Vivere Cantando l' Amore

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Presentazione Ecco qui un'altra pregevole biografia di san Luigi Orione, fondatore della “'Piccola Opera della Divina Provvidenza” e delle “Piccole suore missionarie della carità”. Egli stesso si è definito “un cuore senza confini” e “il pazzo della carità”: sintomatica consapevolezza di una sterminata azione di amore verso i fratelli, in nome di una sconfinata fede nella bontà di Dio e nella costante ricerca della sua volontà, Don Orione che suggeriva ai suoi di avere "il coraggio del bene.", in questa impresa si mostrò degno corifeo alla testa di innumerevoli schiere di figli e figlie, di estimatori ed amici, ed ora di sinceri devoti che ne ammirano la gigantesca statura morale e la santità sancita dall'infallibi1e autorità della chiesa. E' per questo che la bibliografia sul conto di lui e della sua Opera è veramente imponente e, si può dire, si accresce continuamente di nuovi apporti, segno evidente di un interesse che, gli anni - egli è morto più di sessant'anni or sono - non solo non hanno oscurato il ricordo delle sue mirabili imprese nel campo dell'apostolato cattolico, in particolare della carità sotto tutte le forme, ma sembra abbiano circondato di un crescente e luminoso interesse la sua figura e le sue realizzazioni, Anche la biografia che qui si presenta ne è palese riprova. Sbaglierebbe tuttavia chi pensasse che quest'ultima possa essere messa semplicemente accanto alle altre numerose che l'hanno preceduta, senza particolare novità. La biografia scritta con amore di figlio da don Campagna, già discepolo del sottoscritto in anni lontani, si distingue - ed il lettore se ne accorgerà immediatamente - per scorrevolezza di stile, rapidità di narrazione e, soprattutto, per una curatissima informazione - Devo ammettere che dal suo antico maestro il biografo ha appreso quella "curiositas" che lo ha sospinto a vagliare, come pochi altri, tutte le fonti e a disporle in una ben ordinata narrazione che non può non suscitare vivissimo interesse. “Vorrei soggiungere che il discepolo, abilitatosi


all'uso di tutti gli strumenti che la tecnica moderna mette a disposizione di chi voglia seriamente documentarsi, ha di gran lunga superato il maestro che sinceramente si congratula con lui... ". Le numerosissime citazioni testuali delle parole e degli scritti del biografato, con preciso rimando alle fonti, la copiosa ricchezza, di aneddoti che si susseguono con incalzante consequenzialità fanno di queste pagine un prezioso ed indispensabile strumento per la conoscenza di un Grande, che ha onorato come pochi la recente storia della chiesa, Non, quindi per ripetere un abusato luogo comune, dirò, con piena conoscenza di causa e con intima, soddisfazione, che queste pagine colmano un vuoto e tra le altre biografie, pur commendevoli, meritano un posto di tutto rilievo. Non ultimo pregio di questa pubblicazione è la sua mole non eccessiva che si presta ad essere… sorseggiata da tutti, anche da coloro che dicono di non avere molto tempo a disposizione. Don Campagna, inoltre, anziché abbandonarsi come spesso i biografi sono tentati di fare, a considerazioni moralistiche ed ascetiche, ha lasciato parlare lodevolissimamente í fatti e i documenti, riferiti con quella freddezza che uno storico serio deve ad ogni costo mantenere. Dobbiamo dunque essere grati all'autore di queste pagine dalle quali balza viva, affascinante, attuale una figura eccezionale di Santo e di Apostolo a cui tutti possono guardare, non solo con ammirazione, ma con l’ntento di seguirne le orme, in quella strada dell'amore sulla quale l’umanità attuale è chiamata a ritrovarsi, se vuole rinfocolare la speranza di un mondo migliore. Isernia 16 maggio 2005 + Andrea Gemma vescovo


1 ARCANGELO CAMPAGNA

“DARE LA VITA CANTANDO L’AMORE” vita di s. Luigi Orione


2 CAPITOLO I:

IL NIDO

“Si era nell’anno 1848, e passavano a Pontecurone, mio paese, i soldati che andavano alla guerra. Una truppa si fermò nell’abitato ed alcuni militari andarono a mangiare ad un’osteria, dove mia madre faceva da cameriera. Nel vedere quella fanciulla che serviva a tavola con sveltezza, alcuni di quei soldati si permisero di dirle qualche parola un po’ libera… Ella lasciò andare uno schiaffo al soldato più vicino e tacita, continuò nel suo lavoro: Le dissero dopo, che il colpito si chiamava Vittorio D’Urion. Mio padre fece poi otto anni di soldato. Ritornato a Tortona, andò a Pontecurone a vedere se quella cameriera fosse ancora libera, pensando tra se: quella giovane deve essere con la testa a posto!”.1 *** Le cose vanno proprio secondo i suoi desideri. La ragazza, ancora libera, dopo un periodo di reciproca conoscenza, accetta di sposarlo. L’undici febbraio del 1854, lo stesso giorno dell’apparizione della Madonna alla piccola Bernardetta, Vittorio Orione e Carolina Feltri si uniscono in matrimonio a Pontecurone nella chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta. Vittorio Orione, tortonese, di statura bassa, robusto, con barba folta secondo la moda del tempo, si dichiara garibaldino. In realtà è d’animo buono, sempre disposto ad aiutare gli altri. Per nessuna cosa al mondo si sarebbe permesso di fare del male a qualcuno. Il lavoro di selciatore di strade, duro e poco redditizio, non gli permette l’ozio, il pettegolezzo, e tanto meno le alte disquisizioni della politica. L’anticlericalismo dilagante condiziona la sua pratica religiosa, ma non ne compromette la 1

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3 fede e l’onestà. Quando sarà il momento, non solo non ostacolerà la scelta vocazionale del figlio, ma chiederà a lui coerenza e fedeltà assoluta: “sacerdote sì, ma vero sacerdote!”. Carolina Feltri, nata a Castelnuovo Scrivia, unisce in se la più squisita dolcezza insieme ad una determinazione altrettanto accentuata e forte. Rimasta orfana in giovane età, deve darsi da fare insieme alla madre e alle due sorelle, per guadagnarsi da vivere. In paese tutti le conoscono e le stimano per la loro instancabile laboriosità, rettitudine morale e la testimonianza di una fede robusta e coerente. Carolina non ha né i mezzi né il tempo di frequentare la scuola. Non sa leggere, non sa scrivere, ma in ogni circostanza si dimostra donna saggia e prudente. La famiglia Orione sceglie come residenza Pontecurone, piccolo borgo tra Tortona e Voghera, in Provincia di Alessandria, a confine tra il Piemonte e la Lombardia. E’ un paese preminentemente agricolo, ma che vanta una storia gloriosa che risale ai romani e a Barbarossa. Le numerose chiese, le cappelle sparse nei vari possedimenti, e le edicole che abbelliscono parecchi edifici e abitazioni private, sono la più bella testimonianza di una religiosità dinamica e intensa. In molti paesi d’Italia fino agli anni 50, era usanza nel mese di maggio, raccogliersi davanti ad una edicola per la recita del santo rosario. A Pontecurone nell’anno 1872 l’appuntamento è presso la casa dei genitori del parroco. Tra le persone più assidue, inutile dirlo, troviamo Carolina. Terminato il mese, la strada che porta davanti all’edicola della sacra effige continua a brulicare di un andirivieni di persone. Tutti vogliono andare a vedere quella rosa che davanti alla Madonna del rosario non vuole appassire. - « Che significato avrà tutto questo, signor canonico?», chiedono incuriositi i paesani.


4 - « Penso, risponde, che la Vergine stia per concedere un grande dono al paese ! ». Forse quando il 23 giugno dello stesso anno nasce Giovanni Luigi Orione, quarto dei figli, dopo Benedetto, Alberto e Luigi morto quando non aveva ancora quattro mesi, nessuno o ben pochi ricollegano l’avvenimento. A distanza d’anni, cominciando dalla madre del parroco assidua frequentatrice alla recita quotidiana del rosario guidato con tanta devozione dal chierico Orione custode nel duomo di Tortona, diventa sempre più certo che era Luigi il dono di Maria! La famiglia Orione non ha casa propria. Si accontenta della tinaia, piccolo rustico della villa del ministro Urbano Rattazzi. Non ha rendite, non ha proprietà, non stipendio fisso. Una povertà nobile e riservata e il lavoro assiduo sono il più bell'ornamento dell’operosa famiglia. Il ministro Rattizzi nei periodi di vacanza che trascorre nella sua villa di campagna, ha modo di conoscere meglio e di apprezzare sempre più i suoi ospiti. Un giorno incontrando Vittorio con Luigino di non ancora undici mesi, lo prende in mano e lo palleggia compiaciuto. Poi rivolgendosi al papà chiede scherzando: - Che ne faremo? Un gesuita? Ne faremo un generale, soggiunse immediatamente pensando alla passata carriera militare di Vittorio. Un condottiero, sì, sarà Luigi Orione, ma non di soldati o di guerre. Sarà il condottiero dell'esercito del bene e della carità... Mamma Carolina fa quadrare i conti dandosi da fare in mille maniere: va a servire in qualche casa, va a raccogliere la legna. D'estate Va a spigolare dietro i mietitori. Deve uscire di casa presto, mentre in cielo brillano le ultime stelle. Avvolge Luigi, ancora piccolo, in uno scialle e non potendolo lasciare solo in casa, lo porta con sé. Giunta sul campo, lo adagia così


5 avvolto ai piedi di un albero per proteggerlo in qualche modo. Luigino si riaddormenta mentre la mamma comincia il suo lavoro. Così in ogni stagione. Quando poi il bambino riuscirà a muoversi a passettini rapidi, mamma Carolina lo invoglierà ripetendo: raccogli, Luigino: è pane! D'inverno, quando la campagna riposa e le serate sono lunghe e fredde, il vicinato si raduna in qualcuna delle stalle tra le più capienti. Il tepore degli animali è una benedizione, il trovarsi insieme un diversivo. Le donne fanno i loro lavoretti di cucito o a maglia. Gli uomini passano il tempo facendo qualche partita a carte. I bambini si divertono un mondo giocando con gli animali. Tra questi c'è anche Luigino. Egli ha un'attrazione tutta particolare per il mite asinello che gli piace accarezzare dolcemente. Forse pensa all'asinello della stalla di Betlemme di cui tante volte la mamma gli ha parlato. E la sua piccola ed accesa fantasia si anima di tante visioni. Ad una certa ora gli uomini smettono di giocare e le donne di lavorare e in cerchio, iniziano la recita del rosario. Luigino si accoccola accanto alla mamma e partecipa, come tutti, alla preghiera. Alla scuola della madre, dall’esempio di tanti buoni paesani, nella contemplazione prolungata delle molte e belle Madonne che adornano la sua parrocchia, impara ad amare e a pregare teneramente la Mamma del cielo. Mosso dalla stessa devozione, incurante del freddo, spesso raccoglie nei campi piccoli fiori per farne un mazzetto da portare dinanzi alla Madonna di una delle tante edicole sparse intorno al paese. Una preghiera veloce, uno sguardo pieno d’amore, e poi di corsa di nuovo a giocare.


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1 CAPITOLO II:

RINTOCCHI CELESTI

« Quando ero fanciullo, un giorno venni qui, in una viuzza che ben ricordo ancora… per andare incontro a mia madre, che doveva tornare con la fascina, alla sera. Un tempo là vi era una siepe. Avrò avuto otto o nove anni; c'erano con me altri bambini della mia età. Ad un certo punto abbiamo visto che, sulla siepe, c'erano delle bianche campanule, quelle che popolarmente si dicono le « campanelle; e ci siamo messi a coglierle. Anch'io ne colsi una, e poi, come se fossi stato a servire la Messa, al Sanctus, feci istintivamente le mosse del chierichetto che suona; e, con grande mia meraviglia, sentii quel fiore di vilucchio mandare uno squillo lieve ma sonoro, quasi fosse stato di bronzo. Non credendo alle mie orecchie ripetei il gesto, e di nuovo il fiore suonò, tra lo stupore dei compagni che erano corsi intorno a me, meravigliati che il loro, che avevano anch'essi staccato, non facesse altrettanto... Forse il Signore fin d'allora mi avrà voluto far intendere che sarei diventato sacerdote.1 *** La sua inclinazione alla pietà, la sua tenera devozione alla Madonna, il suo spirito caritatevole e di servizio non devono trarre in inganno. Mamma Carolina che lo conosce bene vigila e guida con mano ferma quel figlio piuttosto irrequieto e ribelle. A sei anni comincia a frequentare le scuole elementari. Segue volentieri e con profitto le lezioni, ma il maestro non fa in tempo a dare il segnale della fine che, Luigino in testa ai compagni, tra spinte e strattoni si fa spazio per uscire tra i primi e correre spensieratamente sulla strada. 1

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2 Ben presto emerge tra i coetanei per intelligenza e vivacità. E’ un trascinatore nato. I compagni lo seguono volentieri anche quando al termine del giuoco o di qualche originale avventura, li invita ad entrare in chiesa per una breve preghiera, o a rendere omaggio alla Madonna in qualche edicola campestre. Del resto in un paesino le attrattive non sono molte e la giornata diventa facilmente monotona. I ragazzi scatenando la loro fantasia, si ingegnano a riempire il tempo in mille maniere. Luigino non si tira indietro, anzi spesso e volentieri rimane al centro della situazione. Se gioca, è per vincere, se discute è per aver ragione. E se a volte con i grandi non riesce a spuntarla con le buone maniere, ricorre senza paura, a metodi più decisi e meno ortodossi che gli meritano l’appellativo di “gatto selvatico”. Gli adulti, più benevolmente lo chiamano “capo Barabba”. Generalmente è obbediente. Con una mamma così forte, impegnata ad arginare e orientare nel bene tutte le energie del figlio, non gli resta molto spazio… Qualche volta, preso dalla foga del giuoco, tenta di fare il sordo. Carolina senza troppi complimenti passa ai fatti. E don Orione, riconoscente da adulto, commenta: “furono sante botte”. Morto il ministro Urbano Rattizzi, la famiglia Orione è costretta a cercare un altro alloggio. Affitta alcune camere di uno stabile vicino all’ospedale. Il cortile, dal fondo sconnesso, chiuso tra case e stalle, è il luogo di ritrovo abituale dei bambini che vi abitano e di altri che accorrono richiamati dalle spensierate grida e allegre risate. Un giorno, quando sembra meno entusiasmante il giuoco, qualcuno cerca inutilmente Luigino, anima di tutti i divertimenti. Dove sarà andato? Improvvisamente si apre una finestra, un grido di richiamo, e lo spettacolo inizia. Dopo ore e


3 ore di lavoro nascosto, con sorprendente abilità muove i suoi burattini. Un modo nuovo, originale per divertire i coetanei e tenerli lontani da occasioni pericolose. A volte la ressa è troppa, lo spazio insufficiente, la vivacità incontenibile, e allora i ragazzi, come onda, si accavallano rincorrendosi per le vie del borgo. Gli adulti guardano da lontano, ma si tranquillizzano quando riconoscono a capo della banda il figlio di Vittorio e Carolina, vivo e spensierato si, ma anche onesto e pio. L’anno scolastico, caratterizzato da buoni risultati, ma anche da molte e forzate assenze per guadagnare un pezzo di pane, è terminato. Il caldo si fa sentire, alcuni fortunati hanno lasciato il paese per respirare l’aria fresca delle colline adiacenti. Luigino una mattina, si aggira per le vie del paese in cerca di qualche amico con cui giocare. Ma passando davanti all’osteria, vede un nutrito gruppo d’uomini oziosamente seduti all’esterno del locale. Bisogna convincerli a non perdere tempo in chiacchiere inutili. Senza fermarsi a valutarne le conseguenze, cerca una lunga ramaglia e correndo avanti e indietro alza un polverone tale da costringere gli sfaccendati a saltare in piedi. Vorrebbero dare al monello una buona lezione, anzi qualcuno tenta di rincorrerlo, ma il disturbatore della quiete ha fatto in tempo a darsela a gambe. E’ sorprendente vedere questo monello scalzo e scamiciato, per nulla remissivo, dimostrare altrettanta determinazione, energia, entusiasmo nelle realtà spirituali. Durante il giorno entra volentieri in chiesa, frequenta la messa domenicale e, da chierichetto, anche quella quotidiana. Secondo l’usanza del tempo, la domenica pomeriggio partecipa sempre al canto dei vespri e alla dottrina. Serve volentieri


4 all’altare, aiuta gli altri chierichetti, legge, canta e quando gli è concesso suona con maestria le campane. Il Signore lo prepara segretamente alla futura missione. Forse Luigino sogna, ma per ora deve fare i conti con la più dura realtà. La famiglia è povera, le esigenze aumentano, c’è proprio bisogno che tutti facciano la loro parte per tirare avanti. Anche se con dispiacere, Vittorio decide di ritirare il figlio dalla scuola e portarlo con se come aiutante selciatore. Deve sgomberare e portare pietre, tirare il carretto carico dei martelli, dei pistoni e della mazzeranga. Per due anni accompagna il padre sotto le dipendenze dello zio Carlin nel tortonese e per un altro anno nel Monferrato sotto la direzione del cugino Giacomo. Dopo Pasqua o all’inizio d’aprile parte la carovana lavorando fino ai primi di novembre. Il lavoro è duro, la scuola e la lettura sono un ricordo, il divertimento, la compagnia appartengono ad un lontano passato. Ma Luigino non subisce la sorte, è contento e segue di buon animo il padre per sollevarlo dalla fatica e rendersi utile alla famiglia. Si abitua alla fatica e alla privazione. Nato povero, fa esperienza diretta del sacrificio, del lavoro; assapora l’umiliazione retaggio della povera gente. Questa, è sublime scuola di vita che lo rende idoneo al futuro impegno apostolico. La povertà, la privazione sì, ma la bestemmia proprio no. “Nella diocesi di Acqui, racconta, mi ricordo che stavamo facendo il selciato davanti a una chiesa e avevo compagni che bestemmiavano e dicevano parolacce. Io li avevo ripresi qualche volta, ma poi li lasciai in pace perché mi accorsi che bestemmiavano per fare dispetto a me. Mi dicevano: ripeti, ripeti! Ed io invece per risposta una volta, andai di corsa, pazzie da ragazzo… - nella chiesa e mi riempii la bocca di acqua santa come per disinfettarmi la bocca…”2

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5 Qualche cosa di simile succede a Castelnuovo Calcea e in altri luoghi ancora. Il male morale non lo scalfisce, ma la tenerezza e la misericordia verso i peccatori allarga gli spazi del suo giovane cuore sempre più desideroso e determinato ad ascoltare la voce del Signore e diventare ministro del suo amore e del suo perdono. Nel periodo di interruzione della selciatura, i genitori inviano volentieri Luigino a Casalnoceto presso la zia materna Giuseppina. Di solito, dopo tanta strada a piedi, arriva sempre senza calze, tanto che cominciano a chiamarlo “Luis sanza calzet”. Quelle che per compassione gli confeziona la zia, sferruzzando nelle lunghe serate invernali, Luigino le passa a gente più povera. Una sera nel caldo della stalla, sente raccontare dell’apparizione della Madonna in una località poco distante e del santuario sorto in suo onore, ridotto ormai in un ammasso di macerie. Impressionato dal racconto sale sul terrazzo e guardando verso quel luogo prega e promette. La notte dorme poco. Al mattino quando è buio, è già sul luogo a cercare tra la neve, i ruderi del Santuario. Poi si inginocchia e prega, prega finché sente nel cuore la certezza di essere stato esaudito. E domani sacerdote, fedele alla promessa, provvede alla ricostruzione della casa di Maria. Il nuovo santuario della Fogliata viene inaugurato da don Orione con grandissimo concorso di popolo, il 21 aprile del 1907. Sotto la guida di un padre poco praticante, ma tutto cuore, e di una madre sempre attenta e serenamente disponibile a dare una mano a chi ne avesse bisogno, Luigino impara ad unire sempre di più la fede, la preghiera e la carità operosa. Il canonico don Michele Cattaneo, cappellano dell’ospedale, pur essendo di famiglia benestante vive dello stesso spirito evangelico. Amico dei poveri distribuisce loro alimentari, offre


6 ospitalità, va a trovare, accompagnato da Luigino, i malati. Abita una casa in affitto, lui che ha costruito a proprie spese e dato gratuitamente l’alloggio a tante famiglie povere! Primo impedimento all’amore non è la povertà, ma la chiusura del cuore. La gioia della vita, sgorga dalla carità. Non può essere felice, chi non si rende utile agli altri. Come sant’Antonio abate che oggi si festeggia solennemente in paese e nella chiesa dell’ospedale, Luigino sente rivolto a se l’invito a donare anche quel poco che possiede ai poveri. La mamma dopo tanto lavoro riesce a dare al figlio un paio di pantaloni nuovi. Ma Luigino non ha fatto in tempo a metterli che già li ha regalati ad uno più povero. Alla mamma che si lamenta con semplicità dice: non arrabbiarti. Io ho ancora il vestito vecchio, ma l’altro aveva freddo e non sapeva come coprirsi. Un altro giorno, di ritorno da Tortona, incrocia un anziano che cammina a fatica sotto la pioggia battente. Luigino commosso, insiste perché accetti il suo ombrello e riparte di corsa. Inutile dirlo, quando arriva a casa è bagnato dalla testa ai piedi. Mamma Carolina non si lamenta, ma in cuor suo gode e ringrazia il Signore che il figlio abbia imparato così bene le sue lezioni evangeliche.


1 CAPITOLO IV: ALUNNO DI DON BOSCO

« Quando seppi che potevo andare a confessarmi da Don Bosco, presi dei quaderni e mi misi a scrivere tutti i miei peccati… Per essere più sicuro di non tralasciare niente avevo consultato due o tre formulari stampati, che aiutavano l'esame di coscienza … Mi accusavo di tutto… A un solo quesito risposi negativamente: Hai ammazzato?- Questo no!, scrissi accanto. Frattanto, con una mano nella tasca dei quaderni e con l’altra al petto, aspettavo in ginocchio, tremando, il mio turno… Inginocchiato ai piedi di Don Bosco tirai fuori, con un certo timore, un quaderno accartocciato dal fondo della tasca e, per non fargli perdere tempo, mi misi a leggere in fretta, guardando di sottocchio per vedere l'effetto che gli faceva: lui mi stava a guardare... Voltai una pagina ancora e Don Bosco mi disse:- Bene, bene; ce n’hai ancora?- Sì - risposi… - Bene, dammi questi tuoi peccati... - Prese, quel primo quaderno, e, senza neppure vedere il resto, lo lacerò... tirai fuori l’altro; e Don Bosco mi disse: - Lascia qui anche quello... - E senza neppure aprirlo… strappò anche il secondo. - Ed ora, concluse, la confessione è fatta. Non pensare più a quanto hai scritto; quello che è stato è stato; e non voltarti più indietro a contemplare il passato. Sta allegro.1 *** I frati lo hanno allontanato. Da parte sua sente di aver fatto tutto il possibile. Non gli resta dunque, che attendere che la Provvidenza apra un’altra porta. Dove bussare per chiedere aiuto, se non alla canonica di Molino de’ Torti? La risposta è tempestiva: “Senza perder tempo, ricorda don Milanesi, 1

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2 cominciai a far pratiche per farlo accettare nel Collegio salesiano di Torino, ove venne ammesso nell’ottobre dello stesso anno”. Luigi è felice non solo perché si è aperta una nuova strada, ma anche perché il Canonico Cattaneo gli ha parlato tante volte di don Bosco e della sua opera. Al momento però di confermare l’iscrizione, la povera famiglia è davanti ad un ostacolo insormontabile. Facendo e rifacendo bene i conti e i tagli possibili, non è in grado di sostenere la retta di lire 150 più le spese varie. 2 Il problema viene risolto grazie alla collaborazione pronta e generosa della famiglia Marchese e di altre buone persone. La data d’ingresso a Valdocco è fissata per il 4 ottobre. Luigi coglie immediatamente il nesso provvidenziale : “ritengo che l’essere stato accettato da don Bosco il giorno di san Francesco sia stata una grazia che mi fece san Francesco, al quale poi restai sempre tanto, tanto vincolato”.3 Arriva dunque a Torino, frastornato dal viaggio, ma elettrizzato pensando all’imminente incontro con don Bosco. Invece don Bosco è a San Benigno per un corso d’esercizi spirituali. Dicono che tornerà presto, ma nulla di certo. In attesa di vedere il santo, Luigi osserva attentamente la vita che si svolge in Oratorio e s’inserisce progressivamente. L’ambiente risponde in pieno alle sue aspirazioni: un esercito di giovani che prega, studia, lavora, nella più grande allegria. Tutto sprizza entusiasmo, vita. Non c’è assolutamente tempo per cedere al rimpianto, alla tristezza o alla malinconia! In una fredda giornata dei primi di novembre, corre veloce la voce dell’arrivo imminente di don Bosco. E’ tutto un fermento di preparativi e d’attesa che si risolve in un’ovazione di gioia quando il santo mette piede nell’oratorio, Ricorda don 2

Tra le spese varie del periodo di Torino, quella che incide maggiormente è la riparazione delle scarpe. Segno evidente delle corse e dei giuochi animati che si svolgevano nell’oratorio. 3 Par. 4.10.38


3 Orione: “Quando don Bosco ritornò all’oratorio, sembrò che un fremito scorresse per la vita di quei mille e duecento giovani, tanti eravamo allora all’oratorio di don Bosco.”4 Luigi è cosciente delle lacune scolastiche che si porta dietro. Per colmarle aumenta l’impegno nello studio e, sotto la guida dei superiori, riesce a ricuperare così bene da essere ammesso alla prima classe ginnasiale. Non ha lasciato il paese per la scuola, ma per diventare sacerdote. Suo primo impegno dunque, rimane quello di assecondare la chiamata di Dio cercando di essere sempre più buono. Nell’oratorio ci sono tutte le condizioni per incoraggiare, favorire e sostenere tale impegno. Luigi vuole praticare la virtù, rendersi strumento di bene in mano ai superiori. Per questo si propone di abbracciare, per quanto gli è consentito, tutte le iniziative di pietà e di carità sotto l’esempio e le direttive di don Bosco e dei suoi collaboratori. Sono passati appena tre mesi da quando ha lasciato il paese per venire a Torino, ma tanta è la strada percorsa nei sentieri della crescita umana e spirituale. Da don Bosco impara ad apprezzare la cultura, la scienza, la devozione alla Madonna, l’amore e la fedeltà alla chiesa e al papa, a non perdere il tempo ed essere sempre dinamico e allegro. Una lezione particolarissima gli viene dal maestro che, senza timore, si confessa in sacrestia alla vista di tutti. La confessione frequente e l’accompagnamento di una buona guida spirituale, sono mezzi ordinari e necessari per essere fedeli alla vocazione e continuare con perseveranza sulla via del bene. Non sperando di avere come confessore e guida don Bosco, privilegio ormai di pochi, sceglie don Rua, braccio destro del santo.

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4 Inizia dunque Luigi un intenso lavoro spirituale. Ogni settimana si presenta da don Rua per la confessione. Apre il suo cuore, esprime il desiderio di diventare sacerdote, racconta il tentativo fallito presso i frati di Voghera e, forse anche il misterioso sogno dei chierici in bianca cotta… Una cosa è certa: il confessore si rende conto di aver tra mano un penitente non comune. La prudenza necessaria, l’esperienza pastorale tra i giovani, non gli impediscono di suggerire al ragazzo, solo dopo due mesi dall’entrata in Oratorio, di fare il voto di castità. “Era la festa dell’Immacolata, racconta, la mattina in ginocchio, già vestito dell'abito … del Piccolo Clero, … facevo il mio voto di perpetua castità, davanti al quadro di Maria Santissima Ausiliatrice”.5 E’ questo un punto fermo della sua vita, tanto importante da fargli asserire: “la mia vocazione è nata ai piedi della Madonna di don Bosco” Le condizioni del maestro peggiorano. Scende sempre di meno tra i giovani. E’ motivo di grandissima gioia, la sera dell’ultimo giorno dell’anno 1886, vederlo appoggiato sulla ringhiera del ballatoio che saluta, ringrazia e benedice tutti. Nonostante la malferma salute riprende le conferenze settimanali e la confessione agli alunni delle classi superiori. Vuole spendere la vita fino all’ultimo minuto per il bene e la felicità dei suoi ragazzi. Li illumina nella ricerca del progetto di Dio, e, nello stesso tempo, li aiuta e li sostiene a rispondere con generosa fedeltà. Luigi guarda con santa invidia i compagni più grandi. Desidera ascoltare, confessarsi da un uomo che, come tutti asseriscono, legge nelle coscienze e conosce i peccati di tutti. Vincendo ogni timore si rivolge direttamente a don Berto segretario di piena fiducia di don Bosco. Don Berto conosce e stima Orione; gli sembra inoltre di riscontrare in lui tutte le 5

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5 qualità che possano meritargli tale consenso: ha compiuto 14 anni, è impegnato e riesce bene a scuola, vuole diventare sacerdote ed è apostolo tra i compagni. E così sul finire dell’anno 1886, Luigi inizia a prendere parte alle conferenze e a confessarsi da don Bosco. “Don Bosco avviò l'incauto mio piede pei sentieri del sapere e della virtù; più volte mi strinse al suo petto, quando mi confessavo a Lui. Le mie lagrime bagnarono le sue guance; mi sentivo tutto infervorato... Oh! sì, se provai un non so che di celeste anche in questa valle di pianto, tutto lo debbo a Don Bosco”.6 Don Bosco ora lo conosce e gli vuole bene. Molte testimonianze fanno pensare ad una particolare predilezione, ad una visione chiara sul futuro del giovane… Due cose sono certe: quando incontra Luigi lo guarda con un sorriso di compiacenza e, in varie circostanze gli ripete: noi saremo sempre amici”: “Io non ho mai dimenticato questa grande e santa parola che Don Bosco mi rivolse, quest’espressione d'amore paterno e spirituale, quest’attestato che Don Bosco mi diede l'ultima volta, credo, che mi sono confessato: noi saremo sempre amici! Quante volte mi sono trovato in mezzo a tante peripezie, altrettante volte mi sono sentito confortare da queste parole che mi rimasero scolpite nel cuore: noi saremo sempre amici!...”7 Il 22 febbraio, ultimo giorno di carnevale, don Bosco dal suo ballatoio si ferma a contemplare i giovani scatenati nel gioco e nei vari divertimenti. Prima di ritirarsi estrae un sacchetto di noccioline e inizia a lanciarle a piene mani. Il gioco si blocca all’istante e i giovani si accalcano per raccoglierle.

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6 Non è questione di gola: sono noccioline che richiamano un’altra distribuzione miracolosa. Qualche mese prima, tornando da Lanzo, appena mette piede in Oratorio comincia a distribuire noccioline in abbondanza. Alla fine il sacchetto è ancora tanto pieno che gli consente di compiere dal ballatoio una seconda distribuzione.8 Termina l’anno scolastico a pieni voti. E’ il primo della classe, ma l’impegno non è finito. E’ scelto per frequentare la scuola di fuoco. Essa consiste nello svolgimento dell’intero programma di un anno, durante il breve periodo estivo. L’esperienza riesce ed è promosso al terzo anno ginnasiale. Nulla sfugge ad un giovane così attento, intelligente e interessato. E’ testimone dello slancio apostolico dei sacerdoti, del sistema educativo di don Bosco che va direttamente al cuore, l’organizzazione, le feste, le accademie, i canti ed altro ancora. Tutto osserva e macina nella sua mente. E’ un bagaglio prezioso che domani saprà utilizzare ottimamente. E’ usanza da don Bosco, durante l’estate, accontentare i genitori degli alunni con un breve periodo di permanenza in famiglia. Carolina riesce a trattenere il figlio qualche giorno in più. “Al mio ritorno, racconta don Orione, Don Bosco non c'era... Quando venne, tutti i ragazzi gli corsero incontro facendogli gran festa. Io pure ero nel numero, felice di rivederlo, tanto più che a me pareva di essere il suo beniamino, il più benvoluto!... Anch'io, dunque, spinsi tanto che arrivai vicino a Lui, mi cacciai avanti; e riuscii a prendergli un dito. Ma solo che Don Bosco parlava con tutti, a chi diceva una parola in italiano, a chi una in francese, a chi diceva certi ghirigori indecifrabili; scherzava con tutti; e, quando arrivava a me, saltava, senza dirmi una parola, senza 8

Don Orione aveva conservato una di quelle noccioline. La cognata, moglie del fratello Alberto, avutala in dono, se ne servì per ottenere la guarigione della figlia gravemente malata.


7 nemmeno guardarmi. E mi tenne così, si può dire, in castigo, sino alla vigilia della sua morte… Eppure …mi ero comportato proprio da buon ragazzo… Don Bosco non mi riconobbe più, non mi guardò più, fino alla vigilia della sua morte, quando mi disse: Noi saremo sempre amici...”9 Nel dicembre del 1887 don Bosco è in punto di morte. Tutti pregano per la sua guarigione, ma il male non lo lascia. La sua vita è troppo preziosa per l’Oratorio. Non bisogna arrendersi, è necessario ottenere la grazia ad ogni costo. La mattina del 29 gennaio 1888, don Gioacchino Berto celebra la santa Messa all’altare di sant’Anna e contemporaneamente sei giovani, tra cui Luigi, partecipano offrendo la propria vita in cambio di quella del maestro. I disegni di Dio erano altri. Il giorno successivo don Bosco cessa di vivere: “…mentre suonava l'Ave Maria del 31 gennaio, Don Bosco moriva. Alla mattina, di solito alle 5, suonava al campanile di Maria Ausiliatrice l'Ave Maria. Non so perchè, quella mattina, l'Ave Maria suonò alle 4 e mezza; e alle quattro e tre quarti Don Bosco moriva”.10 L’indomani la salma viene esposta in venerazione nella chiesa di san Francesco di Sales. Luigi è tra coloro che vigilano e fanno toccare al corpo del santo gli oggetti che porgono i devoti. Ad un certo punto, racconta, “mi venne in mente di toccare del pane per gli ammalati... Allora corsi in refettorio e mi misi a tagliare e mi tagliai il pollice una prima volta e non me n’accorsi. Lo tagliai una seconda volta e allora vidi che una parte del dito pendeva. Io fui fortemente impressionato, non per il pollice, ma perché Don Trione ci aveva detto che, senza quello, non si poteva essere ordinati sacerdoti; allora, come un fanciullo verso la propria madre, corsi a toccare il 9

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8 mio dito nella mano di Don Bosco ed il dito si riattaccò, e rimase la cicatrice....”11 Lentamente la vita riprende anche all’Oratorio. Don Bosco seppure in modo diverso, è presente e accompagna i suoi giovani. Luigi è una delle speranze più belle. Ha una pietà profonda e convinta, è sempre sereno e pronto al sorriso, entusiasta, paziente, collaboratore prezioso, riveste incarichi di grande fiducia, manifesta doti oratorie eccezionali, riesce ottimamente a scuola, valente attore nelle recite teatrali… Nei momenti di difficoltà prega davanti alla statua della Madonna che don Cattaneo ha regalato a don Bosco. E confidenzialmente le dice: “Cara Madonna, anche tu sei del mio paese, mi conosci... Perciò devi concedermi questa grazia della promozione, devi aiutarmi...”12 Ammesso al liceo con un punteggio molto alto, gode del buon risultato, ma è soprattutto felice perché l’entrata in noviziato corona tutti i sforzi e le sue speranze. Ma ancora una volta i disegni di Dio sono diversi: “… andai a Valsalice per gli Esercizi Spirituali, che precedevano la domanda al noviziato salesiano. Che è, che non è, io, che non avevo mai avuto dubbio sulla vocazione a farmi salesiano, proprio in quei giorni pensai di entrare nel seminario della Diocesi. Ritenni ciò una tentazione del demonio. E la combattei con tutte le forze. Peggio che peggio.. Eravamo già all'antivigilia della chiusura degli Esercizi. Ero agitatissimo. Che avrebbero detto di me i compagni, ma specialmente Don Rua, Don Barberis (il maestro dei Novizi) e gli altri Superiori? Se c'era uno sicuro, in fatto di vocazione salesiana, ero sempre stato io!... Volli consultare Don Bosco, la cui tomba era in mezzo al giardino sottostante. L'ultima notte aspettai che tutti 11 12

Nuova Doc. V, 26 Par 23. 5. 32


9 dormissero e pian pianino mi alzai e discesi. Tutta la notte restai a piangere e pregare sulla tomba del Padre amato. E restammo d'accordo così: se proprio dovevo entrare in Seminario dovevano avverarsi tre segni. Fu una ragazzata, ma tant'è...”13. E così con l’anima in pena, sospinto da una forza interiore lascia l’Oratorio e torna in famiglia. Non sarà salesiano, ma nulla andrà perduto di quanto ha appreso alla scuola di don Bosco.

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DO I, 374. Le tre condizioni: essere accettato in seminario senza fare la domanda; avere la talare senza prendere le misure; il ritorno del padre alla pratica religiosa.


1 CAPITOLO V: IN SEMINARIO A TORTONA

Avvicinandosi l'ora di indossare la veste, sentivo come una certa ripugnanza e quasi un timore di fare quel passo... mi sembrava di avere mancato di riguardo a Don Bosco per non essermi fatto Salesiano... L’ultima notte che passai a casa, invece di dormire, non feci che piangere. Finché mi addormentai. E sognai…. Mi pareva di essere a Torino, all'Oratorio di Valdocco, nel cortile di quei di quarta…. Ma non era più il nostro polveroso cortile, dove mi ero tanto divertito, poiché io ero tra i più ardenti giocatori... Il cortile era trasformato in un giardino tutto costellato di tante e tante belle piante di fiori… Nel mezzo del giardino, c'era una verde montagnola …Volli salire fino in cima per godermi di più quello spettacolo… Alzai gli occhi e vidi aperto improvvisamente l’azzurro, terso, bellissimo, del cielo, ed apparire una luce bianchissima, che si avvicinava...; e discenderne Don Bosco in persona, splendente come non lo avrei mai immaginato. Teneva spiegata tra le braccia una veste talare: quella stessa della famosa signora... In un attimo me la indossò. Non disse una parola: solo mi guardò con un sorriso dolcissimo; quello stesso che tante volte mi aveva infuso serenità e gioia, quando a lui ricorrevo con l’anima in subbuglio. Poi tutto scomparve... Mi svegliai tutto in un pianto; ma era un pianto ristoratore; finalmente ero certo che Iddio mi voleva per il Seminario”.1 *** Orione rientrato in famiglia, vive in un’attesa serena di quello che il Signore vorrà. I genitori, i compaesani vedono che

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2 non gli manca nulla per essere degno sacerdote, e non riescono a capire come mai abbia lasciato Torino. I suoi abitano ancora i locali della casa Marchesi. Luigi si rende utile in tutte le maniere. Partecipa alle sacre funzioni, si ferma a lungo, come assorto, davanti al Tabernacolo. E’ ancora gioviale e sereno, ma non più frizzante e scatenato; ci vuole poco per indovinare che mente e cuore sono ancora all’Oratorio. Manifesta al parroco e a don Milanesi la volontà di entrare in Seminario, ma non racconta le tre condizioni che ha posto: l’accettazione senza fare domanda, la veste talare senza prendere le misure e il ritorno del padre, alla pratica religiosa. Don Milanesi condivide la sofferenza del suo penitente: l’ha messo nelle mani di don Bosco, i giudizi sono tutti favorevoli, Luigi entusiasta… ma perché una così brutta conclusione! Il parroco egoisticamente, gode di questo risvolto: non gli sembra vero portare in Seminario un giovane così preparato e ricco di tante belle qualità. Felice per la confidenza fattagli, mette in movimento il suo vicario: tra giovani è più facile capirsi… Iniziano a circuire Orione prima in forma blanda, poi, con sempre maggiore insistenza. Vogliono che faccia la domanda scritta, necessaria per entrare in Seminario. Luigi prende tempo, svia il discorso, non dice di no, non fa promesse; riesce ad essere sempre generico e sfuggente. Tra un approccio e l’altro è finito l’estate. L’apertura dell’anno scolastico è imminente, non c’è tempo da perdere. Il parroco una mattina si presenta dal Rettore del Seminario, parla del giovane e gli prenota il posto. Torna in paese, va direttamente in casa degli Orione e porge al giovane uno schema di domanda perché lo ricopi e lo firmi. La risposta è vaga: vuole rifletterci bene, domani si vedrà… Un domani che non arriva mai e che fa perdere interiormente la


3 pazienza al parroco: se davvero vuole entrare in Seminario, si decidi una buona volta e faccia questa benedetta domanda! Un bel giorno, stanco di attendere, lo accompagna direttamente dal vescovo: “Questo è il ragazzo di cui tanto le parlai, Eccellenza. Non vuole decidersi a fare la domanda. - Ed io l'accetto senza domanda! risponde tranquillamente monsignor Capelli,”2 Tra i ragazzi che frequentavano il cortiletto della casa Marchesi, c’è anche Giovanni, figlio di una donna poco esemplare. Ha bisogno di ripetizione e Luigi lo accoglie e lo aiuta come fratello. I risultati sono evidenti e com’era da prevedere, Giovanni si affeziona a Luigi e non perde occasione per elogiarlo. La madre, sarta, vuole ringraziare Luigi regalandogli la prima veste talare. Carolina non gradisce l’idea che il figlio indossi un abito confezionato da una donna che non fa onore al paese. Luigi non è disposto a lasciarsi prendere le misure. Dopo ripetute e altrettanto inutili insistenze, il discorso sembra chiuso. E invece un bel giorno arriva in casa Orione una veste fiammante insieme a qualche paio di calze e il colletto. Si è avverato anche il secondo segno posto da Luigi per l’entrata in Seminario.3 Don Bosco nel sogno scioglie le ultime perplessità e il 16 ottobre del 1889 Luigi varca la soglia del Seminario. Lo accompagna la madre desiderosa di assistere alla cerimonia di vestizione. Il figlio che non conosce le abitudini, la vita del Seminario, temendo di chiedere troppo, convince la mamma di 2

Par. 4. 6. 34 E il terzo segno? Era questo: la conversione di mio padre. Intendiamoci; era un uomo della miglior pasta di questo mondo, ma di quei liberaloni cresciuti alla Rattazzi. Lasciava che mia mamma, una santa, andasse in Chiesa quanto voleva, e vi conducesse anche me; dopo che al Signore debbo proprio a lei la mia vocazione; ma lui non ci poneva piede. Ebbene, con la mia entrata in Seminario, anche il babbo divenne un cristiano praticante...” (Scr. 38-227) 3


4 tornare a casa senza attendere la cerimonia. Riceve l’abito clericale nella cappella vuota. Il Rettore conclude la cerimonia dicendo: “Adesso preghiamo insieme; diciamo tre Ave Maria: che la Madonna abbia a prenderti per mano… Fin qui, fino all'altare, ti ho condotto io; adesso lascia prenderti per le mani dalla Madonna… Se ti lascerai condurre dalla Madonna, la Madonna ti guiderà, la Madonna sarà sempre la tua luce, e farai del bene. Ti offro al Signore per le mani di Maria Santissima; non posso offrirti al Signore per mani migliori, per mani più sante e più pure, perché abbia ad essere puro e santo sacerdote di Gesù Cristo, perché abbia ad essere vero e devoto figlio di Maria Santissima... Ti lascio nelle mani della Madonna; se sarai devoto della Madonna, diventerai un buon sacerdote e farai del bene!.. abbiamo detto tre Ave Maria... Poi mi lasciò lì solo a pregare...”4 Nel pomeriggio rientrano i seminaristi dalle vacanze, carichi di valige e di nostalgia dei giorni sereni trascorsi in famiglia. L’approccio non è tra i migliori: da don Bosco c’era cordialità, accoglienza, serenità, gioia; qui tanto gelo, indifferenza e, da parte di qualcuno cattivo esempio. “…credevo di trovare, nel Seminario, tutti giovani virtuosi, e, invece, quel pomeriggio stesso del mio ingresso, due ore dopo che avevo indossato l’abito da chierico, … trovai un tipaccio di chierico che mi avrebbe voluto perfino condurre in una bettola. … mi disse: vieni che usciamo e andiamo a « paccià » (a mangiare all'osteria...) Allora, io, che avevo ricevuto da Don Bosco un senso così elevato del sacerdote, dissi subito che non vi sarei andato e cercai di tenermi lontano da lui; ma egli prese a lanciarmi delle cipolle e patate marce, che erano nell’angolo del cortile, sporcandomi anche l'abito che avevo indossato poco prima...

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5 Da Don Bosco non si sentivano certe frasi a doppio senso... Rimasi, dunque, così disingannato, che risolsi di deporre la veste e lasciare il Seminario e andarmene.... decisi di uscire alla mattina dopo, andandomene per sempre; e mentre, da Don Bosco, ero tutta vivacità, là mi chiusi in me stesso... Si andò nella sala di studio; ed io mi misi a piangere nascostamente... Ma il Rettore Don Daffra, vedutomi triste, mi si avvicinò… e mi disse: - Che hai? -Voglio andare a casa...Allora egli mi consolò e mi quietò; …dicendomi parole di conforto, che furono per me parole di vita… E così rimasi in Seminario.”.5 Non è questa l’unica difficoltà che incontra. Don Bosco lo vuole in Seminario e in seminario resta volentieri per essere oggi e domani apostolo convinto ed entusiasta. S’impegna nel cammino spirituale, ha scelto come confessore e guida don Novelli, s’immerge nello studio, nella preghiera, è obbediente, sempre disponibile e generoso, pronto alla mortificazione e al sacrificio senza recriminazioni o ribellioni. In breve tempo conquista la simpatia e la stima dei migliori, mentre altri seminaristi giudicandolo strano e poco furbo, continuano senza scrupoli a giocargli scherzi pesanti e umilianti. Anche nei momenti più difficili Orione conserva la calma e la serenità. Incapace di coltivare risentimenti, scontrosità, invidie, cerca di rendersi utile a tutti. Durante la ricreazione del pomeriggio i Chierici devono procurarsi l'acqua per la pulizia personale. Molti, desiderando continuare il gioco, approfittano della disponibilità del chierico Orione. L’intera ricreazione non è sufficiente per provvedere l'acqua ai compagni, non esclusi quelli che si divertono a molestarlo. Sale e risale le quattro lunghe rampe di scala che conducono alla camera “San

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6 Carlone”, sostenendo tra avambracci e mani, quattro secchi alla volta. I primi mesi sono certamente duri per Orione: l'affetto di cui lo circondano i Superiori e i compagni migliori sembra insufficiente a fargli superare la tristezza delle prime impressioni, torna spesso il dubbio sulla scelta fatta: è proprio questo il luogo voluto dal Signore? Nell’anniversario della morte di Don Bosco, gennaio 1890, è assalito da una malinconia profonda, fatta di pianto e di dolcezza insieme... Il prefetto lo avvicina mentre legge e versa sul foglio, copiose e calde lagrime. Alla domanda se si tratti di qualche brutta notizia, non è nulla, risponde, e gli porge lo scritto. E’ un pro memoria dove ricorda la speciale predilezione di Don Bosco, i suoi preziosi ricordi, e l'ultima parola di commiato: Va, caro figliuolo, anche di lontano, noi saremo sempre amici!... Sono molte ancora le cause de disagio che prova: manca in Seminario il dinamismo di Valdocco: quel lieto impulso allo studio e al lavoro, in costante attività e in grande spirito di preghiera; quell'animato brio nelle ricreazioni e il vario apostolato tra i compagni; la comunione giornaliera e l'assiduo parlare di Dio e delle cose sante; quella dolce fusione, in una parola, di vita attiva e contemplativa, che era tutta la sua aspirazione. L’educazione fa leva più sul timore che sull’amore, regna un accentuato distacco tra superiori e alunni, i rapporti sono freddi, le relazioni povere, in una parola manca completamente lo spirito di famiglia che regnava nell’Oratorio “dove, ricorda Orione, Don Bosco era nostro, vivevamo della bontà del suo cuore, e la sua vita era la nostra vita!..”6

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7 Cerca di non far trapelare il disagio interiore, ma è una lotta dura, estenuante che si risolve durante il corso d’esercizi spirituali della primavera del 1890. In una minuta forse indirizzata all’amico Guido scrive: Dopo sei mesi di lotta, Gesù ha vinto e trionfa sul mio cuore. … Oggi, 21 Maggio, l'ho abbandonato per abbracciarmi alla Croce di Gesù Cristo e seguirlo ovunque Egli vada. Ciò nonostante, tutto il mio corpo resterà ancora a divertimento del mondo, fino a che piacerà a Nostro Signore di portarselo altrove. Ringrazia con me Sua Divina Maestà, e pregala ad infiammarmi di carità e di beneplacito ai suoi voleri. … Addio! Prega per me peccatore. Gesù viva! Gesù trionfi! Il povero servo di Gesù Cristo Ch. Maria Luigi, di Gesù, delle Anime e del Papa”7 Termina l’anno scolastico a pieni voti. Mentre tutti si organizzano per andare in vacanza, Orione chiede ed ottiene di rimanere in Seminario. Trasporta il suo letto nella camera più vicina alla cappella e passa le giornate tra la preghiera, lo studio. E’ una scelta fatta per amore e in ricordo di don Bosco, totalmente libera, ma di tanto sacrificio: “caro papà, scrive, grandemente mi angoscia il pensiero di dover stare separato alcun tempo dalla mia cara famiglia. La natura è impossibile che non si faccia sentire; la riconoscenza, l'amore dei genitori, della famiglia, fanno palpitare ogni cuore, strappano lagrime da ogni ciglio; ma pure è d'uopo farsi coraggio, superare se stesso; è necessario fondarsi nelle buone opinioni, servire una causa santa e santificante. Alla cruda battaglia del cuore succeda il trionfo della ferrea volontà. Bisogna che mi distacchi da tutto: almeno il Signore gradisca questo mio sacrificio”8

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Scr 35-7; 57-117 Scr. 71,16..


8 Il Rettore mitiga la scelta del chierico Orione imponendogli la ricreazione con i ginnasiali e un pasto caldo a mezzogiorno. Il contatto con i ginnasiali fa risaltare la virtù, la preparazione culturale, le spiccate doti oratorie, la sua grande capacità di relazionarsi con tutti, di attirare l’attenzione. Lo ascoltano volentieri, gli stanno vicino, lo sentono amico. Uno di essi in particolare, Carlo Sterpi, rimane talmente affascinato che, pur non avendo coraggio di parlargli, tanto è timido, che gli resta fedele amico e collaboratore.9 Per il pasto caldo, quando riesce, va nel locale gestito dallo zio Carlin a Porta Voghera Quando anche i ginnasiali lasciano il Seminario, Orione riempie le ore libere rendendosi disponibile per i vari servizi in Duomo. I canonici apprezzano grandemente la serietà, la prontezza, la generosità del chierico. Ha occasione di andare a servire messa nella cappella del carcere e di accompagnare il cappellano a far visita ai malati dell’ospedale. Il suo cuore già incline alla carità, si riempie di tenerezza e di compassione. Diventano queste, le mete preferite del suo primo esercizio apostolico.10 Per accontentare genitori e parenti, decide di passare alcuni giorni in famiglia. Vacanze brevi ma intense e per lo stile di vita che assume, e per la scelta di organizzare, seguire e preparare per un’eventuale entrata in Seminario alcuni ragazzi del paese. Anche questa scelta manifesta la fiamma che arde nel cuore di Luigi: amore ai giovani e disponibilità a favore e sostegno delle vocazioni al sacerdozio. 9

Don Carlo Sterpi, proviene da una famiglia benestante di Gavazzana. Inizia a lavorare da chierico nel primo collegio aperto da Orione, e rimane con lui per l’intera vita. Alla morte del fondatore (1940) viene eletto come primo successore, carica che ricoprirà fino al 1951 quando lascerà questa terra per andare incontro al Signore. 10 Nella nuda cappella del Carcere, - che definisce “recinto di dolore e di infelicità, ma a me carissimo”- nelle mani del nuovo vescovo Monsignor Bandi, rinnova i suoi voti religiosi.


9 Inizia il secondo anno di filosofia con lo stesso impegno, entusiasmo e dedizione: fervente nella preghiera, volenteroso nello studio, amante del sacrificio, esemplare nell’osservanza della regola, pronto ad accettare e cercare umiliazioni, pronto ad aiutare e consolare chiunque. I superiori lo stimano e gli permettono alcune forme di penitenza che generalmente sono ritenute esagerate o fuori luogo. Comunque sono sempre in minor numero i compagni che si divertono alle sue spalle, che lo giudicano sciocco, strano, matto oppure fanatico. I chierici migliori, i più dotati, lo stimano e lo prendono come riferimento e modello di vita. Stare con lui, stringere amicizia con lui significa trovare un sostegno straordinario, soprattutto nei momenti di difficoltà. Sì, perché tutti lo vedono: Orione ride, scherza, è focoso nel gioco, accalorato nella discussione, è l’anima di tutti i momenti liberi, ma non accetta la mediocrità, la tiepidezza. La vocazione esige una preparazione culturale e spirituale degna della divina chiamata. E’ deciso: vuole, deve essere santo come il suo maestro, don Bosco. La santità cui aspira il chierico Orione, è quella che lo porta a gridare al mondo la gioia dell’amicizia con Dio. Il Signore non impoverisce, non mortifica la nostra esistenza, ma la rende più bella e più libera. Nei momenti di dialogo, di confidenze sui progetti del domani, Orione parla spesso di un gruppo, una società a servizio della chiesa e del papa. Qualcuno lo giudica pazzo, qualche altro sognatore, molti, tenendo conto dello zelo apostolico che manifesta, delle molteplici attività che svolge, ritengono la cosa molto probabile; anzi alcuni, come Sterpi e Albera, sono disposti a dargli una mano.


10 Partecipa attivamente e con grande entusiasmo alle celebrazioni del venticinquesimo di sacerdozio del suo parroco. E’ rimasto famoso il suo intervento ricco e ampiamente documentato, dal titolo “apologia della chiesa e del sacerdozio”. In esso sono presenti gli elementi essenziali della sua spiritualità: amore a Cristo, alla Madonna, alle anime, nella carità più squisita verso i poveri e i sofferenti, in un fedele sevizio alla chiesa e al papa. Il caldo della città di Tortona comincia a farsi sentire. I chierici hanno fretta di finire gli esami e rifugiarsi sulle colline circostanti. Orione è tranquillo. Ha già chiesto ed ottenuto il permesso di restare in Seminario come lo scorso anno. Prima di iniziare l’attività tra i ginnasiali e il servizio in Duomo, corre in paese a visitare il padre seriamente malato. Tornato in Seminario vive nel raccoglimento, nella preghiera e nella mortificazione. Cerca di fare il bene che gli è possibile ai ginnasiali, serve diligentemente le funzioni in Duomo, accompagna il sacerdote che si reca per ministero, alle carceri e all’ospedale. Si sente interiormente spinto a moltiplicare le opere di carità. Si convince che non può bastare un approccio saltuario, con i fanciulli e i giovani che frequentano le balze del Castello o le piazzette della città. Piange il cuore mentre attraversa Tortona, moltiplicando le visite ai poveri nei luoghi del dolore e della sofferenza, vedere tanto abbandono e disinteresse. L’amore è fantasia, ricchezza d’iniziative. Chi non ama difficilmente si accorge del povero e del sofferente. E’ una realtà tanto lontana dai propri interessi, quanto scomoda e indesiderata. Se costretto a confrontarsi con essa rimane disorientato, ma il suo cuore gelido e senza amore, lo rende incapace di qualsiasi gesto di carità.


11 Orione, povero di mezzi, ma ricco d’amore, è un vulcano d’iniziative. Trova sempre il modo per alleviare il dolore e portare un respiro di speranza, fosse anche tra i carcerati. “Allora, racconta, volli imparare a suonare il mandolino; e mi recavo sotto le finestre delle carceri a suonare, acciocchè i poveri condannati mi sentissero, si rallegrassero e fossero distolti dai cattivi pensieri che poteva loro suggerire la penosa solitudine... Fui trattato da matto ed accusato a Monsignor Vescovo, il quale mi chiamò a sè; ma non mi proibì di andare a suonare ».11

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Luigi Baiocchi 930, 3 e 10d


1 CAPITOLO VI: SACRISTA IN DUOMO “Una notte, narra don Orione, io stavo pregando davanti all'altare del Santissimo... Ad un tratto sentii… un rumore leggerissimo, come un piccolo colpo. Mi alzo, guardo. Nessuno. … Tornai a pregare. E di nuovo sentii come i passi furtivi di chi si avvicina con precauzione. Pensai - non ridete!: il demonio, forse, vuole disturbarmi! Mi alzo e mi rivolgo a lui: Si, vieni pure avanti; non ho paura! Sono con Uno che è più forte di te!.. Finii le mie orazioni e mi ritrassi nella camera dei custodi per radermi la barba. Ma quei rumori non mi lasciavano tranquillo. Aprii, perciò, mentre mi radevo, la finestra che guardava in Duomo. Poi, desiderando continuare l'adorazione al Santissimo Sacramento attraverso il finestrino, indossai la cotta, perché mi sembrava che conciliasse maggiore devozione. Così, in preghiera, mi addormentai. Fui, però, di lì a poco, svegliato da un rumore che saliva proprio dal finestrino. Guardai e, con sorpresa, vidi una fiammella che s'aggirava per il Duomo… - Ragazzi, ragazzi! - gridai agli altri. - Presto, presto; i ladri!... - E' tutto sonno! - mi rispondevano. - Va a dormire; Ma io insistevo: … discendemmo in Duomo. …giunti alla cassetta delle elemosine della Madonna del Buon Consiglio, la trovammo scassinata... i custodi impallidirono…. Io dissi: - Voi state attenti di qui, vicino alla porta, che il ladro non scappi. Io vado a chiamare i carabinieri... Tornai svelto con i carabinieri; essi cercarono dappertutto, ma il ladro non si trovava. Finalmente picchiarono sulla cassa delle aste del baldacchino… non rimbomba e suona a pieno... Il ladro era chiuso là dentro.”. 1 *** 1

Goggi C. 939, 3 a


2 Terminati i due anni di filosofia, Orione inizia la teologia. La meta è più vicina. Sente l’urgenza di intensificare e accelerare la preparazione al sacerdozio. Consolazione della sua anima, luce e stimolo sempre verso nuovi traguardi, sono le numerose ed efficaci lettere pastorali del vescovo Monsignor Bandi. Parla della necessità e dell’impegno nel cercare e favorire le vocazioni, di un’adeguata formazione degli aspiranti al sacerdozio, della devozione al sacro Cuore di Gesù e della Vergine sua madre, della cura pastorale dei fanciulli, dell’insegnamento religioso, della necessità di un clero santo, tutto di Dio. E’ fermo assertore dell’organizzazione e della diffusione della stampa cattolica, strenuo difensore dell’insegnamento, della grandezza, dei diritti del papa. Senza mezzi termini ritiene come segno certo di vocazione cristiana e sacerdotale l’amore e la fedeltà al papa. Quanta sintonia, somiglianza tra l’insegnamento del Vescovo e gli ideali e l’opera del giovane fondatore! Nei primi mesi dell’anno Orione torna spesso in paese a far visita al padre gravemente malato. La famiglia, mancando il contributo del lavoro di Vittorio, è in difficoltà economica. Carolina non piange miseria, organizza e fa bastare il poco che ha per restare in una dignitosa povertà. Un problema difficile, ma urgente da risolvere e quello di raggranellare le venti lire per la retta del Seminario. La famiglia Marchesi continua a dare il suo contributo, ma non si vuole né chiedere né accettare di più. La Provvidenza servendosi della stima dei superiori e dei professori del Seminario viene prontamente in aiuto2: “Mi misero a fare da Custode in Duomo - ricorda Don Orione -, 2

Nella vita di don Orione dovremo abituarci a costatare come la Provvidenza risponda sempre al momento giusto e con quanto è strettamente necessario.


3 perché la mia famiglia non aveva da sola venti lire da pagare di pensione al Seminario, - che era poi la pensione più bassa, più modesta che allora si pagasse al Seminario di Tortona. Inoltre era stato molto ammalato, che poi morì, mio padre, ed io non avrei più potuto rimanere in Seminario, se la bontà di un Canonico, pieno di saggezza, di pietà, di virtù, - Rettore, in quei tempi, del Seminario Maggiore -, non mi avesse ottenuto la grazia di essere accettato, dagli altri Canonici, quale Custode della nostra Cattedrale. Eravamo, allora, tre custodi; io, entrato ultimo, ero l'ultimo anche in ordine di tempo e di retribuzione. Mi davano dodici lire al mese”.3 E’ un incarico di fiducia che richiede energia e buona volontà per non lasciarsi distrarre o trascinare dalla stanchezza, dalla negligenza o dalla dissipazione. Orione nei due anni di volontariato ha dato prova di se. Il chierico pensa subito come sfruttare le molte opportunità che il nuovo incarico gli offre: seguire gli inservienti, conoscere tante persone, rimanere a contatto diretto con la gente comune. Dinanzi al suo sguardo e al suo cuore si apre la visione di innumerevoli bisogni spirituali da soccorrere, di tante necessità materiali del prossimo cui provvedere. Come è tradizione gli viene assegnata una piccola stanza sopra il voltone del Duomo. Una scala stretta, buia, ripidissima, un corridoio altrettanto angusto con una finestrella per controllare i movimenti all’interno della chiesa, e soprattutto attorno all’altare. Orione è felice di questa sistemazione. Quando non è in servizio, è libero di dedicare tutto il tempo che vuole al raccoglimento, alla preghiera; dalla finestrella può rimanere in

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4 contemplazione e in adorazione dell’Eucaristia senza occhi indiscreti e senza essere disturbato.4 L’arredamento della cameretta è semplice: un letto a molle durissimo, una sedia claudicante, una cassa vuota del sapone Banfi e un secchiello per l’acqua. Orione porta con se: il teschio avuto in dono dal custode del cimitero di Pontecurone e un lume a petrolio avuto in prestito dall’amico Vincenzo Guido.5 Deciso a non perdere tempo e occasioni buone, nei primi giorni osserva attentamente ogni cosa, riflette sulle opportunità che si presentano, le misura con le proprie capacità e il disimpegno fedele di tutti i suoi doveri. Mette per iscritto un progetto che può essere schematicamente riassunto così: 1. Unico ideale, cui subordinare tutti gli altr, è la santità alimentata dalla mortificazione, dalla preghiera e dalla contemplazione. 2. Dedicarsi a tutte le opere di misericordia spirituali e corporali spogliandosi di tutto e vivendo nella più completa povertà. 3. Attrarre i giovani per fare loro del bene. Il sogno di sempre: iniziare un oratorio come quello di don Bosco. 4. Unire un gruppo di chierici volenterosi e dotati perché siano santi e, domani, apostoli credibili ed efficaci. 5. Impegno massimo nello studio per essere preparato a dialogare con tutti. Afferrato nella teologia per riuscire a combattere l’errore e illuminare le coscienze con la verità. 6. Sempre disponibile e servizievole. 4

Dai documenti e dalle testimonianze conosciamo le notti passate in preghiera. Del suo fervore eucaristico rimangono, tra l’altro, composizioni poetiche e numerosi scritti del chierico Orione. 5 A questo arredamento si deve poi aggiungere una statua di san Sisto II, il papa del martire diacono Lorenzo, rinvenuta, nascosta dalla polvere, nella soffitta e avuta in dono dai canonici. Sarà un buon appoggio per i primi oratoriani quando devono scrivere. La statua ora è nel museo della Casa Madre.


5 Da questo momento le sue scelte si rifanno costantemente a quel progetto. Preciso nei suoi doveri, supera con fede ed ottimismo i contrattempi e le inevitabili difficoltà e sofferenze. E’ gentile, paziente con tutti, anche con i più scontrosi; affabile e tollerante con i sacrestani laici; pieno di garbo e premurosa attenzione con i fedeli. La predicazione è uno dei compiti più ardui del ministero sacerdotale. Orione al pomeriggio o alla sera quando il Duomo è chiuso, sale sul pulpito e improvvisa delle prediche sottoponendosi con umiltà al giudizio di un compagno che sta ad ascoltare. Sono prove condotte con la massima serietà e impegno. Qualche volta inaspettato e pieno di solennità il vocione del canonico Ratti ammonisce paternamente i due chierici: “Ma figlioli che fate ancora a quest’ora?.. Ma andè a drumì6. Con le dodici lire di stipendio fa miracoli: si mantiene, integra la retta di un seminarista più povero di lui, elargisce elemosine ed altro ancora. I custodi, non vivendo in seminario, devono provvedere per conto proprio ai pasti. Orione, che a mezzogiorno, va abitualmente dallo zio Carlin, diminuisce i pasti per risparmiare qualcosa a favore dei poveri. E’ sempre sereno e allegro. Lo si direbbe un gaudente. E invece conduce una vita di rinunce, mortificazioni e penitenze. Riesce a nascondere quasi tutto. Un giorno l’anziano canonico Ratti, si sente male. Ha bisogno di stendersi su un letto. Immaginarsi, Orione mette subito a disposizione il proprio. Sostenendolo con un altro chierico lo aiuta a salire quella scala ripida e che sembra non finire mai. Un ultimo sforzo lungo il piccolo corridoio e come il buon canonico entra nella camera, si abbandona sul letto sospirato. Ma appena lo 6

Andate a dormire.


6 tocca emette un gemito ed esclama: “ma figliolo come fate a dormire su questo letto?” E notare che Orione, per far penitenza, lo usava anche senza materasso! Canonici e fedeli possono costatare la pietà, la devozione, la preghiera intensa e prolungata che distingue il chierico Orione. Nutre una devozione tenera e filiale verso la Madre di Dio, si ferma assorto e immobile per lungo tempo in adorazione dell’Eucarestia. Nelle ore notturne la preghiera diventa più confidente e parla con Gesù e Maria anche ad alta voce. Vittorio Orione dopo alcune ricadute, sembra avviarsi verso una rapida guarigione. Nella bella stagione riprende il suo lavoro, ma torna a casa disfatto. Gli strapazzi del mestiere di selciatore, i sacrifici della vita militare e della guerra, hanno minato la sua fibra di robusto lavoratore. Nonostante ogni cura si aggrava progressivamente sino a non lascia più alcuna speranza. Il figlio continua a visitarlo, quando non riesce a correre in paese, scrive lettere esprimendo il suo affetto, la sua preoccupazione, raccomandando di fare tutto il possibile per curarsi e poi, di avere fede e accettare tutto dalle mani di Dio. Inizia l’anno vicino al letto del padre. Lo assiste, lo prepara e lo accompagna fino al suo incontro con il Signore, avvenuto il 9 gennaio 1892.


1 CAPITOLO VII: L’ORATORIO SAN LUIGI

Un giorno, - verso mezzogiorno - scorsi nel Duomo, di cui allora ero custode, un ragazzo che vagolava qua e là piangendo - io già lo conoscevo; era un certo Ivaldi Mario -; veniva da me a cercare rifugio. Gli domandai; - Perchè piangi? Non vai al catechismo?- No! E perchè? - Mi hanno battuto! - E chi ti ha battuto? - Un prete... - Ritorna al catechismo!... Sta buono; vai al catechismo! - No no!... – Capii proprio che non c'era verso di farlo tornare a San Michele... Non avendo il coraggio di andare subito a casa, si era rifugiato in Duomo. … Forse non aveva saputo la lezione, o aveva disturbato o fatto qualche birichinata, come facevamo noi bambini... Allora incominciai io a fargli un po' di catechismo... Lo accolsi nella mia camera, sopra le volte del Duomo, lo acquietai, lo feci contento con qualche piccolo dono; lo invitai a venirmi a trovare in seguito, negli altri giorni... E' questi il primo giovane dell'Oratorio... Il secondo ragazzo fu Toni, ora Podestà di Albenga, proprietario di varie fornaci. Anche questi fu battuto al catechismo: fuggì a casa, non voleva più andare. Incontratosi con Ivaldi, questi gli dice: - Vieni in Duomo e il Chierico che fa catechismo a me, lo insegnerà anche a te. – Cosi, dopo i primi due, vennero altri e altri, condotti dai primi… Si formò in tal modo un gruppetto di giovani, e tutti li raccoglievo nella mia stanza, una cameruccia sotto il voltone del Duomo, con pericolo che cascassero dalle finestre che sono nella parte tra il Duomo e il Vescovado... Insegnavo loro un po' di dottrina cristiana; li tenevo allegri con raccontini; si passava, insomma, quel po' di tempo in santa letizia... ».1

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Par. 2. 7. 28


2 *** Con l’animo sofferente per la morte del padre, la solitudine della madre, Orione rinnova la sua offerta a Dio e torna al suo lavoro. Vuole dedicarsi maggiormente ai fanciulli e ai giovani che frequentano il Duomo o gironzolano senza meta per le vie della città. Forse è giunto il momento di iniziare a raccoglierli con coraggio. Contemporaneamente si apre a, tutti gli orizzonti e in tutte le direzioni. Partecipa attivamente alla Confraternita di San Vincenzo che ha come scopo “portare alla chiesa e al papa il cuore dei giovani e dei poveri”; frequenta i vari circoli di studio, visita gli ospedali e i vari istituti di carità.2 Orione è segretario nelle varie riunioni e più di qualche volta il presidente lo invita a parlare. Successivamente si iscrive alla società “San Marziano” che si rivolge, in modo tutto speciale, al conforto e alla assistenza degli operai e dei lavoratori, con prestazioni di medicinali agli ammalati, di aiuti finanziari alle vedove ed agli orfani. Come Società Cattolica, ha tra i suoi scopi la partecipazione alle varie manifestazioni religiose: pellegrinaggi, processioni, raduni sociali d'indole cattolica e papalina, e gli Esercizi Spirituali. Il 18 aprile del 1892 il vescovo indice un’assemblea che vede riunite la San Vincenzo, La Società operaia San Marziano e l’Opera dei Congressi Cattolici. Orione, inutile sottolinearlo, partecipa dando anche un forte contributo. Sono temi a lui carissimi la fedeltà alla chiesa, l’impegno dei laici nel sociale e la difesa della famiglia minata da una proposta di legge sul divorzio. Il primo maggio, in occasione dell’iscrizione alla san Vincenzo di un gruppo di giovani studenti della città, Orione rivolge ai “Il giovane Lorenzo, il celebre Maestro, e il Chierico Orione andavano ogni settimana sui bastioni della vecchia Città, per le catapecchie e su nelle povere stamberghe dei sottotetti a cercare i poveri, a distribuire loro i sussidi della conferenza di San Vincenzo, di cui essi erano i membri più giovani. 2


3 convenuti un discorso memorando, ne quale ritroviamo il fulcro del suo pensiero: amore a Cristo, devozione alla Madonna, pratica religiosa senza rispetto umano, scienza, apostolato, anime, carità,3 chiesa e papa. Luogo difficile da avvicinare, per ovvie ragioni, ma terreno per un apostolato d’avanguardia è la Caserma. A Tortona stazionano centinaia e centinaia di militari, alcuni forse desiderano, tutti però hanno bisogno di una parola di conforto, di fede e d’incoraggiamento. Orione cerca di risparmiare qualche centesimo e periodicamente compera un fiasco di vino e con la scusa di bere un bicchiere insieme incontra gruppi di militari, da loro buoni consigli, li istruisce sulla religione e li tiene lontani dai pericoli. Non è più uno straniero, a Tortona tutti lo conoscono. I genitori lo apprezzano e lo stimano, i figli se lo contendono. Ai chierichetti che gli stanno abitualmente attorno si aggiungono altri ragazzi che si muovono più a distanza. In quaresima inizia il catechismo a quei due piccoli monelli cacciati dalle rispettive parrocchie. E’ il piccolo seme di una pianta rigogliosa. Ivaldi, Toni… sono una decina di ragazzi che passano l’intera giornata in sua compagnia. La sua cameretta diventa scuola, palestra, sala da gioco. Orione ha un dono particolare che gli permette di attirare e conquistare i giovani. Stimola e incanala al bene la loro innata vivacità e inclinazione al divertimento. La sua bontà affascina e trascina. Ha l’arte di saper raccontare, di farsi ascoltare. Inventa e anima il gioco in quella stanzetta che per il numero diventa sempre più piccola e insufficiente. Quando il tempo lo permette, sciamano allegramente dal Duomo, riempiono le vie della città, popolano le pendici del 3

Orione è abituato a distribuire quanto possiede. La mamma che va ogni sabato a mettere un poco di ordine nella sua cameretta sopra il Duomo, è abituata a dover rimpiazzare ora un capo ora l’altro di biancheria che il figlio ha offerto al primo povero che ha incontrato


4 Castello. Gridano, corrono, saltano, cantano…. Disturbano gli amanti del quieto vivere. I ben pensanti osservano e scuotono il capo al passaggio della ciurma con a capo un chierico ritenuto buono e pio. Il clero è diviso: mentre il vescovo è contento, i canonici brontolano, vedono addirittura compromessa la dignità sacerdotale. Orione non ha tempo di ascoltare ciò che pensano o dicono sul suo conto. Sono ormai centinaia i giovani che lo cercano e lo seguono. Per il loro bene non risparmia tempo, energie e denaro. Si rivolge al vescovo e ai superiori del Seminario per avere una sede ove ritrovarsi con la sua turba di Barabba senza disturbare nessuno. Il vescovo prende tempo: se i ragazzi, terminate le lezioni di catechismo, continueranno a frequentare, darà loro una sede. Orione si sente in paradiso. Durante la settimana santa porta i ragazzi nella chiesetta del Crocefisso. Con una liturgia breve e ben strutturata offre se stesso e i suoi primi figli nel Signore.4 Ai primi del mese di maggio li troviamo ancora tutti uniti ai piedi dell’altare della Madonna del Buon Consiglio. Una nuova offerta e un nuovo impegno perché sia riconosciuto ufficialmente l’Oratorio. La situazione sta davvero precipitando. I ragazzi sono troppi, difficilmente si riesce a tenerli sotto controllo e lontano dai pericoli. A volte si arrampicano e girano sul cornicione interno del Duomo rischiando di precipitare da un momento all’altro. Vengono a tutte le ore e dalla strada schiamazzano, urlano chiamando il loro chierico. I Canonici non vogliono

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«La Piccola Opera della Divina Provvidenza, scrive, è nata da quel primo Oratorio Festivo, e la primizia di quei ragazzi già era stata offerta e, direi, consacrata al Signore, ai piedi del Crocifisso, che ora sta al Santuario, durante la Settimana Santa precedente... » (Scr. 3. 7. 36)


5 essere disturbati, chiedono che la casa di Dio venga rispettata… I malumori, le critiche, le diffidenze esplodono tutto ad un tratto, come se ci fosse stata una parola d’ordine. Gli inquilini delle case attorno al duomo protestano per i vetri rotti. Le guardie della città diffidano quelle adunanze adducendo come motivo il grande chiasso. “E c’era chi borbottava, chi faceva della critica, chi rideva e derideva e chi dava del pazzo”.5 Circolano voci su presunte stramberie del chierico che ama mettersi in mostra, di apparire diverso, migliore degli altri, che fa la serenata con il mandolino ai carcerati, non dorme la notte per fare prolungate prghiere, ha come soprammobile un teschio…. I superiori del Seminario gli stanno vicino rinforzando l’assistenza con l’aiuto d’altri chierici: Qualcuno comincia a far pressione sul vescovo perché metta fine ad una faccenda che non fa onore alla diocesi. In un momento di incertezza, riceve da una signora che non conosce, un’offerta, otto soldi, accompagnata dall’intenzione: “per i suoi ragazzi”. Nella fede riconosce la mano della Provvidenza che gli dice: coraggio, continua. « E così passò un po' di tempo per noi. E tutto era letizia, tutto era gioia, santa gioia, perché sgorgava dal petto d’innocenti creature. Ma la gioventù faceva strano contrasto con la gravità e la serietà del Duomo… ai signori Canonici piacevano poco quelle adunanze e fecero di tutto perché tanta gioventù si allontanasse... Tutta la sbirraglia di Tortona era con me ed io ero... il capobanda. Chiesi perciò al Vescovo un luogo dove potessimo fare le nostre adunanze, senza pericolo per i ragazzi di rompersi la testa o di cadere dalla finestra.

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Scr. 3.7.36)


6 Ci voleva per altro una chiesa, ed allora il nostro Vescovo Monsignor Bandi mi disse: - Vi darò una chiesa!... -, e ci mandò al Crocifisso.”6 Anche la nuova sede presto si rivela insufficiente. Il Castello è vicino. Lassù c’è spazio per giocare, pregare un poco e ancora giocare. Poi “a un certo punto, con un suo grido tonante o scuotendo un campanello da sagrestia, li raccoglieva attorno a sé, li faceva sedere sull'erba, di fianco ai vecchi ruderi, e rievocava episodi di eroismo: additava, al di là della pianura, le colline del Monferrato, ricordava il suo Don Bosco; poi, girando l'occhio e spaziandolo su]le ondulazioni dell'Appennino, in piena luce di tramonto, mostrava la vetta azzurra del Penice coronata da un Santuario della Madonna e le altre lontane cime, che aspettavano anch'esse un giorno la consacrazione con una croce o con una statua. Quando l'aria imbruniva e dai comignoli della città si levavano le volute azzurre dei focolari accesi, scendevano, cantando le canzoncine da lui stesso insegnate, che riempivano i cuori di dolcezza e d'allegria »7 Il vescovo che segue con gioia e trepidazione tutti i movimenti del suo chierico, si convince che è giunto il momento di dare una sede capiente e definitiva: il giardino e alcuni locali dell’episcopio. Fervono i preparativi. In breve tutto è pronto per l’inaugurazione, la sera del 3 luglio, alla presenza di due vescovi. All’inizio prende la parola il chierico Orione augurandosi che l’Oratorio San Luigi “sia sempre composto di giovani che sinceramente amino Cristo, il bene della propria anima, il Papa; che sia seminario d’operosi ed esemplari membri delle Società Cattoliche”. 6 7

Par. 15. 9. 33 Sparpaglione Don Orione, San Giuseppe, Tortona, p. 73


7 Seguono recite, canti cui partecipano anche i seminaristi che per la circostanza hanno tramandato l’inizio delle vacanze. La cerimonia si conclude con l’intervento del Vescovo Bandi del direttore monsignor Novelli.8 E’ un fatto più che singolare che il vescovo conceda ad un chierico tanta fiducia da permettere la fondazione di un’opera. Direttore dell’oratorio, secondo le norme vigenti è monsignor Novelli, ma in realtà è tutto e solo in mano al chierico. Quale sorte toccasse al giardino del Vescovo, quando divenne « stadio » dei fanciulli dell'Oratorio Festivo, è facile pensarlo. Ricorda Don Orione: «… Il Vescovo aveva un bel giardino; e il Vescovo dal cuore grande disse: Vi dò il mio giardino.Eccellenza, tra tanti, qualcuno rovinerà le piante, romperà i vetri...-Fa niente, rispose il Vescovo; basta che non si rompano le anime. ... Era un bellissimo giardino tutto pieno di fiori, con dei bellissimi viali di mortella, ben assestati, pieno di frutta e di tante belle piante, anche di albicocche, che allora avevano i frutti maturi. Tutto spari, come d'incanto, quando vi mettemmo piede noi; ché tutto fu devastato da quella moltitudine di ragazzi…. In pochi giorni, di aiuole non ce n'era più, di sedie di mirto non ce n'era più; di alcune piante, quei galantuomini avevano mangiata fin la corteccia e, forse, neanche c'era più la radice; di vetri sani poi, in quelle finestre dell'Episcopio che guardavano il giardino, devono essercene rimasti ben pochi, o forse nessuno. Era una bellezza. Solo rimase un pioppo, un pioppo alto, … gigantesco … ed una Madonnina all'angolo del cortile. Qui tenemmo le 8

Ha ragione don Orione di scrivere: « Questa povera Opera della Divina Provvidenza è nata in casa Vostra, è la figlia primogenita del vostro Episcopato, come quel benedetto Oratorio festivo di nove anni fa fu, nella Diocesi, il primo germogliare di un'azione cattolica più viva e più fresca... e più decisamente papale!


8 nostre adunanze in seguito; qui veniva una gran moltitudine di fanciulli, che si moltiplicavano in modo mirabile! Qui passavano le loro ore liete molti giovanetti della città. Qui insegnavo loro i primi elementi della Dottrina Cristiana. Quanti, e bravi, giovani uscirono da quelle prime adunanze!... Nel cortile del Vescovo, venivano, dunque, tanti ragazzi. E già verso l'una e mezza, un ora prima di aprire la porta del giardino, le strade brulicavano di teste; giovanetti pieni di allegria s'ammassavano alla porta, la spingevano, desiderosi di entrare »9. Il successo è enorme, il bene che fa è altrettanto grande. Per volontà del vescovo rimane aperto anche alcuni giorni infrasettimanali. L’apertura è alle ore 13. I ragazzi giocano, seguono il catechismo, fanno una breve preghiera e ascoltano il fervorino del chierico Orione. Il sistema educativo è quello appreso da don Bosco. Veglia paternamente su tutti condividendo con essi divertimento, gioie e dolori. “Certo è, testimonia uno dei giovani, che dopo pochi giorni di contatto con quel chierico, si era avvinti dal fascino misterioso che ne emanava, ed egli poteva fare di noi quello che voleva. Aveva già il dono di vedere in fondo alle menti ed ai cuori, e le nostre monellerie, come le nostre piccole gioie e pene, trovavano in lui un confidente ed un consolatore sempre pronto”. Con il suo lavoro con occhio clinico riconosce e senza forzare, incoraggia a rispondere positivamente alla chiamata sacerdotale. Nell’ottobre ha l’occasione di andare per la prima volta a Roma. Racconta: “… Non mi fu possibile vedere il Papa, benché pregassi, a calde lacrime, perché me lo lasciassero vedere almeno da lontano, mentre passeggiava nei giardini. Il Signore volle da me questo sacrificio, che mi costò 9

Par. 2.7.26


9 assai... Era il mio più grande desiderio poter vedere il Vicario di Gesù Cristo... Nel pomeriggio capitai a San Pietro in Vincoli …trovai un gruppo di ragazzi… Piansi nel vederli cosi abbandonati e dissi loro che mi sarei occupato del loro bene, che sarei venuto poi anche a Roma a piantare un Oratorio, che avrei aperto per loro una Casa... Alla sera, non avendo soldi, mi sentii in un grande abbandono. Volli cercarmi un posto adatto per dormire; posto dal quale, però, avessi potuto vedere la cupola di San Pietro... mangiai un po' del mio pane portato da Tortona, e quello rimasto mi fece da cuscino; vi poggiai la testa e mi prese un gran senso di pianto... Allora, però, il Signore e la Madonna videro... E mandarono a passare di là un ragazzo, che mi sembrò tutto uno di quei figliuoli, che avevo visto nella Piazza di San Pietro in Vincoli… mi disse:-Venga, venga! Non stia lì; la condurrò a riposare a casa mia… e, in men che non si dica, mi trovai in faccia ad una piccola casa in Via della Missione. Si bussò ad una porta: una vecchierella linda e pulita venne ad aprire e mi accolse”.10 L’eccessivo attaccamento al papa, il suo impegno nel bene, il successo, la condanna indiretta all’indolenza e alla pigrizia spirituale di molti, sono altrettanti motivi di gelosia e d’invidia. C’è chi è in attesa di un’occasione per scatenare la tempesta. E l’occasione arriva. Narra don Orione: « Io, da giovane, ero anche un po' politico, e allora feci una conferenza, citai Vittorio Emanuele II e dissi ciò che non era prudente dire. Fatto sta che sguinzagliarono sulle mie calcagna i poliziotti... Un Professore di Ginnasio mi denunciò. … il Prefetto fece pressione sul Vescovo, perché si chiudesse l'Oratorio. I Canonici già non mi volevano a 10

Par. 22.12.21.


10 Tortona, mentre il Vescovo mi sosteneva. Alla fine dovetti lasciare l'Oratorio”…11 La chiusura avvenne così: «... era l'ultima domenica che l'Oratorio si teneva aperto…i giovinetti uscirono mesti, e quasi silenziosi… e anch'io, mesto, li vidi uscire. Li accompagnai con l'occhio in fondo alla strada… m'inginocchiai davanti alla statuetta della Madonna, pregai. Poi presi la chiave, con cui avevo chiuso la porta dell'Oratorio, e la legai al braccio della Madonnina, in modo che le ricadesse sopra la mano: con questo volevo significare che tutta la mia fiducia era in Lei... Con la morte nel cuore andai su, nella mia cameretta. Non potei andare a dormire, tanta era la pena che sentivo in cuore. … Mi misi …alla finestra, seduto a piangere… Piansi… con l'abbandono, l'innocenza e la fede di un bambino… e mi addormentai… … E feci questo sogno…. Vidi una grande moltitudine di fanciulli…e un manto celeste si stendeva su tutto l'Oratorio, e sulle teste di quella moltitudine di fanciulli… vidi, (sull’olmo), la Madonna SS.ma che stringeva col suo braccio destro Gesù Bambino…. Proteggeva l'Oratorio e mi guardava con molta consolazione ed amore… Il manto rapidamente s'allargava, già non si distinguevano i confini. …e sotto il manto, tante, tante teste, tutte di ragazzi, che giocavano e si divertivano. Erano ragazzi di diversi colori... La Madonna si volse a me, indicandomeli… cantavano tutti, ognuno nella sua lingua … Mi svegliai con una pace nel cuore ch'io non potrei descrivere, e mi sentivo tutto consolato; sapevo di non poter più aprire l'Oratorio, eppure ero contento!...”12

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933, 3, 8; 41 A. Par 3.7.28


1 CAPITOLO VIII: IL PRIMO COLLEGIO Vicino al posto dove poi sorse l'ospedale, incontro una signora, vecchierella, una certa Angiolina Poggi, che mi conosceva. Era piccola, gobbetta, ed era serva di un prete, certo Don Muratori. I due si altercavano spesso e bisticciavano e io andavo a mettere pace… Essa dunque mi dice: - Oh Orione, da che parte venite ?... - Da che parte vengo ?... Vengo..., che ho aperto un collegio !... Ma dove ?... - A San Bernardino,... una casa per accogliere dei giovani: se avete qualcuno da metterci: è un collegio per quelli che si vogliono far prete... … soggiunse la donna - ci mando mio nipote... Ma chissà cosa vorrà lei ?... Deve fare tutto il ginnasio... - Prendo quello che mi dà... - E quanti anni me lo tiene ?... - Lo tengo - risposi - per tutto il ginnasio, per cinque anni !... - E quanto vuole per cinque anni?… Io ho nella cassa 400 lire... - Ed io per 400 lire l'accetto... - Anche i libri ?... - Ma sì, anche i libri, e lo vesto anche... - Se le vuole, gliele dò anche subito... - Vengo subito, vengo subito! - E andai con lei ... Entrai anch'io in casa e la vecchia aperse una cassa; sembrava la cassa di mia nonna; frugò sotto e da un barattolo cavò le 400 lire, e me le diede... Fu un bell'atto di fiducia e di stima verso il povero chierico !...”1 *** Gli uomini hanno chiuso l’Oratorio, ma la mano della Vergine, quella che ne custodisce la chiave, apre una casa, inizio di una costellazione di opere per la formazione e l’’educazione dei giovani.

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Par. 11. 9. 1919; 13. 5. 1929; 14. 3. 1934; 29. 7. 1930


2 Il chierico Orione, consigliato da don Rua, suo confessore a Valdocco, attende con serenità l’ora della Provvidenza. I suoi ragazzi sono nuovamente in mezzo alla strada, tra tanti pericoli. Molti altri, troppi, hanno lasciato la scuola a causa della povertà. Forse il Signore vuole proprio questo: un collegio per i ragazzi e le vocazioni povere. Si presenta dunque, da vescovo che lo accoglie con grande paternità: - tra due anni sarai sacerdote, Luigi. Conto molto su di te per il bene che potrai fare… - Veramente eccellenza, sono venuto per sottoporle un’idea da realizzare subito – Le tue idee mi preoccupano sempre un poco! Dimmi di che si tratta. – Nella nostra diocesi ci sono pochi sacerdoti, anche perché sono tante le famiglie che non hanno soldi per fare studiare i figli e mandarli in seminario… - E allora? (il volto del vescovo s’illumina di speranza; il chierico ha toccato un argomento che gli sta molto a cuore. Luigi coglie l’attimo per fare la proposta…) - Avrei pensato di aprire un collegio per accogliere i più poveri… - Caro figliuolo, la tua è un’idea generosa, ma pensa a quante difficoltà devi affrontare e a quali spese ti imbarchi. Dai bene che io,in questo momento non posso aiutarti…2 - E’ sufficiente che mi dia la sua approvazione e benedizione… e tutto andrà bene. - Gran bella idea la tua… ma chissà quando la realizzerai… Sì, come tu chiedi, ti do la mia approvazione e benedizione.

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La diocesi in quel periodo era impegnata per la costruzione del monumentale seminario a Stazzano.


3 Senza una lira in tasca, con il cuore pieno di gioia e di speranza, Orione ringrazia il vescovo, sosta in preghiera davanti all’altare della Madonna del Buon Consiglio e parte alla ricerca di un locale. Appena fuori dal duomo incontra uno dei ragazzi dell’oratorio . Un saluto, qualche convenevole e Luigi racconta ciò che intende fare: - Vado ad aprire un collegio - Dove? - Dove… non lo so ancora… Dove la Provvidenza vorrà e sarà la casa della Divina Provvidenza - Veramente mio zio don Domenico ha lasciato in eredità una casa. Se chiede… potrebbe averla anche in affitto. Attraversano l’intera città e giungono al rione san Bernardino, la cittadella degli anticlericali. A prima vista l’occasione sembra buona: la casa è abbastanza grande, è vuota, ha la chiesa vicina… Il padrone continua a squadrare il chierico che veste un abito poverissimo ed ha le scarpe rotte… - Senta, inizia Orione, quanto vuole? - Per che cosa? - Per affittare la casa! - Potrei anche affittarla… ma ci vogliono 400 lire - Bene, affare fatto. - Calma, calma ( il Signor Stassano, presidente della san Vincenzo, uomo di chiesa, generoso… conosce quanto il chierico sia squattrinato). Dove sono le 400 lire? - La Divina Provvidenza… - Se ha già in tasca la Provvidenza la tiri fuori, diversamente… - La Provvidenza, che io sappia paga sempre e non fa mai bancarotta. - Attendo otto giorni, non di più. Se non sei arrivato cederò lo stabile ad altri.


4 Orione non ha soldi, il vescovo non può aiutarlo, la famiglia è povera: dove crede di trovare le 400 lire? Non lo sa neppure lui, ma crede fermamente che essendo questa opera di Dio e non sua, il cielo interverrà. E infatti, come sappiamo, dopo l’accordo, poco distante dallo stabile, la Provvidenza gli mette in mano la cifra necessaria. Torna immediatamente indietro e consegna all’incredulo Stassano, cento lire d’acconto per il contratto. Con le chiavi in tasca rientra glorioso e trionfante in Duomo per ringraziare il Signore e la Madonna… - Orione, chierico Orione! Grida stizzito il vecchio sacrestano, “scudlòn,3… Ma dove va così con la testa in aria… sempre sbadato, sempre fra idee stravaganti…. Sa che è tutta la mattina che il vescovo la sta cercando? - Forse non sai che apro un collegio, che ho trovato…. - Ma che collegio! Come se fosse una cosa semplice…. Vada, vada su dal vescovo e sentirà cosa ha da dirle. - Ma perché? cosa è successo? .- E’ successo… non lo so, te lo dirà il vescovo cosa è successo. Mentre si dirige verso l’appartamento del vescovo, e tenta di fare un veloce esame di coscienza sente l’esclamazione rumorosa del domestico di sua eccellenza - Oh, finalmente!…. Vada, vada subito dal vescovo: sapesse che temporale!… Monsignore ha continuato ad insistere con me tutta la mattina: va a vedere in duomo! va a cercarlo! Devi trovarlo a tutti i costi! Quello… se non lo trovi… chissà cosa mi combina!… Orione, accetta il. mio consiglio: rimani calmo, perché sua eccellenza, è agitatissimo.

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Era così soprannominato perché essendo claudicante, camminava dondolando. Voleva bene e stimava il chierico sempre gentile e servizievole, ma quel giorno anche lui non ne poteva più.


5 - Non capisco perché? Sa bene che cosa intendo fare e mi ha dato anche la sua benedizione! - Perché?… C’è stato un via vai in episcopio. Qualcuno deve averlo convinto a cambiare idea…. Sei troppo giovane per imbarcarti in una simile impresa! Se finisci nei guai, ci va di mezzo il vescovo e tutto il clero. Sali da sua eccellenza e comportati come ti ho suggerito. Il vescovo, appena sale Orione, sta passeggiando nervosamente su e giù per il salone. - Ascolta, inizia a dire appena lo vede sulla porta, purtroppo sono costretto a ritirare il mio consenso per la fondazione del collegio. Mi sono convinto che è una cosa impossibile. - Impossibile? Ma se ho già trovato il locale, i soldi ed ho pagato l’affitto di un anno! - Dunque… è la Provvidenza che ti assiste… che vuole… e allora mettiti in ginocchio che ti restituisco l’autorizzazione e la benedizione. E ti prometto che te la conserverò per sempre. La Congregazione nasce, non solo con l’approvazione della massima autorità della chiesa locale, ma con una sua duplice benedizione. E’ veramente l’Opera della Divina Provvidenza che affonda le sue radici nel cuore della chiesa locale. L’inizio dell’anno scolastico è imminente. Fa ampia pubblicità del collegio con circolari inviate alle varie parrocchie e appoggiandosi alla stampa cattolica. Con l’aiuto delle famiglie della zona che offrono sedie, letti, mobili che non usano più, arreda i locali. Espleta, con qualche difficoltà, tutte le pratiche necessarie per l’autorizzazione governativa. Usufruisce delle condizioni speciali concesse dallo stato, ricorrendo ad un modello di scuola “sotto la vigilanza effettiva dei padri e la loro responsabilità in comune”. Si è rivolto ad un professore perché accetti l’incarico di responsabile della


6 scuola. Fallito il tentativo, prende su di se la direzione dell’istituto e della scuola. Puntualmente il 15 ottobre 1893, festa di santa Teresa di Gesù bambino, il chierico Luigi Orione apre il collegio: “Fin dalla sera precedente - ricordava spesso - si prepararono i letti e giunsero anzi alcuni giovinetti, ai primi vespri della Santa: la mattina dopo, nella festa, giunsero gli altri. Non mi ricordo esattamente, ma erano 35 o 38, d’umilissima condizione: sin dal suo nascere, questo nostro Istituto era per i poveri…” 4. Il chierico “direttore” rinuncia all’incarico di custode in duomo, si trasferisce a san Bernardino e si dedica a tempo pieno per il buon andamento della nuova fondazione. Continua inoltre, vegliando anche la notte, la sua preparazione teologica e spirituale.

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Par. 14. 10. 1933


1 CAPITOLO IX: SCUOLA DI VITA Il chierico Orione, fin dai primi giorni del Collegio, si mette alla ricerca di una statua della Madonna davanti alla quale raccogliere i suoi ragazzi. La trova, tramite un sacerdote, sul solaio di un palazzo. “E' una dolce Madonna di legno, molto antica, tanto che qua e là è bucherellata; a Novi era stata, in passato, venerata e invocata Madre dei dolori; ma poi era stata messa in una soffitta”.1 Da Novi la statua arriva a Tortona, nella casa degli Oblati2, prende possesso quindi del Collegio condotta processionalmente dal chierico insieme a tutti i ragazzi. L’Addolorata ad un certo punto diventa la Madre della Divina Provvidenza3: “durante una processione di quello stesso primo anno, quei ragazzi … quando videro e rifletterono che la Madonna aveva una spada piantata nel cuore, si volsero a me dicendo: No, noi non vogliamo che abbia una spada in petto!... Faceva loro male vedere la Vergine, la nostra buona Madre, trafitta; e subito, levata la spada, soggiunsero:- Non sia mai che la Madonna sia tra noi piena di dolore, addolorata !… Così le spezzarono la spada, e anzi, fattisi portare dei fiammiferi, la bruciarono là, in mezzo al giardino… e dissero: - Cosi siano bruciati i nostri peccati... Quell'atto, sebbene ingenuo, diceva molto… Poi, ripresala sulle spalle, la portarono nel loro studio. E al posto della spada le misero un cuore d'argento”.4

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Par. 11. 4. 1930 La Casa degli Oblati è la prima casa di proprietà dell’Opera. La statua è gelosamente conservata e onorata nella nicchia della cappella interna. Don Orione interpreta l’arrivo della statua da Novi in questa casa come presa di possesso in anticipo da parte della Madonna. 3 Don Orione scrive: “ Questa vecchia statua è la prima Madre della Divina Provvidenza. E' rimasta sempre cosi... Tutto cambia, in questa Casa, tutto passa: una sola cosa non muta qui dentro e non muterà, perché questa è una volontà che spero sarà rispettata e tenuta sacra per l'avvenire” 3 Par. 13. 5. 1929 4 Par. 13. 5. 1929 2


2 *** Il collegio è denominato “Piccola Casa della Divina Provvidenza”. Sul primo registro di contabilità, in data 14 ottobre, sulle voci di entrata e uscite scrive: “Gesù, anime, papa” e “Divina Provvidenza”. Gli echi della fondazione sono immediati. Dopo soli 4 giorni, il 19 ottobre, il settimanale cattolico politico di Alessandria, La Sveglia, scrive: “Sabato fu aperta in Tortona una piccola Casa di educazione per ragazzi. E' per ora una piccola Casa; si direbbe, è una prova che si fa. … A dirigere questo nuovo convitto vi è il chierico Orione Luigi, infaticabile sempre e zelantissimo nel cercare in tutti i modi, il bene della gioventù… Nelle opere di Dio si comincia sempre dal poco… e Dio proteggerà sicuramente la santa impresa, perché grande è la fede e la pietà di chi la dirige. Noi facciamo i più ardenti voti per l'incremento e la prosperità del pio istituto, e vorremmo rivolgere anche una preghiera a tutti i buoni, perché, e con la parola e con la mano, vengano in aiuto”. I locali presto si rivelano insufficienti. Mettono letti ovunque, il chierico Albera si accontenta di dormire su un materasso collocato sul pavimento. L’illuminazione è a petrolio, ridotta al minimo quando non si legge ne si studia. Al piano terra i due locali più capienti sono adibiti come sala studio e cappella; il direttore insegna ad avere lo stesso sacro rispetto e per l’uno e per l’altro ambiente. Sono poveri, ma non manca il necessario. In mancanza di camerieri, Orione serve a tavola incoraggiando tutti “mangiate, mangiate perché pane e minestra ce n’è a volontà”. I sacrifici, le rinunce non spaventano: il direttore da esempio e insegna ad accogliere dal Signore, con la stessa gratitudine, gioie e dolori. “I nostri ragazzi, racconta, quell'anno andavano a dormire in una stanza, dal cui soffitto si poteva contemplare


3 il cielo stellato, quand'era stellato. E un'onda di gioia sempre invadeva le nostre anime e si aveva sempre la pace e la serenità del cuore”5. Il vescovo e i superiori del Seminario gli sono vicino. Ha come aiutanti ottimi seminaristi: Paolo Albera, Carlo Sterpi, Gaspare Goggi, Arturo Perduca ed altri6. Secondo la mentalità corrente, anche il collegio di san Bernardino ha la sua divisa: calzoni neri, giubba nera con largo bavaro e risvolto sul petto e un berretto a visiera fregiato in oro con la scritta D. P. (Divina Provvidenza). La divisa, perché duri più a lungo, viene portata esclusivamente nelle grandi circostanze. Il direttore incoraggia a portarla con dignità e sant’orgoglio anche quando attira provocazioni e insulti. Lo stile di vita fa pensare più ad una comunità che ad un collegio; una comunità che riconosce nel chierico Orione il fondatore e il capo che, con entusiasmo e accenti profetici, n’anticipa ideali e sviluppi. Alcune persone vivono all’interno dell’istituzione, altre prestano servizio gratuito, segno d’approvazione e d’incoraggiamento. Orione insegna italiano, geografia e storia, ma quando è necessario, anche latino e matematica. Educato da don Bosco insegna offrendo a tutti l’opportunità di una formazione e maturazione umana oltre che ad una soda preparazione culturale. Una scuola seria aiuta gli alunni nella ricerca di tutto ciò che è vero e bello Santità e scienza, dunque possono e devono crescere insieme. Si studia come si prega: con lo stesso impegno, lo stesso fervore, perché Dio è bellezza, Dio è verità.

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Par. 2. 7. 1928 Albera diventerà vescovo; Sterpi sarà il primo successore di don Orione; Goggi diventato professore e sacerdote, muore prematuramente e don Orione perde in lui un elemento preziosissimo; Perduca degnissimo sacerdote Orinino e guida spirituale per moltissimi anni del ramo femminile della Congregazione. 6


4 Le ricreazioni sono animate e il chierico n’è l’anima, il promotore. Le acque stagnanti, i ragazzi che ne giocano e ne sono allegri e rumorosi gli fanno paura. Anche le gite, che includono sempre dei momenti formativi, hanno la stessa impronta di straripante vivacità. E’ un comportamento che alcuni ammirano, altri lo giudicano squilibrato, ma è tanto efficace che vale la pena continuare. Infatti il sistema educativo fin dall’inizio è paterno: i superiori sono fratelli maggiori che aiutano a crescere i più piccoli con l’esempio prima di tutto e poi con la partecipazione e la persuasione. Uno degli alunni scrive: “Fin dagli anni di collegio, il suo cuore era aperto a tutti. Noi sapevamo di poter sempre contare sulla sua bontà, aveva per tutti una parola di conforto e d’incoraggiamento e, qualche volta, anche di paterno rimprovero... Se qualcuno di noi era afflitto da qualche dolore familiare, il chierico Orione era per lui una mamma. Lo si vedeva di frequente al suo capezzale, se malato; gli era vicino per partecipare al dolore e confortarlo”. L’uomo è anima e corpo, materia e spirito. La sua vera maturazione deve tener conto delle due diverse realtà. Escluderne una, metterle in contrasto, significa rompere tragicamente l’equilibrio nella persona, con conseguenze disastrose. Per questo motivo il direttore, ispirandosi a don Bosco, sta attento anche alla crescita spirituale dei suoi ragazzi. Sin dal primo giorno li ha messi nelle mani della Madonna, raccomanda loro, di partecipare ogni giorno alla Messa nella chiesetta di san Bernardino,di fare la comunione frequente e la visita al Santissimo dopo il pranzo. Per la confessione hanno a disposizione don Novelli e, quelli che lo desiderano, possono salire al Convento dei Cappuccini.


5 Sull'esempio di Don Bosco fa delle periodiche conferenze e introduce la "buona notte"7. Nella patria del musicista Lorenzo Perosi8 non poteva certo mancare nel Collegio la scuola di musica e canto. Professore è Giuseppe Perosi, padre di Lorenzo e maestro della corale del duomo. Nelle tre lezioni settimanali prepara canti, accademie e seleziona le voci bianche più belle da unire, nelle solennità, alla corale del duomo. La corale del collegio fa la sua prima uscita il 18 dicembre 1893, in occasione di un’assemblea delle associazioni cattoliche. Il successo è straordinario, grazie all’abilità del maestro e all’impegno dei ragazzi. Orione si serve di tutte le occasioni per aprire mente e cuore dei suoi alunni prospettando loro orizzonti ampi, sconfinati in campo religioso e sociale. Avverte i tempi che cambiano, che corrono velocemente, desidera preparare se stesso e quanti gli sono vicino, per rimanere alla loro testa e guidare, orientare il nuovo corso a beneficio dell’umana società. Ma non vuole illudere né lavorare a vuoto. Sa bene che ogni attività formativa, culturale, ricreativa, spirituale aiuta la crescita e la maturazione autentica della persona nella misura che trasmette e alimenta l’amore di Dio, della patria e della famiglia. La storia insegna che le civiltà crollano quando viene meno uno di questi cardini.

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La buona notte è il pensiero paterno, familiare che il direttore rivolge alla comunità al termine della preghiera della sera. Sono comunicazioni, confidenze, progetti, preoccupazioni sulla vita della casa (e più avanti, quando si moltiplicheranno le case, sulla Congregazione). 8 Il rapporto con la famiglia Perosi non si limita alla scuola di musica. E’ un’amicizia consolidata nel tempo e sempre mantenuta.


6 Le difficoltà, le croci non solo segnano l’inizio delle opere di Dio, ma ne costituiscono la caratteristica costante. La propaganda denigratoria della cattiva stampa, l’opposizione alla chiesa, la gelosia, l’invidia si abbattono come uragano sul collegio e il suo direttore. Il cielo gli è però vicino e lo conforta facendogli intuire lo sviluppo dell’Opera: “In un'ora di gravi dolori per la Congregazione, apparve il Cuore Santissimo di Gesù… e disse: - Da questo posto partirà la mia gloria. - Ecco perché quella casa è dedicata al Sacro Cuore; ecco perché vi è quella piccola statua del Sacro Cuore”.9 Una scuola cattolica come quella di san Bernardino è pericolosa, fa troppo bene… bisogna trovare la strada per neutralizzarla. E infatti dopo neanche un mese dall’apertura piomba improvvisa un’ispezione che perentoriamente ne ordina la chiusura. Il chierico Orione con grande coraggio fa ricorso al Provveditore… nuova controllo, e tutto si conclude con l’ingiunzione di ampliare il locale adibito come aula scolastica. Albera e ragazzi in men che si dica abbattono una tramezza, ammucchiano i calcinacci nel cortile e il locale è pronto. Il nuovo locale è aula, è è studio e cappella. E in cappella si prega, si medita… e si accendono le candele davanti alla statua della Madonna. Un giorno forse ne accendono troppe e… “Non so come, racconta don Orione, … si appiccò il fuoco e bruciò tutto l'altare: il fuoco arrivò fino a lambire i piedi della statua. Solamente la Madonna restò intatta e solo i piedi - quasi a ricordo di quel fatto - le rimasero un po' affumicati. Infatti, se guardate un po' bene, vedrete che la Madonna della Divina Provvidenza ha un piede bruciacchiato”10

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Par. 16. 6. 1939 Scr. 72. 23

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7 Pieno di gratitudine verso la Madonna per la scampata chiusura del collegio e da conseguenze più gravi dell’incendio, organizza per l’Immacolata una bella gita a Pontecurone. “Non mi ricordo più a che ora si partì: ricordo solo che il Rev.mo Arciprete… ci accolse poco bene: egli forse pensava che fossi mezzo matto…11 Quei primi fanciulli, che furono il seme, il primo nucleo della Congregazione, li portai a visitare anche l'umile cappellina campestre, in cui io ero solito recarmi da fanciullo per pregare particolarmente la Madonna dolcissima, perché mi facesse la grazia di essere sacerdote…”12 Dopo la santa Messa, vanno tutti a casa di mamma Carolina a mangiare una saporita zuppa coi ceci. Mentre sono allegramente alle prese con il piatto, la povera donna non sa più contenersi dalla consolazione nel vedere il suo don Luìs circondato da un folto gruppo di ragazzi. Ad un certo momento gli chiede: - Dì, Don Luìs, quanti fioeu aghèt giamò?; e il Direttore prontamente risponde: - Ièn quasi quaranta ma poeu at vigre’ !…”13 C’è un altro aneddoto simpatico di Carolina e il figlio. Con il permesso del direttore tante volte viene e si ferma qualche mezza giornata a San Bernardino. Con tutto il lavoro che c’è da fare, non è certo la donna che rimane con le mani in mano: cucina, rammenda, pulisce e nel caso tiene d’occhio anche i ragazzi. Un giorno, finito di cucinare, attende che i ragazzi scendano a pranzo. Ritardano: Luigi avrà anche le sue ragioni per dare loro una buona lezione, ma a Carolina dispiace che il cibo si raffreddi. Senza attendere oltre, con il suo potere di madre grida dal piano terra: “ma lasciali venire giù, poveri ragazzi, pover fioei!”. Il direttore che sta tutto serio in cattedra,

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Par. 8. 12. 1933 Par. 5. 12. 1933 13 Dimmi, don Luigi, quanti figli hai già ? - Sono quasi quaranta ma poi vedrai… 12


8 all’udire la voce della mamma, fa una bella e rumorosa risata e… “andiamo a pranzo, ragazzi!”. Le domande continuano anche durante il corso dell’anno… e i giovani aumentano e con loro aumentano anche i debiti. I fornitori diventano impazienti, protestano e qualcuno, il fornaio e il falegname, si rifiatano di continuare a far credito. Pensieroso e triste Orione si aggira lungo i viali intorno al castello. Una signora lo avvicina e chiede la ragione di tanta pena. Con sincera umiltà il chierico espone il problema: soffre perché non ha soldi per il pane dei suoi ragazzi. “Bene gli dice la signora abbozzando un leggero sorriso, accetti intanto questa somma… e le prometto che le darò altro ancora”. La somma ricevuta corrisponde esattamente al debito con il fornaio. Ha detto il suo grazie alla signora sconosciuta… ma sente di dover ringraziare ancora di più, insieme ai suoi ragazzi, la Madonna che nei momenti di difficoltà fa sentire in modo tangibile la sua materna assistenza. Il giorno dell’inaugurazione della casa degli Oblati, 14 maggio 1894, Orione è tra gli oratori ufficiali, mentre i suoi alunni sono stati invitati per eseguire canti, letture e recite. Nel suo discorso esalta la grandezza del sacerdozio cattolico, suscitando nei presenti, entusiasmo e continui scrosci di mani, e le reazioni incomposte di un certo tipo di stampa. All’inviato della “Lanterna” infatti, non piace quella bandiera del papa piazzata ben in vista da Orione… Seccato polemizza e con ironia sottolinea che “il discorso più degno di nota fu quello di un pretocolino…”14 Evidentemente da fastidio il coraggio, la fermezza, la documentazione con la quale il “pretocolino” parla della chiesa, del papa e dell’impegno cristiano nella società a favore dei deboli e dei poveri.

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La Lanterna, 19 maggio 1894, anno II, n. 20, p. 3.


9 Il lavoro intenso, costante per lo sviluppo del Collegio e il bene di tante famiglie sono la migliore risposta alle critiche insulse della stampa. L’ordinazione sacerdotale di don Albera, avvenuta la settimana dopo l’inaugurazione della casa degli oblati, è per il direttore e i ragazzi motivo di grande conforto e gioia. Orione, convinto dell’importanza della presenza cristiana nel sociale, continua a partecipare e intervenire a tutte le riunioni e manifestazioni a sfondo religioso. Ormai tutti conoscono la sua foga oratoria, la fiamma interiore d’amore di Dio e di zelo per il bene delle anime. Lo cercano i superiori, gli danno la parola i dirigenti delle società cattoliche, lo invitano a parlare nelle riunioni giovanili. Rimane poi, un fatto straordinario e sorprendente che il vescovo in persona ufficialmente lo nomini, ancora chierico, predicatore della diocesi. “Il giorno 4 giugno, scrive La sveglia, il Vescovo presentava ai sacerdoti ed alle signore il chierico Orione, fondatore e direttore dell'Istituto della Divina Provvidenza in Tortona, un secondo Don Bosco. Lo invitava a parlare. Orione fece l'apologia del papato, e noi ci sentiamo incapaci di riprodurre, anche alla lontana, quei concetti sublimi. Fu un inno alla miracolosa istituzione: cavò le lacrime da più ascoltanti, e si ebbe, quasi ad ogni periodo, vivissimi applausi. … dopo la conferenza, ebbe pubblicamente dal Vescovo la facoltà di predicare in ogni chiesa della diocesi, quantunque chierico. E Novi ha l'onore di essere stata la sede, da cui si emanò sì grata disposizione…”.15 E’ un predicatore che parla al cuore, che scuote, entusiasma, ma che parla troppo chiaramente e che a volte dice cose che secondo la suscettibilità di alcune persone, non dovrebbe dire. Non meraviglia quindi, che insieme agli applausi ci siano critiche e tentativi pretestuosi per farlo tacere. Proprio a Novi 15

La sveglia, 7 giugno 1894


10 due gendarmi si presentano in sacrestia per “sequestrare” le cartelle dell’incriminato discorso. I santi sono anche furbi: le cartelle sono scomparse e i gendarmi tornano a casa a mani vuote. L’anno scolastico termina con comune soddisfazione. “I giovani crebbero buoni … tutti hanno scolpita, ben dentro il cuore, la dolce ricordanza del tempo passato in quella casa, povera sì di ciò che ora si chiama "confort" moderno, ma ricca di carità vicendevole e di amore verso Dio, la Madonna e il Vicario di Gesù Cristo sulla terra”.16 Ha parole d’elogio la stampa e lo stesso Provveditore Pratesi, che scrive: “L’Istituto Paterno della Divina Provvidenza, tenuto da un sacerdote presso la città, negli antichi locali di San Bernardino…Comprende un collegio che conta già ventiquattro convittori, un corso di studi ginnasiale, limitato per ora alla prima classe, un ricreatorio frequentato da giovinetti esterni; un piccolo numero di fanciulli interni frequenta le scuole elementari pubbliche. Oltre al direttore, sono addetti all'Istituto altri due sacerdoti per l'insegnamento e due chierici e un secolare per la disciplina. L'indirizzo educativo è ottimo sotto ogni rapporto, curandosi anche l'educazione fisica, con gli esercizi ginnastici diretti da un sottufficiale dell'esercito, e insegnasi il canto corale e, ai meglio disposti, anche la musica col pianoforte. Il vitto somministrato agli allievi è salubre e sufficiente. L'istruzione è loro impartita con perizia secondo i programmi governativi, con profitto assai soddisfacente”.17 Il buon seme, dopo lungo e gelido inverno, germoglia. E’ il piccolo stelo, che presto sarà pianta rigogliosa e robusta.

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Par. 13. 5.1929 Foglio 1656, 13 giugno 1894


1 CAPITOLO X: IL COLLEGIO DI SANTA CHIARA Un anno verso la mezzanotte, mentre il direttore riposa su di una panca, al tepore della cucina, sogno l’alunno Mauro Montanga1 da poco volato al cielo. Gli appare vestito di bianco, in una luce splendida, sollevato da terra. Mostra ai suoi piedi una tomba appena chiusa, la sua, e altre due aperte. E additando una di queste esclama: « Martedì, martedì! » Don Orione preoccupato, racconta agli alunni raccolti in cappella, il sogno… Tra i collegiali uno, negli ultimi banchi, noto per la sua avarizia, per nulla impressionato, offre ai vicini del cioccolato dicendo: “mangia, mangia che tanto le pelle grame non muoiono mai!” … In refettorio quella sera venne fuori un gioco strano. Fu proprio lui che propose: « Vediamo un pò chi di noi deve morire per primo». E la designazione della sorte fu affidata al mestolo che stava dentro la zuppiera vuota … Cominciò il primo a vibrare la spinta e il mestolo si fermò davanti al Diverso Compagno. Al secondo turno, ancora il Diverso Compagno. Così al terzo. « Ah, disse ridendo - vi siete messi d'accordo per farmela? Vedrete adesso se si ferma davanti a me». E lo spinse con violenza che quasi saltava fuori dalla zuppiera. Fermo davanti a lui. Scoppiò una risata generale; qualcuno impallidì. Lui, indispettito contro il povero mestolo, lo afferrò e lo piegò in su e in giù fino a spezzarlo, fremendo di rabbia: « Maledetto, vuoi proprio farmi morire per primo? Muori tu! ». E lo gettò con disprezzo sotto il tavolo. … Il Diverso Compagno aveva un bottiglione di vino forte e generoso e se lo succhiava senza mai farne parte ad alcuno. Ma quella sera mutò sistema e ne distribuì senza parsimonia a tutti quelli della tavola, dicendo: « Se devo morire, come ha detto il mestolo, perché lasciare qua il vino? ». … Il lunedì seguente, durante la scuola sta male… Martedì 2 febbraio: verso mezzanotte, l'ora in cui Mauro Montagna era apparso 1

Mauro Montagna è un ragazzo che don Orione definisce “il nostro san Domenico Savio”. Morto prematuramente, lasciò nella memoria di tutti, un riflesso del suo candore.


2 a don Orione, cessava di vivere. Il cadavere, irrigiditosi, prese aspetti terrificanti e il volto annerì. Fu sepolto al paese nativo, Mornico Losana, in una giornata di bufera e di neve.2

*** San Bernardino si rivela sempre più insufficiente a contenere quanti chiedono di essere accolti. In primavera Orione ha adocchiato uno stabile enorme in Via Emilia che, sorto come convento delle clarisse, adibito poi come caserma, ora, che se ne vanno gli ultimi inquilini, rimane vuoto. Il Comune è disposto a dare in affitto lo stabile, ma stampa e politica complicano le trattative sacrificando la verità e il bene comune all’ideologia. La notizia non è ancora ufficiale che La lanterna, pur di bloccare la scuola dei preti, lancia strali contro il chierico Orione, accusa la giunta comunale definendola incapace di gestire in proprio la scuola e poco attenta ai vantaggi economici. Terminato l’anno scolastico Orione accelera le trattative per avere in mano il contratto in tempo utile. Lo stabile, ridotto in pessime condizioni, ha bisogno di un minimo di ristrutturazione… Il chierico fondatore ha dalla sua parte la Provvidenza, ma dimostra anche una capacità straordinaria, oltre che la massima onestà e trasparenza. Accelera le trattative per avere in mano il contratto in tempo utile. Si dichiara inoltre disposta a pagare il prezzo concordato, anzi se ci sono offerte migliori, è disposto a recedere dal contratto. Il Sindaco e Consiglio non vogliono perdere un occasione così vantaggiosa sotto diversi punti di vista. I ragazzi hanno la possibilità di andare a scuola, istruirsi senza 2

Sparpagliane, don Orione passim 249. In una lettera allo zio prete del Diverso Compagno, don Orione scrive di aver parlato con l’alunno De Filippi Felice per più di mezz’ora. E’ salvo e gli ha dato utili consigli per i giovani del Collegio. (Tortona 25 Sett. 1897).


3 aggravio di spese; lo stabile, destinato a rimanere vuoto, da un utile; il collegio tra genitori, parenti e visitatori crea interesse, movimento e ricchezza per la città. Al di là dunque, d’ogni strategia ideologica o politica, il Comune stipula il contratto d’affitto. La Lanterna non si da per sconfitta. Non avendo altri argomenti crea confusione spargendo la notizia del veto da parte del ministro Crispi. Notizia smentita qualche giorno dopo dalla delibera3 del prefetto di Alessandria, sollecitato dallo stesso ministro. Don Orione riferisce al suo vescovo: “Dopo tante lotte e dopo tanto pregare, Nostro Signore, a confusione dei nemici della Divina Provvidenza, ha voluto che il diavolo mi facesse il Collegio. Il Sotto - Prefetto se n'era lavate le mani; il Prefetto non voleva approvare, i noti framassoni e professori e socialisti ricorsero a Crispi ed a Baccelli per fare annullare il contratto di cessione. L'Ispettore fu mandato dal Governo a visitare il locale e vi andò col metro alla mano… Dal Ministero dell'Interno, un telegramma al Prefetto gli ordinava di non frapporre ostacoli; e il Signore e la Madonna trionfavano cosi, e facevano che Crispi stesso fosse lo strumento della loro grande misericordia verso di noi.” 4 Ferita nel suo orgoglio, La Lanterna si rivolge direttamente ai genitori lanciando strali contro il direttore e menttendoli in guardia sulla inutilità degli studi fatti in quel collegio.5 Il giornale genovese non sa che sta parlando a genitori che non si lasciano incantare, perché conoscono bene 3

Div. 2, M 15059 Scr. 59-186 5 Fin dall’inizio Orione è per così dire tra due fuochi. Per la semplice ragione che un giornale cattolico lo segua passo passo e ne esalti l’opera, mentre quello socialista non perda occasione per attaccarlo e denigrarlo, significa che tutti sono coscienti di essere davanti ad un uomo straordinario, ad un personaggio che lascerà la sua impronta nella storia. La lanterna con le sue menzogne finì per stancare tutti. Il 22 ottobre di quell’anno, gli agenti di pubblica sicurezza perquisiscono e sciolgono il Circolo popolare Socialista sequestrando libri, scritti, corrispondenza e varie copie del giornale. 4


4 quel chierico sempre presente alle varie riunioni a sfondo religioso e sociale, conoscono il suo entusiasmo, la sua generosità, la sua preparazione. Il direttore, risolto il problema dell’affitto, continua a svolgere una propaganda capillare anche se le domande sono 150. Ha stampato e distribuisce regolamento e programma, visita personalmente molti parroci, ricorre con una visione aperta e moderna alla stampa locale di cui diventa sostenitore e corrispondente.6 Alla metà d’ottobre tutto è pronto. Si parte per la nuova avventura. I ragazzi hanno a disposizione uno stabile a tre piani: quaranta vani, tre camere enormi, tre cortili, uno dei quali è cinto per tre lati da un vasto e meraviglioso portico. Lo spazio è ugualmente insufficiente per l’elevato numero di presenze. Alcuni alunni conservano come riferimento san Bernardino, altri andranno a dormire nei locali del Seminario messi gentilmente a disposizione del Rettore. E’ fonte di gioia grandissima disporre di una scuola propria, lavorare a tempo pieno per istillare negli alunni, la verità, la scienza, il senso di Dio, della sana convivenza, della giustizia sociale e dell’amore cristiano. Il chierico Orione li guarda con occhio paterno dalla cattedra, mentre nell’ampio salone illuminato a gas-luce, sui banchi costruiti appositamente sullo stile di Valdocco, i giovani Studiano e fanno i compiti.

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Per portare un esempio su tanti: il 30 settembre la Sveglia del popolo di Voghera riporta un lungo articolo nel quale il chierico Orione chiede ai genitori cattolici di inserirsi senza paura nella conduzione delle scuole. E’ loro diritto e loro dovere. Il 21 ottobre in un altro articolo risponde chi è il cattolico intransigente. Per nessuna ragione al mondo si deve tener nascosta la propria fede e l’amore alla chiesa e al papa.


5 A volte si alza e senza disturbare gira tra i tavoli, incoraggia uno, riprende amorevolmente un altro, si siede vicino ad un’altra ancora e ascolta la lezione o la recita di una poesia. Le entrate non sono proporzionate alle uscite, ma la Provvidenza fa sempre quadrare i bilanci al momento giusto. I giovani sono tanti, l’appetito non manca, le ceste di pane non si contano… Il panettiere, buon uomo, per l’ennesima volta minaccia di sospendere la fornitura. Remissivo nel passato, ora esige a tutti i costi di essere pagato. Il direttore non ha altra scelta che mettersi a pregare con i ragazzi. “Una sera, racconta un alunno, era quasi buio, un signore con la barba suona il campanello: il portinaio Giovanin apre e si vede consegnare una lettera da rimettere al direttore, e se ne va… Il direttore che ha tra le mani le mille lire, e tanto esige il fornaio, si lamenta benevolmente con Giovanin che non ha chiesto il nome al benefattore. Poi mostrando il denaro ai suoi giovani commenta: “Vedete san Giuseppe!”. L’approvazione del vescovo è una ulteriore ragione di incoraggiamento e di conforto. Nel febbraio del 1895, nella relazione al papa, monsignor Bandi tesse un meraviglioso elogio: “Da due anni è stato aperto in Tortona un nuovo Istituto cattolico per giovani, a cura e industria di un chierico che verrà quanto prima ordinato sacerdote, nel quale - già alunno dell'Oratorio San Francesco di Sales, fondato in Torino dal molto famoso e benemerito Sacerdote Don Bosco - sembra sia stato trasmesso molto del suo spirito per l’educazione cristiana degli adolescenti; a lui si offrono come vigilanti e industriosi collaboratori alcuni chierici e laici e a lui volentieri affidano i loro giovani figli da educare parecchi concittadini, cattolici nel vero senso: il numero di questi giovani è ormai di centoventi. Quest’Istituto - fondato precipuamente sulla fiducia nella Divina Provvidenza, e al quale ho già dato di gran cuore la benedizione e che, secondo le mie possibilità favorisco - è


6 destinato a riparare gli effetti cattivi delle scuole civili, spesso presiedute da maestri più o meno avversi alla religione e ai diritti della Chiesa.…”. Pur tra gli onerosi impegni della scuola, dello studio, del giusto svago, la cappella, un salone spoglio e senza banchi, è il centro della vita del Collegio. Senza alcuna costrizione i giovani seguono con fervore la parola, le iniziative e i consigli del chierico Orione. Alla domenica,non avendo ancora a disposizione un sacerdote, i ragazzi, in fila e in divisa, si recano in duomo per la santa Messa. Sono tanti, rumorosi e allegri… Tra i passanti c’è chi approva e chi si sente autorizzato a commenti poco rispettosi o battute sarcastiche. I canonici senza parlare, fanno intendere chiaramente che questa presenza non è per nulla gradita. Spesso, infatti, mandano il famoso sacrestano Scudlon, a dare ordine di lasciare il posto. Il direttore ingoia il boccone amaro e senza far trasparire il minimo disappunto, fa eseguire l’ordine ricevuto. Nel mese di aprile il chierico Orione, ordinato sacerdote,vede coronato il sogno di tutta la vita. Vorrebbe intensificare l’apostolato, ma deve seguire la conclusione dell’anno scolastico e programmare il nuovo. Per questo studia e si consulta come impostare meglio i corsi di studio, rendere più ordinata la vita interna, diminuire i debiti, contenere le spese… Si rivela spirito libero, aperto e moderno. Partecipa attivamente alla vita della diocesi e della città e quando è opportuno vi inserisce i suoi ragazzi. Apre i locali del Santa Chiara per i congressi diocesani, assemblee di associazioni religiose, per ospitare convegnisti e organizzare pranzi ufficiali. Durante il periodo estivo si rende ancora più disponibile e collabora per la buona riuscita delle varie iniziative del


7 vescovo. Sempre in piena sottomissione e comunione con lui, anima, tiene conferenze, guida pellegrinaggi nei luoghi pi첫 raccolti e suggestivi della diocesi.


1 CAPITOLO XI : UN VERO COLLABORATORE

Ai tempi del collegio di Santa Chiara si presentava a lui un giovane che si diceva desideroso di farsi eremita della Divina Provvidenza, ma era un impostore. Rozzo e avido di cibo, pensava di potersi collocare adottando il sistema dell’ipocrisia. Ogni mattina faceva la comunione, era untuoso di pietismo nel parlare, nel camminare, nel gestire. S'inginocchiava, in presenza di tutti, davanti a don Orione. Una mattina in chiesa sospirò pubblicamente: «Oh, Signore, perdonate questo povero peccatore ».

Don Orione che lo capì a volo, lo mise subito alla prova per convincerlo d'ipocrisia. Lo, mandò a chiamare e gli disse alla presenza del più matricolato dei suoi ragazzi: « Che cosa saresti disposto a fare per me? ». Lo scroccone si dichiarò pronto a tutto: « Darei il sangue, la vita, vorrei soffrire le pene dell'inferno per amor suo, ». « M'accontento di meno, - disse don Orione mangerai quello che ti porterà questo ragazzo, quando te ne porterà ». Un angolo dì Santa Chiara era detto la Siberia per ragioni facili a intuirsi. Freddo, squallido, confinato verso il solaio, serviva per quegli individui che capitassero senza sicure referenze. Il nostro galantuomo dormiva lassù. Non battè palpebra alla proposta di don Orione e si ritirò... in Siberia ad aspettare il pranzo, forse paventando una razione ridotta. Ma non venne neanche quella e filarono lisce la cena e la colazione del giorno dopo. Il ragazzo in funzione di Schiller eseguiva puntualmente l'ordine di don Orione. La sera del secondo, giorno bussò alla porta e non ottenendo risposta fece spiraglio, studiò dove mettere i passi e con una certa tremarella entrò a depositare la cena sul tavolo. Era un piatto di fagioli cotti, con un pezzo di pane. L'affamato vi si precipitò sopra a divorarlo. La musica sarebbe dovuta continuare con le medesime battute d'aspetto, ma già al terzo giorno l'incaricato di servire la refezione


2 ebbe un bel bussare. Quatto, quatto, alla chetichella, con le ali basse, il merlo se l'era squagliata e non fece più ritorno.1

*** Santa Chiara apre i battenti per il secondo anno scolastico. Contemporaneamente il collegio torna al centro delle diatribe e delle discussioni. Si riaccendono vecchi rancori, qualcuno parla d’illeciti guadagni, di bancarotta imminente e di conseguente scandalo e peso per l’intera diocesi… Il vescovo, combattuto tra la grande stima e fiducia e le voci che circolano, ha chiamato più volte don Orione, lo ha rimproverato, consigliato, minacciato… ma il problema non è di facile soluzione. Non solo i debiti preoccupano il direttore, ma anche l’assistenza dei ragazzi che sono aumentati di numero. Gli impegni pastorali, da quando è sacerdote, gli portano via tempo e lo impegnano lontano dai giovani. Sente il bisogno d’aiuto, di un chierico di cui potersi fidare ciecamente. Ha individuato anche la persona giusta, l’assistente del nuovo seminario di Stazzano. Il Chierico Carlo Sterpi ha capito di essere chiamato a servire Dio nei fanciulli poveri vicino a don Orione, e lo desidera ardentemente… attende solo l’approvazione e quasi l’ordine del vescovo. Don Orione deve aver convinto l’amico a fare il primo passo. Così un bel giorno Sterpi, timidamente ma risoluto, si presenta a Monsignor Bandi. Il vescovo appena percepisce la ragione della visita, cambia umore, si meraviglia, s’irrita, disapprova e riprende con gran foga quel chierico che osa avanzare una richiesta inopportuna e per nulla saggia. Per il suo bene, se 1

sparpagliane, Don Orione, Tipografia San Giuseppe, Tortona 1949, p 152-153


3 desidera essere sacerdote, gli conviene cacciare quel cattivo pensiero e rimanere estraneo dall’attività di don Orione. Carlo Sterpi, umiliato e confuso, nasconde all’amico la sofferenza interiore. Ma qualche cosa trapela… E allora don Orione, prima di presentare la richiesta ufficiale al vescovo, decide di salire in pellegrinaggio al Santuario di Monte Spineto. I due s’incontrano a Serravalle: - Sterpi, sono contento di vederti. Come stai? Ti vedo preoccupato… - E’ morta mia sorella. Salgo in paese per il funerale. Ma tu, cosa fasi da queste parti? - Vado a chiedere alla Madonna una grazia… molto importante. Tieniti pronto. - Ho capito. Sono disponibile, ma rinuncio a fare progetti. Sarà quello che vorrà il Signore. La Madonna in realtà ha preceduto la richiesta ed ha già concesso la grazia desiderata servendosi di un avvenimento poco simpatico. Un collegiale non si comporta bene, disturba, crea problemi a non finire. Il direttore dopo tanti inutili tentativi lo dimette. Il padre del ragazzo, uomo molto influente in città, si presenta al direttore e prega, supplica, minaccia, maledice… non si arrende. Ricorre dal vescovo e chiede che faccia valere tutta la sua autorità. Don Orione, chiamato da Monsignor Bandi, ascolta con rispetto e pazienza, ma è altrettanto deciso e fermo nella sua posizione. Al momento più opportuno, da l’impressione di voler cedere: il ragazzo potrebbe anche tornare al Santa Chiara, ma ad una condizione… - quale condizione? Chiede il vescovo. - Un chierico in aiuto a tempo pieno per seguire meglio i ragazzi. E se permette, eccellenza, il collaboratore che chiedo si chiama Carlo Sterpi.


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Bene, avverti pure il chierico Sterpi che venga con te, ma riprendi oggi stesso nel tuo collegio, il ragazzo che hai allontanato.

