Notiziario sulla Sicurezza gen/feb 2015

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Anno VII | numero 1 gennaio | febbraio 2015 ISSN 2283-9356

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Il Notiziario sulla Sicurezza è un bimestrale tecnico scientifico che contribuisce alla formazione e all’aggiornamento dei professionisti della Sicurezza nei luoghi di lavoro e di vita oltre che degli esperti sulle problematiche Ambientali. Grazie a una tiratura cartacea di 4.000 copie e una mailing list di 30.000 contatti, ogni numero raggiunge 32.000 professionisti del settore.

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Direttore Responsabile Gaspare Vannicola

RUBRICHE FISSE

Coordinatore Editoriale Martina Candito (martina.candito@emmev.it)

PSICOLOGIA DEL LAVORO Piergiorgio Frasca Psicologo del lavoro e delle organizzazioni

VERIFICHE ELETTRICHE/IMPIANTI Claudio Malaspina OCERT

LA PAROLA AL LLEGALE Maurizio Cilione LML Avvocati Associati

SPAZIO CONFINATO Adriano Paolo Bacchetta Coordinatore network Spazioconfinato.it

ANTINCENDIO Fernando Cordella Stefano Marsella UGL Vigili del Fuoco

FORMAZIONE ALLA SICUREZZA Mario Romeo SIA Ingegneria

MEDICINA DEL LAVORO Giovanna Pirana Polo Chirurgico Confortini

PIATTAFORME PLE Lorenzo Perino IPAF Italia

SICUREZZA MACCHINE Massimo Granchi Christian Trinastich MTM Consulting

LABORATORIO CERTIFICAZIONI Tommaso Morandin Dolomiticert

Redazione (redazione@emmev.it / sefora.pepi@emmev.it) Cinzia Bianchi, Daniela Nasi, Sefora Pepi Saveria Smerdel, Marco Reina, Eleonora Zoli Comitato Tecnico-Scientifico (cts@lineavita.org) Sig. Michele Marengo, P.I. Andrea Macconi, P.I. Sebastian Gallmetzer, Geom. Giovanni Buffoli, Sig. Ezio Savojni, Ing. Gaspare Vannicola, Arch. Patrizio Sirtori, Ing. Tommaso Morandin Progetto grafico e impaginazione Eleonora Zoli grafica@emmev.it EmmeV Service Sas Contatti Ufficio Marketing Sul nostro sito internet è disponibile il prospetto relativo alle inserzioni pubblicitarie. Per maggiori informazioni Sefora Pepi marketing@emmev.it / sefora.pepi@emmev.it Editore EmmeV Serice Sas Tel. 02.36708805 – Fax. 02.36708803 e-mail: info@emmev.it Proprietà EmmeV Service Sas Sede Legale: Via Doberdò, 22 Milano Tel. 02.36708805 – Fax. 02.36708803 e-mail: info@emmev.it sito: www.emmev.it Registrazioni Camera di Commercio di Milano N.REA 1947743 P.IVA 07269590969 del 01/04/2011 N.ROC: 21011 del 06/04/2011 Registrazione del Tribunale n.390 del 18 settembre 2009 Stampa Publistampa Arti Grafiche via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (TN) tel. 0461.511000 fax 0461.533914 www.publistampa.com

© Copyright La collaborazione è gradita, utile e gratuita. Tutti gli interessi sono invitati a mettersi in contatto con la redazione. I dattiloscritti, le fotografie, i disegni non si restituiscono anche se non vengono pubblicati. Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la direzioni della rivista. La società editrice si riserva il diritto di non pubblicare e in ogni caso declina ogni responsabilità per possibili errori od omissioni nonché per eventuali danni risultanti dall’uso dell’informazione contenta nella rivista. Riprodurre parte dei testi è permesso evidenziando la fonte.

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Sommario

Il Notiziario sulla Sicurezza | gennaio - febbraio 2015

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Klimahouse ha compiuto 10 anni

L’artista Andy Warhol ha affermato: “credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare”.

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L’editoriale

6 Piattaforme PLE | Lorenzo Perino

13 Laboratorio Certificazioni | Tommaso Morandin

24 Sicurezza Macchine | Massimo Granchi, Christian Trinastich

28 Verifiche Impianti | Claudio Malaspina

34 Spazio Confinato | Adriano Paolo Bacchetta

40 58

Prevenzione sul lavoro

Medicina del Lavoro | Giovanna Pirana

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| Daniela Nasi

Dalle coalizioni operaie di mutuo aiuto e difesa all’ordinamento corporativo

Psicologia del Lavoro | Piergiorgio Frasca

48 Antincendio | Fernando Cordella, Stefano Marsella

52 Formazione alla Sicurezza | Mario Romeo

55 La Parola al Legale | Maurizio Cilione

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L’Editoriale

Buongiorno a tutti, care lettrici e cari lettori,

Iniziamo l’anno 2015 con consapevolezza di ciò che abbiamo passato, vista la crisi economica che imperversa sul paese Italia, e con la speranza che finalmente in questo anno ci possano essere reali segnali di ripresa per le imprese .Sia i lavoratori e sia i datori di lavoro sono in attesa di questa fatidica ripresa, chi perché possa trovare occupazione e chi perché possa trovare un segno positivo nel proprio bilancio. Noi come casa Editrice, che ci occupiamo di pubblicare prodotti editoriali di carattere tecnico-scientifico nel campo della sicurezza sul lavoro, dobbiamo ringraziare tutti gli autori che scrivono e che credono nel nostro lavoro. Per far conoscere il nostro lavoro e ritenendo che la carta stampata pian piano stia diventando obsoleta abbiamo deciso di mettere on-line la rivista cosi che possa essere letta tramite qualsiasi mezzo elettronico nei ritagli di tempo dei professionisti sempre impegnati. I servizi che abbiamo attivato per i nostri lettori e per i nostri inserzionisti sono diversi e innumerevoli, per conoscerli occorre contattare la redazione, scrivere a redazione@emmev.it e visitare il nostro sito www.emmev.it. Nel primo articolo-editoriale che vado a scrivere dopo l’introduzione, voglio focalizzare l’attenzione sull’attuale andamento infortunistico nel campo del lavoro: INFORTUNI

2006

2007

2008

2009

2010

2011

IN COMPLESSO

928.140

912.402

875.144

790.112

775.669

726.000

VARIAZIONI % RISPETTO L’ANNO PRECEDENTE

-

-1,7

-4,1

-9,7

-1,8

-6,4

CASI MORTALI

1.341

1.207

1.120

1.053

973

930

VARIAZIONI % RISPETTO L’ANNO PRECEDENTE

-

-10,0

-7,2

-6,0

-7,6

-4,4

I dati 2011 sono valori stimati sulla base delle denunce acquisite dagli archivi gestionali INAIL al 29 febbraio 2012

Metodi di analisi dei rischi lavorativi: In Italia con il recepimento della Direttiva 89/391/CEE, Legge 626 del 1994 si è introdotta l’obbligatorietà della valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, in tutte le attività pubbliche e private con lavoratori dipendenti (o assimilabili). Nel 2008 le diverse norme italiane ed europee sono state coordinate con il Testo Unico Sicurezza Lavoro, entrato in vigore come D.Lgs 81/2008. Questo decreto prevede agli artt. 17 e 28 che in tutte le aziende pubbliche e private venga predisposto un apposito Documento di Valutazione dei rischi per i lavoratori, sotto la responsabilità in delegabile del datore di lavoro (che eventualmente può farsi supportare dalla consulenza di professionisti esperti della materia). L’articolo 28 del Testo Unico Sicurezza Lavoro prevede che il Documento di Valutazione dei rischi abbia i seguenti contenuti: Relazione sulla valutazione dei rischi: contenente l’indicazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività

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lavorativa. Questa analisi è in genere divisa secondo più fattori di rischio, ad esempio: ambienti di lavoro, macchine, attrezzature, agenti chimici, fisici e biologici, aspetti organizzativi e gestionali, ecc. L’analisi è preceduta dalle informazioni sull’attività e sull’organigramma aziendale. Devono inoltre essere indicati i criteri utilizzati per la valutazione dei rischi. Indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate al fine di eliminare i rischi individuati, o nel caso in cui non sia possibile eliminarli completamente, ridurre il rischio a un livello “accettabile”. Elenco dei dispositivi di protezione individuale, che sono gli indumenti di protezione che i lavoratori indossano al fine della protezione individuale (ad esempio: calzature di sicurezza, casco, guanti, mascherine, ecc.). Programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, in cui si indicano tutte quelle misure che devono essere intraprese al fine di migliorare i livelli di sicurezza nel tempo (manutenzioni, verifiche, attività di informazione e formazione dei lavoratori ecc.). È in generale utile integrare il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) con le seguenti informazioni: Procedure di sicurezza sul lavoro: consistono in circolari o disposizioni scritte, rivolte ai lavoratori, per l’uso in sicurezza delle attrezzature di lavoro. Ad esempio, si hanno procedure di sicurezza per l’uso di scale portatili, di ponteggi e tra battelli, per l’uso di taglierine, macchine utensili, saldatrici, trapani elettrici, mole, frese, ed in generale per ciascun dispositivo il cui uso può comportare pericoli tipici e ripetitivi sul lavoro. Planimetrie dell’edificio analizzato: redatte in scala e con l’indicazione delle attività svolte nei vari locali e dei dispositivi di sicurezza presenti. Talvolta si allegano alla valutazione dei rischi anche alcune certificazioni sulle strutture e sugli impianti e alcuni verbali di sopralluoghi tecnici fatte nell’azienda da tecnici abilitati in materia di prevenzione, su incarico del datore di Lavoro o dei dirigenti aziendali. Il Documento di valutazione dei rischi lavorativi deve essere predisposto in modo specifico, in particolare per aziende di grandi e medie dimensioni. Per attività piccole e con rischi limitati (che occupano fino a non più di 10 lavoratori e, in certe condizioni, fino a 50 lavoratori) i datori di lavoro effettuano la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate di cui all’articolo 6, comma 8, lettera f ) del D.Lgs 81/08. Inoltre per alcuni rischi, quali ad esempio i rischi da agenti fisici (rumore, vibrazioni, campi elettromagnetici), agenti chimici, agenti cancerogeni, movimentazione manuale dei carichi, sono specificamente individuati nel Testo Unico Sicurezza Lavoro, disposizioni inerenti alla valutazione stessa, eventuali limiti all’esposizione dei lavoratori e specifiche misure di prevenzione e protezione, in relazione all’esposizione stessa. Le metodologie di valutazione dei rischi sono basate sui metodi ingegneristici di scienza della sicurezza, scienza delle costruzioni, sicurezza elettrica e sulla conoscenza approfondita dei principali dispositivi di sicurezza presenti all’interno dell’edificio aziendale, rivolti alla prevenzione incendi (ad esempio estintore e idrante), alla sicurezza elettrica (ad esempio resistenza di terra, interruttore magnetotermico) e agli altri aspetti di sicurezza dei macchinari per la produzione e dei mezzi di trasporto. È palese che la sicurezza all’interno di un’azienda, (luoghi di lavoro) diventa una vera e propria attività che deve essere effettuata da personale responsabile e formato adeguatamente, indi per cui bisogna investire sulla formazione dei lavoratori che in questo caso è un costo nel breve termine ma nel lungo termine diventerebbe un risparmio a tutela dell’azienda dei lavoratori e dell’imprenditore stesso che ha saputo fare una programmazione nel lungo periodo. *DVSDUH 9DQQLFROD

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Piattaforme PLE A cura dell’Avv. Lorenzo Perino

Associazione Linea Vita ed IPAF insieme per la sicurezza Un accordo di partnership per lo sviluppo e la promozione della sicurezza sui luoghi di lavoro L’Associazione Linea Vita ed IPAF Italia hanno concluso un accordo di partnership per lo sviluppo e la promozione della sicurezza sui luoghi di lavoro. Obiettivo comune delle due associazioni è quello di aumentare l’effettività della sicurezza per i lavoratori che utilizzano linee vita per i lavori in quota ed utilizzano piattaforme di lavoro elevabili (PLE), attività che sono strettamente connesse e complementari tra loro.

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n data 7 gennaio 2015 è stato concluso un accordo quadro di collaborazione tra l’Associazione Linea Vita, rappresentata dal presidente Gaspare Vannicola e IPAF Italia rappresentata dal presidente Vincenzo Andreazza. L’Associazione Linea Vita è una Associazione NO-PROFIT che si prefigge lo scopo di divulgare informazioni corrette e fornire formazione adeguata in rispetto alle norme tecniche preposte in materia di sicurezza sul lavoro, ed in particolar modo in difesa degli operatori sottoposti al pericolo di cadute dall’alto durante la loro attività lavorativa. IPAF Italia è


Associazione Linea Vita ed IPAF insieme per la sicurezza

un’associazione italiana no profit che opera nel settore dei mezzi di accesso aereo, utilizzati per il posizionamento di persone e attrezzi al lavoro in quota ed è diretta emanazione di IPAF Ltd. (International Powered Access Federation). IPAF Italia rappresenta gli interessi di costruttori, distributori, noleggiatori, utilizzatori ed altre categorie di imprese ed associazioni operanti nel settore delle PLE (Piattaforme di lavoro elevabili), delle PLAC (Piattaforme di Lavoro Autosollevanti su Colonna).

“L’accordo è focalizzato sulla valorizzazione delle competenze specifiche delle due associazioni in ambiti complementari” Lo scopo fondamentale dell’accordo è quello di unire la forza delle due associazioni per poter dare un contributo effettivo al miglioramento delle condizioni di sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro. L’accordo è focalizzato sulla valorizzazione delle competenze specifiche delle due associazioni, una in materia di installazione, formazione ed utilizzo delle linee vita, l’altra sulla promozione dell’uso sicuro e della formazione di qualità in tema di piattaforme di lavoro elevabili (PLE). Questi due ambiti, apparentemente distanti l’uno dall’altro, in realtà sono complementari, perché chi utilizza linee vita generalmente utilizza anche PLE e gli operatori di PLE talvolta si trovano anche a lavorare in altezza utilizzando linee vita. Per questo motivo sviluppare sinergie finalizzate alla promozione della sicurezza a 360° è un obiettivo di entrambi gli enti, da sempre molto sensibili alla salute dei lavoratori. Entrambe le associazioni credono fermamente nella cooperazione per la promozione della sicurezza sul lavoro e che la strada verso la riduzione degli infortuni mortali passi certamente attraverso accordi come questo. In Italia l’associazionismo d’impresa è da sempre caratterizzato da una scarsa capacità di collaborazione e da una tendenza al particolarismo. Questo significa che troppo spesso si tende a concentrarsi esclusivamente sui problemi dei propri associati e si perde di vista il sistema nel suo complesso. Solamente attraverso la promozione di sinergie tra diversi enti ed attraverso il confronto, le due associazioni credono che si possano fare decisivi passi in avanti nella direzione della sicurezza. Ed è proprio questo spirito che le ha spinte

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a concludere l’accordo quadro. In particolare l’attenzione è stata posta al fatto che il rischio caduta dall’alto caratterizza l’attività degli associati di entrambi gli enti.

“In particolare l’attenzione è stata posta al fatto che il rischio caduta dall’alto caratterizza l’attività degli associati di entrambi gli enti” Questo perché tale rischio riguarda sia i lavori in altezza, da effettuarsi attraverso l’utilizzo di linee vita, sia l’utilizzo di PLE in caso di ribaltamento, malfunzionamenti o uso non corretto delle attrezzature. In tutti questi casi per la prevenzione del rischio specifico, si utilizzano imbracature, pur con le dovute differenze del caso. Inoltre è possibile individuare una situazione in particolare che avvicina gli ambiti delle linee vita e quello delle PLE: lo sbarco in quota da PLE. Questa pratica, molto diffusa ma non chiaramente regolata, espone il lavoratore ad un rischio specifico di caduta dall’al-

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to. In questa situazione specifica, di cui si sono recentemente occupate anche le Linee Guida “Uso delle Piattaforme di Lavoro Elevabili”, elaborate dal gruppo di lavoro della Regione Lombardia a cui ha partecipato anche IPAF, il lavoratore, per esigenze specifiche legate a particolari lavorazioni, si trova ad avere l’esigenza di sbarcare in quota dal cesto della piattaforma. Così si ha specificamente il passaggio diretto da lavoro su PLE a lavoro in quota con linea vita (nella stragrande maggioranza dei casi). Senza entrare nel tema specifico molto tecnico ed ancora piuttosto dibattuto tra i diversi operatori coinvolti (associazioni, INAIL, regioni ed utilizzatori) certamente è possibile individuare in questo passaggio uno dei banchi di prova decisivi per il confronto tra IPAF ed Associazione Linea Vita. Proprio su questo tema infatti sarà possibile combinare le diverse competenze specifiche dei comitati tecnici delle due associazioni per dare un contributo decisivo alla prevenzione dei rischi per i lavoratori. Oltre a questo aspetto entrambe le associazioni credono fermamente nella centralità della formazione come strumento privilegiato per prevenire gli infortuni. IPAF Italia è diretta emanazione di IPAF Ltd., federazione internazionale titolare del programma formativo IPAF per il rilascio della PAL Card (Powered Access Licence), generalmente riconosciuto nel mondo come programma formativo di eccellenza nell’uso in sicurezza di PLE e PLAC. Questo programma formativo è


Associazione Linea Vita ed IPAF insieme per la sicurezza

veicolato sul territorio italiano dai 45 Centri di Formazione autorizzati IPAF, soggetti ad un severo precorso di abilitazione ed a controlli di auditing annuale per poter conservare un elevato livello di qualità per la clientela. Dal canto suo, anche Associazione Linea Vita ha sempre portato avanti la formazione di qualità nell’installazione e nell’utilizzo sicuro delle linee vita per i lavori in altezza e su questo punto certamente le due associazioni hanno profonda identità di vedute. Concretamente l’accordo in questione darà luogo ad iniziative specifiche sul territorio come seminari tecnici, partecipazione a fiere ed eventi specifici legati al mondo della sicurezza dei lavori in quota ,all’uso di PLE ed alla produzione di pubblicazioni specifiche. A partire da questo numero della rivista “Il Notiziario sulla Sicurezza” sarà presente una rubrica tecnico-legale a cura degli specialisti di IPAF in tema di utilizzo in sicurezza delle PLE, quindi invitiamo tutti i lettori a seguire i successivi numeri per poter trovare questi interessanti contenuti. Oltre a questo dei temi legati ai lavori in quota ed alle PLE si parlerà anche all’interno della rivista annuale IPAF di prossima pubblicazione a maggio 2015, all’interno della quale certamente troveranno spazio anche i contenuti specifici in materia di linee vita. La rivista IPAF sarà inviata ai principali operatori di mercato e sarà distribuita a fiere ed eventi specifici nel corso di tutto il 2015. Da ultimo la collaborazione darà luogo ad una partecipa-

zione in sinergia a tavoli tecnici e confronti con le Istituzioni nazionali e regionali, da sempre un obiettivo primario per qualsiasi associazione di categoria. Molti sono gli aspetti che coinvolgono i lavoratori che utilizzano PLE o linee vita, che possono essere migliorati, e la volontà delle associazioni è quella di lavorare per spingere il Ministero del Lavoro e gli altri enti istituzionali coinvolti ad elaborare regolamenti e circolari che vadano nella direzione del miglioramento dell’effettività della sicurezza sui luoghi di lavoro. Non sempre il confronto risulta facile con la parte pubblica ma certamente bisogna dare atto che negli ultimi anni sono stati fatti decisivi passi in avanti a tutela dei lavoratori e parte di questo merito va certamente attribuito alla meritoria azione di spinta ed indirizzo fatta dalle associazioni di categoria serie. Quindi, alla luce di tutte queste iniziative che certamente avranno luogo nei prossimi mesi, è possibile dire che la sicurezza dei lavori in quota, grazie all’accordo tra Associazione Linea Vita e IPAF Italia, avrà ottime possibilità di fare decisivi passi in avanti ed i lavoratori, anche grazie all’attività di formazione di qualità e sensibilizzazione del mercato, si troveranno ad operare in un contesto più consapevole e più sicuro nei prossimi anni. Questo è certamente l’obiettivo primario delle due associazioni che attraverso questo accordo contano di realizzarlo al meglio delle loro possibilità.

