericordia. Così pure in Es.19,3-4: "Mosè salì verso Dio e il Signore lo chiamò dal monte dicendo: Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire a me". Anche la festa di Pasqua nel suo rituale, non menziona quasi mai la figura di Mosè; è sempre l'azione di Dio che viene posta al centro. Ora se tutto è attribuito a Dio come possiamo riassumere la missione di Mosè e qual'è l'oggetto della sua missione? San Gregorio Nisseno dice: "ha servito e così, perché ha servito il Signore, sappiamo che egli fu ritenuto degno per le sue azioni". Partendo da questa intuizione di san Gregorio Nisseno ci possiamo interrogare sul contenuto del servizio di Mosè.


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Se leggiamo l'esodo alla luce di questo servizio vi troviamo anche le diverse forme di diaconia cristiana a cui è chiamato il credente come tale. In Esodo 15 e 16 ci sono presentati i vari servizi che Mosè ha reso al suo popolo: ne evidenziamo cinque. II suo primo servizio in ordine logico e cronologico è quello dell'acqua e del pane. In Es. 15,22-24 si dice: "Mosè fece levare l'accampamento di Israele dal Mare Rosso ed essi avanzarono verso il deserto di Sur. Camminarono tre giorni nel deserto e non trovarono acqua. Arrivarono a Mara, ma non potevano bere le acque di Mara perché erano amare. Per questo erano chiamate Mara. Allora il popolo mormorò contro Mosè: Che berremo?". Per poter guidare il popolo deve tener conto delle sue necessità. Capisce che la gente prima di avere aspirazioni sublimi ha delle necessità molto più elementari. Perciò nel cap. 15 è alle prese con il problema dell'acqua e al cap. 16 è alle prese con il pane e la carne. Il secondo servizio è quello della responsabilità. Dt. 1,12: "Ma come posso io da solo portare il vostro peso, il vostro carico e le vostre liti?". Capisce che servire è rendersi conto dei bisogni degli altri. Accettare gli altri per ciò che sono. Il terzo tipo di servizio è quello della consolazione. Es. 14,13-14: "Mosè rispose: Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza che il Signore oggi opera per voi; perché gli Egiziani che voi oggi vedete, non li rivedrete mai più! Il Signore combatterà per voi, e voi starete tranquilli". Da queste parole si capisce che anche Mosè ha paura, eppure sa indicare delle mete. La sua vocazione al servizio si qualifica sempre meglio come attenzione ai bisogni più profondi della gente. E uno di questi bisogni è quello di essere incoraggiati, guidati, illuminati, sospinti in avanti. Il quarto servizio è quello della preghiera e dell'intercessione - nella lotta contro gli Amaleciti. Es. 32,31-32: "Mosè ritornò dal Signore e disse: Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d'oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato... E se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto!". Intercede per il suo popolo a rischio che ciò risulti per lui svantaggioso. Per es.: quando fecero il vitello d'oro. Mosè si identifica con il suo popolo e vuole essere salvato con esso. Il quinto servizio è quello della parola. È forse il servizio per il quale Mosè si qualifca. Porta al popolo la Parola di Dio. È questo il servizio più importante. Es. 19,3: "Mosè salì verso Dio e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti”. Si può rilevare a conclusione che Mosè non è un illuso che si immagina un popolo senza liti, tensioni, difficoltà; è un uomo che per il suo popolo sa perseverare in preghiera davanti a Dio, anche in momenti difficilissimi. È il vero servo di Dio, perché è passato attraverso tutte le gradazioni successive del servizio sino a quello più alto della Parola di Dio. Ed ora alla luce di quanto abbiamo considerato proviamo a rileggere la nostra attuale situazione:


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LA VOCAZIONE CRISTIANA COME CHIAMATA AL SERVIZIO Tenendo presente quanto considerato in Mosè, possiamo dire che la vita cristiana è una vita spesa per il servizio dei fratelli. È una chiamata totale al servizio di tutto l'uomo in quanto impegna tutta la personalità. 1) È una chiamata totale: Mosè non aveva tempo per sé, né tempi liberi. La sua presenza è intimamente congiunta con la vocazione del suo popolo. 2) E’ una chiamata al servizio di tutto l'uomo, deve provvedere a tutte le necessità. L'esistenza diaconale del cristiano non deve essere limitata all'uno o l'altro tipo di servizio; non è soltanto servizio della parola o della preghiera o della consolazione, ma li abbraccia tutti. Tuttavia si può dire che l'esistenza cristiana come servizio diaconale ha delle tappe di formazione. Per questi aspetti però non ci riferiamo più a Mosè, bensì a parecchi testi del Nuovo Testamento. Nel Vangelo di Luca, Gesù forma gli Apostoli per essere servitori della Parola, perciò li fa passare attraverso una serie di diaconie: nella la sez. cap. 4-9; nella 2° sez. cap. 10-18. Prima sezione - cap. 4-9: Ci troviamo davanti a dodici miracoli di Gesù, poi una serie di parabole e discorsi. Sono parole e gesti atti ad educare il cristiano alla compassione, alla solidarietà con la sofferenza altrui. In questi primi capitoli troviamo un'immagine di Gesù, sommamente umano, comprensivo, solidale, col bisogno, la malattia, le difficoltà. Seconda sezione - cap. 10-18. Aumentano i discorsi, diminuiscono le opere e aumentano le parole rivolte ai discepoli. Gesù si dedica alla formazione del suo piccolo gregge. Mentre nella prima parte si era rivolto a tutti indistintamente. In questa formazione del piccolo gregge Gesù insiste su alcune cose che sono ripetute con una durezza tale da mozzare il fiato. Sono parole taglienti, molto difficili: Lc. 14,26-27: "Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo". In tutto questo notiamo una gradualità nella formazione del cristiano alla diaconia. Si evidenziano due stadi fondamentali: 1) Educazione alla umanità. 2) Educazione alla rigorosità del Vangelo, al totale abbandono in Dio. Ci vuole quindi un certo grado di maturazione. La croce infatti si accetta consapevolmente solo quando si prende coscienza di se stessi. Altri due momenti della esperienza diaconale del cristiano sono: 1) il Servizio: a partire dalla fede che equivale mettersi a disposizione degli altri; il servizio del malato, emarginato, abbandonato... 2) La diaconia della Fede: quindi non soltanto le diaconie che nascono dalla fede, ma c'è pure la diaconia della fede, quando viene data al fratello la Parola Evangelica. Questo servizio è il più difficile; infatti suppone una grande conoscenza del cuore umano, dei veri bisogni dell'uomo, delle attese umane. In questo servizio c'è il pericolo di venire respinti, di non essere accolti.


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Questo servizio richiede una maturità molto superiore, richiede l'abbandono incondizionato nelle mani di Dio. Concludendo mi pare di poter dire che è più facile coinvolgere dei giovani ad andare a visitare dei malati: ma è più difficile educarli ad una vita di Chiesa portando loro la Parola di Dio. Questo tipo di maturità diaconale non lo si inventa, è frutto di un lungo esercizio. E mi pare che torni opportuno l'insegnamento di San Luigi Orione: "Per conquistare a Dio e affermare gli altri, occorre, prima, vivere una vita intensa di Dio in noi stessi, avere dentro di noi una fede dominante, un ideale grande che sia fiamma che ci arda e risplenda - rinunciare a noi stessi per gli altri - ardere la nostra vita in un'idea e in un amore sacro più forte . ... Comunicare con i fratelli solo per edificarli, comunicare con gli altri solo per diffondere la bontà del Signore. * Amare in tutti Cristo. * Servire a Cristo nei poveri. * Rinnovare in noi Cristo e tutto restaurare in Cristo. Salvare sempre, salvare tutti; salvare a costo di ogni sacrificio con passione redentrice e con olocausto redentore". E avresti il coraggio di fare tua questa preghiera di don Orione? Fa, o mio Dio, che tutta la vita mia sia un olocausto, sia un inno, un cantico sublime di divina carità e di consumazione totale nell'amore a Te, o Signore, ed alla Santa tua Chiesa, e al tuo Vicario in terra, e ai Vescovi tuoi e a tutti i miei fratelli. Che tutta questa povera vita mia sia un solo cantico di divina carità in terra, perché voglio che sia - per la tua grazia, o Signore – un solo cantico di divina carità in cielo! (Da uno scritto del 24 giugno 1922, in viaggio dal Brasile all'Italia; cf. L, I, pagg. 425 ss.) A te che forse hai avuto la pazienza e la bontà di leggermi, posso chiederti confidenzialmente: cosa senti nel tuo animo? Indifferenza, stanchezza, rifiuto? Oppure senti sorgere qualche sentimento nuovo che tonifica la tua giornata? Prova rispondere, non te ne pentirai.


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SAMUELE: LA COSCIENZA DI UN POPOLO

Caro amico sono d’accordo con te. Oggi non si sa più a chi dare ascolto. Tutti parlano, molti scrivono, e il tempo si fa sempre più breve. Anch’io sono fra i molti che scrivono e penso che qualche anima buona trovi il tempo per leggermi. Ho fiducia in te. Mi piacerebbe anche conoscere il tuo volto, prima di iniziare una nuova tappa nel cammino verso la vetta della vocazione. Tuttavia sono certo che tu possa metterti in ascolto di una voce particolare, quella stessa che ascoltò Samuele e che lo fece esclamare: PARLA SIGNORE CHE IL TUO SERVO TI ASCOLTA. Ne avrai sentito parlare certamente, ma giova sempre dare una risposta alla domanda che è bene riproporci: chi era Samuele? Da molti specialisti è stato definito “la coscienza di un popolo”. Ebbene leggendo Samuele, come vicenda di vocazione, nei due libri storici della bibbia che portano il suo nome ci troviamo di fronte a parecchie difficoltà. Pare difficile la sintesi di questa figura. Infatti, pensando a Samuele, si pensa subito al cap. III° - vicenda della sua chiamata. I Sam. 3,10 - “Venne il Signore, stette di nuovo accanto a lui e lo chiamò ancora come le altre volte: Samuele, Samuele! Samuele rispose subito: Parla, perché il tuo servo ti ascolta”. È un quadro tipico di chiamata, ma pare che questa scena non sia sufficiente per chiarire l’importanza di questa figura. Infatti in I° Sam. 3,11-14 leggiamo: “Allora il Signore disse a Samuele: „Ecco io sto per fare in Israele una cosa tale che chiunque udirà ne avrà storditi gli orecchi. In quel giorno attuerò contro Eli quanto ho pronunziato riguardo alla sua casa, da cima a fondo. Gli ho annunziato che io avrei fatto vendetta della casa di lui per sempre, perché sapeva che i suoi figli disonoravano Dio e non li ha puniti. Per questo io giuro contro la casa di Eli: non sarà mai espiata l‟iniquità della casa di Eli né con sacrifici né con offerte!‟”.