La grazia è fatta. E sterpi racconta: “Io me ne stavo in vacanza, e già facevo i preparativi per rientrare in seminario a Stazzano, quando ricevo una cartolina dal direttore che mi raccontava come era andata la faccenda con il Vescovo. Faccio subito il fagotto e subito me ne venni a Tortona. Il Direttore stava assistendo in studio - e già aveva più di 100 ragazzi. Appena mi vide, mi disse: - Bravo !.. Sei venuto a tempo: assisti un momento… -Ne sono passati, da allora, dei momenti… Per tutto il pomeriggio non si vide: tornò poi alla sera. Il "momento" d’assistenza… durò tre anni”.2 Nel luglio del 1895 partecipa ai tre grandi avvenimenti di Stazzano: l’inaugurazione del Seminario, la consacrazione del Santuario dedicato al sacro Cuore e la terza adunanza diocesana dell’opera dei Congressi. Viste le tante personalità civili e religiose che si assiepano attorno al vescovo, don Orione preferisce rimanere nascosto, sia per dare spazio agli altri, che per evitare qualche probabile elogio pubblico nei suoi confronti.. Terminata la celebrazione eucaristica, prende la strada che sale al santuario di Montespineto. Estrae dalle tasche una corda, se la mette al collo e inizia la salita facendosi tirare come un giumento. E’ mezzogiorno. I pochi passanti, non sapendo cosa pensare, lo guardano stupiti. C’è anche chi lo crede colpevole di chissà quale reato per essere costretto a fare quella strana penitenza. Don Orione incurante cammina in raccolta preghiera. Arrivato in cima, entra in chiesa, depone la corda sull’altare della Madonna e, convinto di essere solo, prega ad alta voce ora rimanendo in piedi, ora in ginocchio. 2

DO II,212


5 E’ tardi quando si decide di prendere la via del ritorno. A Stazzano, terminato il pranzo, stanno parlando a turno gli invitati più illustri… - Ascoltiamo ora, grida entusiasta il moderatore, la parola di don Orione. - Come! esclama il vescovo con stizza, c’è anche don Orione? E non sa lui, che pretende di fare il fondatore, che suo primo dovere è quello di presentarsi al suo vescovo? Lieto di essere così umiliato, inizia il discorso esaltando la grandezza e la dignità del vescovo chiamato a guidare la chiesa locale in comunione con il romano pontefice. Dovendo dare inizio ad un altro anno scolastico, si prepara con un corso d’esercizi spirituali nel convento francescano di Voghera e un pellegrinaggio alla Madonna di Montepenice. Sale al santuario con due alunni, che invano sperano di passare la notte in un albergo e rifocillarsi con un buon pasto il giorno successivo. Dopo aver camminato tutto il giorno arrestano la marcia stanchi morti, quando è buio. Si riparano dal vento in un piccolo avvallamento ai margini della strada. Mentre i due giovani dormono coperti dal suo soprabito, don Orione rimane in preghiera fino all’alba. Raggiunta la vetta, celebrano l’Eucaristia. E’ l’ora del pranzo… il direttore estrae dalle tasche profonde un pezzo di pane avvolto nel giornale. E’ il pranzo dei due giovani: un pane duro, ma mai così tanto saporito! Don Orione intuisce il loro disappunto e affabilmente commenta: “Bisogna accompagna la preghiera alla Madonna con qualche atto di mortificazione perché sia più accetta e frutti le sue benedizioni”. 3

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6 E di mortificazione e penitenza don Orione se ne intende! Qualche volta per rendere efficace la predicazione percorre lunghi tratti di strada portando sulle spalle un sacco carico di pietre. Una sera, al termine di una predicazione, stanco morto bussa alla canonica di don Milanese. Sorpreso e lieto di questa gradita visita, il parroco gli offre qualche cosa da mangiare e da bere e lo invita a fermarsi per la notte. Nulla da fare! Con un’estenuante marcia sulla neve, arriva a Tortona a notte inoltrata: Dopo un breve riposo nel solito angolo della cucina pensa di partire per iniziare la predicazione in un altro paese. Ma mentre scende dallo scalone interno, vinto dalla stanchezza, cade svenuto. Racconta: “Ero tornato a casa da una faticosissima predicazione - tre prediche al giorno e sette o otto ore di confessionale: - avevo viaggiato tutta la notte sotto la neve, a piedi, venticinque chilometri. Sono giunto a casa e sono svenuto tra le braccia dei miei figliuoli ! Poveri miei figliuoli ! Ma il Signore non ha voluto abbandonarli…”4 La situazione è grave. Il medico lo visita e gli ordina assoluto riposo, di mangiare carne e stare al caldo procurandosi una stufa. Alla giusta preoccupazione del medico, il malato risponde rassicurandolo: “stia tranquillo, prima di morire deve aprire ancora altri collegi”. Il Vescovo appena ricevuta la notizia, si reca a fargli visita. Sterpi, ligio agli ordini del medico, fa preparare una minestra con brodo di carne… Il malcapitato ragazzo che gliela porta deve subire contestazioni e rimbrotti. Quando, piangendo, riesce a dire che egli ha solo obbedito al chierico Sterpi, don Orione si calma e accetta la scodella. Appena si riprende lancia l’idea di una banda musicale. Il chierico Sterpi ha l’incarico di cercare e acquistare gli strumenti. Vuole una banda capace di rispondere alle richieste e alle esigenze della città e dei paesi vicini. L’iniziativa è 4

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7 moderna, di grande intuito pedagogico... ma non mancano quelli che criticano e lo dicono impazzito perché pensa a trombe e musiche e non si cura di spese e di debiti. Giugno riserva al direttore e ai ragazzi dell’istituto momenti di consolazione e di conforto. Entra a Santa Chiara il primo quadro della Madonna del Buon Consiglio, dono del padre e amico carissimo Monsignor Novelli. Don Sterpi, ordinato sacerdote, celebra la sua prima messa attorniato dai ragazzi del santa Chiara, di Mornico Losana e di Genova. La banda ha occasione di farsi apprezzare a Stazzano nel primo anniversario della consacrazione del santuario del Sacro Cuore e a Broni nei giorni dell’assemblea diocesana dell’azione cattolica. La musica è la vivacità di quei ragazzi creano subito un clima di festa popolare attorno al pastore della diocesi. Racconta Giovanni Santolini, uno dei convegnisti “…avvertiamo l’arrivo di una banda musicale, le cui note giungevano da lontano sino a noi. Ci affacciamo al balcone che dà sulla strada principale, spingendo l'occhio, vediamo avanzarsi un corpo musicale, ma è ancora tanto distante da non poter distinguere se sia dei nostri. Anzi sospettiamo sia invece una banda socialista che intende venire in paese a fare il guasta feste: a quei tempi di lotta ciò era ben possibile. Perchè? I suonatori vestivano una divisa assai sgargiante in cui dominava il rosso, il colore preferito dai socialisti. Intanto la banda si avvicina verso noi, sicché si può distinguere che chi la guida è un uomo in sottana nera. Ma quello è un prete! - Ah! è quel pazzerello di Don Orione coi suoi ragazzi… - dice Mons. Bandi -, ma tutto quel rosso!… - La banda si arresta proprio davanti alla canonica e Don Orione viene su per ossequiare il suo Vescovo: - Ma cosa ti è saltato in mente di guarnire di rosso i tuoi ragazzi ? . . . Li abbiamo scambiati per una banda di socialisti… Sei socialista anche tu?… - Don Orione guarda il Vescovo con quei suoi


8 occhi così dolci, furbi e profondamente espressivi, atteggia il viso al più amabile sorriso e risponde: - Eccellenza, il rosso, il più bello ed il più vivace dei colori, colpisce la fantasia ed attira la simpatia dei ragazzi meglio degli altri colori, e perciò mi sono affrettato di guarnire abbondantemente di rosso la divisa di quei monelli, prima che lo facciano i nostri avversari per attirarli a loro. Questo bel colore del buon Dio l'ho ipotecato io prima di loro; ormai non vorranno scimmiottarmi... - Non c'era nulla da opporre, ma la genialità, la praticità, il fine intuito di Don Orione mi fecero persuaso che quel sacerdote, dall'aspetto così semplice, così modesto, che quel corpo così gracile e meschino, racchiudeva un'anima non comune e che avrebbe dato al diavolo molto filo da torcere”.5

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1 CAPITOLO XII:

CHIERICO FONDATORE

“Don Orione, il giorno stabilito per la vestizione di fra Basilio primo eremita, si era spinto fino a Varzi, con il proposito di salire a Sant'Alberto nel pomeriggio e fra Basilio doveva attenderlo sulla provinciale, di fronte a Pizzocorno, per fare insieme la salita. Era naturalmente in abito borghese, ma sotto il braccio, avvolto non so se in un giornale od altro, custodiva gelosamente la sua tonaca d'un bel colore bigio scuro. Passano le prime ore pomeridiane e don Orione non si vede. Gli impegni lo trattenevano. Finalmente compare, sul far della sera, vede il suo futuro frate e constata l'impossibilità di fare quella salita che non richiede meno di due ore. Però non si perde per così poco. Il brav'uomo è così ansioso, e turbato di dover rimandare la funzione da tanto tempo desiderata che fa pena a vederlo. La decisione è presa. Si farà la vestizione sulla strada, non potendosi salire all'eremo… Entrambi discendono il ciglio della strada e si trovano in un prato riparati dagli sguardi dei passanti da una lunga fila di alberi. Don Orione recita a memoria la formula rituale … fra Basilio era venuto senza cordone, perché faceva affidamento sulle risorse dell'eremo. Si fruga per le tasche in cerca di una corda o di uno spago, ma non c'è verso di raccapezzarne. Allora don Orione ha un'idea luminosa. Stacca da una pianta un ramo flessibile e con esso cinge devotamente i fianchi di fra Basilio che quella sera stessa imprende a salire l'erta di Sant'Alberto e arriva accolto festosamente dai suoi confratelli ai quali narra la singolare avventura.”1

*** Il Progetto della Provvidenza è chiaro e don Orione lo ha compreso molto presto, ma lo sviluppo è progressivo: ha iniziato con l’oratorio, ha aperto un collegio a san Bernardino, poi Santa Chiara… E’ consolidato il nome del nascente istituto,

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D: SPARPAGLIONE, don Orione,


2 hanno ricevuto dal vescovo l’abito i primi aspiranti… Nel primo numero de “la scintilla” scrive, in terza pagina, l’articolo “I Romiti dei miei monti”, preannuncio della fondazione del ramo degli Eremiti della Divina Provvidenza. Alcuni alunni hanno chiuso in bellezza il corso ginnasiale e don Orione ha già in mente come preparare meglio questi suoi primi figli: “Direi di porli non in una città piccola, ma grande e viva: ho bisogno che si formino in mezzo al rumore e che non restino di testa piccola e di cuore piccolo, da rimanere poi quasi imbalorditi e nuovi, quando entreranno nel mondo: amerei anche una città grande, dove possono avere l'ausilio delle biblioteche, un’Università forte per bontà di maestra e per vita di studi, sì che si trovino al contatto con i Professori i più canaglia e li possano guardare in faccia bene , andare da loro con cognizioni multiple.”2 Prende in affitto un appartamento a Genova e vi invia i ragazzi destinati a frequentare il liceo Andrea Doria. Responsabile del gruppo è Gaspare Goggi poco più grande degli altri; madre e tuttofare la domestica che Monsignor Novelli con gesto di fiducia e d’affetto, ha messo a disposizione. Don Orione è paterno, ma esigente: devono studiare e molto, aprirsi al vero e al bello, curare la vita dello spirito per essere domani all’altezza della vocazione ricevuta: “Quando mandavo i primi chierici al liceo a Genova … li mandavo a scuola di stenografia e di dattilografia… Fin d'allora fissava loro precise ordinate norme circa le pratiche religiose…”3 Nel marzo del 1896 don Orione affitta il castello di Mornico Losana per raccogliere i collegiali del Santa Chiara

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Scr. 69. 302, 203 Par. 13.12.1937; Scr. 96. 37


3 che danno fondata speranza di vocazione e, durante l’estate può accogliere i ragazzi che non possono andare in famiglia. Ci sono ragazzi che nonostante la buona volontà, non riescono negli studi. Dimetterli dal collegio significa gettarli in mezzo alla strada. Il castello con il terreno che lo circonda, si rivela provvidenziale per inserire questi giovani al lavoro dei campi che secondo il metodo Solari dovrebbe garantire lo sviluppo e l’avvenire della nazione. Nasce così il primo ottobre del 1896 la prima colonia agricola di cui fa responsabile don Albera.4 Anche in questo ambiente i giovani vivono e lavorano carichi di entusiasmo e di fede. Il Signore benedice quest’opera e compie le sue meraviglie: “Ho portato su una bottiglia d’olio, scrive don Orione a Goggi, e la lampada del santissimo era ancora accesa, benché da 15 giorni fosse senz’olio”.5 L’anno 1997.98 è anno di grande importanza. Mentre continua la vita allegra e spensierata dei ragazzi, don Orione deve lasciare l’insegnamento e risolvere le difficoltà che vorrebbero mettere in crisi l’istituzione. Ci vogliono insegnanti titolati, le tasse governative per la scuola privata sono aumentate, forse a questo punto, i ginnasiali che non sono molti, potrebbero frequentare la scuola statale… Nasce subito un altro problema: il Regio Ginnasio di Tortona è retto da un volgare mangiapreti, che trova gusto a mettere in difficoltà e umiliare i collegiali che lo frequentano. Don Orione continua ad invitare i suoi ragazzi a stare calmi, aver pazienza. La mala educazione, la persecuzione continua ad infierire al punto che don Orione si vede costretto, per il bene stesso della

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Don Albera ad un certo punto con dispiacere di don Orione, si stacca e tenta di gestire alcune colonie agricole per conto suo. Don Orione non è geloso, anzi cerca di aiutarlo. Il tentativo non va a buon fine… e don Orione con grande carità gli da fiducia, si accolla la gestione di quelle colonie ed anche i debiti fatti. 5 Scr. 54,146


4 scuola, a far ricorso. C’è l’ispezione e il trasferimento immediato del direttore del ginnasio. Anche al Santa chiara le ispezioni non mancano: “ Un anno mi si mandò un ispettore - un certo Renzi - per chiudermi la Casa, perché si diceva che affogavo nei debiti: venne che stavamo a tavola, e lo accolsi con tutta bontà. Mi accorsi che egli guardava estatico sulla tavola, e riferì poi di aver visto sul tavolo parecchi biglietti da mille, di maniera che la decisione di chiudere andò a monte. Forse la sua fantasia glieli aveva fatti vedere o che fosse il vino, giacché gli piaceva il vino, o che la Provvidenza abbia voluto fargli vedere che le sue casse sono sempre piene !.. Il fatto sta che si dissipò la diceria che io avrei fatto fallimento. Di biglietti da mille, tanto meno da mettere sul tavolo, non ne avevamo”6 Un altro dispiacere gli viene dal vescovo che improvvisamente affida l’incarico a don Sterpi di vice parroco a Mornico. Inutile la mediazione di qualche amico sacerdote, inutili le spiegazioni di don Orione7. Il buon senso del parroco venne in aiuto impegnando don Sterpi solamente il sabato e la domenica. Appurato che a Genova l’insegnamento d’alcuni docenti non è ortodosso, poco fedele alla chiesa e al papa, don Orione decide di trasferire gli studenti a Torino. Goggi frequenta l’università, gli altri il liceo Gioberti. Uno zio di don Sterpi, solerte e affettuoso, accudisce la casa. Esige una preparazione spirituale e culturale seria, in una visione aperta, larga e moderna. A Goggi, responsabile del gruppo scrive: “ Capisco che è poco che siete lì, ma ora mi par 6

Par. 14. 3.1934 Il vescovo aveva detto a don Sterpi: “dal momento che don Orione trova il tempo di andare in giro, è segno che non ha più bisogno della tua opera”. E don Orione era a predicare a Montecalvo perché con la predicazione oltre a fare del bene alle anime, aiutava l’economia del Collegio. 7


5 tempo che vi mettiate con serietà a studiare ed a pregare, perché non siete lì solamente per illuminare la mente, ma anche per farvi un cuor buono: - senza di questo non sarete mai uomini, come m'intendo io. La società può far a meno di dottori, ma non di galantuomini, nel senso nostro”8 A Goggi in particolare suggerisce: “Per le Anime e per il Santo Padre!… studia il tedesco, e tutto ciò che può essere necessario od utile alla nostra istituzione, ed alla gloria di Dio. … moltiplica te stesso nel bene: attendi con saggezza e con impegno grande alla Casa, e al profitto spirituale e intellettuale dei fratelli… Ascriviti al Circolo Cattolico Universitario, entra nelle adunanze o conferenze … Studia codesta Università e vedi bene quanto valga: studia i tuoi colleghi d'ogni partito e contane bene la forza… Entra in qualche modo nella Direzione del Corriere Nazionale, avvicinane gli scrittori…. Fatti iscrivere in più facoltà che ti sia possibile; frequenta le lezioni di storia, accademie scientifiche e accademie per giovani studenti. Visita tutto ciò che riguarda l'arte sacra in tutti i rami; fatti anche iscrivere alla facoltà di legge, se puoi... Visiterai tutti gli Oratori festivi cattolici della città, visiterai tutti i cosi detti ricreatori laici, condurrai i fratelli a quante conferenze apologetiche più puoi; visita i circoli, le società, il Segretariato del popolo… frequenta le conferenze dei terz'Ordini … Domanda quali sono i migliori confessori e va a trovare tutti gli uomini di pietà e di dottrina cattolica … Va alle adunanze clericali, e fa di condurre quanti più puoi i fratelli: entra ne' gabinetti di lettura e di ricreazione: visita gli ospedali, ospizi, gli istituti di carità, di beneficenza, le case religiose d'uomini… Sento con piacere che frequenti la filosofia: - va tutto bene, bisogna moltiplicarsi”.9

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Scr. 69. 423 Scr. 66. 259; Scr. 72.119; Scr. 30.12-13


6 Il giorno dell’Immacolata è con i suoi giovani a Torino e naturalmente, partecipano alla santa Messa e alle varie funzioni nel Santuario di Maria Ausiliatrice. Siamo in un periodo di particolare accanimento contro la chiesa, il papa e le istituzioni religiose. Si cerca di mettere a tacere la stampa cattolica, si sciolgono parecchie associazioni… Il vescovo di Tortona, sincero e combattivo, reagisce energicamente e con molta intelligenza. Don Orione è al suo fianco e per sostenerlo con maggiore efficacia esce con il periodico “L’opera della divina Provvidenza”, organo ufficiale di una Congregazione che sta ancora nascendo. Uno di questi foglietti arriva nelle mani del vescovo di Noto, che immediatamente offre a don Orione una casa vicino all’episcopio per iniziare un collegio come a Tortona. Don Orione, ha solo 26 anni, con la benedizione del suo vescovo accetta e si mette in viaggio. Prima di salpare da Genova sale al santuario della Madonna della Guardia per implorare grazie e benedizioni sull’opera nascente. La popolazione lo accoglie con entusiasmo. Il vescovo rimane profondamente impressionato dalla pietà, dall’umiltà di quel giovane sacerdote piemontese. Insieme allo stabile per il Collegio, gli regala la proprietà di san Corrado perché v’impianti una colonia agricola per orfani. Monsignor Blandini nei giorni successivi, invita don Orione a visitare il Seminario e rivolgere una buona parola ai seminaristi. Il fascino è tale che il vescovo propone ai giovani di incontrare personalmente quel santo sacerdote… e se qualcuno desidera seguirlo, ha già il suo assenso e la sua benedizione.10 Il Collegio sarà gestito da don Orione alle dirette dipendenze del Vescovo. Don Sterpi è incaricato a fare da tramite con Monsignor Bandi per il personale da inviare a 10

Don Orione tornerà a Tortona accompagnato da otto seminaristi di Noto.


7 Noto. I primi incaricati lasciano Tortona per Noto all’inizio di ottobre. Al Santa Chiara si attende con impazienza il ritorno di don Orione: “…Non manca altro (per le scuole) che l'autorizzazione del Provveditore, e quella verrà, io spero, quanto prima. Manca però la vita ed il movimento, e questo vieni tu a darlo. Noi ti aspettiamo a braccia aperte ed affrettiamo il tuo arrivo. Vieni presto: anche perché i ragazzi non vogliono venire, se non ci sei tu e tutti i parenti mi dicono che verranno, quando ci sarà Don Orione. Sicché prega quel santo Vescovo di lasciarti partire. Adesso spetta a noi l'averti, perché i figliuoli più piccoli la mamma l'hanno già avuta fin troppo…”11 Il viaggio di ritorno è avventuroso: il mare in burrasca, la valigia che a Napoli scompare, e con essa la lettera di Monsignor Blandini da recapitare al vescovo di Tortona. Santa Chiara è tutta in fermento per l’arrivo del direttore. L’ allegra e la gioia sono incontenibili. La banda accompagna il coro che canta l’inno “Gioia dei forti”.12 Corre don Orione a salutare monsignor Bandi che lo accoglie affabilmente. Considerando la fiducia e la generosità del vescovo di Noto, assicura la disponibilità d’altri chierici e permette ai seminaristi venuti da Noto, di frequentare la teologia nel seminario diocesano. La situazione di Torino è in evoluzione. Gli studenti hanno bisogno di una sosta per curare meglio la loro formazione religiosa e spirituale. Le sorelle Fogliano, tramite la madre Michel, mettono a disposizione uno stabile per 11

Scr. St. 1. 22; 1.17 E’ l’inno della Congragazione nascente, con i grandi ideali Gesù, papa, anime. Il testo è di don Orione e la musica è attribuita al maestro Perosi. 12


8 accogliere fanciulli poveri e avviarli, come da don Bosco, all’artigianato e mestieri. La diocesi teme che la nuova opera di carità si metta in concorrenza con quelle già operanti nel territorio. Don Orione innanzitutto rassicura il vescovo di Torino, tramite monsignor Bandi, che non solo non ci sarà concorrenza13, ma, in vista del congresso eucaristico e dell’ostensione della Sindone, intende mettere a disposizione gratuita del clero locale, l’appartamento che ospita i suoi studenti. La Provvidenza gli è già venuta incontro attraverso la generosità delle sorelle donatrici. Gli studenti, sospesi gli studi, prestano servizio d’assistenza ai ragazzi. Le suore di madre Michel14 sono disponibili per la cucina e il guardaroba. Don Orione comunque, non è sconosciuto a Torino, e può sempre contare sull’amicizia, sulla stima e simpatia del clero diocesano e dei figli di don Bosco ai quali affida in modo particolare i suoi studenti.

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“…Vostra Eccellenza sa che noi siamo poveri… Qui siamo poveri, e anche quella Casa di Torino amerei proprio fosse un’umilissima e povera cosa, e ho anzi accettato volentieri da quelle buone Signore quel locale, proprio perché adatto allo spirito di povertà, che deve essere proprio della vita dei Figli della Divina Provvidenza. Però, benché si poveri, pregherei Vostra Eccellenza di assicurare l'Arcivescovo che là non si vivrebbe della carità cittadina, né si va a far concorrenza alla carità onde vivono altri Istituti (cr. 45. 3; 102. 42) 14 Madre Michel è fondatrice di una comunità religiosa. Sempre molto legata e riconoscente a don Orione.


1 CAPITOLO XIII: IL SEME GERMOGLIA E CRESCE

Impegni, preoccupazioni passano in secondo piano quando si tratta di difendere l’onore e la dignità del vescovo. Monsignor Bandi è accusato d’ingiuria pubblica dal settimanale “il fascio democratico”. Dopo un primo processo tutto a favore del vescovo, il direttore del giornale e sostenitori fanno ricorso ed esigono che il vescovo in persona si presenti in tribunale… Don Orione manda una parte dei giovani del Santa Chiara ad occupare la sala del dibattito, la camera precedente e tutta la scala. Giungono poi i socialisti, inviati dalla camera del lavoro: vogliono salire, ma non si può, chiedono permesso, ma si sentono rispondere: - non possiamo salire neanche noi!… Il vescovo passa per una scala di servizio. I magistrati lo accolgono alzandosi in piedi in segno d’onore. L’interrogatorio, brevissimo, avviene sul limitare della porta con altrettanto rispetto e discrezione. Inutili le rimostranze dei socialisti: anche se non vogliono devono ammettere che don Orione è stato più tempestivo e più furbo di loro. Vorrebbero denigrare il vescovo almeno con qualche fotografia, ma don Orione ha addestrato bene i suoi ragazzi anche per questa evenienza. Niente insulti, niente fotografie… e in più il corteo e la banda con a capo don Orione, che saluta e festeggia il vescovo tornato in episcopio. *** Nella parentesi delle feste natalizie inizia una tradizione tanto cara a don Orione, quella del presepio. Al santa Chiara ne è stato allestito uno bellissimo. Tra i visitatori illustri c’è anche monsignor Bandi.


2 Ma le consolazioni, le dolcezze del Natale non tolgono l’amaro dei contrattempi e difficoltà che accompagnano la vita di don Orione. In un sopraluogo gli ispettori hanno chiesto l’intervento in alcuni locali, pena la chiusura della scuola, ma il comune, in qualità di proprietario, è sordo alla richiesta. “..Un individuo che veniva di lontano paese”, accolto, ricolmato di denari e vestiti, “ amato tanto e soccorso in tutti i modi”, dimesso per gravi ragioni dall’Istituto, accusa il direttore del Collegio per aver indebitamente aperto la corrispondenza. Segue il processo, il ricorso al tribunale e il 26 luglio l’assoluzione piena a don Orione che commenta: “Veramente quest'anno n’abbiamo passate tante… Agonie amarissime, disinganni, abbandoni, dolori grandi, che sembrava proprio avrebbero spezzato il nostro povero cuore. E invece no: mentre oggi dovremmo sentirci, non dirò prostrati, ma scomparsi mille volte sotto la valanga di tanti affanni, ecco che tutto è passato, con l'aiuto di Dio, e noi, con l'anima commossa e con gli occhi pieni di pianto verso Gesù, noi siamo qui ancora, qui in piedi e più forti di prima”1 Dolore per Monsignor Bandi e di riflesso anche per don Orione, è la triste situazione creatasi a Novi Ligure per colpa di due sacerdoti. Un parroco si ribella apertamente al vescovo e trascina con se un gruppo di laici. Ha macchiato il suo sacerdozio, è ribelle e passa come vittima. I sacerdoti che hanno avuto il coraggio di smascherarlo e prendere le difese del vescovo sono citati in tribunale. Don Orione incaricato ad avvicinarlo, aiutarlo conclude scrivendo: “… offrirò a Gesù tutta la mia vita per lui che amo tanto, e perché è un'anima redenta dal Sangue del Signore e perché è un Sacerdote; ma egli non mi ha ascoltato, ama più essere dichiarato eretico”2

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Boll. O. 30. 7.1899 Scr. 72. 178


3 Il comportamento scorretto del Rettore del collegio San Giorgio, aggrava le tensioni e le divisioni nella città. Il vescovo chiede ancora una volta la mediazione di don Orione per riappacificare gli animi e salvare quella scuola cattolica. Don Orione è disposto ad assumerne la direzione, ma l’anticlericalismo che trova consensi nei sostenitori dei due sacerdoti ribelli, cerca di creare scredito e confusione contro le attività fondate o sostenute dalla chiesa. Il Collegio non può essere affidato a don Orione “perché, asserisce il Procuratore del Re, il reverendo vuole dare l’assalto alla rocca del laicismo in nome dell’intransigenza papalina, partendo da un pregiudizio già scontato”. E pur riconoscendo in don Orione tutte le capacità e le qualità necessarie, scrive il prefetto, “non crederei conveniente ed opportuno l'assunzione del sacerdote Orione alla reggenza ed amministrazione del Convitto di S. Giorgio, e poiché non darebbe affidamenti sufficienti circa l'indirizzo civile e patriottico, che vuolsi imprimere ad un Istituto laico, quale codesto Convitto, che, affidato al sacerdote Orione, riceverebbe un avviamento a base piuttosto ascetica e clericale”. Sì, perché parliamo di quei tempi nei quali la libertà, il progresso, la formazione culturale e umana è autentica nella misura che è anticlericale. Nel luglio 1899 la nascente opera inizia ad assumere un suo volto. Il bollettino dell’Opera della divina Provvidenza annuncia come proprie le colonie agricole gestite precedentemente da don Albera, ne assume la responsabilità e la guida accanto alle altre istituzioni di Tortona, Mornico, Torino e Noto. Lo stesso giorno nasce il ramo degli eremiti della divina Provvidenza: “Domenica scorsa, all'Offertorio della Messa solenne, ai piedi del Sacro Cuore a Stazzano, Mons. Vescovo vestiva e benediceva i primi nostri Eremiti della Divina Provvidenza. Ora sono tornati alla preghiera e al lavoro tra i boschi montuosi e le campagne delle loro


4 solitudini.”3 Il loro eremo è a Cegni di Varzi (Pavia) “Ceregate”. La fondazione della nuova famiglia d’umili, silenziosi e tenaci “lavoratori della preghiera e della terra”, sognata da lungo tempo, permette di accogliere quei fanciulli, giovani e adulti, più portati al lavoro manuale dei campi, alla fatica agricola, allora generalmente abbracciata dalle famiglie meno abbienti o povere. Il vescovo Monsignor Daffra invita don Orione ad aprire un convitto a san Remo. L’idea non dispiace a don Orione, ma deve fare i conti con il personale di cui dispone e il parere di Monsignor Bandi. In una visita di ricognizione alla città si rende conto della bontà e dell’urgenza dell’opera, e avverte la possibilità di lavorare per l’unione delle chiese: “Finora per quelle Chiese non si è fatto nulla, e il loro muoversi verso di noi forse è più nella testa di giornalisti e più apparente che reale. Bisognerà andare ad esse con una grande carità e ben foderati di scienza, ma scienza caritativa, non con l'autorità, ché faremo mai niente. Ho pensato di scrivere al Parroco di Bussana, che mi dia la sua chiesa e di piantare là, davanti al mare e ai piedi del Sacro Cuore, la Casa per l'unione delle Chiese. Cosi quel Santuario avrà un'altra santissima ragione d’essere…”4 L’approvazione di Monsignor Bandi tarda a venire, don Orione attende per iniziare la propaganda, mentre il giornale di Tortona comunica per certa la notizia: “L’ Opera della Divina Provvidenza va ingrandendo ognora più. Mons. Daffra chiamava a sé il buon direttore Don Orione e gli affidava il Collegio San Romolo a Sanremo. Pel prossimo anno, pertanto, su quel lembo di terra incantata… s'aprirà il Collegio con

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Scr. 36. 45. Scr. 57. 169


5 scuole elementari, tecniche, ginnasiali e liceali e sotto le ali amorose della Divina Provvidenza.”5 Monsignor Daffra vuole a capo del Convitto un sacerdote, Monsignor Bandi non intende dare altro aiuto… Don Orione per non dispiacere a nessuno dei due, decide di inviare come direttore don Sterpi. I ragazzi all’inizio non sono molti. Ciò permette di aprire un oratorio e avvicinare la gioventù e le famiglie del luogo. In primavera le migliori speranze della Congregazione si trasferiscono da Tortona a San Remo per completare la loro formazione. Pur tra tanti impegni, don Orione non perde di vista la formazione degli studenti di Torino impegnati all’assistenza degli artigianelli. A loro chiede sempre maggiore generosità ed entusiasmo. Nell’estate alcuni di loro devono prestare servizio anche tra gli orfani che Madre Michel ha raccolto a Nichelino. Don Albera manifesta sempre di più la preferenza per le colonie agricole. A Noto, con il consenso di monsignor Blandini, vorrebbe abbandonare l’istituto e dedicarsi a tempo pieno alle colonie con il rischio di mortificare le finalità dell’Opera. Il vescovo d’Orvieto, venuto a conoscenza dell’attività di don Orione, tramite il giornale l’Italia reale, offre il terreno per una colonia agricola. Don Orione accetta la proposta nel dicembre del 1899, invia alcuni eremiti alla colonia Immacolata di Noto e affida a don Albera questa di Orvieto. E’ suo desiderio, e il vescovo lo esige, trovare una sede adatta per il noviziato. Ha sempre pensato a Castelnuovo

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“Il Popolo” di Tortona, 27 agosto 1899


6 Scrivia, la sua “cafarnao”,6 paese natale della mamma, dove è stimato, benvoluto e aiutato con qualche piccola offerta. Il comune è disponibile a dare il locale e la chiesa di sant’Ignazio, ma don Orione, per non urtare la sensibilità del parroco, rinuncia. I debiti, purtroppo, non sono una novità per don Orione, ma alcune volte... “Un anno - prima del 1900 - ci siamo trovati a dover pagare alla Banca Popolare di Tortona oltre 25 mila lire per i debiti che avevamo specialmente col panettiere... Dovevo pagare le 25 mila lire e qualcosa di più, al sabato... Io mi raccomandai allora al Signore; quando capii, però, che il Signore non mi ascoltava, mi raccomandai alla Madonna. Prega e prega… Ma anche la Madonna faceva la sorda… mi venne un'idea. Mia madre mi aveva dato i suoi orecchini da sposa; orecchini, si sa, da povera donna, tanto povera che, oltre gli orecchini, quando poi morì, non mi lasciò altro che un cassone con della biancheria usata, di quella tela ruvida, sapete, che usavano una volta i nostri vecchi. Pensai, dunque, di prendere gli orecchini e di appenderli alle orecchie della Madonna della Divina Provvidenza... Salii sull'altare e, non ridete, bucai le orecchie alla Madonna… Pensavo tra me: - ora ci sentirà, perbacco ! Avevo grande fede! Prega e prega, prega e prega, prega di giorno e prega di notte, non facevo che pregare. Bisognava che la Madonna facesse presto, perché il tempo passava e il lunedì si avvicinava e mi avrebbero sequestrato i pochi stracci per ripagarsi delle 25 mila lire. Pensavo tra me: Le ho bucato le orecchie; spero ci avrà sentito… - Macché ! la Madonna non sentiva. - E' sorda la Madonna ! - pensavo -. Tanto sorda che non ha sentito neppure quando le ho bucato le orecchie per metterci gli orecchini. … mi raccomandai alle Anime del purgatorio. Andai in chiesa e domandai scusa al 6

Scr 85. 20


7 signore e alla Madonna se ero costretto a rivolgermi alle Anime sante del purgatorio… Eravamo già al lunedì… Entrai in cappella e mi raccomandai al Signore, alla Madonna e alle Anime sante del purgatorio e un po' a tutti i santi del Cielo… Dopo vado in camera. Sono appena giunto, che batte alla porta Zanocchi (il portinaio) e mi dice: - C'è una signora, che domanda di essere ricevuta e vuol venire su ad ogni costo ed è già per le scale: è vestita di nero, e non mi ha voluto dire chi è: dice che è una benefattrice e che viene da Voghera… Non ero ancora uscito dalla direzione, che già me la vedo vicina alla porta, e subito mi subito: - Don Orione, non ha una stanza da darmi ? -Risposi: - Una stanza da darle? - Insistette: - Sì, una stanza da darmi, perché ho qui dentro alle calzette 25 mila lire; e mi devo levare le calze per tirarle fuori. …Mi ero messa in treno per Torino, perché pensavo di portare quei soldi all'Opera di Don Bosco. E, mentre il treno camminava, ho tirato fuori la corona del rosario e dicevo il rosario alle Anime sante del purgatorio, affinché mi assistessero e mi difendessero dai ladri. Capirà, con quei soldi nelle calzette ! . . . E, mentre mi andavo raccomandando alle Anime del purgatorio, sono giunta vicino a Pontecurone e mi è parso di sentire una voce che mi diceva: - Perché andare sino a Torino ? Potresti fare più presto a discendere a Tortona e portare i soldi a quel povero diavolo di Don Orione… - Ma io pensavo: - Chissà se quel Don Giramondo è in casa !… e, se non è in casa, perdo il treno e chissà quando potrò arrivare a Torino !… - Quando sono arrivata vicino a Tortona, quella voce mi si faceva sentire con più insistenza e, quando il treno si è fermato qui in stazione, mi sembrò che una mano mi obbligasse a discendere… Basta… andò in una stanza, si cavò le calze e poi venne e mi contò uno su l'altro 25 biglietti da mille. Quando vidi quella grazia di Dio, dopo di aver sentito che essa aveva recitato il rosario e si era raccomandata alle Anime sante del purgatorio, mi prese un nodo alla gola e mi misi a singhiozzare


8 per la commozione. E quella donna, credendo che io mi sentissi male, mi andava dicendo: - Ma che ha ?… Si sente male ? . . . Vado io a farle un poco di caffè . . . - E stava per andare giù in cucina a farmi il caffè… Ma io pian pianino le raccontai com’era andata la cosa, come mi fossi raccomandato al Signore e poi alla Madonna e poi alle Anime del purgatorio. E conchiusi: - Si vede che lei è la mano della Divina Provvidenza ! Stavo ancora parlando, quando venne su Zanocchi e mi disse che vi era l'impiegato della Banca. …E la donna assistette al pagamento…. C'era ancora qualche cosa di più da pagare ed essa tirò fuori altro denaro e così fu possibile pagare tutto.7 Il vescovo, un po’ per motivi di salute e un po per i cattivi consiglieri, è in un alternarsi di sentimenti nei confronti di don Orione. Gli chiede aiuto per la soluzione di problemi delicati e difficili, poi si rimangia la parola data e non vuole ordinare i chierici dell’Opera. Dopo un’udienza tumultuosa e umiliante, a Vigevano, don Orione è distrutto… Il giorno successivo monsignor Bandi invia una lettera dal tono totalmente diverso: “Carissimo Don Orione, disponi pure per i tuoi tonsurandi - non però per la prossima Ordinazione -. Quando tutto avrai disposto, procederò ad una funzione speciale. S'intende che, come ti dissi, io abbia prima a prendere visione dei voti scolastici, per tenere le stesse norme tenute coi Seminaristi. Il Signore ti conceda di poter un giorno comprendere che io ti ho sempre voluto il maggior vero bene”.8 Don Orione risponde con due telegrammi e una lettera: “Veneratissimo Padre in Nostro Signore Gesù Cristo, La ringrazio con profonda riconoscenza della Sua lettera, e dell’espressione che nel suo paterno affetto mi ha inviato. 7 8

Par. 25. 8. 1938 B.5.III


9 Anch'io vi ho sempre amato svisceratamente, e mi ha profondamente addolorato, l'altro ieri, sentire dire che avrei dovuto trovarmi in una posizione diversa da quella in cui mi trovavo e che mi rivolgessi ad altri Vescovi che non siete Voi... … io sono pienamente convinto di camminare sul sentiero che la Provvidenza mi ha segnato … La povera Opera della Divina Provvidenza vi ha sempre amato svisceratamente …, e i nostri cuori, e il nostro lavoro e noi stessi siam sempre Vostri; … molte volte si è tentato di allontanarla (da Voi), si è detto che andava errando lontana, ma essa era la figlia primogenita del vostro Episcopato, come l'Oratorio Festivo del vostro giardino fu nella diocesi il primo germoglio di un'azione cattolica più viva e più fresca e più papale...”.9 Con gesto di devota riconoscenza, don Orione, offre alla Madonna del Rosario di Villalvernia, un cuore con dedica e i nomi dei ragazzi.

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1 CAPITOLO XIII: IL SEME GERMOGLIA E CRESCE

Impegni, preoccupazioni passano in secondo piano quando si tratta di difendere l’onore e la dignità del vescovo. Monsignor Bandi è accusato d’ingiuria pubblica dal settimanale “il fascio democratico”. Dopo un primo processo tutto a favore del vescovo, il direttore del giornale e sostenitori fanno ricorso ed esigono che il vescovo in persona si presenti in tribunale… Don Orione manda una parte dei giovani del Santa Chiara ad occupare la sala del dibattito, la camera precedente e tutta la scala. Giungono poi i socialisti, inviati dalla camera del lavoro: vogliono salire, ma non si può, chiedono permesso, ma si sentono rispondere: - non possiamo salire neanche noi!… Il vescovo passa per una scala di servizio. I magistrati lo accolgono alzandosi in piedi in segno d’onore. L’interrogatorio, brevissimo, avviene sul limitare della porta con altrettanto rispetto e discrezione. Inutili le rimostranze dei socialisti: anche se non vogliono devono ammettere che don Orione è stato più tempestivo e più furbo di loro. Vorrebbero denigrare il vescovo almeno con qualche fotografia, ma don Orione ha addestrato bene i suoi ragazzi anche per questa evenienza. Niente insulti, niente fotografie… e in più il corteo e la banda con a capo don Orione, che saluta e festeggia il vescovo tornato in episcopio. *** Nella parentesi delle feste natalizie inizia una tradizione tanto cara a don Orione, quella del presepio. Al santa Chiara ne è stato allestito uno bellissimo. Tra i visitatori illustri c’è anche monsignor Bandi.


2 Ma le consolazioni, le dolcezze del Natale non tolgono l’amaro dei contrattempi e difficoltà che accompagnano la vita di don Orione. In un sopraluogo gli ispettori hanno chiesto l’intervento in alcuni locali, pena la chiusura della scuola, ma il comune, in qualità di proprietario, è sordo alla richiesta. “..Un individuo che veniva di lontano paese”, accolto, ricolmato di denari e vestiti, “ amato tanto e soccorso in tutti i modi”, dimesso per gravi ragioni dall’Istituto, accusa il direttore del Collegio per aver indebitamente aperto la corrispondenza. Segue il processo, il ricorso al tribunale e il 26 luglio l’assoluzione piena a don Orione che commenta: “Veramente quest'anno n’abbiamo passate tante… Agonie amarissime, disinganni, abbandoni, dolori grandi, che sembrava proprio avrebbero spezzato il nostro povero cuore. E invece no: mentre oggi dovremmo sentirci, non dirò prostrati, ma scomparsi mille volte sotto la valanga di tanti affanni, ecco che tutto è passato, con l'aiuto di Dio, e noi, con l'anima commossa e con gli occhi pieni di pianto verso Gesù, noi siamo qui ancora, qui in piedi e più forti di prima”1 Dolore per Monsignor Bandi e di riflesso anche per don Orione, è la triste situazione creatasi a Novi Ligure per colpa di due sacerdoti. Un parroco si ribella apertamente al vescovo e trascina con se un gruppo di laici. Ha macchiato il suo sacerdozio, è ribelle e passa come vittima. I sacerdoti che hanno avuto il coraggio di smascherarlo e prendere le difese del vescovo sono citati in tribunale. Don Orione incaricato ad avvicinarlo, aiutarlo conclude scrivendo: “… offrirò a Gesù tutta la mia vita per lui che amo tanto, e perché è un'anima redenta dal Sangue del Signore e perché è un Sacerdote; ma egli non mi ha ascoltato, ama più essere dichiarato eretico”2

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Boll. O. 30. 7.1899 Scr. 72. 178


3 Il comportamento scorretto del Rettore del collegio San Giorgio, aggrava le tensioni e le divisioni nella città. Il vescovo chiede ancora una volta la mediazione di don Orione per riappacificare gli animi e salvare quella scuola cattolica. Don Orione è disposto ad assumerne la direzione, ma l’anticlericalismo che trova consensi nei sostenitori dei due sacerdoti ribelli, cerca di creare scredito e confusione contro le attività fondate o sostenute dalla chiesa. Il Collegio non può essere affidato a don Orione “perché, asserisce il Procuratore del Re, il reverendo vuole dare l’assalto alla rocca del laicismo in nome dell’intransigenza papalina, partendo da un pregiudizio già scontato”. E pur riconoscendo in don Orione tutte le capacità e le qualità necessarie, scrive il prefetto, “non crederei conveniente ed opportuno l'assunzione del sacerdote Orione alla reggenza ed amministrazione del Convitto di S. Giorgio, e poiché non darebbe affidamenti sufficienti circa l'indirizzo civile e patriottico, che vuolsi imprimere ad un Istituto laico, quale codesto Convitto, che, affidato al sacerdote Orione, riceverebbe un avviamento a base piuttosto ascetica e clericale”. Sì, perché parliamo di quei tempi nei quali la libertà, il progresso, la formazione culturale e umana è autentica nella misura che è anticlericale. Nel luglio 1899 la nascente opera inizia ad assumere un suo volto. Il bollettino dell’Opera della divina Provvidenza annuncia come proprie le colonie agricole gestite precedentemente da don Albera, ne assume la responsabilità e la guida accanto alle altre istituzioni di Tortona, Mornico, Torino e Noto. Lo stesso giorno nasce il ramo degli eremiti della divina Provvidenza: “Domenica scorsa, all'Offertorio della Messa solenne, ai piedi del Sacro Cuore a Stazzano, Mons. Vescovo vestiva e benediceva i primi nostri Eremiti della Divina Provvidenza. Ora sono tornati alla preghiera e al lavoro tra i boschi montuosi e le campagne delle loro


4 solitudini.”3 Il loro eremo è a Cegni di Varzi (Pavia) “Ceregate”. La fondazione della nuova famiglia d’umili, silenziosi e tenaci “lavoratori della preghiera e della terra”, sognata da lungo tempo, permette di accogliere quei fanciulli, giovani e adulti, più portati al lavoro manuale dei campi, alla fatica agricola, allora generalmente abbracciata dalle famiglie meno abbienti o povere. Il vescovo Monsignor Daffra invita don Orione ad aprire un convitto a san Remo. L’idea non dispiace a don Orione, ma deve fare i conti con il personale di cui dispone e il parere di Monsignor Bandi. In una visita di ricognizione alla città si rende conto della bontà e dell’urgenza dell’opera, e avverte la possibilità di lavorare per l’unione delle chiese: “Finora per quelle Chiese non si è fatto nulla, e il loro muoversi verso di noi forse è più nella testa di giornalisti e più apparente che reale. Bisognerà andare ad esse con una grande carità e ben foderati di scienza, ma scienza caritativa, non con l'autorità, ché faremo mai niente. Ho pensato di scrivere al Parroco di Bussana, che mi dia la sua chiesa e di piantare là, davanti al mare e ai piedi del Sacro Cuore, la Casa per l'unione delle Chiese. Cosi quel Santuario avrà un'altra santissima ragione d’essere…”4 L’approvazione di Monsignor Bandi tarda a venire, don Orione attende per iniziare la propaganda, mentre il giornale di Tortona comunica per certa la notizia: “L’ Opera della Divina Provvidenza va ingrandendo ognora più. Mons. Daffra chiamava a sé il buon direttore Don Orione e gli affidava il Collegio San Romolo a Sanremo. Pel prossimo anno, pertanto, su quel lembo di terra incantata… s'aprirà il Collegio con

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5 scuole elementari, tecniche, ginnasiali e liceali e sotto le ali amorose della Divina Provvidenza.”5 Monsignor Daffra vuole a capo del Convitto un sacerdote, Monsignor Bandi non intende dare altro aiuto… Don Orione per non dispiacere a nessuno dei due, decide di inviare come direttore don Sterpi. I ragazzi all’inizio non sono molti. Ciò permette di aprire un oratorio e avvicinare la gioventù e le famiglie del luogo. In primavera le migliori speranze della Congregazione si trasferiscono da Tortona a San Remo per completare la loro formazione. Pur tra tanti impegni, don Orione non perde di vista la formazione degli studenti di Torino impegnati all’assistenza degli artigianelli. A loro chiede sempre maggiore generosità ed entusiasmo. Nell’estate alcuni di loro devono prestare servizio anche tra gli orfani che Madre Michel ha raccolto a Nichelino. Don Albera manifesta sempre di più la preferenza per le colonie agricole. A Noto, con il consenso di monsignor Blandini, vorrebbe abbandonare l’istituto e dedicarsi a tempo pieno alle colonie con il rischio di mortificare le finalità dell’Opera. Il vescovo d’Orvieto, venuto a conoscenza dell’attività di don Orione, tramite il giornale l’Italia reale, offre il terreno per una colonia agricola. Don Orione accetta la proposta nel dicembre del 1899, invia alcuni eremiti alla colonia Immacolata di Noto e affida a don Albera questa di Orvieto. E’ suo desiderio, e il vescovo lo esige, trovare una sede adatta per il noviziato. Ha sempre pensato a Castelnuovo

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“Il Popolo” di Tortona, 27 agosto 1899


6 Scrivia, la sua “cafarnao”,6 paese natale della mamma, dove è stimato, benvoluto e aiutato con qualche piccola offerta. Il comune è disponibile a dare il locale e la chiesa di sant’Ignazio, ma don Orione, per non urtare la sensibilità del parroco, rinuncia. I debiti, purtroppo, non sono una novità per don Orione, ma alcune volte... “Un anno - prima del 1900 - ci siamo trovati a dover pagare alla Banca Popolare di Tortona oltre 25 mila lire per i debiti che avevamo specialmente col panettiere... Dovevo pagare le 25 mila lire e qualcosa di più, al sabato... Io mi raccomandai allora al Signore; quando capii, però, che il Signore non mi ascoltava, mi raccomandai alla Madonna. Prega e prega… Ma anche la Madonna faceva la sorda… mi venne un'idea. Mia madre mi aveva dato i suoi orecchini da sposa; orecchini, si sa, da povera donna, tanto povera che, oltre gli orecchini, quando poi morì, non mi lasciò altro che un cassone con della biancheria usata, di quella tela ruvida, sapete, che usavano una volta i nostri vecchi. Pensai, dunque, di prendere gli orecchini e di appenderli alle orecchie della Madonna della Divina Provvidenza... Salii sull'altare e, non ridete, bucai le orecchie alla Madonna… Pensavo tra me: - ora ci sentirà, perbacco ! Avevo grande fede! Prega e prega, prega e prega, prega di giorno e prega di notte, non facevo che pregare. Bisognava che la Madonna facesse presto, perché il tempo passava e il lunedì si avvicinava e mi avrebbero sequestrato i pochi stracci per ripagarsi delle 25 mila lire. Pensavo tra me: Le ho bucato le orecchie; spero ci avrà sentito… - Macché ! la Madonna non sentiva. - E' sorda la Madonna ! - pensavo -. Tanto sorda che non ha sentito neppure quando le ho bucato le orecchie per metterci gli orecchini. … mi raccomandai alle Anime del purgatorio. Andai in chiesa e domandai scusa al 6

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7 signore e alla Madonna se ero costretto a rivolgermi alle Anime sante del purgatorio… Eravamo già al lunedì… Entrai in cappella e mi raccomandai al Signore, alla Madonna e alle Anime sante del purgatorio e un po' a tutti i santi del Cielo… Dopo vado in camera. Sono appena giunto, che batte alla porta Zanocchi (il portinaio) e mi dice: - C'è una signora, che domanda di essere ricevuta e vuol venire su ad ogni costo ed è già per le scale: è vestita di nero, e non mi ha voluto dire chi è: dice che è una benefattrice e che viene da Voghera… Non ero ancora uscito dalla direzione, che già me la vedo vicina alla porta, e subito mi subito: - Don Orione, non ha una stanza da darmi ? -Risposi: - Una stanza da darle? - Insistette: - Sì, una stanza da darmi, perché ho qui dentro alle calzette 25 mila lire; e mi devo levare le calze per tirarle fuori. …Mi ero messa in treno per Torino, perché pensavo di portare quei soldi all'Opera di Don Bosco. E, mentre il treno camminava, ho tirato fuori la corona del rosario e dicevo il rosario alle Anime sante del purgatorio, affinché mi assistessero e mi difendessero dai ladri. Capirà, con quei soldi nelle calzette ! . . . E, mentre mi andavo raccomandando alle Anime del purgatorio, sono giunta vicino a Pontecurone e mi è parso di sentire una voce che mi diceva: - Perché andare sino a Torino ? Potresti fare più presto a discendere a Tortona e portare i soldi a quel povero diavolo di Don Orione… - Ma io pensavo: - Chissà se quel Don Giramondo è in casa !… e, se non è in casa, perdo il treno e chissà quando potrò arrivare a Torino !… - Quando sono arrivata vicino a Tortona, quella voce mi si faceva sentire con più insistenza e, quando il treno si è fermato qui in stazione, mi sembrò che una mano mi obbligasse a discendere… Basta… andò in una stanza, si cavò le calze e poi venne e mi contò uno su l'altro 25 biglietti da mille. Quando vidi quella grazia di Dio, dopo di aver sentito che essa aveva recitato il rosario e si era raccomandata alle Anime sante del purgatorio, mi prese un nodo alla gola e mi misi a singhiozzare


8 per la commozione. E quella donna, credendo che io mi sentissi male, mi andava dicendo: - Ma che ha ?… Si sente male ? . . . Vado io a farle un poco di caffè . . . - E stava per andare giù in cucina a farmi il caffè… Ma io pian pianino le raccontai com’era andata la cosa, come mi fossi raccomandato al Signore e poi alla Madonna e poi alle Anime del purgatorio. E conchiusi: - Si vede che lei è la mano della Divina Provvidenza ! Stavo ancora parlando, quando venne su Zanocchi e mi disse che vi era l'impiegato della Banca. …E la donna assistette al pagamento…. C'era ancora qualche cosa di più da pagare ed essa tirò fuori altro denaro e così fu possibile pagare tutto.7 Il vescovo, un po’ per motivi di salute e un po per i cattivi consiglieri, è in un alternarsi di sentimenti nei confronti di don Orione. Gli chiede aiuto per la soluzione di problemi delicati e difficili, poi si rimangia la parola data e non vuole ordinare i chierici dell’Opera. Dopo un’udienza tumultuosa e umiliante, a Vigevano, don Orione è distrutto… Il giorno successivo monsignor Bandi invia una lettera dal tono totalmente diverso: “Carissimo Don Orione, disponi pure per i tuoi tonsurandi - non però per la prossima Ordinazione -. Quando tutto avrai disposto, procederò ad una funzione speciale. S'intende che, come ti dissi, io abbia prima a prendere visione dei voti scolastici, per tenere le stesse norme tenute coi Seminaristi. Il Signore ti conceda di poter un giorno comprendere che io ti ho sempre voluto il maggior vero bene”.8 Don Orione risponde con due telegrammi e una lettera: “Veneratissimo Padre in Nostro Signore Gesù Cristo, La ringrazio con profonda riconoscenza della Sua lettera, e dell’espressione che nel suo paterno affetto mi ha inviato. 7 8

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9 Anch'io vi ho sempre amato svisceratamente, e mi ha profondamente addolorato, l'altro ieri, sentire dire che avrei dovuto trovarmi in una posizione diversa da quella in cui mi trovavo e che mi rivolgessi ad altri Vescovi che non siete Voi... … io sono pienamente convinto di camminare sul sentiero che la Provvidenza mi ha segnato … La povera Opera della Divina Provvidenza vi ha sempre amato svisceratamente …, e i nostri cuori, e il nostro lavoro e noi stessi siam sempre Vostri; … molte volte si è tentato di allontanarla (da Voi), si è detto che andava errando lontana, ma essa era la figlia primogenita del vostro Episcopato, come l'Oratorio Festivo del vostro giardino fu nella diocesi il primo germoglio di un'azione cattolica più viva e più fresca e più papale...”.9 Con gesto di devota riconoscenza, don Orione, offre alla Madonna del Rosario di Villalvernia, un cuore con dedica e i nomi dei ragazzi.

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1 CAPITOLO X:

SACERDOTE SECONDO IL CUORE DI DIO

Era arrivata l'ultima sera di predicazione a Castelnuovo, che finiva per la festa dell'Immacolata. Avevo parlato quella sera, sulla confessione: la chiesa… era piena: tutta una testa. Durante la predica, non so neppure io come, o senza che me ne fossi accorto, perché non avevo mai pensato ad una simile cosa, mi usci una espressione alla quale non avevo prima riflettuto. Dissi: - Se anche qualcuno avesse messo il veleno nella scodella di sua madre e l'avesse cosi fatta morire, se è veramente pentito e se ne confessa, Dio, nella sua infinita misericordia, è disposto a perdonargli il suo peccato... Finita la predica, mi fermai a confessare fino a mezzanotte… Dovevo tornare a Tortona perché avevo da insegnare, da far scuola: in quel tempo facevo scuola d'italiano ai nostri ragazzi. Benché stanco, mi avviai sulla strada che da Castelnuovo Scrivia viene a Tortona. Il tempo era pessimo, … nevicava. Io m'incamminai, a piedi, si capisce.... del resto facevo spesso quei nove - dieci chilometri a piedi. Avvolto nel mio mantello, uscii dal paese senza che si vedesse anima viva. Ed ecco che, fuori del paese, vedo muoversi davanti a me un'ombra nera, che si avvicinava verso il mio sentiero, da in mezzo al bianco della neve. … un uomo avvolto in un tabarro, con il cappello calcato sulla testa: camminava anche lui verso Tortona, ma in un modo che sembrava aspettasse qualcuno. Ogni tanto si voltava indietro e mi accorsi che l'aspettato ero io... Vorrà forse derubarmi… Soldi veramente non ne avevo… Tuttavia un certo timore l'avevo... raggiunsi l'uomo e, passandogli accanto, , pieno di paura, … Lo salutai per primo:-Buona notte, brav'uomo…


2 Qualche momento dopo, mi sentii chiamare:Reverendo, vorrei dirle una parola… - andate a Tortona ?… dissi subito. -Veramente no… -Allora aspettate qualcuno forse? Avete forse bisogno di qualche cosa?… -Veramente sì… ...-Senta, lei è Don Orione ? è lei il predicatore ? quello che ha predicato in chiesa stasera ? -Si, brav'uomo - Io ho sentito la sua ultima predica: lei questa sera ha detto una parola… - Che parola ?… - Lei stasera ha parlato della confessione, della misericordia di Dio... - Si... - Ecco, vorrei sapere se quello che ha detto questa sera è proprio vero. - Ma sicuro ! Credo di non aver detto nulla che non si trovi nel Vangelo… - Vorrei sapere se è proprio vero che, se anche uno avesse messo il veleno nella scodella di sua madre, potrebbe essere ancora perdonato del suo grande peccato… -Basta che sia veramente pentito, domandi perdono al Signore… - io sono proprio quello che ha messo il veleno nella scodella di mia madre: vi era discordia fra mia moglie e mia madre, ed io ho ucciso mia madre… Posso ottenere perdono?… E si mise a piangere… Padre, mi confessi, mi confessi: io sono proprio quello della scodella…Da quel momento non ho avuto più pace... Sono tanti anni... …Mi avvicinai ad un paracarro… Si inginocchiò e poi si confessò piangendo … gli diedi l'assoluzione; poi si alzò e mi abbracciava e stringeva, sempre piangendo, e non sapeva staccarsi da me, tanta era la consolazione da cui era


3 inondato... Anch'io piansi e lo baciai in fronte e le mie lacrime si confondevano con le sue... Volle accompagnarmi fino quasi a Tortona e, solo per le mie insistenze, tornò finalmente indietro, ed io continuai la mia strada con una grande consolazione, con una gioia nel cuore che mai uguale provai nella mia vita… 1 *** In una località del varzese (Valle Staffora), la popolazione, quasi tutta “rossa”, detestava i preti in massa. Don Orione ci andò a predicare e mise in atto una delle sue trovate originali e non prive d’ardimento. Cominciò la predica così: “Abbasso i preti! Si, abbasso i preti! Certo, abbasso i preti!”. Gli ascoltatori si guardavano trasecolati e gli elementi più spinti toccandosi di gomito ghignavano: bene, benissimo! Ma don Orione continuò: “abbasso i preti se fanno quello che non dovrebbero fare…; se danno da dire con la loro condotta…; se mancano gravemente al loro dovere… Ma sentite, brava gente: se invece sono pari alla loro missione, operano il bene, rappresentano degnamente Gesù Cristo…. (e qui una mirabile esposizione delle attività sacerdotali), allora: “Viva il sacerdote!” E si prese tutto quello che, da principio in pura linea teorica, aveva accordato, conducendo l’intera popolazione ai santi sacramenti”2 L’apertura dei due collegi, gli impegni di predicazione, la partecipazione alle varie manifestazioni e assemblee delle associazioni cattoliche non lo distraggono, ma sono una ragione più forte e pressante per la preparazione all’ordinazione sacerdotale fissata dal vescovo il sabato santo (13 aprile 1895). 1 2

Par. 17 ag. 1923 A. GEMMA, I fioretti di don Orione, ED Roma 1994, p. 108


4 Passa l’intera settimana che precede il grande evento, raccolto in preghiera in Seminario; Nella notte di vigilia assiste e raccoglie l’ultimo respiro del vicario generale Monsignor Andrè. Il rito d’ordinazione si svolge nella cappella del vescovo. E a conforto del novello sacerdote, monsignor Bandi veste dell’abito talare sei ragazzi del collegio santa Chiara. Sono presenti mamma Carolina, i fratelli Benedetto e Alberto, gli zii Carlin e Cristina, e una rappresentanza dei suoi ragazzi. Monsignor Novelli al termine del rito lo presenta ai chierici del seminario che lo accolgono con grande entusiasmo. Don Orione abilmente orienta l’attenzione e il battito di mani verso il Rettore. Il mattino di pasqua celebra la prima messa nel Collegio. I preparativi sono stati meticolosi e la riuscita è splendida. Il sindaco della città è tra gli invitati al pranzo. Il giorno seguente regala la primizia del suo sacerdozio ai carcerati che andando da anni a visitare regolarmente è “diventato il loro povero amico, ma tanto amato”3 L’ordinazione sacerdotale segna una nuova epoca della sua vita. Non è solo questione di studi terminati, di ingresso ufficiale nel ministero, ma di offerta totale di se a Dio per la salvezza delle anime, di tutte le anime. “Nella prima Messa ho chiesto che tutti quelli che, in qualsiasi modo, avessero avuto a trattare con me si fossero salvati. Ed ho motivo di credere che il Signore e la Madonna mi abbiano già concessa questa grazia”4 Sacerdoti in modo particolare si diventa per raggiungere i peccatori e ricuperarli all’amore di Cristo. “ Fine del sacerdozio, scrive, è di salvare le anime e di correre dietro, specialmente, a quelle che, allontanandosi da Dio, si vanno 3 4

Scr. 97,5 Scr. 79,372


5 perdendo. Ad esse devo una preferenza, non di tenerezza, ma di paterno conforto e di aiuto al loro ritorno, lasciando, se necessario, le altre anime meno bisognose di assistenza. Gesù non venne per i giusti, ma per i peccatori. Preservatemi, dunque, o mio Dio, dalla funesta illusione, dal diabolico inganno che io prete debba occuparmi solo di chi viene in chiesa e ai sacramenti, delle anime fedeli e delle pie donne. Certo, il mio ministero riuscirebbe più facile, più gradevole, ma io non vivrei di quello spirito di apostolica carità verso le pecorelle smarrite, che risplende in tutto il Vangelo. Solo quando sarò spossato e tre volte morto nel correre dietro ai peccatori, solo allora potrò cercare qualche po' di riposo presso i giusti. Che io non dimentichi mai che il ministero a me affidato è ministero di misericordia, e usi coi miei fratelli peccatori un po' di quella carità infaticata, che tante volte usaste verso l'anima mia, o gran Dio”5. Non è ancora sacerdote quando scrive una lettera al Patriarca di Venezia, chiedendo di vigilare sulla condotta dell’amico maestro Lorenzo Perosi, che forse cede troppo alla mondanità a scapito della dignità sacerdotale di cui è insignito.6 Il futura pontefice Pio X, apprezza la delicatezza, la spiritualità 5

DO II,175 “Quando Don Lorenzo si trovava già maestro di cappella a San Marco di Venezia,ricorda don Orione, il maestro Giuseppe Perosi si sfogò con me: era un uomo austero, diceva che le ambizioni artistiche avrebbero montato la testa al suo Renzo. Dalle lettere che questi gli mandava, seppe che il Patriarca Sarto lo aveva preso a ben volere, e aveva spinto la sua bontà, la dimestichezza, fino a fare qualche partita a tarocchi con lui. . . Il maestro Perosi mi disse che il suo Renzo fumava, che quindi temeva per la virtù del suo Renzo. Anche a me sembrava che quel mio compagno corresse pericolo di perdere quella sua bontà, solleticato dai trionfi artistici e dalla vita comoda. Dissi perciò al Perosi che lasciasse fare a me, che mi sarei incaricato di scrivere una buona lettera al Patriarca. Scrissi difatti una lettera di quattro pagine, una lettera molto diplomatica, almeno così mi pareva, ma anche forte. In essa dicevo di scrivere a nome del padre di Lorenzo… (DO. II,77) 6


6 e la nobile preoccupazione di quel chierico che non conosce. Avuto notizia dal Perosi della sua prossima ordinazione, premia tanta audacia inviando la stoffa per la talare che indosserà il giorno dell’ordinazione. Ora che è sacerdote ed è disponibile le parrocchie se lo contendono. Si dedica all’apostolato con zelo esemplare: predica e confessa, confessa e predica ore e ore, viaggiando spesso a piedi, facendo penitenza, mangiando quando capita e concedendo al riposo solo qualche ora della notte. Convinto dell’efficacia straordinaria della stampa, se ne serve abbondantemente per il suo ministero apostolico. Scrive: “La stampa è una grande forza:grande oratore che parla di giorno, che parla di notte, che parla nelle città e parla nelle borgate, fin sui monti e nelle valli dimenticate. Dove non arriva la stampa?Non è la stampa che crea l'opinione pubblica, che trascina alla pace e alla guerra? Oh, quanto male ha fatto la cattiva stampa! Ma quanto bene fa la stampa, quando è in buone mani, quando è posta al servizio di Dio, della Chiesa, della patria!… Con la stampa popolare porteremo Cristo al popolo e il popolo a Cristo.7 Ha iniziato presto come corrispondente dei giornali locali prima, e più tardi anche di quelli di portata nazionale. Nell’agosto del 1895 inizia in proprio la pubblicazione di un foglietto di quattro pagine dal titolo “la scintilla”, e come sottotitolo il motto “anime, anime!”. Il contenuto è sostanzioso, il linguaggio scorrevole. Il primo numero dopo un doveroso saluto al vescovo, riporta un lungo articolo rivolto ai giovani, perché “il povero foglio… è scritto per le giovani speranze della chiesa e della patria; ed è scritto da giovani ardenti di fede cresciuti all’ombra della croce!”.8 7 8

Lettere DO. II, 198


7 Seguiranno altre importanti pubblicazioni, e non di sole riviste, sempre con lo scopo di diffondere la veritĂ , il bene per la salvezza delle anime.


1 CAPITOLO XV: LE SCELTE E I TEMPI DI DIO

Nel dicembre del 1900 don Orione s’imbarca da Napoli per Palermo. Sulla nave si trova a viaggiare con due giovani studenti che, senza ragione, cominciano ad insultarlo ed offenderlo. Visto che se ne sta buono buono senza reagire, moltiplicano gli insulti. Il cielo diventa grigio e si confonde con le acque del mare che al soffiar del vento s’increspano, diventano onde. La tempesta fa barcollare paurosamente la nave. I due giovani ammutoliscono e pieni di spavento, con il cuore in gola, guardano quello strano prete che raccolto e tranquillo continua a pregare. Tornata la bonaccia i due studenti si avvicinano umilmente a don Orione e chiedono perdono a quel povero prete che, con la sua umile preghiera, non solo ha placato i venti e la tempesta, ma ha convertito e conquistato il loro cuore. *** Don Orione ha un’attrattiva particolare per l’Abbazia di S. Alberto1 che ha visitato, per la prima volta, con i ragazzi di san Bernardino. Nel 1900 collabora ai lavori di ricognizione della salma del Santo. Ha bisogno di dare una sede ai suoi eremiti dove, nella solitudine e nel lavoro agricolo, si preparano all’insegnamento e ai compiti di fatica e d’assistenza che li attendono nelle colonie di Orvieto, Roma, Noto ed altre che nasceranno… Fondata dall’eremita S. Alberto, morto nell’anno mille, ebbe secoli di grandissimo splendore. Poi la decadenza e quasi l’abbandono. Don Orione sogna e riuscirà riportarla al primitivo splendore. 1


2 Perché non chiedere al vescovo L’abbazia, come sede degli eremiti? Monsignor Bandi accetta e benedice con particolare interesse il progetto di don Orione. Insieme decidono di mettere come superiore della comunità il parroco di S. Alberto, collaboratore fedele agli inizi della nascente Congregazione. Nel luglio del 1900 i primi eremiti salgono a S. Alberto per preparare la visita canonica del vescovo, e la solennità del santo nella prima domenica di settembre. Nelle missioni, nelle varie predicazioni, in ogni paese che visita don Orione si fa promotore e appassionato sostenitore di nuove vocazioni. L’amicizia con i parroci, la stima che gode ovunque facilitano la ricerca. Il giorno dell’Immacolata a Tortona vestono l’abito sette aspiranti. L’Eremo di sant’Alberto in breve tempo è diventato luogo di formazione e centro di smistamento per tutta l’Italia. Questa prima esperienza a sant’Alberto dura un solo anno. Il parroco direttore, don Cassola, non è un buon amministratore: fa debiti, spese superflue, non educa gli eremiti alla povertà e alla rinuncia. Don Orione, conservando buoni rapporti e salvando la carità, invia gli eremiti a lavorare nelle varie colonie.2 Nonostante che il numero d’aspiranti e d’opere aumenti, la ricerca di una sede idonea per il noviziato, non approda ad una soluzione. Infatti anche il tentativo di stabilirla a Castelnuovo Scrivia, nonostante la benedizione del vescovo e la concessione della cappellania di un piccolo santuario, fallisce. E’ motivo di gioia per don Orione accettare la direzione della colonia di Petrara, venuta nelle sue mani per volontà della santa Sede. Altra grande soddisfazione costituiscono le 2

L’eremo torna ad essere sede degli eremiti nel 1920 quando don Cassola lascerà la parrocchia.


3 parole d’incoraggiamento pronunciate da Leone XIII, in un colloquio con il cardinale Vannutelli: «Sì, bisogna aiutarli questi buoni Eremiti della Divina Provvidenza, bisogna aiutarli». Monsignor Blandini insiste che don Orione trasformi la proprietà di san Corrado, a Noto, in una nuova Camaldoli; mentre monsignor Bandi teme che l’eccessivo sviluppo metta in crisi economica e di personale le opere bene avviate. In direttore scende a Noto solo quando il suo vescovo approva e benedice la richiesta di monsignor Blandini. Un nuovo, insperato campo di lavoro si apre su invito di monsignor Radini Tedeschi. Tanti istituti affermati e benemeriti fanno fatica a piazzare una tenda nella città eterna. Per don Orione la cosa è semplicissima: è la Provvidenza che lo chiama, che gli spalanca le porte di Roma e del Vaticano. Monsignor Radini offre una colonia agricola fuori Porta san Sebastiano, luogo di malaria, trasferita poi, in luogo più salubre, in centro città. Monsignor Misciatelli compera e regala uno stabile in zona Montemario, da utilizzare come colonia agricola e sede per i religiosi. Tra non molto si aggiungono la cappellania di sant’Anna in Vaticano e la parrocchia Ognissanti. Il 30 dicembre del 1901 don Orione visita la nuova sede, la colonia Santa Maria, in attesa dell’udienza dal papa per presentare una traccia dello spirito e delle finalità dell’opera. Sono giornate intensissime di lavoro, di relazioni, di amicizie, d’incontri. Parla a lungo con i suoi figli e si convince della necessità di un sacerdote che si dedichi alla loro formazione… Chiede a monsignor Bandi la disponibilità di un giovane e virtuoso sacerdote, don Ignazio Goggi. Dopo tre lunghi mesi ottiene l’aiuto richiesto.


4 Una serie di difficoltà mette a dura prova il fondatore: alla Colonia di santa Maria sono in corso lavori di ristrutturazione. Monsignor Misciatelli chiede, al posto di don Albera che ha troppi incarichi, un direttore dinamico che abbia tempo di seguire i lavori… Don Albera si ammala… Il vescovo non è contento del vitto dei ragazzi… Monsignor Bandi esige una sede per il noviziato, pena la chiusura dell’opera… Per fortuna che a Sanremo le cose vanno bene. Don Sterpi scrive a don Orione “Il Vescovo martedì scorso è venuto a farci visita ed è stato molto contento. Anzi, ti dico che ha offerto una casa con chiesa a Taggia. Non sarebbe un luogo propizio per mettervi il Noviziato?”. Don Orione vuole prima preparare i formatori: “quest'anno mando a Roma a dar la laurea di filosofia un bravo chierico e poi avremo due laureati: uno in teologia e l'altro in filosofia, e potremo piantare ove vogliamo il noviziato, e i novizi potranno aver scuola ovunque li metteremo…”. Monsignor bandi insiste che decida quanto prima. E così il 21 novembre, con il consenso di Monsignor Daffra, sei giovani, scelti da don Orione, iniziano il loro anno di noviziato in una casetta vicino al Collegio San Romolo. Don Sterpi, direttore e padre maestro, scrive le norme di vita, mentre Il vescovo si presta per le conferenze e le istruzioni. Il numero dei novizi aumenta, c’è bisogno di una sede più ampia, lontana dal frastuono dei ragazzi del Collegio e che permetta una vita comunitaria più regolare. Don Sterpi terminato l’anno scolastico, cerca la soluzione migliore. Racconta uno dei novizi3: « L'occhio vigile di Don Sterpi, che era nostro padre e maestro, s'era posato sopra un'altra casa più grande e più adatta, in ottima posizione, capace di un numero maggiore di persone. Questa seconda «Casetta» era situata 3

Il novizio Ferretti diventerà religioso e sacerdote dell’opera.


5 lungo la strada che porta al monte San Romolo, vicino al Santuario della Madonna della Costa, contornata da un grazioso giardinetto, sul pendio di una magnifica valle, che dai monti circostanti scende al mare vicino; tutta lussureggiante di olivi e di agrumi. Don Orione incoraggia e continua personalmente a fare propaganda. In un suo scritto appare evidente la fiamma apostolica che lo muove, la convinzione dell’importanza e della necessità della propaganda e infine il metodo per ottenere buoni risultati. “Tortona, 3 agosto 1901. Anime e Anime !. - Carissimo Don Sterpi, e carissimi fratelli, pace di Dio e apostolato di propaganda. Perché cotesto Istituto venga riconosciuto e possa compiere la santa missione… è necessaria, è supremamente necessaria, dopo l'aiuto di Dio, un'attivissima propaganda… E scrivo a te, o carissimo Don Sterpi, e a tutti codesti altri figliuoli dell'Opera, per parlarvi dello spirito e della vita di propaganda che ci deve tutti animare e infocare, ora e sempre… senza stancarci mai e mai! Per la città di Sanremo e per le città e borgate vicine e lontane deve passare il soffio vivacissimo della propaganda nostra a salute dei fanciulli, deve essere un soffio di attrazione, un soffio gagliardissimo di apostolato, che trasporti e trascini tutti tutti a noi, per portare tutti tutti a Gesù Cristo. So che avete i manifesti…è necessario averne a centinaia, a centinaia. Me ne manderete qualche copia. La propaganda di detti manifesti dovrà essere fatta nel più breve tempo possibile e sia larghissima e spietatamente ben fatta… abbondate nel numero delle copie… falla tu direttamente e per mezzo di persone sicure. … La propaganda si fa così: tutto in una volta… ai punti più centrali e frequentati e strani.. un numero grande, grandissimo di manifesti, che è necessario per fare colpo sul


6 pubblico, e attirare l’attenzione di tutti, anche dei ciechi; poi, ogni settimana, dovete farne affiggere dei nuovi là dove vedete che ce ne starebbero bene e dove vedete che ne mancassero o fossero stati lacerati… Pei primi di settembre, tutto in una volta, un'altra pioggia di manifesti…scegliendo i momenti e le giornate di maggior concorso; e, negli ultimi venti giorni di settembre poi, sia un lavoro febbrile e continuato; dovunque si va, dovunque si sta, dolcemente e audacemente, per la salute delle anime e nel Nome santo di Dio, senza stancarci, senza voltarsi, senza dire basta mai, mai, mai ! … perché, nel mondo moderno, che è tutto movimento di pubblicità e di propaganda, noi, Figli della Divina Provvidenza, dobbiamo tenere il primato dell'attività per Dio e per le anime, essendo noi, per grazia del Signore, i figli della luce e della verità…”4 Nel settembre del 1901 monsignor Daffra predica il primo corso d’esercizi spirituali della famiglia religiosa. Al termine don Orione comunica ai partecipanti il fine dell’Opera, secondo il testo steso nel Natale del 1900 e anticipato nel piano generale presentato a monsignor Bandi nel 1899. La Casa di Sanremo riveste di grandissima importanza nella vita della Congregazione: è sede del primo noviziato, accoglie gli emblemi del patrimonio spirituale dell'Opera: la statua della Madonna della Divina Provvidenza, il quadro della Madonna del Buon Consiglio, l'archivio in allestimento; vi si tengono importanti corsi di esercizi spirituali; è la prima Casa di proprietà dell'Opera; Monsignor Daffra si dimostra vero «Vescovo della Congregazione», consigliere di Don Orione e dei primi sacerdoti, loro difensore e aiuto nei momenti di trepidazione... Tanto è la stima e l’amore per don Orione che sembra voler fargli trasferire la Congregazione in quella città. Concedendo il permesso della cappella interna nel noviziato 4

Scr. 10,22


7 scrive: “… Quante benedizioni mi otterrà per San Remo! State con me tutti e due…”. Lo spirito del Signore che non conosce limiti di spazio e di tempo, suggerisce sempre nuove iniziative di bene. Don Orione animato da una fede dinamica, operosa che unisce la più alta contemplazione all’apostolato più intenso, il più grande amore di Dio al dono totale di se ai fratelli, si tiene aperto a tutti gli orizzonti della carità. Un mese dopo la vestizione dei primi eremiti, lancia l’idea delle “Dame della divina Provvidenza”: “… un'associazione grande dove tutte le anime si trovino unite nel campo della carità, e in uno stesso pensiero di abnegazione e di sacrificio: questa associazione sarà l'Opera della salute dei fanciulli! Il foglietto della Divina Provvidenza, che continuerà a pubblicarsi per sempre, sarà come la voce del pio Sodalizio, e segnerà il crescere e il dilatarsi dell'Associazione delle Dame della Divina Provvidenza…”5 La croce è fedele compagna di tutte le opere di Dio. Non può certo mancare nella vita e nell’Opera di don Orione che è nata, vuole muoversi e rimanere nella volontà di Dio. Il Signor Balma direttore dell’Istituto San Fogliano cessa il proprio servizio, don Alvigini destinato a sostituirlo si ammala, monsignor Bandi richiama in seminario i chierici che lo aiutano nelle varie opere. Don Orione deve chiudere alcune attività per mancanza di personale, compresa quella di Torino che tenta di salvare affidando l’incarico a don Sterpi. Per fortuna che proprio a Torino, attorno alle sorelle Fogliano, nasce il primo nucleo delle dame della carità che s’impegnano perché l’Opera presto

5

PO. 14.09.90


8 ritorni in città. Tanto è l’amore a don Orione che esse non si chiameranno più dame, ma figlie della divina Provvidenza.6

6

Le ottime relazioni delle Fogliano con Don Orione e la Congregazione continuarono per altri 35 anni. In situazioni d’incertezza per la Casa dell'Immacolata, di dolori per il minacciato cambiamento del suo spirito e dei suoi scopi, per la loro stessa salute fisica, Don Orione fu sempre loro vicino, confortandole a continuare, assicurandole dell'assistenza del Signore. Ci furono anche momenti nei quali parve che esse dovessero essere la pietra basilare dell'istituto femminile, che Don Orione pensava di suscitare. Una serie di lettere di Don Orione alle Fogliano - dal 1902 al 1923-ricordano il successivo mantenersi dei devoti, reciproci rapporti e l'aiuto morale sempre da lui prestato alle loro iniziative.