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La nostra missione:

Garantire una Sicurezza che Salva la Vita! L’Associazione Linea Vita è un’Associazione No-Profit che si prefigge lo scopo di divulgare informazioni corrette e fornire formazione adeguata in rispetto alle norme tecniche preposte in materia di sicurezza sul lavoro, ed in particolar modo in difesa degli operatori sottoposti al pericolo di cadute dall’alto durante la loro attività

Associazione LineaVita Sede legale: via Doberdò 22, 20126 Milano Tel. +39 02.89055936 Fax +39 02.89056197 segreteriasoci@lineavita.org www.lineavita.org


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Socio Ordinario: quota € 75,00 - (Settancinque Euro) Servizi offerti: 1) Ricezione tessera socio ALV personale con Username e Password per l’accesso alla parte riservata ai soci 2) Ricezione della rivista tecnico scientifica “Il Notiziario sulla Sicurezza” rivista bimestrale con parte riservata all’Associazione Linea Vita 3) Partecipazione ai convegni gratuiti organizzati da ALV 4) Partecipazione a due seminari tecnici con sconto del 10% Socio Sostenitore: quota € 250,00 - (Duecentocinquanta Euro) Servizi offerti: 1) Ricezione tessera socio ALV personale con Username e Password per l’accesso alla parte riservata ai soci 2) Ricezione della rivista tecnico scientifica “Il Notiziario sulla Sicurezza” rivista bimestrale con parte riservata all’Associazione Linea Vita 3) Partecipazione ai convegni gratuiti organizzati da ALV 4) Partecipazione a tutti i seminari tecnici e corsi di formazione con uno sconto del 10% 5) Pubblicazione dell’indirizzo della società nella pagina soci con indirizzo web 6) Presenza del proprio logo su newsletter mensile dell’Associazione Linea Vita Socio Fondatore Coloro che vorranno iscriversi come Soci Fondatori dovranno fare una domanda scritta che verrà posta al vaglio del consiglio direttivo. Condizione necessaria per poter inviare la richiesta d’iscrizione è avere 2 requisiti base: t essere produttore di linee vita; t essere Socio Sostenitore ALV; Servizi offerti: Un socio fondatore ha diritto a tutti i punti indicati nella voce socio sostenitore; in più avrà la possibilità di: t essere pubblicato nel sito nella home page con il proprio link di rimando; t poter usufruire del logo ALV e avrà diritto al bollino blu di riconoscimento atto a certificare che i sistemi linee vita prodotti dall’azienda rispettino le indicazioni contenute nel “Documento di buone prassi”. t partecipare ai lavori del comitato tecnico (dopo aver sottoposto la domanda d’iscrizione al coordinatore del comitato). t diventare centro di formazione regionale accreditato ALV

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Modulo di iscrizione per l’anno 2015


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Laboratorio Certificazioni A cura dell’Ing. Tommaso Morandin - Dolomiticert

Linee Vita Una normativa in continua evoluzione Al fine di ridurre gli infortuni a seguito di cadute dall’alto, alcune Regioni sono intervenute con differenti metodologie per introdurre soluzioni che arginassero il fenomeno. La prima Regione italiana ad adottare provvedimenti sul tema - sulla linea della direttiva UNI EN 795 - è stata la Toscana nel 2005, poi seguita a macchia di leopardo da buona parte delle regioni del Nord, del Centro e in parte del Sud (è il caso della Sicilia nel 2012). Va detto che il quadro è in continua evoluzione con la Regione del Veneto che di fatto - e non senza polemiche - ha depotenziato in parte la normativa introdotta nel 2009 e l’Emilia-Romagna, dove la legge è entrata in vigore il 1° febbraio 2015.

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el dicembre 2014 l’Umbria ha approvato il regolamento “Norme sulla prevenzione delle cadute dall’alto” adottato dalla Commissione Sanità e Servizi Sociali, mentre nel mese di novembre in Sardegna è stato depositato un progetto di legge che a breve dovrebbe iniziare il suo iter negli organi interni del Consiglio regionale. Si evidenzia come in alcune Regioni vi sia l’obbligo sancito da un’apposita disposizione di legge, ma non il decreto attuativo. Nel caso del Piemonte la legge è del 2013, ma l’Atto di indirizzo è all’attenzione di un Comitato tecnico. Situazione analoga nelle Marche dove la legge è stata approvata meno di un anno fa, mentre mancano ancora le Linee Guida. Va ricordato che a livello nazionale la normativa di riferimento è il Decreto legislativo del 9 aprile 2008 , n. 81 - “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” - Art. 115 “Sistemi di protezione contro le cadute dall’alto”. Le buone pratiche regionali vanno incentivate anche alla luce dei dati sugli infortuni e le morti bianche.

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L’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro di Vega Engineering, nel suo rapporto annuale 2013, ha ben evidenziato come nel triennio 2011-2012-2013, la principale causa di morte sia la “caduta di persona dall’alto”, nel 23,5 per cento dei casi totali, seguita dal ribaltamento di un veicolo o di un mezzo in movimento. A livello di distribuzione geografica si evince che la maggior parte degli incidenti mortali si riscontra nelle aree ancora sprovviste di normative specifiche, come quella appunto sulle linee vita (Sud e Isole in testa). Questo il quadro generale, ora proponiamo alcuni focus sulle Regioni, cominciando dalla partita che si sta giocando in Veneto.

| VENETO - SICUREZZA A RISCHIO | Con la legge 28 del 2014, approvata a settembre a stragrande maggioranza dall’aula (44 voti a favore, due astenuti), il Consiglio regionale del Veneto ha modificato l’articolo 79 bis della Legge Regionale 61/1985 secondo cui, tra la documentazione da allegare alla richiesta del permesso di costruire o alla presentazione della DIA (denuncia di inizio attività) occorreva dimostrare di aver adottato idonee misure preventive e protettive per consentire, anche nella successiva fase di manutenzione, l’accesso, il transito e l’esecuzione dei lavori in quota in condizioni di sicurezza. Con la modifica approvata non sarà più necessario assicurare che le misure di sicurezza siano presenti anche nelle fasi di manutenzione. La stessa relazione introduttiva alla legge di modifica, primo firmatario Gianpiero Possamai, parla, riferendosi alla presenza fissa di dispositivi, di “inutili costi aggiuntivi nonché, spesso, anche una vera propria deturpazione estetica dell’edificio”. La Legge, approvata in un primo momento sul velluto, è stata oggetto di feroci critiche pochi giorni dopo, quando sull’onda di alcuni gravi incidenti sul lavoro registrati tra Rovigo e Belluno, Spisal e operatori del settore hanno chiesto una marcia indietro. Sulla base di queste polemiche la Seconda Commissione consiliare del Veneto, competente per materia, è tornata a riunirsi promuovendo una serie di audizioni tra i soggetti interessati (tra cui categorie e Ordini professionali). Allo stato attuale sono due le ipotesi al vaglio della politica e degli uffici regionali: la prima consiste nella stesura di una circolare esplicativa che definisca in maniera più dettagliata cosa si debba fare nella fase di manutenzione, la seconda porterebbe alla predisposizione di un nuovo disegno di legge capace di abrogare o quanto meno ridimensionare i contenuti della legge 28. Vale la pena sottolineare come la stessa Regione del Veneto, in tutti i suoi documenti ufficiali e normativi, abbia sempre sottolineato l’importanza delle linee vita, in particolare nelle fasi di manutenzione. Nella delibera di giunta n. 2774 del 22 settembre 2009, applicativa dell’art. 79 bis, si legge che:

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Una normativa in continua evoluzione

“lo strumento ha in sé grandi elementi di modernità ed è in grado di determinare per i committenti di opere edili benefici economici funzionali anche alla sicurezza dei lavoratori. Gli apprestamenti già realizzati in fase di costruzione consentono infatti di: • ridurre i costi legati agli interventi successivi. Infatti nella “vita” di un fabbricato o più in generale di un’opera, affrontare la questione sicurezza ad ogni singolo intervento di manutenzione rappresenta sicuramente un onere dal punto di vista finanziario che viene ripetuto inutilmente; • incentivare l’adozione delle misure di sicurezza da parte di chi è incaricato degli interventi successivi sul fabbricato, riducendo i tempi di lavoro e i costi dell’impresa. La necessità di adottare, in ogni singolo intervento, specifiche e magari sempre diverse soluzioni rappresenta spesso un disincentivo all’attuazione delle misure stesse; • facilitare nella scelta delle ditte o dei lavoratori autonomi cui affidare i lavori, avendo già degli elementi di valutazione rispetto alle proposte e ai preventivi relativamente all’aspetto sicurezza, favorendo al contempo la leale competizione tra le imprese. Infatti le imprese o i lavoratori autonomi più sensibili al problema sicurezza sono meno competitivi sul mercato rispetto a chi, sottovalutando questo aspetto, non propone e non realizza misure di prevenzione e protezione.” Ancora più importanti sono i concetti contenuti nelle Linee Guida predisposte dalla Regione nel 2007 accanto a numerosi Spisal del territorio regionale. Già nella prima pagina si evidenzia l’importanza della prevenzione nella fase manutentiva: “La fase della manutenzione dell’opera non è l’unica situazione che espone le persone a rischi lavorativi in quanto gli interventi di manutenzione e controllo di parti strutturali e impiantistiche di un fabbricato possono rappresentare un serio problema per l’incolumità dei lavoratori impiegati ad effettuare tali interventi. Molti degli eventi infortunistici gravi che accadono nel settore delle costruzioni si verificano infatti proprio durante la manutenzione dei fabbricati, a causa della carenza o dell’assenza di misure di prevenzione e protezione”. Parole del 2007 che stridono con il recente intervento legislativo. La cosa certa è che della legge 28 si continuerà a parlare. Il capitolo sulle buone pratiche da adottare nella fase di manutenzione non è affatto chiuso.

