4 minute read

NON È PRO..FUMO

Next Article
L’IMPORTANZA

L’IMPORTANZA

Nei variegati ripiani della virtuale libreria della salute, un posto di rilievo lo merita sicuramente il fumo. Uno scaffale pieno zeppo di teorie, di interessi, di credenze, di certezze e di supposizioni.

Forse anche di supponenze. Scientificamente il fumo è la dispersione di particelle solide in gas. Se poi sono cariche di calore, nell’incontrare una parete fredda, diventano nera e collosa fuliggine. Ecco allora che il nostro pensiero si stacca improvvisamente dalla razionale cognizione scientifica, per riparare in quella più struggente, legata all’immagine di quel camino che, oltre a rappresentare le sensazioni del calore ed i piaceri del sapore, ci risveglia adolescenziali ricordi che precipitano negli anni dell’infanzia, quando quella corvina parete fuligginosa testimoniava mirabilmente l’arrivo della Befana. Il termine fumo ci proietta quindi in variegati e tangibili contesti sociali, palcoscenico inconsapevole della nostra quotidianità. C’è quello lapilloso dei vulcani, quello inquinante delle ciminiere industriali, l’altro etereo del vapore acqueo, quello benzinoso della marmitta catalitica, e persino quello inutile delle parole vuote. È dimostrato però che, nel pronunciare la parola fumo, non puoi fare a meno di pensare al tabacco. Ed allora la parola si avvolge di un valore semantico, dove l’aspetto fonetico è più sostanza che suono. Non si chiede ad una persona se consuma sigari o siga-

Advertisement

DETTO TRA NOI... di Sergio Grifoni

rette, ma solo se fuma. I primi a utilizzare fogliame di tabacco, sembrerebbero essere stati i sacerdoti Maya e i loro colleghi Atzechi, intorno all’anno mille A.C. Lo pigiavano in artigianali pipe ricavate dalle pietre, e lo soffiavano in direzione del sole, verso i punti cardinali. Per loro era il modo ed il mezzo più immediato per arrivare a comunicare con le divinità. Non a caso la parola “pipa” deriva dal verbo pipare, che significa pigolare o spifferare. Soffia oggi, soffia domani, iniziarono a capire che un po’ di quel fumo potevano indirizzarlo anche verso loro stessi. Soddisfatti i riti religiosi e quelli legati alla magia, provarono allora a tritare il tabacco, avvolgendolo poi nelle foglie di mais, per ricavarne primitive sigarette.

La successiva scoperta dell’America, accelerò sicuramente il processo di produzione e manipolazione di questo prodotto dalla mistica essenza. Iniziarono i Colombiani a prenderci gusto, per passare poi agli indigeni Caraibici, e concentrarsi successivamente sul prestante territorio della Virgina, con il suo clima ideale e terreno confacente. La successiva colonizzazione spagnola, intorno al XVII secolo, favorì il trasporto di questa pianta sconosciuta verso i lidi europei. E così, fra zoccoli di toro, sangria e paella, iniziarono a spuntare le prime foglioline dall’ enigmatico ed inebriante aroma legnoso. Quando poi Cristoforo Colombo incontrò gli indiani dell’America Centrale, scoprì che le foglie di tabacco, oltre che ad essere fumate, potevano essere utilizzate anche come medicamento, per far scomparire i morsi della fame, alleviare i sintomi del dolore e placare i sensi della fatica. Non bastavano però a mitigare quelli di colpa.

Nell’America meridionale non erano di meno, e gli involucri ripieni di tabacco arrivavano ad una gigantesca dimensione, tanto da occupare l’intera apertura della bocca. Insieme al sigaro, bruciarono però anche l’originalità, visto che lo chiamarono: tabaco Nemmeno nella parte settentrionale scherzavano più di tanto, affidandosi questa volta ai mitici calumet della pace, dove pigiavano con forza scaglie del magico fogliame che conservavano in piccoli sacchetti da trasporto, ben nascosti all’interno di giberne o tasconi strategici. Quelle foglie essiccate incominciarono quindi a diventare preziose, tanto da essere barattate come merce di scambio e persino utilizzate come moneta circolante.

E non si dica che allora non si bruciavano le risorse!

Oltre al fiuto degli affari, si incominciò a praticare anche quello del tabacco, attraverso il più comprensibile sistema dello sniffamento.

A far conoscere questo uso olfattivo, ci pensò nel 1561 Caterina de’ Medici che, ricevuta una consistente quantità del prodotto da parte di Jean Nicot (da qui il termine nicotina), pensò bene di divulgarla tra tutti i nobili d’Europa. Per lei era fortemente terapeutico, visto che riusciva a placare la quotidiana emicrania del figlio. La panacea marrone, ben presto portò alla dipendenza, tanto che Papa Urbano VIII minacciò di scomunica tutti coloro che usavano il tabacco da fiuto. Anche lo Zar Michele, a metà del seicento, con spirito meno clericale, impose di tagliare il naso ai consumatori incalliti.

Non presero provvedimenti solo in Francia, perché il primo consumatore era proprio il re Luigi XIII, e ad un re si poteva tagliare la testa, ma guai a tagliargli il naso. Il fiutare il tabacco aiutava così a distinguere la gente di alta classe sociale dalle classi più basse, che invece lo fumavano.

Il suo fiuto si è rivestito anche di santità, quando un frate prodigioso, convinto di non commettere assolutamente peccato, inco- minciò ad usarlo. Veniva da Pietralcina e si chiamava padre Pio. In Italia fu la Toscana ad ospitare le prime piantagioni e a confezionare i primi sigari di “trinciato” che, proprio dal nome della regione, venivano chiamati Toscanelli, ed erano alla portata di mano nelle bettole e nelle osterie, ammucchiati fra fiaschi di Chianti e tozzetti all’anice.

Oltre ad essere fumato e fiutato, il tabacco può essere anche mangiato.

Il primo a pensarci fu un famoso chef italiano, David Scabin, che un giorno, nel suo ristorante, servì a dei commensali una scatola affumicatrice da usare per dare un gradevole retrogusto di sigaro a porzioni di pesce. ome un religioso turibolo diffonde aloni profumati di incenso, quella scatola bucherellata condizionava il sapore lacustre di tranci e molluschi.

Funziona anche con il cioccolato, magari accompagnato da un sorso di invecchiato rum e uno stomaco disposto all’accoglienza. Fumarlo però è altra cosa.

Anche se la sua combustione, abbinata a quella di materiale accessorio, è fortemente deleteria per la salute.

Basti pensare che, in una semplice sigaretta, troviamo: Formaldeide, Acetone, Benzene, Catrame, Nicotina, Arsenico, Cadmio, Cromo, Cianuro di idrogeno, Ossido d’azoto, Ammoniaca, Dibenzacritina, Polonio 210, Uretano, Toluene e Metanolo.

Chi più ne ha, più ne metta!

La dipendenza da sigarette, sigari, pipe e tutti i prodotti a base di tabacco provoca ogni anno più di 8 milioni di morti in tutto il mondo. La percentuale nel nostro Paese è ragguardevole, con più di 93.000 decessi annui per malattie legate al consumo di tabacco.

Si ricorre a estremi excamotage attraverso l’uso della pipa, la non inalazione diretta, fino alla moderna sigaretta elettronica. Tutti sistemi per dribblare la dipendenza, la mancanza di volontà, la debolezza della mente a confronto con il vizio.

Detto fra noi, “pasturare” fra le labbra una rigida Marlboro o un aromatico sigaro cubano, crea una sensazione di forte piacere. Sì, è vero, ma è anche vero che non potrà mai essere pro..fumo.

This article is from: