Il Richiamo ( Giugno 2012 )

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IL SALUTO DEL DIRETTORE.

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DALLE LETTERE DI FRATE AVE MARIA.

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UN PO DI STORIA. ( Parte I ).

IL SALUTO DEL DIRETTORE arissimi amici lettori, riprendiamo i contatti su queste pagine, dopo la lunga pausa invernale e una primavera dal tempo instabile. La vita all’eremo è stata attiva in questo inverno, dove – mese di febbraio a parte- il bel tempo ha favorito le visite di parecchie persone. Il sole e la temperatura mite hanno permesso persino la celebrazione di un matrimonio il giorno di S. Silvestro, ultimo dell’anno 2011.

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26 DALLA VITA DI SAN LUIGI ORIONE. 30 DIFFONDIAMO SERENITÀ E BONTÀ 32 NOTIZIE DI CASA. 44 I PENSIERI DI FRA SERENO.

Ovviamente anche la tristezza della morte ha colpito in questi nostri giorni: infatti tra gennaio e febbraio 2012 abbiamo celebrato le esequie di due storici amici dell’eremo: Giuseppe Gerelli e Giuseppe Birilli, persone molto generose che hanno sempre sostenuto in varie maniere quest’opera.

In Copertina: L’eremo di Sant’Alberto (particolare).

IL RICHIAMO DI FRATE AVE MARIA Semestrale degli Eremiti della Divina Provvidenza Eremo e Parrocchia di Sant’Alberto di Butrio 27050 Pontenizza (PV) Tel. 0383/542179 - Fax 0383/542161 - c/c postale n. 14030274 www.eremosantalbertodibutrio.it E-mail eremo.sant.alberto@libero.it

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La pasqua di risurrezione ha poi allietato i nostri cuori con il suo messaggio di gioia e speranza grande: la morte non ha più motivo di farci paura perché Gèsù l’ha sconfitta, e il successo è arrivato in un campo che è dominato dalla stessa morte: la nostra umanità. La vita quindi ci appartiene perché Cristo ce l’ha donata e il dono è definitivo ed eterno.

Adesso invece l’instabilità del tempo non ci permette di compiere all’aperto tutto ciò che vorremmo, ma le frequenti visite di tanti pellegrini del silenzio ci confortano. Al proposito vorrei ringraziare quanti ci aiutano con la generosità delle loro offerte tramite “il Richiamo” . Tutti ricordiamo al Signore con un pensiero di gratitudine e invochiamo per ciascuno le grazie celesti che desiderano. 3


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DALLE LETTERE DI FRATE AVE MARIA

E poi ringrazio anche le tante persone nostre ospiti, che attraverso il silenzio, la preghiera e la contemplazione, condividono un pezzettino di vita dell’eremo e incoraggio questo tipo di soste, che sono molto salutari per la vita dello Spirito.

Ora si va incontro all’estate, e tale periodo si presta molto a dare un po’ più di spazio, nelle nostre giornate, alla dimensione spirituale che ciascuno di noi possiede e che ogni tanto richiede di essere presa in considerazione con maggior attenzione. Non importa se all’Eremo di Sant’Alberto di Butrio o nel silenzio della nostra camera, l’importante è fermarsi qualche volta per tentare di appagare questo desiderio che emerge.

Il Luogo favorisce, certo, ma la volontà di fare le cose incide ancora di più e ci spinge ad agire in un modo più concreto. Quindi l’invito è quello di fermarci qualche volta ad ascoltare: il nostro cuore, la nostra anima, la nostra mente per rivolgere un pensiero al cielo da dove può arrivare tanta felicità.

Ricordo anche che la prima domenica di settembre, è la festa di S. Alberto e quindi il nostro Eremo e la nostra comunità parrocchiale e religiosa, sono in festa. Per partecipare non occorre prenotare, basta solamente decidere di dedicare qualche ora al Signore nel silenzio e in mezzo al verde in una bella giornata di settembre. E’ palese che vi aspettiamo numerosi per onorare i nostri Santi con la gioia e la fede che loro dal cielo alimentano e tengono viva anche per noi.

Buona estate e buon cammino di vita. Don Vincenzo Marchetti Superiore e Parroco.

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ANIME! ANIME! AD JESUM PER MARIAM!

orellina dilettissima in Gesù, Maria, Giuseppe, Gesù buono ci doni il suo cuore, onde noi lo possiamo ricambiare con uguale amore. Davvero mi rallegrò assai il saperla in cura e ne ringraziai vivamente i nostri amici comuni del cielo e li pregai di voler benedir la sua impotenza ed a renderla feconda più che ogni precedente sua fatica nel campo dell’Azione Cattolica. Oh, sì, facciamo tesoro per il cielo in ogni tempo, cerchiamo di acquistare quella santa indifferenza nell’elezione di ciò che noi possiamo fare di bene di maniera che ad ogni istante, noi siamo pronti a sospendere un’opera buona per intraprenderne un’altra migliore. E la più grande opera che noi possiamo fare è quella di ubbidire per amor di Dio a quelli che ci amano nel Signore. Oh, sorella mia, come camminerebbe meglio il mondo se i ministri del Signore avessero ragione invece di predicare la peniten-

za, di inculcare a tutti la moderazione nel sacrificio! Sì, vi sarà poi un’età felice su questa terra, quella sarebbe l’era dei puri, dei forti e della pace; ma, ohimè, quanto siamo ancora lontani da quella generazione felice. Tuttavia quelli che al presente, per amor di conformarsi alla vita di Gesù Crocifisso e di Maria Addolorata, desiderano tanto l’occasione di potersi sacrificare, da soffrire maggiormente quando tal grazia non viene loro accordata, non mancano di esser felici ancorchè essi vivono nel secolo infelice. Sorellina mia, amiamo Gesù e Maria per loro amore sforziamoci di accontentar tutti, ma convinciamoci che fino a quando tutti non ameranno il Signore, ci sarà impossibile il poter far tutti contenti; quando poi tutti ameranno davvero il Signore e la Madonna, allora non vi sarà più alcuno che desidererà d’esser consolato, ma tutti saranno intenti a consolare altri.

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Sorella mia, innamoriamoci sempre più della Croce del Signore, imprimiamola sempre più profondamente in noi, non solo nella nostra carne, ma anche nel nostro spirito. Se noi ameremo Gesù Crocifisso e Maria Addolorata, nessuna ci potrà più togliere di su la benedetta croce, perché quando agli occhi altrui sembrerà che il nostro corpo riposi, sarà appunto allora che noi maggiormente potremo crocifiggerci nell’anima. Oh, sì: per chi veramente ama Gesù e Maria quaggiù non potrà vivere un istante senza sentire nelle sue membra o nel suo spirito un saggio di ciò che Gesù e Maria hanno sofferto, perché se noi ameremo Gesù e Maria, il nostro spirito tripudierà nella nostra carne de Egli vedrà più profondamente impressa la dolorosa rassomiglianza de’ suoi malati. E se il nostro corpo per amor della pace altrui sarà costretto a nuotar nelle delizie, in quelle delizie che non dispiacciono al Signore, allora sarà il nostro spirito crocifisso nella sua volontà, perché bramerà sempre l’esser con Gesù confitto in croce ed il veder la sua carne lontana dalla croce di Gesù, gioverà a fargli soffrire la più umiliante delle croci.

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Questo può solamente essere operato dall’amor divino, eppure questo amore che sa convertir ogni gioia in dolore, vuol pure cambiare ogni dolore in gioia; e quello che più deve importarci in gioia, in ogni dolore, è appunto quest’amore che rende fecondi ottimi frutti d’eternità, sorella mia. Preghiamo, lavoriamo, soffriamo, amiamo e confidiamo, conserviamoci in pace e con l’esempio e col consiglio adoperiamoci per condurre tutti alla pace. Buona Pasqua, sorella mia dolce, Buona Pasqua dai piedi della Santa Croce, accanto a Maria, dai piedi del Santo Sepolcro, del Santo tabernacolo. Ai piedi di Gesù Risorto viviamo sempre spiritualmente uniti per adorare e ringraziare, amare e ricever grazie da Colui che vive e regna nei secoli eterni. Gradisca il mio gratissimo saluto in gesù Crocifisso, in Maria Addolorata. Sono l’indegnissimo Figlio della Divina Provvidenza Frate Ave Maria dell’Eremo di S. Alberto di Butrio. 25-3-1930. Festività di maria Vergine SS. Annunziata. IN NOMINE TUO VIDIMUS LUCEM! AVE, MARIA!

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p Un po di storia.... ✒

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PRIMA PARTE

ant’Alberto di Butrio è un’oasi di pace dove la fede, l’arte e la storia nobilitano l’incanto di una regione ancora inviolata dell’Appennino vogherese. Quel panorama, contemplato dalle vette sovrane del Penice, del Bogleglio, del Giarolo, dell’Ebro, presenta una successione digradante di scogliere biancastre, franose, prive di vegetazione, come risultato di chissà quale cataclisma geologico. Ma chi risale dalla pianura ha dinanzi il prospetto dei colli più esposti a tramontana e perciò ricchi di terreni coltivati e rivestiti di foltissime boscaglie.

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La zona montagnosa di Sant’Alberto, dove il pittoresco s’alterna con l’orrido che riserva qualche volta sorprese anche ai più sperimentati, è battuta secondo le stagioni da frotte di cacciatori del genovesato, del pavese, dell’alessandrino e da solitari cercatori di funghi che ne conoscono tutti gli anfratti, tutte le coste, tutti i sentieri più minuti. L’eremo sorge a 687 m. su di uno sperone calcareo che emerge dal fondo valle entro una verde chiostra montana. Solo il versante a nord è arido e brullo con striature di pietrisco e una stentata vegetazione di arbusti.


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Su di un costone roccioso, situato a sud-est dell’eremo, torreggiava, verso il secolo X l’antico castello che diede il nome al paese e andò presto in rovina, senza lasciar traccia neppure di fondamenta. Lo separava dal monastero un breve avvallamento solcato da un torrente vorticoso, il Butrio, che gli abitanti del luogo chiamano Borrione(Burion) di fianco al quale si indica la grotta di Sant’Alberto nel punto ove sorge una cappelletta dovuta all’iniziativa di Don Orione. Questo torrente per balzi scoscesi getta le sue acque nel Begna che solca la profonda valle posta a nord- ovest e tra dirupi arditissimi si versa nel Nizza affluente dello Staffora. Lo sperone calcareo sul quale sorge l’eremo emerge tra le due profonde incisioni del Borrione e del Begna. Un senso di pace e di beatitudine si comunica allo spirito dal paesaggio. Attorno ai muri grezzi della chiesa e del convento, dominati dalla torre quadrata e da un campani letto disadorno, non ci sono casa di abitazione. Un po’ più in su è la bianca cinta del cimitero.

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L’apparizione dell’eremo per chi, raggiunto da un punto d’osservazione, lo scopre un po’ più in basso della sua linea visiva in quella cornice di verde solitudine, suscita nell’animo soavi sensazioni come d’inesprimibile melodia che fa rivivere il passato. L’incontro di Sant’Alberto vibra di più intense comunicazioni spirituali quando sul vespero il suono della campana riempie la valle e chiama sull’eremo l’oro degli astri. Si vorrebbe trascorrere la notte in contemplazione. Solitudine, silenzio, preghiera. Solo verso sud- ovest è uno spiraglio che rompe il cerchio claustrale, e da esso s’intravvedono le montagne che s’alzano di là dello Staffora, avvolte nella nebbia della distanza, come le preoccupazioni del mondo che qui non hanno più contorni e rilievi per chi è venuto in cerca di pace. FONTI STORICHE

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Non giudichiamo l’importanza dell’Abbazia di Sant’Alberto dal poco che avanza della sua mole. Un “ tornado” non provocherebbe danni maggiori abbattendosi su di una regione.

A prescindere dalle costruzioni recenti, rimangono le tre chiesine fra loro comunicanti, (per noi oggi un tutt’uno); la torre, un lato del chiostro e qualche rudere di muraglione. Non s’è mai trattato di un monastero amplissimo , popolato da tanti monaci intenti, tutti alla preghiera e particolarmente chi allo studio, chi al lavoro , chi al minio, … paragonabile a Bobbio o a Montecassino; ma ebbe tuttavia un suo volto e una sua grandezza degna di essere segnalata nella storia. L’impressione d’immutabile potenza che dà l’eremo guardato da quel raro osservatorio a fondo valle, cede, una volta entrati, a un doloroso stupore nel constatare che il tempo e l’incuria degli uomini lo avevano quasi completamente votato all’abbandono. Che cosa sarebbe rimasto di Sant’Alberto senza la fede di un apostolo, don Orione, animatore tra i più efficaci della sua rinascita e collaboratore entusiasta del suo vescovo diocesano? Tre studiosi principalmente hanno il merito indiscutibile d’aver sottratto all’oblio completo il monastero.

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Il canonico Giuseppe Bottazzi con la pubblicazione dei “ Monumenti dell’archivio capitolare” nel 1837, sollevò per primo il velo polveroso e ponderoso che gravava sulla storia dell’abbazia e scoprì dai pochi segni rimessi in luce quale tesoro nascosto si celava tra quelle povere mura sgretolate. Il suo esempio fu seguito poi con intelletto d’amore dal Conte Antonio Cavagna Sangiuliani, pavese, che tentò una ricostruzione storica nel volume “ Dell’Abbazia di Sant’Alberto di Butrio” stampato a Milano nel 1865. Egli riporta tutti i documenti d’archivio che ha a disposizione. Il canonico Vincenzo Legè pubblicò a sua volta nel 1901 la monografia “ Sant’Alberto Abate e il suo culto” che riassume gli studi del Sangiuliani e li integra, sfrondandone le inesattezze e aggiungendo i risultati di altre indagini da lui condotte meticolosamente negli archivi della diocesi e altrove con la collaborazione di studiosi eminenti anche stranieri. Malgrado tanta passione e tanto zelo, il materiale storico è paurosamente scarso, le fonti a cui attingere sono di un’aridità sconfortante. Basta pensare che dei 1800


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volumi di cui la biblioteca dell’eremo era ancora fornita nei primordi del secolo XIX non è rimasto nulla. Gli archivi di Tortona e di altre diocesi poco o niente hanno rivelato e meno ancora daranno forse in seguito, sebbene non si possa escludere il contrario; il caso spesso conduce alle scoperte più sensazionali. Il tentativo di far rivivere un passato così remoto nell’epoca delle conquiste spaziali è senza dubbio umile e coraggioso. GLI ATTI DEL SANTO E LA TRADIZIONE Alcuni santi di nome Alberto sono stelle di prima grandezza nel firmamento della Chiesa. Domina su tutti per elevatezza d’ingegno Alberto Magno. Di poco anteriore è Sant’Alberto di Butrio. Con tutta probabilità dovettero esistere in antico gli Atti della sua vita come da quattro secoli prima esistevano per San Colombano. Infatti Giona di Susa monaco di Bobbio, entrato nel convento nel 618, tre anni dopo la morte del fondatore, e divenuto segretario e confidente di Attala e Bertulfo

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immediati successori, ci lascò con la biografia di san Colombano uno dei più insigni monumenti del secolo VII. Non è pensabile che Sant’Alberto, al quale pochi anni dalla morte viene dedicata una chiesa, non abbia trovato un monaco premuroso di tramandarne le memorie. Niente purtroppo è giunto a noi di quella presumibile biografia ancora tutta fragrante di impressioni e di ricordi personali. Ma la prova d’un esistenza della raccolta degli Atti del Santo ci viene indirettamente dalla tradizione che ha un carattere di veridicità e di serietà pur affondando le radici negli abissi insondabili del tempo. La più antica tradizione scritta su Sant’Alberto è contenuta in una pubblicazione apparsa nel 1613 a Milano e dovuta a un religioso dei Servi di Maria P. Filippo Ferrari di Alessandria. In un suo “ Catalogo dei Santi” alla data 5 settembre traccia in poche righe la biografia di Sant’Alberto confessore: “ Alpertus monacus et sacerdos apud Cecimam agri derthonensis pagum vitam duxisse traditur.

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Egli accenna alla mancanza degli Atti, ma segnala l’esistenza di un affresco della chiesa sotto il quale figura questa frase: “ Qualiter S. Alpertus cum esset ad mensam papae in vinum convertit. L’affresco di Sant’Alberto di grande valore biografico ci riporta indietro di altri due secoli rispetto alla tradizione raccolta da P. Ferrari, ma siamo ancora lontani di 400 anni dall’epoca del Santo che è il XI secolo. L’immensa lacuna tra i dati storici forniti dall’affresco e il periodo di fondazione del monastero cercheremo però di colmarla con alcune frammentarie rivelazioni da documenti d’archivio. Sono pagliuzze d’oro rintracciabili nella sabbia di un deserto, ma preziosissime per la loro rarità Sarebbe stato lecito attendersi qualche utile indicazione dalle lezioni dell’Ufficio proprio di Sant’Alberto che almeno fino al 1568 era obbligatorio per tutta la diocesi, mentre poi cadde in disuso. Ma di esso non ci sono pervenute che due antifone, probabilmente ignorate dal Ferrari e che non mancheremo d’illustrare a suo tempo. Non c’è che da interrogare la tradizione che riflette certamente documentazioni scritte

a noi ignote, come la luce del sole dopo il tramonto investe ancora le alte nubi di tinte smaglianti. È difficile sceverare in essa quanto potrebbe esserci di leggendario; però nelle tradizioni vigono delle leggi di conservazione che difficilmente si possono violare; e dove esse non urtano palesemente la storia è buona regola custodirle. La tradizione su Sant’Alberto non si abbandona a narrazioni ampollose di sospetta derivazione; è contenuta in limiti più che ragionevoli, e questo giova alla causa della autenticità INFLUSSO DEI BENEDETTINI SUL MONDO ROMANO – BARBARICO Il monachesimo in genere, l’ordine benedettino in particolare, sorto quasi contemporaneamente alle grandi invasioni barbariche (Sec V – VI) esercitò un influsso multiforme religioso, sociale, culturale sull’Occidente cristiano. Ai monaci pre – benedettini mancava una grande regola comune rispondente alla natura della vita religiosa e allo spirito occidentale. Le molte regole in uso non erano in sostanza che raccolte di

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massime spirituali con liste di proibizioni e di penitenze. Merito inestimabile di San Benedetto è quello di aver dato al monachesimo occidentale una legislazione pratica, ragionevole e discreta, una vera regola fissa, con l’aggiunta di elementi nuovi quali la “ stabilità” nel monastero e il lavoro manuale. Nel secolo VII in Italia la diffusione dell’Ordine benedettino subì qualche remora a opera dei Longobardi, ma dopo la conversione di questi vi fu una vera fioritura di monasteri. Crollata l’antica civiltà romana, l’Impero, percorso dalle orde barbariche, sarebbe potuto diventare un deserto materiale e moralmente. Le città e i castelli erano abbandonati; gli antichi monumenti profanati, le istituzioni del diritto sommerse nelle consuetudini dei rozzi vincitori; la vita intellettuale soffocata nelle eresie, negli scismi, e nelle corruzioni: l’economia sociale ricondotta a sistemi rudimentali. Soprattutto minaccioso era l’urto delle razze e delle religioni. Solo la Chiesa si eresse a difesa del mondo occidentale e per suo merito Roma potè sopravvivere. Strumento efficacissimo di salvezza fu il Monachesimo.


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I Benedettini fecero rinascere non solo in Italia, ma entro i confini del vecchio Impero, il senso pratico di operosità nei diversi campi assegnati al braccio e al pensiero. Dissodarono le terre incolte, penetrarono nelle selve per aprirvi delle vie di comunicazione e fondarvi dei centri abitati, incanalarono le acque, prosciugarono le paludi, instaurarono nuovi metodi di agricoltura. Per ore e ore del giorno sfacchinavano, poi lasciato lo strumento di fatica, prendevano la sottile verghetta di piombo e copiavano manoscritti riportandoli dai fragili papiri alle resistenti pergamene che qualche secolo dopo l’umanista riscoprirà per arricchire il patrimonio del sapere del mondo. La letteratura latina e greca fu salva nei monasteri e nelle chiese. E non si trattò di cultura chiusa, essa fu estesa al pubblico per mezzo delle scuole. Altrettanto benefico influsso dei Benedettini nel mondo delle Arti, tanto da chiamarsi arte monastica quella romanica. Monaci furono architetti, ingegneri, artieri e costruttori pittori, scultori, musici.

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Essi si preoccupavano non soltanto di assicurare ai poveri la sistemazione materiale e intellettuale ma l’una e l’altra forma di carità integravano con l’assistenza spirituale distribuendo i tesori della sapienza, della virtù e della Grazia, secondo il programma simboleggiato nella croce e nel motto: “ Ora et Labora”, del loro grande Patriarca, definito da San Gregorio Magno” maestro per eccellenza della vita perfetta” (Dialoghi). Gli oratori da essi fondati anche nei luoghi meno accessibili divennero col tempo chiese intorno alle quali si agglomerarono le prime capanne dei bifolchi felici di trascorrere la vita sotto la guida di quei monaci usciti spesso dal ceto nobile per condividere coi semplici le fatiche e le soddisfazioni spirituali. L’etimo dei nomi di parecchie città ce ne svela l’origine monastica. Purtroppo la storia degli ordini religiosi alterna periodi di splendore con altri di decadenza. Anche a non dar troppo credito, come di dovere, alla leggenda dell’Anno Mille, capziosamente divulgata dagli enciclopedisti, dobbiamo convenire che un profondo

abbassamento del tono di vita religiosa contrassegna la società cristiana nei secoli IX-X- XI pure accompagnandosi a imponenti manifestazioni d’una religiosità esteriore. Il costume di vita nelle abbazie e nei conventi subì una flessione dopo il periodo di più intenso fervore specialmente a causa di interferenze laiche e del fattore politico economico che ne allentavano la disciplina. Ma proprio da allora cominciò a manifestarsi una reazione salutare che portò alla rinascita, giunta al suo apogeo nei secoli XII-XIII. Centro propulsore divenne l’Abbazia di Cluny (910) la cui riforma fu protetta dal Papa fin dal 931 e sottratta a ogni influsso della potestà civile ed ecclesiastica locale. Con Gregorio VII già monaco di Cluny immense energie furono poste al servizio della Chiesa. Seguirono dopo il Mille altre riforme particolari intonate generalmente a criteri di una più severa ascetica monastica e d’un ritorno alla pratica della povertà in opposizione alla potenza economica e politica delle grandi Abbazie.

Ecco le principali: Camaldolesi (1012), Vallombrosani (1036) Certosini (1084) Cistercensi (1098) Silvestrini (1231) Olivetani (1313) e finalmente la congregazione di Santa Giustina di Padova (1419) detta poi (1504) Cassinese con tendenza ed evoluzione federativa adatta ai tempi mutati. In questo panorama è compresa la vicenda storica di Sant’Alberto e della sua famosa Abbazia LA FAMIGLIA BENEDETTINA DI SANT’ALBERTO

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Per situare nel suo tempo Sant’Alberto e accostarsi a lui si suol prendere le mosse da un altro santo che operò nella stessa regione: San Colombano di Bobbio. Dal suo celebre monastero partirono diverse colonie religiose per le zone circostanti. Germogli dell’Abbazia bobbiese si possono considerare alcuni antichi conventi delle valli Sturla e Lavagna. In diocesi di Tortona sorsero le abbazie di Precipiano, Savignone, Patrania (Torriglia), Vendersi, Bavantore, Molo, San Clemente (Dova), San Marziano (Tortona), fondata dal vescovo Giselprando


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ex abate di Bobbio, Santo Stefano (Tortona) che occupava una vasta area compresa tra la basilica di Loreto e piazza Malaspina, san Paolo(Tortona); un po’ più tardi Rivalta (sec. XII). Merita un cenno di distinzione tra le abbazie quella di Montebello che ebbe come primo abbate un Alberto e fu presa sotto la protezione dal Papa ma, dal quale, tramite l’Abate Caronti, abbiamo avuto queste precisazioni, ritiene che quello di Butrio sia un monastero indipendente, condizione generale, del resto, dei monasteri prima del secolo XV. Potremmo allora conchiudere così: Sant’Alberto e i suoi monaci per alcuni secoli non appartennero a determinati organismi benedettini, se non nello spirito e nell’osservanza comune regolare; dopo il XV sec. epoca degli affreschi forse si unirono alla congregazione Cassinese. QUANDO E DOVE NACQUE SANT’ALBERTO? Sulla data di nascita e sul luogo di origine nulla sappiamo di sicuro. Sant’Alberto visse a lungo: questo pare certo, anche dagli affreschi che ce lo dipingono vecchio