1 CAPITOLO XVI: L’APPROVAZIONE DEL VESCOVO

Monsignor Bandi dopo tre giorni di serrati incontri con don Orione, don Albera, don Sterpi e don Goggi, è orientato a restringere il campo d’azione dell’opera nelle colonie agricole e affidare la direzione a don Albera. A don Orione poco importa non essere superiore, ma non può accettare che vengano travisati lo scopo e le finalità della fondazione. Si presenta dal vescovo. L’incontro tormentato e burrascoso fin dall’inizio, si conclude con un dialogo serrato: - Dimmi la verità, cosa pensi dell’ordine che ti ho dato… Perché non rispondi al tuo vescovo?… - Ho eseguito puntualmente gli ordini ricevuti - Non è questo quello che ti ho chiesto. Obbedisci al tuo vescovo e dimmi apertamente ciò che pensi. - Se questa è la sua volontà… se me lo comanda… mi metto in ginocchio, e lo dico in ginocchio !… - In ginocchio o in piedi, dimmi che cosa ne pensi! - Penso… che domani Vostra Eccellenza non può celebrare la Messa… Lo stesso giorno il vescovo invia una lettera a don Orione: “Carissimo nel Signore, la carità del Cuore Sacratissimo di Gesù sia sempre con noi! Benedico all'Opera tua, perché prosperi e si propaghi al bene delle anime e alla maggior gloria di Dio. La Vergine Immacolata accolga sotto il Suo patrocinio la tua persona e tutti i tuoi collaboratori…”1 Finalmente salva la carità, salva la verità, salva l’obbedienza e salva la Congregazione! *** suoi 1

Don Orione crede giunto il momento, a conforto dei collaboratori, di chiedere l’approvazione ufficiale

20.1.1903 (il vescovo ha scritto 1902). Cf Scr. 64,10


2 dell’Istituto. Prima di rivolgere la domanda al vescovo, desidera sentire il parere del papa: il suo incoraggiamento, la sua approvazione è garanzia della volontà di Dio. Si prepara all’incontro rielaborando quanto ha scritto nel 1897 al Perosi, esplicitato, nel 1899, per la Compagnia del papa e in altri testi successivi circa lo spirito e le finalità della nuova famiglia religiosa. Il 14 novembre del 1900 invia a don Sterpi la prima stesura per avere osservazioni e suggerimenti. Il testo è pronto: “Dopo aver chiesto assai volte l'aiuto di Dio, ti dico che, nel giorno dell'Immacolata, mi pare conveniente che presentiamo al Vescovo di Tortona quanto ti ho mandato nel dì di S. Stanislao, e ti mando oggi ritoccato, per specificare e dichiarare sempre più il fine per cui ci siamo uniti”. Dopo l’udienza fissata per il 10 gennaio,scrive al suo vescovo: “…sono stato ricevuto dal Santo Padre, e mi sono inginocchiato ai piedi come al Signore. Non so dire la consolazione immensa provata… Gli ho parlato dell'Opera e gli ho parlato di Voi. Mi ha detto tante cose, tutto quello che io voleva, più di quello che volessi o potessi desiderare. Mi ha detto: io conosco bene l'Opera, so e conosco che il vostro spirito è molto buono; andate e continuate, confortato dalla mia benedizione più grande, e state tranquillo che Dio non vi mancherà e che il S. Padre vi benedice…2. Presentai la Regola, la benedisse, la toccò, mi mise più di una volta la mano sulla testa, battendola, confortandomi, mi disse tante cose; anche di mettere nelle Regole di lavorare per l'unione delle Chiese d'Oriente: è questo, mi disse, un altissimo mio consiglio…”3 Uscito dall’udienza celebra una messa di ringraziamento e prega sulla tomba degli apostoli Pietro e Paolo. Qualche giorno dopo va pellegrino da san Benedetto a chiedere luce e ispirazione. 2 3

Scr. 45,17 Scr. 72,187


3 La stesura delle costituzioni lo impegna molto. Prega, studia, si consiglia chiede aiuto a uomini di cultura e santità. Nella riunione di Sanremo, al termine degli esercizi spirituali del 1902, presenta lo schema. A don Orione dispiace che mentre il papa approva la visione aperta dell’Opera, il vescovo ed altri con lui vogliano coartarla a qualcosa di molto limitato. Monsignor Bandi gli scrive: “Come già ti ho detto più volte, sembrami che la tua missione debba essere questa, di educare cioè una falange di eremiti che, richiamando l'antica vita patriarcale e cenobitica, abbiano a disseminare nella nostra Italia buoni e morigerati agricoltori. A quest'opera tu dovresti convergere tutta la tua attività e azione. Il momento mi sembra molto propizio, giacché qui a Roma l'opera tua è molto ben vista. S. Alberto deve essere la Casa Madre… non vi ha dubbio, occorrerebbe di abbandonare tutta quella farragine d’altre opere, che non sono d’assoluta necessità, smungono nella borsa e ti affrangono nel fisico”. Al giudizio del vescovo si aggiunge l’impressione di alcuni del clero che non vedono bene i chierici impegnati in attività diverse dallo studio..., e meno che mai in lavori che sporcano le mani e impediscono di essere sempre a puntino nell’abito, nel comportamento. Al rettore del Seminario don Olivati, non piace la nuova concezione di chierici che studiano seguono l’orario, stanno puliti e dignitosi, ma che si dedicano alle istituzioni di carità per fanciulli abbandonati, che sanno anche lavorare, buttarsi in umili servigi, in ministeri, che chiedono sacrifici e anche di sporcarsi l'abito, se necessario, sempre a disposizione dei superiori che li faranno studiare e faticare.


4 Diversa è la convinzione personale di don Orione e di quanti gli sono vicino. Il Bollettino salesiano lo vede semplicemente come “l’apostolo della gioventù” 4 Monsignor Bandi, fidandosi di don Olivati, da ordine a don Orione di mandare in seminario tutti chierici appartenenti alla diocesi, firmare la rinuncia ai chierici suoi seguaci Anche i chierici devono firmare la dichiarazione di non appartenere più all'Istituto. E’ tristissima realtà, doloroso ricordo: “Vi era la persecuzione contro la nostra Congregazione… E' stata anche sciolta la Congregazione, perché le opere di Dio devono subire tutte il loro Calvario…”5 Ancora: “il Vescovo mi disse:-Io non te li ordino, se non vengono in seminario...-, e anche il giorno della loro prima Messa non permise che mi venissero a trovare. Noi dobbiamo, però, essere sempre lieti e felicissimi in Domino”6 Don Orione rimasto con pochissimi collaboratori, ma fiducioso nella Provvidenza risponde a Monsignor Bandi: “Io capisco bene la lettera di Vostra Eccellenza e ieri sera mi sono lamentato, ma con amore di figlio. Io non ho nulla e sono contento di tutto. Se non è cosa urgente, Vi prego nel Signore di usarmi la carità... veda se può aiutarla quest'Opera, e aiutarla un po' di più; dopo i tratti di benevolenza del Santo Padre, cessino le diffidenze, per amore di Nostro Signore, della Madonna e della Santa Chiesa, per cui solamente si lavora e si vuole vivere e morire…7 Ho piena fiducia nel Signore che mi stia vicino e non abbandoni i suoi figli alla rabbia settaria di chi li vuole dispersi. Che Gesù La benedica di quello che farà... Non credevo che si giungesse a tanto, ma vuol dire che, Era stato invitato a Valdocco per il Congresso degli Oratori festivi. Il commento: “vivamente applaudite le adesioni dell’apostolo della gioventù, don Orione di Tortona”. 5 Par. 15.10.28 6 Misc. A. 6 p. 196 7 Scr. 75,282 4


5 se Nostro Signore dispone così, è perché vorrà farci santi per questa via; se il suggello di Dio è la Croce, sia benedetta anche questa…8 » Un’altra ragione che può avere indotto il vescovo ad una scelta così dura, potrebbe essere il crollo di un suo segreto progetto. Ha istituito una Casa Oblatizia e vorrebbe che Don Orione si dedichi ai suoi Oblati, assumendone la direzione. Don Orione non oppone un rifiuto alla richiesta del vescovo: è disposto a collaborare, il Signore però, gli riserba un’altra missione, e per questo desidera mantenere la sua libertà di agire, senza vincolarsi troppo. Ed è solo e sempre l’obbedienza alla volontà di Dio che lo guida. In questo periodo avrebbe l’occasione di aprire una casa a Genova, grazie alla generosità del signor Canepa, rinuncia solo perché manca il benestare del vescovo. All’amico benefattore chiede la stessa disponibilità: “ Il presente sacrificio di aspettare il momento del Signore, col quale ci accompagniamo dolcissimamente alle ammirande disposizioni della Sua Divina Provvidenza, è una preparazione al tempo della letizia, la cui ora suona sovente improvvisa”9. Il tempo passa ma il vescovo sembra irremovibile nella decisione. La croce diventa pesante, ma è volere di Dio che si porti con amore. “… Ora il Vescovo, da tre anni con questo, si mostra molto freddo, e contro l'Istituzione. Egli dice che non ci capisce niente; ma io gli ho già detto chiaro che forse il Signore vuole che (l'Opera) si perpetui e che si propaghi pel mondo …di chierici non me ne vuole più dare; fare vestizioni qui non lo (vuole). …Quando sorse, si temeva che non potesse continuare, e quindi non si voleva parteciparvi troppo, per non 8 9

Scr. 72,201 Cf Scr. 110,178


6 compromettersi; quando si vide che le cose andavano bene, si volle incardinarlo all'opera diocesana che è la Casa Oblatizia. … mi pare che questo non sia il fine della fondazione. Io mi sono sempre rifiutato, ed il Vescovo ora è ostile. Ho provato l'affetto grande del mio caro Vescovo, ho provati dolori grandi dal mio caro Vescovo, ma io lo amo tanto…”10 Uno dei suoi, don Albera, appassionato di agricoltura, si allea con monsignor Bandi nel voler delimitare il campo di azione agli eremiti e alle colonie agricole. Il momento è delicato: bisogna chiarire bene, una volta per tutte, il fine e lo spirito di fondazione. Senza attendere oltre, don Orione convoca a Tortona don Sterpi, Goggi e don Albera. Tre giorni di riunione, 25-28 gennaio 1903, senza arrivare ad un accordo neppure alla presenza del vescovo. Monsignor Bandi sospende le udienze per dedicare l’intera mattinata alla riunione. Fin dall’inizio risultano chiare due cose: il vescovo nutre poca simpatia per don Orione e ha già un’intesa, almeno tacita, con don Albera. Il giorno successivo don Albera non si presenta alla riunione. Il vescovo si scaglia con più veemenza contro i tre presenti. Don Orione teme che la sua presenza condizioni la decisione di monsignor Bandi. Per agevolarlo non si presenta. Così al terzo giorno si ritrovano solo don Sterpi e don Goggi. Il vescovo pensa di risolvere la questione facilmente: - Come vi ho già detto, io non ho fiducia in don Orione; quindi vi propongo un altro superiore -Faccia pure eccellenza. Però tenga presente che se non è di nostro gradimento… siamo diocesani: torneremo nelle nostre case in attesa di ordini -Ho capito, grida il vescovo, volete accusarmi della chiusura dei due istituti che voi gestite! Ma io scriverò a tutti una circolare.. 10

Scr. 77,231


7 -Faccia pure, eccellenza, siamo sicuri che non dirà altro che la verità. Si lasciano senza troppa simpatia vicendevole. Don Sterpi e don Goggi si dirigono al Santa Chiara a chiedere ospitalità a Don Orione per la sera, e partire al mattino seguente. A questo punto don Orione decide di parlare personalmente con il vescovo: è disposto all’obbedienza più piena, ma in coscienza sente di dover esporre con chiarezza lo spirito che lo anima. L’incontro che sembra volgere al peggio, si risolve positivamente con l’approvazione e la benedizione di monsignor Bandi. L’11 febbraio festa della Madonna di Lourdes, don Orione inoltra al vescovo, la domanda per l’approvazione diocesana. Il 9 marzo, dopo aver apportato al testo, qualche modifica suggerita dallo stesso vescovo, riceve una prima provvisoria approvazione. L’approvazione definitiva parte da Sanremo dove Monsignor Bandi è ospite per un breve periodo di riposo. Porta la data 21 marzo festa di san Benedetto. Goggi ha preparato il testo in lingua latina. Il decreto è accompagnato dall’elenco d’alcuni adempimenti a breve scadenza: la presentazione della formula dei voti, la professione religiosa di don Orione, dei suoi collaboratori. Don Orione emette i voti il giorno di Pasqua, 12 aprile 1903, nella cappella del palazzo vescovile, nelle mani di monsignor Bandi. La stesura delle regole richiede un lavoro minuzioso e lungo che si protrae fino al 1912.


1 CAPITOLO XVII: SOFFRIRE, TACERE…

Tutti sanno che la barca di don Orione viaggia in cattive acque… qualcuno aspetta ancora che affondi, molti, di là dalle apparenze, riconoscono la mano di Dio che la guida a porto sicuro. Ma resta difficile, per non dire impossibile, comprendere e condividere alcune scelte di questo giovane sacerdote che con tanta disinvoltura rinuncia al denaro di cui ha bisogno. Un giorno una signora si presenta da monsignor Bandi perché vuole a tutti i costi incontrare don Orione. - Perché, cerca don Orione? E’ sempre preso da mille impegni, corre, corre senza mai fermarsi. Questa mattina mi sembra che sia impegnato in una predicazione nella parrocchia di Silvano Pietra. Se è andato a piedi, com’è abituato a fare, ci vorrà la notte che torni… Ma ha bisogno di qualche cosa? - Non sono io che ho bisogno, è lui che, come dicono, ha estremo bisogno di denaro! Fa così tanto bene che ho deciso di dargli una mano… - Apprezzo il suo buon cuore… Il Signore l’ha mandata qui da me… perché anche il vescovo ha bisogno di denaro; anche il vescovo ha debiti per il nuovo seminario di Stazzano. - Sì, eccellenza, ho capito. Però, mi dispiace, ma questi soldi sono per le opere di don Orione. Grazie, non le faccio perdere altro tempo. Infatti la signora si reca subito a Silvano Pietra, incontra don Orione, racconta l’incontro con il vescovo e soddisfatta consegna la sua offerta. Don Orione accetta e ringrazia di cuore. A sera, prima di rientrare nel Collegio, va dal vescovo a consegnare quel denaro: “Eccellenza, so che ha bisogno di denaro per Stazzano, la Provvidenza le viene in aiuto attraverso il più povero dei suoi sacerdoti”.


2 *** La Morte di Leone XIII suscita in don Orione vero rimpianto perché ha guidato con sapienza e fermezza la chiesa in un periodo storico burrascoso; perché attraverso le sue encicliche sociali e dottrinali segna le coscienze e sprona i credenti ad una testimonianza di fede aperta, coraggiosa e coerente; perché lo considera, quasi di diritto, il fondatore, per l’approvazione, sia pure informale, concessa nel 1902. Ha 31 anni. E’ dinamico, resistente alla fatica e al sonno, dalla memoria ferma e tenace, sa conciliare il raccoglimento interiore con un’attività vertiginosa. Dal volto sempre sereno e sorridente, nasconde pene e preoccupazioni grandissime. Esercita un fascino che conquista, trascina. Il suo cuore, palpitante d’amore per il Signore, riversa le attenzioni più squisite sui fratelli. L’unione con Dio, la preghiera e la penitenza insieme alla misericordia e grandezza del cuore sono il segreto del suo successo personale e dell’efficacia del suo apostolato. Quanti lo avvicinano trovano sempre una parola di conforto e d’incoraggiamento. Può sembrare esagerazione, ma lavora fino a venti ore al giorno, riposando in qualche maniera, le altre quattro. Una donna semplice lo definisce “trottola”, una grande trottola che gira sempre e non riposa mai. Nonostante gli impegni che lo assillano, dedica tutto il tempo necessario per ricevere e ascoltare quelli che bussano alla sua porta. Vengono anche i curiosi, quelli che han nulla da fare, quelli che amano tirarla così lunga che non se ne vanno mai… Don Orione fa stampare a caratteri d’oro un cartellone con la scritta: “Benedici, o Signore, coloro che non mi fanno perdere tempo”. Collocato nel suo studio ai piedi del Crocefisso, colpisce subito all’occhio di chi entra...


3 Scaldasole è un paese della Lomellina che don Orione frequenta spesso e per la personale amicizia con il parroco, e per i numerosi giovani entrati nella Congregazione,1 è testimone di un fatto straordinario. Uno dei suoi abitanti, Camillo Colli, si ammala gravemente. Ricoverato all’ospedale di Pavia insiste perché si avverta don Orione. Desidera tanto averlo vicino per qualche minuto… La moglie e i familiari scrivono a Tortona: nessuna risposta. Ogni altro tentativo è vano. Una sera il malato invita i presenti a lasciare la stanza perché deve entrare don Orione. - Ma quale don Orione? - Si, don Orione è venuto; è dietro la porta che aspetta. - Calmati, stai sognando…sei fissato: dietro la porta non c’è nessuno. - Forse state pensando ad un delirio… che io sia fuori di me… No, no sono lucido e so bene quello che dico e quello che faccio. Fate il piacere di uscire e lasciarmi solo con don Orione. I presenti perplessi, si guardano negli occhi, lasciano solo il malato e rimangono in ansiosa attesa fuori della cameretta. I minuti sono interminabili. Finalmente dall’interno la voce di Camillo: - Potete rientrare - Allora? Come va? - Mi son bel a post. Don Orione è venuto, adesso posso benissimo prepararmi a chiudere gli occhi. E infatti dopo qualche giorno spira serenamente. Dopo otto giorni, la moglie del defunto si reca da don Orione per comunicare la notizia della morte del marito,

Tra tutte le vocazioni della parrocchia di Scaldatole, la più illustre è quella di don Pensa – amato e stimato dal fondatore - che inizia a Roma come eremita e diventato sacerdote sarà il secondo successore di don Orione. 1


4 chiedere consiglio su alcune operazioni economiche e, se possibile capire cosa sia veramente successo all’ospedale. - mio marito desiderava tanto averla vicino, e invece… - Ma sì che son venuto, e l’ho confessato. El s’è mis a post bei; ch’la staga tranquilla!2 Sceso a Roma per la malattia e i funerali di Leone XIII, partecipa alla cerimonia di incoronazione di Pio X, e decide di fermarsi per contattare e conoscere le varie personalità della Curia che, in caso di necessità, potrebbero essere di aiuto alla Congregazione che sta muovendo i suoi primi passi. Sceglie come dimora la Colonia Santa Maria. Non è nelle sue intenzioni, ma deve fare da direttore perché don Albera si dedica quasi interamente alla colonia di Petrara. Con amore di padre infonde ottimismo e serenità; si prende cura del bene materiale e spirituale degli eremiti, dei confratelli e dei ragazzi; riporta nell’ambiente la pace e l’entusiasmo. Le lamentele, le critiche che hanno messo in cattiva luce l’istituzione perdono consistenza. Monsignor Radini Tedeschi deluso della gestione di don Albera, ora si dichiara pienamente soddisfatto. Sofferenza si aggiunge a sofferenza: a Petrara le cose non vanno meglio… Monsignor Bandi che conosce bene la situazione, incoraggia don Orione con una lettera molto affettuosa. Lo incoraggia ad avere fiducia perché “è buon segno che dopo l’approvazione formale dell’Opera si scateni il furore del demonio”.3 Il vescovo gli ha concesso tre mesi di permanenza a Roma, ma teme di non riaverlo più: “sia quello che disporrà il Signore, ma non dimenticare Tortona, che fu culla dell’Opera tua e che è tuttavia l’antica terra promessa”4 2

Ha messo a posto la coscienza proprio bene, stia tranquilla, Signora. DO. IV,12 4 DO. IV,14 3


5 Don Orione non ha alcuna intenzione di stabilirsi nella città eterna, ma ci sono grossi problemi che lo trattengono. L’autorità ecclesiastica non è contenta della gestione della Colonia S. Giuseppe. Don Orione non ha personale da sostituire o aggiungere… Nel mese d’ottobre cessano le trattative e a malincuore deve lasciare la Balduina. Il dolore è lenito dal pensiero che lo sostituisce un sacerdote lombardo, don Guanella, animato dallo stesso spirito di carità, d’amore e di dedizione per i poveri. La consegna dell’attività è l’inizio di un rapporto d’amicizia che unisce i due santi per l’intera vita. Un giorno tornando dalla città lo vedono arrivare alla Colonia insieme ad un poveretto raccolto lungo la strada. Non dice una parola in italiano, ma parla con due occhi spalancati che implorano aiuto. Don Orione si prende cura personalmente di lui; per un mese intero gli cede camera e letto. Egli prende qualche ora di riposo su un vecchio divano oppure, quando è più freddo, nella greppia della stalla. Un giovane davanti a tanta carità chiede ed ottiene di entrare in Congregazione.5 Una notte don Orione sogna di salire alla colonia di Santa Maria… entra dal cancello principale e si sente rabbrividire: tre grosse belve, ululando rabbiosamente corrono verso i ragazzi che ignari giocano allegramente nel cortile. Non sa cosa fare, non riesce a gridare… Fra Igino gli è a fianco e lo esorta ad invocare l’Immacolata. Non ha ancora finito di pregare che la Madonna avanza in un alone di luce, dal viale delle robinie (dove è stata collocata la statua dono di don Guanella)… arrivata nel cortile copre con il suo manto i ragazzi e come per incanto le belve si ritirano e scompaiono nel nulla.

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E’ l’eremita fra Pellegrino


6 La devozione alla Madonna è una delle caratteristiche peculiari di don Orione. Parla, scrive di lei, organizza pellegrinaggio, costruisce santuari… Vorrebbe farla conoscere e amare da tutti; suo sogno: pubblicare una bella rivista mariana. Il cinquantesimo delle apparizioni di Lourdes, l’approvazione diocesana della Congregazione, la riconoscenza verso Colei che continua ad assistere maternamente i suoi figli, sono altrettante occasioni per concretizzare il progetto. Il 15 gennaio 1904 esce il primo numero de “La Madonna”. Per la rivista vuole le “migliori penne d’Italia” che sappiano illustrare in modo nuovo, originale la pietà e l’arte che onorano la Madre di Dio. Esce. con la benedizione del papa, dalla tipografia vaticana. Il primo numero è sovvenzionato da un insigne benefattore (tutto fa pensare a Pio X). Siamo nell’era delle contestazioni, delle divisioni, del modernismo: con la rivista don Orione vuole “raccogliere tutti gli ingegni e i bei cuori d’Italia, attorno alla Madonna, anche perché Lei aggiusti le teste di alcuni…”6 La rivista riscuote larghi consensi, coinvolge scrittori validi e competenti, fa del gran bene. Don Orione cura la propaganda, cerca abbonati, scrive articoli infuocati. Le ristrettezze economiche pesano sul bilancio. Non ce la fa più a sostenere le spese: è costretto a sospenderne la pubblicazione. Al suo posto riprende la stampa meno onerosa del giornale di Congregazione, La Piccola Opera della divina Provvidenza. Nello stesso periodo la morte porta via a don Orione uno dei suoi figli più cari. Ricorda: “Alvigini venne da noi che era chierico, si è poi ammalato di petto. Non poteva stare in seminario a causa del suo male, l’abbiamo accolto noi. …fu mandato a San Remo… perché c’è l’aria dolce, proprio adatta

6

(Scr. 63,354


7 per certi malati. In seguito andò a Torino e a Roma e prese la Messa. Quanto abbiamo dovuto soffrire per farlo ordinare !... Era piissimo..., ma, cosa volete, quelle erano ore gravi per la Congregazione, ore di molti dolori, di grandi prove. … era un angelo da chierico e fu un angelo da sacerdote… Fu mandato al paese per vedere se l’aria nativa gli potesse portare qualche po’ di giovamento… un giorno io dico ad un sacerdote, che stava a Tortona: … Andiamo a trovare Don Alvigini!… Abbiamo noleggiato una vettura e ci siamo messi sulla strada che conduce a Garbagna. Ad un certo punto, eravamo circa ad un terzo del viaggio, io ho sentito che Don Alvigini moriva ed ho detto a Don Lovazzano:Prendi l’orologio e vedi che ora è: Don Alvigini muore in questo momento… a 100 metri dal paese incontriamo un parente di D. Alvigini: E’ morto alla tal ora e al tal minuto... Era l’ora precisa, controllata da Don Lovazzano… L’ho visto poi vestito con la cotta bianca e la stola: invece, quando muore un sacerdote, si deve vestire con il camice e la pianeta violacea. … Gli ho levata la stola e la cotta e mi sono messo a vestirlo, come se dovesse celebrare la Messa… e, quando fu vestito, gli ho prese le mani per congiungerle ed egli mi ha stretto la mano. Ed io gli ho detto:-Don Battista, stringimela ancora!-Ed egli me l‘ha stretta ancora”.7 Sentimenti di fede e di stima legano don Orione a Pio X. Il primo di marzo del 1904 va in udienza privata. “… mi ero fatto imprestare una veste pulita, ed un cappello da Monsignor Silvani. M’ero fatto la barba e poi andai a confessarmi per fare anche un po’ di pulizia dell’anima. Mi sono andato a confessare dai Carmelitani… Venne un Padre vecchio e cominciai la confessione. Ad ogni cosa che dicevo, mi faceva la predica... 7

DO. IV,71ss


8 Io guardavo l’orologio e vedevo che s’avvicinava l’ora di andare all’udienza: l’altro, invece, la tirava lunga. Io allora … non gliene dissi più di peccati. Ma egli continuava...: visto che io non avevo più niente da dirgli, fece come un lungo riassunto di tutte le prediche fattemi ed io non aspettavo che il momento di essere libero... Finalmente, quando ebbe finito,… senza far la penitenza, corsi dal Papa. … Ero tutto trafelato... …Stavo asciugandomi ancora (il sudore) ed ero tutto rosso in volto, quando suona il campanello e mi fu annunziato che era venuto il mio turno. Mi presentai… ed il Papa calmo calmo mi disse:Eh, avevi proprio bisogno di andarti a confessare per venire dal Papa, eh? Ma, quando si va a confessarsi, bisogna dirli tutti i peccati al confessore... Parlai al Santo Padre di quello per cui ero stato ammesso all’udienza. Quando, ricevuta la benedizione, mi licenziai, venendo via, il Santo Padre mi disse ancora: Dunque, ricorda bene che bisogna dirli tutti !... Il frate non poteva certo essere stato in udienza prima di me, nè io conoscevo il frate, nè il frate, credo, conoscesse me. Ed io ho deposto questo fatto sotto giuramento (nel Processo canonico per Pio X)...”.8 Ma c’è un’altra sorpresa: “Il Papa pigliò dalla scrivania un libro: -Vedi, questo è il nostro vecchio breviario, che usiamo dall’epoca dell’andata a Venezia e ci ha accompagnato anche qui. Guarda: c’è dentro una lettera, che vi conserviamo da allora, per averla sempre sotto gli occhi. Si riferisce a Don Lorenzo Perosi. Don Orione, presso che tramortito, cascò in ginocchio implorando perdono. Ma il Papa gli disse subito:Una lezione di umiltà è buona anche per il Papa. Rialzati e siedi. E adesso informami delle tue faccende. -Pio X divenne da quel giorno il più vigile e generoso fautore e protettore delle

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Par. 26.11.1932 e 7.9.1933


9 imprese benefiche di Don Orione, mentre Don Lorenzo Perosi si accingeva a seguire il nuovo Papa alla Sistina.”9 Monsignor Bandi venuto a Roma per le celebrazioni centenarie di san Gregorio Magno e ospite gradito a Santa Maria, riceve la rinnovazione dei voti di don Orione nella cripta della Basilica vaticana sulla tomba degli apostoli Pietro e Paolo. Gesto di stima e di fiducia inaspettato, motivo di grande consolazione e gioia, è l’essere chiamati alla cura spirituale della chiesa di S. Anna in Vaticano. E’ la chiesa contigua agli appartamenti privati, anzi una finestra comunica direttamente con l’interno della chiesa. E’ nel cuore di Roma, dispone di locali e camere per una piccola comunità, alle dipendenze del papa attraverso la Confraternita dei Palafrenieri di Palazzo. Come luogo di confluenza e di passaggio di personalità religiose e civili, esige la presenza di un sacerdote “di notevole pietà, cultura, delicatezza di tratto”… don Gaspare Goggi. La prima cosa che deve fare è quella di rendersi bene accetto ai membri della Confraternita, “tutta brava gente, commenta don Orione, alla quale, usando pazienza, si poteva fare del bene e farne anche in Vaticano, incoraggiandoli nel santo timor di Dio; ma avevano i loro umori… e qualche volta non pareva loro vero di poter comandare un po’…”10 Gli ultimi giorni di Roma sono per don Orione un vero Calvario. Da un anno don Albera ha comunicato a don Orione, chiedendo preghiere, la volontà di consultare monsignor Bandi e prendere decisioni “secondo il volere di Dio”. Don Orione a breve distanza scrive a don Sterpi: “Venne Albera, andò dal Vescovo, non entrò in Collegio:io corsi alla stazione, dove lo vidi che partiva e mi disse che aveva parlato 9

DO. IV,88 DO. IV, 94

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10 col Vescovo e voleva, nell'opera della Colonia piena indipendenza. Egli si è diviso, cosi mi ha detto il Vescovo, il quale è con l'Opera Divina Provvidenza. Godete in ogni tribolazione: purché non si perda Gesù, si ha tutto... Tacere, soffrire, pregare. Benedico voi e tutti Amen. Con la grazia di Dio, ho trattato con molta carità Don Albera””11 Don Albera resosi conto, che anche il vescovo di Orvieto non è contento della sua gestione a Petrara, inizia ad agire in piena autonomia. Chiede alla commissione di Petrara di affidargli direttamente la Colonia garantendo un nuovo progetto di cui si fa responsabile e garante in prima persona. Accetta a nome proprio, senza interpellare nessuno, una colonia presso Bolsena. Monsignor Bandi, messo al corrente della situazione, tenta di scuoterlo intimandogli di rientrare in diocesi. Il vescovo di Orvieto convoca don Orione per un sopraluogo e un incontro con don Albera. L’epilogo è questo: Mio carissimo Goggi, vi scrivo ancora da Orvieto: è lunedì sera, la festa dei Santi Innocenti. Don Albera ha dichiarato formalmente, davanti a questo Vescovo, che egli non intende affatto fare parte dell'Opera. Egli è stato richiamato a Tortona dal Vescovo e dovrà partire a giorni...”12 Monsignor Fratochi, che stima don Orione vuole a tutti i costi che continui a gestire la colonia di Petrara con i suoi religiosi. Seguono trattative lunghe e dettagliate. Nel frattempo don Albera, incardinato con il consenso di monsignor Bandi nella diocesi di Orvieto, si trasferisce alla colonia presso Bolsena. Un fatto increscioso, la calunnia ingiusta contro uno dei religiosi che si dedicava a servizio dei ragazzi della colonia, fa saltare tutto: “… ho pregato lungamente, scrive don Orione al 11 12

Scr. 10.37 Scr. 108,283


11 vescovo di Orvieto, perché Dio mi aiutasse a fare, se era possibile, tutto il maggior bene … Il tentativo però che si è fatto di infamare Don Risi, mi ha dolorosamente impressionato. Io ho voluto sentire il parere dei miei Confratelli. Ora a me pare che costi non si debba più starci, e questo è pure il consiglio che ho ricevuto da persone savie e di spirito… Questa decisione io l'ho comunicata al mio Veneratissimo Vescovo. Per San Giuseppe, se fosse possibile, vorrei che quei miei fratelli si potessero trovare qui insieme con me..”13 Don Orione raccomanda a don Risi di avere molta pazienza e molta carità anche con don Albera che, pur essendo in grado di farlo, non ha detto una parola in sua difesa. L’accusa, tanto grave da compromettere il buon nome della Congregazione intera, è inconsistente e contraddittoria. Il direttore non vorrebbe far querela, ma è tanta la cattiveria e la sfrontatezza che è costretto a fare il passo. Don Risi fa denuncia di diffamazione, don Goggi raccoglie testimonianze, cerca avvocati e predispone la difesa. Le cose si trascinano penosamente per due anni. Nel primo processo, 9 gennaio 1906, don Risi è dichiarato colpevole; nel secondo processo, agosto dello stesso anno, è riconosciuto pienamente innocente. Per questo ed altri gravi problemi don Orione passava notti e notti in preghiera. Don Contardi testimonia: ““Ho visto una volta Don Orione che piangeva dirottamente e Don Goggi lo consolava: parlavano della faccenda di Bagnorea...”14 Per non pesare sugli altri si raccoglie in un silenzio a volte male interpretato. Ma il suo silenzio è sempre un atto di carità; è l’attesa paziente e amorosa di conoscere meglio la volontà di Dio; è preghiera per ottenere serenità di giudizio e

13 14

Scr. 109.63 DO IV,149


12 forza di decisione. E’ insomma sempre e solo lode a Dio e a grande amore verso i fratelli.15 Preoccupato della salute di don Sterpi, vorrebbe aiutarlo coinvolgendolo di meno nelle continue problematiche da risolvere. Il 24 giugno 1904, risponde ad una sua lettera: “...Non vi ho mai scritto nulla, perché‚ mi pareva di dover fare così. … Deh, per carità, non vi lasciate avvilire: sono grandi prove, ma sarà grande anche la corona, - e la Madonna SS. non ci abbandonerà. Quando mi scrivete e mi date certe frecciate, non è che non le senta, ma è perché‚ ce ne sono tante che sono già morto…”16

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Una testimonianza: Ho sentito dire che una volta Monsignor Blandini, Vescovo di Noto, gli scrisse lamentandosi che da circa un anno non gli scriveva: e lui rispose al vescovo che certi silenzi con gli uomini non sono veri silenzi, se si parla con Dio. E che lui parlava col Signore per scoprire la sua Volontà” (DO IV,172) 16 Scr. 10.47


1 CAPITOLO XVIII: LA CASA MADRE A TORTONA Il Comune di Tortona non intende rinnovare l’affitto del Santa Chiara: don Orione deve trovare un’altra sede, possibilmente definitiva, per la Congregazione. Da tempo ha messo gli occhi sulla Casa Oblatizia che stenta a decollare. Spesso, in cuor, suo ha pregato la Madonna che ispirasse al vescovo di cederla ai suoi figli. Un giorno parte dal Santa Chiara con uno strano fagotto sotto il braccio, attraversa il cortile della casa oblatizia, raggiunge l’orto, scavata una buca e vi depone delicatamente il contenuto del pacco. Dopo una breve preghiera, ricopre la buca e torna tra i suoi ragazzi. La ricerca di una sede sembra vana: il Comune non solo non vuole affittare, ma neppure vendere, le altre costruzioni disponibili o sono troppo piccole o troppo onerose. Se non trova un posto, tra breve si troverà in mezzo alla strada con tutti i suoi collegiali, compresa i mobili. In uno dei tanti momenti d’amarezza e sconforto, mentre prega davanti alla statua della Madonna, il portinaio gli comunica che il vescovo desidera parlargli. Si presenta in episcopio e con grande sorpresa scopre che monsignore or Bandi lo ha chiamato per fargli la proposta dell’affitto della casa degli Oblati. Dopo varie, difficili e tormentate trattative lo stabile diventa proprietà della Congregazione. Dopo vari anni, un eremita mentre lavora nell’orto, fa una scoperta sensazionale. Corre da don Orione ed esclama: “Signor direttore, hanno seminato la Madonna nell’orto!”. Quella madonna protetta da due coppi, non è altro che il fagotto sotterrato da don Orione. E’ il “seme” che ha dato il suo frutto. ***


2 Nel 1904 scade l’affitto decennale di santa Chiara. E’ difficile che il contratto venga rinnovato perché una parte dello stabile, la più fatiscente, è destinata alla demolizione. Si sono inoltre riaccese le ostilità contro le istituzioni cattoliche. Non c’è più la Lanterna, ma lo sostituisce con la stessa aggressività velenosa il giornale”La Tortona del popolo”. E’ così aggressiva e accanita l’ondata antireligiosa, che don Orione pensando alla fondazione di un ramo femminile della Congregazione, si orienta a farle vestire con abito secolare. Monsignor Bandi per pagare i debiti di Stazzano, propone a don Orione l’affitto della casa Oblatizia. Il direttore veramente ha messo gli occhi su questo stabile, come alternativa e non come scelta preferenziale. Infatti richiede seri lavori di ristrutturazione e non è abbastanza capiente. E’ affezionato a santa Chiara e suo desiderio è di acquistarla. Ha trovato i soldi, il comune sembra favorevole alla vendita, ma il monsignor Bandi è contrario. Per non essere causa di dispiaceri al suo vescovo, rinuncia volentieri alle trattative con il comune e accetta la sua proposta. Torna alla carica con la giunta comunale perché prolunghi l’affitto almeno per un anno. Le trattative per la casa degli Oblati sono lunghe e complesse. Essa è a disposizione dal primo maggio, ma come dice don Sterpi che ha fatto il sopraluogo, “non vale un quattrino, tanto è indecente e, se si vorrà abitarla onestamente, bisognerà spenderci dei bravi soldi.1 Difficoltà si accavallano a difficoltà: quelli che la abitano non vogliono uscire, alcune condizioni sono molto svantaggiose; il vescovo è indeciso e cambia spesso opinione. E’ tanta l’incertezza e l’ostilità nei confronti della

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DO. IV,185


3 Congregazione, che don Orione e don Sterpi pensano di trasferire la sede fuori diocesi.2. Finalmente nel mese di luglio (1904) l’accordo è raggiunto. Don Orione, ancora in attesa della firma del contratto di santa Chiara, diminuisce, a malincuore, il numero dei ragazzi con una forte selezione; ottiene inoltre dal vescovo di alzare lo stabile di un piano. Non è facile ristrutturare una casa quando l’economo della diocesi approva, disapprova e modifica i progetti presentati; il parroco della chiesa confinante rivendica i suoi spazi e non vuole essere disturbato e il pettegolezzo e le male lingue di alcuni sacerdoti che godono nel creare attriti e confusione. Il direttore si rivolge al vescovo facendo presenti queste ed altre difficoltà, implorando inoltre da lui, maggiore chiarezza e determinazione. Suggerisce come soluzione ai tanti problemi, il passaggio di proprietà. “… Mancano 20 giorni ad andare fuori da S. Chiara, ma alla Divina Provvidenza non manca nulla e ci penserà di sicuro: pregare e non tremare. … Guardate, o mio buon Padre, che anche Voi non credeste bene di darla, io sono lietissimo e sempre vostro affezionatissimo figliuolo in Domino..” Io non voglio affatto forzare la vostra mano”3. Monsignor Bandi interpreta la lettera, piena d’affetto e d’obbedienza, nel peggiore dei modi: “…Il Vescovo vi dice: Entrate pure nella Casa Oblatizia, e voi non vi fidate del Vescovo e volete una vera cessione perpetua della casa. Qui non vedo più l'uomo della Provvidenza, non vedo che l'uomo, e l'uomo poco riconoscente, che quasi si compiace di metter in impaccio il proprio Vescovo. Senti, caro mio; io in coscienza 2

Don Orione ha vagamente accennato alle sorelle Fogliano la probabilità del trasferimento della sede a Torino 3 Scr 59,192


4 non posso mantenere tutto quello che, in un momento di benevolenza verso l'Opera tua, ti ho promesso…”4 Don Orione, ferito su ciò che ha di più caro, cerca di chiarire la sua posizione da Sanremo: “… Che se l'Opera della Divina Provvidenza, di natura sua, non può essere attaccata al mattone, non sarà mai e poi mai che un pezzo di mattone sia causa di divisione o semplicemente di disgusto tra me e Voi, o mio buon Padre… Per grazia di Gesù, sento che e la mia fede e il mio cuore non è nel mattone ne in alcuna cosa di questo mondo, ma in Dio soltanto e nella Sua Santa Chiesa e in Voi, mio Vescovo e Padre. Ne manco ho dubitato, con quella lettera, che fossi per darvi il più lontano dispiacere, mentre esprimeva la mia rassegnazione e fede in Voi, e tanto meno volli "essere uomo poco riconoscente e che quasi si compiace di mettere in impaccio il proprio Vescovo": parole queste le più amare, e davanti alle quali, per il cuore di un povero figlio, ogni dolore fisico Voi potete ben capire che sarebbe stata minore amarezza…5 Tutto rimane nell’incertezza, ma i lavori di ristrutturazione in qualche modo devono andare avanti, anche se don Orione, dopo aver inviato don Goggi a Roma e don Sterpi, per un pò di riposo a Sanremo, rimane solo. Tra tante amarezze e stanchezza, c’è qualche consolazione: “pare che, il 26 (ottobre 1904) mattina, e anche prima, la Madonna SS. abbia veramente visitato questa povera casa, entrando con lui dal portone e poi attraversando il cortile e venne su per lo scalone e sparve in una nube nell'atrio della cappelletta. Gli ha anche parlato pare che fosse vestita come quella che è lì a San Remo6 … Comunque queste cose non sono, se anche vere,che 4

DO IV,192

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Scr. 45,37

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E’ la famosa Addolorata di Novi trasformata dai ragazzi di san Bernardino in Madre della divina Provvidenza.


5 le consolazioni di Dio, e noi non è questo che dobbiamo cercare, ma il Dio delle consolazioni...»7 La Madonna che offre continui segni di predilezione per questa casa, convince monsignor Bandi a cederla a don Orione. Ed è proprio nel mese di maggio che monsignor Bandi propone l’acquisto per lire venticinquemila. Il direttore non si lascia sfuggire l’offerta. A metà giugno comunica a don Sterpi l’avvenuto compromesso cui seguirà, in data 20 ottobre, il contratto. “oggi (14.06.1905), con la grazia del Signore, ho comprato la casa oblatizia per lire 25.000, col patto che cessando don Milanese di essere parroco, la chiesa sia aggregata alla Congregazione. La Signora Zurletti8 di Alessandria ci da 20.000 lire… entro tre mesi si deve pagare e fare lo strumento”9 Con l’aiuto dei ragazzi fa il trasloco. Stringendo, occupando angoli e buchi, riesce a sistemare tutto e tutti. Però, mentre i suoi giovani sono al sicuro, tanti riempiono ancora le strade della città, abbandonati a se stessi ed esposti al vizio e alla delinquenza. Se le autorità religiose e civili danno prova del massimo disinteresse, egli non se la sente di restare solo a guardare: alla casa madre, così si chiama d’ora in poi la casa degli oblati, c’è posto anche per loro. Rinasce l’oratorio festivo. Dispone di due cortili e di molteplici attrezzature sportive e ricreative. Gli iscritti a dicembre sono 140. “Popolo” scriveva: “Con il più grande piacere siamo lieti di annunciare che l’instancabile amico nostro don Orione, 7

Scr 10,56 Nata a Tortona, ha conosciuto don Orione prima del 900 e lo ha sempre sostenuto e aiutato. Gentile, riservata, sincera estranea a pettegolezzi e chiacchiere inutili, fu sempre di parola. Sensibile e generosa ha chiesto la collaborazione di don Orione per sistemare tanti orfani. Don Orione riconoscente, la teneva informata dell’attività dell’opera ed era presente nei momenti di dolore e di lutti familiari; l’assiste in punto di morte e ne tesse l’elogio funebre sottolineando le tre caratteristiche: carità verso i bisognosi, fedeltà alla chiesa, devozione filiale al papa. 9 Scr, 10,77 8


6 con la generosa assistenza della sua Congregazione, che ha ora la sede centrale nella ex Casa Oblatizia presso san Michele in via Emilia, ha con non pochi sacrifici organizzato ed aperto nei due cortili della casa stessa, un oratorio ricreativo festivo, dotato di attrezzi ginnastici ecc…”10. I genitori devono sentirsi coinvolti e collaborare alla formazione e alla crescita dei loro figli: “…Non è cattivo il giovane, il giovane è sempre di chi lo illumina e lo ama!… Tortonesi aiutatemi e vi farò un oratorio festivo, un oratorio con criteri buoni e moderni, che sarà la salute dei vostri figli… La democrazia avanza con nuovi bisogni e nuovi pericoli… accogliamola amichevolmente, incanaliamola sul suo alveo, cristianizziamola nelle sue fonti, che sono la gioventù, e provvederemo ad un gran bisogno sociale dell’ora presente, e faremo opera di redenzione morale e civile…”11 Don Orione apre dunque ai giovani la sua casa. Il direttore con la sua presenza li sorveglia, li elettrizza, li entusiasma, coinvolgendo e trasmettendo la stessa carica ai chierici assistenti. Non ama le acque stagnanti: iniziative, giochi, attività si succedono una dopo l’altra. I ragazzi richiamati da tanta gioia aumentano a dismisura. “sono dai cinquecento ai settecento i ragazzi che lo frequentano” asserisce don Orione. C’è la banda, la recita, il teatro, le conferenze, le passeggiate culturali e sacre 12 rappresentazioni … Questo che è motivo di conforto per tanti genitori, e di gioia per tutti quei ragazzi, irrita gli anticlericali che approfittando dell’assenza di don Orione si vendicano 10

DO IV, 239 Scr. 68,9,9b 12 Una sacra rappresentazione che diventa tradizionale è il racconto della Passione, scritta da don Testore e che passa sotto il titolo di “Passione di Gesù Cristo secondo don Orione”. Le difficoltà per eseguirla sono enormi perché come dice lo stesso don Orione, …”vedono della politica dappertutto, sino nella Passione del Signore…” 11


7 lanciando pietre contro le porte e, dopo aver disturbato tutta la notte, gridano insulti e invettive. Il direttore è cosciente fin dall’inizio che le due realtà, collegio ed oratorio, non possono convivere a lungo. Ha iniziato ugualmente nella speranza di trovare a breve scadenza un locale distinto da “acquistare o di affittare in qualche altro punto adatto presso la città”13 Con un po’ di buona volontà e organizzazione, è possibile non disturbare eccessivamente le molteplici componenti che caratterizzano la vita del Collegio. Ci sono gli studenti e la scuola, il laboratorio di falegnameria, sartoria e calzoleria per quelli che non sono portati allo studio. Da tempo don Orione sognava una tipografia tutta sua. L’occasione buona si presenta quando Scala14 di Alessandria, costretta a chiudere, mette in vendita i sui macchinari. Il direttore acquista li in blocco, li sistema provvisoriamente al santa Chiara e terminata la ristrutturazione inaugura, nella nuova sede, la Tipografia San Giuseppe. Nel 1906 acquista la prima macchina Nebbiolo che gli permette di stampare in proprio anche il bollettino dell’Opera. Il passo è di notevole importanza: i giovani possono essere introdotti in una attività moderna, d’avanguardia che garantisce loro l’avvenire; i costi della pubblicità e della propaganda incidono molto meno; la stampa in proprio permette di aumentare le pubblicazioni moltiplicano così le possibilità di bene. Tutto questo mentre in casa continuano i lavori tra una difficoltà e l’altra: a volte mancano i soldi, subentrano imprevisti, il buon don Milanese vuole dire sempre la sua e la burocrazia per sua natura sempre lenta e complicata. Bisogna 13

Scr 30,77 La scala è la Tipografia d’Alessandria che stampa anche il bollettino della Congregazione, ma deve chiude per gravi difficoltà economiche. 14


8 inoltre, verificare tutto perché non ci siano spese superflue, perché i lavori siano fatti bene e la ristrutturazione sia funzionale. Il tempo corre veloce, è quasi giunto il momento del contratto d’acquisto. Don Orione può ancora contare sulle ventimila lire della signora Zurletti. La Provvidenza penserà alle cinquemila lire che mancano. Il direttore chiede a don Sterpi e a don Goggi che si diano da fare perché al suo arrivo sia tutto pronto senza perdere tempo o rischiare una brutta figura. Nella sua fede, è così sicuro che prima di lasciare Roma, invita monsignor Novelli ad inaugurare e benedire la casa. La Provvidenza non manca all’appuntamento: l’amico don Zanalda15 mette a disposizione le cinquemila lire che mancano. Don Orione racconta il giorno di inaugurazione della casa: “…feci mettere, tra il ponteggio e le travature non del tutto tolte, il quadro della Madonna del Buon Consiglio… attaccai i biglietti da mille, anzi li divisi a metà perché bastassero, e li disposi così a raggiera attorno a quel quadro. … ero guardato con diffidenza da tutto il clero… mi fuggivano. Quando monsignor Novelli … vide tutti quei denari che tappezzavano il quadro… rimase meravigliato, ed alla scuola di teologia in Seminario, credette bene di raccontare dei denari visti, di maniera che quantunque rimanessero i debiti, l’opinione del patratac per fallimento si dissipo…”16 15

Don Zanalda è compagno di seminario di don Orione; aiutato da lui in varie circostanze, gli riconoscente e quando può, ricambia i favori. Visitandolo all’ospedale di Pavia lo tranquillizza assicurando profeticamente: “per questa volta non morirai. Mi dovrai chiudere gli occhi. Morirai dopo di me”. 16 Par 14,3; 25.4.1934. Quel quadro trasferito a san Remo nel 1907 tornò a Tortona nel 1941. Per la circostanza si volle ripetere l’atto di amore compiuto da don Orione. Solo che don Sterpi non ha neppure i soldi per il biglietto ferroviario; la banca sarebbe anche disposta ad imprestarli per un giorno, ma non ha quel tipo di biglietti… La Madonna accetta l’omaggio, ma non vuole prestiti: una signora invia lire ventimila per una borsa di studio, altre seimila


9 Il 15 novembre 1905 la casa passa definitivamente all’Opera. Don Orione comunica l’avvenuto atto di compera: “La divina Provvidenza ha già fatto molto e molto di più le toccherà ancora fare… La casa è piccola; ma Dio a suo tempo, la allargherà e non lascerà di aiutarci, se avremo i piedi e la testa e tutto il cuore fissi e piantati nel Signore…”17

arrivano da altra fonte, tutte le banconote sono del tipo desiderato. Il 24 aprile si organizza la processione e, il giorno dopo, le banconote sono distribuite ai creditori che attendono. 17 Scr. d.100


1 CAPITOLO XIX: CONDOTTO DALLA PROVVIDENZA

La statua della Madonna della divina Provvidenza arrivata da Novi Ligure alla casa Oblatizia e trasferita in processione fino a san Bernardino, accompagna la Congregazione nel suo pellegrinare: Santa Chiara, San Remo e nuovamente a Tortona nella sede definitiva. La cronaca del ritorno: … Andò dunque D. Orione a prendere la nostra Santa Madre della Provvidenza, e sabato 23 marzo… I due cuori d'argento ricordano due grazie straordinarie fatte dalla Madonna mentre era nella città di San Remo. Un fanciullo era caduto dal quinto piano di un alto palazzo; egli gettava sangue dalla bocca, dal naso e dalle orecchie, - più medici, accorsi, l'avevano dato per morto, non c'era più speranza di salvarlo dalla morte, ma fu guarito miracolosamente dalla Madonna della Divina Provvidenza, e subito, con meraviglia di tutti. L'altro cuore d'argento ricorda la grazia fatta …ad una madre disperata; aveva essa un figlio e le moriva, - non c'era più nessuna speranza. …si getta lunga distesa ai piedi dell'altare, guarda piangendo la Vergine benedetta, la prega, la chiama, risoluta di non muoversi di là, finché la Madonna della Divina Provvidenza non non le restituisce salvo suo figlio. A Tortona venne accolta dai Sacerdoti e dai Chierici e dai giovani dell'Istituto, vestiti a festa, sulla soglia di Casa, e portata processionalmente, cantando il Magnificat, …dai nostri Chierici italiani e tedeschi… In processione vi erano Italiani (piemontesi, lombardi, veneti, genovesi, emiliani, romani, marchigiani, siciliani), Austriaci, Polacchi, Americani, Prussiani, Ungheresi… entrò in chiesa e fu collocata là, come Madre e Regina della Casa della Divina Provvidenza”1

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DO IV, 533-535


2 *** In questo periodo è vivissima la questione sociale. Leone XII con il suo magistero e in particolare con l’enciclica “Rerum novarum” ha smosso le acque a tutti i livelli. Monsignor Bandi si è schierato senza mezzi termini con la chiesa e il papa. Don Orione, convinto solo Cristo è garanzia del bene della persona e della società, guidato dal vangelo, promuove giustizia e verità nella carità. Sente però che questo non è, e non deve essere, un impegno solo dei sacerdoti e dei religiosi, ma di tutti i credenti. S’inserisce e lavora nelle associazioni, nei luoghi di cultura, con la stampa; stringe amicizie e collabora con chiunque sia impegnato a servizio della persona e del bene sociale. Segue lo sviluppo dell’azione cattolica e della nascente democrazia democristiana. Comprensivo e paterno con tutti, è altrettanto chiaro e deciso nel denunciare e combattere l’errore. Due correnti in particolare, modernismo e autonomismo, ingenerano confusione all’interno della chiesa. Sono “vere piaghe, insieme al socialismo, del momento storico e motivo di sofferenza per il papa e il vescovo di Tortona”. Don Orione cerca di illuminare le coscienze dei suoi figli, degli amici e di quanti lo avvicinano con la sana dottrina della chiesa, perché non cedano all’errore: “… Ed era ora! Intendiamoci bene: si, noi viviamo in un periodo di transizione dell'umanità! Avviene attorno a noi un rivolgimento radicale nella società, nel metodo dei governi umani, nelle relazioni della vita umana. Queste mutazioni si possono riassumere in una parola: è l'ora della democrazia, della sovranità dei poteri popolari. … questo fatto non è l'opera del caso o del demonio ma si compie per disegno della Divina Provvidenza; il Vangelo è il seme della redenzione dei popoli. Ora la democrazia si avanza, e la Chiesa, non temiamo, le saprà dare il battesimo, Lei sola ha quanto è necessario


3 all'alta e divina missione, non chi a Lei si sottrae o ribella. Essa sola è sicura di battere le vie della Provvidenza, e solamente seguendo Lei possiamo essere tranquilli che, sebbene queste vie possano sembrarci oscure, sono sempre rette… O miei antichi alunni, figli della Divina Provvidenza e Amici, non basta più lavorare, pregare e tacere, - è giunta l'ora di prendere posizione netta al nostro posto! - attivi, umili e fedeli ai piedi della Chiesa e del Papa”.2 Qualche volta la politica e la religione sembrano congiurare insieme. Crocefieschi, che ancora non digerisce lo smembramento del Comune, ora si sente provocato ed offeso, dalla decisione del vescovo che vuole sostituire il parroco. Nulla da eccepire: è un sacerdote buono, dotto, ma non gradito. La popolazione, esasperata, si ribella in blocco. Gli animi sono così accesi e avversi al povero sacerdote che tentano addirittura di ucciderlo. Il vescovo manda sacerdote perché calmi gli animi e svolga il prezioso ufficio di mediazione. L’inviato agisce con imprudentemente, parla con durezza e aggrava la situazione. Monsignor Bandi, come reazione, decide di porre l’interdetto alla parrocchia: non più suono di campane, non più sacramenti. La popolazione si divide in due fazioni: i rossi contro il vescovo e i bianchi a suo favore. In Paese avvengono fatti incredibili. Cortei strani sfilano lungo le strade; gruppi che provocano reazioni per dare sfogo alla rabbia e alla violenza. Le donne sono più accanite e battagliere degli uomini. La speranza è che il tempo faccia riflettere, porti a più miti consigli, addolcisca gli animi e riavvicini i cuori… Invece la situazione continua a degenerare… Il vescovo, non sapendo più cosa fare, si rivolge a don Orione. E una notte del marzo 1906, sul sentiero che s'impenna verso Crocefieschi, racconta uno degli abitanti, i miei fratelli 2

Scr. 64,136


4 sentirono alle loro spalle un rumore di passi e il battere di un bastone sull'acciottolato. Si voltarono indietro e videro confusamente, nel buio, una figura oscura che li chiamava a gran voce: - E questa la strada per Crocefieschi? - Mio fratello Luigi accese un fiammifero e lo accostò allo strano viandante. Gli sembrava un prete, era vestito da prete, ma aveva il viso coperto da una lunga barba nera: mio fratello aveva paura. Il prete chiese: - Come vi chiamate? - Io mi chiamo Luigi e questa è mia sorella Leonilde: veniamo dalla Filanda e andiamo a Crocefieschi. - Anch'io mi chiamo Luigi, Don Luigi Orione, e vado a Crocefieschi... Mio fratello, però, non era tanto convinto: - un prete.... a mezzanotte ...solo, e poi con quella barba! I preti non portano la barba. - Nella testa di mio fratello era entrato il dubbio che si trattasse di un malintenzionato, di un bandito travestito da prete, perché i tempi erano brutti anche allora… Mio fratello, quella notte, consumò una scatola di fiammiferi, perché ne accendeva uno ogni tanto col pretesto di vedere il sentiero, ma in realtà per dare un'altra occhiata allo strano viandante: si, gli occhi erano dolci e la voce persuasiva, ma il timore rimaneva. Giunti al paese, invitarono Don Orione per prendere un caffè; egli ringraziò i miei fratelli con queste parole che li colpirono profondamente: - Dio vi benedica per tutta la vita». «Probabilmente Don Orione si fece aprire la canonica disabitata dal sacrestano, il "Panigo", ed ivi trascorse la notte. All'indomani le campane suonarono, dopo il lungo silenzio provocato dell'interdetto, e tutta la gente riempì la chiesa. …Don Orione si presentò alla balaustra fra un profondo silenzio; disse lentamente: - Pax vobis!, -Poi tradusse: - La pace sia con voi! - La gente fu colpita da un saluto, al quale era


5 impreparata e tanto diverso dalle dure parole ricevute dall'autorità ecclesiastica. Continuò dicendo che la parrocchia aveva il dovere e il diritto di avere dei buoni e santi sacerdoti, ma senza violenza, perché contraria alla religione. Don Orione promise che avrebbe pensato a mandare un sacerdote degno, cresciuto alla sua scuola. - La tradizione è coralmente concorde nel dire che in chiesa tutti piangevano, perché le parole di quel sacerdote dalla lunga barba erano scese dritte al cuore. … Il sermone di Don Orione compi il miracolo di pacificare gli animi».3 Il direttore compiuta la missione, torna tranquillo al suo lavoro e la provvidenza nel giro di alcuni mesi, insieme alle inevitabili prove, offre abbondanti motivi di consolazione. Sono avvenimenti che lasciano un segno nel cuore di don Orione e dei suoi collaboratori. Si prospettano nuove aperture: “Il XV maggio, anniversario della Rerum Novarum, la magna charta delle rivendicazioni cristiane, un gruppo di religiosi della Divina Provvidenza, che ha sede nella già Casa Oblatizia, scelti dalle varie Case, si incontrava a Roma e avuta la benedizione del Santo Padre, partiva per la, Sicilia, dove ad Agira Don Orione ha aperto una nuova Colonia agricola, in cui già sono raccolti 30 fanciulli orfani poveri, che verranno istruiti nell’‘arte agraria...»4 Viene affidato alla Congregazione il servizio pastorale al carcere e all’ospedale. Un’attività che risponde pienamente allo spirito dell’Opera: “La vita della nostra concilia lo sviluppo di ciascuna individualità col fine sociale... Fine nostro... è di gettare l'amore di Dio nel cuore di tutti, ma specialmente dei piccoli, dei poveri e degli afflitti da ogni male e dolore e dei 3

DO IV, 403 Il parroco nominato potrà prendete possesso della parrocchia solo dopo un anno. Conquistò anche gli animi più ribelli. Legatissimo e riconoscente a don Orione per tutta la vita. 4 DO IV,428


6 carcerati, specialmente dei carcerati, pei quali non si è fatto ancora nulla...”5 La morte bussa alla porta della casa madre e porta via mamma Delfina6 che con generosa dedizione si è posta a servizio dei ragazzi. E due giovani speranze il chierico Del Vecchio Cesare7 e lo scultore Ernesto Pierrot di anni ventidue. Mornico è giunto al capolinea. Il direttore nel gennaio 1906, lo stesso giorno della morte di Delfina, comunica di aver concluso le pratiche della vendita del castello di Mornico. Il ricavato serve per coprire alcune pendenze urgenti. “Si chiude così la storia, commenta don Sterpi, di una casa dove si ebbero a soffrire tante peripezie, ma pure si ebbero tante consolazioni spirituali”8 Il bollettino ufficiale della Congregazione la Piccola Opera della divina Provvidenza, dopo un periodo di lungo silenzio, torna alle stampe. Passando in rassegna i primi numeri, è facile cogliere alcune scelte preferenziali: gratitudine e riconoscenza verso i benefattori, informazione dettagliata e amorosa delle varie attività e opere e, infine pubblicità sobria e persuasiva. Venuto a mancare il custode del santuario di Monte Spineto, il vescovo lo affida alla cura degli eremiti. In questa nuova sede lavorano per conservare il decoro della casa della Madonna e vivono di carità. Loro confessore e guida è il direttore spirituale del Seminario di Stazzano, don Perduca.

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Scr. 67.166 E’ la mamma di don Cremaschi, maestro dei novizi a Villa Moffa di Bra, per molti anni. Muore l’11 gennaio 1906 7 “Ricordatevi nelle vostre preghiere del Chierico Cesare Del Vecchio -dell'Opera della Divina Provvidenza - morto piamente in Tortona il 21 luglio 1906 - nell'età di anni trentuno. - Egli fu religioso umile e buono e sacrificò la vita piissima a bene della gioventù. Ha portato la sua croce con molta pazienza, ed ha lasciato un grande esempio di virtù a quelli che lo hanno avvicinato. La sua memoria resterà in benedizione. Misericordioso Gesù, donategli la pace eterna» 8 Scr. St 1,368 6


7 In un’udienza memorabile Pio X chiede a don Orione di dare inizio a Roma, nella zona del quartiere Appio, alla parrocchia. di Ognissanti.


1 CAPITOLO XX: PIO X E LA PATAGONIA ROMANA « Un giorno fui chiamato a Roma …in udienza dal Santo Papa Pio X. Mi presento, e prima ancora che facessi la genuflessione, il Papa mi dice: - Bene, bene, preparati che domani ti mando in Patagonia. - Padre Santo, come faccio a partire domani, ho tante cose per le mani, ho tanti affari da terminare.. E poi in Patagonia ci sono già i salesiani, i figli di Don Bosco... - E Pio X, sorridendo: - No, no, non ti mando in Patagonia... Andrai fuori Porta San Giovanni: là è come ti mandassi in Patagonia. … andrai là e comincerai ad aprire una cappella provvisoria…. Bisognerà poi che tu t’intenda col questore e col prefetto, e, poi, che tu stesso faccia un’ispezione, perché, lungo certe marrane, si trovano anche dei neonati abbandonati... Va, va, e vedrai... … Uscito dall'udienza, pensai di andare - in compagnia del grande spirito di San Filippo - a far la visita alle sette Chiese, S. Pietro, S. Maria Maggiore, le catacombe, San Giovanni.... per prepararmi, con la preghiera ed un poco di penitenza, all'opera santa che si sarebbe dovuto svolgere all'Appio e per attirare sul quartiere la protezione del Cielo e la benedizione della grande Madre di Dio. …Finita la visita alle Sette Chiese, feci un giro nella zona del Quartiere Appio. Era di domenica. Vi erano qua e là delle osterie, con le caratteristiche frasche all'ingresso, e vi erano famiglie intere, che mangiavano lietamente all'ombra delle frasche... E allora mi ricordai anch'io di aver fame. Comprai un po'di pane, con qualche cosa, e mi ritirai presso di un albero a fare il mio pranzo... Dopo pranzo ero tanto stanco che appena stavo in piedi...


2 Si affittò una rimessa da cavalli, all'Appio, abbiamo fatto fare il pavimento, si diede il bianco, abbiamo fatto fare due confessionali dai salesiani... «Siccome però quella cappella non aveva nulla d’esterno che dicesse essere cappella, essendo stata prima una stalla, come fare a chiamare la gente? Riempii i miei tasconi di soldini e di caramelle, diedi di piglio ad un grosso campanello e percorsi le vie del quartiere: con una mano sbatacchiavo il campanello e, con l'altra, lasciavo cadere dietro a me le caramelle e, di tanto in tanto, tra le caramelle, anche qualche soldino... I ragazzi, o meglio quella ragazzaglia, mi veniva dietro, altri mi venivano incontro ed io continuavo imperterrito a suonare disperatamente e a gettare avanti e indietro caramelle e qualche soldino, che cadeva anch’esso suonando e richiamando piccoli e grandi... Più mi avvicinavo alla chiesetta, più gente veniva dietro e faceva coda... Qualcuno sentivo che diceva., - Quel prete deve essere un po' matto... Giunto al punto buono, infilai la cappella che era spalancata e mi misi sull'altare. Ma, siccome la ragazzaglia era occupata a togliere la carta alle caramelle ed a succhiarle e magari a contarle, e da molti si chiacchierava, allora, in silenzio, mi misi a muovere la bocca senza proferir parole, e facevo dei gran gesti oratori con le mani, alzando gli occhi al cielo, allargando le braccia, proprio come quando predicavo ai matti alla Lungara, gesticolando senza pronunciar parole. Tutta quella gente, e anche i ragazzi, al vedermi gesticolare e credendo che io predicassi davvero, dopo un poco si quietarono, anche perché, in fondo, volevano finalmente sapere la ragione di tutta quella girata per il quartiere, scampanellando... Potei cosi farmi sentire... E subito, in quelle prime settimane, feci settanta matrimoni in tre giorni... e amministrai Alti battesimi anche di adulti... 1 1

Par. 1.11.1903; Par. 24.3.1934


3 *** E’ la nascita della prima parrocchia affidata alla della Congregazione, a Roma, per volere del papa! Il quartiere Appio è zona malsana con erbacce e canneti, qualche palazzo e molte casupole, capanne e grotte ricavate dalle cave di pozzolana. La strada è invasa da carri ed altri mezzi di trasporto che fanno spola, per interessi commerciali tra la città e i castelli romani. Gli abitanti sono poveri, poco o nulla religiosi, anzi spesso accesi anticlericali. Vivono alla giornata e con espedienti di vario genere. Completano il quadro di miseria e di degrado le numerose bettole ritrovo di individui loschi, e le case di malavita. Ha ragione Pio X: al quartiere appio si può dare anche il nome di Patagonia, ma non ha nulla di città. Il giorno dell’annunciazione, 1908, ha inizio l’attività missionaria di don Orione e dei suoi figli. Una stalla ripulita e imbiancata, senza croce e senza campanile è la prima chiesa della nuova parrocchia. Nella sua estrema semplicità e povertà è subito denominata “la capanna di Betlemme”. All’interno colpisce, sopra l’altare, il grande crocefisso e, richiamo di devozione, vicino all’ingresso, è la statua dell’addolorata. Gli inizi sono sotto la protezione dell’Immacolata, una piccola statua messa in venerazione presso l’altare. Don Orione apre per così dire il solco, gli succedono nella attività pastorale e organizzativa don Sterpi e don Goggi. Da questo inizio umile, nascosto, in un terreno umanamente parlando, non idoneo sboccia il fiore meraviglioso della chiesa di Ognissanti e, come primo frutto, la scuola san Filippo Neri che educa alla fede e alla scienza migliaia e migliaia di giovani.


1 CAPITOLO XVI: APOSTOLATO E PELLEGRINAGGI

Siamo alla vigilia del giorno della festa, 25 maggio 1913, il santuario è affollato di pellegrini… L’altro pellegrinaggio venne dal contado tortonese e fu organizzato e diretto dall’infaticabile e pio canonico Orione. Era questo numeroso di mille e cinquecento pellegrini e parecchi sacerdoti lo accompagnavano. Il sullodato canonico imitò i direttori dei pellegrinaggi a Lourdes indirizzando parecchi sermoni ai pellegrini, facendoli pregare, dando opportuni avvisi e raccomandazioni. Questo pellegrinaggio ebbe l’onore di vedere prodigiosamente guarito un fanciullo pellegrino che non poteva sorreggersi e da anni era portato dai suoi genitori. Qui disse a chi lo portava: lasciatemi andare, perché voglio camminare anch’io; e camminò e cammina ancora.1 *** Il pellegrinaggio esprime bene il senso della vita: sulla terra, siamo in cammino verso la casa del Padre. Non si tratta di una delle tante devozioni, ma un modo di ripropone a noi stessi e agli altri il nostro essere e il nostro destino. Per questo don Orione ama fare e organizzare pellegrinaggi, scuola di fede e di vita. Lo ricordano bene gli alunni della prima generazione, la città di Tortona e le migliaia e migliaio di pellegrini che con lui sono andati, pregando ed offrendo gli inevitabili disagi, pellegrini a Caravaggio, alla Madonna della Guardia a Monte Figogna e a Roma. Personalmente comincia presto: a piedi, alle edicole campestri, ai santuari dei dintorni; a piedi - e tante volte, da 1

“Il santuario di Caravaggio”, anno CVIII, n. 1, 2005, pag 23


2 Pontecurone a Molino dei Torti, …a piedi dal suo paese a Casei Gerola, perché la Madonna delle Grazie lo aiuti a diventare sacerdote e, con la stessa intenzione, a piedi oltre Casalnoceto, alla Fogliata. Pellegrino con i ragazzi raccolti in duomo, divenuto fondatore, con i suoi ai Santuari di Monte Spineto, presso Stazzano, di Monte Penice, di Torricella Verzate, a Sant'Alberto di Butrio… Pellegrino solitario e penitente quando si sposta da un capo all’altro della diocesi per la predicazione, le missioni, la ricerca delle vocazioni. Racconta, in momenti di confidenza, di essersi inerpicato sul Monte Spineto, portando a spalle un sacco pieno di pane per i suoi ragazzi che lo seguivano; di aver percorso le strade della Val Staffora, cibandosi delle bacche delle siepi; di essere giunto, sfinito dal cammino e dalla fame in tante parrocchie. Ama ricordare l'illusione provata e goduta in una di queste sgambate, allorché una aurora eccezionale gli mostra, con giochi di nubi, un fantastico castello davanti al quale si ferma estatico ad ammirare e lodare Dio: dopo alcuni minuti, con vivo rincrescimento, una folata di vento scompone l'incanto: "Proprio come scompaiono. ad un soffio, la nostra vita e le cose terrene…commentava. Avviata con una certa regolarità la Congregazione, può dedicarsi maggiormente all’organizzazione e alla guida di numerose folle di pellegrini ai santuari principi della Lombardia, Piemonte e Liguria. Evita pellegrinaggi lontani o troppo costosi per favorire la partecipazione degli anziani, dei poveri e di coloro che non godono ottima salute. Le cronache tortonesi di quegli anni parlano degli entusiasmi suscitati da quelle giornate di fede. Le autorità religiose, i parroci diocesani, i pellegrini gli lasciano ampia


3 libertà di disporre, di ordinare, di preparare, stringendosi tutti alla sua persona, … A tutti comunicava ardore, letizia, serenità. La meta scelta con più frequenza, perché la più accessibile, è certamente il santuario della Madonna di Caravaggio. Sono otto i pellegrinaggi organizzati da don Orione in questo santuario e tutti molto numerosi. Ricordiamo le date e il numero di partecipanti secondo le cronache della rivista del Santuario:1908 quasi duemila partecipanti; 1909 circa mille settecento; 1909, 1910, 1911, 1913 millecinquecento. Dopo l’interruzione a causa della guerra, torna pellegrino nel 1927 con millecinquecento pellegrini. L’ultimo pellegrinaggio di cui siamo a conoscenza è nel 1928: la data è anticipata al giorno venti ed è presente il vescovo monsignor Grassi e la corale con il maestro Marziano Perosi. Lo schema più o meno è sempre il medesimo. Vengono prenotati treni speciali; generalmente il pranzo e al sacco e il riposo, per chi lo desidera, sotto i portici del santuario. La pubblicità per le iscrizioni è tempestiva, dettagliata e precisa nei minimi particolari. Don Orione affida tutto quello che non è strettamente religioso alla collaborazione generosa e intelligente dei laici. Egli è l’anima del pellegrinaggio e il punto di riferimento costante. La data dei pellegrinaggi coincide con il giorno della festa dell’apparizione, 26 maggio. Partono al mattino presto da Tortona. Percorrono il lungo viale cantando e pregando. La giornata trascorre tra la celebrazione dell’eucaristia, le confessioni sempre numerosissime, catechesi fatte da don Orione, e tanta tanta preghiera. Molti passano la notte nella veglia. Al mattino verso le ore quattro appuntamento in santuario per la celebrazione della santa Messa, una preghiera e partenza. Negli ultimi anni, prima di rientrare a Tortona, vanno a visitare il duomo di Milano e la Certosa di Pavia.