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Qui ci troviamo di fronte ad una chiamata e alla consegna di un oracolo. La figura di Samuele é invece, dal punto di vista vocazionale, molto più ricca e significativa. Come riassumere? Ecco il tentativo di uno schema, fra i capitoli 1° e 25° del I° Samuele. In questi capitoli ci sono quattro momenti: Preparazione 1 - 2 Chiamata 3 Samuele condottiero e giudice 7 Fase della transizione e declino: 1 Sam. 11,12,15

MOMENTI DELLA VITA DI SAMUELE

1 - La preparazione È uno dei pochi personaggi biblici di cui viene narrata la nascita e l‟infanzia. Gli altri sono: Isacco, Mosè, Giovanni il Battista e Gesù. Nei Primi capitoli si sottolinea che Samuele è un dono di Dio. È frutto di una preghiera. Quindi Samuele è fin dall‟infanzia dedicato a Dio. La madre lo presenta e fa dono a Dio. “... presentarono il fanciullo a Eli, e Anna disse: “Ti prego mio signore. Per la tua vita, signor mio, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Perciò anch‟io lo dò in cambio al Signore: per tutti i giorni della sua vita egli é ceduto al Signore” (l Sam. 2,25-28). È quindi sottolineata per il profeta una speciale dedizione a Dio, sin dalla nascita.


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2 - La chiamata Sente la voce di Dio. Caratteristica di questa chiamata è la Parola di Dio. Si sottolinea l‟immediatezza dell‟intervento di Dio che si sceglie questo ragazzo e a lui affida i suoi oracoli. E lo sceglie come profeta. Leggiamo in 1° Sam. 3,20 - “Tutto Israele, da Dan fino a Bersabea, seppe che Samuele era stato costituito profeta del Signore”. 3 - Samuele condottiero e giudice. In realtà non è un condottiero nel senso di un grande capo di eserciti ma perché raduna Israele, dà coraggio e lo porta alla conoscenza della sua unità: crea le premesse per una riscossa nazionale e politica. In questo senso é un condottiero della “Parola”. È anche giudice - colui che amministra la giustizia nelle difficoltà di Israele. 1 Sam. 7,9-17 - “Samuele prese un agnello da latte e lo offri tutto intero in olocausto al Signore; lo stesso Samuele alzò grida al Signore per Israele e il Signore lo esaudì. Mentre Samuele offriva l‟olocausto, i Filistei si accostarono in ordine di battaglia a Israele; ma in quel giorno il Signore tuonò con voce potente contro i Filistei, li disperse ed essi furono sconfitti davanti a Israele. Gli Israeliti uscirono da Mizpa per inseguire i Filistei e li batterono fin sotto BetCar… Samuele fu giudice d‟Israele per tutto il tempo della sua vita. Ogni anno egli compiva il giro di Bètel, Gàlgala e Mizpa, esercitando l‟ufficio di giudice d‟Israele in tutte queste località. Poi ritornava a Rama, perché là era la sua casa e anche là giudicava Israele. In quel luogo costruì anche un altare al Signore”. In questo passo c‟é il duplice aspetto della figura di Samuele: Condottiero e Giudice del popolo. Ci viene ricordato in 1° Sam. 7,8 - “Dissero allora gli Israeliti a Samuele: Non cessar di supplicare per noi il Signore Dio nostro perché ci liberi dalla mano dei Filistei”. 4 - Declino di Samuele Samuele é anche l‟uomo della transizione tra l‟epoca dei Giudici e la Monarchia. Samuele però concepisce l‟unità d‟Israele solo come unità religiosa e di fratellanza. Tuttavia sarà proprio lui che ungerà due re: Saul e Davide. È l‟uomo della transizione attraverso grandi sofferenze: da parte sua resiste al desiderio del popolo di avere un re, poi è costretto a concederlo, si schiera dalla sua parte e poi si accorge che il suo candidato non funziona. 1 Sam. 15,10 - “Allora fu rivolta a Samuele questa parola del Signore: „Mi pento di aver costituito Saul re, perché si é allontanato da me e non ha messo in pratica la mia parola‟. Samuele rimase turbato e alzò grida al Signore tutta la notte”. Qui é tutto il dramma di Samuele. Vede il declino del suo “Unto” e quindi anche il declino di quella che lui pensava la sua missione suprema, per la quale aveva sacrificato tutto se stesso e il proprio prestigio. Riesce tuttavia a far emergere un nuovo candidato: Davide. Poi lentamente sfuma, compare saltuariamente e poi scompare definitivamente. Ultimo elemento, il più drammatico: vede che i suoi figli non sono accettati da Israele perché non operano bene...


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Un altro passo mette in risalto questa nobile figura: 1 Sam. 12,1-5 - “Allora Samuele disse a Tutto Israele: Ecco, ho ascoltato la vostra voce in tutto quello che mi avete chiesto ed ho costituito su di voi un re. Da questo momento ecco il re procede davanti a voi. Quanto a me sono diventato vecchio e canuto e i miei figli eccoli tra di voi. Io ho vissuto dalla mia giovinezza fino ad oggi sotto i vostri occhi. Eccomi, pronunciatevi a mio riguardo alla presenza del Signore e del suo consacrato. A chi ho portato via il bue? A chi ho portato via l‟asino? Chi ho trattato con prepotenza? A chi ho fatto offesa? Da chi ho accettato un regalo per chiudere gli occhi a suo riguardo? Sono qui a restituire! Risposero: Non ci hai trattato con prepotenza, né ci hai fatto offesa, né hai preso nulla da nessuno. Egli soggiunse loro: È testimonio il Signore contro di voi ed é testimonio oggi il suo consacrato, che non trovate niente in mano mia? Risposero: Sì, è testimonio”. La sua è una vicenda tipica “di vocazione”, inserita nella complessità della storia della salvezza, in cui l‟uomo compie i disegni di Dio, ed appare e scompare da quell‟opera in funzione di essa. Alla luce di quanto esposto possiamo analizzare gli Elementi della vocazione di Samuele. 1 - Quando inizia la chiamata di Samuele? Dal seno della famiglia, dalla preghiera della madre. Altrove non c‟è questo particolare, ad esempio degli Apostoli di Gesù, non sappiamo dire se tutti abbiano avuto o no una famiglia che li ha preparati in un clima di desiderio, di preghiera, di offerta. Per una vocazione è determinante una situazione famigliare di preghiera e di donazione al Signore. La madre di Samuele desidera moltissimo questo figlio ed é prontissima ad offrirlo al Signore. Ecco due elementi spesso riscontrabili nella storia di vocazioni individuali. Tutto questo sottolinea la preparazione remota della vocazione e le condizioni famigliari e ambientali nelle quali Dio inserisce la sua azione. Inoltre nella vocazione di Samuele c‟è una gradualità di manifestazione della volontà di Dio su Israele; volontà che Samuele interpreta ed incarna in se stesso. 2 - Da chi è chiamato Samuele? È la domanda più difficile. Il capitolo III° risponde solo in parte a questa domanda. In quel momento Samuele è chiamato semplicemente a trasmettere un oracolo di Dio. È chiamato ad alcune cose che egli sente e vive. a - È chiamato a radunare il popolo e a farne un’unità. Samuele è uno strumento di unità per il popolo. Così ogni vocazione presbiterale è uno strumento unificante di stimolo, di attuazione del desiderio di unità e di fratellanza del popolo di Dio. b - Samuele è chiamato a radunare il popolo sia attraverso l’azione diretta (amministrazione della giustizia). c - sia attraverso l’azione di supplica e di preghiera. 3 - È chiamato ad essere strumento di transizione da un’epoca all’altra, a ungere due re. In sintesi è l‟uomo tutto dedito ad interpretare i voleri di Dio per il popolo. Tutta la sua azione è uno sforzo a capire cosa Dio voglia per poi farlo sentire al suo popolo.


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E questo è un elemento molto importante per ogni tipo di vocazione in cui si presenti la domanda: Vocazione per uno o per tutti? Samuele incarna questa coscienza di unità di Israele di fronte a Dio. La sua missione è per tutti, tutti si riconoscono in lui. Ossia è una vocazione dove Dio manifesta ad un gruppo la sua volontà, nella quale il gruppo si riconosce: ma questa manifestazione avviene tramite un singolo individuo. Nel popolo di Dio - tutti sono chiamati - tutti sono oggetto di una vocazione: alla fratellanza, all‟unità, alla figliolanza divina, ma il Signore si serve di alcuni che incarnano questa coscienza in maniera più viva, ne sono trasmettitori, ed in essi la gente riconosce e capisce meglio se stessa. A questo punto ci possiamo chiedere: Quali sono le figure ecclesiali più simili a questa? Pare si possa dire che siano quelle dei Grandi Papi, che in momenti difficili o di transizione hanno rappresentato il senso dell‟unità della Chiesa: San Leone Magno - San Gregorio Magno - Giovanni XXIII – Giovanni Paolo II. Essi hanno costituito realmente un punto di riferimento per la coscienza; 1 - un modello di vita evangelica; 2 - della ricerca della volontà di Dio; 3 - di abbandono alla Provvidenza. Gli esempi si potrebbero moltiplicare anche oggi, in situazioni concrete. Si potrebbero prendere in considerazione tutte quelle persone che hanno saputo rappresentare la coscienza di un gruppo e portarle a maturazione, che sono stati dei segni di riconoscimento per altri uomini. Lascio a te il compito di individuarli e di sceglierteli come modello. Non dovrai fare ciò che loro hanno fatto, ma lasciarti stimolare dal loro esempio per una pronta risposta a colui che ti chiama. Non pretendere mai di riuscirci da solo. Chiedi aiuto, lasciati guidare, non temere la diversità, e rifletti sempre su ciò che è la cosa migliore per te. Sono a tua disposizione.


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GEREMIA: FEDE E VOCAZIONE Caro amico, come ho già detto altre volte, mi piacerebbe vedere il tuo volto e quello di tutti coloro che mi leggono e conoscere le reazioni di ognuno alle proposte che vengono fatte in questa catechesi prima di iniziare una nuova tappa nel cammino verso la vetta della vocazione. A volte mi immagino di scorgerti sorridente e contento e per questo mi piacerebbe suggerirti di prendere questi pensieri come una lettera indirizzata a te. E con questi sentimenti riprendo il filo del nostro discorso vocazionale e trovo utile la riflessione con questo titolo:

BURRASCHE E BARRIERE ALLA VOCAZIONE E in questo modo mi introduco nella considerazione della vocazione del profeta Geremia. Nella vicenda di questo profeta possiamo leggere la storia di molte vocazioni. Vuoi seguirmi? Ebbene come primo impatto riflettiamo su: Fede e vocazione in Geremia A) INTRODUZIONE Geremia, figura ricca e complessa. C‟è un libro intero della Bibbia per rivelarci questa figura. E‟ ricco di molti passi autobiografici. Il materiale vocazionale riguardante la sua persona è di tre tipi: 1) - Racconti autobiografici: “Così dice il Signore a Geremia: „Va‟ a comprarti una brocca di terracotta; prendi alcuni anziani del popolo e alcuni sacerdoti del tempio ed esci dalla valle di Ben-Hin-nòn, che è all‟ingresso della porta dei cocci. Là proclamerai le parole che io ti dirò‟” (Ger 19,1-3). 2) - Confessioni direttamente autobiografiche. Parla in prima persona: “Il Signore me lo ha manifestato e io l‟ho saputo; allora ho aperto i miei occhi sui loro intrighi. Ero come un agnello mansueto che viene portato al macello, non sapevo che essi tramavano contro di me, dicendo: “Abbattiamo l‟albero nel suo rigoglio; strappiamolo dalla terra dei viventi; il suo nome non sia più ricordato”. Ora, Signore degli eserciti, giusto giudice, che scruti il cuore e la mente, possa io vedere la tua vendetta su di loro, poiché a te ho affidato la mia causa” (Ger 11,18-20). Alcune di queste confessioni sono abbastanza drammatiche; rasentano la bestemmia, la tentazione di incredulità. 3) - Oracoli che rappresentano il modo in cui Geremia affronta concretamente la sua missione: “Mi fu rivolta questa parola del Signore: „Non prendere moglie, non aver figli né figlie in questo luogo, perché dice il Signore riguardo ai figli e alle figlie che nascono in questo luogo e riguardo alle madri che li partoriscono e ai padri che li generano in questo paese: Moriranno di malattie strazianti, non saranno rimpianti né sepolti, ma saranno come letame sulla terra. Periranno di spada e di fame; il loro cadavere sarà pasto per gli uccelli dell‟aria e delle bestie della terra‟” (Ger 16,1-5).


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Quali possono essere i modi per sintetizzare tutto questo materiale? Quali i significati vocazionali specifici? Non c‟è un ordine cronologico: perciò ecco alcune possibilità: - Due sono le fonti da tenere presenti: la Bibbia e l‟esperienza della vita. Le fasi successive sono: la crescita della fede e la crescita della vocazione in quanto legata all‟esperienza di fede. E possiamo distinguere: • - La fede ricettiva (prima infanzia) • - La fede oblativa (seconda infanzia ) • - La fede dell‟adolescenza (esempio: la fede degli Apostoli prima della risurrezione). • - La fede nell‟età matura (esempio: la fede della Chiesa apostolica dopo 1‟Ascensione).

Da questo schema si possono rilevare alcuni elementi tipici della fede e vocazione di Geremia. E‟ sempre un tentativo e uno sforzo di leggere i testi. Consideriamo queste tappe: 1) - LA FEDE “RICETTIVA” DELL’INFANZIA In essa tutto viene ricevuto. È l‟esperienza della paternità di Dio, Padre onnipotente. Ad esempio per il bambino l‟immagine del padre è di colui che può tutto. È l‟esperienza della semplicità, dell‟abbandono fiducioso nelle mani di Dio. Dio è per Geremia colui che gli ha dato tutto: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni”. Risposi: “ahimé, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane”. Ma il Signore mi disse: “Non dire: Sono giovane ma va‟ da coloro a cui ti manderò e annuncia ciò che ti ordinerò. Non temerli, perché io sono con te per proteggerti”. Oracolo del Signore. Il Signore stese la mano, mi toccò la bocca e il Signore mi disse: „Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca. Ecco, oggi ti costituisco sopra i popoli e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare”(Ger 1,5-10). Geremia non può pensare alla sua esistenza senza pensare che prima c‟è la chiamata divina; prima c‟è l‟amore divino che si china su di lui. Però se questo stadio si blocca tende alla passività ingenua. Cioè: tutto è fatto, stabilito e tutto andrà bene... Ci sono però le prove purificatrici. Questa esperienza non gli garantisce il successo... anzi non impedisce l‟insuccesso e l‟abbandono. Ecco allora che in Geremia notiamo oltre alla ricettività anche la maledizione del giorno della sua nascita: “Maledetto il giorno in cui nacqui; il giorno in cui mia madre mi diede alla luce non sia mai benedetto. Maledetto l‟uomo che portò la notizia a mio padre, dicendo: „Ti è nato un figlio maschio, colmandolo di gioia. Quell‟uomo sia come le città che il Signore ha demolito senza compassione. Ascolti grida al mattino e rumori di guerra a mezzogiorno, perché non mi fece morire nel grembo materno; mia madre sarebbe stata la mia tomba, e il suo grembo gravido per sempre. Perché mai sono uscito dal seno materno per vedere tormenti e dolore e per finire i miei giorni nella vergogna?‟” (Ger 20,14-18).

Notiamo così una duplice esperienza: - Da un lato abbiamo la ricettività che passa attraverso prove purificatrici, forma la sua personalità e lo prepara anche alla disponibilità a ciò che Dio gli domanda, anche se tutto gli può sembrare un continuo insuccesso; - dall‟altro lato abbiamo il senso di una sicurezza che si rafforza con le prove.


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“Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori cadranno e non potranno prevalere; saranno molto confusi perché non riusciranno, la loro vergogna sarà eterna ed incancellabile” (Ger 20,11 ). Una simile esperienza l‟abbiamo in santa Teresa di Gesù Bambino che attraverso una spiritualità ricettiva purificata dall‟esperienza dell‟abbandono e contro ogni apparenza e speranza vive nel fiducioso abbandono del bambino tra le braccia del padre.

2) - LA FEDE OBLATIVA E ADOLESCENZIALE È la fede di un ragazzo che cresce cristianamente e arriva a capire di fare qualcosa per il Signore. È il momento degli atti generosi, del sacrificare qualcosa di sé per ciò che si è riusciti a percepire della presenza di Dio nella propria vita. Geremia capisce che se si sacrifica..., se si impegna... allora potrà vivere un‟esistenza degna di uomo. Se invece si lascia trascinare dalle passioni allora non potrà costruire la sua vita. A questo proposito è tipico il discorso sul tempio: “Poiché, se veramente emenderete la vostra condotta e le vostre azioni, se realmente pronunzierete giuste sentenze tra un uomo e il suo avversario; se non opprimerete lo straniero, l‟orfano e la vedova, se non spargerete il sangue innocente in questo luogo, e se non seguirete per vostra disgrazia altri dei, io vi farò abitare in questo luogo, nel paese che diedi ai vostri padri da lungo tempo e per sempre. Ma voi confidate in parole false e ciò non vi gioverà: rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dei che non conoscevate. Poi venite e vi presentate alla mia presenza in questo tempio, che prende il nome da me, e dite: Siamo salvi! Per poi compiere tutti questi abomini” (Ger 7,5-10). Ma nell‟esperienza religiosa di ciascuno c‟è sempre un duplice rischio: 1) - Il primo è quello di costruire una religione dell‟osservanza. Questo è importante, ma può avere un risvolto negativo se viene bloccata. Vedi la parabola del figlio prodigo. Il figlio maggiore ha una osservanza perfetta, ma la vive così male da non capire più il cuore del padre. 2) - Secondo rischio: quando l‟uomo facilmente si illude nelle proprie responsabilità. Crede di essere giusto perché compie alcuni atti di giustizia, e si vanta e pensa di essere pienamente giustificato. È il vanto di coloro che pensano di essere apposto perché hanno la pratica cristiana e dimenticano tutte le ingiustizie morali, sociali e politiche. Una religiosità moralistica non può mai essere osservata pienamente perché l‟uomo non può essere mai completamente giusto in tutte le cose, ma è sempre portato a concentrarsi su alcune e renderle come un assoluto. Ecco perché alcune pagine di Geremia sono una requisitoria contro il culto e una denuncia di tutte le ingiustizie. Ed ecco il pericolo che si corre: abbandonare la pratica religiosa... farsi dei progetti personali perché non si riesce ad essere all‟altezza di tutte le proprie responsabilità. Ecco il profeta: “Dice il Signore Dio degli eserciti, Dio di Israele: “Aggiungete pure i vostri olocausti ai vostri sacrifici e mangiatene la carne! In verità io non parlai né diedi comandi sull‟olocausto e sul sacrificio ai vostri padri, quando li feci uscire dal paese d‟Egitto. Ma questo comandai loro: Ascoltate la mia voce! Allora io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; e camminate sempre sulla strada che vi prescriverò perché siate felici”.


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E qui il profeta Geremia è al culmine della sua vocazione profetica. Deve aiutare il popolo a compiere il passaggio da una religiosità delle opere - il fare e fare... come i Farisei al tempo di Gesù ... - al contatto personale con Dio. Da un culto puramente esterno al cuore. Deve proclamare a Israele che non è la sua giustizia che lo fa sopravvivere ma l‟amore di Dio. “Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificato, vergine di Israele. Di nuovo ti ornerai dei tuoi tamburi e uscirai tra la danza dei festanti. Di nuovo pianterai vigne sulle colline di Samaria; i piantatori, dopo aver piantato, raccoglieranno. Verrà il giorno in cui grideranno le vedette sulle montagne di Efraim: Su, saliamo a Sion, andiamo dal Signore nostro Dio” (Ger 31,3-6). L‟esperienza di fede diviene esperienza del rapporto personale dell‟uomo con Dio. Geremia propone una salvezza che non inizia dai meriti e dalle capacità umane ma dall‟amore di Dio. Qui sta il nuovo rapporto, la nuova ALLEANZA. “Questa sarà l‟alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno dal più piccolo al più grande, dice il Signore; perché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati” (Ger 31,33-34). Geremia raggiunge poi il culmine della sua vocazione nel far passare il popolo dall‟esperienza dell‟osservanza della legge alla promessa di un rapporto personale con Dio..., e che Dio stesso darà la capacità di osservare la legge e di viverla. 3 - LA FEDE DELL’ETÀ MATURA Questa esperienza coglie la presenza di Cristo non solo come un fatto di amicizia personale ma anche come manifestazione di Gesù nella comunità, nella Chiesa, nella vita dell‟umanità. È una rinnovata forma di responsabilità. Da qui nasce la capacità di vedere il Signore in tutte le esperienze della Chiesa e della storia dell‟umanità. Va notato che questo punto è tipico del N.T. Ecco perché si è potuto sviluppare poco questo aspetto in Geremia. Tuttavia anche in Geremia si possono cogliere aspetti del tutto simili. Il profeta passa da un rapporto intimistico e sentimentale ad una preoccupazione politica e religiosa (termini che per un Ebreo sono identici). Geremia sia negli oracoli su Israele sia in quelli sulle nazioni contempla la salvezza in un quadro comunitario. E questa comunità è tutto il genere umano. “Dice il Signore, Dio di Israele: “Scriviti in un libro tutte le cose che ti dirò, perché, ecco, verranno giorni - dice il Signore - nei quali cambierò la sorte del mio popolo, di Israele e di Giuda dice il Signore - ; li ricondurrò nel Paese che ho concesso ai loro Padri e ne prenderanno possesso” (Ger 30,2-4). Non si tratta più, quindi, di un rapporto individuale dell‟uomo con Dio, ma di un rapporto comunitario di un popolo e di tutte le nazioni. Si può dire che l‟esperienza di Geremia è un intreccio di fede e di vocazione. Geremia ha conosciuto il suo Dio conoscendo la sua vocazione e comunicando l‟esperienza della sua missione ha ritrovato l‟esperienza di Dio - Amore. In lui troviamo in sintesi l‟esperienza della conoscenza di Dio che ciascuno di noi fa progressivamente e del modo con cui questa esperienza di Dio viene comunicata.


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Fede e vocazione si intersecano nell‟uomo. E se l‟esperienza vocazionale cade, può provocare una crisi di fede... Cosi pure se l‟esperienza vocazionale cresce, porta ad una maturazione della fede. Avvicinandoci al N.T. possiamo dire che la fusione di tutti questi elementi esaminati in questi personaggi dell‟A.T. giunge a perfezione in Maria. Essa vive la sua esperienza di fede con la sua vicenda vocazionale. Tuttavia la fusione più perfetta si ha in Gesù, il chiamato per eccellenza. Spero che queste riflessioni non ti abbiano sconvolto nella tua bella semplicità. Tuttavia se intensifichi la tua preghiera ti potranno arricchire. Mantieniti fedele alle tue pratiche di preghiera al tuo discorrere con Gesù e con Maria, ma cerca lentamente di entrare in questa misura radicale della preghiera che ha la stessa radice della vocazione. Ti auguro tanta pace e serenità.

L’ITINERARIO VOCAZIONALE NEL NUOVO TESTAMENTO Senza dubbio a qualcuno dei lettori interesserà anche questo argomento: LA CATECHESI SULLA VOCAZIONE. E ci sarà senza dubbio qualche anima umile e buona che avrà modo di riflettere e invitare altri a farne oggetto di interesse. So bene caro amico, che qualcosa non ti sarà troppo chiara; per esempio le riflessioni proposte su alcuni personaggi dell‟Antico Testamento. Capita così anche a me. Lì per lì certi argomenti e certe esperienze di altri non mi dicono nulla, tuttavia le ascolto con interesse e sono certo che se tu fai altrettanto rimarranno come seme in buon terreno. Per questo riprendo coraggio e ti espongo l‟ITINERARIO VOCAZIONALE NEL NUOVO TESTAMENTO. Mi piace fermare l‟attenzione sul Vangelo di Marco, proponendoti la vocazione dei discepoli. Lascio la parola all‟Evangelista: Mc. 1,14-20 “Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si reco nella Galilea predicando il Vangelo di Dio e diceva: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo. Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini. E subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedeo sulla barca con i garzoni, lo seguirono”. A Marco interessa presentare dei principi fondamentali e per dimostrare questo si serve di fatti storici. Il principio è questo: Gesù chiama delle persone a seguirlo, ossia continuatori della sua opera. Perciò questi fatti mirano a dimostrare in che modo ogni aderente debba rispondere alla chiamata di Gesù. Marco espone questi fatti con un metodo fisso quasi si trattasse di un formulario. 1 – Gesù incontra degli uomini che stanno svolgendo il loro mestiere. 2 – Li chiama alla sua sequela con autorità. 3 – C‟è una obbedienza incondizionata dei chiamati, (lasciata ogni cosa...). 4 – Entrano a far parte di una comunità di vita con Gesù.


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5 – Collaborano alla missioni di Gesù. Meditiamo: Gesù chiama e senza dare nessuna spiegazione intorno alla chiamata. I chiamati però erano individui che già facevano parte della cerchia di Giovanni il Battista. Un po‟ alla volta conoscono anche Gesù. Anche Pietro ha conosciuto Gesù un po‟ alla volta. I chiamati non sono stati preparati alla chiamata, eppure lo seguono subito senza rivolgergli alcuna domanda o chiedere spiegazioni; e abbandonano famiglia e professione. In seguito a questo loro atteggiamento sono resi capaci di collaborare alla missione di Gesù. Egli chiama con autorità assoluta senza presentarsi, senza parlare di sé. È una chiamata a cui si deve rispondere senza titubanze; staccandoci da tutto ciò che prima ci occupava, anche le cose più sacre. La chiamata di Gesù ottiene sempre il suo scopo, perché Egli dà anche la capacità di corrispondervi. Perché tutto riesca bene si devono tener presenti due cose. 1 – La chiamata di Gesù deve essere seguita immediatamente, liberandosi da qualsiasi cosa che possa ostacolare questa chiamata di Gesù. 2 – Ogni chiamato deve essere certo che Dio lo metterà in grado di seguire la propria vocazione. Quindi: risposta immediata e certezza dell’aiuto di Gesù per seguire la chiamata. Per tutto questo Egli ha un piano, una strada tracciata, ecco il perché della sua ferma decisione ed esigenza che ci sia decisione anche da parte nostra. E la libertà? Se non posso dire di no, non sono più libero! Attento! Lui vuole una riposta pronta e decisa, ed esige questa risposta perché con certezza ti dà ciò che ha stabilito. Ma tu puoi anche non accettare, però non avrai ciò che Lui ha deciso di darti. L‟azione da parte sua è condizionata, legata alla tua pronta adesione. Se questa manca, allora tutto il piano cade (per ciò che riguarda te), ma Dio lo esegue ugualmente in modo misterioso. A te la decisione. Continuiamo con Marco 1,21-28 “Andarono a Cafarnao e, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare. Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: Che c’entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio. E Gesù lo sgridò: Taci! Esci da quell’uomo. E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono! La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea”. Con questo episodio l‟Evangelista Marco ci ha dato le dimensioni del suo quadro per uno scopo molto preciso: Gesù sceglie. Pretende una risposta categorica e dà una certezza nel suo aiuto.


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Ora con una serie di esempi concreti vuole dimostrare che la sua chiamata rende capaci della sua sequela. Ossia vuole dimostrare la seconda condizione. La sequela di Gesù si potrà realizzare se si parla in nome di Gesù. Gesù compie prodigi perché non parla (e di conseguenza non agisce) come gli scribi, i quali parlano e agiscono a nome loro, ma parla con autorità ed anche agisce, e può dire di parlare e agire con autorità perché parla ed agisce in nome di Dio suo Padre. Ora Gesù chiama, e rende capace (il chiamato) di agire come lui, se il chiamato non parlerà in nome proprio (ossia se non presenterà se stesso) ma se parla in nome di Gesù. Cosicché se un chiamato non dovesse, per caso, riuscire nel suo apostolato, è segno che parla in nome proprio e non in nome di Dio. Infatti quando Gesù chiama rende i chiamati capaci di diventare suoi discepoli e collaboratori, per il fatto stesso che quando chiama non fa caso ai presupposti umani e morali. Ci pensa a dare tutti i requisiti necessari per renderlo atto alla missione. Questo è il pensiero di Marco. Infatti trova riscontro in tutta la storia della salvezza. Nell‟A.T. quando Dio chiama i profeti, quasi sempre sono semplici e analfabeti. Così pure nel N.T. Gesù chiama gli apostoli che sono la gente semplice, di umili condizioni e senza alcuna istruzione. Non è detto che questa sia la legge ordinaria, tuttavia ancora oggi Gesù chiama quei soggetti che non sono infatuati di se stessi, ma che ripongono tutta la loro fiducia in Dio… che si lasciano trasformare da Dio. Teniamo presente questo schema fondamentale che ritorna in tutte le narrazioni. Gesù passa... vede... chiama... il chiamato subito lo segue... e senza obiezioni... Perciò o in un modo o nell‟altro, è sempre la chiamata di Gesù che trasforma il chiamato in un discepolo e collaboratore. Chi è chiamato non deve preoccuparsi della sua vocazione e scusarsi per certe sue deficienze o incapacità. Gesù lo ha chiamato proprio per questo, perché vuole renderlo lui capace della missione, e quando il chiamato farà le stesse cose di Gesù non si vanterà di nulla, e si accorgerà che non dovrà più fare la sua volontà, ma la volontà di Dio. Non avrà nemmeno il coraggio di parlare o agire in nome proprio, ma si accorgerà che la sua grandezza dipenderà dalla grandezza di Dio. Siamo dunque destinati a crescere. Chi di voi vuole diventare grande? Della grandezza di Dio? Sia generoso e si accorgerà di essere grande.


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Vedi dunque, caro amico, che tutto questo vale anche per quello che dovremo dirci in seguito. La nostra storia è proprio come quella del fiore. Proviamo a dare uno sguardo al suo ambiente di vita e in particolare alle burrasche che sorgono attorno ad esso, e alle barriere che spesso si ergono contro. Il fiore deve crescere, sbocciare, risplendere, e sempre per opera di una legge che lui non si è data. Non esitiamo dunque a prendere coscienza di questa realtà, ormai da tanti acquisita come fatto normale: Se Dio chiama ci penserà ad abilitarci per la missione che ci affida…


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GESU’ CHIAMA CHI VUOLE Chiama gente del popolo Chiama persone prive di cultura Chiama i galilei

Amico carissimo, non pensare che io voglia fare di te un prete, o una religiosa suora, se sei una ragazza che mi legge, ma solo offrirti la possibilità di conoscere quale può essere il tuo impegno nella vita. Per conoscere bisogna metterci in ascolto e vedere. A questo proposito ti confido una mia avventura. Quando ero bambino veniva alla mia casa un frate francescano per questuare uva, grano e altre cose. Si fermava a parlare con la mia mamma e mi offriva sempre una immaginetta. Ritornava ogni anno e con l‟andare del tempo prese confidenza ed espresse il desiderio di parlarmi ed allora fuggii e mi nascosi. Perché? Perché i frati non mi piacevano affatto e temevo che volesse farmi diventare frate; in realtà il buon fraticello voleva solo conoscermi e farmi conoscere le riviste dell‟Ordine e i vari libretti che parlavano di san Francesco; e tutto questo perché all‟inizio dei nostri incontri io lo tempestavo di domande. Come lo sai io non divenni frate fracescano, ma divenni sacerdote e il giorno della mia sacra Ordinazione sacerdotale si presentò pure lui con un bel crocifisso. Cose del genere potrebbero succedere anche fra me e te che mi leggi. Non temere! Quello che il Signore vuole per il nostro bene, o presto o tardi ce lo farà sapere. Leggi, con tranquillità, impara a conoscere e a vedere, ed esercitati nelle tue scelte. Questa volta ti propongo GESÙ CHE CHIAMA CHI VUOLE. Gv. 7,45-53 - ... perché non l‟avete portato qui? parla come nessuno ha mai parlato. Vi siete lasciati sedurre anche voi? quando mai un capo del Sinedrio ha creduto in lui? E Nicodemo - ... forse che la legge giudica uno senza prima averlo sentito?... Sei anche tu della Galilea? Esamina e vedrai... Nessun profeta viene dalla Galilea. Gv. 7,2-27 - È la festa dei tabernacoli; durava una settimana; vivevano sotto le tende. Al sacrificio del mattino era collegata la cerimonia dell‟acqua che veniva attinta e versata sull‟altare. Il sacerdote riempiva una brocca d‟oro con l‟acqua dello stagno di Siloe (Siloe = inviato; pensavano ad un angelo mandato a muovere le acque), e la portavano solennemente all‟altare del sacrificio e veniva versata nelle due bacinelle dell‟altare assieme all‟offerta del vino. Poi i sacerdoti al suono degli strumenti e al canto dei salmi (113 e 118) e al grido degli Osanna giravano processionalmente attorno all‟altare, mentre il popolo ripeteva il ritornello “ringraziate il Signore”. Il 7o giorno giravano sette volte attorno all‟altare portando nelle mani i rami di salice. Le guardie del tempio non osarono arrestare Gesù a causa della fama che si era creata.