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dalla barba candida, dal volto austero e dagli occhi profondi. Conoscendo l’anno di morte che è 1073, si potrebbe ascrivere la sua nascita agli ultimi decenni del X sec. Più ardua la questione del luogo d’origine. Non si può dare una risposta documentata, ma solo probabile e assai vicina al vero. Il parere degli studiosi al riguardo è discorde ed elastico. C’è persino chi lo vuole romano per farne un compagno di S. Ponzo nell’identico desiderio di fuggire il mondo per ridursi a vivere in grotte. Si tratta d’uno svarione marchiano, giacchè, se l’accostamento può essere valido per la comunanza dei luoghi, la valle Staffora, la cronologia ne rimane sovvertita. S. Ponzo è un martire del IV sec. e Sant’Alberto visse nell’XI. L’abbate Lugano accosta Sant’Alberto al monaco Gezzone tortonese autentico che fa spicco per dottrina e per pietà e ci ha lasciato un trattato “ De corpore et sanguine Domini”. Egli aspirava a vita solitaria, ma suo mal grado si arrese alla volontà del vescovo Giselprando che lo destinò prima a reggere l’abbazia di S. Marziano e poi il monastero di S. Pietro in Breme dove morì nel 1014. 17


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Il suo esempio di vita claustrale non fu senza seguito. Sant’Alberto è da considerare nella scia di Gezzone e di Giselprando. Così la decadenza del monachismo a Bobbio determinò la restaurazione dell’osservanza regolare nella diocesi di Tortona. Non si può separare l’opera di Giselprando e di Gezzone da quella di Sant’Alberto. Da questi rapporti di intenti si potrebbe dedurre che Sant’Alberto o veniva direttamente da Bobbio come eremita desideroso di maggior pace e più alto grado di perfezione, oppure era d’origine tortonese. Questa l’ipotesi di padre Lugano che però non ha nulla di definitivo. Altre vie di indagine si aprono allo studio. La frequenza del nome Alberto nella genealogia dei marchesi Malaspina e il favore accordato da questi potenti signori all’eremita di Butrio potrebbero accreditare l’opinione di chi lo ritiene di origine patrizia anzi addirittura membro di quella famiglia, tanto illustre da meritare più tardi d’esser celebrata da Dante e che aveva spinto le sue conquiste dalla Lunigiana al Monferrato, dominando, fra l’altro, tutta la valle Staffora, la val Curone, la val Trebbia, la val Borbera.

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Sant’Alberto potrebbe aver sortito i natali in uno dei castelli numerosi della regione soggetta ai potenti feudatari che avevano per emblema il ramo secco e il ramo fiorito. VITA DI PENITENZA

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Un altro interrogativo dobbiamo subito affrontare: perché Sant’Alberto cercò ristoro spirituale lontano dal mondo scegliendo di vivere fra boscaglie e dirupi? La vocazione eremitica di Sant’Alberto non può spiegarsi se non col desiderio di evadere da un ambiente troppo discorde da quella purezza dell’ideale evangelico nel quale egli voleva liberamente spaziare. Non è probabile che egli si conducesse a far vita di preghiera e di penitenza direttamente dalla casa natale. L’aver scelto un luogo selvaggio e solitario come Butrio, mentre non mancavano posizioni più accessibili ed amene per fondarvi un monastero, fa supporre che egli abbia agito sotto l’impressione di qualche grave avvenimento a noi sconosciuto che potrebbe avergli risvegliato nel cuore un’antica brama di vivere più a contatto di

Dio. Dio sempre e dovunque si adora, ma tra le rupi alpestri e i liberi orizzonti Dio si sente. Una tradizione antichissima segnala che egli primieramente si portò nella zona compresa tra Valverde e Pietragavina, per cercarvi una dimora eremitica: ma poi, avendo sentito il canto di un gallo, comprese che lì presso dovevano trovarsi dei centri abitati e decise di spingersi oltre verso località più silvestri. Prima di allontanarsi piantò il bastone per terra, come segno del suo passaggio, e da quel punto scaturì miracolosamente una fonte che tuttora esiste e si chiama “ la fontana di Sant’Alberto”, la quale non cresce mai per pioggia nè diminuisce per siccità. Egli certamente era già sacerdote e quindi doveva essersi formato altrove. Tale suo desiderio di maggior perfezione si conciliava con il proposito forse precedentemente maturato in lui di dar vita a un romitorio al quale attrarre i primi seguaci. La novella Tebaide testimone delle virtù eroiche di Alberto fu la conca di Butrio, allora più vergine nelle sue foreste, più selvaggia nell’aspetto delle sue valli profonde e

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dei suoi ruinosi torrenti; dominata a distanza da un gruppetto di case strette attorno al castello destinato a rovina col sorgere della nuova istituzione. La popolazione semplice e rozza era costituita di contadini, di pastori, di mandriani, di boscaioli. La località più nota della zona, Cecima, era lontana quasi tre ore di cammino, di là della Staffora. Era feudo del Vescovo di Pavia, ma sottoposta alla giurisdizione religiosa di Tortona. I castelli circostanti di Saliano, Pizzocorno, Casalasco, Oramala, tutti signoreggiati dai Malaspina non erano visibili dal punto dove l’eremita, trovata una spelonca, l’aveva trasformata in suo abitacolo. Era incavernata nel dosso del monte a destra del torrentaccio che lo incide e con fragore assordante dopo le grandi pioggie si sprofonda tra balzi e dirupi nell’oscura valle del Begna. Col termine generico di Zerbone gli abitanti indicano la località selvaggia attraversata dal Barrione. L’anacoreta lasciava la grotta e compiva qualche escursione verso le frazioni abitate per esercitarvi il suo apostolato di carità, e celebrare i divini misteri. È presumibile che


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non abbia rotto del tutto i suoi rapporti con gli uomini, specialmente con quelli che mostravano desiderio di seguire il suo esempio nella pratica delle virtù religiose e nella rinuncia al mondo. Ma inizialmente egli visse solo con se stesso e con Dio. La tradizione ce lo presenta in veste di romito che trascorre molte ore del giorno e della notte in estasi contemplative, si nutre di radici d’erbe e di castagne, beve solo acqua. Tra le scabre pareti di quella spelonca egli macerandosi dotava la propria anima di profonde esperienze ascetiche. Di notte s’affacciava a quel lembo di cielo compreso tra i dorsi oscuri della montagna e nello sfavillio degli astri avvertiva sublime la presenza del Signore. LA FONDAZIONE DEL MONASTERO E I PRIMI SEGUACI A quell’antro dove forse mai nessuno era prima capitato s’accostò un giorno un eccezionale cacciatore. Era secondo la tradizione un Marchese della famiglia Malaspina che abitava il castello di Casalasco in Val di Nizza. Smarrito il

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cane, s’era dato affannosamente a richiamarlo e a cercarlo finchè lo sorprese accosciato davanti alla grotta. La vista dell’eremita lo sorprese e quasi lo sgomentò come un’apparizione irreale, ma la voce del Servo di Dio , i suoi occhi pieni di bontà e di dolcezza destarono in lui un profondo sentimento di venerazione. Prima di allontanarsi lo invitò al castello. Accondiscese il santo e al giorno stabilito fu a trovarlo. Appena egli giunse al palazzo gli si fece incontro il figlio del Marchese sventuratamente sordomuto fin dalla nascita e al primo cenno di benedizione acquistò l’udito e la favella. Il Marchese a quello strepitoso prodigio maggiormente si convinse della virtù di Alberto e non sapendo come retribuirlo di così grande favore lo pregò di esporre i suoi desideri. Il Santo rispose che la sua maggior aspirazione sarebbe stata di veder sorgere una chiesuola con alcune cellette per sé e per qualche compagno . Avrà così principio il monastero di Butrio sotto l’alta protezione di un marchese Malaspina. Rapida si diffonde la fama del pio anacoreta e alla Grotta accorrono i primi seguaci. Tra i visita-

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tori sono in commovente fraternità i rappresentanti più vari di quella società ancora divisa in classi di uomini liberi e di servi della gleba. Nella conversazione col Santo e al contatto della Grazia ritrovavano una forza rigeneratrice che dirozzava i loro costumi e fugava gli ultimi avanzi di paganesimo ancora radicati nel loro spirito. Parecchi addirittura decidevano di mettersi sotto la sua austera e paterna disciplina. Fu allora che sorse la chiesuola per munificenza del Marchese Malaspina di Casalasco, in una posizione rocciosa un po’ più in su dello speco e al centro d’una verde chiostra montana che le conferiva amenità e solitudine. L’averla dedicata alla Madre di Dio dimostra la devozione speciale di Sant’Alberto per la Madonna. Il titolo di S. Maria rimase alla primitiva chiesuola, finchè, sorte le altre due chiesette attigue, fu sostituito nei documenti e negli atti ufficiali con quello di Sant’Alberto esteso all’intero complesso. Essa si circondò presto di alcune celle a uso di eremitaggio. L’ambiente solitario non offriva certo le comodità di altri monasteri e quelle montagne che lo cir-

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condavano erano pure un simbolo di netto distacco dal mondo; ma assolutamente non presentava quei caratteri che alcuni storici vi hanno riscontrato parlando di paurose solitudini e di inaccessibili vette. Attorno alla chiesa di santa Maria vivevano agli inizi non dei cenobiti ma degli eremiti. L’eremita abita la sua cella indipendente dalle altre; i cenobiti, ossia i religiosi, fanno vita comune. In seguito si passò dal romitorio al cenobio o monastero secondo la regola benedettina. Le ristrette dimensioni della chiesa consentiva appena l’uso del coro che esistette certo fino dalle origini, non però dietro l’altare, ma lungo le pareti longitudinali fuori del presbiterio. L’Olivetano Fabrizio Malaspina che visitò l’abbazia nell’autunno del 1806 dice che era formato di otto stalli da un lato e sette di fronte senza suppedanei. ZELO DI SANT’ALBERTO La vita del santo fondatore è tutta intessuta di amor di Dio e degli uomini, di lavoro, di peregrinazioni, di organizzazione della

nuova famiglia benedettina che si viene formando attorno a lui. È composta di sacerdoti – monaci, di monaci non sacerdoti e di conversi. Nei primi tempi converso significava adulto “ convertito alla vita monastica”, in contrasto con il religioso cresciuto nel monastero fin da fanciullo; poi passò al significato d’uso corrente di laico incaricato dei lavori. Forse c’era già anche qualche sacerdote non propriamente monaco che viveva tuttavia in comunità. Alle dipendenze del monastero si venivano costituendo vere e proprie colonie di lavoratori che presumibilmente portarono un aumento di popolazione anche nel vecchio villaggio di Butrio. Erano distinti in due classi principali: quella degli aldiloni o semiliberi e quella degli arimanni, liberi. Gli aldiloni erano dediti alla coltivazione dei campi donati al monastero dai Malaspina e da altri possidenti. Divenuto Abate Sant’Alberto prese a diffonderne il funzionamento di là della regione di Butrio. Da un Breve di Gregorio VII veniamo a sapere con certezza che Sant’Alberto fondò personalmente diverse celle. Così si chiamavano

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dei piccoli monasteri o priorati dipendenti dall’Abbazia principale. In esse, secondo un decreto del Concilio di Aquisgrana dell’anno 817, non potevano abitare meno di sei persone. Un’altra Bolla, del Papa Eugenio III, ci illumina sulle attività apostoliche di Sant’Alberto abbate. Le località circostanti a Butrio risentono l’influsso benefico del suo zelo e della sua sapienza. Infatti le prime celle da lui fondate sono S. Giulio, Santa Maria di Primorago, San Giovanni di Piumesana, San Gervaso di Susella, Santa maria di Pozzolo e altre sconosciute come riferisce la Bolla. Ma in seguito egli dilata la sua attività e si spinge ben oltre il raggio di poche miglia. Esce di valle Staffora e fonda piccoli monasteri nelle adiacenze di Rivanazzano e Pontecurone; risale i monti più a oriente, infaticabile zelatore della causa di Cristo tra le popolazioni del piacentino, per sant’Albano, Montelongo e Valversa; apre un cenobio presso la chiesa di S. Genesio, poi tocca Donelasco per volgersi a Santa Mustiola; di là rimonta a Sant’Andrea della Costa e dappertutto stabilisce Colonie di monaci, che egli viene formando

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del suo spirito a Butrio, in parte accoglie, già formati altrove. Parecchi giovani crescono all’ombra dell’Abbazia alternando lo studio e il lavoro con la preghiera. Al tempo dell’ordinazione sacerdotale lo stesso Abbate li accompagna a Tortona, edificando clero e popolo col buon esempio delle sue virtù. Delle tante fondazioni ricordate quella di Santa Mustiola merita un cenno speciale, per la sua distanza da Butrio. Uno storico piacentino (Campi – Historia Ecclesiastica 1651) ne colloca la fondazione al tempo del Vescovo Dionigi circa l’anno 1065: “ Nei giorni che fu Vescovo di Piacenza Dionigi, di licenza di lui rizzossi a Santa Mustiola Vergine e Martire, un tempio allora posto non lungi dal castello di S. Miniato (oggi Seminò appellato) ma ora più vicino rimane alla terra di poi edificata di Borgonovo; e i fondatori furono Nantelmo nobil piacentino alfiere o capitano che fosse e sua moglie Otta, i quali introdotti in tal luogo alcuni monaci li sottoposero all’ubbidienza dell’Abate di Sant’Andrea di Botrio sul tortonese”. La notizia è preziosa per quanto abbisogni di rettifica. L’autore

che scrive nel 1651 fa una bella e pittoresca storpiatura di nomi. Voleva certo dire: “ lo sottoposero all’obbedienza dell’Abbate Alberto di Butrio, dal momento che nel 1065 il nostro Santo era ancor vivo. La fama della sua virtù era tanto diffusa da indurre a sottomettergli i monaci della nuova chiesa eretta a Santa Mustiola. Che non si trattasse di semplice attività amministrativa, ma di zelo per le anime, è dimostrato da uno di quei preziosi e rari frammenti sopravvissuti alla dispersione. È l’Antifonario che faceva parte dell’Ufficiatura propria di Sant’Alberto, conservata nei libri corali in pergamena del XIV secolo (anteriore quindi agli affreschi) esistenti nell’Archivio Capitolare. Purtroppo mancano le Lezioni relative a quell’Ufficiatura che sarebbe per noi d’inestimabile valore. Ricordiamo a spiegazione che anticamente il testo dell’Ufficio Divino era distinto in tanti volumi; antifonari, lezionari, salterio. Ecco perché ci pervennero le antifone mentre andò perduta la raccolta delle lezioni. Il contenuto di tali antifone è come una sintesi delle virtù del

Santo e illumina di intensa spiritualità il suo zelo per la religione e per le anime. Egli è chiamato luce di vera sapienza, splendore di virtù, tesoro di grazia. L’abbate Lugano sorretto dalla speranza di portare nuovi contributi alla biografia del Santo si diede alla ricerca delle lezioni con profondo acume d’investigatore e riuscì soltanto a scoprire (per una citazione fatta dal parroco di Villguatera don Francesco Bettio nella sua opera su san Bovo) che un antico Leggendario dei Santi era usato dai canonici della Collogiata di S. Lorenzo in Voghera. Sperava di trovarvi le notizie di Sant’Alberto ma non potè neppure rinvenire una copia di quel Leggendario che è citato ancora di recente, 1886.

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Co n t in u a nel prossimo nu mero

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DALLA VITA DI SAN LUIGI ORIONE…..

“MORIRE D’IN PIEDI”

l 6 marzo è festa patronale a Tortona: si celebra san Marziano. La Casa madre è in animazione gioiosa anche per la recuperata salute del «direttore». E la festa dell’addio per San Remo o per l’eternità? In mattinata don Orione s’era fatto condurre prima in Duomo, a pregare sulla tomba di san Marziano, poi al Santuario della Madonna della Guardia... Per l’indomani, 7 marzo, giorno fissato per la partenza verso San Remo, tutto è predisposto. Ma è don Orione stesso che chiede di spostare la partenza di due altri giorni. Sembra proprio che non sappia staccarsi da quei luoghi, da quelle persone. Si fa accompagnare dal chierico Ottavio Piacente in episcopio a salutare il vescovo monsignor Melchiori, il quale l’indomani avrebbe conferito l’ordinazione diaconale ad undici suddiaconi della Piccola Opera. Lo ringrazia, gli si inginocchia davanti, ne chiede la benedizione per sé e per i suoi. Si reca poi a San Bernardino, dai piccoli aspiranti, va pure dalle Suore Sacramentine e dalle Piccole Missionarie della carità: per tutti ha una parola, un sorriso, una benedizione. Raduna poi gli undici ordinandi e dice loro: «Sentendoci venir meno le forze e la vita che se ne va, noi anziani possiamo avere un conforto guardando a voi ai quali affidiamo il Vangelo, la croce, la stola, l’altare, tutto...». Poi a sera tardi, dopo le ultime preghiere, la “buona notte” dell’addio alla comunità della Casa madre. È il suo testamento: “Sono venuto a darvi la “buona notte”…Sono venuto anche a salutarvi, perché, piacendo a Dio, domani mi assenterò per qualche tempo: per poco o per molto o anche per sempre, come piacerà al Signore. Nessuno più di me sa e sente che la mia vita, benché apparentemente sia, data l’età, ancora florida, nessuno più di me sente che la

mia vita, che questa mia vita è attaccata ad un filo, e che tutti i momenti possono essere gli ultimi; e che, se devo ringraziare Dio, il mio ringraziamento non può essere che questo: “Misericordia Dei quia non sumus consumpti!”, è misericordia del Signore se sono ancora qui a parlarvi. Quindi mi vedo davanti e vicino la morte più che non l’abbia mai veduta e sentita così vicina...

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San Luigi Orione dipinto di Rodolfo De Bernardi.


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Ora mi vogliono mandare a San Remo, perché pensano che là, quelle aure, quel clima, quel sole, quel riposo possano portare qualche giovamento a quel poco di vita che può essere in me. Però non è tra le palme che voglio vivere! E se potessi esprimere un desiderio, direi che non è tra le palme che voglio vivere e morire, ma tra i poveri che sono Gesù Cristo». Poi parla delle ordinazioni dell’indomani, della partenza di alcuni suoi per la Polonia e coglie l’occasione per ripetere il suo atto d’amore all’indirizzo di quella nazione: «Io amo tanto i polacchi! Li ho amati sin da ragazzo, li ho sempre amati”. Indi prosegue con voce commossa: “Cari figliuoli, sono venuto a darvi la “buona notte”. Potrebbe anche, sapete, essere l’ultima. Ma nulla ci deve essere più caro che compiere in noi la volontà del Signore… Vi raccomando di stare e di vivere sempre umili e piccoli ai piedi della Chiesa, come bambini, con piena adesione di mente, di cuore e di opere, con pieno abbandono ai piedi dei vescovi, della Chiesa! E non vi dico del Papa, perché quando si dice dei vescovi, a fortiori si dice del Papa, che è il vescovo dei vescovi, il dolce Cristo in terra. Cercate di amare sempre il Signore, camminate nella via di Dio, non desiderate altro che di vivere secondo le leggi di Dio, secondo la vostra vocazione, adempiendo non solo quello che è la legge di Dio, i comandamenti di Dio, ma anche quelli che sono i consigli della perfezione, i voti religiosi, coi quali vi siete legati alla Chiesa e alla Congregazione. La prima grande madre è Maria santissima. La seconda madre è la santa Chiesa. La terza, piccola ma pur grande, madre è la nostra Congregazione. Siate tutti di Maria santissima. Siate tutta roba della Chiesa! Amate molto il Signore; siate devotissimi della Madonna; evitate ad ogni costo, a costo di qualunque sacrificio, il peccato, tutti i peccati. “La morte, ma non i peccati!” diceva Savio Domenico. In queste parole del discepolo più caro a don Bosco, c’è tutto quello che il Signore vuole da me e da voi... Dunque, addio, cari figliuoli!». Qui don Orione si ferma. Abbassa il capo e, appoggiandosi alla balaustra, piange sommessamente. Poi si riprende e conclude rapidamente: «Pregate per me ed io vi porterò tutti i giorni all’altare e pregherò per voi. Buonanotte!».

Nessuno si muove. Il momento è colmo di vibrazioni interiori da cui tutti sono come soggiogati. Passano alcuni istanti che paiono lunghissimi. Quindi un chierico, mandato da don Perduca, chiede al “direttore” di impartire la benedizione sacerdotale. Lo fa con ampio gesto e lentamente scandendo le parole rituali, dopo aver fatto recitare secondo il suo solito un’Ave Maria: «Gratia, misericordia, pax et benedictio Dei omnipotentis, Patris et Filii et Spiritus Sancti descendat super vos et maneat semper». “Amen!” è la risposta di tutti, rotta dal pianto. Il mattino presto del 9 marzo celebra la messa per la comunità indi, dopo un ultimo saluto, accompagnato dal chierico Modesto Schiro, infermiere, si dirige alla stazione a prendere il treno per San Remo. A San Remo lo accoglie una stanzetta a pianterreno di Villa Santa Clotilde. Gli sembra troppo ben arredata e, addirittura, vuol tornare a Tortona. “Mi mettete qui? dice a don Bariani che lo ha raggiunto in serata. Senti, Bariani, andiamo via, andiamo a casa. Non mi sento, non posso stare qui: fammi questa carità, guarda l’orario dei treni...”. “Va bene, signor direttore balbetta imbarazzatissimo don Bariani; ma aspettiamo almeno fino a domani...”. Accetta. Si acquieta. Da quel momento non avrà più nulla da obbiettare: obbedienza fino in fondo. Il giorno 10 marzo don Orione trascorre molto sollevato, persino di buon umore. Pare abbia dimenticato la lotta della vigilia e si sia perfettamente adattato alla nuova situazione. Segue scrupolosamente l’orario della casa e compie le pratiche di pietà insieme al suo infermiere, tra cui il rosario che vuole recitare completamente in ginocchio. Riceve qualche visita, passa lunghe ore allo scrittoio per rispondere a varie lettere che si è portato dietro entro una valigetta. Martedì 12 marzo 1940, nulla fa presagire che quella sarebbe stata l’ultima sua giornata terrena. Erano le 22,45 quando in preda ad un nuovo attacco del male don Orione dice: “ Gesù! Gesù!” “ Vado”… Era morto , in piedi come aveva desiderato, scivolando dal letto su di una poltrona, reclinando il capo sul petto del suo infermiere…!

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DIFFONDIAMO SERENITÀ E BONTÀ innoveremo noi e tutto il mondo in Cristo, quando vivremo Gesù Cristo, quando ci saremo realmente trasformati in Gesù Cristo. Ma questo calore, il vigore di una più alta e copiosa vita spirituale, come potremo noi darlo, come trasfonderlo negli altri, se non lo vivremo prima noi? E come potremo viverlo, se non attingendo a quella sorgente divina, che è Cristo? Egli, ed Egli solo, è la fonte viva di fede e di carità che può ristorare e rinnovare l’uomo e la società: Cristo solo potrà formare di tutti i popoli un cuore e un’anima sola, unirli tutti in un solo ovile sotto la guida di un solo Pastore. Or dunque sia questo il primo e massimo nostro impegno: annichilire noi stessi, rinnegare noi stessi, e formarci su Gesù Cristo, e su Cristo crocifisso, per mystèrium Crucis. Non vi è altra scuola per noi, né altro Maestro, né altra cattedra che la Croce. Vivere la povertà di Cristo, il silenzio e la mortificazione di Cristo, l’umiltà e l’obbedienza di Cristo, nella illibatezza e santità della vita: pazienti e mansueti, perseveranti nella orazione, tutti uniti di mente e di cuore in Cristo: in una parola, vivere Cristo. E sempre lieti in Domino, con gioia grande, diffondendo bontà e serenità su tutti i nostri passi e nel cuore di tutte le persone che incontriamo: sempre contenti, sempre alacri, tesoreggiando il tempo, ma senza troppa umana fretta: in ogni giorno, in ogni cosa, in ogni tribolazione, in ogni dolore, letizia grande, carità sempre e carità grande, sino al sacrificio; in ogni cosa, solo e sempre Cristo. Gesù Cristo e la sua Chiesa, in olocausto di amore, in odore dolcissimo di soavità. E non ti accontentare, per carità, di certo formalismo né delle pratiche esterne di pietà. Anche le pratiche esterne di pietà ci vogliono e fanno del bene; ma esse si dissolvono in nulla, se pur non fanno dei farisei e degli ipocriti, quando la pietà non fosse ignìta, quando non fosse una vera vita interiore, una religiosità profonda, una vera coscienza individua¬le cristiana e retta, formata bene, quando non for-