| EMILIA ROMAGNA - ADESSO SI PARTE | In Emilia-Romagna è scattato da pochi giorni l’obbligo delle linee vita. Lo ha comunicato la stessa Regione in via ufficiale dopo la “falsa partenza” dello scorso anno. Trovano così diretta applicazione i requisiti obbligatori previsti dalla Delibera dell’Assemblea Legislativa n. 149 del 17 dicembre 2013, “Atto Indirizzo e coordinamento per la pre-

venzione delle cadute dall’alto nei lavori in quota nei cantieri edili e di ingegneria civile ai sensi dell’art. 6 della Legge Regionale 2000 n. 20”. Il termine originariamente previsto al 15 luglio 2014 era stato prorogato dall’articolo 47 della Legge Finanziaria regionale 17 del 2014 non senza polemiche da parte di associazioni e sindacati. L’Atto di indirizzo - applicabile e cogente da pochi giorni - introduce l’obbligo di installazione di dispositivi permanenti di ancoraggio sulle coperture e sulle ampie e/o continue pareti a specchio degli edifici con la finalità di ridurre ulteriormente i rischi di infortunio in relazione alla potenziale caduta dall’alto nei lavori in quota in occasione di attività di cantiere per accesso, transito, esecuzione di lavori futuri. La Regione, ribadisce un comunicato stampa ufficiale della giunta regionale del 28 gennaio scorso, sarà “impegnata a valutare l’applicazione dell’Atto di indirizzo per monitorare la sua applicazione ed eventualmente ad apportare le modifiche necessarie ad ottimizzarne l’attuabilità”.

| REGIONE PIEMONTE FATTA LA LEGGE, COMITATO TECNICO AL LAVORO | La Regione Piemonte ha introdotto l’obbligo delle linee vita con l’articolo 86 della Legge Regionale 3 del 2013. Allo stato attuale però manca la delibera di giunta, che ne sancisca l’applicabilità e operatività. Da una verifica presso gli uffici competenti emerge come l’iter del provvedimento stia andando avanti a tamburo battente. A tal fine è al lavoro un Comitato tecnico che si sta occupando della stesura. Dagli uffici confidano di chiudere la pratica in pochi mesi e arrivare così a una delibera esecutiva.

| LAVORI IN CORSO A BOLZANO | Differentemente dal vicino Trentino, dotato di decreti attuativi già dal 2008, la Provincia autonoma di Bolzano sta ancora lavorando sul fronte. A tal fine è stato costituito un gruppo di lavoro, denominato D-A-CH-S, la cui documentazione è già disponibile on-line sul sito della Provincia autonoma al seguente indirizzo: www.provincia.bz.it/lavoro/tuteladel-lavoro/protezione-caduta-cantieri.asp Anche a Bolzano assicurano che la normativa sarà pronta entro qualche mese.

| REGIONE MARCHE - SITUAZIONE IN EVOLUZIONE | La Regione Marche ha affrontato il nodo delle cadute dall’ato con la legge regionale 7 del 2014. Attualmente, gennaio 2015, manca il regolamento attuativo che però è all’attenzione del Servizio Infrastrutture e Trasporti. La stesura del testo potrebbe essere demandata a una Commissione, che allo stato attuale non è ancora costituita.

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Una normativa in continua evoluzione

| SARDEGNA AL VIA | Il Gruppo “Sardegna Vera” ha presentato, nell’autunno 2014, una proposta di legge ad hoc in Consiglio regionale. Il testo, oltre a recepire le direttive del decreto legislativo n. 81/2008, mira a sensibilizzare imprese e cittadini sulla necessità di adottare adeguati strumenti di sicurezza quando si eseguono lavori ad alta quota. La proposta di legge obbliga le imprese, i datori di lavoro o i semplici committenti all’adozione di sistemi di sicurezza “stabili” per l’accesso o l transito su tetti, coperture e aree ad oltre due metri di quota dove il rischio di caduta è più alto. Il testo, all’art.2, elenca nel dettaglio le varie tipologie di intervento e, all’art. 3, definisce i vari sistemi di sicurezza anti-caduta. Particolare attenzione viene inoltre riservata all’attività di controllo finalizzata a garantire la sicurezza del lavoratore e all’individuazione dei responsabili dei lavori, dalla progettazione alla realizzazione dell’opera.

| ELENCO DEI PRINCIPALI INTERVENTI LEGISLATIVI NELLE REGIONI ITALIANE | Prima di passare in rassegna le singole fonti normative delle Regioni italiane (riportate nel compendio sottostante) va sottolineato come non vi sia un approccio univoco alla materia, soprattutto dal punto di vista formale. C’è chi è intervenuto con apposite leggi, cui sono seguiti regolamenti applicativi e quindi “contingenti”, chi ancora ha preferito inserire apposite norme all’interno di leggi più ampie (leggi finanziarie o urbanistiche). Approcci diversi sono dovuti anche alle oggettive peculiarità delle singole Regioni dipendenti soprattutto dal loro grado di autonomia e dalle loro prassi.

NORMATIVE PER REGIONE VENETO _articolo 79 bis della Legge Regionale 61/1985; _Legge regionale 28 del 2014 Delibera di giunta n. 2774 del 22 settembre 2009 La legge 28 ha circoscritto l’ambito di applicazione della normativa sulle linee-vita. Il dibattito su un eventuale retromarcia è ancora in corso a livello di Consiglio regionale e Commissioni competenti. EMILIA-ROMAGNA _Legge regionale del 02/03/2009 n°2 “Tutela e sicurezza del lavoro nei cantieri edili e di ingegneria civile” _Articolo 47 della Legge finanziaria regionale 2014 _Delibera dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia‐Romagna del 17/12/2013 n°149 “Atto di indirizzo e coordinamento per la prevenzione delle cadute dall’alto nei lavori in quota nei cantieri edili e di ingegneria civile” _La legge del 2014 – Finanziaria regionale - ha sancito l’obbligatorietà dei dispositivi a partire dal 1° febbraio 2015. LIGURIA _Legge regionale del 15/02/2010 n°5 “Norme per la prevenzione delle cadute dall’alto nei cantieri edili” _Legge regionale del 17/12/2012 n°43

“Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 15/02/2010 n°5” La legge di modifica del 2012 introduce alcune segnalazioni arrivate dalle categorie, in particolare artigiani. LOMBARDIA _Decreto del 14/01/2009 n°119 “Disposizioni concernenti la prevenzione dei rischi di caduta dall’alto” MARCHE _Legge regionale del 22/04/2014 n°7 “Norme sulle misure di prevenzione e protezione dai rischi di caduta dall’alto da predisporre negli edifici per l’esecuzione dei lavori di manutenzione sulle coperture in condizioni di sicurezza” In fase di elaborazione da parte degli uffici della Regione PIEMONTE Legge regionale del 25/03/2013 n°3 “Modifiche alla legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo) e ad altre disposizioni regionali in materia di urbanistica ed edilizia” Legge regionale del 14/07/2009 n°20 “Snellimento delle procedure in materia di edilizia e urbanistica” In fase di elaborazione da parte di un Comitato appositamente costituito. L’emanazione – riferiscono dagli uffici – dovrebbe essere imminente.

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SICILIA _Decreto del 05/09/2012 “Norme sulle misure di prevenzione e protezione dai rischi di caduta dall’alto da predisporre negli edifici per l’esecuzione dei lavori di manutenzione sulle coperture in condizioni di sicurezza” TOSCANA _L.R. Toscana n. 01/05 _D.P.G.R. 18 dicembre 2013, n°75/R “Regolamento di attuazione dell’articolo 82, comma 15, della legge regionale 3 gennaio 2005, n.1 (Norme per il governo del territorio ). Abrogazione del regolamento approvato con D.P.G.R.T. 62/R/2005” SARDEGNA Nel novembre scorso, 2014, il gruppo consiliare “Sardegna Vera” ha depositato un progetto di legge, ricevendo l’appoggio di Confedilizia Sardegna. PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO Legge provinciale del 09/02/2007 n°3 “Prevenzione delle cadute dall’alto e promozione della sicurezza sul lavoro” Decreto del 27/02/2008 n°7-114/Leg “Regolamento tecnico per la prevenzione dei rischi di infortunio a seguito di cadute dall’alto nei lavori di manutenzione ordinaria sulle coperture”

PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO _Commissione al lavoro. Documentazione visibile al link della Provincia: http://www.provincia.bz.it/lavoro/ tutela-del-lavoro/protezione-cadutacantieri.asp UMBRIA _Legge regionale del 17/09/2013 n°16 “Norme in materia di prevenzione delle cadute dall’alto” _Regolamento 9/9/2014 n. 1227 Regolamento pubblicato lo scorso dicembre sul Bollettino ufficiale regionale FRIULI VENEZIA GIULIA _05-09-2006 “Linee guida per la prevenzione del rischio di caduta dall’alto – Lavorare in sicurezza sulle coperture degli edifici”, Coordinamento Unità Operative Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro – ASS – Regione FVG. Linee guida approvate dal Comitato regionale di coordinamento art. 27 D.Lgs. 626/94 nella seduta del 05.09.2006


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KLIMAHOUSE ha compiuto dieci anni L’artista Andy Warhol ha affermato: “credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare.

Sono passati 10 anni dalla nascita del progetto fieristico “Klimahouse” ideato nel 2004 da Fiera Bolzano, polo fieristico altoatesino attivo da 60 anni, in collaborazione con l’Agenzia CasaClima, una delle realtà più consolidate e riconosciute nel campo della certificazione energetica degli edifici che fa capo alla Provincia di Bolzano. Precursore di un trend socioeconomico che si è diffuso in Italia solo negli ultimi anni, Klimahouse torna come autorevole punto di riferimento per architetti, progettisti, costruttori edili e utenti finali che desiderano costruire abitazioni secondo criteri di efficienza energetica e di sostenibilità dal 20 gennaio all’1 febbraio 2015.

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al 2004 ad oggi, Klimahouse, fiore all’occhiello tra le manifestazioni promosse da Fiera Bolzano, ne ha fatta di strada. La sua capacità di rinnovarsi e di proporre ogni anno il meglio dell’edilizia sostenibile italiana e internazionale è riconosciuta dalle aziende di settore che continuano a scommettere su questa fiera di respiro internazionale per superare la crisi economica. L’artista Andy Warhol ha affermato: “Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare.” Questo sintetizza la filosofia che da sempre anima l’ente fieristico nell’organizzazione di Klimahouse. “La nostra sfida più grande in questo nuovo secolo è di adottare un’idea che sembra astratta - sviluppo sostenibile - per rispettare il futuro delle prossime generazioni.” afferma Gernot Rössler, Presidente di Fiera Bolzano. La storia di Klimahouse nasce nel 2004, quando Fiera Bolzano inizia a elaborare il progetto fie-


KLIMAHOUSE compie dieci anni

ristico che ufficialmente prenderà il via nel 2005 nell’ambito del Bauschau, Fiera specializzata per l’edilizia. L’edizione zero di Klimahouse viene presentata come il 1° Salone dedicato al risparmio energetico nell’edilizia. Sin da subito, l’approccio pionieristico di Klimahouse ottiene i consensi di aziende e operatori del settore conquistati dall’esposizione di un modello di CasaClima A Plus e dai contenuti altamente profilati del primo Congresso ‘Costruire il futuro’, organizzato in collaborazione con l’Agenzia CasaClima, che alla sua prima edizione, e in un solo giorno, registra il tutto esaurito con più di 1.000 partecipanti. “Anno dopo anno Klimahouse ha conquistato un crescente successo grazie alla sua costante capacità di anticipare in Italia le nuove influenze internazionali sulla tutela ambientale, favorita dalla posizione strategica di Fiera Bolzano nel cuore della Provincia altoatesina, e di essere sempre un passo avanti”, afferma Silva Candioli, project manager della manifestazione fin dal suo albore e che la ha vista crescere nel tempo. “Formula vincente della manifestazione, il calibrato mix tra uno spazio espositivo, dedicato alle novità di prodotto proposte dalle aziende di settore selezionate da una giuria di qualità, e gli articolati programmi di eventi formativi e informativi messi a punto con partner di primo piano”, conclude Silva. Tra questi, i convegni specializzati organizzati in collaborazione con autorevoli partner come Tis Innovation Park, Eurac, Anit, Apa e Anab, mostre fotografiche sui più efficienti edifici CasaClima, dimostrazioni dal vivo sugli errori da evitare in edilizia, visite guidate a edifici CasaClima per operatori tecnici e utenti finali e premi alle aziende di settore più innovative sul fronte della sostenibilità, come il ‘Klimahouse Trend’.

Il prestigio di Klimahouse ha contribuito anche alla scelta di questa manifestazione per la presentazione in anteprima di progetti internazionali di successo. Il mock-up del “Med in Italy”, modello di casa passiva Mediterranea premiato alla competizione internazionale Solar Decathlon, per esempio, è stato presentato in anteprima a Klimahouse 2012. In occasione dell’edizione 2013, invece, è stato illustrato, per la prima volta in Italia, l’avveniristico progetto dell’IBA di Amburgo dedicato allo sviluppo sostenibile delle metropoli.

“La sfida più grande di questo nuovo secolo è adottare un’idea che sembra astratta - sviluppo sostenibile - per rispettare il futuro delle prossime generazioni” A Klimahouse 2014, invece è stata presentata la nuova macchina di frammentazione elettrodinamica per la disgiunzione di materiali compositi edili sviluppata da Fraunhofer Istitut für Bauphysik e presentata dall’Istituto di Holzkirchen di Monaco (Germania). Fiore all’occhiello di tutte le edizioni di Klimahouse, il Congresso Internazionale organizzato in collaborazione con l’Agenzia CasaClima con cui Fiera Bolzano ha saputo costruire un percorso in continua evoluzione. Tra i relatori di fama mondiale che hanno partecipato alle varie edizioni del Congresso di Klimahouse, testimoni d’eccezione come l’archi-

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tetto Matteo Thun, l’alpinista Reinhold Messner e il climatologo e presidente della Società Metereologica italiana Luca Mercalli. E ancora, nel mondo accademico, keynote speaker del calibro del professor Manfred Hegger, vincitore di due edizioni del Solar Decathlon a Washington DC, il professore e architetto Klaus Kada e l’architetto visionario Thomas Rau, il professor architetto Werner Sobek, Studio di architettura Werner Sobek di Stoccarda, e il professor architetto Boris Podrecca, Studio di architettura Boris Podrecca di Vienna.

“In primavera si è svolta con successo la prima edizione di Klimahouse Toscana” Per la prossima edizione sono già stati scelti i prossimi relatori di punta: l’architetto Mario Cucinella con il suo intervento “Architettura sostenibile: un cambiamento rivoluzionario”, il professor Dr. Wolfgang Feist, precursore internazionale delle Case Passive e l’architetto Chiara Tonelli, professore all’università ROMA TRE, alla guida del team RhOME for DenCity, progetto vincitore del primo premio nella competizione Solar Decathlon Europe 2014. La crescente richiesta di partecipazione da parte di aziende del settore a Klimahouse, che ogni anno registra il

tutto esaurito con conseguente lista d’attesa, ha portato Fiera Bolzano a individuare una formula innovativa in ambito fieristico. Reinhold Marsoner, Direttore di Fiera Bolzano afferma:“L’80% dei visitatori di Klimahouse a Bolzano ci hanno portati all’idea di organizzare delle edizioni itineranti di Klimahouse espressamente rivolte ai mercati del centro e sud Italia, per andare incontro a questa forte richiesta.” Nel 2008 nasce, così, Klimahouse Roma, mostra-convegno organizzata al Palazzo delle Esposizioni dell’Eur, che nel 2009 si trasferisce a Bastia Umbria dove, dal 2009, è stata presentata ogni anno con grande successo al mercato del centro Italia. I riscontri positivi in termini sia di pubblico che di espositori di Klimahouse Umbria hanno successivamente stimolato la nascita, nel 2012, di una seconda edizione itinerante dedicata al mercato del sud Italia: Klimahouse Puglia, che si svolgerà anche quest’anno dal 2 al 4 ottobre. In primavera si è svolta con successo la prima edizione di Klimahouse Toscana, che verrà sicuramente riproposta nel 2015. Ma le itineranti non si fermano qui, Fiera Bolzano tiene gli occhi aperti anche sulle altre regioni italiane. Con Klimahouse, Klimahouse Toscana e Klimahouse Puglia, affiancate da Klimaenergy e Klimamobility, fiere rispettivamente centrate sulle energie rinnovabili e sulla mobilità sostenibile, e Klimainfisso, fiera specializzata della filiera pro-

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KLIMAHOUSE compie dieci anni

Mantova, Verona) con ingresso ai padiglioni espositivi e visita guidata al quartiere ecosostenibile “Le Albere” di Trento, progettato da Renzo Piano Building Workshop. Fiore all’occhiello della manifestazione Il Congresso Internazionale ‘Costruire con intelligenza’, organizzato dall’Agenzia CasaClima in collaborazione con Fiera Bolzano, si svolge nei giorni centrali della Fiera, Venerdì 30 e Sabato 31 Gennaio. Ospiti d’onore tre keynote speakers: l’architetto. Mario Cucinella con il suo intervento “Architettura sostenibile: un cambiamento rivoluzionario”, il professor Dr. Wolfgang Feist, precursore internazionale delle Case Passive e l’archi-

duttiva del serramento, Fiera Bolzano è oggi riconosciuto quale Polo fieristico Italiano della sostenibilità. Tra gli eventi in calendario, per i professionisti in programma come di consueto gli Enertours e Renertours, 16 visite guidate sul territorio a edifici nuovi costruiti secondo alti standard di efficienza energetica e a edifici riqualificati energeticamente secondo gli standard CasaClima. Anche il consumatore finale, chi abita le case, è diventato sempre più consapevole e capace di scegliere e prendere decisioni, per questo Klimahouse, già da alcuni anni si rivolge anche ai privati offrendo il Klimahouse City Parcour, una vera e propria “living experience” dedicata a tutti i visitatori della fiera, in particolare a famiglie e privati che possono entrare in abitazioni energeticamente riqualificate secondo gli standard CasaClima. Gli inquilini illustrano personalmente ai visitatori gli interventi di risanamento, raccontando le sfide affrontate, i costi sostenuti e soprattutto il modo in cui è cambiata la qualità di vita in termini di comfort abitativo e di risparmio energetico. Visto il successo riscontrato l’anno scorso, ritorna Go to Klimahouse per i visitatori che desiderano godere di una visita in fiera in pieno relax senza preoccuparsi dell’organizzazione del viaggio e dell’intera giornata. Klimahouse, offre un servizio agevolato “all inclusive” comprensivo di trasferimento in pullman da diverse città del nord Italia, (Milano, Bergamo, Brescia, Bologna,

tetto Chiara Tonelli, professore all’università ROMA TRE, alla guida del team RhOME for DenCity, progetto vincitore del primo premio nella competizione Solar Decathlon Europe 2014. Oltre al congresso internazionale, Klimahouse ha ospitato anche i convegni di Sinergie Moderne Network, di Anit dal titolo “Energia e rumore quasi zero” e dei Commercianti di materiali edili nell‘Unione intitolato “Commercio di materiali edili in Alto Adige: dati di settore e ‘sfide future’”. ” Nuove norme e soluzioni per gli edifici di domani”, oltre a svariati appuntamenti sul Klimahouse Forum, organizzato da Fiera Bolzano in collaborazio-

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ne con gli espositori, ospitato nelle sale Vajolet e Latemar. Nella giornata di domenica, sempre al Forum, si svolge la Giornata di Consulenza, aperta a tutti gli interessati a tema risanamento energetico, certificazioni, incentivi e cultura del costruire, architetti, esperti CasaClima e professionisti di APA sono a disposizione per consulenze gratuite. I partner di Klimahouse sono sempre attivi e quest’anno l’Associazione Artigiani dell’Alto Adige presenta KlimaHouse Academy, una serie di eventi all’interno dell’area espositiva lvh.apa Confartigianato Imprese per fornire ai visitatori partecipanti un quadro introduttivo sulla progettazione e sull’esecuzione di risanamenti edili ecosostenibili tramite la divulgazione di informazioni sulla realtà del cantiere: una formazione didattica concreta, trasparente e pratica. In collaborazione con la rete di imprese dBacustica.net la manifestazione di Klimahouse 2015 sarà l’occasione per proporre ai visitatori la possibilità di “vedere” l’acustica, verrà realizzata un’installazione con soluzione visive e pratiche per ottenere il miglior isolamento acustico. Il percorso di scoperta “acustica” sarà semplice , interattivo e sensoriale. Un appuntamento tutto da scoprire e da sentire per tutti i visitatori. Altra mostra interessante, è quella proposta sullo stand dell’Agenzia CasaClima, che presenta la Casa Lisi, progetto vincitore del Solar Decathlon USA, una casa pensata per essere vissuta con il miglior confort abitativo.

“È nata una collaborazione internazionale, attraverso il Corso Scienza dell’Architettura dell’Università di Trento con le facoltà dell’Università di Innsbruck e Monaco” Quest’anno è nata una collaborazione internazionale, attraverso il Corso Scienza dell’Architettura dell’Università di Trento con le facoltà dell’Università di Innsbruck e Monaco: tutti i giorni di fiera, a partire da giovedì, per l’intera durata, si svolgerà un workshop di Biodesign destinato a progettisti e giovani laureati con percorsi progettuali e software di ultima generazione per la qualità del Sustainable Clima Design, che simulano i percorsi naturali ed ecologici. Inoltre, nel pomeriggio di sabato 31 gennaio si svolge un seminario REDS2ALPS con la presenza di ospiti nazionali e stranieri, una mostra collegata su alcune esperienze di ECOLOGICAL Design e la presentazione del Chairman di Harvard School of Design, Charles Waldheim. Sempre sotto l’aspetto internazionale torna anche quest’anno la collaborazione per l’innovazione e la

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KLIMAHOUSE compie dieci anni

ricerca con il Fraunhofer-Zentrum Bautechnik di Rosenheim. Fiera Bolzano organizza con il loro contributo un’esposizione di sistemi di copertura ultraleggeri per tetti di cortili interni con possibilità di apertura, ombreggiamento, sfruttamento della luce del giorno, illuminazione indiretta e possibilità di sfruttare facciate mediaticamente. Saranno organizzati inoltre per gli espositori il Klimahouse Marketing Award e il Klimahouse Trend, per premiare e mettere in risalto, con il supporto di due comitati tecnici, da un lato le aziende espositrici in grado di comunicare e presentare al meglio in fiera le proprie novità di prodotto, coerentemente con la tematica della manifestazione, e dall’altro le aziende che presentano i prodotti più innovativi nel campo dell’efficienza energetica e del risanamento.

mo anniversario di Klimahouse, festeggiato a Milano il 17 settembre 2014 con la stampa nazionale, i partner e gli architetti di fama internazionale che hanno partecipato come relatori al congresso di Klimahouse nelle scorse edizioni. Per festeggiare i dieci anni di Klimahouse, Fiera Bolzano ha installato presso la propria sede un albero che i visitatori delle fiere Klima di Fiera Bolzano contribuiscono a popolare di foglie riportanti sogni, speranze e realtà sul rispetto ambientale, sul futuro dell’energia e della nostra terra. Si tratta di un albero non convenzionale, un vero e proprio monumento alla natura, come afferma l’artista Hansjörg Vienna, artigiano della Val Sarentino: “con questo insieme di radici naturali, si evince tutto il design della natura, un concetto che non è replicabile, ma unico, come tutto quello che produce Madre Natura”. Per la realizzazione dell’opera, infatti, sono state utilizzate le radici di albero di cirmolo, legno che per natura ha delle proprietà calmanti e rilassanti, le radici sono state capovolte e quindi andando verso il cielo, mostrano al visitatore qualcosa che altrimenti rimarrebbe nascosto sotto terra. Tutta l’opera è stata realizzata senza l’ausilio di chiodi, viti e colla e si presenta del tutto naturale, “abbiamo lavorato come si faceva più di cent’anni fa, ritornando alle radici”, ha concluso l’artista. I visitatori possono respirare il profumo del cirmolo sedendosi sulla panchina ai suoi piedi e ispirati dalla natura scrivere e lasciare su una foglia il proprio sogno o pensiero.

“C’è chi ha costruito case sugli alberi, chi ha costruito case dentro gli alberi, chi ha usato alberi per costruire case e chi farà crescere case come un albero, questo il futuro di abitazioni umane moderne ed eco-sostenibili” “C’è chi ha costruito case sugli alberi, chi ha costruito case dentro gli alberi, chi ha usato alberi per costruire case e chi farà crescere case come un albero, questo il futuro di abitazioni umane moderne ed eco-sostenibili, che applicano i principi fondanti dell’ecologia e della sociologia all’architettura e al design urbano in generale”, ha affermato Reinhold Marsoner, Direttore di Fiera Bolzano, in occasione del deci-

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Sicurezza Macchine A cura di. Massimo Granchi e Christian Trinastich

La manutenzione delle attrezzature in azienda Responsabilità e competenze

Il D.Lgs n.81/2008, relativamente agli obblighi del Datore di Lavoro, richiede che le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori siano “sicure”. Questo vale sia nel caso di attrezzature di lavoro messe in servizio dopo l’entrata in vigore delle specifiche disposizioni legislative di recepimento delle Direttive comunitarie di prodotto, che nel caso delle attrezzature messe in servizio prima della data di entrata in vigore delle specifiche Direttive di prodotto. Inoltre, richiede che questo livello di sicurezza venga mantenuto nel tempo, per mezzo di idonea manutenzione periodica. Quali sono le responsabilità e le competenze previste per assolvere a questo obbligo?

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OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO

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Il D.Lgs. n.81/2008 e s.m.i. analizza obblighi e responsabilità relativamente all’utilizzo delle attrezzature di lavoro nel Titolo III. Per attrezzatura di lavoro si intende qualunque macchina, impianto, apparecchio o utensile destinato ad essere utilizzato durante il lavoro. L’art. 71 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. riporta gli obblighi del Datore di Lavoro in merito alle attrezzature di lavoro utilizzate in azienda. In particolare, queste attrezzature dovranno rispondere a quanto richiesto dal precedente articolo 70. Qui si richiede che le attrezzature messe a disposizione dei lavoratori siano rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle Direttive comunitarie di prodotto (in definitiva siano marcate CE). Per quei prodotti per i quali non esistono direttive di prodotto specifiche, non esistano disposizioni legislative di recepimento o che siano stati messe in servizio prima della data di entrata in vigore della direttiva di riferimento, il datore di lavoro deve garantire che siano rispettati i requisiti minimi di sicurezza di cui all’Allegato V del D.Lgs.


La manutenzione delle attrezzature in azienda

81/2008 e s.m.i.. L’art. 71, comma 4, richiama, nello specifico, gli obblighi del Datore di Lavoro relativamente alle macchine, per quanto concerne la loro installazione e il loro utilizzo in conformità alle istruzioni d’uso e per quanto riguarda la manutenzione, riportando da una parte la necessità di effettuare interventi di manutenzione che possano garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza (dunque devono essere interventi di manutenzione periodica e non “a rottura”), e dall’altra la necessità che le macchine stesse siano corredate, dove necessario, da apposite istruzioni per l’uso e libretto di manutenzione (realizzate dallo stesso utilizzatore qualora non siano più presenti quelli originali). L’art. 71, comma 7, prosegue riportando la necessita che in caso di riparazione, trasformazione o manutenzione, i lavoratori interessati siano qualificati in maniera specifica per svolgere detti compiti. Ora, considerando che la manutenzione deve coprire la totalità delle attrezzature di lavoro presenti in azienda, si può comprendere come uno degli aspetti principali è proprio quello di definire le competenze del personale che deve eseguire questi interventi.

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LA MANUTENZIONE DELLE ATTREZZATURE

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• rilevare le cause, il tipo e la frequenza degli interventi in modo da utilizzare uno strumento per il controllo degli eventi; • registrare su una scheda di manutenzione gli interventi effettuati.

“L’art. 71, comma 7, prosegue riportando la necessita che in caso di riparazione, trasformazione o manutenzione, i lavoratori interessati siano qualificati in maniera specifica per svolgere detti compiti.” C’è poi da analizzare un altro aspetto importante, vale a dire le interfacce che la manutenzione presenta col mondo circostante, sia esso il luogo di lavoro in cui è inserita l’attrezzatura, sia esso l’ambiente e attiene alla salvaguardia dell’ambiente naturale che circonda il luogo di lavoro. Rispetto a questi

Cosa si intende esattamente per manutenzione di una attrezzatura di lavoro? In linea generale possiamo intendere la manutenzione di una attrezzatura come la combinazione di tutte le azioni tecniche, amministrative e gestionali destinate a mantenerla o a riportarla in uno stato in cui possa eseguire la funzione richiesta garantendo nel contempo la sicurezza degli operatori e la tutela ambientale. Gli interventi possono suddividersi in: • Manutenzione ordinaria - esecuzione delle procedure specificate nel manuale di uso e manutenzione e che, all’occorrenza, nei casi più semplici, possono essere eseguite anche dall’operatore al fine di mantenere la funzionalità della macchina; • Manutenzione straordinaria - esecuzione di procedure specifiche in seguito al verificarsi di eventi occasionali e non prevedibili (come rotture o guasti per esempio) che richiedono necessariamente l’intervento da parte di personale tecnico qualificato. Al fine di garantire che, nel tempo, siano stati effettuati interventi manutentivi sull’attrezzatura di lavoro, è necessario che essi siano documentati garantendo la presenza di un registro delle manutenzioni. Solo in questo modo si può essere in grado di aver assicurato nel tempo il rispetto dei requisiti di sicurezza. Per ottenere una manutenzione ordinata occorre definire i seguenti contenuti del registro: • definire un calendario della manutenzione in cui si riportino gli interventi previsti alle diverse periodicità;

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La manutenzione delle attrezzature in azienda

si specifica che gli interventi di manutenzione devono essere affidati solo a personale qualificato allo scopo. In secondo luogo, la formazione del personale manutentivo è necessaria al fine di garantire quanto richiesto, sempre al Datore di Lavoro, dall’art. 71, comma 4 dove si riporta la necessità di aggiornare i requisiti minimi di sicurezza delle macchine in accordo a quanto indicato in art. 18, comma 1, lettera z). In definitiva, nell’ambito della manutenzione periodica da eseguirsi sulle macchine, compito del Datore di lavoro è anche quello di aggiornare i requisiti di sicurezza nel tempo secondo i risultati riportati dalle norme tecniche di riferimento che rappresentano lo stato dell’arte e della tecnica in ambito di prevenzione e protezione. Del resto, il fine è quello di mettere a disposizione dei lavoratori macchine che risultino sicure; questo si deve verificare sia all’inizio, che negli anni successivi, grazie agli interventi di manutenzione periodica e agli interventi di miglioramento della macchina in accordo allo stato dell’arte.

“La manutenzione periodica delle macchine in azienda è uno degli obblighi cui deve rispondere il Datore di Lavoro, permettendo di mantenere in efficienza le attrezzature e di mantenere costante nel tempo il livello di sicurezza offerto all’operatore.

aspetti, la manutenzione si presenta come agente di prevenzione e garanzia. Si pensi ad impianti di grosse dimensioni o, seppur piccoli, con particolari specifiche produttive (come impianti chimici, per esempio) per i quali, a fronte di un guasto o rottura improvvisa, potrebbe verificarsi non solo un fermo dell’attività lavorativa dell’azienda, ma anche un possibile danno all’ambiente circostante. La manutenzione in definitiva è da intendersi come uno strumento di salvaguardia, sia sociale (in grado di prevenire danni agli operatori conseguenti a rotture o guasti della macchina) sia di tipo ambientale ed economico, riducendo le spese sostenute dall’azienda.

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COMPETENZE DEL PERSONALE DI MANUTENZIONE

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Affinché la manutenzione possa migliorare il conto economico delle imprese, è necessario rafforzare i suoi principali elementi costitutivi che sono: • le competenze di base degli addetti; • la formazione continua per adeguare le competenze nel tempo; • la diagnostica precoce. Risulta evidente come una manutenzione sia efficace se affidata a personale qualificato e competente e questo lo si ottiene solo con una continua formazione periodica. Questa è richiesta in primo luogo al fine di garantire quanto richiesto al Datore di Lavoro dall’art. 71, comma 7, dove, come detto,

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CONCLUSIONI

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Come dunque abbiamo visto, la manutenzione periodica delle macchine in azienda è uno degli obblighi cui deve rispondere il Datore di Lavoro in quanto da una parte permette di mantenere in efficienza le attrezzature di lavoro e dall’altra permette di mantenere costante nel tempo il livello di sicurezza offerto all’operatore. Quindi, il personale preposto agli interventi manutentivi deve necessariamente essere personale tecnico qualificato in grado di dimostrare di possedere le competenze necessarie agli interventi richiesti, grazie ad una formazione continua che permetta, inoltre, di intervenire sulle attrezzature in modo da garantire il mantenimento dello stato dell’arte in termini di efficienza e sicurezza.


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Verifiche Impianti A cura dell’ Ing. Claudio Malaspina

L’importanza della carta per un ascensore Quali documenti devono essere sempre presenti nel locale macchina di un ascensore e sono richiesti nel caso di verifica dello stesso da parte degli organismi notificati?

O

ccorre fare chiarezza in questo campo perché la documentazione cartacea relativa all’impianto ascensore assume una valenza fondamentale, spesso superiore al funzionamento dello stesso. La responsabilità dell’ascensore, e quindi anche dei documenti che ne comprovino la regolarità, è del proprietario o dell’amministratore condominiale che ne affida la manutenzione a una impresa qualificata e la verifica periodica biennale ad un organismo notificato. Consideriamo quindi la documentazione necessaria nel caso di verifica periodica

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di un ascensore ai sensi dell’art. 13 del DPR 162/99 e s.m.i. Nel locale macchina devono essere sempre presenti il libretto dell’ascensore o il registro dell’impianto, il fascicolo delle visite semestrali e i verbali di verifica periodica e/o straordinaria effettuati in precedenza. Nel caso di verifica straordinaria, è necessaria anche la presenza dei documenti che dimostrano la sostituzione dei componenti di sicurezza Quale differenza intercorre fra libretto dell’ascensore e registro di impianto? Per gli ascensori installati e collaudati prima dell’entrata in vigore del DPR 162/99, si parlava di


L’importanza della carta per un ascensore

libretto dell’ascensore. Questo documento veniva redatto da un ispettore di un ente pubblico e ne certificava l’avvenuto collaudo, oltre a contenere i dati tecnici dell’impianto. Il registro, invece, viene redatto dalla impresa installatrice dell’ascensore e contiene solamente i dati tecnici dell’impianto. In quest’ultimo caso, la prova dell’avvenuto collaudo risiede nella dichiarazione di conformità rilasciata dalla ditta installatrice dove vengono riportati gli estremi dell’attestato di conformità rilasciato dall’organismo notificato che ne ha effettuato il collaudo. A cosa serve il libretto dell’ascensore? Il libretto contiene tutti i dati, tecnici e dei componenti dell’impianto, utili per verificarne la presenza e la loro funzionalità. Questo importantissimo documento attesta non solo che l’ascensore è stato collaudato da un organo tecnico dello stato (ENPI, ISPESL) ma soprattutto il periodo di collaudo. Il dato temporale è fondamentale per verificare l’applicazione della normativa di riferimento. In caso di smarrimento del libretto dell’ascensore, il proprietario o l’amministratore deve farne denuncia al comando dei Carabinieri o alla Polizia di Stato competente per territorio, e richiederne un duplicato all’ARPA/ASL per gli ascensori collaudati dall’ENPI o all’INAIL per gli ascensori collaudati dall’ISPESL.

“Il libretto contiene tutti i dati tecnici e dei componenti dell’impianto, utili per verificarne la presenza e la loro funzionalità”

Se alla richiesta di duplicato l’ente pubblico risponde che l’impianto ascensore non risulta fra quelli collaudati, è evidente che l’impianto debba essere immediatamente posto in stato di fermo. Una volta adeguato alla normativa vigente, attraverso la sostituzione della maggior parte dei suoi componenti di sicurezza e non solo e costi spesso elevati, dovrà essere collaudato secondo la normativa in vigore al momento. Uno dei casi più frequenti è quello in cui, pur essendo cominciato l’iter di collaudo dell’impianto anche 20 anni addietro, questo non sia mai stato portato a termine, ad esempio, per la mancata esecuzione di lavori prescritti dall’ingegnere collaudatore. L’impianto risulta essere sospe-

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Questo consente, in caso di smarrimento, di richiedere il duplicato del registro dell’impianto e della dichiarazione di conformità direttamente alla impresa installatrice. Ma come ci si deve comportare trascorsi i 10 anni? Purtroppo siamo di fronte ad un altro vuoto normativo. Non viene specificato come si debba procedere, decorsi i 10 anni, in caso di smarrimento del registro dell’impianto e/o della dichiarazione di conformità o nel caso in cui l’impresa installatrice abbia cessato l’attività. Costringere a collaudare nuovamente l’impianto adeguandolo alla normativa in vigore è un assurdo ma per ora rappresenta l’unica possibilità.

“Per gli ascensori collaudati dopo l’entrata in vigore del DPR 162/99 si parla invece di registro dell’impianto e di dichiarazione di conformità”

so in una sorta di limbo per superficialità o disinteresse di chi doveva occuparsi di questa pratica: costruttore, proprietario, impresa di manutenzione o ingegnere collaudatore. Se, invece, alla richiesta di duplicato l’ente pubblico risponde che il libretto dell’ascensore risulta smarrito o deteriorato e quindi non può esserne fatta una copia conforme, la prassi, dato il vuoto normativo, è quella di conservare questa risposta fra i documenti dell’impianto in modo che l’ispettore, in fase di verifica periodica, ne possa prendere atto in attesa che il legislatore colmi questo vuoto. Per gli ascensori collaudati dopo l’entrata in vigore del DPR 162/99 si parla invece di registro dell’impianto e di dichiarazione di conformità la cui presenza, oltre a certificarne il collaudo, indica all’ispettore verificatore quale norma di riferimento bisogna applicare per stabilirne la regolarità di funzionamento. Come già accennato, la dichiarazione di conformità emessa dall’impresa installatrice dell’ascensore deve riportare gli estremi dell’attestato di conformità rilasciato da un organismo notificato a seguito del collaudo positivo. Occorre precisare, tuttavia, che esiste anche la possibilità che la impresa installatrice sia abilitata ad effettuare direttamente il collaudo dell’impianto senza ricorrere all’organismo notificato, purché questa abilitazione sia comprovata da adeguata documentazione. La normativa vigente prevede che i documenti del collaudo vengano conservati per almeno 10 anni.