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Mentre il Sinedrio, supremo consiglio, riteneva Gesù un predicatore di eresie e non lo riconosceva né profeta né Messia. Solo la pena di morte era riservata al procuratore romano. Il Sinedrio era composto: dal sommo sacerdote, 70 membri, sacerdoti e laici, sadducei (appartenenti all‟aristocrazia sacerdotale) tra loro era scelto il sommo sacerdote. I farisei erano un gruppo a parte: erano sacerdoti e laici; si proponevano di osservare tutta le legge, comprese le aggiunte della tradizione. I dottori provenivano dalle file dei farisei. La dura espressione nei riguardi del popolo ignorante della legge, con la maledizione, disprezzo e condanna perché ascoltano Gesù, riproduce chiaramente il concetto che scribi e farisei avevano del popolo. Perché inesperto della legge, veniva detto “popolo della terra” o “volgo” in senso dispregiativo. Secondo i farisei, il fatto che il Messia non era ancora giunto e Israele era sotto la schiavitù romana, era colpa di questa plebaglia. Si pensi che al tempo di Gesù gli Israeliti pii si erano uniti in società e mantenevano rapporti solo con gli osservanti della purità legale e non contraevano debiti. E l‟ammissione a questa società veniva fatta da un rabbino ed era preceduta da un periodo di prova. E in base a questi principi il popolo minuto era anche ritenuto incapace di rendere testimonianza in tribunale o di ricoprire cariche pubbliche. Venivano esclusi dalle comuni preghiere a tavola e messi sullo stesso piano dei pagani, delle donne, dei bambini, degli schiavi; gente tutta esclusa dalla preghiera in comune. Queste misure avevano prodotto una forte divisione nel popolo, che spesso degenerava in odio. Infatti gli Ebrei consideravano gli ignoranti della legge come nemici. Ad es.: il rabbì Aquibà (70 d.C.) che prima era un popolano ignorante, racconta: “Quando ero un am-ha-aret (= volgo) pensavo: se potessi avere in mio potere un discepolo dei rabbini, lo morderei come un asino”. Inoltre l’osservazione: “... dalla Galilea non proviene alcun profeta...”, dimostra - che non si sapesse l‟origine davidica di Gesù e della sua nascita a Betlemme; - che il popolo lo considerava profeta. Infatti nell‟A.T. si conosce solo un profeta originario della Galilea e si sa ben poco di lui: è Giona, nominato una sola volta nel 2 Re - 14,25; Anche l’obiezione di Nicodemo si fonda sul Deut. 1, 16; 17,4. Ebbene la scelta di quelli che formano la cerchia di Gesù va vista su uno sfondo di questo genere. I discepoli di Gesù differivano sostanzialmente dai discepoli di qualsiasi dottore della legge. I dottori della legge assumevano discepoli privi di difetto fisico o psichico; -

provenienti da famiglie ebree di buona fama; già in possesso di un certo grado di cultura; non appartenenti a classi sociali disprezzate (es. gabellieri); né gente che esercitasse mestieri contraenti impurità legali (es. i cacciatori di pelli);


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- non dovevano essere incorsi in castighi da parte della Sinagoga; - né avere trasgredito seriamente la legge. Invece accanto a Gesù troviamo gente del popolo, prova di una vera e propria educazione, in gran parte provenienti dalla Galilea. I Galilei erano considerati Ebrei spuri; infatti caduto il regno del Nord - 722 a.C. - gli Assiri avevano deportato i nobili e sostituiti con coloni pagani. Al tempo della dominazione Sira (198-163 a.C.) molti pagani di lingua greca si erano stabiliti in Palestina. Solo sotto i Maccabei (167-163 a.C.) questa regione venne ripopolata solo di Ebrei - cfr. 1o e 2o Maccabei, spec. Macc. 5. E il fatto che Gesù abbia scelto i suoi primi discepoli proprio dalla cerchia del Battista - Gv. 1,35-51 - , denota chiaramente le condizioni che egli voleva dare a questi suoi discepoli: - la prontezza nel convertirsi (richiamo alla penitenza del Battista); - rendersi disponibili completamente per la causa del Messia (cfr. annuncio del Battista - Gv. 1,3; Lc. 3). Infatti questi primi chiamati si erano già liberati da tutto ciò che li circondava: - tribù, famiglia, professione, per unirsi a coloro che seguivano il Battista. Ci si chiede: Dove stanno le difficoltà principali alla missione e alla predicazione di Gesù? Lo dimostra il fatto che tra le famiglie più potenti dei sacerdoti leviti e farisei non si trova nessuno disposto a darsi a lui e dedicarsi alla missione che lui propone. L‟esempio del giovane ricco dice chiaramente quale impedimento costituissero i beni terreni e le ricchezze per chi volesse darsi alla sequela di Gesù. Ma ciò dimostra anche come il giovane ricco, e così pure qualsiasi altra persona facoltosa, fossero pur sempre in grado di rispondere alla chiamata di Gesù qualora avessero accolto con fede e si fossero decisi a seguire la sua chiamata. “A Dio tutto è possibile”. Ma ci si chiede: perché Gesù ha agito in questa maniera? I dottori della legge pretendevano di trovare già tutto nei candidati alla loro sequela, cioè volevano individui già perfettamente dotati. Gesù invece non presuppone nulla, perché tutto darà lui; vuole solo la disponibilità; vuole l‟individuo spoglio di tutto e distaccato da tutto. Sarà lui a trasformarlo. Sarà lui a risplendere e non l’individuo. Il discepolo deve sempre essere un tramite, un mezzo... chi converte è Dio. E questo era il pensiero degli Apostoli e degli Evangelisti che scrivono, i quali riflettono il pensiero della primitiva chiesa apostolica.

Quanto hai letto, ti ha turbato? Ti ha fatto riflettere? Non lo so. Forse ti ha aperto mente e cuore all‟ascolto, e ascoltando, credimi, si impara a conoscere e a vivere nel migliore dei modi. Ti ricordo sempre e ti ringrazio per avermi letto.


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GESÙ CHIAMA PUBBLICANI E PUBBLICI PECCATORI

Mi introduco sempre con la solita espressione “caro amico” e oggi più che in precedenza perché anche il nuovo Papa Benedetto XVI ha iniziato il suo pontificato con questo saluto: “cari amici”. E non dimentichiamo che anche Gesù ha iniziato così: “Non vi chiamerò più servi, ma amici”. E in questo contesto di amicizia vorrei aiutarti a costruire una immagine nella tua mente che allontani tutti i pregiudizi che minacciano di soffocare il respiro della tua libertà. Non ho timore di dirti che attorno al concetto di vocazione religiosa e ministeriale si ergono i cosiddetti muri della vergogna; Te ne elenco quattro. Me li tengo sempre a mente fin dalla mia giovinezza. Mi pare di ricordarli abbastanza bene, anche se i termini non saranno esatti come mi sono stati dettati. Nel 1950, avevo tredici anni, ebbi la fortuna di partecipare ad un breve corso di esercizi spirituali dettati a noi ragazzi di Azione Cattolica da un certo Mons. Giovanni Andreini gia rettore del Seminario di Zara e in precedenza, negli anni trenta, vice parroco al mio paese (Martellago Venezia). Ed ecco il suo pensiero. Quando si parla di vocazione si ergono parecchi muri o condizionamenti; ne elenco quattro: 1Il muro della diffidenza e della paura. Si teme una trappola. Si teme di essere costretti a farsi prete o suora. 2Il muro del servilismo. È proprio di coloro che non vogliono problemi all‟infuori del loro esistere quotidiano. A loro basta vivere. In pratica si tratta di persone sfiduciate. Che fare? Debbono ricostruirsi nell‟amore di Dio. 3Il muro del qualunquismo. È vero che concepiscono la vita come un servizio, però, per loro va bene qualunque cosa. E si chiedono: possibile che Dio si interessi proprio di me? Ed oggi, inserirei un pensiero di Paolo VI il quale diceva ai giovani: “Non è lecito prendere decisioni sul vostro avvenire senza chiedervi prima se Cristo abbia bisogno di voi”. 4Il muro delle fobie. Molti sono vittime di mille pregiudizi, forse a causa dell‟ambiente e della società. Queste idee velenose impediscono una vera decisione. Sono indecisi per il matrimonio, perché lo vedono come una trappola. È meglio aspettare! Niente vita religiosa, perché tomba dell‟amore regno di solitudine, tristezza, distruzione della personalità. E c‟è la fatidica domanda: E se poi dovessi pentirmi? Ebbene, per sfatare tutto questo il Signore parte dalla situazione, ritenuta da noi la peggiore: CHIAMA PUBBLICANI E PUBBLICI PECCATORI Mc. 2,14 - “Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Egli, alzatosi, lo seguì. 2,15-17 - “Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: “Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?”. Avendo