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massimo Gesù Cristo in noi, quando, realmente, non ci conformassimo in tutto a Gesù Cristo. Attuare in noi il santo Vangelo, applicare a noi Gesù Cristo, invocando ad ogni ora la sua grazia, e la grazia di vivere sempre piccoli e umili ai piedi della Santa Chiesa Romana e del Papa. A Gesù Cristo e alla sua Chiesa formare, plasmare, educare, più che con le parole, con le opere, col buon esempio, che trae ed edifica. (Dagli scritti di San Luigi Orione)

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NOTIZIE DI CASA

GENNAIO 2012. Domenica 1 Gennaio 2012; Nel pomeriggio ci fa visita il consigliere Generale don Eldo Musso con i suoi genitori venuti dall’Argentina… Anche quest’anno il primo gruppo che accogliamo in pellegrinaggio proviene dalla città di Genova e dintorni. Lunedì 2; dalla nostra parrocchia di san Luigi Orione in Pavia accogliamo don Agostino Gennari con il chierico Marques Silva Haleks dal Brasile che si fermerà qualche giorno tra noi prima di riprendere gli studi di teologia a Roma. Per ora di cena è comparsa la prima neve ma solamente per pochi minuti….

Gruppo con Mons. Giuseppe Orlandoni.

Martedì 3; Accogliamo Mons. Vescovo Giuseppe Orlandoni con un bel gruppo di giovani sacerdoti della diocesi di Senigallia nelle Marche. Con loro abbiamo vissuto un momento di fraternità con la presenza anche del nostro Superiore Generale don Flavio Peloso che è con noi per questa prima settimana del nuovo anno. Sabato 7; Nel “Rifugio Frate Ave Maria”.. ospitiamo un gruppo Scout da Milano per tre giorni di programmazione ecc.. Domenica 8; È tornato alla Casa del Padre Gerelli Giuseppe. Dopo alcune settimane di “Calvario” lo affidiamo ora alla Divina Misericordia e siamo vicini ai suoi cari in questo momento di dolore con la nostra preghiera ed amicizia. Nel pomeriggio fra Luigi è stato a Pizzocorno per il concerto di Natale, nella bella e ben tenuta chiesa parrocchiale. 32

Gruppo Scout da Milano.

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Martedì 10: alle ore 14 don Vincenzo ha presieduto il funerale di Gerelli Giuseppe, poi la cara salma è stata accompagnata al cimitero di Pizzocorno. Lunedì 16; iniziamo la settimana di esercizi spiritali accompagnati dal Benedettino Padre Adalberto Piovano proveniente dal monastero di Dumenza Va.

Domenica 29; sfidando la nevicata in corso i genitori di fra Ivan che oggi festeggiano 40° di matrimonio sono arrivati dopo varie peripezie all’eremo per ringraziare il Signore per tutto. Anche allora la neve era presente al loro matrimonio nella chiesa Parrocchiale di Cerrione BI, creando non pochi disagi come oggi! FEBBRAIO 2012.

Sabato 21; 48°anniversario della nascita al Cielo di Frate Ave Maria. E oggi abbiamo terminato gli esercizi molto belli per l’argomento trattato, sul combattimento spirituale e poi sul vasto tema dell’accidia. Lo ringraziamo per questi giorni di “grazia” che sono veramente volati… Sabato 28; la prima vera nevicata di quest’anno dopo un bel mese di gennaio dalla caratteristica quasi primaverile…

Mercoledì 1; una bella tormenta di neve.. con vento gelido.. abbiamo ormai raggiunto i 40 cm di neve e il nostro frei Cruz del Brasile guarda con meraviglia e stupore questi giorni così rari per lui essendo la prima volta che vede la neve…!!! Un altro momento di lutto per la nostra comunità parrocchiale, il caro Aldo Birilli di anni 90 ha termitato il suo pellegirnaggio terreno.

40° di matrimonio dei genitori di fra Ivan.

Un gruppo di Parrocchiane di Sant’Alberto

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Venerdì 3; alle ore 15 il funerale di Aldo Birilli presso la chiesa dell’eremo che lo ha visto bambino e ora riposa nel cimitero del paese. Ai suoi cari la nostra vicinanza e preghiera. Sabato 11: sono giornate fredde, abbiamo toccato anche i meno 15°. Nel pomeriggio fra Luigi è stato a San Sebastiano Curone AL, nella casa di riposo San Giuseppe tenuta dalle nostre Suore di don Orione Martedì 14; e oggi si compiono i primi 10 anni che il caro Fausto Bettineschi è parte della nostra comunità. Giovedì 16; riceviamo la notizia della morte di Giancarlo Cavallari di Bereguardo PV, papà del nostro caro amico Claudio. Anche lui dopo vari mesi di sofferenza e lento declino ha terminato la sua corsa e lo affidiamo ora alla Divina Misericordia assicurando la nostra preghiera. Gruppo sacerdoti Biellesi.

Lunedì 20; una giornata ancora all’insegna della neve, almeno qui a S. Alberto e rallegrata dalla visita di cinque sacerdoti Biellesi: Don Gianrocco Bombelli parroco di Cerrione, Vergnasco e Magnonevolo da dove proviene fra Ivan, poi don Attilio Barbera parroco a Candelo, don Paolo Loro Milan parroco a Gaglianico, don Andrea Creola parroco a Ponderano e don Lodovico De Bernardi parroco dell’Unità Pastorale “Beato Pietro Levita”di Salussola e Carisio … Mercoledì 22: Le Ceneri. Iniziamo nuovamente questo cammino penitenziale della Qauresima. Alla Messa delle ore 16.30 un bel gruppetto di fedeli per l’imposizione delle ceneri. Venerdì 24; in questo giorno nel “lontano” millenovecento nasceva a Pogli D’Ortovero SV il Venerabile Frate Ave Maria ( Cesare Pisano). Alle ore 16 il rito della Via Crucis ben partecipata e una giornata primaverile fuori della norma! 36

Fra Ivan Con il Parroco don Gianrocco Bombelli

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MARZO 2012. Lunedì 5; nel pomeriggio la pioggia si è mutata in neve ed è caduta ancora abbondantemente rompendo diverse piante e rami. Abbiamo celebrato primi Vespri della solennità di San Marziano Patrono della nostra diocesi di Tortona.

Martedì 13: È mancato il caro amico Lucchetti Romolo, di Pizzocorno, per diversi anni Presidente degli Alpini di Pontenizza PV. Una figura sempre molto amabile e discreta, spesso lo si incontrava all’ombra della grande quercia o per i sentieri del bosco attorno all’eremo. Sempre presente nei momenti di festa con gli Alpini, e nei vari pellegrinaggi vissuti a Pogli D’Ortovero Sv, per far visita ai luoghi di Frate Ave Maria.

Martedì 6; Fra Ivan e fra Cruz, si sono recati in Cattedrale a Tortona AL per la festa del Santo Patrono. A presiedere il solenne pontificale, il Cardinal Dionigi Tettamanzi.

Venerdì 16: dopo un periodo in famiglia e nelle varie case delle Congregazione, è rientrato fra Alejandro dall’Argentina.

Frei Cruz in Cattedrale a Tortona.

Il rientro di Fra Alejandro a Malpensa con Fausto.

Giovedì 8; un pulman da Cremona.

Sabato 17; Un pulman da Como nella tarda mattinata.

Lunedì 12; 72°anniversario della nascita al cielo di San Luigi Orione, nostro Fondatore.

Lunedì 19; Solennità di san Giuseppe e festa del papà! Un augurio e una preghiera per tutti i papà…

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Sabato 24; sono venuti a visitarci il fratello di fra Luigi, Gabriele con la moglie Antonietta, il figlio Alessandro e il piccolo Matteo. Un giorno speciale perché oggi è anche il compleanno di Gabriele… Auguri!