4 Don Orione non abbandona un attimo i pellegrini. Contemplativo, ma con i piedi a terra, li mette in guardia dai borseggiatori e da altri eventuali rischi. Spiega sotto l’aspetto storico e artistico oltre che religioso i luoghi che visitano o che semplicemente attraversano durante il viaggio. Anima la preghiera, esorta alla conversione: “«Piangiamo i nostri peccati!», grida alto sulla folla, davanti al simulacro della Vergine, tra l'eco delle arcate dei meravigliosi templi mariani.” Non consente distrazioni o diversivi che trasformano il pellegrinaggio in un viaggio turistico. E anche se nel piazzale del Santuario c’è il concerto della banda “i bravi pellegrini tortonesi, invece di perdere tempo nell’ascoltare la banda, andarono attorno al tempio cantando e pregando. E’ da notarsi che la maggior parte dei pellegrini, erano uomini, e il vedere quegli uomini tutti uniti che pregavano e cantavano guidati dai loro sacerdoti era cosa che commoveva”.2 Il primo pellegrinaggio ufficiale a livello diocesano che vede impegnato don Orione risale al 1907 ed ha come meta il santuario della Madonna della Guardia a Monte Figogna. Anche se mancano pochi giorni alla festa, decide di diffondere l'idea nei paesi della diocesi che egli meglio conosce. Le adesioni sono molte e tutto riesce nel migliore dei modi: gioia, preghiera, confessioni, stanchezza e ancora gioia e gaudio dello spirito. Forse è proprio questa esperienza positiva che convince don Orione a promuovere tutti gli anni dei grandi pellegrinaggi. Un aneddoto di questo pellegrinaggio aiuta a comprendere lo spirito con cui don Orione li organizza e li segue. «Quando, nell'agosto 1907, Don Orione organizzò un pellegrinaggio al Monte Figogna di Genova, anch'io, con un mio compagno, certo Novelli, gli chiesi di parteciparvi... avendo perduto il treno speciale, salimmo su un altro treno … 2

“Il santuario di Caravaggio”, anno CVIII, n. 1, 2005, pag 23


5 invece di scendere a Bolzaneto, arrivammo a Genova e ci lasciammo vincere dalla tentazione di vedere la città e il porto. A sera pensammo di cercarci un posto … Al mattino, di buonissima ora, ci incamminammo per il Monte Figogna a cercare Don Orione. Su per i monti, a piedi, arrivammo là nel pomeriggio verso le quattro, stanchi e affamati, mentre i pellegrini già erano discesi per ritornare a Tortona… Quando Don Orione ci vide, alzò le braccia e disse: "Ma dove siete stati!?..." Noi confessammo la nostra birichinata, ed egli, vistici pieni d’appetito e stanchi, ci mandò a mangiare. Ci disse che nella notte aveva assistito un sacerdote moribondo, che poi morì, e per questo si era fermato ancora alla Guardia: "Siete stanchi, ci disse; fermatevi qui, dormirete all'ospizio. Ci mandò a ringraziare la Madonna nel Santuario e poi andammo all'albergo, dove Don Orione aveva già pagato per noi da gran signore... Il cuore di Don Orione era veramente grande!...».3

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DO IV,590


1 CAPITOLO XXII: LE SORPRESE DELL’AMORE

« Intorno al 1900, Don Orione si portò a predicare in un paese di montagna; poi ritornò a piedi: era una sera d'inverno, voleva arrivare a tempo in istituto; ma, poiché nevicava forte, si dovette fermare a Borgoratto Marmorola, e andò dal parroco che ne fu molto contento. Poiché Don Orione era bagnato e stanco, oltre che cambiargli l'abito, il parroco gli regalò anche un bel paio di scarpe, nuove, che egli mise, abbandonando le sue vecchie e mal ridotte. In canonica quella sera c'era anche il dottor Alberto Bernardelli, al quale Don Orione rivolse preghiera di accompagnarlo l'indomani almeno fino a Casteggio per il treno, volendo tornare a casa il più presto possibile. Partiti di mattino, mentre il dottore faceva una breve sosta per visita medica alla Fornace di Staghiglione, si avvicinò al calesse fermo un poveretto, male in arnese, che chiedeva l'elemosina. Don Orione, non avendo altro alla mano, si tolse le scarpe nuove e le passò al poverello, rimettendosi lui le scarpe vecchie... Il dottore, di ritorno, vide la scena, e rimproverò quasi Don Orione... Tanti anni dopo, nell'ottobre 1924, lo stesso dottor Bernardelli, mentre andava a cavallo a far visita, venne colpito da un uomo con due colpi di fucile. Trasportato all'ospedale di Voghera, per alcuni giorni parve non superare le ferite, e chi lo assisteva, medici, suore, parenti, cercavano anche di indurlo a ricevere i sacramenti. Il giorno dopo, proveniente nientemeno che da Roma, a tardissima sera, arrivò Don Orione, che era stato avvertito o aveva letto sui giornali, il fatto: abbracciò il ferito e pian piano lo preparò a ricevere i conforti della fede, che egli stesso gli diede... »1

1

DO IV,342


2 *** In occasione di una celebre udienza del Papa Pio X, nelle mani del quale avrebbe emesso i santi voti, don Orione volle spogliarsi di tutto il denaro che aveva con sé e s,'incamminò verso il Vaticano. In piazza Rusticucci fu avvicinato da un povero che chiedeva l'elemosina e gli espresse il proprio rammarico di non poterlo lì per lì aiutare. Ma frugandosi istintivamente le tasche gli venne fatto di scoprire in una piega un soldino sfuggito al controllo e allora richiamò con una voce il povero che s'era allontanato e lo regalò della piccola elemosina, lietissimo per conto proprio d'aver rimosso con un'opera di carità quell'ultimo ostacolo alla povertà integrale. Seguì la udienza privata. Uscito dal Vaticano con il cuore gonfio di tenerezza, di fede, di santi propositi, rifaceva lo stesso cammino a piedi, quando proprio in piazza Rusticucci, nel punto medesimo dell'incontro con il mendicante, un signore lo riconobbe, lo fermò e gli mise in mano una busta contenente una somma rilevante, offerta per la Piccola Opera. Forse già da allora don Orione pensò alla mirabile pagina manzoniana che doveva un giorno commentare da par suo all'Università di Milano.2

*** Ignazio Silone, espulso da un collegio romano, viene accettato da don Orione. Il noto scrittore racconta: “Don Orione fece dunque sapere che sarebbe venuto al collegio per rilevare me e un altro studente del mio stesso paese (il cui trasloco però non era dovuto, a ragioni di disciplina): ma all'ultimo momento avverti di esserne impedito per mancanza di tempo. Egli stesso propose perciò d'incontrarci nell'atrio della stazione di Roma, a una certa ora della medesima sera. Donde un equivoco iniziale per me assai spiacevole. Nell'ora e al punto stabilito, tra il viavai e il vociare dei viaggiatori e dei facchini che si affrettavano ai treni della notte, 2

Sparpagliane, Don Orione, Ed. Emiliana, Venezia, 1949, pag 207


3 noi trovammo un prete sconosciuto: non quello strano e attraente da me visto l'anno prima tra le macerie del mio paese, ma un piccolo prete qualsiasi, come a Roma se ne vedono migliaia. Ne rimasi non poco deluso e al malcapitato sostituto manifestai subito il mio dispetto, lasciando che si caricasse le mie valigie e fagotti, senza muovere un dito per aiutarlo. Dopo aver preso posto sul treno, il prete ci spiegò affabilmente che ci avrebbe condotto in un collegio di San Remo, nella Riviera Ligure; e che pertanto avremmo viaggiato assieme l'intera notte e anche una parte della mattina seguente. Era il primo viaggio importante della mia vita, ma non ne sentivo più alcun piacere, essendo amaramente deluso per il mancato incontro con don Orione. Dopo un po' il prete mi chiese se avessi con me qualcosa da leggere e, alla mia risposta negativa, mi domandò, nell'evidente intenzione di accattivarsi la mia simpatia, se desiderassi un giornale e quale. «L'Avanti!», gli risposi in tono secco e palesemente provocatorio. Devo dire che allora conoscevo quel giornale solo di fama, come un foglio nemico della Chiesa, della tradizione e dell'ordine. Era dunque difficile immaginare una richiesta più impertinente da parte d'un collegiale. Senza scomporsi, il prete scese dal treno e poco dopo riapparve e mi porse il giornale. Ne fui stupito e un po' anche mortificato, perché m'accorsi che, malgrado l'apparenza, egli non era affatto banale e meritava maggiore rispetto. «Perché», gli chiesi, «don Orione non è venuto?». La mia osservazione lo sorprese. «Sono io don Orione», egli mi disse: «Scusami, se non mi sono presentato». Rimasi assai male all'inattesa rivelazione, mi sentii spregevole e vile. Nascosi subito il giornale e balbettai alcune scuse per la mia presunzione di pocanzi, per avergli lasciato


4 trasportare le valigie e il resto. Egli sorrise e mi confidò la sua felicità di poter talvolta portare valigie per ragazzi impertinenti come me. Adoperò anzi un'immagine che mi piacque enormemente e mi commosse. «Portare le valigie come un asinello», disse esattamente. E mi confessò: «La mia vera vocazione, è un segreto che voglio rivelarti, sarebbe poter vivere come un autentico asino di Dio, come un autentico asino della Divina Provvidenza». L'altro studente che veniva con noi pure a San Remo, si era intanto addormentato. «Non hai sonno?», mi chiese don Orione, «oh, no», lo assicurai. Cosi ebbe inizio fra noi un dialogo che, salvo qualche breve pausa al sopraggiungere d'altri viaggiatori, durò l'intera notte. Benché don Orione fosse allora già inoltrato nella quarantina ed io un ragazzo di sedici anni, a un certo momento mi avvidi di un fatto straordinario: era scomparsa fra noi ogni differenza di età. (...) Sentivo un piacere infinito a udirlo parlare in quel modo: provavo una pace e una serenità nuove. Decisi allora tra me che l'indomani avrei preso nota d’ogni parola scambiata. Il treno correva lungo la costa tirrenica. Udivo nel buio della notte il fragore per me nuovo del mare, nomi nuovi di stazioni. Mi sembrava di andare alla scoperta del mondo, «Non sei stanco?», mi chiese don Orione a un certo momento. «Non vuoi cercare di dormire?». «Vorrei che questo viaggio non finisse mai», riuscii a balbettare. Ciò che di lui, nel ricordo, mi è rimasto più impresso, era la pacata tenerezza dello sguardo. La luce dei suoi occhi aveva la bontà e la chiaroveggenza che si ritrova talvolta in certe vecchie contadine, in certe nonne, che nella vita hanno pazientemente sofferto ogni sorta di triboli e perciò sanno o indovinano le pene più segrete. In certi momenti avevo proprio l'impressione che egli vedessi in me più distintamente di me: ma non era un'impressione sgradevole.


5 Un paio di volte egli interruppe la conversazione, come per aprire una parentesi. «Ricordati di questo», mi disse a un certo momento. «Dio non è solo in chiesa. Nell'avvenire non ti mancheranno momenti di disperazione. Anche se ti crederai solo e abbandonato, non lo sarai. Non dimenticarlo».”3 *** Al collegio San Prospero di Reggio Calabria il futuro scrittore sì trovò benissimo. C'erano pochi ragazzi, e 1ui godeva di una libertà assoluta. Continuò a frequentare le scuole nel liceo di quella città, ma poi fuggi anche di là. Don Orione tentò in tutti i modi di rintracciarlo senza riuscirvi. Sotto le feste di Natale del 1919 Secondino era a Roma in cerca di un impiego. Trascorreva le notti al Colosseo, avvolto in un mantello, mangiava quando poteva, e spesso si rifugiava nella basilica di San Pietro, nella quale poteva godere di un certo tepore. 1l giorno di Natale, per dimenticare la tristezza, decise di mangiare in trattoria. Ordinò quanto pensava di poter pagare, ma all'arrivo del conto si accorse di aver sbagliato i calcoli. Si scusò col proprietario, promettendo che sarebbe tornato a pagare il giorno dopo, ma il padrone minacciò di chiamare la polizia. Secondino offrì in pegno la sua giacca, aggiungendovi mantello e cappello. "il giovane uscì. Il freddo era tremendo. A chi rivolgersi? Si trovava in piazza Rusticucci. A pochi passi, di fronte a lui, c'era la chiesa di Sant'Anna e lui sapeva che vi officiavano anche i sacerdoti di don Orione. Non aveva scelta. Il portinaio lo accolse bruscamente. "Si don Orione è qui, ma deve riposare perché è molto stanco", disse riaccompagnando il giovane verso l'uscita. "Se sapesse che sono qui, forse mi riceverebbe", disse timidamente Secondino. In quel preciso istante sulle scale

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"Uscita di sicurezza" ,Ed. Vallecchi, Firenze,1965, p.25-42.


6 vide un prete che riconobbe subito. Sorridendo don Orione disse: "Eccomi qua. Vieni, figliolo". Don Orione intuì l'angoscia di quel ragazzo scarno e infreddolito. Gli infilò in tasca tutto il denaro che aveva, lo abbracciò e gli disse: 'Io ti aspetto sempre". Pochi minuti dopo Secondino era alla trattoria e pagava il conto. "Sembra che fin da allora Secondino Tranquilli avesse ripudiato la religione per dedicarsi completamente al socialismo. Nel 1921, con Granisci e Togliatti, prese parte alla fondazione del partito comunista italiano. Con l'arrivo dei fascisti al potere fu costretto a rifugiarsi nella clandestinità. Scappò in Svizzera, ma spesso scendeva di nascosto in Italia per continuare la propaganda comunista. Il partito si serviva di lui per incarichi di fiducia da svolgere anche in Francia, in Germania, in Spagna. Nel '23 fu arrestato a Barcellona e dovette scontare un Periodo di carcere. Nel '27 prese parte, con Togliatti, a una riunione dell'Internazionale comunista a Mosca, dove si oppose a Stalin. Accortosi che la sua vita era in pericolo, riparò in Svizzera. "Continuò la sua attività politica. Spesso raggiungeva clandestinamente Milano dove più volte incontrò don Orione. Una volta don Orione gli salvò la vita. "Dovevamo vederci alla Stazione centrale", mi raccontò lo stesso don Orione. "Mi accorsi che Secondino era pedinato da poliziotti in borghese. Mi misi al suo fianco e gli raccomandai di comportarsi come se niente fosse. Cambiavo continuamente posizione, per evitare che i poliziotti lo identificassero sicuramente e lo bloccassero. Erano autorizzati a sparare a vista se avesse tentato la fuga. 1 poliziotti, pur avendo dei sospetti, si tennero a una certa distanza vedendo che conversava tranquillamente con me. Riuscii a farlo salire su un treno diretto al confine" ***


7 Primo maggio, festa dei lavoratori: Tortona è particolarmente in agitazione. Tanti uomini sono in guerra, le famiglie vivono nella miseria, c’è un clima generale di insoddisfazione che da spazio ai sentimenti più torbidi e a progetti perversi. L’odio istillato nei cuori strumentalizzati dalle ideologie politiche è esploso contro la chiesa, i sacerdoti e in modo particolare contro il vescovo. Una fiumana con bandiere rosse, bastoni ed altre armi improvvisate, tumultuosamente da san Bernardino si dirige verso il duomo e l’episcopio. Don Orione avvalendosi del suo prestigio di sacerdote povero a servizio dei più poveri figli del popolo, calma gli animi e convince i rivoltosi a desistere dall’impresa criminale. Guerra, odio, violenza non saranno mai la base di un mondo migliore, né di una società più giusta. “E’ la carità e solo la carità che salverà il mondo!” *** Don Orione ebbe la tempra vigorosa degli uomini di volontà ma fu pieghevole a tutti i sentimenti migliori; fu un tenace non un duro, fu un ostinato sulla via del bene, mai un impenetrabile. Prete povero e sconosciuto attraversa un giorno le vie di una grande città e si ferma davanti al tetro portone delle carceri. Suona. La guardia s'affaccia dietro le sbarre di ferro. Quel prete chi è? Non è il cappellano delle carceri. Che vuole?

Ha un biglietto di libero accesso. Le porte si aprono cigolando, ai richiami sonori delle chiavi battute sulle spranghe ferrate sempre più fitte, sempre più pesanti, e avanti per scalette, corridoi, anditi oscuri. La guardia che precede con il mazzo delle chiavi si ferma a una porta, consulta il biglietto, scruta il numero della cella, apre, si scosta e cede il passo al sacerdote, richiude. Dall'interno un grido,: Il carcerato, Romolo Tranquilli4, sul quale grava la tremenda accusa dell'attentato al Re nel giorno 4

Fratello di Ignazio Silone. Sorpreso a Conio mentre tentava l'espatrio e accusato a torto come autore dell'attentato dinamitardo di Piazzale Giulio Cesare, morì a Procida il 28 ottobre 1932. Don Orione a sua difesa produsse una lettera in cui il povero giovane, Pochi giorni prima del tentativo di espatrio, esprimeva sentimenti assolutamente incompatibili con il cinismo di un


8 d'inaugurazione della Fiera di Milano, ha riconosciuto don Orione, gli si è gettato al collo, abbandonandosi sopra di lui: « Mi salvi, mi salvi! ». E lo bagna di lacrime. Anche don Orione piange. Quel che seguì non ci sarà forse mai noto. Né importa conoscerlo. Rimane l'attimo dell'incontro, quel pianto, quell'abbraccio. Era un reietto della società, peggio un colpevole. 0 forse un innocente calunniato. Nessuno che non fosse don Orione sarebbe giunto a lui, segregato, in attesa del giudizio che poteva essere di morte. L'infelice ha tentato tutte le vie. Invano. S'è ricordato di don Orione che nei giorni lontani lo aveva sottratto alle macerie e avviato a una carriera di studio e di onore. Ha intravisto in lui il suo salvatore, l’uomo capace di comprendere e di rivelare la sua innocenza, l'ha chiesto con la forza disperata di chi non vuol morire. E don Orione è accorso.

E’ un gruppo simbolico: l'infelicità umana inquadrata nell'oscuro ambiente del carcere e una gran luce di carità che la penetra, la pervade, la trasfigura.5 *** I santi sono anche furbi. Una volta, don Orione viaggiando in calesse si vide preso di mira da certi tipi sospetti. - Zitti, fa cenno uno di loro, arriva un calesse… è un buon colpo! Il sacerdote intuito il pericolo, astutamente pensa come evitarlo. Mentre quei brutti figuri aspettano minacciosi, estrae di tasca un fascio di immaginette sacre, che in distanza potevano apparire anche come banconote, e sventolandole all’aria le fa volare lungo la scarpata. Avidi si lanciano sulla… preda immaginata. E il calesse con una buona frustata al cavallo, corre verso la salvezza. attentatore. Fra l'altro, ringraziando il suo benefattore, Protestava che in caso di estrema necessità avrebbe diviso con uno Più bisognoso di lui l'ultimo pane. (Confr. « Avanti! » del 5 VIII - 1955).

5

Sparpaglione, Don Orione, Ed. Emiliana, Venezia, 1949, pag 6 ss


9 *** “Nel 1938 don Orione venne a Pavia a trovarmi all’ospedale… gli feci osservare il grido di un ragazzo, il quale emetteva delle grida continue, di giorno e di notte… sembrava la voce del pavone… Lo accompagnai da quel giovane. La mamma lo pregò di dare una santa benedizione: gli diede la benedizione richiesta, e gli mise la mano sulla testa. Non ha più gridato. La mamma attribuì la guarigione del figlio, dato spacciato dai medici, alla benedizione di don Orione.6

*** Durante la sua permanenza in America don Orione ha come aiutante e autista un certo fratel Fogliarino. Nella sua bonaria semplicità, oltre a compiere con amoroso scrupolo il suo dovere nei confronti del direttore, oltre a sfruttare per benino l’onore toccatogli per cui si sentiva davvero importante, qualche volta non era alieno dal ricavarne pure qualche piccolo beneficio materiale. Succede ad esempio, che pie signore e benefattrici, gli telefonassero nell’intento di fare qualche presente al grande don Orione, e gli domandassero se a lui piacessero torte, gelati, pasticcini…. Ma certo, rispondeva subito gentilissimo fratel Edmundo, portatene quanti ne volete… E quelle portavano, non senza un pizzico di meraviglia nel sapere che il “santo” risultasse tanto goloso… Di questi regali, ogni tanto, qualche porzione arrivava anche a tavola davanti a don Orione, ma più spesso fratel Fogliarino li dirottava in ben altra direzione… *** 6

DO IV,348


10 Per compiere il bene, don Orione diventa anche audace. Prepara una spedizione nei minimi dettagli per impedire una riunione che sotto il pretesto politico, intende lasciare funeste conseguenze nella vita e nelle abitudini dei suoi compaesani. Il compito è arduo e molto rischioso, ma i giovani incaricati sanno il fatto loro… Un po’ con le buone, e un po’ con le “meno buone”, senza far male a nessuno, riusciranno nell’intento. Ciò non toglie il timore e la preoccupazione di chi li ama e che ora vive sul ciglio della strada tra Pontecurone e Tortona, momenti di ansiosa attesa. Quando finalmente scorge tutti e tre i suoi ragazzi venire di corsa, ha un sospiro… va loro incontro e, lieto per lo scampato pericolo, li abbraccia con effusione paterna. *** l'Arcivescovo di Milano, l'Eminentissimo Cardinale Schuster, dopo aver visitato il “ Piccolo Cottolengo Milanese ”, disse al nostro Don Sterpi: Scriva a Don Orione, che, se tornerà dall'America con del denaro, non lo riconoscerò più per Don Orione! E don Orione commenta: “Quando m'è giunta la commissione, ho passato un bel quarto d'ora d’ilarità, poiché, proprio in quel momento, ero anche senza scarpe, obbligato a non poter uscire di camera. Nel ringraziare il venerato Eminentissimo, ho potuto tranquillizzarLo, dicendogli che, se dall'Italia qualche anima buona non penserà a pagarmi il viaggio, non so se e quando potrò ritornare. Inimicitiam ponam inter te et pecuniam, pare mi abbia detto il Signore”. *** Durante il viaggio di ritorno dall’Argentina uno dei viaggiatori racconta: L'ultima cena fatta a bordo, ebbe per noi che lo accompagnavamo un particolare e profondo significato. Don


11 Orione si compiacque d'invitare a tavola il cappellano del piroscafo. Don Orione si mostrò oltre il solito contento, imbalsamando la sua conversazione con straordinaria dolcezza e benevolenza. Alla fine della cena, io ebbi un pensiero strano. Presi il Cartone del menù e, per conservare un ricordo, glielo presentai, pregandolo che vi collocasse la sua firma. Don Orione, anzitutto mi chiede sorridendo che fine aveva questo mio desiderio. Glielo manifestai. Allora egli prese con sussiego il cartoncino, si mise i suoi bravi occhiali prese la penna e scrisse... Poi lesse egli stesso a chiara voce la seguente frase da lui scritta: Don Orione ha bevuto molto ed è brillo”. Pronunciò con enfasi le ultime due parole e mi consegnò il cartoncino dicendo: prendi, Daniele, quando mi volessero canonizzare, tu ti presenterai con questo e dirai e farai vedere ciò che scrisse don Orione. Come, padre, risposi, ciò che lei mi dice implica che io starò in vita fino a tanto che trattino di canonizzalo... e questo suppone due cose o che Lei sarà canonizzato molto presto o, nel caso contrario, che io vivrò molto tempo. Don Orione sorrise, abbassò la testa in segno di consentimento…” *** La signora Caterina Servetti, aveva conosciuto il Fondatore per un ... disguido postale. Era infatti giunta a lei, a Cortona, anziché a Tortona una lettera indirizzata alle opere di don Orione. Ben presto si stabilì fra Tortona e Cortona una corrente di carità, spirituale da una parte e materiale dall'altra… Don Orione, quando poteva, nei suoi viaggi faceva volentieri una sosta per andare a trovare la signora Caterina, secondo un'abitudine di squisita cortesia verso chiunque gli facesse del bene. Le aveva dato appuntamento con un telegramma: - Sosterà stasera celebrando all'alba - Orione - Era una grande grazia …poter assistere alla Messa del suo amico beneficato, di cui


12 aveva immensa stima come d'un santo e le cui opere aiutava senza parsimonia. … Tutto era predisposto per una parca cena, signorilmente servita. Ma don Orione non arrivava ... All'ansia successe la pena, come per un’amarissima delusione. Invece don Orione arrivò, ansimante e un po' curvo, passata di molto la mezzanotte. Lo accompagnava scodinzolante un bel canino che accettò le carezze della padrona di casa e poi, ad un cenno di benedizione di don Orione, si era dileguato. Era successo che, giunto tardi alla stazione ferroviaria di Camucia, si era avviato a piedi verso la casa della Servetti. Nell'oscurità aveva smarrito il sentiero … Si era rivolto a santa Margherita da Cortona, … Ed ecco, racconta don Orione, un cagnetto vispo e mobilissimo, farglisi incontro festoso e accennargli, a suo modo, di seguirlo ... Così era arrivato, seppur tardi, a destinazione. … "Oh, io ve l'assicuro - diceva commossa la Servetti - le ho viste io tutte le figure antiche e le vecchie stampe della Santa nostra (santa Margherita). Sempre ai suoi piedi gli è il canino. … quella bestiola sulla mia soglia, che don Orione ebbe a congedare col segno della santa croce, e che io lisciai dal muso alla coda, per il colore e la fattura e per la postura, gli era proprio il canino di santa Margherita"7 *** Il giorno è stato lungo, estenuante, carico di impegni e di opere di carità. Gli orfani di guerra sono aumentati, non hanno contributi, non ci sono risorse… sono soli e bisognosi di tutto. Preoccupazioni e numerosi debiti improrogabili assillano e tolgono il sonno a don Orione. Anche se è notte inoltrata, dopo una lunga preghiera alla madre della divina 7

G. Piccinini, Quel tuo cuore, don Orione, EP, 1965, passim pag.299 ss.).


13 Provvidenza, per distrarsi si avvicina allo scaffale in cerca di un buon libro, tra i tanti lasciati in eredità dal cappellano di san Rocco. Uno dei tanti scherzi della Provvidenza gli toglie paura, sonno e voglia di leggere: da un libro saltano fuori, ben piegati in un pacchetto, tanti biglietti da mille quanti sono quelli che deve consegnare urgentemente ai creditori.

*** Don Orione lotta contro il demonio che lo perseguita e lo fa soffrire continuamente. Spesso gli portano indemoniati e ossessi che nessuno riesce a liberare. Accettava di compiere l'esorcismo, e l'esito è sempre favorevole; ma dopo l'esorcismo, appare spossato. “Il peggio però, deve ancora venire, diceva, Ora il demonio se la prenderà con me e cercherà di farmela pagare”. Le persecuzioni del demonio assumevano in certe occasioni aspetti terrificanti. Nel collegio di Santa Chiara, a Tortona, per non togliere una stanza ai suoi ragazzi, dorme su una panca, nell'atrio. Spesso i confratelli vedono entrare in quell'atrio un misterioso cane nero. Lo sentono ringhiare e avventarsi contro il direttore, ma quando accorrono in suo aiuto, il cagnaccio svaniva nel nulla. Una volta il cane nero fu visto cadere dal camino della sala e anche in quell’occasione, dopo aver ringhiato minacciosamente davanti a don Orione, scompare tra lo stupore dei presenti. Una sera in camera si spegne la luce e il demonio fa sentire la musica stridente di catene e di lamenti. Don Orione, ironicamente lo invita a ripetere quel suono, facendogli capire che con il Signore non ha alcuna paura. Altre volte mentre cerca di prendere qualche ora di riposo nelle ore notturne, il demonio si diverte a far ballare il letto con grandi scossoni e strattoni.


1 CAPITOLO XXIII: I DUE TERREMOTI

Don Orione ha raccolto sei orfani su un villaggio a Monte Bove a 1300 metri d’altezza. I bambini sono quasi assiderati per il freddo e sfiniti dalla fame e dallo spavento. Li carica sull’automobili che ha a disposizione e si avvia alla volta di Avezzano. Ma il ghiaccio e la neve fanno sbandare e bloccare la macchina ai bordi della strada. Intanto si sente un ululato lontano, un altro, un altro ancora… Un branco di lupi famelici viene di corsa verso l’autovettura… - I lupi! Grida un orfano, Arrivano i lupi fa eco un altro. Ci sbraneranno. Io ho paura!… - Ma no, state tranquilli sono cani randagi. - No, no sono lupi io li conosco… - Su, su stringetevi a me tutti. Ecco, vi copro con il mio mantello, così non sentirete e non vedrete più nulla e starete più caldi. Bravi, bravi, bravi così… Ma guarda questi cagnacci che non la vogliono smettere… L’autista con sangue freddo spara alcuni colpi di rivoltella e, aiutato da don Orione, cerca di disincagliare l’automezzo, sospingendolo fin verso la discesa. I lupi intimoriti dagli spari e dalle urla desistono dall’assalto. Un colpo all’acceleratore e via verso la salvezza … *** L’anno 1908 è per don Orione un anno di grandi sofferenze e di intenso lavoro. Nel mese di maggio don Goggi lascia Roma per motivi di salute. Il 4 agosto, dopo inutili tentativi e consulti medici, more all’età di 31 anni. La Congregazione perde una delle speranze più belle. Il dolore è tanto grande che don Orione a distanza di anni scrive: “La


2 morte di don Goggi mi ha fatto una tale ferita che non si chiuderà mai più. Sia fatta la volontà di Dio” . Nel mese di ottobre è colpito da una altro grave lutto. Mamma Carolina lascia il figlio per salire al cielo. Anche i ragazzi piangono la comune madre che da tempo li accudiva con tanto amore e dedizione. “Quando morì, ricorda don Orione, le abbiamo messo il vestito di sposa, dopo 51 anni che era sposata, se l’era fatto tingere di nero e faceva ancora la sua bella figura, ed era il suo vestito più bello”. Il rapporto con il vescovo diventa sempre più difficile a causa d’incomprensioni, insinuazioni, invidie e gelosie. A volte Monsignor Bandi si dimostra molto duro, scrive lettere pesanti, anche se poi, onesto come è, ritorna sui suoi passi. Nonostante la sofferenza, l’ingiustizia che subisce, don Orione non ha mai una parola di critica, di ribellione. Obbedisce e tace. Se è costretto a parlare lo fa con la massima sincerità e carità. Il 28 dicembre uno spaventoso terremoto in 37 secondi rade al suolo le città di Reggio Calabria e Messina. Il maremoto aggiunge la sua parte. Il disastro è totale. Incendi, pioggia, vento, freddo e neve rendono più difficile l’opera di soccorso. Migliaia di persone restano sepolte vive ore e giorni interi. Don Orione, appresa la notizia dai giornali, spinto da un forte slancio di generosità e carità, decide di andare personalmente in aiuto a quella popolazione. Parte da Tortona il 4 gennaio. Il viaggio è avventuroso e lungo a causa della precarietà dei mezzi e dell’impraticabilità delle strade. Una sosta forzata a Cassano Ionio gli permette di fare visita all’amico monsignor Pietro La Fontane. L’incontro serve anche per concludere l’apertura, in città, di un’opera, da tempo desiderata e richiesta dal vescovo. In questo momento è utilissima per accogliere gli orfani del terremoto.


3 Munito di una lettera d’accompagnamento, riprende il viaggio. A Roccella il treno si arresta. Quattro ore di marcia forzata non bastano per raggiungere la prima stazione per continuare il viaggio. Dopo altri settanta lunghi chilometri, a Bova Marina il treno chiude la sua corsa. E’ ospite dei salesiani in attesa di riprendere quanto prima il viaggio. Reggio dista soli 45 chilometri… il viaggio dura la bellezza di 24 ore. Arrivato si presenta con la lettera di monsignor La Fontaine all’autorità ecclesiastica. E’ accolto come inviato dalla Provvidenza. Lo scenario che si presenta è indescrivibile: case e case crollate, lamento sui morti, pianto dei feriti, febbrile e silenzioso correre dei volontari, lento vagare senza meta precisa di tanti superstiti rimasti soli… Non c’è proprio tempo da perdere. Una sistemazione veloce in una baracca e poi subito al lavoro, senza tregua, senza risparmiarsi, notte e giorno noncurante del riposo, del cibo e della salute. Quando, qualche giorno dopo si reca a Messina, epicentro del terremoto, non trova lacrime per piangere l’immane tragedia. Accolto bene, si mette a completa disposizione del vescovo. Distribuisce viveri, consola i superstiti, prega e invita alla speranza. Aiuta allo sterro delle macerie, assiste i morenti, seppellisce i morti, organizza, provvede… Un carro ferroviario, una greppia sono più che una reggia per prendere le poche ore di indispensabile riposo. L’emergenza è a tutti i livelli, la situazione è tragica per tutte le categorie di persone, ma gli orfani, ma i bimbi soli indifesi implorano maggiore attenzione. “noi, scrive don Orione, daremo per gli orfani la vita. Ogni fatica, ogni sacrificio più umile, più nascosto, sarà dolce, pur di riuscire a fare di noi un olocausto per gli orfani”. Lavora così bene, così disinteressatamente che in breve tempo conquista la stima e la fiducia di tutti. Il patronato regina Elena,


4 patronato statale apertamente laico, gli propone la presidenza. Don Orione per essere libero dalle pastoie burocratiche, accetta di fare il vice presidente. Il lavoro è duro, la collaborazione difficile, ma è una posizione quanto mai vantaggiosa per proteggere i diritti e il bene degli orfani contro ogni tipo di sfruttamento. La sua presenza di cristiano e sacerdote onesto, serio e impegnato fa bene anche ai membri del comitato. E’ dinamico, non riferma un momento. Trasporta a spalle i morti. Trascina, comunica entusiasmo ed emulazione tra i giovani sacerdoti, mentre lascia perplessi alcuni anziani che non riescono a conciliare la dignità, il decoro sacerdotale, con quel tipo d’attività. Il papa preoccupato della sua salute, il 15 maggio 1909, gli comunica: “ non lavori sopra le sue forze. Si ricordi ce anche la salute è dono di Dio a noi affidato in amministrazione. E’ un patrimonio che non bisogna sciupare, ma usare con le dovute cautele, per ricavarne la maggiore somma di bene”. Il bene è scomodo e sempre scatena forti reazioni in coloro che non si vogliono impegnare, e gelosie, invidie ed altri sentimenti indegni nei mediocri ed incapaci. Non meraviglia dunque che don Orione presto si trovi in un mare di guai volutamente creati dalla cattiveria e dalla mediocrità. E’ disposta a tirarsi anche indietro, a lasciare il posto, ma non è questo il pensiero del papa che anzi, il 16 giugno dello stesso anno, lo nomina vicario generale di Messina. I rancori le calunnie diventano sempre più pesanti e sfacciate. Al punto che “qualcuno, scrive don Sparpaglione, dopo tutta serie di colpi vibrati con lingua velenosa contro la sua persona, che era specchio d'illibato candore, di ardimenti nella volontà, d’immolazione continua, di fedeltà al dovere, ricorsero anche all'attentato il più vile, il più satanico”.


5 Con la complicità di un barbiere, presso il quale don Orione andava a radersi la barba, gli inocularono il virus della sifilide. L’infezione scoppiò violenta e i nemici divulgano la notizia creando uno scandalo incredibile. L’infezione in otto giorni scompare. La notizia arriva in Vaticano, parte un’inchiesta e il papa conferma tutta la sua fiducia in don Orione. “E’ un martire” confida a Monsignor Cribellati andato in udienza da lui, e conclude: « Portate a don Orione la mia benedizione e ditegli che abbia pazienza, pazienza, pazienza, che con la pazienza si fanno i miracoli ». Ma il dolore che don Orione sperimenta, gli rimane nell’animo per l’intera vita. Anche quando il barbiere confessa i retroscena dell’azione criminosa e fa i nomi dei mandanti. A chi gli chiede se vuole conoscere i colpevoli, don Orione risponde: “li ho già perdonati”. E con eroica obbedienza continua il suo servizio alla diocesi. Maria Madre della Consolazione è la sola che può lenire la sua e le molte sofferenze di un popolo duramente provato dal terremoto. Solo lei può asciugare le lacrime di chi piange e riportare nei cuori spezzati dal dolore la speranza. Don Orione scrive al segretario del papa: “codesti miei figli di sant’Anna (la parrocchia in Vaticano) porteranno un quadro della Consolata1 identico a quello che è nel santuario di Torino, un bel quadro dono del canonico Alamanno, nipote del Cafasso… Desidererei che il santo Padre si degnasse benedirlo…”. Contemporaneamente scrive al Papa manifestando il vivo desiderio di innalzare a Messina una “chiesuola”, dove si continui a pregare in modo particolare per i morti del terremoto. “questa chiesa la fabbricherei poco alla

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Il quadro, durante la guerra, venne salvato e custodito da Monsignor Cribellati. Nel 1945 è di nuovo nelle mani dei figli di don Orione tornati a Messina per un’opera di carità. Dal 1960 troneggia nella nuova splendida chiesa.


6 volta, con l’aiuto che mi darà la divina Provvidenza, alla quale è particolarmente consacrata la nostra umile Congregazione”. Con l’approvazione e la benedizione del papa e del vescovo locale, acquista il terreno e superate alcune difficoltà burocratiche inizia i lavori. Il 4 novembre 1909 la chiesa viene solennemente inaugurata, e la canonica diventa il quartiere generale della carità di don Orione. La Madonna pregata e invocata a Messina, veglia anche sui figli lontani… Un giorno mentre don Orione è in viaggio fa un terribile sogno: “mi vidi davanti alla Madonna santissima del buon Consiglio, e ai piedi della Madonna vi erano delle piramidi bianche, piccole come di marmo. Quando un lato della cornice del quadro si staccò dall’alto in basso, dalla parte sinistra, e incominciò a battere furiosamente su quelle piccole piramidi spezzandone parecchie e infrangendole… Io capii nel sogno che si trattava dei nostri… e supplicai la santissima Vergine con cuore umiliato e pentito, e il martello cessò. Ora questo è cominciato a Tortona proprio ai piedi della santissima Vergine del buon Consiglio, in quella casetta2 che costa tanti sacrifici…”. E’ dolore dover allontanare alcuni ragazzi per cattiva condotta, ma è grazia straordinaria di Maria preservare dal male tanti altri. A distanza di qualche anno, il 13 gennaio 1915, il terremoto distrugge Avezzano. La Marsica piange la morte di trentaduemila suoi figli. Anche in questa parte d’Italia, neve e gelo rallentano enormemente i soccorsi. Il 14 gennaio arriva con parecchie

E’ la casa dietro alla Casa Madre, detto Probandato, che inizialmente doveva servire per il personale femminile a servizio della comunità del Paterno, diventa poi la sede degli aspiranti al sacerdozio. E’ di questi che la Madonna si prende cura in modo particolarissimo. 2


7 macchine il re Vittorio Emanuele III. Il giorno dopo arriva da Roma don Orione animato da fervente spirito di carità. Resosi conto della gravità della situazione pone il quartiere generale in Piazza Torlonia. Una sola tenda è ufficio, cappella, pronto soccorso, rifugio soprattutto degli orfani. Sono più di cinquemila i bambini senza famiglia, un esercito bisognoso di tutto e per il quale don Orione si dedica senza riserve. E’ proprio ad Avezzano che viene chiamato, a ragione, “padre degli orfani”. “Chiedo, racconta l’ex funzionario del ministero degli Interni - Dov'è don Orione? - Mi indicano un vasto tendone. MI avvicino. Vagiti di bimbi. Entro. Don Orione è li. Non vedo gli altri; vedo lui. Seduto su di uno sgabello; in ciascun braccio sostiene un bimbetto; li ballonzola sulle ginocchia, li acquieta con la ninna-nanna e chiede i biberon; chiede, insiste: 'Datemi i biberon! Questi è dunque don Orione. Un piccolo prete striminzito; una tonaca frusta e impillaccherata; e due piedoni grossi cosi, in scarpacce ingobbite e scalcagnate. Ma, quella sua testa piegata sul collo magro, e quegli occhi - gli occhi di don Orione che ti guardano tristi e mansueti! Si, don Orione, fu a quel primo vederti che mi divenisti caro". “Una di quelle mattine grigie e gelide, dopo una notte insonne, racconta Ignazio Silone, assistei ad una scena assai strana. Un piccolo prete sporco e malandato con la barba di una decina di giorni, si 'aggirava tra le macerie, attorniato da un a schiera di bambini e ragazzi rimasti senza famiglia. Invano il piccolo prete chiedeva se vi fosse un - qualsiasi mezzo di trasporto per portare quei ragazzi a Roma. La ferrovia era stata interrotta dal terremoto, altri veicoli non vi erano per un viaggio cosi lungo. In quel mentre arrivarono e si fermarono cinque o sei automobili. Era il re, col suo seguito, che visitava i comuni devastati. Appena gli illustri personaggi scesero dalle loro macchine e si allontanarono, il piccolo prete, senza


8 chiedere il permesso, cominciò a caricare sopra una di esse i bambini da lui raccolti. Ma, com’era prevedibile, i carabinieri rimasti a custodire le macchine, vi si opposero; e poiché il prete insisteva, ne nacque una vivace colluttazione, al punto da richiamare l'attenzione dello stesso sovrano. Affatto intimidito, il prete si fece allora avanti, e col cappello in mano, chiese al re di lasciargli per un po' di tempo la libera disposizione di una di quelle macchine, in modo da poter trasportare gli. orfani a Roma, o almeno alla stazione più prossima ancora in attività. Date le circostanze, il re non poteva non acconsentire. Assieme ad altri, anch'io osservai, con sorpresa e ammirazione, tutta la scena. Appena il piccolo prete col suo carico di ragazzi si fu allontanato, chiesi attorno a me: «Chi è quell'uomo straordinario? ». Una vecchia, che gli aveva affidato il suo nipotino, mi rispose: « Un certo don Orione, un prete piuttosto strano ». Anche il giornale “Popolo Marso” ricorda il fatto: “Non abbiamo parole per encomiare l'opera umanitaria e caritatevole di don Orione. Ottenuto di poter raccogliere orfani, è volato con l'automobile in tutti i luoghi devastati. L'abbiamo visto con la gioia sul volto sollecito per quei piccoli bimbi. dar loro dei gianduiotti, dei dolci, rivestirli con abiti nuovi, accompagnarli alla stazione e metterli in mani sicure". Il bollettino della Piccola Opera, riporta la testimonianza di monsignor Bianchi e del guanelliano don Bacciarini che “lo trovarono tutto inzuppato e molle d'acqua da capo a piedi. Sotto il cappello teneva un giornale piegato e altra carta tutta fradicia per proteggersi in qualche modo dall'umidità. In tale stato rimase tre giorni. E avrebbe continuato se quei buoni sacerdoti non si fossero incaricati di portargli un cambio e di ristorarlo".


9 In questo contesto di generosità e d’eroismo si moltiplicano gesti e avvenimenti straordinari nella loro bella semplicità, come quello riportato all’inizio del capitolo. Eccone alcuni. "Una volta confessa don Orione, credetti proprio di morire". Si trova in alta montagna dopo una faticosissima giornata di cammino e di ricerche di superstiti. Sfinito dalla fatica e dal digiuno s'abbandona stremato sul ciglio della strada in un remissivo e totale abbandono in Dio. "Una grande pena provai allora - raccontava - di fronte alla morte. Non mi dispiaceva perdere la vita là sul campo della carità, ma mi tormentava il pensiero che il mio povero corpo sarebbe stato in balla dei lupi, ed i miei figliuoli non avrebbero avuto il conforto di pregare sulla mia tomba…” Una voce viene dalle macerie: “aiuto, ho paura!” Il bambino continua a ragionare: “Ma che cosa è successo? Dove sono? Ora ricordo: il terremoto. Sono in un angolo contro il muro… si mi è caduta la porta addosso. Meno male che non mi ha schiacciato. Però la spalla mi fa tanto male… Devo uscire di qui, ritrovare babbo e mamma, ma come fare? Oh, lassù c’è un raggio di luce, ci sarà una apertura… Si avvia verso la luce e si mette nuovamente a gridare: “aiuto, aiuto, aiutatemi ad uscire!”. Una voce amica risponde: “aspetta, non muoverti, cerco di liberare l’apertura…” - Ecco, afferrati alla mia mano, vieni! - Grazie, signore… ma voi siete un prete! -Coraggio piccolo, come ti chiami? Dove sono i tuoi genitori? -Mi chiamo Piccinini Gaetano… il babbo… la mamma… non so, forse sono la sotto… - Ora vedremo, figliuolo, cercheremo di liberarli… Ma tu vieni con me in un posto sicuro -Dove? -Per ora nella mia baracca… e se farai il bravo… a Roma - A Roma? E come andremo a Roma? A piedi?


10 - C’è il treno, ti piace il treno? - Non sono mai stato in treno… deve essere bello! - Andiamo, salta in braccio che ti porto io - Siete davvero buono…3 Ad Avezzano esercita l’apostolato sacerdotale in modo anche eroico. Racconta un’infermiera di Reggio Emilia, Giuseppina Valbonesi, che un commissario di polizia, massone dichiarato, giunto in fin di vita, le confida il desiderio di ricevere i sacramenti, ma è sotto controllo dei compagni perché nella sua camera e presso il suo letto non si avvicini alcun prete. L'infermiera ricorre a don Orione. Con lui studia uno stratagemma Poiché l'infermo è a pianterreno lasciò socchiusa la finestra che da nella camera. Poi attende che i compagni nella stanza attigua comincino la partita: lei stessa vi prende parte, e… assai animatamente. Don Orione, come d'accordo, penetra nella stanza dell'infermo ne ricevette l'abiura, lo confessa e comunica. Alla fine l’infermiera comunica l’accaduto ai tre che nell'altra stanza l'aspettano per finire la partita. Si può immaginare la reazione di costoro… Il giorno dopo don Orione scrive a don Sterpi:"Ho ricevuto l'abiura di un massone. Ho anche portato a casa il grembiule ed altri simboli gravi. Ve li manderò, perché li mettiate ai piedi della Madonna". Don Contardi, riferendosi a questa conversione,aggiunge: "Era un delegato di pubblica sicurezza. Egli disse a don Orione: - Io sono stato mandato qui ai suoi ordini, ma con l'incarico della massoneria di ostacolare ... Ora, don Orione. mi comandi. Le dico la verità: io non sono dei vostri: sono venuto per farvi tutto il male possibile; però ogni giorno ho visto delle sorprese 3

Gaetano Piccinini andrà veramente a Roma a studiare, diventerà sacerdote della Congregazione e degno seguace di don Orione nella carità e nell’amore verso i poveri.


11 le impressioni ricevute furono favorevoli a lei:le hanno offerto il vagone di prima classe alla stazione e lei non l'ha mai voluto; lei ha dormito sulla paglia sotto la baracca.sacrificato giorno e notte, e gli 1 altri impiegati al vagone di prima classe ... Per questo sono rimasto edificato e voglio tornare alla fede di Cristo. Il 21 marzo 1915 don Orione scrive al fratello: « Non pensare a me se non per pregare, oh caro Benedetto; sai che la mia vita l'ho data a Gesù Cristo e alla santa Chiesa e agli orfani: essa deve consumarsi cosi. Qualche giorno fa ho creduto di morire sotto la pioggia e tra la neve, a dormire per terra e tutta un'acqua sotto e sopra dalla testa ai piedi, senza più niente né da cambiarmi né da sostenermi. Una sera giunsi a Tagliacozzo, al Comitato Soccorso della Gioventù Cattolica e mi tolsi un giornale che avevo messo nel cappello che era tutto un'acqua, per difendermi la testa….Don Valente otto giorni dopo trovò quel giornale e volle adoperarlo per accendere il fuoco, ma non poté accenderlo tanto la carta era ancora bagnata. Era proprio con me il Signore, ed io lo sentivo nella sua grazia... Sai, qui tutti mi vogliono bene. Ma la mia vita l'ho data al Signore e al mio prossimo e sarei tanto contento, che mi avessero portato a Tortona morto di lavoro per la fede e per fare del bene agli orfani... » Di questi giorni di dolore giunge la testimonianza di uno straniero4: “ … Nel mezzo della morte e del disordine si moveva. completamente assorto nella sventura di quei poveri, Don Orione, un umile prete, un uomo cui molti guardavano di già come un santo, sorto dagli umili e dai poveri per gli umili e per i poveri. Egli portava due bimbi, uno su ciascun braccio, e, ovunque andava, recava ordine, speranza e fede in mezzo a tutto quello scompiglio e quella disperazione. Mia figlia mi 4

Von Huegel, "Essays and addresses on the philosophy and religion"


12 disse che ciò faceva sentire a tutti che l'Amore era proprio in fondo a tutte le cose, un Amore che appunto là, per quei luoghi, si manifestava attraverso il completo affettuoso dono di sé di quell'umile Prete.” Come a Messina così ad Avezzano il bene disinteressato, la trasparenza cristallina di vita danno fastidio a molti. Il vescovo, manovrato da alcuni, è convinto che don Orione preferisca dare il suo appoggio all’iniziativa laica del Patronato, piuttosto che all’organizzazione di soccorso istituita dalla diocesi. Presto le due realtà invece di collaborare si combattono reciprocamente. Don Orione è tra due fuochi. Il papa vuole che resti nel Patronato, ma il vescovo ha già deciso: come sono stati allontanati don Guanella e le sue suore, così se ne deve andare don Orione. Dopo tanti sacrifici, tanti strapazzi e tanto bene a favore di quella popolazione, don Orione, per evitare contrasti e dissapori, pur nel pianto, lascia Avezzano. Ricordiamolo così don Orione nei luoghi del terremoto, con due bimbi in braccio a sostenere il dolore e l’innocenza del mondo. “sostenuto dalla grazia di Dio, ho evangelizzato i piccoli, gli umili, il popolo. Nel nome della divina Provvidenza ho aperto le braccia e il cuore a sani e ammalati di ogni età, di ogni religione, di ogni nazionalità. A tutti avrei voluto dare con il pane del corpo il conforto della fede e specialmente ai più sofferenti ed abbandonati”.


1 CAPITOLO XXIV: LA CARITA’ NON SERRA PORTE

“ Erano le 12, quando fui introdotto dal nostro Santo Padre Pio X, in udienza privata. …Mi sono dunque inginocchiato avanti a Lui con tutto l'amore di figlio… I1 Papa volle farmi sedere vicino, …e con molto affetto domandò notizie anche assai particolareggiate della nascente Congregazione. … si commuoveva grandemente, e s’interessava della nostra piccolezza… e, ad ogni buona notizia, sorrideva come chi ascolta cosa che gli piace, e se ne rallegra in Dio. … vedendo tanta confidenza… ho osato domandargli una grandissima grazia. E il S. Padre mi disse, sorridendo: “ Sentiamo un po' cos'è questa grandissima grazia ”. Allora …Lo pregavo, dovendo fare i voti religiosi perpetui, di degnarsi, nella Sua carità, di riceverli nelle Sue mani…. E il S. Padre mi disse subito e volentieri di sì. Lo ringraziai, e l'Udienza continuò… sul finire, dimandai quando credeva dovessi io ripassare per i santi voti. - Ma anche subito ”. Dio mio! Che momento fu mai quello! … trassi di tasca un librettino … ov'è la formula dei santi voti… Ma in quel momento sì solenne e santo, ricordai che sarebbero occorsi due …E il Papa, guardandomi dolcissimamente e con un sorriso celeste sulle labbra, mi disse: - Da testimoni faranno il mio e il tuo Angelo Custode! … Prostrato, dunque, ai Piedi del S. Padre Pio X come ai piedi stessi di Nostro Signore Gesù Cristo… ho emesso i miei voti religiosi perpetui, e una speciale e solenne promessa: un esplicito e vero giuramento di amore sino alla consumazione di me e di fedeltà eterna ai Piedi e nelle Mani del Vicario di


2 Cristo. E due Angeli facevano da testimoni, e l'Angelo stesso del nostro Santo Padre!”1 *** Il programma di don Orione è chiaro: “instaurare omnia in Cristo”, “anime, anime!”. Non ci sono dunque limitazioni di campo o d’attività: tutto ciò che serve per salvare le anime, rinnovare gli uomini e la società in Cristo, risponde perfettamente allo spirito e all’Opera di don Orione. La sete delle anime lo spinge a stringere amicizia anche con personalità immerse nel male o tormentate da dubbi e crisi di fede. Sente di voler mare tutti di un amore tenero, dolcissimo per portare tutti a Cristo: “Io non vedo che un cielo; un cielo veramente divino, perché è il cielo della salvezza e della pace vera: io non vedo che un regno di Dio, il regno della carità e del perdono dove tutta la moltitudine delle genti è eredità di Cristo e regno di Cristo”.2 Così la sua storia s’intreccia con quella d’Ernesto Bonaiuti, Romolo Murri, padre Semeria, don Brizio Casciola, il conte Gallarati Scotti, Ferrucci Lantini, lo scrittore Antonio Fogazzaro ed altri esponenti del modernismo, movimento giudicato come la “somma di tutte le eresie”. Pio X ha condannato il movimento. Si crea come “una caccia alle streghe” e spesso laici, sacerdoti e religiosi innocenti sono ingiustamente accusati e perseguitati. A tutti rimane vicino don Orione con carità e rispetto, aiutandoli a tornare, se ce ne fosse bisogno in seno alla chiesa. A Tortona ha una stanza in cui tutti i giorni raduna i sacerdoti della diocesi d’Alessandria sospettati di modernismo. Discute con loro, spesso li ferma a pranzo e quando può li aiuta 1 2

L. I,25 Nel nome della divina Provvidenza, Piemme, 1980, pag 174


3 economicamente. Appuntamenti e incontri si tengono anche a Como, Roma ed in altre città. Questo suo zelo apostolico spesso è interpretato come debolezza, cedimento all’eresia. Una parola tira l’altra, insinuazione segue ad insinuazione… e la notizia arriva a Roma: don Orione è diventato modernista! I delatori non sanno che è lo stesso Pio X che a volte chiede la mediazione a don Orione, come nel caso di Padre Semeria e di Don Brizio Casciola. Padre Semeria accetta la proposta di lavorare tra i terremotati nella speranza che don Orione gli ottenga dal papa di poter ancora predicare. Vicende successive lo portano tra gli orrori della guerra come cappellano militare. Ricoverato in una clinica svizzera, consegna nelle mani di don Orione il formulario da restituire al papa firmato. Ristabilito in salute accetta l’invito dell’amico e si dedica interamente a servizio degli orfani di guerra. Don Brizio Casciola, tanta è l’amicizia e la confidenza che diventa di “casa” in Congregazione. Un giorno don Orione lo accompagna dal papa per fare l’abiura richiesta. Pio X li accoglie con grande affetto. L’imputato recita così bene, con così tanta devozione il credo che, senza chiedere altro, il papa lo commiata dicendo: “andate, don Brizio, continuate la vostra opera”. Romolo Murri, collabora con don Orione per la rivista “La Madonna”. Bonaiuti, espulso dall’università e caduto in miseria, lo incontra regolarmente a Roma nell’Istituto di Settesale. Dopo le dimissioni di vicario generale si dedica a tempo pieno per organizzare e dare unità all’Opera in continua espansione. Ci sono case per la formazione degli aspiranti al sacerdozio e alla vita religiosa, scuole di diverso grado e specializzazione, colonie agricole, oratori, luoghi di culto,


4 cappellanie negli ospedali e nelle carceri. Tutto e sempre nel nome della carità. Monsignor Bandi ancora una volta mette in crisi don Orione e la sua Opera negandogli l’ordinazione dei chierici. Pio X che stima moltissimo don Orione, saputa la cosa, concede ai vescovi di Noto, Ventimiglia, Gerace e Alessandria di conferire gli ordini sacri ai chierici che il fondatore ritiene idonei. La Madre della divina Provvidenza fa un altro regalo a don Orione, la casa del Noviziato. I novizi con il padre maestro si trasferiscono dalla casetta di San Remo a villa Moffa (Bra – Cuneo). Villa Moffa un tempo meravigliosa villa circondata da terreni ben coltivati e colline ridenti, è in pieno stato d’abbandono quando l’8 dicembre del 1911, don Sterpi firma il contratto d’acquisto. La cifra di lire 12 mila viene raccolta mettendo insieme un prestito di Annibale di Francia, un contributo personale di Pio X e l’offerta dei fratelli Caterina e Michele Volpini. L’eremita fra Vincenzo, due aspiranti e subito dopo don Sterpi e alcuni chierici rimuovono la selva di sterpaglie, allontanano bisce ed altri animali, puliscono, imbiancano… per rendere la villa abitabile e accessibile lo spazio intorno. Alla fine d’agosto, sacerdoti e religiosi possono raccogliersi per un corso d’esercizi spirituali e una serie di conferenze tenute dal direttore. Al termine del corso don Sterpi ed altri religiosi rinnovano i voti, fanno la loro professione di fede ed emettono il giuramento d’antimodernismo come vuole Pio X. Don Orione ha iniziato con i giovani e vuole moltiplicare iniziative ed energie per loro, additando grandi ideali con coraggio ed estrema sincerità: “con Cristo tutto si edifica, tutto si rinnova”. “Non inganniamo, ché il regno di


5 Dio non si edifica con le menzogne, scrive sul bollettino della Piccola Opera: la società presente si va allontanando da Dio e dalla chiesa in modo spaventoso, così che per molti lati essa non sembra più cristiana… è il popolo che si avanza indifferente spesso, spesse volte, apertamente ostile alla legge di Dio… Ciò che ancora si può e si deve fare per ricondurre a Dio la società, è salvare i fanciulli. Essi sono la società dell’avvenire, il sole o la tempesta dell’avvenire, le speranze più belle della chiesa e della patria”. Addita come campo di lavoro da privilegiare, l’apostolato tra i giovani: “Attorno ad ogni nostra casa e dappertutto dove si trovano i Figli della Divina Provvidenza, deve tosto sorgere e fiorire l’oratorio festivo… dove tutti i giovani anche i più abbandonati e miserabili, devono sentire che l’oratorio è per essi la casa paterna, il rifugio, l’arca di salvamento, il mezzo più sicuro per diventare migliori…” A chi rinuncia a lavorare giustificandosi del grande male nel mondo, ripete: “ mi convinco sempre di più che non si semina, che non si ara mai invano Gesù Cristo nel cuore dei fanciulli e della gioventù”. Sa molto bene che “la salvezza di tutta la gioventù del mondo, più che dai collegi, che sono più o meno ospedali, si avrà dagli oratori festivi, dalla scuola erpica ancora dalla famiglia”. A lei spetta il primo ruolo dell’educazione e formazione dei giovani. Essa deve dedicare tempo e mezzi per accompagnare i figli nel cammino di crescita. Anche la scuola ha un suo ruolo importante se non è asservita alle ideologie, ma avvia verso le vette più alte del vero e del bello. Esercita la sua vera funzione nella misura in cui educa persone libere, mature e responsabili. “Non temete di appassionare troppo i giovani secolari a sentire vivo il desiderio di sapere, di studiare, di darsi alle letture, alle


6 scienze, alle arti! Cercate di dare ad essi il desiderio di formarsi uomini, di progredire, di sentirsi migliorati e sempre più istruiti, di ambire di onorare in sé Dio, che li ha creati, e di cui siamo l'immagine: di onorare la famiglia, la città nativa e la Patria, che molto aspetta dai giovani. Unite sempre questi due grandi amori: Dio e Patria, e infiammateli di essi farete dei prodigi! Non dividete mai questi due grandi sentimenti; sarà, per i giovani, una luce che durerà e si stenderà su tutta la vita”.3 La società ha urgente bisogno d’anime generose che si dedichino interamente a servizio della chiesa e della società. Lavorare per le vocazioni sacerdotali e religiose è promuovere un futuro ricco di speranze e di bene per il mondo intero. Don Orione è partito con l’intenzione di favorire le vocazioni povere e dedica per esse le sue migliori energie. “Le vocazioni al sacerdozio dei fanciulli poveri sono, dopo l’amore al papa e alla chiesa, il mio più caro ideale, il sacro amore della mia vita… Cominciai a lavorare, con la benedizione del vescovo, ma con il precipuo intendimento di aiutare dei poveri ragazzi a farsi preti”.4 Ama definirsi “il prete delle vocazioni”. Confessa: “Per le vocazioni dei fanciulli poveri quanto camminare! Ho salito tante scale: ho battuto a tante porte! E Iddio mi portava avanti come il suo straccio. Ho sofferto fame, sete e umiliazioni le più dolorose: e pur parevano biscottini di Dio ! Mi sono anche coperto di molti debiti, ma la Divina Provvidenza non mi ha mai lasciato far fallimento. E avrei a grande grazia, se Gesù volesse concedermi, per le vocazioni, di andare mendicando il pane sino all'ultimo della vita”.5

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L I,366 Scr 108, 64 5 L I,47 4


7 Sempre in questo periodo don Orione amplia l’iniziativa dei pellegrinaggi. E’ la devozione alla Madonna, è il desiderio di portare le anime a Cristo attraverso i sacramenti, ma è anche un mezzo popolare per comunicare valori religiosi e umani, per stringere conoscenze e amicizie per risvegliare l’impegno religioso e sociale dei credenti, è insomma un’occasione straordinaria di apostolato da non perdere. Li prepara con la massima cura. Nulla lascia al caso o all’improvvisazione. Si fa aiutare da persone capaci e competenti, diffonde a larga mano, stampati con istruzioni e programmi dettagliati, si avvale della stampa locale per una pubblicità a più ampio respiro. L’amore alle anime apre gli orizzonti del cuore e della vita alle dimensioni del mondo e impedisce di chiudersi nella propria terra, nella propria nazione. La prima casa dopo san Bernardino a Tortona è a Noto, ma il pensiero già corre lontano. “sento che ho bisogno, scrive a monsignor Perosi, di correre per tutta la terra e per tutti i mari e mi pare che la carità immensa di nostro Signore Gesù Cristo darà vita a tutte le terre e a tutti i mari e tutti chiameranno Gesù Cristo Signore”. Il pensiero della missione è presente già negli anni di Valdocco, nel sogno dell’oratorio, nella collaborazione con madre Michel, alla quale scrive: “sono disposto io stesso a venire in Brasile, quando fosse necessario e di gloria a Dio. Non so la lingua, ma la carità parla una lingua sola e tutte le lingue”6. C’è la richiesta del vescovo della diocesi di Marianna e la proibizione di monsignor Bandi. Il terremoto costringe ad una parentesi. Nel 1912 don Orione ravviva la fiamma missionaria nel cuore dei suoi, cogliendo l’occasione della visita di un ex allievo, entrato nel Pime e in partenza per la Cina. Scrive: 6

Scr 103,2


8 “…Oh noi felici! Felice e benedetta la casa della divina Provvidenza di Tortona da cui escono dei missionari. E chissà che qualche giorno non abbiamo ad accogliere qualche nostro martire? Il cuore veramente me lo dice. Allora sull’altare della nostra santissima madre della divina Provvidenza invece delle usuali palme di fiori, alzeremo commossi i santi reliquiari: saranno palme veramente imporporate del sangue versato per Cristo e per le anime dai missionari della Provvidenza, saranno palme gloriose de nostri eroi, dei nostri martiri. E sarà il giorno più bello della nostra vita”. Il vescovo questa volta dà la sua approvazione. Don Orione predispone tutto: sceglie i primi tre religiosi; stabilisce come campo di lavoro, secondo lo spirito dell’Opera, l’istruzione e l’educazione della gioventù più povera e abbandonata e il ministero sacerdotale e caritativo tra il più umile popolo; il cugino, aviatore e istruttore di volo a Rio De Janeiro accoglie e porta a destinazione i tre missionari… Tutto è predisposto. Manca una cosa sola: il denaro per acquistare i biglietti del viaggio! Non ci sono in casa, ma alla Provvidenza non mancano! Don Contardi deve darle una mano: - Potresti andare, gli dice, dalle sorelle Pesce che tu conosci. - Ma direttore, sono stato da poco e mi hanno dato quanto avevano. - Abbi fede e va! Don Contardi viaggia tutta la notte, ma non può dormire perché assillato dal pensiero di un viaggio inutile. Giunto a Cassano sul mattino, si presenta alle sorelle Filomena e Giuseppina Pesce, due anziane benefattrici… e con sua meraviglia ,si sente dire: - Oh, Don Enrico, sia il ben venuto, è la Divina Provvidenza che lo manda! Stavamo per scrivere a Reggio... Venga, venga; si accomodi. E mentre sta sorbendo una tazza di caffè gli raccontano quanto era loro accaduto: - Da parecchi anni avevamo prestato una grossa somma ad un nostro parente, il quale non si era più curato di restituirla … Ormai la


9 consideravamo perduta, e di comune accordo avevamo stabilito che, nel caso fosse stata ricuperata tutta o in parte, sarebbe andata in beneficenza. Ieri sera, inaspettato, il nostro parente viene e ci restituisce la somma fino all'ultimo centesimo. Discutiamo a chi destinarla… nella notte quasi in sogno, una voce ci suggerì: - Datela a don Orione che ne ha urgente bisogno... Ed ecco che viene lei !... Don Contardi ha le lacrime agli occhi. Racconta quanto era avvenuto tra lui e don Orione la sera precedente, il suggerimento di don Orione, quasi comando, di partire per Cassano e il motivo della sua improvvisa venuta. "Quando consegnai il denaro, concludeva lo stesso don Contardi, pieno di riconoscenza don Orione mi disse: - E non volevi andare!... Eh!, figliuolo, bisogna sempre aver fede e ricorrere alla Madonna; se ricorreremo sempre alla Madonna, essa non ci abbandonerà mai!..”. Ora che hanno il biglietto, i primi missionari partono da Genova il 17 dicembre 1913 e arrivano a destinazione il 2 gennaio 1914. La missione parte “alla grande”: una parrocchia, una casa, una buona estensione di terreno da lavorare, una scuola d’arte e mestieri, una colonia agricola con metodo razionale e macchinari moderni, un molino elettrico… E urgente altro personale: “… I nostri primi Missionari scrivono che essi sono pochi, che non bastano, e di mandarne altri, e che manderanno piuttosto i soldi necessari per i viaggi. La prima Casa dei Missionari fu inaugurata l'Il febbraio, festa della Apparizione della Immacolata a Lourdes, e si chiamerà, anche quella, Casa della Immacolata, come il nostro Noviziato. … La missione promette assai bene; ma ho bisogno di santi! Quante volte, nei passati giorni, io ho pensato a voialtri, o cari i miei figli! E vi ho fatti passare uno ad uno, per vedere chi poter mandare! Almeno qualcuno di voi bisognerà che lo trovi e lo mandi prestissimo,- ma ho bisogno di santi!


10 Poco m’importerebbe che siate piccoli: anzi, cosi imparereste subito la lingua e, tra due anni, potreste fare scuola di portoghese; ma ho bisogno che, chi va, porti là la santità. Chi si sente di voi?”7 In missione devono attendere fino al mese di giugno per avere un primo rinforzo. L’immane sciagura della guerra assorbe tutto l’impegno e il dispendio d’energie insieme a preoccupazioni e dolori. Quello che dice all’inizio della seconda guerra lo vive e lo sente già nella prima: “Si apre il sipario su una tragedia di cui non possiamo prevedere le dimensioni… che sarà domani del mondo, dell’Italia, della Congregazione, di noi? Noi viviamo di fede e crediamo che sopra tutti e sopra tutto c’è il Signore che guida i popoli e sorregge le nazioni, specialmente nei periodi più burrascosi della storia… Opponiamo ai cannoni i rosari e mettiamo le mani giunte al posto di quelle che impugnano le armi che uccidono. La preghiera è stata sempre la forza dei deboli e la chiesa ha vinto con essa le sue battaglie” Davanti a tanta tragedia, il cuore di Pio X, dopo ripetuti e accorati appelli caduti nel vuoto, cessa di battere. Mentre don Orione piange la morte di un padre e di un amico, riceve la notizia della gravissima malattia di monsignor Bandi. Il vescovo che ha sempre creduto e voluto bene a don Orione, anche quando, ingannato da persone malevole, prende momentaneamente qualche decisione dura, è in fin di vita a Stazzano. Don Orione accorre al suo capezzale, ma per evitare al malato emozioni troppo forti, non gli è concesso di vederlo. Il 7 settembre monsignor Bandi, che qualche tempo prima aveva onestamente riconosciuto lo spirito di fedeltà di don Orione8, lascia nel pianto la sua diocesi e la famiglia religiosa che ha aiutato a nascere e crescere.

7 8

L I,117 Comprendo, aveva detto, che da nessuno sono stato sinceramente amato e ubbidito come da te


CAPITOLO XXV: SVILUPPO PRODIGIOSO

Le suore francesi hanno chiuso a San Remo il loro studentato femminile, e messo in vendita lo stabile. Tra i possibili acquirenti ci sono i Valdesi che intendono aprire in quella città una grande scuola protestante. Don Orione, venuta a sapere la cosa, fa un giro d’ispezione: “mi recai a vedere la sopraddetta villa di Santa Clotilde e, dal cancello di strada chiuso, osservai l'artistica facciata di quell'edificio e la sua chiesetta… il mio sguardo si fermò.. con viva sorpresa, sopra una statua della Madonna Immacolata che le Suore francesi avevano collocata al di sopra di essa, con l’iscrizione “mi posero qui come custode". … e dissi alla santa immagine: 'bella guardia state facendo alla casa che vi hanno affidato, se essa sta per cadere in mano dei protestanti!... Essi il meno che potranno fare è di mettervi una corda al collo e farvi precipitare... Ed io, invece. voglio che qui si cantino le vostre lodi…” Suona, e con sorpresa si trova davanti una signora che conosce, Andreina Costa. La signora, che è in affitto, è spiacente di non avere abbastanza denaro liquido per acquistare la Villa Santa Clotilde, ma se don Orione ha intenzione di farlo, volentieri le offre una mano. Il denaro che manca è ancora tanto. Gli hanno parlato di una anziana molto religiosa, ma altrettanto avara. Dopo essersi raccomandato alla Madonna, chiede un incontro. Nulla da fare. Si sente rispondere “che, se il Signore avesse proprio voluto che lei concorresse in quella spesa, l'ispirazione avrebbe dovuto mandarla direttamente a lei...” Don Orione continua a pregare la Madonna e in più chiede aiuto alle anime del purgatorio. Dopo tre giorni di preghiera è la stessa signora che chiede di parlare: “… Mi sentii allargare il cuore… Corro ad incontrarla, …”


- Ma lei vuole la mia morte? Lei... un sacerdote!.... - Signora, non la capisco - Come non comprende?... Le pare una bella cosa andare di notte a disturbare le vecchie signore che dormono?! Io vorrei che lei Don Orione, cessasse di venire a casa mia!... - Le assicuro che non ho più messo piede in casa sua... - Reverendo, la prego, mi liberi, per carità, dal mio incubo... Io le darò le 150 mila lire che mi ha chiesto, a patto però che non venga più nella mia stanza e mi lasci riposare in pace... Conclude don Orione: “ Cominciai allora a scoprire, in tutto questo, l'intervento soprannaturale che avevo chiesto… Risi in cuor mio di questa avventura, ma promisi alla signora con giuramento, come ella aveva richiesto, di lasciarla in pace e di non andare più a disturbare i suoi sonni... Recitai ancora il mio rosario per le Anime sante del purgatorio, chiedendo a Dio ché desse il desiderato riposo alla povera anziana. Il giorno dopo essa tornò con aspetto florido e tranquillo; non sembrava quella di prima; mi portava le centocinquanta mila lire e, consegnandomele, mi disse: - Padre, io non sono preparata per fare una buona morte; ho da aggiustare certi affari imbrogliati … se poteva vivere ancora parecchi anni, mi avrebbe lasciato per testamento tutti ì suoi beni … - Signora le risposi - la vita sta nelle mani di Dio... - Ma la signora conchiuse che questo genere di ragionamenti non la interessavano: dovevo io trovare una soluzione al riguardo… dopo una breve discussione, la vecchia convenne per 7 anni di vita. La casa venne acquistata nel 1922, il giorno dell'Immacolata. La Madonna della villa Santa Clotilde stette un anno intero con una lampada votiva e la signora Giulia visse altri sette anni. Poco dopo averli passati, a quasi 90 anni d’età, morì serenamente. 1

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DOLM 1938 ss


*** A venticinque anni dalla fondazione l’Opera registra uno straordinario sviluppo che non da segni di sosta. Brevemente alcune tappe significative. 1915 accanto alla Parrocchia Ognissanti di Roma sorge la scuola san Filippo Neri; 1916 a Gerace Marina (Calabria) l’istituto per bimbi poveri ed orfani; 1918 la fondazione Celesta a Como, L’orfanatrofio di Prunella (Reggio Calabria) e una parrocchia a Carole (Venezia); 1919 l’istituto Manin e l’Istituto Artigianelli a Venezia; l’Istituto sacro Cuore a san Severino Marche; le parrocchie a Squarciarelli (Grottaferrata Roma) e san Rocco ad Alessandria. La stampa si arricchisce del foglietto settimanale “Il Vangelo”, distribuito nelle chiese della città, perché solo con la fede è possibile uscire dallo squallore materiale e morale della guerra. “più fede, scrive don Orione, fratelli, non siamo spiriti scoraggiati: abbiamo fede più fede! Che cosa manca un po' a tutti, a noi tutti, oggi, per adoprarci, nel nome di Dio e in unione con Cristo, a salvare il mondo e ad impedire che il popolo si allontani dalla Chiesa? Che cosa ci manca perché la carità, la giustizia, la verità non siano vinte, e non rientrino nel seno di Dio, maledicendo all'umanità, che avrà rifiutato di dare il suo frutto? Ci manca la fede… Più fede, fratelli ci vuole più fede! … Siamo sinceri. Perché non sempre rinnoviamo la società, perché non abbiamo sempre la forza di trascinare? Ci manca la fede, la fede calda! Viviamo poco di Dio e molto del mondo: viviamo una vita spirituale tisica, manca quella vera vita di fede e di Cristo in noi, che ha insita in sé tutta l'aspirazione della verità, e al progresso sociale; che penetra tutto e tutti, e va sino ai più umili lavoratori. Ci manca quella fede che fa


della vita un apostolato fervido in favore dei miseri e degli oppressi, com'è tutta la vita e il vangelo di Gesù Cristo”.2 E con la fede la fiducia nella Provvidenza e il coraggio del bene. Non basta togliere le ingiustizie, sciogliere le catene nel nome di Cristo. E’ necessario elevare, promuovere: ogni uomo ha la propria dignità; essa va salvaguardata e promossa: “Con Cristo tutto si eleva, tutto si nobilita. famiglia, amore di patria, ingegno, arti, scienze, industrie, progresso, organizzazione sociale”. Un servizio che va al di là d’ogni ragionamento e calcolo: “Amare l'uomo quando l'ingiuria degli anni e la degradazione del vizio ne hanno fatto un oggetto di disgusto intollerabile, e fare di tutti gli infelici una famiglia sola, questa è vera carità”. Tutto quello che offre la scienza e la tecnica può e deve essere utilizzato a servizio del bene. In questo come nel campo sociale don Orione non vuole “né presuntuosi né conigli”, vuole cristiani coraggiosi e moderni: “I tempi corrono velocemente e sono alquanto cambiati, e noi, in tutto che non tocca la dottrina, la vita cristiana e della Chiesa, dobbiamo andare e camminare alla testa dei tempi e dei popoli, e non alla coda, e non farci trascinare”. Per poter tirare e portare i popoli e la gioventù alla Chiesa e a Cristo bisogna camminare alla testa. Allora toglieremo l'abisso che si va facendo tra il popolo e Dio, tra il popolo e la Chiesa. Valerci di tutti i ritrovati della scienza per diffondere la parola di Dio e il bene. Voglio una vita che sia sempre moderna, come vuole essere la Chiesa, una vita tutta luce di carità”. La data del suo venticinquesimo d’ordinazione sacerdotale, anche se non vuole feste, riconoscimenti e 2


trascorre parte della giornata a curare uno dei suoi chierici malati, non passa inosservata. Benedetto XV gli invia un calice prezioso con uno scritto ricchissimo d’elogi per “il suo attaccamento alla chiesa, la sua carità eroica nei due terremoti. Lo incoraggia a continuare e intensificare le opere di carità fidente nella Provvidenza”. La città di Tortona lo festeggia in duomo nel mese d’ottobre. Il vescovo nel suo discorso augurale lo definisce: “vero sacerdote di Cristo, educatore sapiente, affettuoso e paterno… passò su questa terra facendo il bene, non cercando che gli infelici…”. Una sottoscrizione organizzata in quella circostanza gli permette di acquistare il palazzo Bussetti, il futuro Collegio Dante Alighieri. Il patriarca latino di Gerusalemme mette a disposizione di don Orione una tenuta lunga 25 chilometri, per avviare una colonia agricola per orfani nella valle del Sorek presso Rafat. Don Orione accetta con entusiasmo ed invia subito un sacerdote, un chierico e un eremita. Alle difficoltà di lingua, cultura, ambiente e struttura si aggiunge la difficoltà d’intesa e collaborazione. Al superiore della comunità scrive: “Permettimi di animarti e confortarti alla pazienza, giacché la pazienza ritengo sia la più grande dote di un savio superiore… Capisco che avrai molte difficoltà da superare, ma la santissima Vergine ti aiuterà”.3 Nel 1925 su invito dell’associazione Missionari italiani, inizia un’altra attività sul monte delle beatitudini, uno dei posti più suggestivi della terra di Gesù. Le difficoltà non mancano e non danno cenno di diminuire… Anche se con grande dispiacere don Orione si rende conto che non è possibile rimanere in quelle postazioni. In Italia le cose vanno certamente meglio. A Mestre, in periferia di Venezia, l’Istituto Berna raccoglie un notevole 3

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numero d’orfani. Un altro asilo per ragazzi più piccoli, intestato al cardinale La Fontane, sorge a Venezia Lido. Desideroso di offrire la possibilità di cultura a tutti i livelli e a tutti i ceti di persone, don Orione, avvia presso l’Istituto Dante Alighieri di Tortona, “L’Università popolare”. Sulla cattedra si alternano oratori famosi: Berri, Arcari, Semeria, Galbiati ed altri. Che don Orione nutra un particolare affetto per la Polonia, è fuori dubbio. “Il mio amore per la Polonia, scrive, è passato, per così dire, nel mio sangue, con l’amore al papa appresso a don Bosco …”. E non solo amore al papa e alla chiesa, ma anche amor di patria: “Quando ero all'Oratorio di Torino ci conducevano a passeggio e ci dicevano: là vive un Generale Polacco che è venuto a offrire il suo sangue per l'Italia. Io sempre, quando passavo, alzavo gli occhi a quella finestra, e alzavo il cuore al Signore e pregavo per quel Generale. Sentivo un amore particolare per lui, che aveva offerto la sua vita Per la nostra cara Italia.” Un amore che nel tempo diventa operativo: “Ho incominciato a raccogliere polacchi quando la Polonia era ancora schiava di tre imperi: i tedeschi, l’impero austro-ungarico e i Russi. Non ho aspettato ad aprire le nostre case ai Polacchi quando la Polonia era già libera!”. Un altro ricordo: “Fin dai primi tempi in cui la Congregazione piantò le sue tende a Roma - intorno al 1900 - incontrai un sacerdote polacco. padre Giuseppe Arbiecki, di santa vita. Egli mi presentò un chierico polacco e io lo accolsi e lo abbracciai come se avessi abbracciato tutta la Polonia.” Dopo un primo tentativo fallito, intorno al 1912, non sorprende la comunicazione del 1923: “Presto dovrò andare in Polonia con don Alessandro (Chwilowicz), che venne qui a prendermi, e portò una somma che si dovrà spendere in


Polonia per raccogliere orfani della guerra, e così riunire un po' di quei nostri fratelli”4 Don Orione non riesce a fare il viaggio in Polonia, ma quel suo chierico, ordinato sacerdote nel 1921 a Venezia da monsignor Cribellati, apre a Zdunska Wola un istituto con scuola e assistenza a ragazzi bisognosi. Al vescovo locale che insiste per la presenza nella sua diocesi di altri religiosi, don Orione risponde inviando un sacerdote colto e santo: “Don Marabotto, sacerdote italiano, professore del nostro istituto e gi direttore di un fiorente collegio in Italia, è giovane di 30 anni e di non molta apparenza, ma quanto più vostra eccellenza lo potrà conoscere e sperimentare, tanto più confido che se ne troverà soddisfatta per le sue ottime qualità e virtù sacerdotali. Dovunque è stato, ha fatto sempre bene, e sempre i vescovi sono stati contenti di lui, ed io da lui ebbi sempre delle consolazioni e mai nessun dispiacere”.5 Le attese non restano deluse: si moltiplicano le presenze orionine in Polonia, e don Biagio si sacrifica per i poveri fino al dono della vita: “Informato di un’epidemia di tifo a Otwoch si portò presso quei poveri vecchi ammalati. Sapeva di andare incontro alla morte, perché non vi erano medicinali: infatti contrasse il morbo…”6 Gli eremiti sono sparsi in tutta Italia prestando il loro servizio nelle varie colonie agricole. Fallito il tentativo di utilizzare l’eremo di sant’Alberto come loro sede centrale, provvisoriamente, per volere del vescovo, hanno come punto di riferimento il santuario di Montespineto. Il luogo è molto frequentato e poco si adatta alla vita di questi religiosi dediti, secondo lo spirito benedettino, alla preghiera e al lavoro.

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L I,440 Scr. 6 Testimonianze di don Batory 5


Nel giugno del 1920 la parrocchia di sant’Alberto è sede vacante. Don Orione chiede ed ottiene dal vescovo, nel gennaio successivo, di tornare lassù con i suoi eremiti e gestire la parrocchia. Nella quiete e nella pace di quei boschi torna a risuonare la lode di Dio di uomini semplici e di fede ardente. Sono eremiti vedenti… ed anche non vedenti. Il 13 maggio 1923 è nella storia di sant’Alberto, giorno veramente memorabile: Cesare Pisano, Frate Avemaria,7 il più illustre dei suoi abitanti, accompagnato da don Orione mette all’eremo. Nel marzo del 1924 benedice a Genova Marassi una casa di carità per donne anziane o malate. Secondo un uso caro a san Giuseppe Benedetto Cottolengo, don Orione pone dietro l’altare della cappella una gabbia con due canarini perché il loro cinguettio fosse una lode perenne a Gesù eucaristia. Sempre nello stesso anno, si inaugurano due istituti con la scuola per giovani orfani ed abbandonati, uno a Magreta (Modena) e l’altro a Reggio Calabria. Un accenno particolare merita il Collegio san Giorgio di Novi Ligure. “« Dopo una vita plurisecolare, l'antico collegio, dati gli ultimi guizzi, si era spento, trasformandosi in una qualunque locanda: da ultimo era poi diventato la roccaforte di correnti estremiste, che vi si erano asserragliate dentro, sostenendovi anche l'assedio di più giorni... Proprio allo scorcio dell'ultimo secolo, Don Orione, alle prime armi, era venuto a Novi, offrendo di dare una mano, perché non si spegnesse quella luce. Ma gli uomini la vollero estinta quella gloria, e risero della presunzione del piccolo 7

Cesare Pisano diventato cieco per una disgrazia da ragazzo, dopo un periodo di sofferenza e disperazione, aiutato da una suora dell’Istituto per ciechi, incontra don Orione, diventa eremita e muore nel 1964 in concetto di santità. Contento della sua povertà e nella sua disgrazia, ringrazia Dio che attraverso la cecità fisica gli ha dato una luce splendidissima. E per tutto questo si dichiara felice: Tutti sanno molte cose, ed io so una cosa sola: so, soltanto di essere felice! Tutti posseggono più oggetti: io invece non posseggo che una cosa: la vera felicità". Il papa lo ha dichiarato venerabile insieme a Padre Pio


prete. Venticinque anni appresso, invece, furono proprio essi o, meglio, i loro continuatori - davvero saggi, comprensivi e volonterosi - ad invitarlo. Non che tutte le difficoltà fossero appianate : c'erano varie correnti in quel comunale consesso: non poche voci erano sfavorevoli. Si trattava di metterle d'accordo: ardita impresa, tanto che è promesso addirittura Iddio, ove siano due o tre consenzienti nel nome Suo. Ecco perché tante volte Don Orione dovette pellegrinare a Novi, entrare in trattative ed accostare l'uno o l'altro. Finché un giorno, come Dio volle, li ebbe tutti d'accordo... » All'atto erano presenti, col Sindaco, gli assessori all’istruzione e quello dei lavori pubblici adunati nella grande sala del Comune. Sì tratta di abbozzare il compromesso e firmarlo, ed assumere un impegno di vita per un rudere, glorioso quanto si vuole, ma rudere, senza anima... Il momento è solenne. Don Orione si alza, chiede venia: - Sono un povero prete, dice, sono uno straccio di Dio; nulla so fare senza il suo aiuto. Permettete che invochi la Madonna, la vostra Lacrimosa. Invochiamola insieme, prima di firmare, la vostra Patrona: i vostri vecchi le misero in mano le chiavi, le chiavi d'argento della vostra Città… E così dicendo si alza e, sotto gli occhi di tutti, si segna: e quelli suggestionati, si alzano e si segnano ; e poi, buttandosi in ginocchio e reclinando il capo sull'avambraccio destro appoggiato al tavolo, intona l'Ave Maria, e quelli, conquisi, lo assecondano. - Ecco, così va bene, - soggiunge poi impugnando la penna -, ora sì che firmo sicuro!... »,` Nell'appello successivo rivolto ai Novesi, Don Orione diceva: « Il Collegio San Giorgio, che ebbe secoli di tradizioni gloriose e di benemerenze nel campo dell'educazione religiosa, civile e patriottica della gioventù, rinasce dopo laboriose vicende nel Nome di Dio e nel nome d'Italia. E riprende il cammino dei


tempi suoi più belli, guardando fidente a Colei che tutti i Novesi invocano”8 Su invito dell’associazione missionari italiani, don Orione accetta nell’isola di Rodi l’istituto dell’ordine di Malta con la scuola elementare e la scuola agraria per ragazzi di lingua italiana. Poi non sono più solo italiani, ma ragazzi bisognosi di ogni nazionalità.9 L’anno successivo, sempre a Rodi, ad Acandia, sono accolti i ragazzi armeni vittime della persecuzione turca. Il profondo desiderio di fare del bene a tutti, la passione per le anime suggerisce sempre nuove e più coraggiose aperture. E se gli impegni sembrano sproporzionati al numero e alle forze, don Orione invita a continuare con coraggio e fiducia: “Lavoro, lavoro, lavoro! Noi siamo i figli della fede e del lavoro. E dobbiamo amare ed essere gli apostoli del lavoro e della fede10 … Bisogna fare, bisogna fare bene, bisogna fare di più, molto, ma molto di più!11 … Faticare, faticare, faticare bisogna, per l'amore di Dio e sull'esempio di Nostro Signore Gesù Cristo. … Noi, o cari miei figli, dobbiamo essere grandi lavoratori: i lavoratori dell'umiltà, della fede della carità! Grandi lavoratori delle anime: grandi lavoratori della Chiesa di Gesù Cristo nostro Dio e Salvatore! Ma che dico lavoratori? E’ poco, troppo poco! Dobbiamo essere i facchini di Dio. Chi non vuole essere e non è facchino della Provvidenza di Dio, è un disertore della nostra bandiera”.12

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DOLM 71ss. Vicende politiche dolorose ci costringeranno, nel 1949, ad abbandonare il campo di lavoro costato tante fatiche e sudori. 10 L I,251 11 L II,72 12 L I,470 9


CAPITOLO XXVI: SOCIALISMO E SOCIALISMO

18 gennaio 1919: un “proclama rivoluzionario” in nome del Vangelo. “...Proletariato della risaia, in piedi! Un orizzonte nuovo si schiude, una coscienza sociale nuova si va elaborando alla luce di quella civiltà cristiana, progressiva sempre, che è fiore di Vangelo. Lavoratori e lavoratrici della risaia, nel nome di Cristo, che è nato povero, vissuto povero, morto povero: che tra i poveri visse, che lavorò come voi, amando i poveri e quelli che lavoravano: nel nome di Cristo, è suonata l'ora della vostra riscossa. Il vostro lavoro deve essere adatto e limitato alle vostre forze e al vostro sesso: la vostra paga deve essere proporzionata ai vostri sudori e al vostro bisogno: le vostre condizioni devono essere meno disagiate; più umane, più cristiane. E il diritto, il vostro diritto. Noi cattolici, come tali e come cittadini, ingaggeremo quest'anno la battaglia per le otto ore in risaia. Non lasciatevi sfruttare dal caporalato; non lasciatevi intimidire dalle minacce dei padroni; non prestatevi a certe manovre, che riescono sempre a danno vostro. E, occorrendo, legalmente, sì, ma insorgete! Unitevi contro i crumiri, e attenti a voi a non lasciarvi ingannare da un orario di lavoro oltre le otto ore. Unitevi tutti e siate solidali! Se tutti i paesi della diocesi che danno lavoratori alla risaia saranno collegati da una fitta, solida e cristiana rete d’organizzazione risaiola, noi vi condurremo a certa vittoria. Per le vostre rivendicazioni, per l'intima giustizia della vostra santa causa, non ci daremo pace.


No! non daremo pace né dì né notte agli sfruttatori della povera gente, che se ne va a sacrificarsi nelle marcite della risaia e nella malaria, forzatamente lontana dalla famiglia, per guadagnarsi un pezzo di pane. Ma sfruttatori non sono sempre né soltanto i padroni; i padroni sono quel che sono: ve n'è di cattivi e ve n'è di buoni; sfruttatori indegni però sono anche e sono sempre quelli che, per loro loschi disegni, abusano perfidamente di voi: che vi offrono un pane, ma vi avvelenano l'anima: che vi predicano l'odio, e vi strappano la fede, che è il grande conforto della vita presente e la base della vita futura. Lavoratori e lavoratrici delle risaie,... non fidatevi di chi non ha religione; chi non ha religione non avrà coscienza: non ve ne fidate mai. Benedetti da Dio e dalla Chiesa, lavoreremo per voi, o fratelli e vinceremo con voi. Troverete lavoro tutti, avrete tutti paga rispondente: assistenza morale e religiosa; riposo festivo; tutela dei diritti inerenti al lavoro (tariffe, orari, applicazione della legislazione sanitaria); dignità di alloggiamenti. Vi difenderemo in tutto ciò che è giusto; realizzeremo le vostre legittime aspirazioni, e, valendoci delle apposite leggi, vigileremo, assisteremo, affrancheremo. «L'unione fa la forza»! Ogni catena che toglie la libertà di figli di Dio, si deve spezzare; ogni schiavitù si deve abolire: ogni servaggio deve finire, e finire per sempre. Ogni sfruttamento di un uomo su uomo deve essere soppresso, nel nome di Cristo. La divina virtù di questo nome, e la vostra onorata condotta di lavoratori cristiani, come vi porteranno all'adempimento di ogni dovere, così vi daranno la rivendicazione di ogni diritto. Proletariato della risaia, in piedi! Apri gli occhi e vedi l'aurora smagliante che sorge: essa è per te, è la tua giornata!


Avanti, o proletariato, avanti portando con te le grandi forze morali della tua fede e del tuo lavoro; un'era si apre: è il mondo che si rinnova! Il Signore Iddio è con te: cammina alla luce di Dio, e nessuno potrà più arrestare la tua marcia trionfale. Pel tuo interesse, per la tua dignità, per la tua anima! Proletariato della risaia, in piedi e avanti!”1 *** Il mondo cambia e la trasformazione è veloce e irreversibile: c’è chi sopporta, chi si adegua supinamente, chi demonizza, chi rifiuta, chi pretende di fermare la storia e chi, come don Orione, è sempre presente e cristianamente propositivo, là dove si orienta la società e il mondo operaio e giovanile. “Un tempo bastava erigere chiese e ospedali, oggi occorre far questo ed altro: è necessario aprire scuole, officine, oratori festivi per la gioventù, colonie agricole per gli orfani contadini, impiantare tipografie, diffondere la buona stampa, sostenere con generosità e coraggio le buone istituzioni con la parola e con l’opera”.2 Anche l’impegno spirituale va vissuto a più ampio respiro: “Dobbiamo essere santi, ma farci tali santi che la nostra santità non appartenga solo al culto dei fedeli, né sia solo nella chiesa, ma trascenda e getti nella società tanto splendore di luce, da essere più che i santi della chiesa, i santi del popolo e della salute sociale. Dobbiamo essere una profondissima vena di spiritualità mistica, che pervada tutti gli strati sociali: spiriti contemplativi e attivi, servi di Cristo e dei poveri: grandi anime e cuori magnanimi, forti e libere coscienze cristiane”3. 1

Nel nome della divina Provvidenza, Piemme, 1980, pag 45 ss Bollettino Mad. Guardia 27.5.1934 3 L II,161 2


E’ giunta l’ora che i cristiani riprendano coraggio e si inseriscano attivamente in tutte le realtà sociali. “Facciamoci apostoli! Vi è il giornale cattivo, vi sono ritrovi cattivi, scuole cattive? E noi penetriamo dappertutto col giornale buono, con la parola buona, con le opere d’assistenza morale (associazioni, circoli, scuole, ricreatori festivi, ecc.). Vi sono leghe cattive? E noi piantiamo le leghe buone, d’uomini e di donne. Lavoriamo e preghiamo! Facciamoci apostoli di bene, di fede, di carità … Nessuno si rinchiuda nella sua casa, nessuno si contenti di guardare dalla finestra, col naso ai vetri, chi corre a capofitto alla rovina: sarebbe crudeltà, sarebbe egoismo… Lavoriamo a salvare, a salvare tutti, Facciamoci apostoli! Facciamoci apostoli!"4 Con l’esempio e la parola esorta i suoi figli ad essere “facchini di Dio”, “facchini della divina Provvidenza”. E’ onore e vanto che i suoi chierici siano manovali, muratori, elettricisti, falegnami… nella costruzione dei Santuari di Tortona di Fumo, del liceo di Villa Moffa e di tanti altri istituti. Quest’esperienza lavorativa prepara sacerdoti e religiosi capaci di organizzare con competenza scuole di arti e mestieri. Durante la guerra don Orione ha dato ospitalità nelle sue case di Tortona, ai profughi della laguna veneta e agli anziani dell’ospizio Giustiniani. Terminata la guerra, il patriarca di Venezia, La Fontane, riconoscente, offre a don Orione la direzione di due istituti prestigiosi che attraversano un grave periodo di crisi e di decadenza. Don Sterpi, responsabile della tipografia san Giuseppe, è l’uomo giusto per avviare negli Istituti S. Girolamo Emiliani e Manin, due scuole professionali ed una casa editrice. Don Sterpi presa visione dell’insieme, scrive al direttore “il campo di lavoro è meraviglioso, i giovani sono molti e 4

La Valle Staffora di Cegni, 15.5.1919


poveri, ma per dar loro una vera formazione professionale, oltre che umana e religiosa, è necessario ammodernare le macchine e disporre di personale idoneo. Con un po’ di soldi i macchinari si sistemano, ma il personale… A fatica riesce a mandare in aiuto don Carlo Pensa. Il giornale umoristico “Sior Tonin Bonagrassia”, lo presenta in questa maniera: “I ne conta che un padre armeno, core tuto el zorno so e zo per la cità in ponta di piè”5. E così a Venezia i figli di don Orione sono chiamati “i preti che corrono”. L’incarnazione di Gesù è un messaggio inequivocabile, di come siamo chiamati a vivere il nostro rapporto cono Dio: non è possibile amare Dio senza amare l’uomo e promuovere in ogni settore del vivere sociale la giustizia e la pace. Don Orione ha nel sangue questa convinzione e fin da chierico prende parte alle riunioni delle varie associazioni e movimenti cattolici. L’insegnamento del grande papa Leone XIII e di monsignor Bandi lo trova in piena sintonia: guardare in faccia la realtà ed orientarla sul giusto cammino: “La democrazia avanza con nuovi bisogni e nuovi pericoli, non impauriamocene però, o amici miei; ma siamo, per carità, gente di fede larga e larga di nuovi aiuti, se vogliamo essere davvero la gente del tempo nostro: la democrazia avanza, accogliamola amichevolmente, incanaliamola nel suo alveo, cristianizzandola nelle sue fonti, che sono i giovani, e provvederemo ad un grande bisogno sociale dell’ora presente e faremo opera di redenzione sociale e civile6. A questo impegno sono chiamati tutti i credenti: “Bisogna che tutti i cattolici sentano il bisogno e il dovere di unirsi, … e promuovano febbrilmente la costituzione e lo sviluppo di

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ci viene detto che un padre armeno (don Pensa aveva una lunga barba) corre tutto il giorno su e già per la città in punta di piedi…) 6 Scr. 18.1.1905


quegli organismi che riguardano la vita sociale e morale della Nazione del popolo.”7 Il lavoro è tra i diritti dovere fondamentali dell’uomo, anche perché permette quanto è necessario per vivere secondo dignità e libertà. E’ dunque opera altamente umana e cristiana creare posti di lavoro con la giusta retribuzione. E’ l’esempio di don Orione che non solo prepara al mondo del lavoro con le scuole professionali, ma con grande sacrificio apre tipografie e case editrici “soprattutto per dare lavoro e pane onorato a tanti operai e a molti orfani”.8 E siccome sono tante, troppe le voci che rivendicano i diritti degli operai ma non fanno; gridano giustizia, democrazia, proletariato… a proprio vantaggio, don Orione fa delle scelte coraggiose dimostrando con i fatti come la chiesa da sempre sia stata ed è dalla parte degli operai e dei deboli. “Questa tipografia (S. Giuseppe), volendo col fatto dimostrare agli operai che la chiesa è sempre all’avanguardia del vero bene del popolo, spontaneamente ha concesso ai suoi compositori tipografi le otto ore di lavoro, il sabato inglese e l’aumento paga, precedendo così tutte le ditte di Tortona e dintorni”.9 L’articolo riportato all’inizio di questo capitolo e pubblicato sul giornale La Valle Staffora, conferma la forza con cui don Orione si fa voce dei poveri. Il suo cuore sacerdotale, pieno di Dio lo rende sensibile e attento agli eventi e alle persone. Il movimento femminista per l’emancipazione della donna, che sta nascendo, va sostenuto e preso in seria considerazione. Don Orione scrive una pagina all’inizio del novecento, tanto attuale che sembra scritta oggi: “Simile ad uno scolaro che lascia il collegio per 7

L. 89,63 Scr. 14,53; 32,163 9 L. 46,197 8


andare in vacanza, dopo un lungo anno di reclusione, la donna si è trovata, dopo le più recenti invenzioni e specialmente durante questa lunga guerra, si è trovata lanciata in una vita di libertà, di movimento e anche di lavori che non aveva mai conosciuto. La donna sino a ieri era rinchiusa nello stretto cerchio della vita della famiglia, e quelle che ne uscivano erano un'eccezione. Oggi la donna entra da per tutto. Le donne del popolo entrano nelle fabbriche, ove non si richiede che destrezza e intelligenza, essendo la forza muscolare rimpiazzata dalla forza motrice della macchina. Oggi poi una quantità di nuovi impieghi sono dati alle donne: le Scuole Elementari anche maschili e Superiori; sono date alle donne le Scuole Tecniche, i Ginnasi, i Licei, le Università sono aperte alle Professoresse; uffici di posta, di telefono, di telegrafo, esattorie, libri di conti, casse, tram elettrici, fattorine, ecc. tutti posti che avvezzano la donna a lavorare fuori di casa, a fare da sé, a entrare in competenza coll'uomo, ad essergli preferita; onde una nuova situazione sociale. La donna è divenuta la maggioranza in tutti i paesi, e le donne non maritate saranno domani in Italia, le più numerose. È cristiano, è caritatevole occuparsi del femminismo o meglio della famiglia cristiana. L'attacco contro questa fortezza sociale che è la famiglia cristiana, custodita e mantenuta dall'indissolubilità del matrimonio, ora latente ancora, vedete che domani diventerà furioso. Il femminismo è una parte ed importantissima della questione sociale, e il nostro torto, o cattolici, è quello di non averlo compreso subito. Fu grande errore . Il giorno in cui la donna, liberata da tutto ciò che chiamiamo la sua schiavitù, madre a piacer suo, sposa senza marito, senza alcun dovere verso chicchessia, quel giorno la società crollerà


più spaventosamente all'anarchia più che non abbia crollato la Russia al bolscevismo. Troppa poca gente ancora comprende la questione femminista. Confessiamolo francamente, noi cattolici abbiamo trattato il femminismo con una leggerezza deplorevole. Si vanno ancora oggi ripetendo dai più severi i vecchi scherzi di Molière, le spiritosaggini dei Gaudissarts. Ma noi qui vediamo che il ridicolo non ammazza nulla, e meno che meno il femminismo. Esso si è insinuato da per tutto, formando leghe e comitati, ispirando riviste e giornali, trattando tutte le questioni che interessano la donna”.10 Invenzioni straordinarie stanno rivoluzionando la vita e il mondo:“I tempi corrono velocemente e sono alquanto cambiati, e noi, in tutto che non tocca la dottrina, la vita cristiana e della Chiesa, dobbiamo andare e camminare alla testa dei tempi e dei popoli, e non alla coda, e non farci trascinare. Per poter tirare e portare i popoli e la gioventù alla Chiesa e a Cristo bisogna camminare alla testa. Allora toglieremo l'abisso che si va facendo tra il popolo e Dio, tra il popolo e la Chiesa”11. Tutto quello che la scienza e la tecnica offrono può e deve essere valorizzato senza paura a servizio del bene. Il suo insegnamento e il suo esempio: “Valerci di tutti i ritrovati della scienza per diffondere la parola di Dio e il bene”12 “Voglio una vita che sia sempre moderna, come vuole essere la Chiesa, una vita tutta luce di carità”.13 “Ieri (28.2.36) ho fatto un disco fonografico per la consueta conferenza del 18 marzo. L’argomento del disco è “il canto della carità. Se tutto andrà bene ne potrò preparare qualche

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Nel nome della divina Provvidenza, Piemme, 1980, pag 49 ss L. I,251 12 Scr. 18,133 13 Scr. 72,202 11


altro, per certe speciali ricorrenze, e diffondere così, anche con il fonografo, lo spirito del bene.”14 “Ieri sera (26.4.35) ho parlato agli argentini alla radio, e in lingua spagnola. E’ la prima volta che parlo alla radio, ma è un mezzo da poter fare tanto bene; dunque converrà servirsene con la massima frequenza; dunque converrà servirsene con la massima frequenza”.15 La stampa acquista sempre un peso maggiore non solo per l’informazione, ma anche per creare opinione: “La stampa è la grande forza: è il grande oratore che parla di giorno, che parla di notte, che parla nelle città e parla nelle borgate, fin sui monti e nelle valli dimenticate. Dove non arriva la stampa? Non è la stampa che crea l’opinione pubblica, che trascina alla pace e alla guerra? Oh quanto male ha fatto la cattiva stampa! Ma quanto bene fa la stampa, quando è in buone mani, quando è posta al servizio di Dio e degli uomini”16. Cosciente di tale importanza, fa tutto il possibile per avere tipografie e case editrici in proprio, oltre che collaborare: con riviste e giornali locali e nazionali. “Dobbiamo dare molta parte allo sviluppo della carità con la stampa. Ma una pubblicità seriamente fatta e delicata. Una pubblicità che non tocchi mai la politica, né generale né locale, ma che apra i cuori religiosamente e dilati il campo della carità”17. Nel febbraio 1938 Don Orione prende una decisione che rispecchia un aspetto non certo ultimo né minore della sua ansia di bene. Legge, e consegna, ad alcuni suoi religiosi prescelti il documento con cui costituiva il modesto ma tanto desiderato " Ufficio, stampa " della Congregazione. La Scintilla (1895), L'Opera della Divina Provvidenza (con una tiratura iniziale di 2000 copie settimanali), La 14 15

Scr. 9,98 Scr 18,88

16 17

Scr. 37,85


Madonna, La Piccola Opera della divina Provvidenza, Il Vangelo (settimanale), La Mater Dei sono alcune tra le tante riviste fondate e sostenute da don Orione. In cantiere ne ha molte altre: “Vorrei in ottobre (1917) uscire con un foglio popolare per la gioventù: vorrei dargli il titolo La giovane Italia; tirarne un 800 copie, almeno per il primo numero: Servirà da organo del ricreatorio di Tortona”. - “Il bollettino (dell’Unione Popolare) uscirà per pasqua col titolo Val staffora.”18- Le dirò che la Riscossa passerà nelle mie mani (1920)19; - Sono contento del giornalino del Dante...20 – “Con il 28 marzo si apre in Tortona, presso la piazzetta san Michele e in prossimità dell’edicola dei giornali cattolici, una libreria editrice”21 “per preparare la festa della Madonna della Guardia, il bollettino uscirà ogni quindici giorni, e poi sarà quindicinale o mensile come i tortonesi vorranno”22 Anche le scuole sono nel cuore di don Orione. E non solo scuole per i suoi seminaristi, per gli orfani, ma scuole di tutte le categorie e a tutti i livelli, in molte nazioni e città d’Italia. E’ una promozione a sostegno anche della vita spirituale perché “non sarà l’ignoranza che ci farà santi, ma molto gioverà a portarci a Dio non solo la virtù della carità e dell’umiltà, ma la scienza di Dio”. In questa logica si capisce il rispetto, la serietà e l’impegno richiesti: “La scuola nostra dovrà essere rispettata come una chiesa… essa deve essere amata da noi, e deve farsi amare dagli alunni, anzi chi insegna deve farla amare così che essa dovrà diventare come la casa sacra al sapere e alla virtù dei nostri alunni… la scuola deve essere una famiglia, una

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Scr. 42,42 Scr. 73,136 20 Scr 26,164 21 Scr 37,163 22 Scr. 52,249 19


famiglia ben disciplinata e condotta avanti con molto affetto nel Signore e con molta cura.”23 “Nella scuola è necessario che sia tutto verità ciò che si insegna, quella verità che nutre, che non inaridise il cuore, perché non è mai disgiunta dalla virtù e dalla carità… Sia la vostra scuola serena, viva, piacevole ma non mai leggera… La scuola sia intensa. Non vacua: dovete possedere bene le materie, e fate uno studio per esporre con chiarezza di parole e di idee”24. Molto e a ragione si parla di don Orione maestro di educazione e formazione. Egli non ha scritto un trattato di pedagogia, ma dalla sua sensibilità, esperienza e insegnamento è possibile raccogliere almeno alcune linee portanti del suo sistema educativo. “Noi dobbiamo avere e formarci ad un sistema tutto nostro di educare, un sistema che completi quanto già di buono abbiamo negli antichi e anche nei moderni sistemi d’educazione… Cari miei, noi non avremo, però mai fatto niente, finché non rifaremo cristiana, nella sua anima di fede e nella sua vita, e privata e pubblica, la gioventù... La fede cattolica e il carattere saldamente cristiano, formato sul Vangelo e sugli insegnamenti della Chiesa, sono le forze più potenti del mondo morale… saper educare a Dio il cuore dei giovani, perché è il cuore che governa la vita, non l'ingegno… è il cuore che fa l'uomo, cioè è il cuore che fa la grandezza morale dell'uomo; ma quando il cuore è, quale deve essere, un altare sacro a Dio. Lo stesso sistema, cosi detto preventivo, non dice tutto, per me non mi soddisfa pienamente, non mi pare completo. Mi pare che, oggi, non sia più sufficiente o da tutti non cosi sufficientemente attuato... 23 24

L I, 354s Scr 18.10.39


Fondamento del sistema non solo deve essere la ragione e l'amorevolezza, ma la fede e la religione cattolica - praticata e il soffio di un’anima e di un cuore d’educatore che ami veramente Dio e lo faccia amare, dolcemente, insegnando ai giovani le vie del Signore. L'educatore deve sempre parlare il linguaggio della verità con la ragione, col cuore, con la fede. L'educatore cerchi di farsi altamente e santamente amare più che temere, e si faccia stimare e amare nel Signore, se vuole farsi temere. Viviamo in un mondo che va ridiventando pagano in fatto di fede, ed è la fede, soprattutto, e la Carità di Gesù Cristo che devono ricostruire il mondo. Chi voglia veramente educare ed edificare Gesù Cristo nell'anima dei giovani e della società, deve viverle, la, fede e la carità di Gesù Cristo; deve farle risplendere nella sua vita; si devono vedere risplendere fin sul suo volto, nelle sue parole, in tutto il suo insegnamento! …Esempio! esempio! esempio! I giovani non ragionano tanto: seguono e fanno ciò che vedono fare. …E si ha sempre un gesto, una parola che fa di più che una predica intera! Fate ben comprendere che mai la virtù nuoce all'uomo: gli nuoce sempre il vizio. E fate, o miei cari, di tener sempre occupato l'animo dei giovani, e dirò anche con diletto, non mai pesantemente… Io, una volta, andavo in montagna a predicare, sopra Cabella, a Volpara Ligure! Vado su a piedi da Cantalupo; vado, vado e poi trovo un montanaro: - Quanto c'è ancora -gli chiedo. - Mezz'ora - risponde. Allora riprendo lena, e sù. Cammino una buona ora e ancora non vedo spuntare nessun campanile.Trovo una donna e le chiedo: -Quanto c'è di qui a Volpara? - Eh!, mi risponde, ci sarà una mezz'ora! - Allora dico alle mie gambe: su, gambe, coraggio! E così sono andato ancora due o tre ore, finché venne notte. Mi trovai su d'un monte e in un bosco: vedo lumi più in basso: vado, vado, là era Volpara! Arrivai. Se m'avessero detto che c'erano quattro o


cinque ore, mi sarei forse perduto di coraggio, e il dì dopo non avrei certo potuto trovarmi pronto a subito cominciare la santa Missione. … Fateli camminare, fateli camminare, i vostri alunni, ma in tutto, veh!, in tutto: nella pietà, nella virtù, come nel sapere. Guai a chi; non mettesse Dio davanti ai giovani, a guida dei giovani!… Io non vi raccomando le macchine; vi raccomando le anime dei giovani, la loro formazione morale, cattolica e intellettuale. Curatene lo spirito, coltivate la loro mente, educate il loro cuore!… Studiate i vostri ragazzi: osservateli, meditateli! … e incoraggiate qualunque profitto, e abbiate un vero e fraterno zelo pel profitto, e ciascuno veda che vi interessate di lui con premura, con amorevolezza, come d'un fratello. Educate i giovani alla necessità come alle gioie del dolore: la vita è seminata di lacrime!… il Vangelo è il più sublime trattato di didattica e di pedagogia che esista. … Ad imitazione di Nostro Signore, nell'insegnare come nel correggere, siate pazienti, sereni, tranquilli, semplici, savi, senza gridare mai… possederete anche le anime dei vostri allievi, se avrete molta calma serenità, pazienza con essi… Badate che, nel correggere i difetti, non strappiate le buone qualità che essi posseggono… Mai usiamo quel rigore soverchio che allontana i cuori, mai quell'asprezza che ottiene l'effetto contrario, mai quelle parole volgari o villane che umiliano più chi le dice che non chi se le sente dire; ma, anche in fondo ad ogni correzione, per quanto seria, vi sia sempre una parola che animi al bene e che riconforti il colpevole. La virtù sgarbata non è mai quella vera… E le ragazzate prendetele per quelle che sono, per ragazzate… Date i consigli a tempo, e ne darete pochi… Prima base della vita civile e d'ogni sana educazione è la moralità e l'onestà dei costumi, e ciò non solo per noi cattolici ma per qualunque popolo e sotto qualunque cielo. …


Per salvaguardare i nostri alunni dai lupi, e crescerli a vita onesta e veramente cristiana ricordo che una delle nostre regole principali e proprie del nostro sistema di educazione, è quella di tenere i giovani sempre sott'occhio …Vigilare, osservare, seguire sempre e dovunque i giovani, senza mostrarsi, senza farlo intendere. Essi non devono mai pensare che noi abbiamo diffidenza, ma che li amiamo, che li stimiamo. Ora, il cuore di un padre che ama, teme, e, perché ama, teme; non è diffidenza, è amore in Gesù Cristo… Ma, per educare così, bisogna amare Dio; per istruire ed educare così, bisogna avere caldo il petto di Dio; bisogna rendersi fanciulli con i fanciulli, “ farsi piccoli coi piccoli sapientemente” , com'è scritto sul Gianicolo, sotto la quercia del Tasso, parlandosi di S. Filippo Neri… Ogni vostra parola ispiri loro quella gioia intima che fa pensare, che fa dilatare il cuore, che fa piangere! Date buone nozioni sull'uso del tempo, sulla fuga dell'ozio, sul lavoro come legge e come dovere impostoci da Dio. Preghiera e lavoro!, diceva Don Bosco. Gesù ha lavorato: tutti dobbiamo, o in un modo o nell'altro, lavorare; nella natura non c'è ozio. … E poi ancora - ah! questo non bisogna, no, dimenticarlo - e poi una tenerissima e filiale devozione alla Madonna Santissima e alla Santa Chiesa di Roma…. Quanto bene farete, o figli miei, se farete così! In mezzo ai disgusti e disinganni amari della vita, i nostri alunni non troveranno pensiero più consolante che ricordarsi della Madonna e di rifugiarsi tra le sue braccia”25

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L “L’educazione cristiana della gioventù”, 351ss


CAPITOLO XXVII: LE SUORE “Ricordo di una suora che leggeva il diario spirituale sapete, quello che inizia con il mese di gennaio: mortificazione. La mortificazione è l'A B C della vita spirituale. Quella voleva farsi credere una santa. In gennaio si credeva già avanti, in febbraio perfetta, in marzo aveva le stimmate... Tutti i venerdì, da mezzogiorno alle cinque di sera, andava fuori di sé. Verso le tre pareva morisse. Alcune delle monache sue consorelle, fra le più anziane che la conoscevano più da vicino, stentavano a credere. "Ma sarà santa davvero? Il vescovo un giorno mi disse: "Vada un po' a vedere, a constatare quanto c'è di vero in tutto questo!". Sono andato, ho ascoltato, poi ho scelto quattro monache, due pro, due contro, e ho detto loro: "Prendete ciascuna una disciplina guarnita di belle pallottole a piombo e battetela, per lo spazio di due miserere. Il primo miserere passò, ma al secondo, andata su tutte le furie, la... santa saltò su che pareva un diavolo. Sicuro, sicuro, saltò su che pareva un diavolo, e andò tanto avanti che falsificò persino le lettere dei superiori. I libri sublimi lasciateli da parte… dite il rosario, fate la Via Crucis, meditate nostro Signore che cade sotto la croce, e state, lì, e state lì, pensateci su bene e pregateci su... Alla buona, alla buona! E questo entra a far parte dello spirito della nostra congregazione, e di quelle che a queste sono chiamate. Al Cottolengo ci sono delle suore che sono vere sante: ad una, una volta, ho trovato un crocefisso che sudava sangue e gliene ho dato un altro e, per un miracolo, anche questo buttò sangue. Ma come si sono fatte sante queste? Sacrificandosi, sacrificandosi!1

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A. GEMMA, I fioretti di don Orione, ED, Roma 1994, pag 138


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Per tanti anni don Orione è stato direttore, guida spirituale delle suore della Michel; si è servito in alcuni suoi istituti della collaborazione de religiose d’altre Congregazioni; mamme, cominciando dalla sua, sorelle di collegiali e chierici insieme a buone signore volontarie hanno sempre prestato il loro servizio prezioso. Le prevedibili conseguenze funeste della guerra e lo sviluppo delle opere di carità gli suggeriscono, servendosi delle esperienze avute, di dare inizio al ramo femminile della Congregazione. In una visita a suor Maria Benedetta Frey, don Orione si sente suggere: “Stia nelle mani di Dio come uno straccio e si lasci condurre dalla sua Provvidenza … Quando poi fonderà una Congregazione di suore, dica loro di tenersi come stracci...” “Da quel giorno, commenta don Orione, fui perseguitato dall'idea di fondare una Congregazione femminile”. Tra le sue figlie spirituali c’è anche la contessina Valdettaro donna molto pia e generosa, ma combattuta interiormente per la scelta di vita. Insieme all’insistente pensiero di consacrarsi interamente a Dio, c’è tanta incertezza e indecisione. Don Orione richiesto di consiglio le scrive: “Credo che la misericordia di Nostro Signore voglia fare di lei una santa religiosa… cerchi d'essere … uno straccio nelle mani di Gesù Cristo Crocefisso e della sua santissima Madre e della santa Madre Chiesa. Serva Dio con soavità. E preghi con orazione fervente e tranquilla”. Continuano gli incontri, le riflessioni, i consigli. Don Orione è sempre più convinto che la contessina, per la sua sensibilità, cultura e religiosità, è la donna inviatagli dalla Provvidenza per avviare il cammino di formazione delle prime


vocazioni femminili. La signora Valdettaro vinte le ultime resistenze decide di collaborare alla nuova fondazione. Il direttore ha scelto come sede la casa di san Bernardino, il primo collegio, da poco diventata proprietà della Congregazione, dopo essere stata per tanti anni sede del partito socialista. Don Sterpi e i chierici che con lui entrano a pulire e sistemare i locali, hanno modo di misurare il grado di civiltà e di decenza con cui è stata lasciata. Quando tutto è apposto, la Vandettaro, Caterina Volpini e il fratello invalido2 costituiscono il primo nucleo della nuova fondazione: le Piccole Missionarie della Carità e… le case di carità per anziani, disabili… Infatti il giorno seguente si trasferiscono ad Ameno3 (Novara) per dare inizio al primo ricovero per anziani. E’ il piccolo seme di quella pianta gigantesca i “Piccoli Cottolengo” che rischia di diventare caratteristica e sinonimo dell’Opera di don Orione.4 Accolti i primi anziani, la Volpini, senza essere suora, si trova a fare la superiora perché com’era da prevedere, la Valdettaro lavora a Tortona, per aiutare il ramo nascente. Alcuni pensieri augurali di don Orione, illustrano lo scopo della fondazione: “la vostra minima congregazione religiosa porta il nome di “Missionarie della Carità”, il che vuol dire Missionarie di Dio, perché Dio è carità; vuol dire missionarie di Cristo, perché Gesù Cristo è Dio ed è la carità; vuol dire missionarie, cioè evangelizzatrici, serve dei poveri, perché nei poveri voi servite, confortate ed evangelizzate Gesù Cristo… Fate che sui vostri passi nascano le opere della

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Michele Volpini presente ad Ameno come primo assistito, presto ottiene da don Orione di diventare religioso. Per moltissimi anni presterà il suo umile e prezioso servizio di calzolaio al noviziato e liceo filosofico di Bra. Morirà alla bella età di novant’anni. 3 La casa è dono della benefattrice contessa Agazzini Teresa morta in quell’anno. Verso di lei don Orione si è dimostrato particolarmente riconoscente. 4 Qui è bene ricordare che le opere di carità, compresi i piccoli Cottolengo, per don Orione e la sua Congregazione, sono il mezzo per rinnovare la società in Cristo e riunire tutti nella fedeltà alla chiesa e al papa.


misericordia del Signore!…. Per questo siete chiamate suore sì, ma missionarie, soprattutto della carità”. Consacrate al sacro Cuore il 29 giugno 1917, chiedono ed ottengono, in ottemperanza alle leggi canoniche, una divisa. Il 4 ottobre dello stesso anno, monsignor Albera benedice gli abiti delle prime tre dai nomi che sono un programma di vita: suor Maria Fede, suor Maria Speranza, suor Maria Carità. Don Orione commenta: “Quest'abito che vi separa dal mondo deve anche staccarvi dalle cose del mondo. Non all'abito dovete essere attaccate, ma allo spirito, pronte ad indossare altre vesti, se lo diranno i superiori. Dovete distinguervi - dalle altre donne e ragazze - più che nell'abito, nella vita ». Con la benedizione del vescovo 13 ottobre 1917 le prime tre “suore”, qualcuna non ha finito il noviziato, partono da Tortona per aprire un asilo e dare assistenza religiosa alle ragazze nella parrocchia di San Sebastiano Curone. “Coraggio!, dice loro don Orione, voi andate a compiere una bella missione. Avete davanti a voi un campo molto vasto da lavorare e far del bene per Nostro Signore. In seguito ci sarà poi, forse, il Ricreatorio festivo, si vedrà: da cosa nasce cosa”. A tempo ravvicinato, infatti, sorge la Casa “Madonna delle Grazie” destinata ad accogliere donne anziane e inferme. Per l’inaugurazione don Orione scrive a don Perduca: “… quando … andranno nella nuova Casa, desidero che ci vadano dopo tre giorni di digiuno a pane ed acqua,- e io pure digiunerò a pane ed acqua per quattro giorni; poi desidero che ci vadano scalze, cantando il Miserere; ed entrando, si mettano giù a baciare tre volte la terra; e che si prendano il posto più angusto e più umile, per lasciare ai bambini, alle fanciulle e ai poveri, la parte più bella, più arieggiata, più comoda ». Con la disfatta e la ritirata di Caporetto non si contano gli sfollati. Don Orione immediatamente mette a disposizione del governo italiano tutte le sue case di Tortona. Per offrire il


maggior numero possibile di posti, chiede ai suoi religiosi arrangiarsi in qualche maniera. I profughi della laguna veneta e i malati di Venezia accolti con un’ospitalità gioiosa e spontanea, si sentono subito a loro agio. Sono allertate anche le suore, e non hanno ancora i voti religiosi, perché si rendano disponibili per qualsiasi evenienza: “… non so se mi manderanno infermieri o infermiere per assisterli: se ce ne sarà bisogno, potrete venir voi ad esercitare questo pietoso ufficio di carità. Dovete pensare che, servendo quei poveretti, servite Gesù medesimo… Sarei davvero felice, se in questa circostanza si potesse iniziare il ramo delle Suore infermiere ». E a Tortona le suore veramente devono spesso fare anche da infermiere… ma non solo a Tortona: a San Sebastiano Curone scoppiata l’epidemia spagnola, che fa strage in tutta Italia, le suore dell'asilo chiedono il permesso di assistere i malati nelle loro case. Don Orione è pienamente d’accordo: “Fate pure le infermiere, sono più che contento: fate anche le spazzine della strada, basta fare opera di carità, e amare voi il Signore e farlo amare dagli altri.”5 Nel marzo 1920, sempre a San Sebastiano Curone, s'inaugura la Casa Ospizio San Giuseppe, destinata ad accogliere vecchietti poveri e malati. Don Orione, dopo alcune altre felici esperienze di fuoco scrive: “Se sapessi di trovare stoffa per una buona stracciona della Divina Provvidenza, l'accetterei senz'altro e, magari, la manderei dopo ventiquattro ore a spargere la carità di Nostro Signore Gesù Cristo”. Lo sviluppo del ramo femminile è altrettanto straordinario e avventuroso come quello maschile. Don Orione chiede coraggio e disponibilità grande, al di là , per il momento degli schemi e delle strutture : “A Como non è una Casa, ma ne ho 5

30 dicembre 1918:


messe là tre a fare da serve di Gesù Cristo ai poveri orfani di guerra:erano rimasti abbandonati, si poteva lasciarli così? A Reggio Calabria non ho aperto Casa, ma ne ho mandate tre a fare del catechismo in un rione della città, dove si vive e si muore come Dio sa, e dove i sacerdoti non vanno o non potevano andare... ». Il primo anno di noviziato viene organizzato nel 1923 con dodici postulanti che terminato l’anno canonico non emettono i voti, ma sono impegnate a servizio delle varie opere di carità. Per le prime professioni bisogna attendere il 29 luglio 1927, quando suor Maria Pazienza ed altre emettono i voti religiosi nelle mani di don Orione. La signora Valdettaro che in questi primi anni di fondazione collabora con sapienza e intelligenza alla formazione delle postulanti, pensa di non essere chiamata a questo genere di vita. Lascia Tortona conservando gratitudine e riconoscenza a don Orione che continua a starle vicino ed accompagnarla spiritualmente. Durante in primo viaggio missionario, don Orione rimane colpito dalla povertà e dalla sofferenza di quelle popolazioni. Ciò che ancora lo sorprende è l’emarginazione di cui soffrono i neri: tanto razzismo da negare loro non solo cariche statali, ma perfino il sacerdozio e la consacrazione religiosa. Torna dal Brasile con l’idea, poi non realizzata, di fondare una duplice famiglia religiosa, maschile e femminile, di soli membri di colore per l’apostolato e l’emancipazione degli indigeni. Anche se il progetto non va in porto, ha la consolazione di avere tra i suoi figli gente di ogni razza e di ogni colore. Le esperienze pastorali suggeriscono a don Orione un’altra iniziativa: preparare personale femminile a servizio


della pastorale e il decoro dei santuari e delle parrocchie. Così il 25 marzo del 1927 nascono le “figlie della Madonna della Guardia” per le opere di culto. Tante giovani non vedenti, pur desiderandolo ardentemente, trovano preclusa la strada della vita religiosa. L’anima eucaristica e contemplativa di don Orione con gesto veramente squisito, da inizio al ramo delle Sacramentine Cieche. Nel marzo 1927 don Orione scrive a suor Sebastiana: “Ora voi pregate tanto, perché io desidero, col divino aiuto, servirmi di voi per dare principio alla famiglia religiosa delle suore cieche, come vi ho sempre promesso”. Il 15 agosto 1927 Suor Sebastiana prende il nome di suor Tarcisia dell’Incarnazione, con lei altre tre rivestono l’abito bianco con scapolare rosso voluto dal fondatore. Il loro stile di vita si ispira alla regola delle suore Adoratrici fondate in Roma all’inizio del 1800, dalla serva di Dio suor Maria Maddalena dell’Incarnazione. Da allora esse accompagnano, con la preghiera e l’adorazione, l’apostolato dell’Opera. Il 27 dello stesso mese lasciano san Bernardino per iniziare a Quarto Dei Mille (Genova) la vita claustrale. Suor Tarcisia rimane a Tortona in una casa appositamente acquistata da don Orione in località il Groppo, come responsabile di un gruppetto di postulanti. Il ramo cresce e si estende velocemente.6

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Suor maria Tarcisia, Angelina Jona, nata a Trevi nel 1871 diventa cieca a causa del vaiolo all’età di tre anni. Nell’Istituto di san Pio V impara il ricamo, musica e canto. A Trastevere nel 1908 è maestra di coro delle orfane. Nel 1916 è postulante e quindi suora da don Orione. Confondatrice quindi del Sacramentine cieche, durante la guerra (luglio 1943-28 agosto 1945, è rifugiata ad Ameno. Muore a Tortona il 6 aprile 1964


CAPITOLO XXVII: I “PICCOLI COTTOLENGO” “Vive a Genova una buona signora… un tempo, non conoscevo quella signora: non sapevo di lei, né lei di me. Non so come, al figlio Luigi, negli ultimi giorni della sua vita, capitò un foglietto del nostro Cottolengo di Genova; se lo mise sotto il cuscino e un giorno chiamò la madre e le disse: 'Mi dispiace che tu resti sola; potrai però consolarti facendo del bene… la parte che spetta a me, se vuoi farmi piacere, dalla a Don Orione. Io non so chi sia Don Orione; ma, siccome raccoglie i fanciulli orfani, i vecchi, i poveri, intendo che la mia parte vada a beneficio di questi… … Questa signora… venne poi a cercare l'Opera della Divina Provvidenza, e oggi fa da madre ai poveri del Piccolo Cottolengo, che sono circa 500. Ogni anno mi dà una somma e mi vorrebbe dare di più; ma non prendo tutto quel denaro… Vedete a quale tentazione ho resistito… …Siamo nella novena di San Giuseppe - diceva ai chiedici e aspiranti della casa madre -. Tutti gli anni San Giuseppe viene a trovarci con qualche grazia: l'anno scorso m'ha fatto la grazia di farmi ammalare …Quest'anno invece ecco un'altra grazia. Sono stato ieri a Genova, e ho fatto il contratto per l'acquisto del Paverano, che contiene 500 malati, e costa un milione e 650 mila lire, senza contare le moltissime tasse. Tutti i giornali di Genova, politici, civili ed ecclesiastici, ne parlano. Dunque il Paverano verrebbe a costare quasi 2 milioni; voi vi spaventate già per così poco, e pensare che posso dire di averli già in mano (si ride). Perché, mentre ieri tornavo a casa ed ero già alla stazione di Genova, Sciaccaluga venne a chiamarmi, perché quella signora mi voleva ancora a casa sua; difatti vi ero già stato poco prima e mi aveva detto che mi avrebbe dato mezzo milione. Io tornai indietro… giunsi a casa


sua. E mi disse: 'Ebbene Don Orione, vuol dire che, se lei viene qui per la colazione, invece di metà, il milione glielo darò per intero Cosi domani dovrò andare a colazione da lei e voi intanto pregate. Essa e una buona signora che sa dove spendiamo i soldi. Vedete dunque come San Giuseppe pensa a venirci in soccorso, come del resto ha sempre fatto!

*** In un’epoca “di positivismo, di tanta cupidigia dei beni materiali e per il denaro, d’egoismo e d’odio”, don Orione sente giunto il momento di dare ampio sviluppo alle opere di carità. La sua storia rimane particolarmente legata a quelle opere di carità per gli ultimi che portano il nome di Piccolo Cottolengo. Conosce da lunga data la casa del Cottolengo a Torino. Mentre è a Valdocco da don Bosco ha modo di vedere e apprezzare lo spirito che anima quell’opera di carità. E’ il desiderio che lo accompagna da sempre e che lo porta a riversare le sue preferenze e predilezioni per i più poveri, più abbandonati, per gli anziani, gli emarginati i profughi. Tutti quelli che insomma, hanno un dolore trovano un posto nel suo cuore e nella sua Congregazione. Per tutti ha una parola d’incoraggiamento e di conforto. “Amare l'uomo quando l'ingiuria degli anni e la degradazione del vizio ne hanno fatto un oggetto di disgusto intollerabile, e fare di tutti gli infelici una famiglia sola, questa è vera carità”. Prima di dare inizio a questo tipo di opere si reca a Torino per conoscere meglio l’impostazione, la vita e le difficoltà. Pellegrino a Bra nella casa del Cottolengo e al santuario della Madonna dei Fiori, invoca “luce e conoscenza della volontà di Dio, ardore di divina carità e celeste protezione”.


La Provvidenza lo conduce per i sentieri dell’amore facendogli aprire silenziosamente, una dopo l’altra, “le piccole case di carità per quei poveri più infelici, inabili al lavoro, vecchi o malati d’ogni genere, d’ogni sesso, d’ogni credo ed anche senza credo, che non trovano pane né tetto, ma che sono il rifiuto di tutti e che il mondo considera come i rottami della società… e quanti sono venuti li abbiamo spiritualmente abbracciati e posti sotto il mantello del Beato Cottolengo”. 19 marzo del 1924 due suore tre ricoverate iniziano la casa di carità a Genova Marassi; 4 novembre 1925 il vecchio conservatorio a Quarto dei Mille (Genova) accoglie gli infelici rifiutati anche dalle strutture ospedaliere; a Milano nel 1933, a Clajpole (Argentina) nel 1934; in Polonia nel 1937, a Jasper Indiana (Usa) nel 1939, a Tortona nel 1940 Ai Piccolo Cottolengo si aggiungono altre opere di carità: 1924 l’Opera antoniana delle Calabrie; 1925 Il Pio Istituto di suffragio a Magreta (Modena); 19930 L’Istituto Sacro Cuore di Fano e Borgonovo (Piacenza; 1932 La casa di Riposo a Pontecurone; 1933 Villa Charitas su al Castello di Tortona. Sono da aggiungere all’elenco gli orfanotrofi, le scuole professionali e agricole che in forma diversa sono opere di carità a favore degli ultimi. In una lettera1 don Orione spiega l’organizzazione e lo spirito di queste case “L'Opera trae vita e spirito dalla carità di Cristo e suo nome da San Giuseppe Benedetto Cottolengo, che fu Apostolo e Padre dei poveri più infelici. La porta del Piccolo Cottolengo non domanderà a chi entra se abbia un nome, ma soltanto se abbia un dolore. Come è il Piccolo Cottolengo. Esso, ora, è come un piccolo grano di senape, cui basterà la benedizione del Signore per diventare un giorno 1

L I, 216ss Buenos Aires, 13 aprile 1935


grande albero, sui cui rami si poseranno tranquilli gli uccelli.. - Gli uccelli, qui, sono i poveri più abbandonati, nostri fratelli e nostri padroni. L'Occhio della Divina Provvidenza. Iddio ama tutte quante le sue creature, ma la sua Provvidenza non può non prediligere i miseri, gli afflitti, gli orfani, gli infermi, i tribolati d'ogni maniera, dopo che Gesù li elevò all'onore di suoi fratelli, dopo che si mostrò loro modello e capo, sottostando anche Egli alla povertà, all'abbandono, al dolore e sino al martirio della Croce. Onde l'occhio della Divina Provvidenza è, in ispecial modo, rivolto alle creature più sventurate e derelitte. Chi si riceve al Piccolo Cottolengo? Il Piccolo Cottolengo terrà la porta sempre aperta a qualunque specie di miseria morale o materiale. Ai disingannati, agli afflitti della vita darà conforto e luce di fede. Distinti poi in tante diverse famiglie, accoglierà, come fratelli, i ciechi, i sordomuti, i deficienti, gli ebeti; storpi, epilettici, vecchi cadenti o inabili ai lavoro, ragazzi scrofolosi, malati cronici, bambini e bambine da pochi anni in su; fanciulle nell'età dei pericoli: tutti quelli, insomma, che, per uno o altro motivo, hanno bisogno di assistenza, di aiuto, ma che non possono essere ricevuti negli ospedali o ricoveri, e che siano veramente abbandonati: di qualunque nazionalità siano, di qualunque religione siano, anche se fossero senza religione: Dio è Padre di tutti! È ovvio che tutto questo si farà gradualmente, mano mano che si edificherà e ci sarà posto, confidando in Dio e nell'aiuto di cuori pietosi, diffidando solo di noi. A1 Piccolo Cottolengo non dovrà mai esserci un posto vuoto. La nostra debolezza non ci sgomenta: la consideriamo come il trofeo della bontà e della gloria di Gesù Cristo. Come si regge e governa il Piccolo Cottolengo.


Nulla è più caro al Signore che la fiducia in Lui! E noi vorremmo avere una fede, un coraggio, una confidenza tanto grande, quanto grande è il Cuore di Gesù, che ne è il fondamento. I1 Piccolo Cottolengo si regge in Domino, sulla fede; vive in Domino, della Divina Provvidenza e della vostra generosità; si governa in Domino, cioè con la carità di Cristo: tutto e solo per amore, sino all'olocausto della nostra vita, col divino aiuto. E niente impiegati! Niente formule burocratiche, che spesso angustiano, se pur non rendono umiliante il bene: niente che somigli a un’amministrazione: nulla di tutto questo. Tutto dipende dalla Divina Provvidenza: chi fà tutto è la Divina Provvidenza e la carità di cuori misericordiosi, mossi dal desiderio di fare il bene, sì e come il Vangelo insegna, a quelli che ne hanno più bisogno. Ha redditi il Piccolo Cottolengo? Voi forse crederete che abbiamo fondi e rendite. No, Amici miei, di tutto questo abbiamo meno che niente. I1 Piccolo Cottolengo non ha redditi, e non potrà mai avere redditi di sorta: - va avanti giorno per giorno: “panem nostrum quotidianum”. Quel Dio che è il gran Padre di tutti, che pensa agli uccelli dell'aria e veste i gigli del campo, manda da mani benefiche il pane quotidiano, cioè quel tanto che fa bisogno giorno per giorno. La nostra banca è la Divina Provvidenza, e la nostra borsa sta nelle vostre tasche e nel vostro buon cuore. Come si vive al Piccolo Cottolengo. Il Piccolo Cottolengo è costruito sulla fede e vive sul frutto d'una carità inestinguibile. Al Piccolo Cottolengo si vive allegramente: si prega, si lavora, nella misura consentita dalle forze: si ama Dio, si amano e si servono i poveri. Negli abbandonati si vede e si serve Cristo, in santa letizia. Chi più felice di noi?


E anche i nostri cari poveri vivono contenti: essi non sono ospiti, non sono dei ricoverati, ma sono dei padroni, e noi i loro servi, così si serve il Signore! Quanto è bella la vita al Piccolo Cottolengo ! È una sinfonia di preghiere per i benefattori, di lavoro, di letizia, di canti e di carità! In che modo si può aiutare il Piccolo Cottolengo? In tanti modi: con la preghiera, col denaro e con farlo conoscere a persone di cuore e benefiche, che possono cooperare a sì gran bene…. Tutto è grande, quando è grande il cuore che dà. … Visitate il Cottolengo. Cari Benefattori e buone Benefattrici, dal cuore nobile e generoso, veniteli a visitare i poveri del Piccolo Cottolengo, dove è laus perennis per la pace e prosperità delle vostre Famiglie e della Patria, dove tutto è semplicità di vita e sorriso buono, sereno, riconoscente, dove tutti i sacrifici e tutte le parole si confondono e si combinano in una sola: Charitas! Iddio perdona tante cose, per un'opera di misericordia ! Alle Benefattrici e ai Benefattori. Susciti Iddio, dovunque, molti cuori generosi, aperti al bene, che vengano a coadiuvarci in questa Opera di cristiano amore verso i fratelli più miseri. Vogliano tutti pregare per noi, e ricordare con benevolenza i nostri cari poveri: essi, memori e grati, pregheranno sempre per i Benefattori, e le loro benedizioni li seguiranno e conforteranno in tutti i giorni della vita. A quanti si adoprano pel Piccolo Cottolengo conceda Iddio il cento per uno in vita, ed eterna ricompensa in cielo ! Custode, Regina e Madre del Piccolo Cottolengo è Maria, Madre di Dio, la Santa Madonna della Divina Provvidenza. O mia Santa Madonna, ecco Vi ho fatta Padrona e Madre: ora tocca a Voi!”


Tre sono le grandi centrali della Carità: a Claypole, a Genova e a Milano. Al Restocco, in periferia di Milano, le Carmelitane mettono in vendita il loro vecchio convento con la chiesa. Don Orione intende acquistarlo, ma le trattative diventano lunghe e difficili con proposte e controproposte, perché sono parecchi che rivendicano diritti. Don Orione scrive alla Badessa: “Ho fatto esaminare le cose a più legali e tutti hanno detto che potrei andare incontro ad una lite con esito dubbio… Ho trattato l’acquisto di una proprietà libera, e tale è necessario che sia, né potrei venire a Milano a comperare una lite”2. La Provvidenza lo raggiunge tramite l’amicizia del Senatore Stefano Cavazioni che racconta: “L'incontro avvenne davvero, durante l'estate 1937, al ritorno di Don Orione dal Brasile, quando questi venne a celebrare la Messa al « Piccolo Cottolengo … Pochi giorni dopo Don Orione venne a trovarci nella nostra casa. Nella sua bontà ci disse che la Provvidenza aveva scelto noi due come suoi collaboratori, che facessimo per il 'Piccolo Cottolengo milanese" tutto quanto volevamo, che fossimo come la sua segreteria milanese, perché egli aveva bisogno di essere aiutato e consigliato. « Il 4 novembre 1937, dopo aver ascoltato, nella chiesina del Restocco, un suo discorso rivolto alle ricoverate dell'Istituto, assieme ad un gruppo di benefattrici e di benefattori, lo pregai di ripetere queste sue parole piene d’amore di Dio e di carità per il prossimo in un ambiente più vasto, così che, oltre al bene spirituale, si sarebbe anche raggiunto il risultato di aumentare notevolmente la piccola falange dei suoi collaboratori. Don Orione accettò e noi pensammo ad organizzare la riunione. Scartati teatri o altri pubblici locali, pensai all'aula magna dell'Università Cattolica. Ne parlai a Padre Gemelli, che subito acconsentì. I giornali cittadini ne diedero l'annunzio con 2

28.4.1933


qualche cenno illustrativo sulla personalità di Don Orione e sulle sue opere di carità, ormai sparse in Italia e oltre l'Oceano. Quando Don Orione ne ebbe sentore, si spaventò e mi scrisse una lettera, ove mi pregava di fare in sua vece il discorso ufficiale…” Il discorso lo tenne all’Università cattolica il 19 dicembre 1937. Presentato dal Senatore parlò con foga straordinaria e con una forza di convinzione da galvanizzare l’uditorio e commuoverlo sino alle lacrime. Il diario della Casa annota: “Un professore dell’università di Padova, ateo, che è intervenuto soltanto per far piacere a chi lo ha invitato, alla fine del discorso è in ginocchio tra la folla a ricevere la benedizione di don Orione. Un avvocato che casualmente è seduto di fianco a un suo avversario, che da anni neppure saluta più, quando don Orione finisce di parlare, si trova ad abbracciare il suo vicino. Uscendo dall’aula, don Orione viene circondato dalla folla e fa grande fatica a raggiungere l’auto che dovrà poi portarlo a Lucca presso il padre malato del ministro Ferruccio Lantini”. Cavazzoni ha organizzato per attirare benefattori e don Orione invece in tutto il discorso “non disse una parola che riguardasse le sue istituzioni: elevò invece un inno così sublime alla carità, che i presenti e quelli che fuori dell’aula ascoltarono attraverso altoparlanti ne furono entusiasti, e tutti, ed erano tanti e tanti, se ne partirono con l’impressione che solo un santo poteva larlare così. Così cominciò a Milano ufficialmente la vita del Piccolo Cottolengo milanese.” Le difficoltà non mancano: contestazioni sul nome, recupero di denari per l’acquisto di altro terreno, il progetto di ristrutturazione, giudicato poi insufficiente da don Orione… ma il progetto va avanti lo stesso. Continua a raccontare Cavazzoni “Un giorno, insieme a mia moglie, andammo a trovare Don Orione, verso sera a Restocco, dopo la sua faticosa giornata. Lo trovammo tutto allegro; ci fece sedere, ci fece


come al solito tanta festa, poi, a un tratto, con tono faceto ma commosso, ci disse: “Devo dirvi una cosa, farvi una confidenza: sapete che il Piccolo Cottolengo non sarà come lo abbiamo pensato finora? No, sarà una grandiosa costruzione unica, moderna, con ampi corridoi e luminose verande. Ci sarà tanto sole e tanta luce e tutto vi sarà così bello, così moderno, che il forestiero, prima di lasciar Milano, verrà a vedere il Cottolengo. E dovremo fare tutto con i criteri più aggiornati della scienza e della tecnica, perché non si dica che la Chiesa e la Carità di Cristo sono arretrate...Ho sognato come sarà Piccolo Cottolengo milanese e ho percorso ampi padiglioni, lunghi, spaziosi corridoi, ed ho visto una grande chiesa. La Madonna me l'ha fatto vedere il Cottolengo: però, se me l'ha fatto vedere in sogno, è segno che io non ci sarò più quando sarà realizzato”…


CAPITOLO XXIX: IL SANTUARIO DELLA MADONNA DELLA GUARDIA

« Eravamo durante la grande guerra mondiale. Una grande sconfitta, quella di Caporetto, aveva gettato nei cuori un profondo scoraggiamento. Gli uomini erano tutti al fronte e le donne furono in quei tempi delle vere eroine. E' rimasto impresso l'esempio di una donna che, partiti tre figliuoli per la guerra, lavorò tanto che, al loro ritorno a casa, trovarono che il patrimonio, non soltanto non era diminuito, ma accresciuto di molto. Tortona era in mano del socialismo, e rimase in mano dei rossi per vent'anni. Di agenti di polizia a San Bernardino non se ne potevano vedere e neanche potevano passare. Un giorno passava in bicicletta un poliziotto: riconosciuto, fu preso a sassate, la bicicletta rotta, e così fu costretto a prendersi la bicicletta sulle spalle e salvarsi con la fuga; lo obbligarono, anzi, a camminare in quel modo sino là dove ora è la piazza dell'ospedale, accompagnato da fischi e derisioni. Una turba di uomini urlanti e di donne scarmigliate partirono dal borgo di San Bernardino con la bandiera rossa in testa e, agitando bastoni e armi, come forsennati, irruppero in vescovado e guastarono tutto ciò che venne loro alla marzo: distrussero le cucine popolari, che danno da mangiare gratuitamente a tanti poveri, devastarono il nostro oratorio, da noi diretto, nel giardino del Vescovo, e poi, con grida ed imprecazioni, cercarono di salire al piano superiore per catturare il Vescovo e portarlo, in segno di ludibrio, in giro per tutta la città per aver egli - dicevano -,scritto in favore della guerra. E avrebbero così sacrilegamente deturpata la persona sacra di monsignor Grassi, se i miei giovani non si fossero messi alla porta. Furono i giovani del nostro Oratorio


e del Convitto Paterno che ne fecero coi loro petti la difesa, ed impedirono che Tortona venisse infamata da così esecranda azione...”1 *** La guerra, chiamando al fronte gli uomini, ha privato di forze e messo in crisi le famiglie e la Congregazione. Al dolore per il distacco si aggiunge la difficoltà economica per tirare avanti. Quando la fede è debole, gli animi s’inaspriscono, si fa spazio il rancore, l’odio, la violenza. Il movimento anticlericale e massonico, molto radicato a Tortona e in particolare nel rione san Bernardino, pesca volentieri nel torbido. Sono presi di mira senza pietà i sacerdoti e i ragazzi del Collegio. “Tortona era di tinte rosse molto pronunciate e noi chierichetti subivamo spesso soprusi e bravate dei teppisti. Erano sassate sui vetri e qualche volta contro le persone, urla minacciose e parolacce al nostro indirizzo quando uscivamo a passeggio. I ragazzi delle scuole tecniche dall'alto ci vedevano e noi eravamo continuamente esposti a mille angherie che offendevano anche il nostro senso morale. Un certo Jati, secolare, fratello di un nostro chierico calabrese, morto poi giovanissimo l'anno stesso dell'ordinazione sacerdotale, partiva per le spedizioni punitive e metteva in fuga i piccoli facinorosi verso le rampe del castello. Persino di notte - le belle notti tranquille e agresti della Tortona antica.- il canto sguaiato dei monelli prendeva di mira i chierici del "probandato" (seminario annesso al Convitto paterno) e i convittori del "paterno".2 In realtà una volta conosciuto, don Orione personalmente aveva carta libera anche dai rossi: “San Bernardino era rosso e da più di dieci anni non ci si poteva venire da noi preti. …I socialisti non volevano vedere i preti, disprezzavano la religione e schernivano i preti. Ma qui di San 1 2

DOLM 1323 s Sparpagliane, appunti inediti


Bernardino tolleravano che ci venisse un prete ... Dicevano che quel prete era socialista. Non che fosse socialista davvero: lo credevano tale perché a mano a mano che gli operai partivano per il fronte e lasciavano a casa i figliuoli poveri e senza custodia quel prete se li prendeva e li istruiva: per questo dicevano che era mezzo socialista, perché voleva bene alla povera gente e raccoglieva gli orfanelli che non avevano più la mamma e rimanevano orfani di padre, gli orfani di guerra. E quel prete poteva venire sempre a San Bernardino. E vi erano qui a San Bernardino le lavandaie. Quelle lavandaie si lamentavano perché la guerra non finiva mai..." 3 Giuseppe Romita socialista nativo di Tortona e consigliere comunale a Torino, in uno dei suoi comizi a Tortona gridò: Preti non ne vogliamo, ché, se ne volessimo ci basterebbe don Orione: lui non è un prete come gli altri, lui è il prete dei poveri…” La nazione sta raccogliendo i frutti di un’accanita propaganda d’odio contro ogni autorità e di una cristianizzazione sistematica “che va dissipando nelle nostre masse popolari tutto ciò che era patrimonio ideale e morale del passato, e vi ha fomentato irrequiete aspirazioni, basse cupidigie e odio profondo. Domani potrà accadere di peggio, se tutte le persone oneste non si uniranno per fronteggiare il pericolo che ci sovrasta; ma fronteggiare un tale pericolo non è possibile, se non si pensa seriamente a mantenere salda la religione che è il primo principio dell'ordine e dell'autorità. Bisogna andare al popolo, e sacrificarsi, e farsi ammazzare, ma rifarlo cristiano. Non si facciano illusioni le Autorità: con le baionette e con la galera a nulla approderanno, anzi, sarà peggio. … il fuoco arde sotto la cenere, e, domani, può divampare più furibondo di ieri.

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Par. 10,219


Domani verrà un'ondata, e con le anime spazzerà via anche i nostri santi altari. E noi dormiamo? Sentiamo, o fratelli, la grave responsabilità che ci sta sulla testa. Con la mitragliatrice all'imboccatura delle strade si trattiene un popolo per qualche ora, ma non si ricostruisce la società. Non col ferro e col fuoco si ammansa la fiera: e il popolo, quando non ha più la fede, è belva”4 La scelta sua e dei suoi figli è in quella direzione: “Noi non vogliamo né gradi né onori, noi vogliamo i poveri, noi vogliamo essere poveri, noi vogliamo stare coi più poveri, ed i poveri ci vogliono bene e anche quando si chiudessero le chiese ci lasceranno i nostri poveri e saremo ancora noi quelli che potremo fare ancora un po' di bene”. La strada migliore per riportare le masse a Cristo è la devozione alla Madonna. Se non possibile continuare ad organizzare i pellegrinaggi, si può fare leva sulla devozione popolare. La chiesetta della Madonna della Guardia del rione san Bernardino risuona d’invocazioni e preghiere perché cessi il flagello della guerra. Don Orione ha ordinato una statua della Madonna perché ha lanciato l’idea della costruzione di un santuario votivo. Il 28 agosto i chierici con un carro trasportano la statua dalla casa Madre a San Bernardino. Sul ponte dell’Ossona, all’inizio dei rione per intenderci, statua e chierici diventano bersaglio di sassate. Al chierico più malridotto che si lamenta, don Orione risponde: “Perdona… si bisogna perdonare sempre, non essere permaloso. Sono pietre con le quali costruirai una chiesa”. Il giorno successivo una fiumana di gente attorno a don Orione e al vescovo prega e fa voto di erigere un santuario. La sera stessa stampa due pagine e le diffonde a migliaia di copie perché l’impegno del voto fosse condiviso più ampiamente possibile. “L’Italia. scrive, oggi, più che in altri tempi ha 4

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bisogno di Maria: dalla fede avita e dal culto di Maria il nostro Paese trarrà nuovi argomenti di prosperità e di grandezza; l’Italia ha bisogno oggi del braccio e del cuore di Maria. Poniamo tra le sue materne braccia questa nostra cara Patria, ormai provata da tanti dolori."5 Il primo novembre esce con il “foglietto popolare quindicinale” intitolato “La Madonna della Guardia” con lo scopo “di promuovere il santuario votivo insieme ad un’opera di carità, di pietà verso il prossimo”. Sì perché devozione mariana e opere di carità costituiscono, nella spiritualità di don Orione, un binomio inscindibile. La risposta dal cielo è puntuale come sempre: la guerra finisce al 4 novembre. L’anno dopo don Orione riesce ad organizzare proprio a san Bernardino la prima processione: “…Presi il coraggio a due mani e detti ordine di arrivare fino a San Michele che, del resto, è la parrocchia del santuario... Ma la gente era tanta che, arrivati a San Michele, si capì che noi eravamo i padroni di Tortona e bisognava almeno andare fino al duomo per poter sfilare bene. Indietro, certo, non si poteva andare, con quella fiumana…Era allora curato in duomo un sacerdote mio amico, don Ceveriati, il quale, vista avanzare la grande processione, aprì il portone del duomo. Allora mi voltai indietro e vidi tanti uomini da restare commosso... Capii che tutti sarebbero stati contenti e che si sarebbe potuto fare un gran bene..., capivo anche che bisognava chiedere il permesso, ma, come ho detto, non si prevedeva di andate fino al duomo. E così siamo entrati in duomo. Venne poi un sacerdote e mi disse- "Ma dica una parola a tutta questa gente, dica qualche cosa! " Fui invitato a salire sul pulpito, ma non volli farlo; mi avvicinai alla balaustra e presi una seggiola e ci salii sopra... Appena vidi tutta quella mareá di popolo attorno alla statua della Madonna della Guardia, proprio in quel momento sentii in me un 5

Scr.


qualche cosa a cui non avevo mai pensato. Ed è stato là, sotto le volte della cattedrale, davanti all’urna del primo Vescovo di Tortona, San Marziano, che abbiamo fatto come un giuramento e ripetuto il voto d'innalzare una chiesa, un santuario, da dedicarsi alla Madonna. E allora dissi quello che il Signore m'ispirava, e, finite quelle poche parole, sentii l'organo che sonava a pieni mantici, e sonavano le campane del duomo. Il sacrestano si era presentato a me e aveva detto: Um da sunà? ... - Ma sì, ma si, dagh na bela ciucada”6 Negli anni successivi la processione non si ferma in duomo, ma sale fin sul castello e dall’alto della torre don Orione infiamma i cuori. L’anno 1920 la processione sale nuovamente al Castello e quindi in cattedrale. La partecipazione è imponente: più di settemila persone in processione e circa cinquemila le comunioni. “Dall’alto della torre, racconta don Orione, ho benedetto Tortona e i tortonesi e, al grido di Viva Maria! Ho consacrato la città alla Madonna… la processione durò quattro ore”7 Nel 1922 la città di Tortona lancia l’iniziativa di un tempio votivo al Castello a ricordo dei caduti della guerra. Don Orione sospende la rivista Madonna della Guardia, e offre la sua collaborazione. Quattro anni dopo, caduta nel nulla l’iniziativa, riprende la pubblicazione della rivista e si mette in movimento per soddisfare al voto del 1918. La famiglia Marchese regala a don Orione un trapezio di terra al punto di confluenza di strade e rumorose che collegano Torino, Genova, Piacenza e Pavia. A differenza di tanti santuari che sorgono immersi nella pace della natura o sui monti solitari, quello della Madonna della Guardia è al centro della vita cittadina e del traffico. Il 23 ottobre il cardinale Carlo Perosi benedice e colloca la prima pietra. 6 7

- Dobbiamo suonare? - ma sì,ma sì, da una bella scampanata ... Scr IV, 212


I lavori di scasso per le fondamenta, iniziano solo due anni dopo, a causa di una grave malattia di don Orione. Andato a Torino per visitare e confortare una malata, torna a casa con febbre altissima e broncopolmonite doppia. I medici lo danno per spacciato. Il papa invia la sua benedizione e chiede di essere tenuto al corrente sul decorso della malattia; il cardinale la Fontane viene di proposito da Venezia per fargli visita; accorrono da ogni parte i suoi figli; autorità civili e religiose si rendono presenti con attestazioni di stima, auguri e ossequi; la stampa cittadina e nazionale si interessa del caso; incessanti sono le preghiere per la sua guarigione. Ad un sacerdote che lo va a trovare confida: “I medici dicono che io muoio, ma ti assicuro che non muoio! Ho ancora tante cose da fare…”8. E gli parla dell’erigendo santuario. Dopo alcuni giorni il pericolo è scongiurato. Durante la convalescenza don Orione ringrazia attraverso le colonne del bollettino della Madonna della Guardia e attribuisce la guarigione insperata all’intercessione della Madonna. E subito con gioia grande annuncia: “I lavori pel Santuario cominceranno quanto prima, e andranno a vapore. Anzi, in qualche modo, si può dire che essi sono già cominciati; e sono cominciati, non perché fu messa e benedetta dal Cardinale Perosi la prima pietra, ma perché ho già cominciato a pagare. Per le offerte avute da cuori generosi, da Amici e Benefattrici, ho già potuto versare, in questi giorni, pel nuovo Santuario, lire ventimila, in tanti biglietti da 1000 e da 500, che era un piacere vederli. Ventimila lire fatte su con tante piccole offerte di pochi centesimi, con soldini e nichelini, e poi anche con altre offerte che vanno da una lire fino a quei certi e comodi bigliettoni che allargano il respiro e ti riempiono il portafoglio. E' la Madonna che lavora i cuori, e li muove a dare. Ella fa tante grazie, getta consolazioni nelle anime, guarisce i malati, 8

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dà la concordia, la pace alle famiglie. Ed eccoti: viene a trovarmi una povera donna e mi porta l'obolo della vedova del Vangelo; viene la signora e mi dà per la Madonna un anello d'oro, un braccialetto d'oro e così via via; viene un'altra, ancora, che ne ha e che merita di essere tra le benefattrici insigni del Santuario, e mi dà 500 o 1000 lire. E così si va avanti, e si fa il Santuario… Il Santuario non è ancora cominciato, ma la Santissima Vergine della Guardia mi sta vicino, mi conforta, mi aiuta, cosicché lo già posso, a nome e per conto della Madonna, pagare in anticipo. Avete voi mai sentito che il ciabattino della Divina Provvidenza abbia pagato in anticipo? Oibò! Finché chi fa è solo Don Orione, tutti lo sanno, ci sono debiti da tutte le parti. Don Orione va avanti facendo come il treno: puf ! puf ! puf ! Ma altro è il ciabattino della Provvidenza e altra cosa è la Madonna: la Madonna è la Madonna! Essa paga puntuale e anche in anticipo. E si farà un Santuario così bello, così divoto e grandioso, che verranno da vicino e da lontano per vederlo. E non mi chiedete quanto costerà. Con la Madonna e per la Madonna non si fanno conti: vi dirò solo che la Madonna non ha mai fatto e non farà mai fallimento”9 “Ho ordinato a Genova la Statua della Madonna della Guardia, che sarà opera d'arte e di una bellezza celestiale”.10 Prima di intraprendere la costruzione del Santuario, va pellegrino sul luogo dell'Apparizione della Guardia, per implorare l'aiuto e la benedizione della Santissima Vergine su tutti e chiedere tutela e protezione sugli operai, maestranze e garzoni, che avrebbero offerto la loro fatica nell'edificare il santuario. 9 10

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“Voi mi direte: Ma, e lei non aveva timore di ricadere malato, Io no, che non avevo timore. …Per calmare alcuni dei miei, dissi loro che facilmente avrei presa una cavalcatura; ma pensate un po' voi se Don Orione poteva andare a trovare la Madonna su d'un mulo! A cavallo ci andrò, quando sarò in Brasile. Sentivo che la Madonna mi voleva, che mi chiamava là dopo tanti anni, e non pensavo, non sentivo altro che la Madonna. E salivo, piangendo di consolazione e pregando … Non sentivo la fatica, no, di parecchi giorni e notti di viaggio, non la salita, non il sudore: sentivo la Madonna!11 Don Orione ha pronto il progetto, le approvazioni necessarie, manca solo la benedizione del vescovo. L’inizio dei lavori è fissato per il 16 aprile 1928. Monsignor Grassi con una lettera diplomatica, per non dire fredda e distaccata, invia l’attesa benedizione. Nella buona notte del 15 aprile don Orione avverte: “Domani, dunque, partirete di qui, anzi, partiremo di qui, perché, in testa, voglio esserci io a guidarvi e a farvi strada, almeno idealmente... Partiremo di qui con gli strumenti del lavoro, con tutto quello che troverete utile e adatto al lavoro che vogliamo iniziare... Non si va alla conquista della terra, ma a fare un santuario, una chiesa che canti le lodi a Dio e della Vergine Santissima, che innalzi le sue guglie al cielo, che offra un asilo alle anime, a salvezza delle anime... Quindi, niente rispetto umano!... Tutto diventa grande, quando gli si dà l'intenzione e il fervore di un atto di culto, se tutto si fa come fosse una preghiera, una lode al Signore e, in questo caso, una lode specialmente innalzata alla Madonna... … Sentitevi orgogliosi di essere anche voi tra quelli che iniziano questo ciclo nuovo di attività santa della Congregazione... inizia quella che possiamo chiamare l'era mariana della Piccola Opera... …I Santuari sono come delle 11

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oasi nel deserto di questa povera vita… sono fari della luce che rischiara le menti … sono centri di irradiazione della misericordia divina e della bontà materna di Maria… sono sorgenti di ripresa spirituale, di fede, di ripresa morale per le anime … sono fontane da cui sgorga l'acqua della consolazione che porta a vita eterna”12 Al pomeriggio tutti in fila a quattro con gli attrezzi di lavoro, in processione dalla casa madre a san Bernardino lungo la via Emilia tra la meraviglia e gli applausi della folla improvvisata. I lavori vanno a pieno ritmo. Il giorno della festa, 29 agosto, don Orione celebra l’eucaristia nello sterrato. L’entusiasmo è alle stelle o molti si fanno presenti con piccole e grandi offerte, ma un gruppo di tortonesi, ben individuato, non è contento, ha da ridire, insinua, calunnia, fa circolare la voce che con la scusa del santuario, don Orione boicotta il tempio votivo cittadino. “Fui pur chiamato qualche anno fa, davanti ad una commissione di distinti cittadini, presieduta dal vescovo ... Si trattava del tempio votivo. Questo vostro povero prete era imputato di far opera disfattista, perché, dal 29 agosto 1918 aveva lanciato l'idea e promosso il voto a San Bernardino, e poi sotto le arcate della nostra cattedrale, di alzare un santuario a Colei che tutti gli afflitti invocano, Se la guerra finiva vittoria delle armi italiane… Ma la diceria indegna non è passata… Però è tempo di finirla, per la verità, non perché mi stanchi il patire ché io vivo di fede, di lavoro…” e questo nonostante le venticinquemila lire e la propria disponibilità messe a disposizione. In occasione del centenario del Concilio di Efeso e della proclamazione della madre di Dio, scelta da anni come 12

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titolo proprio dell’Opera, don Orione decide la pubblicazione di una rivista mariana di primissimo ordine, La Mater Dei,13 affidandone la direzione a Padre Antonio Trobaso. Padre Trobaso, abbandonato il sacerdozio fa una vita gaudente, lontana da Dio. Don Orione, non si sa da chi abbia avuto indicazione, lo raggiunge nella sua villa sul lago Maggiore: “Un giorno, mentre era a mensa in compagnia allegra, ecco al suo uscio un prete, il quale chiese alla domestica: - C'è il Padre tal dei tali? - Ma qui non c'è nessun prete: nessun padre ... rispose quella, stupefatta. - C'è! insisté con vigore Don Orione, il quale, rivivendo e sorpassando la situazione di fra Cristoforo nel celebre capolavoro - certo aveva uno speciale affidamento interiore entrò senz'altro nella sala da pranzo e, rivolgendosi in presa diretta al padrone di casa che ben riconobbe: - Sono venuto a prendere la tua anima - gli disse con vigore ma pure con amorevolezza grande - non resistere alla voce di Dio. E' l'ultima chiamata...”. 14 Gli uomini frappongono ostacoli, ma la Madonna vuole i santuario e non teme di intervenire in modo straordinario. Il peso della costruzione è sulle spalle di don Sterpi che segue, controlla i lavori quotidianamente. La salute non lo regge. Fa pena, è uno straccio. Un giorno, improvvisamente, ricupera la “Di quel glorioso avvenimento del 431 si avvicina il XV centenario; e, fra tanta voga e quasi moda di festeggiamenti centenari, è pur bene che fin d'ora si antiveda e prepari la celebrazione anche di questo che deve essere fra i più cari alle anime cristiane. E noi da tempo intendevamo appunto richiamarvi l'attenzione dei nostri lettori, quanto più si approssimava la data. Di che ora ci dà occasione non solo, ma quasi l'obbligo, forzandoci a rompere gli indugi, una opportunissima pubblicazione bimestrale, o “rivista mariana”, intitolata latinamente “Mater Dei” e designata quale organo del movimento per il XV centenario del Concilio di Efeso. Iniziata nel gennaio-febbraio dell'anno 1929 è ormai consolidata dal primo anno compiuto di vita non infruttuosa; si che ad essa noi possiamo pure rimettere i nostri lettori per ogni più ampia e continua illustrazione della grandiosa data e dell'argomento sublime da essa ricordato" 14 DOLM 277 13


salute e può riprendere il lavoro fino all’inaugurazione. Il segreto lo svela l’interessato: “Ieri (31 maggio 1929), alle ore 3 e 3/4, mentre mi trovavo nella mia camera da letto e stavo facendo un triduo alla Madonna, sentii un piccolo rumore; mi voltai, e vidi nella camera una persona vestita come una suora, vestita tutta di nero. Mi dice: - Alzati, che debbo parlarti. Don Orione ha bisogno di te per innalzare il Santuario della Guardia. Per il 29 agosto ( 1931) vuol vedere il Santuario innalzato; e tu devi aiutarlo. Chiamerai don Orione e gli dirai che pubblichi in tutti i giornali e tu devi andare a chiedere aiuti in tutti gli Istituti bancari, in tutte le fornaci e da tutti i devoti della Guardia; e poi, se vi manca, vi rivolgerete alla Regina, che vi fornirà di tutto. - Io allora feci la difficoltà: - Ma come? andare avanti alla Regina?- dissi sorridendo. E allora Essa disse: - Sì, davanti alla regina del cielo, la Madonna della Guardia. E sparve in un grande splendore ed io non potei trattenermi dal gridare e piangere, perché mi vidi sparire quella bella visione”15 Nei cantieri è sempre in agguato l’incidente, anche in quello di Tortona. “Era una bella giornata autunnale. Si lavorava alla costruzione del santuario della Guardia… Riprendiamo dunque, nel pomeriggio, il nostro consueto lavoro. Ma quando tutto volge al termine… faccio il solito lavoro di passar travi. … la tavola su cui poggiano i miei piedi mi segue nel pericoloso volo fino, a terra nella cripta sottostante… scosso da un tremendo colpo, mi trovo seduto in terra: certamente una mano misteriosa mi ha capovolto, interrompendo il volo a capofitto e raddrizzandomi prima di toccare il fondo cripta… faccio uno sforzo per alzarmi e sottrarmi allo sguardo impressionato dei compagni. Ma non mi

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è possibile… All’ospedale non mi riscontrano alcuna lesione grave”.16 I progetti di don Orione non si fermano al santuario. Parlando ai chierici confida: “qui sorgerà la città della carità… Il sobborgo di san Bernardino deve diventare la città della carità; faremo attorno al santuario una corona di opere… le opere della pietà e della carità” 17 Nonostante altre difficoltà i lavori procedono speditamente perché : “Più nessuno oramai dubita, non solo che la Madonna voglia il Santuario a San Bernardino, ma neppure che lo voglia presto, presto, e proprio in quest'anno… In parecchi modi, la Santa Madonna ha manifestato tale suo desiderio: mandandoci il denaro per gli operai, giorno per giorno, settimana per settimana - poiché non esistono fondi -, senza farcelo mai mancare; sciogliendoci da mille difficoltà di ogni natura; preservandoci dalle disgrazie e sostenendo nelle Sue Sante mani anche chi è caduto da altezze vertiginose; donandoci, inoltre, anche nella stagione più infida, cielo e clima propizio. Quando, nello scorso autunno e nelle prime settimane dell'inverno, si trattava di fare il tetto, onde poter continuare i lavori al coperto, il tempo ci ha talmente favoriti, che tra i contadini del nostro circondario si era largamente diffusa la convinzione che il cielo non avrebbe mandata la pioggia sino a che non fosse finito il tetto del Santuario della Guardia…”18. A giugno: “Ruit hora. - Il tempo precipita, e i lavori al nostro caro Santuario, più che alacremente procedere, furoreggiano! ché breve è il tempo e fugge! Una squadra di muratori lavora febbrilmente alle finiture esterne; già s'è potuto abbassare i ponti e le finestrelle di lassù, nel più alto, 16

DOLM 1533 Scr. 15.03.1929 18 DOLM 1573 17


con le loro cornici a mattoni rossi in paramano, fanno la più bella figura. Altra squadra d’operai attende ai lavori di finitura dell'interno. Gli, intonachi alle volte e pareti del tempietto e delle scalee, che salgono sino ai piedi della Madonna, e quelle del presbitero sono ormai finite; si lavora ora agli intonachi delle pareti del Santuario. Una terza squadra è applicata al pavimento della cripta, che e così vasta da formare una vera e propria chiesa. Il pavimento della cripta sarà ultimato in settimana; si passerà poi subito al pavimento del santuario; l'operosità dei nostri pavimentisti è tale che, in dieci giorni, anche la pavimentazione del Santuario sarà un fatto compiuto. Ruit hora! - E i falegnami? Pur essi febbrilmente, chi alle porte, chi alle finestre e altri alla sistemazione interna del Santuario…”19 Sono urgenti 8.500 lire: “« ... Oggi è sabato e anche Don Orione, se può, paga al sabato... e, per gli operai che lavorano al Santuario e per qualche altro conto urgente, avevo esattamente bisogno di 8.500 lire. … Invece stamattina non avevo in cassa che i pochi spiccioli per i miei poveri abbandonati. Per istrada, però, mi raccomandavo alla Madonna: "Mamma santa, pensaci Tu, ché il Santuario è Tuo. Mi ferma una connetta… in tutta segretezza, mi allunga poche lirette dicendomi:L'è pr'u so Santuari"20. Io ringrazio la contadina, la licenzio e poi ringrazio la Madonna con queste parole: "Grazie, cara Madonna, ma ho bisogno di 8.500 lire! Detta la Messa a San Bernardino, me ne ritorno verso la città pregando sempre, cocciuto come un bambino: "Madonna Santa, Don Orione, se può, paga al sabato; e oggi è sabato ed io ho proprio bisogno di 8.500 lire da dare a quegli operai che lavorano per il tuo Santuario." Ed ecco, mi ferma 19 20

DOLM 1576s E’ per il suo santuario


una persona, la quale mi consegna una busta: 8.000 lire. Tutto contento arrivo alla Casa Madre e dico a Don Sterpi: - Dunque, bisogna pagare quelle 8.500 lire agli operai. - Ma non c'è un soldo disponibile, osserva desolato, Don Sterpi. - Non è vero, ci sono qui invece 8.000 lire, me ne mancano ancora 500; non ci sarebbe modo di racimolarle? - Ho detto di no. - Eppure,... date a me quel vecchio messale. E' un vecchio messale che faccio servire da portafoglio vi metto dentro di tanto in tanto qualche biglietto, per averlo a tiro di mano per casi urgenti. Apro il messale ed ecco che balza fuori proprio un biglietto da 500 lire. La Madonna si vede che ha voluto darmi un saldo completo”21 Don Orione riassume la vera, spiegazione della riuscita dell'impresa della costruzione del Santuario - come di tutte le altre, cui pone mano in cinquant'anni di prodigiosa attività: “Si può dire che tutti questi mattoni del Santuario sono stati messi su a forza di Ave Maria; più che di mattoni, anzi, questo Santuario è stato innalzato con delle Ave Maria; è fatto di Ave Maria, più che di calce e di mattoni... Tutti i nostri Istituti, del resto, si può dire che sono stati impastati di Ave Maria e costruiti con le Ave Maria e ampliati e ingranditi con la santa fatica e con le Ave Maria...”22 E siamo alla fine: “Il Santuario, malgrado le difficoltà, quando fu l'ora e il momento di Dio, è sorto! A mortificare la nostra fretta, la nostra superbia, il Signore dispose che ci fossero anni d’attesa, ma poi e sorto come di getto "a miracol mostrare". Non è ultimato, no, ma già è bello come un fiore, monumento di fede, di riconoscenza e d’arte. Deo gratis! E

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DOLM 1578 DOLM 1585s


grazie a tutti, a tutti, a tutti! Viva l'Italia, Viva la Celeste Guardiana d'Italia!...”23 La benedizione e l’inaugurazione del santuario, precedute dalla novena predicata da don Galbiati, è un trionfo mai visto. La vigilia, dopo i fuochi artificiali più di 50 sacerdoti sono a disposizione per le confessioni, mentre in cripta c’è l’adorazione eucaristica. Alle ore 2 iniziano le sante messe, mentre continua ad affluire la fiumana di pellegrini dall’alessandrino e dal genovese. Per la circostanza la città è tutta imbandierata. Anche sul pennone della torre del Castello sventola grande la bandiera italiana. Un fremito di fede in esplosione di gioia pervade le migliaia di persone mentre la statua della Madonna processionalmente prende possesso della sua casa. A rendere solenne la celebrazione di monsignor Grassi oltre a don Orione e i moltissimi suoi figli ci sono padre Ignudi, don Galbiati, padre Trobaso. Il canto è affidato ai 400 seminaristi della Congregazione. Come a Lourdes la benedizione dei malati è un altro momento di grande fede; e fede e preghiera continua a raccomandare don Orione per strappare grazie e miracoli alla Madonna e a Gesù eucaristia. La processione, animata da sei bande della Congregazione, si snoda per tutte le vie della città, sale al Castello e scende in piazza duomo per la recita del credo a mano alzata. Ancora un’iniziativa singolare accompagna la Madonna: “Ed ecco uno spettacolo, nuovo a Tortona e, certo, unico al mondo. In testa alle schiere dei chierici e dei sacerdoti, è un numeroso gruppo di religiosi, di preti operai di Don Orione, in semplice veste talare; recano in processione gli strumenti del lavoro; gli arnesi con i quali essi, e tanti loro compagni, hanno costruito il Santuario. Carriole che aprono il 23

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quadrato, vanghe, badili, eretti come labari simbolici, picconi, zappe, corde, cinghie ed altro ancora. Sono trofei del lavoro cristiano! E' la riconsacrazione del lavoro! La folla, ammirata, sottolinea con applausi il loro passaggio.�24 Don Orione ricorda: “Quando ci dicevano che eravamo diventati pazzi fino al punto di portare i chierici con le carriole ed i badili in processione, non abbiamo inteso di fare delle stranezze: abbiamo portato quella popolazione di San Bernardino, che aveva un tempo aggredito l'episcopio, l'abbiamo portata alla cattedrale, e quando abbiamo chiamato il Vescovo al balcone, abbiamo inteso di far atto di riparazione. Quella processione che ogni anno parte dal sobborgo rosso di San Bernardino e va dal Vescovo vuole avere un grande significato...�25 E’ notte inoltrata quando don Galbiati in santuario tesse le ultime lodi a Maria e don Orione le ultime invocazioni.

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CAPITOLO XXX: E’ SEMPRE LA MADONNA

Narrando, nel 1933, ai, chierici l'acquisto del Paverano di Genova, ricordava: « Dunque, fatevi coraggio: io ho pagato il più, voi pagate ciò che rimane. Vedrete che la Provvidenza pagherà anche il resto... E' già da un poco che Don Orione aveva messo gli occhi addosso a quel manicomio e cinque anni fa mandai un nostro sacerdote genovese, che allora era ancora in borghese, e gli feci spargere delle medaglie della Madonna della Guardia e le sparse per tutto il recinto... » Nel 1938, parlando ai benefattori genovesi durante una visita ai poveri di Quarto Castagna, così si esprimeva: « Io voglio una gran cosa per Genova, così grande che quello che si è fatto non è che l'alba! Come a Genova vi è la città mercantile, la città degli studi, eccetera, così Genova deve avere la città della carità! Già sono stato sul posto e vi ho seminate le medaglie della Madonna della Guardia ed ho pregato così:”Cara, santa Madonna, io ti semino qui, perché tu vi faccia nascere la città della carità. Tu sei la Madre, la Regina di Genova, fa che la grande Genova, che è la Dominante, sia alla testa, non solo nelle vie del commercio, non solo nel campo dell'industria e sulle vie del mare, ma anche per le vie della carità di Gesù Cristo... » « Molte volte, uscendo con lui - ricorda un ex alunno -, mi faceva portare un sacchettino di medaglie della Madonna. Sapete perché? Per una conquista, per dilatare le tende della Divina Provvidenza. In questo modo, ad esempio. Una domenica andammo a Casteggio: Don Orione doveva far la predica per la raccolta delle pentole rotte... Arrivati a Montebello, pregò di fermare la macchina davanti ad una villa: quella dei Conti Lomellini. Mi ci fece entrare in modo


piuttosto... strategico, giacché la villa era chiusa, e mi disse di girare per il parco seminando le medaglie... Alcuni mesi dopo, la villa era un istituto di Missioni Estere della Piccola Opera.. » « Nel 1934 mi trovavo con altri nella casa di salute di Quezzi, e andavamo a cogliere l'erba per gli animali in una località detta i Camaldoli, ove sorgeva una villa e altri edifici che non godevano buona fama. Don Orione aspirava ad avere quella località per togliere quel male e per aprirvi un asilo per poveri vecchi e una casa di cura per tubercolotici. Non aveva, però, i mezzi né speranza di poterli avere, anche perché il Comune di Genova, data la posizione bellissima, voleva farne, di quegli edifici, un luogo di soggiorno. Don Orione un giorno ci chiamò, domandandoci se si andava ancora a fare l'erba ai Camaldoli ; avuta la risposta affermativa, ci disse: - Prendete queste medaglie; seminatele lassù, nei dintorni di quella villa... Là ci andrà la cara Madonna e vi apriremo una Casa per i poveri e i sofferenti... - Un anno dopo la sua santa morte, come è noto, divenne l'attuale Villaggio della Carità dei Camaldoli, dove è in grandissima venerazione la Madonna Causa Nostrae Laetitiae... » « Allorché Don Orione desiderò acquistare per gli orfanelli la Casa sul Castello di Tortona, poi denominata « Villa Charitas », nel giorno della inaugurazione, il venerato Padre ci chiamò tutti in cappella al Paterno e, dopo aver ricordato le precedenti vicende della Villa, disse Un giorno andai su con Marengo e abbiamo gettate delle medaglie della Madonna... Ed ecco ora che la Madonna ci ha aperte le porte di quella Casa. Guardate con diligenza entro la villa, nei pressi del muro di cinta, e troverete ancora le medaglie che abbiamo seminato e che, come vedete, hanno dato il loro frutto...


« Nel 1933 - ricorda il compianto Confratello Don Giovanni Dalla Libera - fui mandato da Don Sterpi a Milano, con altri chierici lavoratori, nella vecchia Villa Restocco per iniziarvi la ripulitura e riattamento: essa non era ancora definitivamente passata alla Congregazione. Nei venti giorni che rimasi a Milano, Don Orione non venne mai; tuttavia, mi mandò più di un centinaio di medaglie della Madonna da lui benedette, affinché le seminassi nella zona vicina alla Casa; al mio ritorno a Tortona, appena mi presentai, s'interessò subito se avevo seminato le medaglie: - Vedrai, disse, come frutteranno quelle medaglie... - S'informò quale fosse l'impressione suscitata nella gente dai lavoratori in veste talare e volle prendessi con lui il caffè: accomiatandomi mi assicurò che a Milano saremmo tornati. "perché – diceva tale era il volere della Madonna ". »1 Nel 1938, racconta ai suoi novizi a Villa Moffa di Bra: “Un anno, prima del 1900, ci siamo trovati a dover pagare alla Banca Popolare di Tortona oltre 25.000 lire per i debiti che avevamo specialmente col panettiere. ( ... ) Io mi raccomandai allora al Signore; quando capii,però, che il Signore non mi ascoltava, mi raccomandai alla Madonna. Prega e prega ... Vedendo che anche la Madonna faceva la sorda, mi venne un'idea. Mia madre mi aveva dato i suoi orecchini da sposa; orecchini, si sa, da povera donna, tanto povera che, oltre gli orecchini, quando poi moti non mi lasciò altro che un cassone con della biancheria usata, di quella tela ruvida, sapete, che usavano una volta i nostri vecchi. Pensai, dunque,di prendere gli orecchini e di appenderli alle orecchie della Madonnina della.Divina Provvidenza che abbiamo in cappella a Tortona. Salii sull'altare e, non ridete, bucai le

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orecchie alla Madonna... Pensavo tra me: -Ora ci sentirà, perbacco!”2 Naturalmente i soldi vennero-. Cosi: una donna, Marina Valsena, aveva deciso di portare venticinquemila lire -Mon Bosco a Torino. , In treno si sente dentro una voce: Perché a Torino? Potresti scendere a Tortona e, darli a quel povero diavolo di don Orione ... La voce insisteva. Scese a Tortona andò al Santa Chiara e contò, consegnandoglieli, uno su l'altro venticinque biglietti da mille dinanzi a don Orione stupefatto e commosso... “I coniugi Albino e Giuseppina De Giusti, e, per loro, il nipote cav. Guido Barbati cedettero all'Opera la casa di via delle Sette Sale e non fecero menzione di una stanza sita fuori perimetro, legata però all'edificio da servitù di passaggio. Avevano taciuto non già per cattiveria, ma perché convinti che la stanza stessa facesse parte di un capitolato diverso. Don Orione è a Roma in questa nuova casa… gli dicono che per quella sola stanza, se vuole anche quella, deve versare 30.000 lire in aggiunta alla cifra fissata dal contratto. Egli non sa come procurarsele… Nello stesso istante (7 marzo 1927, ore 15), nell'abitazione di via del Tritone, il cav. Vincenzo Salviucci sta riposando su un divano. C'è in quella camera… un quadro della Madonna. D'improvviso il cav. Salviucci si sente chiamare: Cencio! Cencio! Si sveglia. E' voce di donna. Crede che sia la moglie a chiamarlo. Le chiede un po' sorpreso: Bianca, che vuoi? Lei non lo ha chiamato, e lui si riaddormenta. Ma è subito risvegliato dalla stessa voce prima: Cencio! Nessuno dei suoi lo sta chiamando: non la moglie, non l'unico figlio Giulio, né alcuna delle figlie o delle persone di 2

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casa. Strano! Poi ancora, per una terza volta, in modo chiaro e ben distinto: Cencio! Cencio! Si scuote. Capisce allora che la voce singolarissima viene dal quadro. Vede che la Madonna si stacca dal quadro: va superando le dimensioni dipinte, si anima ed ;è viva. Egli la guarda meravigliato. E prova, dentro di sé, una consolazione soavissima che lo inonda di spirituale dolcezza. Ora la sente che gli dice: Dà trentamila lire a don Orione, che ne ha urgente bisogno! Il cav. Salviucci è uomo di fede, un cristiano autentico, delicatissimo di coscienza; ma è anche uomo positivo, tutt'altro che visionario, non facile a credere ai sogni. Persona seria, onestissimo, universalmente stimato: abile e preciso nei suoi interessi, ha, fatto affari per milioni. Ha il coraggio di chiedere alla Madonna che gli ripeta l'ordine ben chiaro, poi, che glielo ridica per una terza volta, trattandosi d’alcune decine di migliaia di lire e trattandosi di un affare diverso dagli altri. E la Madonna, compiacente, gli ripete per altre due volte l'invito Dà trentamila, lire a don Orione… Lui adesso le chiede di precisargli chi sia don Orione e dove abiti, poiché non lo conosce, né ricorda d’averne sentito parlare. E la Madonna gli precisa tutto con molta, bontà. Gli dice che don Orione le si raccomanda proprio per quella somma, di cui ella sa che ne ha urgente bisogno per ultimare un acquisto! Gli dice anche di che acquisto si tratta. Poi ritorna dipinta, nel suo quadro. Il cav. Salviucci, commosso, tace lì per lì della cosa coi familiari e prende tempo per accertarsi dei dati. La mattina dopo fa chiamare la figlia Virginia, che sta al piano, superiore. E le dice: Virginia, vammi a chiamare don Orione che gli devo parlare. Le dà l'indirizzo. La figlia prende un taxi e si porta alle Sette Sale. Non sa del fatto neppure ha il sospetto di eventi eccezionali; trova infatti ad attenderla lo stesso don Orione


sull'ingresso dell'istituto Divin Salvatore, pronto e in attesa di uscire, col cappello in mano e sorridente. Pare informato e le dice: Va bene: vengo subito!. Lei invece non sa nulla di lui, né della casa. Vi è giunta con le indicazioni del padre. Ed è la prima volta che lo vede. Don Orione sale accanto all'autista. E la giovane contessa riceve una prima impressione di confusa sorpresa. Le sembra un prete di campagna. Così veramente si mostra anche alle persone di famiglia, che sono all'ingresso a riceverlo… Lo accolgono signorilmente. Ma don Orione è semplice e sbrigativo. Chiede subito del padre, malato da tempo. E lo conducono a lui. Il padre fa cenno ai familiari di lasciarli soli. Poi chiede : - Lei è don Orione? - Sì, risponde: sono don Orione. - Lo vede quel quadro? - Don Orione guarda. Cerca di esprimere qualche vago giudizio: Si, dice: è bello è Molto artistico! - Bene, lo interrompe il cav. Salviucci, la Madonna del quadro mi ha detto che lei ha bisogno di trentamila lire: è per questo che l'ho fatta chiamare. Don Orione, appena sente questo, si getta ginocchioni sui pavimento per ringraziare la Madonna. Al tonfo accorrono le figlie e sono anch'esse testimoni del fatto avvenuto, perché il papà racconta tutto. Il cav. Salviucci resta poi nuovamente solo con don Orione: al quale prima chiede di volerlo confessare (« per sentirsi meno indegno - dice - di compiere gli ordini della !santissima Vergine »), poi gli affida la somma di 40.000 lire in due cartelle di 20.000 ciascuna: 30 per incarico della Madonna e 10 come offerta sua personale.3

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A. CESARO, Don Orione tra realtà terrestri e celesti, p 61ss


CAPITOLO XXXI: TRE GRANDI INIZIATIVE

Tre grandi iniziative accompagnano la costruzione del santuario di Tortona: la questua delle vocazioni, il presepio vivente e la raccolta delle pentole rotte. La Congregazione è in continuo sviluppo di opere; necessita di nuovo personale ben preparato. Seguendo una felice ispirazione, don Orione scrive una lettera aperta a tutti i parroci d’Italia. “… Vorrei venire da Vostra Signoria in persona, ma, poiché non m'è possibile, fidato nella Sua bontà, La prego di ascoltarmi benevolmente anche di lontano. Rimarrò grato alla Signoria Vostra, se vorrà coadiuvarmi nell'opera di ricerca di sante vocazioni; poiché di questo vengo appunto ad interessarla in Domino: vengo a far questua di vocazioni. E cerco specialmente giovinetti che mostrino desiderio di farsi sacerdoti o fratelli coadiutori, e siano disposti, col consenso delle famiglie, a far parte di questa nascente Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza. la quale, perché benedetta dal Vicario di Gesù Cristo e dai Vescovi, poté in breve estendere anche fuori d'Italia le sue tende a Rodi, in Palestina, in Polonia, nell’Uruguay, in Brasile e in Argentina. Essa è pronta ad accettare fanciulli poveri, purché diano buona speranza per la Chiesa. E li educherà, con l'aiuto di Dio, nella dottrina di Gesù Cristo, a solida e ignita pietà eucaristica, a fervido spirito di carità e di apostolato, assistendoli con cura particolare negli studi e nella formazione religiosa. « La messe è molta, ma gli operai sono pochi ». Fratello, diamo operai e buoni operai ai vasti campi della fede e della carità!


L'occhio esperto della Signoria Vostra avrà certo, ravvisato in qualche umile fanciullo un raggio di celeste vocazione: sono i piccoli Samueli che la Provvidenza Divina va ognora suscitando a servizio della Chiesa e per la dilatazione del Regno di Dio nel mondo. Io non vengo, no, a mietere: lascio che mietano i Vescovi per i loro Seminari; poi come quando ragazzo andavo con la mia povera madre a spigolare lungo i solchi solatii, vengo anch'io, in Nomine Domini, a raccogliere le spighe lasciate indietro, quelle umili spighe che potrebbero andare sperdute. E, con la divina grazia, cercherò di trarre anche da esse alimento e pane di vita per le anime. « Molti sono i chiamati al servizio dell'altare », scriveva quel gran Servo di Dio che fu Don Rua, ma molti si perdono, perché non sempre possono essere aiutati. Se, dunque, la Signoria Vostra avesse scorto, nei buoni fanciulli che frequentano la chiesa, un qualche giovinetto povero, forse un po' dimenticato, ma col candore dell'innocenza e i segni della vocazione al servizio di Dio, mi permetta che, umilmente, io La preghi di volermelo indirizzare. Abbiamo Corsi preparatori per quegli aspiranti che non fossero sufficientemente maturi per il Ginnasio. Userò a tutti ogni possibile facilitazione. La Santa Madonna mi aiuterà! Le vocazioni al Sacerdozio di fanciulli poveri sono, dopo l'amore al Papa e alla Chiesa, il più caro ideale, il sacro amore della mia vita. Misericordiosamente condotto dalla Divina Provvidenza per essi è cominciata questa « Piccola Opera »; per essi fu aperta la nostra prima Casa in Tortona, per quelli, cioè, che il Vescovo non aveva potuto, suo malgrado, accettare in Seminario. E Iddio ha dato incremento: quanti buoni Sacerdoti si sono formati, e anche dei Vescovi!


Per le vocazioni dei fanciulli poveri quanto camminare! Ho salito tante scale: ho battuto a tante porte! E Iddio mi portava avanti come il suo straccio. Ho sofferto fame, sete e umiliazioni le più dolorose: e pur parevano biscottini di Dio ! Mi sono anche coperto di molti debiti, ma la Divina Provvidenza non mi ha mai lasciato far fallimento. E avrei a grande grazia, se Gesù volesse concedermi, per le vocazioni, di andare mendicando il pane sino all'ultimo della vita. Pel carattere dunque proprio di questa nascente Congregazione, vengo in questua di vocazioni e anche di vocazioni tardive: sia pel Sacerdozio che per fratelli laici o coadiutori dei quali abbiamo grande bisogno, tanto in Italia che all'Estero, nelle Missioni e nelle Scuole pei figli degli italiani emigrati. Ricevo anche uomini fatti, purché liberi: contadini, artigiani, vedovi; basta siano di buona salute e di buona volontà. Tutti quelli che si sentono chiamati e validi a darmi una mano per esercitare l'Apostolato della Carità nei Collegi, Oratori festivi, nelle Colonie Agricole, nelle Scuole Professionali - Tipografie, Officine meccaniche, Falegnamerie, Laboratori d'arti e mestieri -, come pure negli Ospizi, Case di ricovero, che la mano della Provvidenza va aprendo a salvezza della gioventù o a conforto degli umili: tutti possono trovare la loro nicchia, il loro posto di lavoro, poiché in queste Istituzioni di Carità multae sunt mansiones. Chi persevera resta con noi, come in casa sua, da sano e da ammalato, per tutta la vita. Per i disingannati del mondo poi, che intendono darsi a Dio in una vita di raccoglimento, di preghiera e d’oblio, abbiamo gli Eremiti. Gli Eremiti della Divina Provvidenza vivono nella pace della solitudine, pregando e lavorando; e si ammettono aspiranti anche di giovane età, come già faceva S. Benedetto.


E poi? Poi non ho ancora finito, perché ho anche le Suore. La Divina Provvidenza giuoca da qualche anno. Essa mi venne sviluppando tra mani una nuova Congregazione di Suore, dette le Missionarie della Carità. E già sono sparse nel Piemonte, in Lombardia, nel Veneto, nell'Emilia, nelle Marche, a Roma ed in Calabria, e fino in Polonia. Quante siano, non lo sò. Sò che, in genere, le Suore sono un po' come le formiche: si danno attorno, crescono, si moltiplicano come le formiche. Però, al bisogno, sono sempre poche, perché ne chiedono da tutte le parti per Asili, Scuole Materne, Ospedali, Ricoveri di mendicità, eccetera. Ond'è che, se la Signoria Vostra mi mandasse buone vocazioni per Suore, Le sarei assai tenuto. Vi è pure una sezione di Suore per le vedove. Ho poi anche le Suore Cieche, sono Sacramentine . E poi... e poi, se la Divina Provvidenza continuerà a giocare, vedrete, tra pochi anni, cosa andrà a saltar fuori dalle mani del Signore. E' tutto Nostro Signore che fa, è Nostro Signore, direi, che giuoca. Colui che parlò per bocca dell'asina di Balaam, non ha trovato sulla terra creatura più misera di me, affinché si conosca che ogni bene è da Lui. Non cerco dote, non pongo limiti di età per nessuno; solo cerco che abbiano buono spirito, buona salute, buona volontà di amare e servire Gesù Cristo, di lavorare in umile obbedienza, di sacrificarsi nella carità, di fare del bene ai poverelli, servendo Gesù nei poverelli. Perché noi siamo per i poveri; anzi per i più poveri e più abbandonati. Veda un po', caro Signore e Fratello mio nel Signore, quanti pensieri vengo a darLe, quante persone viene a chiederLe questo Fra Galdino della Divina Provvidenza. Quel tal Fra Galdino del Manzoni si contentava di andare alla cerca, alla questua delle noci: io, invece - sarà colpa dei tempi che progrediscono! -, se Vostra Signoria non starà in


guardia, finirò di cercare e di portare via anche Lei... E chi sa mai?... Chissà se un giorno. . . Dio volesse ! . . . Per ora mi accontento di chiederLe umilmente di mandarmi delle vocazioni, buone vocazioni, molte vocazioni! Anime e Anime! - Cerco anime! Cerco, col divino aiuto e di Vostra Signoria, di far opera suscitatrice di buoni Religiosi, di santi Sacerdoti, di Apostoli. Chi non vorrà aiutarmi? Fatemi questa carità, per l'amore di Dio benedetto! Mi affido a Nostro Signore e alla intelligente bontà e zelo di Vostra Signoria. Di quanto farà, La benedica Iddio di una benedizione grande! Pregherò sempre per Lei, e Le prometto di esserLe grato, particolarmente all'Altare. Mi permetta ora di abbracciarLa fraternamente in osculo Christi, e mi abbia con ogni ossequio per Suo umile ed obbl.mo servitore e fratello in Gesù Cristo e nella Santa Madonna.”1 I parroci rispondono con tale generosità che don Orione non avendo più posto a Tortona è costretto ad aprire una dopo l’altra le case di Voghera, Campocroce di Mirano, Montebello e san Bernardino in Tortona. L’anno 1930 è l’anno del primo presepio vivente ripetuto due volte a Tortona, poi a Novi Ligure, a Voghera… Annuncia così la nuova iniziativa: “Una mistica e pittoresca novità avremo quest'anno a Tortona, novità interessantissima sotto la luce religiosa e poetica: … il gradito e gratuito spettacolo del Presepio vivente. … particolare memoria della Natività di Cristo per commuovere la gente a divozione e risuscitare belle e antiche costumanze religiose. Vi sarà la capanna e la mangiatoia col fieno, e Gesù sulla paglia, e il bue e l'asinello, vivi si intende, e il canto degli angeli, e risuoneranno antiche laudi italiane.

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E poi giungeranno i pastori vestiti in costume, con ai piedi le “ciocie”, e suoneranno la cornamusa, i flauti e la zampogna, e condurranno le loro pecorelle con gli agnellini. E davanti al presepio i bambini e le bambine buone diranno cose belle al santo Bambino… E tutto questo sarà in umiltà grande e semplicità e fervore di spirito.”2 A don Orione non interessa il folklore, ma servirsi di un linguaggio semplice, popolare coinvolgente per fare catechesi, rendere i misteri della fede comprensibili e attraenti attraverso questa forma di sacra rappresentazione, per salvare le anime: “E voglia Iddio sia questo il principio di fioriture di vita cristiana sempre più belle, più suggestive, più sante, che glorifichino Iddio e riaccendano un’alta luce di mistica poesia e di gentilezza che irradi dalla vetusta Tortona su plaghe lontane”.3 L’iniziativa riscuote grande interesse e partecipazione. Si para di più di 50.000 presenze. Il giornale “L’Italia” scrive: “'La vecchia Tortona, devota e fedele, ha oggi vissuta una indimenticabile giornata ... Oggi al presepio vivente e alla capanna di Gesù presso il santuario della Guardia furono migliaia e migliaia i devoti: si sono mobilitate più di cinquantamila persone, venute da ogni parte e con ogni mezzo a Tortona per assistere alla cavalcata dei re magi. Un altr'anno scrive don Orione - si spera di avere i ribassi ferroviari, e Tortona assisterà ad uno spettacolo religioso-artistico di prim'ordine, unico in Italia. E un'alta luce di fede, di poesia, di gentilezza irradierà dalla vetusta Tortona! Dio ci assista!”4 Associato alla manifestazione c’è anche un desiderio: “A coronamento del presepio vivente si pensò, dunque, a dare un pranzo a cento poveri, che poi diventarono centoventi; fu servito dai pastori in costume. Fede e carità. Il banchetto 2

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riuscì cordialissimo, presieduto da don Sterpi, e venne chiuso tra evviva alla Divina Provvidenza, a Tortona, al Presepio e ai benefattori, che largheggiarono nel pranzo ai poveri. La carità porta sempre buon frutto, diceva il Manzoni”.5 E’ l’amore alla Madonna, è il desiderio che tutti la preghino, che tutti la vedano che suggerisce a don Orione l’idea della costruzione di un’alta torre con una grande statua in metallo. Non tutti possono contribuire facendo offerte, ma tutti, anche i più poveri, hanno in casa qualche pentola di rame rotta che non usano più… Messe insieme saranno la madre di tutti. “ … vengo a farvi una singolare proposta: chissà che non sia un'ispirazione del cielo? Ecco: sul punto culminante del santuario dobbiamo alzare, o miei cari, una bella statua in rame della Madonna. Troneggi di lassù la Vergine santa, raggiante di luce, e guardi, difenda,conforti le nostre anime, le nostre famiglie, le nostre popolazioni. Nel 1931 ricorre il XV centenario della proclamazione del dogma della divina maternità di Maria. In quest'anno così memorando, adunque, dall'alto del nuovo santuario distenda più largamente l'immacolata madre di Dio il suo manto celeste sui vostri figli, sulle vostre campagne; prosperi i vostri interessi; benedica a Tortona, sempre forte e fedele, alle città e ai paesi dei dintorni, e diffonda una luce grande di fede, di bontà, di gloria su tutta la patria nostra. ( ... ) Mi direte: - Ma come faremo, in tempi di crisi economica generale? Oh, è presto fatto! Buona volontà ci vuole. Non vi cerco mica danaro; se me lo date, lo prendo, ma stavolta non vi cerco danaro. Vi cerco le pentole rotte! Sentite: non avete in casa qualche vecchia pentola o qualche pignattone di rame, che non ne fate più niente? qualche caldaia rotta, calderini, padelle, casseruole, tegamini, scaldaletti, qualche marmittone da regalarmi per fare la statua 5

Bollettino del Santuario 24.1.1931


della Madonna? Non avreste dei mestoli, schiumarole di rame, catini, secchi, pompe rotte da solfato, monete di rame fuori corso? Prendo tutto! I rami rotti o che non usate più, non li dareste in carità a don Orione per la Madonna? Su, aiutatemi, o brava gente! Lo sapete che sono povero, e che il danaro o la roba che mi date va tutta in opere buone: lo vedete! Aiutatemi, dunque! E dai rottami dei vostri rami balzerà fuori bella, devota la statua della santa Madonna: sarà maestosa, sarà artistica, sarà splendida, sul santuario, al bel sole d'Italia...”6 Inizia a percorrere le parrocchie e i paesi della diocesi in lungo e in largo a raccogliere rame, sì da meritare l’appellativo di “prete delle pentole rotte”. E’ difficile seguirlo nel suo itinerario e raccontare i fatti straordinari che avvengono. L’impressione che lascia ovunque è quella di uno che “quando parla vede la Madonna”. A Castelnuovo racconta “«Un giorno, trovandomi in forte angustia, mi rivolsi alla Vergine con questa confidenziale preghiera: - O Santa Madonna, Voi vedete in quale bisogno mi trovo... ; su adunque, aiutatemi voi, altrimenti facciamo brutta figura in due, io e voi: a farla io, brutta figura, non mi rincresce, perché la faccio sempre.... ma farla voi, mi rincrescerebbe troppo... Così pregai in camera mia. Dopo aver pregato molto, a sera, prima di addormentarmi, alzando lo sguardo allo scaffale dei libri, ne presi, come ero solito, uno a caso, che mi conciliasse il sonno, l’aprii e con grande meraviglia, mi saltarono fuori, ben piegati, in un pacchetto, 20 biglietti da mille,tanti quanti proprio ne avevo bisogno in quella circostanza…”7 Con la sua presenza, con la sua parola porta entusiasmo. E’ il cantore della Madonna che spesso ripete: “vorrei morire gridando: viva Maria”. 6 7

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A Novi Ligure trova un’offerta di metallo singolare accompagnata da uno scritto: “… Dunque, con delle pignatte rotte farà una bella Madonna più che intera. Avendo alcune palanche cinesi, le manderò a Lei. Così potrà dire che v'è del rame anche della Cina nella Statua della Madre Divina…”8

La raccolta riesce meglio del previsto. Don Orione non farà in tempo a coronare il suo sogno che diventerà realtà nell’agosto del 1958. Dopo tanta fatica, una pausa meritata. “Maria! Maria! Maria! … Il nostro più grande Concittadino mi parlava, un giorno, di musica, e ne parlava come sa parlarne lui… diceva che una delle attrattive della musica è costituita sapete da che? dalla pausa! La pausa è diversa dal finale, perché fa presentire, anche nel silenzio, che la musica continuerà. Nella pausa l'animo assimila, commentandole, le armonie che l'han preceduta e sta, vivamente sospeso, nella desiderosa attesa delle armonie che seguiranno. Non è un vuoto la pausa, aggiungeva, ma è un legamento tenue ed è un inizio: una sospensione piena di fremiti di vita latente e tesa. … dopo la pausa, il genio musicale del nostro Perosi sa trarre i pezzi, più belli. Avete mai udito gli oratori o qualche altra composizione perosiana? Dopo la pausa, a volte è il coro pieno, travolgente; a volte un motivo nuovo che s'insinua in quell'armonioso silenzio o ritorna lieve, lieve come una rievocazione lontana, il motivo dominante che lega e riassume tutta la mirabile composizione. … Ora, o amici miei, anche Iddio e le opere della sua Provvidenza hanno, direi, le loro pause. E una pausa hanno avuto i lavori attorno al nostro caro santuario, pausa dovuta vuoi alla stagione invernale, vuoi alla nostra povera borsa, che finì di trovarsi molto, ma molto in ribasso. Qualcuno, vedendo 8

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Santuario rimasto lì, non ultimato, e sempre con quell'ingombro di case davanti, avrà potuto scambiare la pausa pel finale. Ma no, cari benefattori, non è così: non fu un punto fermo il nostro, non è la fine: è solo una pausa! Anche il Santuario ha sentito i venti freddi della crisi, ma porta in sé una forza di fede, che vincerà audacemente tutte le difficoltà e pur le tempeste. Non temete: il Santuario votivo non può restare incompleto così, … né può essere sempre muto, senza campanile e senza campane: la santa Madonna ci aiuterà! Che volete? Era da aspettarselo! Avevamo fatto uno sforzo supremo, e siamo rimasti stremati, sfiniti: sì sentiva il bisogno di un pò di sosta, di sederci, di respirare, di un pò di pausa. Ma l'attesa, la pausa sta per finire: il cammino presto riprenderà, e sarà un cammino luminoso, luminoso tanto, ai raggi che piovono dalla fronte purissima della santa Madonna, sotto lo sguardo stesso di Maria! Ci siamo fermati un momento, ma fu pausa feconda; ecco, la musica già riprende: le armonie della fede, dell'arte, della santa fatica e della carità oh se riprendono! e con quale armonia! Ho visto le pietre muoversi ho udito arcani canti di cielo e fin le pietre conclamare! Ho sognato la Madonna: ho visto la Madonna lavorare con noi! E le pietre del Santuario e le opere di fede e di carità prendevano vita, fiorivano, cantavano insieme con noi conclamavano: Maria! Maria! Maria! E verso di Lei si alzavano, quasi Angeli, e insieme con gli Angeli, come anime quasi adoranti. Quanto era pura, quanto bella la Santa Madonna! Tanto sovranamente bella che pareva Iddio! Vestita di luce, circonfusa di splendori, coronata di gloria; era grande, era gloriosa della gloria e grandezza di Dio! Ma chi potrà dire di Te, o Vergine Santa? Che sarà dunque il paradiso?


Non era che un sogno, non durò che brevi momenti ancora mi sento come rinascere; è caduta la memoria delle amarezze passate, l'anima esulta, l'intelletto si rischiara, il cuore s'illumina e s'infoca di soavissima carità, provo una gioia estrema e non cerco, non bramo più altro! Te voglio, o Santa Madonna: Te chiamo, Te seguo, Te amo! Foco, dammi foco, foco di amore santo di Dio e dei fratelli: foco di divina carità che accenda le fiaccole spente, che resusciti tutte le anime! Portami, o Vergine benedetta, tra le moltitudini che riempiono le piazze e le vie;portami ad accogliere gli orfanelli ed i poveri, i membri di Gesù Cristo, abbandonati, dispersi, sofferenti, i tesori della Chiesa di Dio. Se sorretto dal tuo braccio potente, tutti io porterò a Te, o Beata Madre del Signore! Madre tenerissima di tutti noi peccatori, di tutti gli afflitti. Salve, o tutta bianca, Immacolata Madre di Dio: Augusta Regina! Salve, o grande Signora della Divina Provvidenza, Madre di misericordia! Salve, o Santa Madonna della Guardia Castellana d'Italia, dolce e benigna! Quanto sei grande, quanto sei pietosa! Tu sei onnipotente nel cuore di Gesù, Tuo Dio e Tuo Figlio, e le Tue mani sono piene di grazie! Ah, mille volte T'invoco e Ti benedico, mille e mille volte Ti amo! Morire, morire d'amore dolcissimo ai tuoi piedi immacolati, o Santa Madonna!9

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1 CAPITOLO XXXII: LE MISSIONI

Sono due gruppi ben distinti. A prua predomina il rosso e il violetto. 1 marinai scattano sull'attenti quando sale a bordo il Cardinal Pacelli, Legato pontificio al Congresso Eucaristico di Buenos Aires. A poppa, gran vociare e un discreto agitarsi di sottane nere attorno a un prete un po' confuso ed emozionato, i capelli bianchissimi rasati sulla grossa testa, gli occhi nerissimi che acquistano un rilievo particolare. Don Orione è in partenza per l'Argentina. Il « Conte Grande » leva l'ancora dal porto di Genova nella tarda mattinata del 24 settembre 1934. Durante la navigazione, il prete di poppa diventa in breve il personaggio più popolare e ricercato. Il Cardinal Pacelli, quando qualcuno gli si accosta per baciargli l'anello, si schermisce: - Andate piuttosto a baciare la mano a don Orione, che è un santo. Un giorno, una nobildonna si mette in ginocchio dinanzi al prete dalla testa rapata: - Padre, mi dia la sua benedizione. Don Orione arrossisce vistosamente, esita imbarazzato, anche perché scorge, a due passi, il Cardinal Legato. Il quale però lo rassicura: - La benedica, Padre, è mia nipote...1

*** Il sogno di andare in terra di missione, da lungo tempo coltivato, finalmente si realizza. Con la benedizione di Benedetto XV, che lo ha fornito di un passaporto diplomatico, il 4 agosto 1921, don Orione parte da Genova con altri due sacerdoti. 1

A. PRONZATO, Don Orione il folle di Dio, Gribaudi, 1989 p.335


2 Il 20 agosto è a Rio de Janeiro ospite delle suore di madre Michel, il 28 a Mar de Espana tra i suoi religiosi. Mentre si dedica all’espansione dell’opera, non trascura il ministero sacerdotale. “io ... piangevo - scrive - di amore a Dio e alle anime e di dolore nel vedere quel popolo senza sacerdote che battezzasse i loro bambini, che confortasse i loro malati, che benedicesse le tombe dei loro morti"2 Il 15 ottobre apre una casa a Rio de Janeiro. Invitato in Argentina da monsignor Maurilio Silvani, durante una sosta tecnica a Montevideo pone le basi di una futura missione. A Buenos Aires gli viene affidata la cura pastorale di una chiesetta dedicata alla Madonna della Guardia. Don Orione commenta: “avevo promesso alla Madonna della Guardia di costruirle una chiesa nelle americhe… mi ha preceduto, me la consegna bella e fatta”. Il 2 febbraio arrivano dall’Italia altri cinque religiosi che consentono un rapido sviluppo e nuove postazioni. Il 18 giugno inizia il viaggio di ritorno. Passano parecchi anni, necessari per lo sviluppo e l’organizzazione dell’Opera, prima che don Orione riesca a programmare un nuovo viaggio nelle Americhe. Il Congresso eucaristico internazionale è occasione quanto mai propizia. Lo spinge il desiderio di rivedere i suoi figli, la sete delle anime, l’opportunità di assistere ad un evento di fede straordinario… ma è anche liberazione dal peso insopportabile delle accuse e calunnie che lingue cattive mettono in circolazione. Tutti sanno, tutti parlano… e nessuno, neppure il vescovo spende una parola in sua difesa, in difesa della Congregazione. Non rimanendogli altra scelta per non far cadere il discredito sull’Opera, coglie l’occasione propizia e silenziosamente lascia Tortona e si “butta in mare come Giona”. La partenza è fissata per il 24 settembre 1924, insieme alla delegazione pontificia guidata dal futuro papa Pio XII. A 2

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3 salutarlo ci sono tutti: sacerdoti, chierici, assistiti, amici e benefattori. Tanti non nascondono le lacrime. "Vado in America, dice, deciso ad agire con molto coraggio. Cercherò di spingermi oltre le mete raggiunte: cioè nel Cile, nel Panamà, nel Messico, pregando il Signore di moltiplicare le sue opere. Parlo del Sud, ma non è escluso il Nord-America. Non certamente nelle grandi città...” Il viaggio va molto bene. Sulla nave personalità e passeggeri, indirizzati anche dallo stesso cardinale Pacelli, lo cercano come consigliere, consolatore e guida. Celebra, amministra sacramenti e soprattutto confessa ore e ore. “Nella traversata, scrive, nessuno di noi ha sofferto, tutti abbiamo potuto celebrare ogni giorno, e far opera di ministero: catechismi, confessioni, anche di adulti. Forse ne saprete già qualche cosa. il Signore mi chiamò ad essere come il confessore di tutti sul Conte Grande, venivano di giorno, venivano anche di notte: per me e per molti è stata un'ineffabile consolazione. il mare fu sempre tranquillo; fu un viaggio davvero felicissimo, sotto ogni riguardo”3. Una volta messo piede in America corre da un capo all’altro: saluta, incoraggia, consiglia, organizza, intraprende coraggiosamente nuove e grandi opere di carità a favore degli emarginati, degli ultimi. La partecipazione al Congresso, 10-14 ottobre, lo tocca profondamente. A distanza di mesi scrive: “Ho assistito al Congresso eucaristico internazionale di Buenos Aires: uno spettacolo ineffabile! Ho visto che cos'è, com'è grande la misericordia di Dio: più grande dei cieli! Ho visto decine di migliaia e migliaia di operai, di robusti lavoratori, di giovani, fiorenti di vita: medici, avvocati, ufficiali, professori d'università, deputati, ministri, confusi in colonne, confessarsi 3

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4 sulle piazze, lungo le vie, sui corsi di questa grande capitale! Più di 200.000 uomini, come un'immane, interminabile fiumana, avanzarsi compatti, pregando, cantando, e prostrarsi ai piedi di Cristo, adorare Cristo, ricevere Cristo, su la gran Plaza Mayo, davanti al palazzo del governo di questa nobile Repubblica Argentina. In quella piazza li ho visti fraternizzare, abbracciarsi in Cristo, giurare la loro fede, il loro amore alla Patria, piangere d'amore! Spettacolo unico al mondo! Che sentivano essi? Cristo! Chi c'era? Cristo c‘era, o fratelli; Cristo nostro Signore, che risuscitava in quei cuori; era Gesù, era il Signore, che passava su questa metropoli e scendeva tra il suo popolo.4 Dopo la parentesi e la ricarica spirituale del Congresso don Orione, nonostante i problemi di salute, riprende con entusiasmo la sua attività senza sosta: dall’Uruguay, all’Argentina, “Dall'Argentina andrò al Cile e al Perù, a Lima, chiamato da quegli eccellentissimi Arcivescovi e facilmente aprirò Case per i poveri nelle due capitali; ma prima mi recherò ancora… nell'Uruguay… per vedere le Case che ancora non conoscevo. Ho accettato una missione al Mato Grosso, in Brasile… Andrò al Mato Grosso anche per combinare bene ogni cosa col Vescovo di Corumbà. Questo tuttavia farò durante già il mio ritorno, fermandomi qualche mese in Brasile. Io avrei disposto così, ma poi farà il Signore, come meglio crederà: voglio stare nelle sue mani e nel suo Cuore.”5 Ricevuta la dolorosa notizia della morte del vescovo di Tortona, scrive: “…Oggi, davanti alla bara del Vescovo, vi posso dire, o miei figli, che la Piccola Opera della Divina Provvidenza è sempre stata agli ordini del Vescovo. … Tale fu 4

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5 l'ossequio verso del Vescovo, Padre, Pastore e Maestro in Israele, da mortificare in me, per divina grazia, diversità di carattere e di sentimenti anche non lievi, senza nulla sacrificare alla sincerità. …. il Vescovo avrà avuto servi fedeli, amici devoti, figli obbedienti come noi, si: non so se più di noi. Questo non è vanto ne superbia, è un insegnamento che vi do; questo è dare gloria a Dio nella verità, è dar gloria a Dio, che ci ha sempre assistiti, e in un'ora come questa, molto penosa per me e per voi.”6 Nel dicembre 1934 apre a Buenos Aires il noviziato per le suore che portano avanti l’Istituto Beata Imelda e il Collegio S. Caterina verso la Pampa, con le scuole elementari, il laboratorio di taglio e cucito, l’internato e l’oratorio. Il 6 gennaio in una lettera circolare esprime tutta la sua gioia per un’altra realizzazione: “Cari miei figli in Gesù, oggi, come già avrete compreso, scrivo in grande esultanza, poiché vi scrivo dalla nuova Casa di Lanùs - alle porte di Buenos Aires - Casa venuta a noi in modo veramente provvidenziale, quando ero in tanta pena per non saper dove aprire in Argentina il noviziato della Congregazione, così necessario per avere un personale religiosamente formato7. Il giorno dell’inaugurazione “Sul nuovo edificio sventolavano, in uno splendore di cielo e di sole, tre bandiere: l'argentina, la pontificia e il tricolore italiano"8 La stima e la venerazione che lo circondano è universale. Il 4 novembre religiosi e amici organizzano a Vittoria una festa in suo onore. Le autorità presenti si impegnano a sostenere le sue opere in ogni modo. L’11 è invitato a predicare nel santuario nazionale di Lujan in occasione dell’annuale pellegrinaggio degli italiani. Il vescovo 6

L. II, 118 ss. Il riferimento è ancora alle calunnie non ritrattate. L. II,155 8 L. II,198 7


6 di Corumbà gli propone una missione tra gli indios. In febbraio inaugura a Mar del Plata una scuola elementare, Il 17 partecipa alla festa per “la giornata del pescatore”. Il giorno seguente alla presenza di tre vescovi ed un pubblico qualificato, è chiamato a tenere una conferenza. E’ il seme del piccolo Cottolengo. La donazione di un terreno vastissimo, con villa e case coloniche, a Claypole si presta meravigliosamente per accogliere i più miseri e i più bisognosi. “La villa donata per il Piccolo Cottolengo è a quindici minuti dal noviziato di Lanùs: sono 21 ettari metà a frutteto e alberato bene, molta acqua, aria buonissima, asciutta, sull'alto, a Claypole”9 Per raccogliere consensi e adesioni più larghe possibili scrive un appello programma sullo spirito che anima questo tipo di opere di carità. Il manifesto inizia così: “Deo gratias! – Affidati alla Divina Provvidenza, al gran cuore degli Argentini e di ogni persona di buona volontà, si inizia in Buenos Aires, nel nome di Dio e con la benedizione della Chiesa, una umilissima Opera di fede e di carità che ha suo scopo di dare asilo, pane e conforto a « los desemparados »,- agli abbandonati, che non hanno potuto trovare aiuto e ricovero presso altre istituzioni di beneficenza…”10 Giornate piene, fruttuose per il regno di Dio e lo sviluppo della Congregazione. Nel diario della casa di Lanus si legge: “Tutti i giorni è occupatissimo. Vescovi, parroci, superiori d’altre Congregazioni, ufficiali, grandi signore, avvocati, ricchi, poveri vanno a gara per poterlo ossequiare, fargli visita, raccomandargli qualche cosa, qualche necessità, invitarlo nei loro appartamenti, nelle loro chiese e collegi per celebrarvi la Messa, per funzionare, per predicare, per comunicare, per confessare, per benedire un infermo, per predicare un corso d’esercizi, per assistere a un'adunanza. 9

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7 I Gesuiti, i Salesiani, l'opera del Cardinal Ferrari, i Fratelli delle Scuole Cristiane, i ministri di Stato, vanno a gara. Gli hanno offerto la radio e l'automobile, perché possa parlare e volare ovunque. Tutto Buenos Aires lo conosce. Ogni Istituto, sia religioso che nazionale, gode della sua visita. Quante fotografie gli prendono, e pubblicamente e di nascosto, per averle sempre con sé come un dolce e santo ricordo. Don Orione lascia fare e sempre si umilia dicendo: "Hanno la mania delle fotografie e di invitarmi sempre; che cosa volete che faccia? Il Signore si serve di me, così egli vuole perché si faccia del bene; se non fosse per fare del bene, avrei sempre rifiutato". In vista dell’ingresso di monsignor Melchiorri a Tortona, don Orione pur preso da mille cose, trova tempo di preparare una straordinaria lettera circolare intitolata “il Vescovo”. "Bisogna farne tante copie - scrive a don Sterpi il 2 febbraio 1935 - e mandarle ovunque e a tutti: nel giorno dell'ingresso del vescovo distribuirle a Tortona ... Così l'immagine del vescovo entrerà in molte famiglie e resterà. E si diffonderanno certi sani principi..." E’ tanto prezioso lo scritto che il nunzio apostolico ne cura la traduzione e invia copia a tutti i vescovi del sud-America. Leggendo in chiave di fede purissima la vicenda personale, in un passo dell’opuscolo scrive: “Il Vescovo non vede nemici; per Lui non vi sono che figli, e i più piccoli, i più umili, i più infelici sono a Lui più cari; per tutti Egli prega, per tutti ha parole di vita eterna, per tutti sale l'altare e offre il Sangue dell'Agnello immolato, che cancella li peccati del mondo”11. La sera del 26 aprile, festa di don Bosco in Argentina, parla per la prima volta alla radio e in lingua castigliana: “La Jota non riesco a pronunciarla bene, bisogna essere nati qui. 11

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8 E' la prima volta che parlo alla radio, ma è un mezzo da poter fare tanto bene, dunque converrà servirsene con la massima frequenza”12 Il 27 è in visita e ospite del capo dello stato che non solo offre un valido aiuto economico, ma accetta di fare con la consorte da padrino e madrina alla benedizione della prima pietra del piccolo Cottolengo. II giorno successivo, alla presenza di tre vescovi, d’altre autorità e di numeroso popolo il Nunzio Apostolico fa il discorso ufficiale e benedice la prima pietra. Comunicando la notizia don Orione scrive: “Qui abbiamo un clima verso la Congregazione favorevole, anche i lontani dalla pratica della vita cristiana e i senza fede ci favoriscono per questa opera di carità verso i più infelici che è il Piccolo Cottolengo Argentino”13 Vuole che tutto sia pronto per il giorno d’apertura. Raccomanda a don Sterpi di preparare e far studiare la lingua ai sacerdoti chierici e suore chiamati a prestare il loro servizio. Segue personalmente i lavori. Avuta una casa al centro di Buenos Aires come base logistica, non esita a riempirla di poveri in attesa che il 21 maggio s’inaugurino i primi due padiglioni. Un’altra casa, ad Avellaneda, il 2 luglio apre le sue porte a poveri e ammalati. La sua popolarità è amplissima. L’anticamera brulica costantemente di persone in paziente attesa di potergli dire una parola, domandare un consiglio, ricevere una benedizione. L’attesa spesso si protrae per ore. Sono vescovi, preti, professionisti, membri dell'alta società e gente dell'umile popolo. Don Orione si dà a tutti, senza risparmio. Dice si a tutti. E’ pronto a soddisfare qualsiasi richiesta…

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Scr 27.04.19355 Scr. 1.05.1935


9 Un giorno si presenta alla porta un ricco signore, dell'aristocrazia di Buenos Aires. Fa chiamare fratel Fogliarino, autista e interprete di don Orione, e gli sussurra all’orecchio che sarebbe urgente far venire l’uomo di Dio al capezzale di un povero ammalato. - Stia tranquillo, don Unzuè - risponde subito l’interpellato don Orione, quando si tratta di malati lascia tutto e corre... - Ho l'automobile qui fuori …non si tratta veramente di una persona ammalata, bensì di un cavallo da corsa che vale molti soldi… Che ne dice verrà don Orione? - Lasci fare a me risponde l'altro che ha fiutato l'affare. Di li a pochi istanti don Orione, armato di rituale, acqua benedetta ed aspersorio, esce dalla stanza delle udienze e scusandosi con quelli che fanno anticamera, sale in macchina e via nel traffico di Buenos Aires. Il viaggio è lungo. La macchina sfreccia verso la periferia. - Ma quando arriviamo? ... chiede don Orione, preoccupato di non arrivare in tempo presso il povero... moribondo... - Ancora un pò più avanti, signor direttore! Giunti presso le stalle dell’ippodromo fratel Fogliarino con tutta la delicatezza del caso, confida a don Orione che si tratta di benedire un cavallo da corsa che vale molti soldi… Don Orione fa buon viso a cattivo gioco, Un ampio sorriso quasi a sbloccare la situazione un tantino imbarazzante, specie per l'invitante: in fin dei conti - dice - noi preti abbiamo il potere di benedire anche gli animali. C’è scritto nel rituale... Grande sollievo dei due compagni di viaggio e complici di quella strana avventura. Don Orione entra nella stalla, recita la formula di benedizione, asperge con acqua benedetta torna a Calle Pellegrini. Il signor Unzuè, ringrazia e offre diecimila pesos.14 Somma utilissima per coprire alcuni debiti urgenti.

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Quanto allora bastava a comperare 400 ettari di terra o mille animali da carne, Come ci spiega chi riferisce l'episodio.


10 Ricordando l’episodio, poco tempo dopo, don Orione, tra il serio e il faceto dice al suo intraprendente autista, prorompendo in una scrosciante risata: non ci sarebbe qualche altro cavallo da... benedire?" Nella vita di don Orione lo straordinario spesso si confonde con l’ordinario. Sono molti gli aneddoti che si riferiscono a questo periodo. Ne ricordiamo qualcuno. Il 25 ottobre 1935, nella notte una luce gli si accende e si spegne varie volte, da sola, in camera davanti alla statuetta della Madonna del Carmine: egli prega e alla fine riflette che proprio in quell'ora a Tortona, per la prima volta, prende possesso della parrocchia di San Michele un suo religioso tanto devoto della Madonna, don Candido Garbarino, a conclusione del travagliato periodo d’opposizioni e di dolori. “Ho pensato che la Madonna del Carmine volesse che anch’io, di qui, prendessi parte alla sua festa e alla vostra gioia e che anche fosse un piccolo segno di sua soddisfazione per quanto si e sofferto in pazienza e in silenzio, e usando ogni carità, per la faccenda di San Michele...”15 Nel luglio successivo, di primo mattino gli succedono fatti strani, si che la messa sente di doverla dire per l’anima del card. La Fontaine: al termine gli viene consegnato un telegramma che ne annuncia la morte. Il 9 novembre 1935 gli pare di vedere un vento furioso che abbatte e sradica le piante nel giardino della Casa Madre di Tortona: "Si trattava della Congregazione, spiega a Don Sterpi, io sentivo che dovevo correre ad implorare misericordia per la mia vita e per la Congregazione, e corsi in cappella, e mi distesi lungo in terra senza entrare, ad implorare perdono e misericordia... Mi sono svegliato impressionatissimo... Ordinate incessanti preghiere per la mia conversione e di tutti La santa Madonna ci assista..." 15

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11 La Congregazione continua ad espandersi a macchia d’olio: a Iasper Indiana (USA) una casa per i poveri, nel Galles per l’assistenza agli emigrati italiani, a Rosario di Santa Fè le scuole elementari, a Itatì il santuario e la parrocchia, a Santiago e a Valparaiso case per giovani bisognosi e figli di emigrati italiani, a Santiago il piccolo Cottolengo, a Mendoza la casa di ricupero per ragazzi difficili, in Calle Directorio 2052 il collegio per piccole sordomute, a Rosario nel quartiere più povero una scuola completamente gratuita e l’annessa parrocchia, a Buenos Aires la scuola elementare e media per fanciulli poveri, è in vista, almeno come proposta, un lebbrosario… e la serie potrebbe continuare. Anche nelle lontane Americhe come in Italia organizza il gruppo e gli incontri degli amici e dei benefattori. Il lavoro svolto è tanto, quello che rimane è ancora di più. “E' venuta l’ora, cari miei, che … cominci anche pel Sud America, l’epoca del dinamismo e l’era eroica ed apostolica della Congregazione… Vivere vuol dire espandersi: chi non guadagna, perde: chi non avanza, indietreggia. …Gli ostacoli si superano con la fede, col coraggio con l’entusiasmo, con l’apostolicità. …ho bisogno, figli miei, d'essere capito, d'essere seguito, d’essere secondato e, direi, sorpassato. Non ho bisogno di sciupare le mie ultime energie nel galvanizzarvi!” In occasione della festa di san Giuseppe invia ai poveri e ai benefattori del piccolo Cottolengo genovese la sua voce. “due dischi, uno è una specie di canto della carità, attuato giù l’altra notte, e in poche ore … così per la conferenza a Genova, non potendo io essere presente, i benefattori e amici sentiranno almeno la mia voce. Ieri la mia voce era un pò stanca, ma qualche cosa c’è…”16 16

Lettera 07.03.1936


12 Alcune espressioni: “Sostenuto dall'aiuto di Dio, dalla benedizione del Papa e dei Vescovi e dal vostro valido appoggio, io lavoro in umiltà ai piedi della Santa Chiesa a dilatare le tende della carità di Cristo, a salvezza dei figli del popolo e di emigrati italiani, ed a conforto degli infelici più abbandonati… a partire da Cristo, la religione diventò ispiratrice di carità e con lei è talmente congiunta, che Cristianesimo senza carità non sarebbe che un'indegna ipocrisia. … Il nostro Dio è un Dio appassionato di amore, Dio ci ama più che un padre ami il suo figlio, Cristo Dio non ha esitato a sacrificarsi per amor dell'umanità. Nel più misero degli uomini brilla l'immagine di Dio. Chi dà al povero, dà a Dio e avrà dalla mano di Dio la ricompensa… Oh ci mandi la Provvidenza gli uomini della carità. Come un giorno dalle pietre Dio ha suscitato i figli d’Abramo, così susciti la legione e un esercito, l’esercito della carità, che colmi d’amore i solchi della terra, pieni d’egoismo, d’odio, e calmi finalmente l'affannata umanità. Già troppo odiammo, ha cantato pure il Carducci, amiamo. Siamo apostoli di carità, soggioghiamo le nostre passioni, rallegriamoci del bene altrui come di bene nostro, in cielo sarà appunto così, come ce lo esprime anche Dante con la sua sublime poesia. Siamo apostoli di carità, d’amore puro, amore alto ed universale; facciamo regnare la carità con la mitezza del cuore, col compatirci, con l'aiutarci vicendevolmente, col darci la mano a camminare insieme. Seminare a larga mano, sui nostri passi, opere di bontà e d’amore, asciughiamo le lacrime di chi piange. Sentiamo, o fratelli, il grido angoscioso di tanti altri nostri fratelli, che soffrono e anelano a Cristo; andiamo loro incontro da buoni Samaritani, serviamo la verità, la Chiesa, la Patria, nella carità. Fare del bene a tutti, fare del bene sempre, del male a nessuno!”Fiat! Fiat!


1 CAPITOLO XXXIII: FILO DIRETTO CON L’ITALIA

La moglie del presidente della Repubblica Argentina presenta personalmente al Piccolo Cottolengo la domanda di ricovero di un malato. Il direttore spiacente deve rispondere che la lista d’attesa è lunga e va rispettata. Passano le settimane, passano i mesi, ma di posti liberi neppure l’ombra. Al momento giusto, neanche a farlo apposta, si decide di dare la precedenza ad un caso urgente. La moglie del presidente si dimostra pubblicamente contrariata per questa decisione. Non vuole assolutamente accettare che uno dei componenti la lunga lista di attesa, da lei raccomandato, venga posposto all’ultimo arrivato. “Signora, risponde don Orione, questa persona è già stata favorita dalla Provvidenza perché ha la moglie del presidente che la protegge… ho sentito perciò il dovere di dare la precedenza a chi non ha tale privilegio”.

*** E’ difficile capire come don Orione riesca a portare avanti tanta attività e seguire contemporaneamente lo sviluppo in Italia, e in particolare, la formazione degli aspiranti alla vita religiosa e al sacerdozio. Il ritornello è sempre lo stesso: formazione seria, forte, esigente, virile, generosa ed entusiasta. Alcuni testi sono quanto mai eloquenti. “A voi dico: scuotete la pianta e fate cadere le foglie che non fossero ben attaccate: non aspettate, fate questo subito: questo vi dico nel nome del Signore. Sono contento si siano tenute le ordinazioni, ma non si promuovano che quelli i quali hanno un vero spirito di fede,


2 sicura vocazione, spirito d’umiltà, d’orazione, di sacrificio: se non siete più che sicuro, non promuovete, non promuovete. Liberate la Congregazione dagli sfruttatori e dalle sanguisughe: i nec nec guastano gli altri e pregiudicano terribilmente, sono come i malati contagiosi. Vi raccomando molto questo”1. “La troppa tolleranza infiacca il corpo della Congregazione, indebolisce gli spiriti e produce nelle case un male contagioso, un malessere morale deleterio”.2 “La nostra Congregazione ha bisogno d'essere non solo una forza religiosa, una forza di fede, una forza di carità, una forza d’apostolato per le anime ma anche una forza dottrinale, una forza di sana e purissima e forte dottrina filosofica e teologica. Essa, la Piccola Opera, deve portare tra le mani e sul cuore i santi Evangeli e san Tommaso; - né la sana dottrina nuocerà alla fede ma la sosterrà - non nuocerà alla carità, ma la alimenterà, renderà più efficace e fruttuoso l'apostolato per le anime. Ora tutti sanno, sapranno male, ma sanno -: è di suprema necessità essere forti e ben corazzati a difesa della fede e della Chiesa. Non sarà l'ignoranza che ci farà santi, ma molto gioverà a portarci a Dio non solo la virtù dell'umiltà e della carità, ma la scienza di Dio”3 Per fare sentire la propria vicinanza nel giorno della festa della Madonna della Guardia nel 1934 si mette in comunicazione via radio. Stranamente dopo le prime parole, l’apparecchiatura piazzata in duomo, rimane muta… L’anno successivo, per non essere nuovamente boicottato, invia un disco con un’esortazione ed una preghiera bellissima alla Vergine.

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3 “…Oh, lasciate che la gioventù, nell'alba rosea e fiorente della vita, guardi alla Vergine celeste e, da questa dolce visione, tragga quel vigore che le sarà scudo di illibatezza… Oh qual scuola di vita aperse a tutte le generazioni umane, Maria Santissima ! Fu povera, dimenticata, negletta: e tutte le genti la diran beata! - Son passati venti secoli, e non ottenebrarono i raggi della sua gloria… E quale viva sorgente di grazie, di consolazioni, di santità è Maria ! Quanti, ai piedi di Maria, trovarono conforto! Non avesse fatto altro, la devozione a Maria, che asciugare le lacrime di tante spose, di tante madri, di povere fanciulle tradite, non basterebbe per benedirla? Oh quanti, nella tempesta delle passioni, hanno ritrovata la calma, hanno avuto luce, forza, vita da Maria! Quante famiglie devono a Maria la salvezza dei loro cari, la pace, 1’amore, la concordia Quanti traviati, quante anime ha salvato questa gran Madre di misericordia. … Deh ! Ti supplichiamo, o Signore, che, celebrando noi oggi le virtù della Tua gloriosa Madre e sempre Vergine Maria, ci soccorra l'augusta sua intercessione, sì che, agli splendori del suo volto, camminiamo la via della umiltà, della purezza, della carità. …. O Vergine Madre, ricordati di noi, al cospetto di Dio; parla al Tuo Divin Figlio per noi peccatori; per noi offri le Tue lacrime, o santa Madre del Signore! E che io pianga, tra le tue braccia materne, le mie grandi miserie, pianga di dolore, pianga di amore; confonda, con le Tue, le mie lacrime, e tutto il mio pianto col Sangue di Gesù, mio Dio e mio Amore! Che questo tuo povero figlio, o santa Madonna della Guardia, sia in vita, in morte et ultra, il pazzo della carità, l'inebriato della Croce e del Sangue di Cristo Crocefisso!” Un altro lavoro che porta avanti ostinatamente, per ottenere l’approvazione pontificia della Congregazione, è la stesura del testo delle Costituzioni, in particolare del primo


4 capitolo che riguarda il titolo, il fine specifico e le opere. Prega, scrive, corregge, aggiunge postille, invia una prima stesura a don Sterpi del primo capitolo e, successivamente, quella definitiva nella quale stabilisce: 1. Il nome della Congregazione: Piccola Opera della Divina Provvidenza, ossia: Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza. 2. Il fine primario e generale: la santificazione dei suoi membri, mediante la osservanza dei tre voti semplici di povertà, castità e obbedienza e di queste costituzioni. 3. Il fine particolare: a. diffondere la dottrina e l'amore di Gesù Cristo, del Papa e della Chiesa, specialmente nel popolo; b. E ciò con l'Apostolato della carità tra i piccoli e i poveri, mediante quelle Istituzioni ed Opere di misericordia più atte…4 4. E’ possibile un quarto voto, di consacrazione al Papa, avente speciale obbligo di servire in tutto e per tutto al Romano Pontefice

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In una precedente stesura il fine specifico della famiglia religiosa veniva determinato con una lunga e interessante elencazione di attività: … e ciò mediante opere di misericordia spirituale e corporale e le seguenti istituzioni, destinate sia all'educazione e formazione cattolica della gioventù più umile e derelitta, sia a condurre le turbe a Gesù Cristo e alla sua Chiesa, per le vie della carità: oratori festivi - patronati - doposcuola - esternati -pie associazioni - centri e circoli di Azione Cattolica per fanciulli, aspiranti, giovani, studenti e operai -istituzioni per uomini cattolici e patronati operai -scuole di religione - scuole e collegi, sempre per fanciulli poveri Scuole agricole, professionali, commerciali, industriali e magistrali - opere di prevenzione per minori abbandonati - riformatori - istituti pei figli dei carcerati - case di redenzione sociale -segretariati - patronati per carceri e ospedali - ricoveri per orfani e deficienti - case di Divina Provvidenza per minorati di ogni genere e pei rifiuti della società - lebbrosari e lazzaretti - case di riposo per la vecchiaia - cattedre ambulanti popolari di propaganda religiosa - stampa biblioteche popolari - scuole di propagandisti - scuole per la formazione di pubblicisti cattolici - catechismi - predicazioni - pellegrinaggi - opere di prevenzione contro la propaganda protestante - circoli militari - opere sportive - scuole apostoliche - istituti missionari - seminari per provvedere vocazioni ai Vescovi e alle loro diocesi - convitti ecclesiastici - ritiri sacerdotali - case di santificazione per il clero... - e quelle opere di fede e di carità che, secondo i bisogni dei paesi e dei tempi, piacesse alla Santa Sede di indicarci, come più atti a rinnovare in Gesù Cristo la società.


5 ... Resti dunque ben determinato che questa piccola Opera, … è per i poveri, nei quali vede e serve nostro Signore Gesù Cristo… Nel periodo di permanenza in America persone poco benevole fanno un’altra bella sorpresa a don Orione: il regalo del visitatore apostolico. Ma quella che doveva essere, secondo i male intenzionati, la fine della Congregazione, diventa un momento di grazia. In una lettera riservata don Orione scrive: “Questa visita è, e dobbiamo ritenerla come una grazia straordinaria del Signore, per quanto possa essere stata provocata da ricorsi, che non mi furono fino ad oggi, comunicati, di persone non bene affette alla Piccola Opera, ed ostili a me personalmente e si sia aspettato che fossi lontano… Non affliggiamoci, ma amiamo di più il Signore e la santa Chiesa, Benediciamo il Signore in tutto e per tutto quello che Dio vorrà disporre o permetterà: certo sarà tutto per il nostro bene . Amiamolo il Signore negli amici e amiamolo nei nemici, piccoli o grandi, preghiamo per tutti e per chi ci fa soffrire: adoriamolo, il Signore, sempre, ringraziamolo sempre nel silenzio, nella speranza e in carità grande; ci cavassero anche gli occhi, basta che ci lascino il cuore per amarli… il Signore c’è anche per i poveri Figli della Divina Provvidenza: in te o Signore, ho sperato: non resterò deluso in eterno”.5 L’accoglienza del visitatore è tutta di fede: “Oh, bene venga il mandato del Signore e dell'apostolica Sede! Col divino aiuto lo seguiremo allegramente, e niente ci sarà più dolce che di ascoltarlo, ubbidirlo e amarlo nel Signore. ...Già gli ho manifestata la mia letizia: già ho posto me e tutti voi, miei cari figli, nelle mani della sacra Congregazione dei religiosi e del

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6 Visitatore apostolico: ho assicurato che saremo sempre felicissimi di qualunque provvedimento che sarà preso.”6 La fama di santo, di taumaturgo, di profeta lo accompagna ovunque. Un giorno dopo aver visitato le numerose e belle chiese di Buenos Aires “povero cardinale, esclama, gli toccherà vedere molte di queste chiese saccheggiate e incendiate!”7 Per fare del bene è disposto a cambiare i programmi, al sacrificarsi, a mettersi anche in situazioni di rischio: “Ho sospeso il viaggio nel Chaco, scrive a don Sterpi, per non abbandonare un infermo che morì il 18 e al quale difficilmente avrebbe potuto avere accesso altro sacerdote: ha ricevuto tutti i sacramenti ed è morto bene”.8 Non si contano le anime strappate al demonio e ricondotte a Cristo attraverso la confessione, i sacramenti, e gli esorcismi. Don Orione ne racconta uno a compiuto a beneficio della figlia di un grande luminare della medicina in Buenos Aires: “Cominciai l'esorcismo; quella persona correva tra i banchi come un serpe, a zig zag, come gli uccelli notturni, come i pipistrelli a sera; passava tra un banco e l'altro senza urtarli, senza farli cadere. Non poteva uscire, perché erano chiuse le porte, e la tenevano forte, la legarono ; ma tutto era inutile. Non mi fu mai possibile far dire all’ossessa: - O Maria concepita senza peccato… Il Signore poi la liberò e mori dopo alcuni mesi.” 9 Conosciamo un altro esorcismo nella casa di Carlos Pellegrini: « … Vennero alcune monache da me, mentre ero in America, a dirmi che avevano una consorella in noviziato che era indemoniata. Insisteva la superiora e diceva: - Venga, la 6

L. II,377 La visita durerà fino alla morte del fondatore. Il Visitatore svolge effettivamente un vero servizio a bene della Congregazione. 7 Cosa che realmente avvenne nei moti insurrezionali che sconvolsero l’Argentina nel 1955. 8 Scr. 19,242 9 DOLM 2072


7 esorcizzi... - Io dissi tra me: Possibile! Ma che mi prendano proprio per una specie di stregone!... Anche ad essa feci ripetere la giaculatoria "O Maria concepita senza peccato..." Dì su insistevo -: 0 Maria, concepita senza peccato... - Non ci fu verso: non volle ripetere quella giaculatoria... Quell'ossessa si volgeva a me in dialetto mio, rimproverando ì difetti fisici dei miei paesani..., - e si volgeva al Tabernacolo e diceva: Sono più forte di te... - Ma - ribattevo io - non sei più forte di Gesù Cristo: è qui, è Lui che ti scaccerà... - Mi diceva: - Non mi guardare! -E io fissavo allora lo sguardo in quegli occhi infuocati e ripetevo le formule degli esorcismi…: - Quanti siete? - Siamo in tre…- Ti scongiuro per Dio vivo, per Dio vero, per Dio santo.... Cristo Dio ti comanda di uscire; non sei più forte di Gesù Cristo... Quando, dunque, ero quasi disperato di riuscirvi, mi misi ad invocare, con i presenti, la Madonna... Ed ecco improvvisamente, con una vociaccia d'uomo, quella poveretta mandò un grido, e cadde. Pensavo : sarebbe bella che poi sui giornalacci di qui - dove c'è tanto culto dello spiritismo pubblicassero che io ho ammazzato una donna con le mie stregonerie... Poi però, per fortuna, quella rinvenne, e non si ricordava né di quello che aveva detto né di quello che aveva fatto. … Le feci ripetere la giaculatoria O Maria concepita senza peccato... Era guarita”10 Oltre ai malati dello spirito accorrono a lui anche i malati del corpo. E come sempre don Orione accoglie tutti, preferendo gli ultimi. Riceve una telefonata che due portatori di handicap mentale sono arrivati alla stazione con addosso un cartello ben visibile: “Pequeno Cotolengo Argentino”. Don Orione va ad accoglierli personalmente. Ancora oggi non si conosce il mittente.

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DOLM 2073 s


8 Un'altra volta trova per strada un poveretto… è un caso urgentissimo. Immediatamente telefona al direttore di Claypole e gli chiede: - hai un letto libero? – Si, risponde l’interpellato, quello dove dormo io. – Va bene, riprende don Orione, ti mando questo povero disgraziato. E’ un caso urgente. Anche in America accosta volentieri e stringe amicizia con i personaggi del mondo della cultura e della scienza. Un giorno del settembre 1936 gli fa visita J. Maritain. Gli incontri si ripetono con reciproca soddisfazione. Natale gli offre l’occasione di parlare dalla nave mercantile Oceania, via radio, a tutti gli Italiani in Argentina: ... Gesù, che sei ancora Gesù in mezzo a noi, senti il bisogno che abbiamo di Te, in questa ora del mondo. … Salvaci ancora una volta! Da ai poveri, agli operai, alle masse proletarie e da' ai ricchi la tua luce di verità e di giustizia, la tua carità, quella carità che è vita, fratellanza e salvezza: che nulla chiede e tutto dà…. Fa sentire a tutte le genti che, sopra tutti gli umani interessi, opinioni, passioni e partiti, si leva il Vangelo e col Vangelo si leva il grande padre delle anime e dei popoli: il "dolce Cristo in terra"; col Vangelo si levano i vescovi, i quali sono i maestri posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio” Don Sterpi non ha mai smesso di insistere perché torni presto in Italia: la sua presenza è necessaria, tutti lo aspettano ardentemente, deve curare la salute che diventa sempre più precaria, anche se cerca di nascondere la verità. Il Signore lo vuole veramente in Italia, e decide di tornare. Ma prima desidera salutare, forse per l’ultima volta i suoi figli, benefattori e amici. Inizia dall’Uruguay, al Brasile. In questa nazione si ferma veramente poco tempo. Al


9 malcontento generale risponde; “ciò che non ho potuto fare da vivo per il Brasile, lo farò da morto”.11 La visita di commiato continua da una nazione all’altra. Saluta, conforta, consiglia, raccomanda la vita religiosa, invita alla fiducia nella Provvidenza e alla speranza nonostante le cattive notizie sopraggiunte dalla Spagna in subbuglio e da altre nazioni in fermento. A Buenos Aires discutono che nome dare al consultorio… Don Orione risponde che poco importa il nome, “quello che invece importa è che il bene e l’opera buona si faccia e che i poveri operai e operaie malate, siano attese cristianamente, dai medici cattolici”12 Ha tempo di inviare uno scritto anche al visitatore apostolico per ragguagliarlo di quello che va facendo: “Don Sterpi le avrà parlato che si è messo un piede nel centro del Chaco, date le insistenze dei due Vescovi e della Nunziatura, per la necessità di quelle anime. Ho accettato con riserva, e quando tutti avevano rifiutato… Ho pregato un po', forse troppo poco... Credo che gli altri non abbiano accettato e per il caldo insopportabile e per la grande povertà: ma noi vogliamo essere poveri e pei poveri. Ho pensato che, se V.E. fosse stata qui, mi avrebbe data la benedizione, ed ho pensato a tutte quelle anime e a Gesù Cristo, e che mia madre mi diceva che, in mancanza di cavalli, trottano gli asini, e noi siamo proprio gli asinelli della Provvidenza o, almeno, desideriamo esserlo. … Ci sono i protestanti, gli ebrei, i mercanti che arricchiscono di beni terreni e che per il cotone e la ricchezza stanno là e non ci sarà il sacerdote per le anime? per i poveri? … Ho un desiderio: di amare il signore e di amare la santa Chiesa, le anime, i poveri, i fanciulli poveri, gli abbandonati, la classe povera, gli operai, i comunisti. Vorrei morire per 11 12

Lo sviluppo successivo della Congregazione fa pensare ad una autentica profezia. Lettera del 10.04.1937


10 questi miei fratelli e vorrei essere dimenticato da tutti, vivere e morire dimenticato da tutti, sotto I piedi di tutti, e solo amare Gesù, la santa Chiesa e tutti, e perdermi nel Signore: io, in degnissimo, che tanto ho peccato, che sono stato tanto cattivo col Signore e la Madonna e non ho tesoreggiato i doni del Signore."13 Nel suo ultimo peregrinare nelle Americhe non può mancare un saluto alla Madonna. “Sono giunto ad Itatì dopo tre ore di auto: è stata una corsa velocissima, tutta a sobbalzi... mi pareva di andare sulle montagne russe. Finalmente comparve il Santuario di Itatì, e fu un gran respiro! La stanchezza e il mal di reni se n’andarono, tutto scomparve. Quando vi entrai, l'antica chiesa era piena di popolo devoto; mi sono inginocchiato in fondo, nel cantuccio del pubblicano, e sentii tutta la felicità di trovarmi in Casa della Madonna. Ai piedi della SS. Vergine di Itatì ho potuto celebrare due Messe, ed ho passato ore beate, e raramente ho sentito tanta gioia come tra questi nostri Confratelli”14 Gli ultimi giorni sono ancora più intensi: trascorre l’anniversario d’ordinazione tra gli orfanelli di Rio, accoglie e riceve i saluti personali del cardinale della città, scrive a don Sterpi, al suo vescovo, accoglie gli ultimi religiosi che arrivano dall’Italia, va in Uruguay a sistemare alcune cose, in Argentina per inaugurare altri padiglioni del Cottolengo, si ferma qualche giorno in Brasile. Il mattino del 6 agosto 1937 sale sul piroscafo Neptunia. A salutarlo oltre ai figli, ad una marea di folla c’è il nunzio apostolico, il vescovo ausiliare di Buenos Aires, l’ambasciatore d’Italia, l’Ispettore salesiano, il superiore dell’Opera del Cardinal Ferrari ed altri… E’ il giusto 13 14

Scr. 50,33 L. II, 469


11 ringraziamento ad santo che alla sua partenza lascia tutta una fioritura di opere a beneficio dei più poveri. Durante il viaggio di ritorno è ancora il prete di tutti. Ha la gioia di amministrare il battesimo ad un famoso calciatore paraguaiano, Nicolas Riccardi, conquistato dalla sua parola calda e suadente. Il 24 agosto sbarca a Napoli e Celebra la santa Messa di ringraziamento al santuario di Pompei. La sera è a Roma all’Istituto san Filippo Neri;. il mattino seguente tra i suoi chierici di Sette Sale. Alle 22,15 prende il treno diretto a Parma dove lo attende il visitatore apostolico. Fa una sosta a Montebello tra i cinquanta sacerdoti raccolti in esercizi spirituali. A tarda sera, dopo aver salutato a Pontecurone il fratello Benedetto e quando pensa che tutti si siano ritirati in casa, prosegue per Tortona, e finalmente è in Casa Madre tra i suoi per la comune soddisfazione e gioia.


CAPITOLO XXXIV: DIO E’ CON LUI

In momenti in cui non avevamo pane, non avevamo niente, fu san Giuseppe a venirci incontro… Un giorno eravamo proprio senza niente. Si era nella novena del santo: anzi all'antivigilia della festa! San Giuseppe però sembrava non ci volesse aiutare. Ma ecco, si presenta alla nostra porta un signore… scendo le scale in fretta e mi trovo davanti ad un signore modestamente vestito e con una barbetta bionda. Quel signore… tirò fuori una grossa busta. Gli chiesi se dovevamo dire delle messe... "No, no!", rispose. "Non c'è niente. C'è solo da continuare a pregare!". Io non l'avevo mai visto. Mi guardò un istante e, salutandomi con un inchino, se ne partì in fretta. Avrei voluto trattenerlo ma, non so come, non ne ebbi il coraggio: quella presenza e quelle parole mi avevano come incantato... E, mentre usciva, quelli che erano presenti dissero che il volto di quel signore aveva un no so che di celestiale... Fece alcuni passi; usci dalla porta, scese il gradino, ma poi non lo si vide più, né a sinistra né a destra, né sotto i portici né in chiesa; in cortile c'erano solo i ragazzi.. Si mandarono immediatamente due di essi per cercare di lui, ma inutilmente. Noi ci ritirammo ancora più confusi: aveva un aspetto non d'uomo; era appena uscito ed era già scomparso… Abbiamo sempre pensato che fosse san Giuseppe.

*** Rientrato in Italia, don Orione cerca di ricuperare il tempo immergendosi in un’attività intensa su tutti i fronti. Lo cercano i confratelli, vogliono incontrarlo i benefattori, gli


amici, gli ex-allievi, quanti desiderano una parola di conforto, i sofferenti… A tutti vuole arrivare con la sua disponibilità e carità. A questo punto diventa impossibile accompagnare don Orione raccontando quello che fa e quanto avviene attorno a lui. Qualche assaggio può aiutare la fantasia e misurare la mole di lavoro e di bene che compie negli ultimi tre anni di sua vita, nonostante la salute in declino. Nel Natale del 1938 due campane poste sul campaniletto della chiesetta di san Bernardino invitano alla preghiera. Nello spazio occupato dalla tipografia, vicino al santuario, nasce un ritrovo per uomini con a disposizione un perfetto campo da bocce. Sempre nel rione san Bernardino, c’è l’inaugurazione solenne del nuovo oratorio san Luigi. Continua ininterrotto l’abbellimento del santuario all’interno con via crucis, statue e candelieri; all’esterno con un giardino ricco di fiori e quattro pennoni con le bandiere del papa, dell’Italia, della città di Tortona e della Congregazione. Coreografia immancabile di tutte le manifestazioni è la banda dei chierici. Un’esperienza di lavoro, di fede e di entusiasmo, simile a quella vissuta durante la costruzione del Santuario della Guardia, si ripete a Fumo dove sta sorgendo il santuario della Madonna di Caravaggio. E’ questa una pagina di vita e di storia che esalta gli umili. La mamma del canonico Perduca, buona popolana, desidera costruire sul proprio terreno una cappella che faciliti ai contadini della zona la partecipazione alla messa domenicale. Il figlio si consiglia con don Orione, e decidono di costruire una chiesa dedicata alla Madonna di Caravaggio. Il canonico pensa ad una realizzazione modesta, ma a don Orione non sembra vero dar vita ad un’altra oasi di grazia e di pace. Non vuole una piccola casa, ma una casa degna della Madonna.


Fede e coraggio perché sarà la Madonna a pagare il suo santuario! Un giorno infatti: “Ricordavo che oggi sarebbe passato il Canonico a prendere quattrini per pagare le sue fatture... e io non avevo soldi da dargli, come gli avevo fatto sperare... e mentre celebravo, devo confessare che di tanto in tanto alzavo gli occhi alla statua della Madonna... guardavo, guardavo la Madonna!... e pregavo “Santa Madonna, pagatemi almeno un po' d’affitto!” 1 … finita la Messa torno in sacristia … due signore si avvicinano e mi consegnano una busta, dicendomi che conteneva diecimila lire... Allora il mio pensiero è corso subito alla Madonna per ringraziarla... Appena, dunque, quelle brave signore se ne vanno, mentre io sto mettendo in tasca la busta, vedo spuntare il Canonico dalla porta della sacristia, con quell'aria sorridente che faceva capire per che cosa era venuto. … subito gli ho consegnato la busta, dicendogli: - Ecco i denari che vi manda la Madonna per il vostro Santuario! Me li hanno portati ora due signore per incarico di persona che vuol tenere l'incognito... - Aperta la busta e costatato che c'erano proprio dieci mila lire, il Canonico mi avvertì che la somma era superiore a quella che aveva domandato; io gli dissi: - Prendete, prendete!... -;lui insisteva: - Tutto?! -; ed io : - Sì, sì, tenete tutto ! - Ma il Canonico insisteva anche lui che mi servissi, perché non gli occorrevano tutti... - Ah no, sono i denari che vi manda la Madonna !... - risposi. - Quando la Madonna fa certi scherzi, non si deve defraudare... Difatti poi, sapete, la Madonna mi ha ripagato perché è venuta più tardi, in mattinata, una persona che mi ha dato lire mille … Se io avessi fatto l'ingordo e mi fossi servito della somma mandata dalla Madonna per il Santuario di Fumo, le mille lire forse non sarebbero venute… La Madonna, vedete, ha ripagato

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E' noto infatti che la nicchia della Madonna del Carmine in San Michele sporge oltre il muro perimetrale della chiesa ed entra ad occupare una parte del refettorio della Casa Madre.


della mia generosità, come ha ripagato la fiducia del nostro Canonico:.. le chiese e i santuari, la Madonna se li fa da sé...”2 Sono degne di memoria le ultime feste della Madonna della Guardia per le migliaia e migliaia di pellegrini, per il numero straordinario di confessioni e comunioni, per le numerose grazie che la Madre di Dio generosamente dispensa ai suoi figli, per il fuoco di carità che si accende e trasmette all’interno della Congregazione consolata dalla crescita di sacerdoti, chierici e aspiranti. Nel cortiletto della casa madre, sotto il tendone che lo trasforma in salotto, si stringono attorno a don Orione, il giorno della festa, 29 agosto, in agape veramente fraterna i suoi religiosi, amici e benefattori esaltando e benedicendo il Signore per le meraviglie che compie attraverso i suoi servi inutili. Un anno don Orione è in pena perché alcuni facinorosi vogliono creare malumore, critica e rottura con il vescovo perché, giustamente, ha chiesto di terminare in un orario più discreto la processione rinunciando di salire anche al castello. Durante il pranzo sotto il tendone, comincia a cadere qualche goccia che via via aumenta e diventa pioggia persistente e provvidenziale. Nessuno o pochissimi hanno capito il motivo di soddisfazione che si legge sul volto di don Orione che in cuor suo e ad alta voce benedice il cielo e la pioggia come “segno di grazie particolari e straordinarie”, la grazia che scongiura divisioni e rotture scandalose. Gli incontri settimanali a Genova e a Milano, le visite ai benefattori e agli amici continuano con impeccabile regolarità, ma che logorano sempre più la salute compromessa da tanta sofferenza e fatica. Corre da una parte all’altra d’Italia: è a Roma per il funerale di Pio X, all’università Cattolica di Milano per la conferenza dal titolo manzoniano “la c’è la 2

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Provvidenza”, a Genova per incontrare i benefattori, a Bra per dare il giusto indirizzo formativo ai suoi chierici e una dopo l’altra passa in ogni casa e comunità. Ai primi di marzo del 1939 si reca ad Alessandria per controllare la costruzione dell’Istituto e incontrare i parenti della benefattrice, che con la sua generosità, permette di accogliere altri ragazzi poveri e abbandonati. I parenti della defunta lo accolgono con freddezza e ostilità. Una delle nipoti, pur di riuscire a contestare il testamento, si abbassa vergognosamente in una serie d’affermazioni e insinuazioni maligne sulla vita privata della zia. Don Orione che fino a questo momento è rimasto in umile e rispettoso silenzio, reagisce con tono vigoroso rinfacciando all’interlocutrice il poco rispetto per la zia, della quale lui conosce molto bene vita e sentimenti. L’ingordigia di queste persone indegne che non hanno affatto bisogno di denaro, ma che vogliono portare via ai poveri quello che la generosità di una zia ha messo a disposizione, è l’ultimo dispiacere che fa colmare la misura. Sulla via del ritorno don Orione sta così male che deve essere ricoverato all’ospedale della città. Il medico di guardia e il primario mentre cercano di mettere rimedio urgente al male, commentano: “se l’aveste portato a Tortona, non sar4ebbe giunto a metà strada”. Corrono a fagli visita il vescovo di Alessandria, i suoi sacerdoti e tante altre persone. Lo trovano affaticato, ma sereno. Al medico che lo tiene sottocontrollo scherzando dice: “dottore, sono piemontese, ho la testa dura!”. E ad alcune suore sconsolate: “perché vi affannate tanto? Non è ancora venuta la mia ora”. E grazie al cielo in breve ricupera quel tanto di salute per rimettersi in movimento.


Sul pendolo vicino la cappella della casa madre c’è una scritta in latino che mette in guardia dal perdere tempo.3 E don Orione si attiva per guadagnarlo. “Genova è tutta costellata dalle opere caritative di don Orione. Una di queste è sita nel più ameno dei colli che guardano la città, il colle dei Camaldoli. Don Orione per la bontà di uno dei tanti benefattori, era venuto in possesso di un pezzo di terra in quel... paradiso terrestre. Con la sua... deformazione professionale, pensò immediatamente di fare lassù il "villaggio della carità", riservando ai più poveri uno dei posti più belli della città ligure. Naturalmente si trattava all'inizio di un bel sogno. Ma, come già sappiamo da altri episodi, i sogni di don Orione, complice la divina Provvidenza, fanno presto a diventar realtà. Nel frattempo un magnate della finanza, industriale cinematografico, aveva avuto la geniale idea di trasformare quella collina in un paradiso per nababbi: ville, ritrovi, sale da ballo, piscine e diversivi d'ogni genere; tutto quanto, insomma, potesse servire alla "dolce vita" dei fortunati di questo mondo. E cominciò con l'acquisto di un grande appezzamento di terra, che veniva a confinare con quello assai più modesto di cui era proprietario don Orione. E presto fatto, pensava il magnate: il prete sempre povero in canna e bisognoso di soldi mi venderà il suo fazzoletto di territorio... Aveva fatto male i conti, costui. - Non vendo!, gli rispose secco don Orione quando quel tale gli fece la proposta di acquisto. - Padre, le farò condizioni eccezionalmente favorevoli... - Non vendo!, continuava a rispondere imperterrito don Orione. - ... mi chieda tutto quello che vuole, glielo darò! L'industriale, abituato a veder crollare ogni ostacolo dinanzi al balenio dell'oro, restò interdetto davanti all'ostinazione di quel prete. E aggiunse: - E’ una pazzia rifiutare questo affare, rifletta, padre! 3


- Non sono pazzo, insistette calmo don Orione, non vendo! Anzi, se vuol saperlo, sarà lei che venderà a me... Inutile proseguire. Chi vuole andare a vedere il "villaggio della carità di don Orione" a Genova-Camaldoli è liberissimo di farlo. S'accorgerà che ciò che al magnate della finanza pareva pazzia è oggi realtà, grazie alla santa "follia" del pazzo della carità.”4 Dopo una giornata stressante a Milano, a sera si ferma a Fumo per concludere la novena che prepara la festa di inaugurazione del santuario. A Tortona organizza i “pellegrinaggi dei fanciulli al santuario della Guardia” per pregare per la pace, Organizza ritiri minimi, apre a Genova il pensionato per le nobili decadute. La finezza di spirito, la grande carità e la concretezza gli suggeriscono di arredarlo in modo degno delle ospiti: è la carità nella carità. Con tutto quello che passa, non sempre riesce a nascondere i cedimenti di salute, ha ancora il coraggio di viaggiare e riempire le giornate d’impegni. Racconta il dottor Carlo Sottotetti di Dorno Lomellina: “presi il diretto delle diciotto da Genova per Milano. Nella ricerca del posto vidi seduto in uno scompartimento di terza classe un vecchio prete dagli abiti molto dimessi: leggeva il breviario. Provai subito un sussulto ed ebbi come una ispirazione: "è don Orione". Sedutomi vicino, quanto più lo osservavo, maggiormente mi sentivo sicuro di lui. Finché avendo lui chiuso il libro e alzato il capo, istintivamente decisi di rivolgergli la parola: - Scusi, reverendo, è di Tortona?. - Sì, sono don Orione", rispose. - Oh! finalmente mi si dà l'occasione di incontrarla. - Che desiderate, povero signore? - Padre, ho un figlio di quasi quindici anni che si raccomanda vivamente alle sue preghiere. Da tre anni è ammalato e pur 4

A: GEMMA, I fioretti di don Orione, ED Roma, 1994, p 167 ss


avendo una buona costituzione in rapporto alla sua età, da quattro mesi non riesce a camminare. Una paresi alla gamba lo obbliga seduto a una poltrona. Il poveretto si dispera, piange e a volte invoca la morte. Ha cambiato carattere: da allegro, spensierato ed espansivo a taciturno e nervoso. Pur dotato di una certa intelligenza, ha perso due anni di studi ed ora si dispera nel timore del terzo. Può immaginare, padre, il mio stato d'animo, tanto più che da circa quindici anni ho pure mia moglie inferma. Se Iddio non ha misericordia, quest'anno vado a finire al manicomio o muoio di dolore. Padre, non chiedo altro che veder camminare mio figlio.... Il cuore di don Orione è toccato da grande pietà e forse il suo pensiero corre alla pagina evangelica dove il centurione supplica Gesù. "Mio buon signore, abbiate fede, non disperate mai e vedrete che Dio esaudirà il vostro desiderio. Stasera io stesso farò una preghiera perché vostro figlio possa camminare, farò pregare i miei orfanelli; domattina nella messa lo raccomanderò nuovamente e state fiducioso che vostro figlio camminerà" Il padre si congedò con il cuore pieno di speranza. Di evangelico, in questa scena, non c'è soltanto l'angoscia confortata di fede del povero padre e la sofferenza di un figlio. C'è il fatto della guarigione, che il Signore operò il giorno dopo l'incontro di don Orione, confermata da una lettera che il "miracolato"5 Cominciano le prime avvisaglie della guerra, si moltiplicano le situazioni di disagio e di sofferenza. C’è chi per un motivo o per l’altro pensa di trovarsi meglio lasciando la propria terra. “Giorni fa giungeva dalla Russia una famiglia composta dalla mamma e da vari figli, tra i quali uno di sei mesi. La religiosa superiora era incerta se accettarla per 5

A: GEMMA, I fioretti di don Orione, ED Roma, 1994, p 177 s


mancanza di posto e anche perché non si sentiva di prendere un lattante che, dovendo dormire nel dormitorio comune, la notte avrebbe disturbato le ricoverate. Interviene don Orione: "Avreste il coraggio di dir no alla Madonna con Gesù bambino? Mettete dei letti in parlatorio, in chiesa, se occorre; ma non chiudete la porta a donne indifese, lontane dalla patria e a bambini innocenti!". Vistala esitante, si rivolse ad un suo sacerdote e gli dice: "Se proprio non c'è posto, trasportate provvisoriamente il santissimo Sacramento in sacrestia, e mettete dei letti in chiesa". La superiora si dette d'attorno e mise alcune ricoverate sane in corridoio e sistemò in una camera quella mamma russa coi suoi figlioli”6. Nessuno riesce a fermare l’odio, nonostante la mediazione di Pio XII che grida” nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra…”. Alla notizia dell’invasione della Polonia, don Orione, che ha molti studenti polacchi in Italia, piange con i suoi figli i destini della loro patria. Prima della ritorno in patria li raccoglie al santuario della Guardia per una cerimonia semplice, ma che strappa le lagrime. “In quest'ora vi amo più di qualunque altro vostro connazionale, anzi più di oggi altro. Il mio cuore trepida per voi, … miei cari figli, in questi terribili momenti, e piango con voi... Ho fatto stendere la vostra bandiera sull'altare: passate … baciatela. Questo bacio sia come il bacio di Dio alla vostra patria; sia promessa che farete il vostro dovere di figli della Chiesa e di sudditi fedeli della vostra terra... "

La vita nonostante tutto deve continuare e la preoccupazione più grande, non è la salute, ma la formazione dei suoi figli in una visione larga, ma nello stesso tempo soda, 6

A: GEMMA, I fioretti di don Orione, ED Roma, 1994, p 178 s


aperta e austera. Vuole religiosi di carattere fermo, indomito, di grande fede e audacia; se ha un rimpianto è proprio quello “ di non essere stato così esigente nella formazione dei chierici”. Il bisogno di personale non deve portare ad essere indulgenti e promuovere coloro che sono poco preparati culturalmente o spiritualmente. Il liceo di Bra e lo studentato di Sette Sale a Roma sono un sacrificio che la Congregazione affronta per avere figli capaci di dialogare con il mondo intero. Tra le consolazioni più belle un questo scorcio di vita sono da ricordare l’incarico della centralina telefonica del Vaticano affidata alla Congregazione, l’udienza privata con Pio XII e l’ultimo saluto insieme ai mille studenti dell’Istituto san Filippo Neri. “La visita era per le undici, ed io mi fermai a pregare nella chiesa di Castelgandolfo … e poi andai su per prepararmi all'udienza. … Mons. Arborio Mella soffiava un pò, con in mano l'orologio, perché il cardinale che era dentro non usciva più. E rivolgendosi a me disse: lei non sarò mica lungo come questo cardinale?… No! - risposi - vede che non ho la coda... vado per la prima volta a fare una semplice visita d’omaggio. Finalmente, uscito il cardinale, entrai io. Il Papa allargò le braccia con grande affetto ed effusione … mi fece cenno di accomodarmi; e poiché la sedia era un po' scostata, mi disse: "venga vicino, venga vicino!". Incominciò lui a parlare… era profondamente rattristato. …Poi ho saputo che dorme per terra; stende una coperta per terra e poi mette un cuscino per appoggiare la testa. Da qualche mese ripete quello che faceva in Argentina …In mezzo a tanti trionfi bisogna, almeno nelle ore in cui siamo soli, fare un poco di mortificazione per attirare le benedizioni di Dio su questo popolo!" … Più di un cardinale andò a pregare il Papa che volesse moderarsi e aversi un poco a riguardo.


Intanto che lo stavo parlando, pensavo al Monsignore che stava fuori e cercavo di concludere l'udienza, per non sentirmi rimbrottare dal Maestro di Camera. Il santo Padre, non so se tre, ma certo due volte, mi disse: "Ritorni, ritorni!"... egli mi disse, ad un certo punto dell'udienza: "Mi dica, don Orione, tutto quello che posso fare per la Congregazione!". Niente - risposi - niente, santo Padre: una cosa sola chiedo: che ci sia conservato il Visitatore apostolico sino al giorno dopo ch'io sia morto!"7 . Dopo una giornata d’incontri ininterrotti in uno dei tanti giovedì genovesi, mentre sta per partire per Roma, lo raggiunge per telefono una signora conosciuta in occasione del Congresso Eucaristico. Piange per il figlio malato e implora la sua benedizione. Don Orione tenta di scusarsi per la stanchezza, l’orario e il viaggio che deve fare, ma davanti all’insistenza di una madre non riesce a dire di no. Dimentico della stanchezza, del dolore si reca immediatamente a Rapallo a portare benedizione e conforto alle due anime in pena. Tornando da Roma a causa di un deragliamento, deve traslocare da un treno all’altro. Prende freddo, sta male, ma riesce a nascondere tutto e celebrare le tre sante messe di quello “che è l’ultimo natale di sua vita”. La notte tra l’8 e il 9 febbraio 1940 don Orione ha un gravissimo infarto. Il medico al vederlo ridotto in quello stato piange. I chierici spauriti e tristi sono bloccati nell’atrio, poi entrano adagio, adagio in cappella e si mettono a pregare. In un momento di ripresa don Orione chiede l’unzione degli infermi. Finalmente muove il capo che teneva abbandonato sul petto, alza gli occhi e accenna un ringraziamento. Poi con voce flebile dice: va meglio, e a fatica invita i presenti a recitare la Salve Regina. 7

Par. XI, 132 ss


CAPITOLO XXXV: L’EPILOGO

Lo splendore e l'ardore divino non m'incenerisce, ma mi tempra, mi purifica e sublima e mi dilata il cuore, così che vorrei stringere nelle mie piccole braccia umane tutte le creature per portarle a Dio. E vorrei farmi cibo spirituale per i miei fratelli che hanno fame e sete di verità e di Dio; vorrei vestire di Dio gli ignudi, dare la luce di Dio ai ciechi e ai bramosi di maggior luce, aprire i cuori alle innumerevoli miserie umane e farmi servo dei servi distribuendo la mia vita ai più indigenti e derelitti; vorrei diventare lo stolto di Cristo e vivere e morire della stoltezza della carità per i miei fratelli! Amare sempre e dare la vita cantando l'Amore! Spogliarmi di tutto! Seminare la carità lungo ogni sentiero; seminare Dio in tutti i modi, in tutti i solchi; inabissarmi sempre, infinitamente, e volare sempre più alto infinitamente, cantando Gesù e la Santa Madonna e non fermarmi mai. Fare che i solchi diventino luminosi di Dio; diventare un uomo buono tra i miei fratelli; abbassare, stendere sempre le mani e il cuore a raccogliere pericolanti debolezze e miserie e porle sull'altare, perché in Dio diventino le forze di Dio e grandezza di Dio. Gesù è morto con le braccia aperte. È Dio che si è abbassato e immolato con le braccia aperte. Carità! Voglio cantare la carità! Avere una gran pietà per tutti!1 *** Anche questa volta sembra che don Orione lentamente si stia riprendendo dall’attacco d’angina pectoris. Deve fare però assoluto riposo. Trasferito nella stanza vicino alla cappella, la stanza dell’orologio, passa la giornata a fasi 1

Le più belle pagine, S. Giuseppe Tortona, 1980, p.99s


alterne. A sera, grazie ad un efficace intervento del medico, il pericolo è scongiurato. All’indomani tenta di scrivere ai suoi figli d’America. E’ tanto debole che deve accontentarsi di dettare la lettera. Uno scritto lungo, accorato che lo impegna fino a tarda notte e che riprende alle ore quattro del mattino seguente. Ricorda ognuno dei suoi figli, li ama, chiede loro, in nome di Dio, la testimonianza di un’autentica vita religiosa, generosità, intraprendenza, povertà, impegno nella formazione, veri apostoli tra i poveri e i sofferenti. Conclude: “tutto questo vi scrivo, dettandovi dal letto, dove alcuni giorni fa mi sentivo morire; e questo vi dico non per abbattervi, né per avvilirvi, ma per compiere il mio dovere come fossi in punto di morte… Bisogna dare un ritmo più deciso, una formazione più seria, più profonda, più essenzialmente religiosa a noi e ani nostri…” Sta meglio. Torna ad alzarsi alle ore 4 per dettare la meditazione ai sacerdoti. Il 20 febbraio celebra anche l’eucaristia: il freddo e lo strapazzo lo obbligano a rimettersi a letto con una complicazione bronchiale. Solo all’inizio di marzo è in grado di lasciare il letto e tornare in qualche modo, alle solite occupazioni. I medici, don Sterpi ed altri sacerdoti che gli sono vicino insistono perché si curi, si riposi, faccia una paziente convalescenza… raccomandazioni che lasciano, purtroppo, il tempo che trovano. Ogni sera, appena può, dà la buona notte e confidenzialmente fa capire di non farsi illusioni. La fiducia in Dio e nella sua Provvidenza sono le uniche ragioni che tengono lontano il pessimismo e lo sconforto, e che stimolano a “ricuperare il tempo perduto”.


Lo vogliono convincere a cambiare aria: a tutti ricorda che “siamo figli della divina Provvidenza”, cioè poveri e per i poveri. Al dottore che gli propone Sanremo, risponde che se è giunta la sua ora intende lasciare anche la stanza che occupa e andare a morire tra i più poveri dei suoi figli. Dietro l’insistenza quasi comando del visitatore apostolico e di don Sterpi si arrende. Il lungo respiro di sollievo di tutti quelli che gli vogliono bene si spegne il giorno della visita medica, quando don Orione, di proposito, accetta la presenza di sacerdoti e chierici. Scherza, è allegro, gode di tanta compagnia…. E poi cambiando tono dice: “volete mandarmi a Sanremo e ci andrò. Però ricordatevi bene che da Sanremo tornerò sì, ma nella bara.” Il 6 marzo festa del patrono della diocesi, si fa accompagnare al duomo sulla tomba di san Marziano e pranza insieme alla comunità. Per la circostanza hanno sistemato sul tavolo del direttore la statua della Madonna della divina Provvidenza e i chierici intercalano con gli strumenti della banda, melodie mariane. Al pomeriggio si fa accompagnare in santuario e torna a casa ripetendo “ecco, oggi ho visto tutti, tutti!”. Nello stesso giorno trova tempo anche di scrivere una lettera ai chierici del liceo di Bra perché si formino culturalmente alla luce della tradizione della chiesa e di san Tommaso d’Aquino: “Come altre volte ho detto, un grande bisogno dei nostri tempi, o miei figli, è quello di risanare le menti e infondere in esse idee giuste, una filosofia sana, veramente cristiana, teorica e pratica, quale ci è data dalla chiesa, duce san Tommaso D’Aquino… Tutti gli studi o miei cari,si devono prendere da noi come mezzo per elevare la mente al Signore… per meglio servire Dio stesso e la chiesa per meglio santificare noi stessi e giovare al nostro prossimo. Ogni scienza umana, e quindi anche la filosofia, diventerebbe


insulsa, se pur non gonfierebbe, se l’amore di Dio non le da il giusto sapore spirituale e non la dirige a retto fine”. La data di partenza slitta. E’ andato a salutare il vescovo e ringraziarlo per le ordinazioni che farà il giorno seguente. A don Bariani che benevolmente si lamenta di essere quasi preso in giro, don Orione risponde: “se tu sapessi tutto, non insisteresti così tanto per la mia partenza”. Si fa aiutare a sistemare i registri delle sante messe e sempre a don Bariani dice “e così abbiamo passato l’ultima giornata insieme”. Guardando la sua veste logora e rammendata “povera vesta, commenta, non ne può proprio più, come la mia vita!”. Ai neo ordinandi raccomanda generosità e fedeltà; li benedice di cuore e si scusa se non può essrere presente al rito. A sera, dopo le preghiere, inaspettato, si presenta in cappella per la buona notte. “« Sono venuto a darvi la buona notte... Sono venuto anche a salutarvi, perchè piacendo a Dio domani mi assenterò per qualche tempo, per poco o per molto, o anche per sempre, come piacerà al Signore… mi vedo davanti e vicino la morte più di quanto non l'abbia mai veduta e sentita così vicino… Ora mi vogliono mandare a S. Remo, perché pensano che là quelle aure, quel clima, quel sole, quel riposo possono portare qualche giovamento a quel poco di vita che può essere in me... Però non è tra le palme che io voglio vivere e morire e se potessi esprimere un desiderio direi che non è tra le palme che voglio vivere e morire, ma tra i poveri che sono Gesù Cristo. … Cari figliuoli, sono venuto per darvi la buona notte, potrebbe essere l'ultima! Viviamo umili e piccoli ai piedi della Chiesa, come bambini, con piena adesione di mente, di cuore e di opere, con pieno abbandono ai piedi dei Vescovi, della Chiesa… La prima grande Madre è Maria SS.ma, la seconda


madre è la santa Chiesa, la terza, piccola ma pur grande, madre è la nostra Congregazione. … Dunque addio o cari figliuoli Pregherete per me e io vi porterò tutti i giorni sull'altare e pregherò per voi. Buona notte”. All’alba del 9 marzo celebra la santa messa, fa la sua confessione, consegna una certa somma di denaro al chierico incaricato, alle spese dicendo: “poi te li daranno gli altri”.2 Saluta tutti velocemente per nascondere la commozione e, in macchina, è accompagnato alla stazione. Lo raggiungono i neo ordinati a salutarlo; li ringrazia e li benedice ancora, mentre il treno scompare nella nebbia per un viaggio senza ritorno. Alla stazione di Sanremo anche se il direttore non vuole, il chierico Modesto chiamare il taxi. Don Bariani per ordine di don Sterpi li raggiunge a santa Clotilde. La camera è pronta, semibuia, illuminata da un tenue lumino davanti alla Madonna perché la lampadina è gusta. “Cosa ti sembra questa stanza?”, chiede al confratello che lo accompagna. E continua: “a me sembra proprio una camera mortuaria”. L’arredamento è sobrio, ma a don Orione sembra esagerato: “mi mettete qui? Senti, andiamo a casa, andiamo a casa, non posso stare qui. Guarda l’orario dei treni”. Ci vuole tutta la diplomazia e la pazienza di don Bariani per convincerlo a riposare almeno qualche ora. Alla fine si arrende e non dice più nulla. Nei tre giorni di permanenza a Sanremo prega, scrive lettere, riceve qualche visita e fa ancora progetti. Si dimostra ilare e sereno, a volte addirittura in vena di scherzo. E’ cosciente del poco tempo che gli rimane, ma come sempre ha desiderato, vuole morire in piedi. Frequentemente si sente dalla voce flebile o la si coglie dal movimento delle labbra l’invocazione “Gesù, Gesù, Gesù”. 2

Infatti la somma è sufficiente per le spese fino al giorno 13.


L’ultimo telegramma inviato a Pio XII riassume gli ideali di tutta la sua vita: devozione e fedeltà alla chiesa e al papa. L’ultimo incontro è con il rettore e parroco del santuario del divino Amore. Don Terenzi si trova a San Giovanni Rotondo e Padre Pio gli dice: “Ma non sa che don Orione sta male? Se desidera vederlo ancora vivo, parta subito”. Veramente il buon sacerdote ha notizie incoraggianti… ma preferisce ascoltare padre Pio e giorno 11 pomeriggio è da don Orione. La mattina seguente si incontrano ancora. Don Orione gli serve la santa messa e si salutano. Da Tortona viene il canonico Perduca ed altri confratelli e se ne tornano confortati, convinti che tutto proceda per il meglio. Scrive ancora qualche lettera, recita il santo rosario inginocchiato a terra, appoggiato sul letto. Dopo cena si ritira in camera. Lo raggiunge una telefonata di Malcovati che gli raccomanda una povera donna rimasta in mezzo alla strada. Sistema la questione con un ultimo e generoso si, augura la buona notte a Modesto e si mette a letto. Alle 22.30 un lamento, quasi un rantolo, richiama l’attenzione dell’infermiere che veglia vicino la stanza. Il direttore suda, ansima, fatica a respirare, ha gli occhi spenti… La somministrazione delle solite gocce non è di nessun giovamento. Modesto lo aiuta a scivolare dal letto alla poltrona, don Bariani chiamato in aiuto, cerca disperatamente il medico… Don Orione morente, ha ancora la forza di fermare con gesto delicato e deciso, una suora che vuole venire in aiuto… Passano minuti preziosi: il medico è irreperibile, don Bariani corre inutilmente per la città in cerca di un altro. Don Orione mormorando “Gesù, Gesù… vado!”, tranquillo, senza rantolo reclina il capo sul braccio dell’infermiere, si addormenta nel bacio del Signore. Sono le 22.45 del 12 marzo 1940.


La notizia corre veloce per tutta Italia. Accorrono numerosissimi a Tortona e a Sanremo: sono religiosi, sacerdoti, chierici, amici, autorità, gente semplice del popolo. Vogliono rendere il loro tributo di riconoscenza e di affetto verso colui che tutti dicono santo. Giorno e notte sfilano davanti alla salma pregando e facendo toccare oggetti. Il visitatore apostolico da disposizione per il rito funebre. E’ un trionfo unico tra folle sterminate: da Sanremo a Genova, a Novi Ligure, Alessandria, Mortara, A Milano nella basilica di santo Stefano, all’ospedale maggiore e al Piccolo Cottolengo. Riprende il viaggio: Montebello, Pontecurone e finalmente Tortona, città della sua gioia e del suo pianto. Esposto in duomo è possibile dare un ultimo saluto e contemplare il suo volto attraverso la lunga lastra di cristallo che copre la bara. Nel pomeriggio del 19 con una cerimonia semplice, intima e commovente la salma è tumulata nella Cripta del santuario, secondo il suo desiderio di sempre. Il suo corpo venticinque anni dalla morte è stato rinvenuto intatto. Attraverso l’ordinario processo di canonizzazione, è dichiarato beato nel 1980 e santo il 16 maggio 2003. Giovanni Paolo II lo ha definito “meravigliosa e geniale espressione della carità cristiana”; come colui “che ebbe il cuore e la tempra dell’apostolo Paolo”. Ora vive nella gloria, esempio luminoso di carità e di amore alla chiesa e alla anime; potente intercessore degli umili e dei sofferenti. I fedeli lo venerano e lo pregano nel suo bel santuario dove realizza il desiderio di “portare tutti a Gesù attraverso la Madre sua Maria Santissima”.


Indice:

1. IL nido 2. Rintocchi celesti 3. In un’oasi francescana 4. Alunno di don Bosco 5. In Seminario a Tortona 6. Sacrista in duomo 7. L’oratorio san Luigi 8. Il primo collegio 9. Scuola di vita 10. Il collegio di santa Chiara 11. Un vero collaboratore 12. Chierico fondatore 13. Il seme germoglia e cresce 14. Sacerdote secondo il cuore di Dio 15. Le scelte e i tempi di Dio 16. L’approvazione del vescovo 17. Soffrire e tacere 18. La casa madre a Tortona 19. Condotto dalla Provvidenza 20. Pio X e la Patagonia romana 21. Apostolato e pellegrinaggi 22. Le sorprese dell’amore 23. I due terremoti 24. La carità non serra porte 25. Sviluppo prodigioso 26. Socialismo e socialismo 27. Le suore 28. I “Piccoli Cottolengo” 29. Il santuario della Madonna della guardia 30. E’ sempre la Madonna


31. Tre grandi iniziative 32. Le missioni 33. Filo diretto con l’Italia 34. Dio è con lui 35. Tramonto luminso


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