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udito questo Gesù disse loro: “Non sono i sani che anno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti ma i peccatori”. Richiamo il contesto storico e azzardo una breve ed elementare esegesi. Levi era un appaltatore delle tasse, al servizio di Erode Antipa. L‟appalto delle tasse veniva dato al maggior offerente. Costui aveva sotto di sé altri dipendenti che dovevano consegnare a lui i proventi delle tasse. È anche il caso di Levi; egli però non era al servizio dei romani che erano pagani. Non va dimenticato che anche la casa di Erode era odiata perché lui pure era di origine pagana, essendo il padre di Erode il grande, un Arabo, e anche perché teneva a corte una vita scandalosa. Oltre a tutto questo i pubblicani venivano considerati come ladri, in quanto abusavano del loro mestiere a proprio profitto e per questo venivano catalogati fra i pubblici peccatori. Per questo motivo erano dichiarati anche incapaci di rendere testimonianza in tribunale. E in forza della “legge” non c‟era per essi alcuna speranza di salvezza. Se poi volevano dichiararsi giusti davanti a Dio, la “legge” li obbligava a restituire quanto avevano guadagnato con le loro truffe e per penitenza avrebbero dovuto sborsare il 20% delle loro indebite appropiazioni. Ora, la chiamata di un individuo di tal genere doveva apparire per i giudei devoti uno scandalo inaudito. E la discussione con i dottori della legge in seguito alla chiamata di Levi mette in chiaro questo fatto. - Mc. 2,15-17 I pubblicani quindi non potevano avere altra relazione se non tra di loro. Gesù partecipa al banchetto offerto da Levi. In tal caso diede dimostrazione aperta di non curarsi di ciò che loro (giudei devoti) dicevano a riguardo. Anzi, Gesù infrange volutamente la legge fondamentale dei farisei, che è di tenersi lontani da tutti coloro che non osservano la legge perché avrebbero contratto l‟impurità legale (Lc. 15,2); Gesù invece accoglie i peccatori e mangia con loro! Lo insultano (Mt. 11,19 - Lc. 7,34) con parole forti... “mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori”. Da tutto questo appare chiaro che lo fece di proposito. Matteo invitò naturalmente tutti gli amici pubblicani perché dava l‟addio al suo lavoro, e ciò succedeva sempre che uno desse un banchetto del genere quando lasciava il lavoro. Nessuna meraviglia, quindi, che un comportamento così scandaloso susciti l‟indignazione dei dottori della legge. La risposta di Gesù è chiara: egli non dà importanza alle scritture come sono interpretate dagli scribi e dai farisei, ma sottolinea che è venuto in qualità di Salvatore e perciò si occupa espressamente delle pecore perdute della casa di Israele. I fatti ci dimostrano che i pubblicani come altre persone, rigettate dai capi... sono di animo più aperto e più preparati ad accogliere Gesù. Sanno di poter essere salvati solo per una grazia e quindi accolgono l‟ammonimento di Gesù alla conversione: “In verità vi dico: i pubblicani e le meretrici arriveranno prima di voi al regno dei cieli...”. La chiamata di Levi fra i Dodici dice chiaramente che Gesù è stato mandato a tutto intero Israele... Nel nostro caso è di capitale importanza che anche il Pubblicano sia ugualmente atto a far parte della cerchia dei Dodici, e per la sua pronta risposta e l‟immediato distacco dal potere del denaro merita maggiore ammirazione degli altri chiamati. Che chiami un povero e miserabile... nessuna meraviglia...


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Che chiami un ricco e risponda subito, è un grande evento! Ma, che chiami un peccatore pubblico, c‟è solo spazio per la potenza di Dio. Infatti la chiamata di Gesù rende gli interessati capaci di diventare suoi discepoli, e per il fatto stesso che Gesù chiama, il chiamato è costituito suo discepolo senza alcun riguardo a presupposti umani e religiosi. Avviene proprio l‟opposto di ciò che avviene nei rapporti umani, perché coloro che avrebbero dovuto essere i primi a credere in Gesù e sembravano anche i più adatti, si irrigidirono di fronte alla sua chiamata e alle sue esigenze naufragando miseramente. Così fu per i devoti, i giusti, i dottori, i capi religiosi. Vedi le parabole: - fariseo e pubblicano - Lc. 18,9-14; - il convito delle nozze regali - Lc. 14,15-24; Mt. 22,1-14; - i vignaioli malvagi - Mc. 12,1-12. E il contenuto di questo argomento viene poi elaborato nelle scene di vocazione già considerate. Gesù chiama senza nulla chiedere e nulla obbiettare; senza mostrare titubanza alcuna, e i chiamati lo seguono immediatamente. Gesù è qui rappresentato come un viandante che lungo il suo cammino sorprende un uomo nelle sue occupazioni ordinarie e lo chiama con una forza irresistibile. Gesù passa, vede, chiama e il chiamato lo segue immediatamente senza fare obiezioni. Ebbene questo schema fondamentale ritorna in tutte le narrazioni. È dunque la chiamata di Gesù che trasforma il chiamato in suo collaboratore. Chi è chiamato non deve preoccuparsi della sua vocazione per certe sue deficienze. È la chiamata a compiere l‟essenziale; essa non opera solo sulla volontà, ma anche sulla esecuzione - (Fil. 2,13). Tutto questo è rappresentato nella scena di Pietro che cammina sulle acque, in Mt. 14,20-31: “ Subito dopo (la moltiplicazione dei pani) ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull‟altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: “È un fantasma” e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Pietro gli disse: „Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque‟. Ed egli disse: „Vieni!‟. Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento s‟impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: „Signore, salvami!‟. È subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: „Uomo di poca fede, perché hai dubitato?‟”. La parola di Gesù sostiene il chiamato e lo rende capace di compiti che superano le forze umane, cioè essere partecipe della missione di Gesù. Ed ora dopo queste riflessioni, puoi capire da solo che tutti i muri non si abbattono con discussioni, con polemiche ma con il dialogo e la preghiera. Caro amico, se ti capitasse, per caso, di leggere queste pagine e ritrovassi te stesso con la tua libertà, potresti offrirci la tua esperienza concreta, in fatti vissuti, dove i pregiudizi sono caduti e prende posto la tua serenità. Forse oso troppo se ti attendo?


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I SEGNI DELLA VOCAZIONE Carissimo, sempre a titolo di amicizia, perché penso che tu mi voglia onorare di tale privilegio, dopo averti parlato del modo di chiamare di Gesù, oggi, vorrei offrirti l‟occasione di conoscere e verificare i segni della vocazione. Usando questo termine “Vocazione” vorrei aprirlo a tutte le possibilità, considerando le varie scelte che ogni persona si accinge a fare. È bene ricordare che il discorso sulla vocazione va considerato come missione, o meglio come servizio nella Chiesa in quanto battezzato e nella società in quanto tuo ambito di vita quotidiana. Penso che anche tu voglia legittimamente conoscere qualche utile indicazione per orientare le tue scelte nel modo migliore. Tutti ritengono che il tema dei segni sia necessario, tanto più che è un tema d‟obbligo in questa materia. Vorrei togliere ogni ambiguità. Infatti c‟è il pericolo di classificare e schematizzare applicando questi segni ai singoli casi, dimenticando che le persone non sono dei numeri. Dio ama il singolo, perciò si potrà parlare di segni soltanto nel senso di orientamento generale. Posta questa premessa ti offro qualche indicazione, lasciandoti poi alla riflessione per eventuali interrogativi che potranno nascere in te. Ti aiuto: quale segno sicuro puoi avere per stare tranquillo sulle scelte della tua vita? Molti si pongono questa domanda con animo ansioso, mentre questi segni non devono creare grosse difficoltà dal momento che vocazione vuol dire vita, ossia debbo vivere con un ideale chiaro e portatore di felicità. Non esiste uno schedario su cui inquadrare tutti i casi di vocazione. Perciò va tenuto presente che la vocazione, e intendo qualsiasi vocazione, è un disegno di amore che Dio ha già posto in noi nel nostro essere, e che in circostanze concrete, veniamo a conoscere giorno per giorno. In realtà le esperienze concrete che noi viviamo o le reazioni che notiamo in noi possono costituire un appello di Dio dal di dentro. In questo modo possiamo ritenere come segni le attrattive che sorgono attraverso i nostri pensieri, e le attitudini che scopriamo in noi. Consideriamo attentamente questi due segni. 1) LE ATTRATTIVE Le attrattive possono essere il risultato quasi istintivo e irrazionale espresso nel nostro intimo che ci porta a sentirci attratti dalla vita e dal desiderio di realizzare noi stessi. Ripeto che sono il risultato di mozioni interne e tu potresti pensare di trovarti bene solo là; oppure di essere felice solo con lei. Ebbene questo fascino interiore può sorgere anche come discorso intellettivo; cioè la mente percepisce un certo determinato valore: sposarsi, farsi prete, farsi suora ecc. e lo valuta, lo pone a confronto e poi intuisce il da farsi e lo realizza. Infine la volontà illuminata dalla ragione si muove per farlo proprio. E così tu avverti di aver compiuto un discernimento da uomo maturo e intelligente. Quando sorgeranno prove o difficoltà potrai rifarti alla luce di quel momento in cui hai scelto con chiarezza di pensiero. Nella mia povera esperienza, quando incontro coppie in difficoltà o persone consacrate che vivono un momento difficile di verifica, le invito sempre ad andare alla mozione iniziale per rivivere la decisione presa. Penso poi che sia molto utile tenere presente che una attrattiva non è sempre una inclinazione sensibile; si tratta di una attrattiva a livello di pensiero e non lasciata al gioco dell‟emozione sensibile. Potrai così provare una inclinazione sensibile per una giovane e sapere che non sarai mai felice con lei perché manca questa attrattiva armonica dello spirito. Così succede per la vita religiosa: non provare gusto o inclinazione, anzi avvertirne il peso e il sacrificio.


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Ma attento ad un inganno. A volte uno pensa di avere attrattiva per la vita consacrata solo perché prova disgusto per la vita matrimoniale. Questa può essere una anomalia pesante; infatti chi non sa apprezzare le scelte altrui non ha ancora capito nulla per quella che immagina possa essere la propria. Potrai sentire inclinazione per la vita sacerdotale e contemporaneamente anche inclinazione verso il mondo. Infatti sarebbe assai pericoloso poggiare la sicurezza di una tua scelta sulla avversione che senti per un‟altra. Devi riflettere molto su questa facile confusione tra attrattiva e inclinazione, perché l‟attrattiva tocca la zona dello spirito mentre l‟inclinazione tocca la zona dei sensi. 2) LE ATTITUDINI Alle percezioni interiori debbono corrispondere le attitudini personali. Ora va tenuto presente che per attitudini ad un determinato impiego o scelta, si intendono le capacità di realizzare quella determinata attrattiva che rivelerà la verità del cammino da intraprendere. Uno non può presumere di praticare un determinato sport se non ha le forze che lo reggono in piedi. Perciò le capacità fisiche, morali, psicologiche, sociologiche sono la misura concreta per conoscere la verità delle attrattive, le quali possono anche essere rimaste nascoste nell‟intimo della persona. Spero di non averti creato confusione. Devi pensare che ogni vocazione è un poema a parte, è un mondo a parte. Dio parla e chiama adattandosi alla nostra cultura, mentalità e capacità recettiva. Per questo non è giusto vedere la vocazione come una emozione passeggera, né come una illuminazione grandiosa di Dio, ma vederla in quell‟insieme di elementi comuni che la vita quotidiana in maniera ordinaria e semplice ci propone. Per tua tranquillità mi riprometto di presentarti, nel prossimo numero di questa rivista, la dottrina del papa Paolo VI riguardo la vocazione sacra. Leggendo e meditando potrai allora dire il tuo sì o no per questo tipo di scelta. Avrai modo di verificare le tue attrattive e attitudini con molta serenità. Per ora ti pongo qualche domanda. Nella dinamica dei segni vocazionali che ho cercato di esporti che cosa ti pare di dover maggiormente sviluppare? Hai notato qualche segno più incisivo e determinante? Che ne dici delle tue attrattive e delle attitudini? Io non pretendo che tu mi risponda, ma sarei molto felice se sapessi che mi hai letto, hai meditato e cercato qualche persona illuminata che ti guidi a scelte impegnative. Ti auguro ogni bene.


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CHE COS’È LA VOCAZIONE Ai tanti amici che personalmente non conosco, ma li ritengo tali, perché so che creano spazio alla mia presenza nel loro cuore, leggendomi in questa rubrica, consegno un documento prezioso. Come avevo promesso, nel numero precedente, presento la dottrina del papa Paolo VI riguardo la vocazione sacra. Con questo non ho la minima pretesa di questuare giovani e ragazze per una consacrazione speciale. Questa è opera del Signore. Tuttavia mi piace far conoscere a quanti leggeranno questa rivista, una parola chiara e certa sull‟argomento. Oggi, in modo particolare e con molta leggerezza si privano i singoli di una dimensione umana quando ci interpellano su una scelta che impegna tutta la loro vita e impediamo che vengano a conoscenza della possibilità di un impegno più qualificante con una consacrazione speciale. La parola del Papa ci guidi. A tutti gli amici auguro una buona lettura e ogni bene dal Signore.

DAGLI INSEGNAMENTI DI PAOLO VI È un dialogo È un dialogo tra il Divin Maestro e l‟anima privilegiata. Voi sapete bene come codesto dialogo si chiama. Si chiama la vocazione. Ognuno di voi la custodisce nel cuore, come il segreto della sua vita, come la direzione del suo avvenire, come la forza del suo operare: “Vieni e seguimi” (4 novembre 1963, ai seminaristi). È una rinuncia, impopolarità, sacrificio Beati voi, figliuoli, che sapete quale aspetto assuma, oggi, l‟attrattiva della vocazione ecclesiastica: non è la consuetudine dinastica, certamente, non l‟interesse del quieto vivere in un buon beneficio, non la prosperità di onori clericali, non la volontà altrui che si sostituisca o prevalga su quella del candidato, o nemmeno il disgusto pessimista di un mondo insopportabile, o la delusione di speranze cadute, che vi tracciano la via che conduce al seminario; e neppure quelle più nobili della cultura o dell‟arte, che possono per sé comporsi in via subordinata con le attrattive autentiche che fanno di voi gli alunni del seminario, sono quelle paradossali del seguace di Cristo che ha detto: “Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mat. 8,34). La vocazione oggi vuol dire rinuncia, vuol dire impopolarità, vuol dire sacrificio. Vuol dire la preferenza della vita interiore a quella esteriore, vuol dire la scelta di una perfezione austera e costante in confronto con una mediocrità comoda e insignificante; vuol dire la capacità di ascoltare le voci imploranti del mondo, la voce delle anime innocenti, di quelle sofferenti, di quelle senza pace, senza conforto, senza guida, senza amore, e insieme la forza di far tacere le voci lusinghiere e molli del piacere e dell‟egoismo. Vuol dire comprendere la dura, ma stupenda missione della Chiesa, oggi più che mai impegnata a insegnare all‟uomo il suo vero essere, il suo vero fine, la sua sorte, e a svelare agli spiriti le immense, le ineffabili ricchezze della carità di Cristo (4 novembre 1963, ai seminaristi).


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È una risposta di amore La risposta della divina vocazione è una risposta di amore all‟amore che Cristo ha dimostrato in maniera sublime (Giov. 3,16; 15,13); essa si ammanta di mistero nel particolare amore per le anime alle quali egli ha fatto sentire i suoi appelli più impegnativi. La grazia moltiplica con forza divina le esigenze dell‟amore, che quando è autentico, è attuale, è totale, esclusivo, stabile e perenne, stimolo irresistibile a tutti gli eroismi... (24 giugno 1967, Enc. Sacerdotalis Coelibatus, 24). È una grazia non di tutti, ma di molti La vocazione è una grazia che non è di tutti, ma può essere ancora oggi di molti. Di molti giovani forti e puri; di molte anime che hanno l‟ansia della bellezza superiore della vita, l‟ansia della perfezione, la passione della salvezza dei fratelli; di molti spiriti che nella loro stessa timidità e umiltà sentono scaturire la forza che rende tutto facile e tutto possibile: “Tutto posso in Colui che mi sostiene” (Fil. 4,13) (5 maggio 1965, Ud. gen.). È segno della presenza di Cristo nel mondo ... Questa presenza di Cristo nel mondo, nella storia, nelle anime, ci è significata senza clamore e senza gloria, ma con la insuperabile bellezza umana e spirituale, da umili uomini e donne, che percepiscono la voce ardente del Maestro invitante e incitante: “Vieni!” e che si strappano alle loro famiglie, alle loro occupazioni, alle terrene speranze, e partono alla ventura nel sogno paradossale e sublime di convertire il mondo e nella previsione di dover faticare, soffrire, morire, senza lode mondana, senza premio umano, senza sapere che cosa sarà di loro; anime eroiche votate a Cristo, votate all‟amore! (26 ottobre 1966, Ud. generale). La vocazione in senso largo... Questo termine di “vocazione” ha un significato molto ampio e si applica a tutta l‟umanità alla salvezza cristiana (cfr. Gaudium et spes, 13, 19, 21), ma si specifica poi in ordine a particolari attitudini e a particolari doveri che determinano la scelta che ciascuno fa per dare alla propria vita un senso ideale: ogni stato della vita, ogni professione, ogni dedizione, può essere caratterizzata come vocazione... (5 marzo 1967, messaggio alla Congregazione dei seminari per la giornata delle vocazioni). ... e in senso stretto Ma la parola “vocazione” acquista una pienezza di significato, che senz‟altro tende a diventare, se non esclusivo, specifico e perfetto, là dove si tratta di vocazione doppiamente speciale: perché viene da Dio direttamente, come un raggio di luce folgorante e più intimi e profondi recessi della coscienza; e perché si esprime praticamente in una oblazione totale d‟una vita all‟unico e sommo amore: a quello di Dio e a quello che ne deriva e fa tutt‟uno col primo, dei fratelli. La vocazione in questo senso speciale è un fatto così singolare e così delicato, così sacro, che non può prescindere dall‟intervento della Chiesa. La Chiesa lo studia, la Chiesa lo favorisce, la Chiesa lo educa, la Chiesa lo verifica, la Chiesa lo assume (ivi). È un’oblazione libera La necessità (delle vocazioni sacerdotali) derivante dal piano divino, viene a confronto con la libertà sul piano umano. Perché per libertà qui intendiamo l‟oblazione personale e volontaria alla causa di Cristo e della sua Chiesa. La chiamata si commisura con la risposta. Non vi possono essere vocazioni se non libere: se esse non sono, cioè, offerte spontanee di sé, coscienti, generose, totali oblazioni diciamo: qui sta praticamente il vero problema, il mondo della religione non ha più le suggestive attrattive d‟un tempo; in certi ambienti è un mondo screditato dall‟ateismo ufficiale e di massa, o dall‟edonismo diventato ideale di vita; è un mondo senza risorse economiche e senza gloria; è un mondo reso quasi incomprensibile alla psicologia delle nuove generazioni (19 aprile 1968, Messaggio per la giornata delle vocazioni sacerdotali).


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... Risulta che il sacrificio dell‟amore umano come è vissuto nella famiglia, compiuto dal sacerdote per amore di Cristo è in realtà un omaggio singolare reso a quell‟amore. È universalmente riconosciuto, infatti, che la creatura umana ha sempre offerto a Dio ciò che è degno di chi dona e di chi riceve (Enc. Sacerdotalis Coelibatus, 50).

LE QUALITÀ DELLA VOCAZIONE Convinta e libera La formazione integrale del candidato al sacerdozio deve mirare a una pacata, convinta e libera scelta dei gravi impegni che egli dovrà assumere nella propria coscienza, dinanzi a Dio e alla Chiesa. L‟ardore e la generosità sono mirabili qualità della gioventù e, illuminate e sorrette, le meritano con la benedizione del Signore, l‟ammirazione e la fiducia della Chiesa, come di tutti gli uomini. Ai giovani non verrà nascosta nessuna delle difficoltà personali e sociali a cui con la loro scelta andranno incontro, affinché il loro entusiasmo non sia superficiale e fatuo; ma, insieme con le difficoltà, sarà giusto mettere in risalto con non minore verità e chiarezza la sublimità della scelta, che se da una parte provoca nella persona umana un certo vuoto fisico e psichico, dall‟altra apporta una pienezza interiore capace di sublimarla dal profondo (Enc. Sacerdotalis Coelibatus, 69). Personale In concreto, la vocazione divina si manifesta in un individuo determinato, in possesso di una propria struttura personale, alla quale la grazia non usa fare violenza. Nel candidato al sacerdozio, perciò, si deve coltivare il senso di ricettività del dono divino e della disponibilità nei confronti di Dio, dando essenziale importanza ai mezzi soprannaturali (Enc. Sacerdotalis Coelibatus, 62). Interiore Se davvero è lo Spirito Santo che anima la Chiesa e nella Chiesa egli suscita i suoi ministri, i suoi apostoli, che hanno missione e potere di chiamare lo Spirito Santo, affinché vivifichi e santifichi la Chiesa stessa, questo prodigio qui (a Roma nel giorno di Pentecoste) ha la sua espressione più ricca e più commovente... (6 giugno 1965, Omelia in San Pietro). Corroborata da capacità umane corrispondenti Ma a proposito della vocazione divina al sacerdozio... giova avvertire che essa non riguarda soltanto la facoltà spirituale dell‟eletto, cioè la sua intelligenza e la sua libera volontà, ma si estende altresì alle sue facoltà sensitive e del corpo stesso, affinché tutta la persona sia resa idonea al valido e degno adempimento degli ardui compiti del sacro ministero... Non è pertanto da pensare che Dio chiami al sacerdozio fanciulli o giovinetti, i quali o per difetto di sufficienti doti di mente e di cuore, o per evidenti tare psicopatiche, o per gravi difetti organici, non fossero poi in grado di soddisfare debitamente ai loro diversi uffici e di osservare gli oneri congiunti allo stato ecclesiastico (Lett. ap. Summi Dei Verbum, 4 novembre 1963, 13). Diventa certa per la “chiamata” del vescovo Se per l‟accettazione in seminario è sufficiente che i giovanetti rivelino almeno un primo germe di retta intenzione e di indole idonea al ministero sacro, per l‟ammissione agli Ordini, e specialmente al presbiterato, i candidati devono mostrare al vescovo o al superiore regolare una maturità tale di santi propositi e di progresso nella pietà, nello studio e nella disciplina, da infondere in essi la certezza morale che davanti a loro sta l‟eletto del Signore. Quale tremenda responsabilità è quella dell‟Ordinario, cui spetta il dovere di pronunziare il giudizio definitivo sui segni della vocazione divina dell‟ordinando a cui è riservato il diritto di


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chiamarlo al sacerdozio, rendendo così autentica ed operante davanti alla Chiesa una chiamata divina che è andata lentamente maturando! (Lett. ap. Summi Dei Verbum, 4 novembre 1963, 16). La retta intenzione Un quesito si somma importanza: Qual è il segno più caratteristico e indispensabile della vocazione sacerdotale?... Esso è indubbiamente la retta intenzione, la volontà cioè chiara e decisa di consacrarsi interamente al servizio del Signore (Lett. ap. Summi Dei Verbum, 4 novembre 1963, 15).


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CHE COS’È LA VOCAZIONE II LA VOCAZIONE È GESÙ Caro amico, io non so se tu mi abbia seguito sempre in questa piccola catechesi e abbia presente il cammino fatto in precedenza; se così fosse non dovrebbe risultarti difficile seguirmi in questa ulteriore riflessione. In queste pagine vorrei esporti una piccola sintesi della vita cristiana. Nell‟articolo precedente ti ho esposto con la parola del Papa Paolo VI sulla vocazione, le varie definizioni che il Papa ci ha offerto su questo argomento di capitale importanza. Paolo VI ci dice: - La vocazione è un dialogo, è una rinuncia, è una risposta di amore, è una grazia; è un segno della presenza di Gesù. Ebbene, oggi, azzarderei dirti che la vocazione è Gesù. Ecco la vera sintesi che ti vorrei proporre. Nel suo rinnovamento, la Chiesa ha operato in tutti i campi delle armonie di pensiero che fanno capo alla persona di Gesù. Proviamo insieme a penetrare questa realtà: la vocazione è Lui. Con ciò non intendo dirti che tu per essere suo vero amico debba per forza di cose lasciare tutto e chiuderti in un convento; asserendo che Gesù è la vocazione intendo dirti che ogni esistenza è una risposta a Gesù, come Gesù è una risposta al Padre; è il “sì” al Padre. Ed allora si potrebbe dire che il nostro vivere è il “sì” a Gesù il quale ripete sempre: “Vieni e seguimi” in qualunque scelta tu faccia. Infatti ogni cristiano, suo seguace, deve impegnarsi in qualche modo. Ci sono alcuni che si impegnano a tempo pieno con una consacrazione speciale, mentre una cerchia più ampia rappresenta coloro che vivono nella vita matrimoniale o sociale, ma tutti traggono vigore dal Signore Gesù. Vediamo di spiegarci. San Paolo nella lettera ai Filippesi (1,21) ha detto: “Per me vivere è Gesù”. Questo è il disegno di Dio: tutto attraverso il Signore Gesù, totale comunione con Lui. In Lui Dio ha voluto ricostruire l‟umanità rendendola partecipe della sua divinità. Per questo possiamo affermare che ogni chiamata ha come meta finale di associarci alla persona del Figlio suo, Gesù. Approfondiamo ancora il concetto. Se io dovessi chiederti: Chi è Gesù per te? - Potresti dirmi: è un grande personaggio che ha compiuto una missione spirituale ed è tonato a Dio. - Oppure: è una devozione che ho appreso fin dall‟infanzia. - O ancora, almeno per molti oggi, è un rivoluzionario nel campo sociale. Ma nulla di tutto questo ha a che fare con il vero Gesù. Gesù va visto come una nuova creazione che inaugura una fase particolare della storia umana. Egli è l‟umanità in cammino e il cristiano deve sentirsi pienamente associato in Lui. Dio Padre ci ama in Lui, per questo possiamo ripetere serenamente che la vocazione di ogni uomo è Gesù, sia pure in forme diverse. Ma ora incombe in noi una risposta che consiste nel riprodurre lui come modello perché ognuno è chiamato a conformarsi al Cristo. Ed ecco la sintesi annunciata: C‟è una vocazione universale alla persona di Gesù. Non è giusto pensare che la vocazione al Cristo sia privilegio di alcuni, perché il legame a Cristo fa sì che l‟umanità intera sia famiglia sotto la stessa paternità di Dio. Qualche domanda potrebbe aiutarti ad approfondire questo discorso che a prima vista potrebbe apparire troppo intellettuale su Gesù vocazione universale. Cosa vorresti dire tu di più vivo e penetrante?


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Ti pare che il cristiano conosca e viva questa spiritualità incentrata in Gesù? Perché si sviluppa con fatica una dinamica vocazionale nella nostra società? Perché questa crisi di vocazioni consacrate e matrimoniali, se oggi veramente riassumiamo tutto nella persona di Gesù? Potresti farti aiutare da qualche sacerdote per approfondire questo tema che mi pare sia di capitale importanza. Se per caso qualcuno si imbattesse in questa modesta riflessione e avesse la pazienza di leggerla per intero potrebbe giungere alla scoperta di qualche novità da aggiungere al suo vivere quotidiano. A tutti lo auguro di cuore da vero amico.

CHIAMATI DA UN AMORE PIU’ GRANDE

Caro amico non ci siamo mai incontrati né sentiti per telefono eppure ti considero un attento lettore o lettrice di questa breve riflessione che puntualmente tu puoi trovare tre volte all‟anno su questa rivista. La nostra conversazione sia pure ideale, perché manca l‟incontro personale, assume contorni sempre più vivi e diventa a noi familiare. Sarebbe cosa buona se tu creassi l‟occasione di dialogare con passione su questo tema con qualche tuo amico di studi, di lavoro o altri incontri all‟oratorio parrocchiale. Infatti questo tema riassume la tua esistenza e può invitarti a misurare le tue forze e scoprire i tuoi ideali. Perciò tieni bene a mente che quanto più alto e nobile sarà il tuo ideale tanto più cresce la tua personalità. Non devi mai arrenderti; devi aspirare a mete sempre più alte, perché chiudendoti in te stesso, correresti il rischio di rimanere uno dei tanti nell‟elenco degli anonimi, mentre devi essere te stesso e curare la tua individualità e diversità. Hai ricevuto tanti doni, ed ora devi donare. Solo donando si diventa grandi; e grandi ci vuole il Signore. Avrai notato che queste riflessioni sono tutte indirizzate al concetto di vocazione, cioè a quell‟impegno quotidiano che ognuno può raggiungere camminando alla luce di Dio. E guidati da questa luce possiamo allargare gli orizzonti. So che ad alcuni, questo non piace e forse non lo vorrebbero neppure accettare, perché oggi va di moda il disimpegno. Altri che sono proiettati verso un unico ideale potrebbero essere tentati di sminuire quella stima che hanno del termine vocazione, dal momento che lo applicano sempre e solo a coloro che scelgono il seminario e pensano di consacrarsi a Dio con un amore diretto e personale. E così c‟è il pericolo di pensare alla vocazione sacra in forma riduttiva, ossia destinata solo a chi ha scarse possibilità di altri ideali, mentre bisogna sentire e coltivare in sé un amore più grande. Per questo è necessario riconoscere che la sublimità di una missione dipende dalla vita interiore che uno ci mette dentro. Infatti come Dio sceglie che alcuni diventino suoi ministri per perpetuare la sua presenza eucaristica (i sacerdoti) così ha voluto che ci fossero anche altre persone per perpetuare la vita fisica nel mondo. Io penso ai miei genitori. Se esisto e sono sacerdote lo debbo a loro che mi hanno generato. E come è vocazione la mia scelta di essere sacerdote così deve essere considerata scelta vocazionale quella del matrimonio. Si tratta sempre di una missione a cui Dio chiama e in cui Dio stesso entra con la sua potenza. Di qui scorgi quanto la via scelta dai nostri genitori meriti la massima stima ed esiga una spiritualità profonda. Infatti ogni vero amore è una creazione. La scoperta di Dio o di una creatura ti porta


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automaticamente a scoprire te stesso. Allora nasce la coscienza di un amore che deve far parte della tua vita. Ricorda bene che la tua scelta, qualunque essa sia, non richiede che tu sia senza difetti per realizzare la vita, ma conosciuti questi difetti tu ti possa impegnare e diventare migliore. Qualunque scelta tu faccia, devi misurare la tua capacità di amare, perché facilmente ci si può illudere sulle profondità dell‟amore. L‟amore non è sentimento ma è capacità di donare. Ed allora che dire? L‟amore è profondo quando diviene spirito e diventa messaggio dell‟anima. Bisogna aiutare ogni scelta a completare questo cammino che si svolge sempre in tappe diverse. Ti richiamo tre tappe che ritengo molto importanti: 1 - Rispettare i tempi: le grandi cose non si improvvisano mai. Quanto più si presentano in forma seducente tanto più hanno bisogno di riflessione, di dialogo e di guida. 2 - Rispetto della realtà. Puoi essere sensibile, volitivo, spirituale, tendente al soprannaturale, ma se tutto questo ti ossessiona tanto da impedirti di attendere al dovere quotidiano, studio, lavoro, o altro, è segno che manca di profondità anche se tu pensi di averla, e in realtà non è in te, ma fuori di te. 3 - Rispetto di te stesso e della tua missione. L‟amore di sua natura mira a diffondersi, ad uscire da se stesso, ad aprirsi agli altri. L‟egoismo entra dovunque, e in particolare modo nell‟amore. Perciò si tratta di armonizzare la due tendenze naturali che sono in te: - il bisogno di realizzare te stesso; - e il bisogno di scambi vitali, di contatti umani, di apertura, di donazione e comunione. Perciò non dimenticare: l‟egoismo contamina te e la tua capacità di amare. Infatti l‟amore è una realtà fragile, proprio perché è un messaggio di Dio all‟uomo. La sua sorgente è sempre il divino anche quando abita nell‟uomo, ma l‟egoismo lo può rendere impotente. Ho cercato di proporti questa ulteriore riflessione con parole semplici e tu potresti approfondirla dialogando con i tuoi genitori, con un sacerdote di tua conoscenza o con qualche altra persona e chiederti: è vero che un amore profondo è destinato a diventare vocazione? E quale in particolare? Secondo te, che cosa è più importante, vivere nell‟anonimato senza impegno, nella tua tranquillità oppure lottare per vincere ogni difficoltà e chiusura? Hai qualche esperienza concreta da offrire per ampliare queste riflessioni?


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