Fra Ivan, Fra Alessandro e Fra Cruz vanno a visitare i genitori di Fra Ivan a Cerrione BI.

Compleanno di Gabriele Fiordaliso.

Domenica 25; un pulman da Monza, e alle 15.30 un Battesimo. Fra Luigi nel primo pomeriggio è andato a S. Albano per le Confessioni. Lunedì 26; una giornata più bella di così non ci poteva capitare. Fra Ivan, accompagnato da Fra Alessandro e fra Cruz vanno a visitare i genitori di fra Ivan a Cerrione BI, una visitina a Bose…, e in Parrocchia dove abbiamo lasciato una bella tovaglia lavorata all’uncinetto da fra Ivan. Venerdì 30; la notizia della morte del parroco di fra Ivan Don Gianrocco Bombelli, il quale era appena stato in visita all’eremo un mese fa….Una morte improvvisa, aveva compiuto 75 anni il mese scorso. 40

La bella tovaglia lavorata all’uncinetto da Fra Ivan lasciata alla parrocchia.

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Sabato 31; Fra Ivan e fra Alessandro sono partiti presto per essere presenti al funerale di don Bombelli, da 42 anni parroco a Vergnasco e poi anche di Cerrione e Magnonevolo (BI). Nel pomeriggio un salto nel seminario diocesano di Biella e una preghiera presso la tomba del Venerabile don Oreste Fontanella. APRILE 2012. Ancora un momento di lutto all’inizio di questo mese per la scomparsa di Nello Panigazzi e Sergio Panigazzi a distanza di poco più di una settimana l’uno dall’altro. Fratelli del caro amico Senatore e Dottore, Luigi, benefattore dell’eremo, siamo vicini a lui e ai suoi cari in questo momento di dolore, confortati però dalla Passione Morte e Risurrezione del Signore. Domenica 1; il Coro di Bagnaria PV, ha animato la Celebrazione Eucaristica del mattino nella Solennità di questa domenica delle palme. La bella giornata ha anche favorito i numerosi fedeli saliti all’eremo.. per iniziare con maggior intensità questa Settimana Santa…

Fra Cruz con due nipoti di Frate Ave Maria.

Martedi 10; gruppo parrocchiale di San Viglio di Rogno, Brescia con don Giuseppe Castellanelli. Sabato 14: don Danilo da Abbiategrasso MI con un bel gruppo di fedeli. Mercoledì 18: Un pulman da Seveso MI. Venerdì 20: Gruppo studenti del Liceo Scientifico Statale “ Paolo Giovio” di Como. Mercoledì 25: Don Gianluca Vernetti da Varzi PV con i ragazzi della Cresima e catechiste. Gruppo da Milano di Comunione e Liberazione nel pomeriggio Domenica 29: pellegrinaggio da Pogli d’Ortovero SV. 42

Da Milano un gruppo di Comunione e Liberazione in visita all’Eremo.

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I PENSIERI DI FRA SERENO • Vidi una volta un discepolo di nessun valore vantarsi con alcuni delle virtù del maestro. Mentre credeva di farsi credito con l’altrui farina si attirò il discredito di tutti, che gli domandavano: “ Come mai un albero così bello ha dei rami privi di frutti?”. • La mitezza è lo stato costante dello spirito sempre uguale a se stesso dinanzi agli onori come agli insulti. Sicchè mitezza vuol dire anche pregare per il prossimo che ti turba in tutta tranquillità e serenità… Mitezza vuol dire anche solidità nella pazienza e capacità di amore…. (Giov. Climaco)

… Del resto il far poco conto di sé non richiede un’umiltà straordinaria, perché tutti abbiamo da rimproverare qualcosa in noi stessi. È piuttosto gran segno di umiltà il non diminuire il proprio affetto verso chi ci abbia offeso! (Giov. Climaco). • Cercate Dio in ogni luogo, così che il mondo intero si carichi della presenza dell’amato”! (Antony De Mello)

D AVA N T I A D U N A P E R S O N A : Quando mi metto davanti ad una persona, posso tener conto di ciò che è in questo momento, con i suoi pregi e i suoi difetti. Ma posso anche fare attenzione a ciò che può diventare. In ogni persona per quanto limitata sia, esiste un “io” profondo che attende impazientemente di essere realizzato. Amare una persona significa mettersi al servizio di questo “io” per aiutarla a realizzarsi. Amare l’altro vuol dire chiamarlo all’esistenza, farlo vivere, farlo essere di più!

Ma chi conosce veramente il limite estremo dell’altro? Chi può dire qual è il punto oltre il quale non può più crescere? Per amare l’altro allora, bisogna dare fiducia all’altro, dargli credito. Guardarlo con speranza. Così fai con ciascuno di noi Gesù, aiutaci a ricambiarti così in ogni persona. Amen. (dagli scritti di Erich. Fromm).

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Libreria Sono disponibili presso la Libreria dell'Eremo le seguenti pubblicazioni: – D. Sparpaglione, Frate Ave Maria, Edizioni Eremo di S. Alberto, Ponte Nizza (PV) pp. 32.

– Storia di Frate Ave Maria a fumetti, Edizioni Eremo S. Alberto, Ponte Nizza (PV), pp. 62.

– D. Flavio Peloso, Si può essere felici. Edizioni Piemme, Casale Monferrato (AL), pp. 204.

– Arcangelo Campagna, L’eremo di S. Alberto di Butrio, guida storico artistica, Edizioni Eremo di S. Alberto, Ponte Nizza (PV), pp. 72.

– A. Gemma, I fioretti di Don Orione, Edizioni Devoniane, Roma 2002 Seconda Edizione.

– Sui passi di Don Orione, “Sussidio per la formazione al carisma”, Edizioni EDB 1997, pp. 320

– D. A. Lanza: Don Luigi Orione e gli eremiti della Divina Provvidenza. Nel primo centenario della fondazione 1899-30 luglio 1999. Piccola Opera della Divina Provvidenza, via Etruria 6 00138 Roma.

– San Luigi Orione L’apostolo della carità, Edizioni Velar.

– Via Crucis con Don Orione, a cura di Don Francesco Mazzitelli FDP Grafiche Grilli srl, Foggia. 2004.

– Don Luigi Orione una vita ad immagini, a cura di don Giuseppe Rigo B.N. Marconi Arti Grafiche e Fotografie, Genova 1997.


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28-05-2012

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LAUS ET LABOR

EREMITI DELLA DIVINA PROVVIDENZA (Don Orione) Eremo e Parrocchia di Sant’Alberto c/c postale N. 14030274

www.eremosantalbertodibutrio.it - E-mail: eremo.sant.alberto@libero.it

Santa Messa festiva:

Feriale Ore 7.00 - Per tutto il mese di agosto anche ore 16.30 Pre-festivo: ore 16.30 Festivo: ore 10 e 16.30 (tutto l’anno).

Visita all’Abbazia:

Dalle ore 8.00 alle 12.00 – Dalle 14.30 alle 19.00

Feste:

Sant’Alberto Prima domenica di settembre. Nel pomeriggio: Messa ore 16.00 seguita dalla processione.

Memoria di Frate Ave Maria 3a. Domenica di maggio nell’Eremo di S. Alberto – Ponte Nizza (Pavia) 4a. Domenica di maggio a Pogli di Ortovero (Savona). Indicazione per chi utilizza il Navigatore: Per trovare la strada per l’Eremo, cercare Abbadia Sant’Alberto di Butrio. Supplemento N. 1 al Don ORIONE, Foglietto mensile del Piccolo Cottolengo di Don Orione 20146 Milano - Viale Caterina da Forlì, 19 - Anno XXXXIV - N. 8 - Maggio 2010 Poste Italiane s.p.a. - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Bergamo Realizzazione a cura della Editrice VELAR, Gorle (Bg) Foto: Augusto Maraffa, Frà Ivan, Frà Sereno - Stampa: Litonova srl, Gorle (Bg) Spedito nel mese di maggio 2012

L’Editrice VELAR assicura che i dati personali vengono trattati con la riservatezza prevista dalla legge in vigore (675/96) e utilizzati esclusivamente per le proprie proposte commerciali. Su richiesta, tali dati potranno essere cancellati o rettificati.


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