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È opportuno sottolineare come l’organismo notificato possa rilasciare solo il duplicato dell’attestato di conformità che rappresenta l’unico documento da questo emesso a


L’importanza della carta per un ascensore

seguito dell’esito positivo del collaudo e non la copia del registro dell’impianto che, pur essendo stato validato dall’organismo in fase di esame documentale, viene redatto dalla impresa installatrice dell’ascensore che è tenuta a conservarne copia ed a rilasciarne duplicato conforme. Vi sono, infine, gli ascensori installati prima dell’entrata in vigore del DPR 162/99 ma collaudati dopo questa data per un periodo transitorio di quasi due anni. Solo in questi casi, e in questo intervallo temporale, l’impresa installatrice incaricava un ingegnere esperto nel settore che, con perizia giurata, collaudava l’impianto. In caso di smarrimento del libretto dell’ascensore, a cui veniva allegata la perizia giurata, è possibile chiederne il duplicato o alla impresa installatrice o all’ingegnere collaudatore, se reperibile. Un altro documento che deve essere sempre presente sull’impianto è il fascicolo aggiuntivo nel quale il manutentore, dotato di patentino abilitante, deve annotare semestralmente di aver verificato i componenti di sicurezza dell’ascensore durante le cd. verifiche semestrali. Spesso i contratti di manutenzione prevedono visite trimestrali o anche mensili da parte del manutentore la cui esecuzione però rappresenta solo un obbligo contrattuale. È quasi superfluo sottolineare come una buona manutenzione dell’impianto riduca notevolmente i guasti e prolunghi la vita dei componenti dell’ascensore. Per ultimare l’excursus

sulla documentazione, è necessario menzionare i verbali di verifica. È ormai noto che, con frequenza biennale, un ispettore di un organismo notificato debba effettuare la verifica periodica ai sensi dell’art. 13 del DPR 162/99 e s.m.i. Durante tale attività l’ispettore deve poter visionare i verbali precedenti per verificare se sono state eseguite le prescrizioni riportate, valutare un eventuale maggior stato di usura dei componenti dell’impianto e stabilire se occorre far eseguire migliorie o sostituzioni di parti dello stesso. Solo in caso di sostituzione di componenti di sicurezza, così come previsto dalla norma UNI EN 10411, il proprietario o l’amministratore di condominio deve richiedere all’organismo notificato la verifica straordinaria dell’ascensore, ai sensi dell’art. 14 DPR 162/99 e s.m.i, durante la quale devono essere forniti all’ispettore i documenti comprovanti la regolarità dei lavori eseguiti. Questa verifica deve essere eseguita al termine dei lavori di manutenzione straordinaria, conseguenti alla sostituzione di componenti di sicurezza, e prima della rimessa in funzione dell’impianto. Da tutto questo emerge che documenti come il libretto dell’ascensore/registro dell’impianto con allegata la dichiarazione di conformità, il fascicolo delle visite semestrali ed i verbali di verifica fanno parte integrante dell’impianto e devono essere considerati elementi imprescindibili senza i quali l’ascensore non può essere messo e mantenuto in esercizio.

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Spazio Confinato A cura di Adriano Paolo Bacchetta

Ancora molti dubbi su come identificarli Attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati D.P.R. 177/2011

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opo l’articolo apparso su questa rivista nel Marzo 2013, torniamo a parlare di come si possano identificare gli “ambienti sospetti di inquinamento o confinati”. L’occasione trae spunto da un recente confronto avviato sul web che ha visto alcuni frequentatori di un gruppo di discussione contribuire con diverse opinioni personali su quest’argomento. Il tema proposto si riferisce all’identificazione o meno come spazio confinato di un manufatto edile (costruito nell’ambito di un impianto di depurazione in esercizio, ma completamente indipendente per quanto riguarda gli accessi e le aree di pertinenza) della larghezza di 8,5 mt una lunghezza di 30 mt

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ed una profondità di 3 mt, sul fondo del quale sono previste attività di montaggio di una struttura in carpenteria metallica. La vasca è una nuova struttura realizzata da pochi mesi, mai utilizzata per nessuno scopo, e in fase di completamento con le opere da realizzare di cui alla descrizione. Il proponente il tema della discussione, ha poi precisato che: • per l’accesso al fondo vasca si prevede l’utilizzo di un ponteggio a due campate, a uso esclusivo dei lavoratori che lo useranno solo come luogo di transito; • il recupero di un eventuale infortunato sarà possibile tramite un argano opportunamente fissato e omologato;


Attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati

• l’ambiente in cui saranno realizzate le lavorazioni non è caratterizzato da limitate aperture di accesso, né da una ventilazione naturale sfavorevole in cui può verificarsi un evento incidentale importante, che può portare a un infortunio grave o mortale; • non vi è presenza di agenti chimici pericolosi (ad esempio, gas, vapori, polveri). Quindi la richiesta al gruppo di discussione: è da considerarsi ambiente confinato? Dopo alcune puntualizzazioni, il confronto è entrato nel vivo con diverse prese di posizione, dalle quali estraiamo alcuni spunti che ci serviranno nell’ambito del presente articolo per sviluppare l’analisi sul tema. Tra i vari commenti postati sul web, ci sono le seguenti affermazioni: (...) • essendo una vasca a cielo aperto, non sussiste la definizione di luogo confinato. Abbiamo avuto medesimo confronto con il responsabile della sicurezza del cliente durante la riunione di coordinamento e anche lui ha dato medesimo parere; • a fronte di quanto detto credo che al di là di tutto ci debba essere il buon senso e un’analisi che rispecchia quanto è la realtà. È una vasca nuova, in un contesto nuovo, profonda 3 metri, larga 8 e lunga 30 m. Credo che in una situazione del genere l’areazione sia naturale e non debba essere forzata. Che non ci siano pericoli di emissioni o fughe di gas particolari. L’unico punto è l’ingresso e l’uscita che sono però facilmente superabili (ricordo i 3 metri d’altezza); • il quesito dice: “per il momento è una struttura in cemento armato, della larghezza di 8,5 mt una lunghezza di 30 mt e una profondità di 3 mt, “ se è così, non ha le caratteristiche di un luogo confinato; • l’accesso e l’uscita non possono avvenire in maniera ordinaria, ma solo con l’ausilio di scale, ecc. pertanto detta vasca è da considerarsi luogo confinato. Un luogo confinato non è detto che sia un luogo con sospetto inquinamento, ma un luogo inquinato è al contempo luogo confinato; • un luogo confinato non è detto che sia un luogo a sospetto inquinamento, cosa che invece viceversa accade. Questo è un caso di palese ambiente confinato non soggetto a inquinamento (vasca non attualmente in funzione); nel momento che sarà entrata in esercizio come vasca di sedimentazione, diventerà anche un luogo soggetto all’art.66 del TUS; • l’ambiente confinato non è necessariamente un ambiente completamente chiuso, anche lo scolmatore di piena di un depuratore lo può essere. Va valutato attentamente lo stato dei luoghi, gli accessi, presenza di condutture e tipologia dei lavori che si vanno a effettuare. • se la vasca è nuova o comunque pulita e non ci sono condutture che ci arrivano non dovrebbero esserci inquinanti. La questione rimane quella del recupero di un eventuale infortunato.

“L’occasione trae spunto da un recente confronto avviato sul web con diverse prese di posizione”

Nel caso di vasca “usata” andranno preliminarmente effettuate le analisi di monitoraggio ambientale; • l’inquinamento si potrebbe verificare anche da agenti provenienti da lavorazioni in essere presso impianti limitrofi alla vasca un esempio potrebbe essere H2S quindi a prescindere dai rischi specifici dell’attività Bisogna valutare anche il contesto industriale in cui si trova la vasca, nel petrolchimico un ambiente del genere e sempre considerato spazio confinato. (...) Da quanto sopra riportato e dagli altri post dei contributori al gruppo di discussione si conferma, se mai ve ne fosse necessità, quanto la classificazione introdotta dal D.P.R. 177/2011

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ned spaces / 1926.21 - Safety training and education / 1915 Subpart B - Confined and Enclosed Spaces and Other Dangerous Atmospheres in Shipyard Employment / 1917.2 Marine Terminals / 1918.2 Safety and Health Regulations for Longshoring - enclosed spaces) questo perché, ovviamente, la definizione di Confined (enclosed) spaces, dev’essere funzionale al contesto nel quale questi dev’essere classificato. Nel testo del D.P.R. 177/2011, invece, si fa riferimento a specifici ambienti di lavoro (la cui identificazione fa scattare gli obblighi a carico del committente e il necessario possesso dei requisiti di qualificazione per chi vi deve operare), che sono: pozzi neri, fogne, camini, fosse, gallerie e in generale in ambienti e recipienti, condutture, caldaie e simili, ove sia possibile il rilascio di gas deleteri (art. 66), pozzi, fogne, cunicoli, camini e fosse in genere (art. 121), tubazioni, canalizzazioni e i recipienti, quali vasche, serbatoi e simili (art. 3 all. IV). Non volendo ripercorrere la trattazione di cui all’articolo citato, credo invece opportuno fare alcune puntualizzazioni in merito ad alcuni dei commenti letti che, spesso, rappresentano dei luoghi comuni privi di ogni validità:

consenta, ancora oggi, di stare a discutere se un ambiente sia o meno classificabile come ambiente sospetto di inquinamento o confinato e come ognuno tenda a “interpretare” la norma secondo un proprio schema valutativo. A tale riguardo, fin dall’emanazione del Decreto, sostengo che l’approccio nazionale al tema “Confined spaces” è stato inadeguato e che il testo legislativo ha introdotto diverse complicazioni applicative e un ampio margine di discrezionalità che porta a una notevole confusione. Per questo pongo come mio principale riferimento per trattare il tema la normativa tecnica internazionale, molto più ampia e dettagliata. Se ci si riferisce alla normativa statunitense, che è certamente una tra le più complete, è opportuno evidenziare che la descrizione più generale prevede che sia definito come Confined space uno spazio in cui si può entrare completamente con il corpo ed eseguire un’attività, che ha limitate vie di accesso o uscita e che non è progettato per essere occupato in modo permanente. Una volta identificato se l’ambiente sia o menu un Confined space, la normativa prevede che si analizzino i rischi presenti (atmosfera pericolosa e/o sotto-ossigenata, engulfment, altri pericoli noti, ecc.) che portano alla classificazione come permit o non-permit required Confined space. Ma rimane sempre un Confined space, con tutto quello che ne consegue in termini di misure di prevenzione e protezione. Peraltro, le norme OSHA (Occupational Safety and Health Administration) hanno ben cinque definizioni diverse secondo l’ambito in cui ci si trova a operare (29 CR OSHA / 1910.146 - Permit-required Confi-

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• Essendo una vasca a cielo aperto, non sussiste la definizione di luogo confinato l’unico punto è l’ingresso e l’uscita che sono però facilmente superabili (ricordo i 3 metri d’altezza) Premesso che tra i luoghi cui fa riferimento la definizione di “ambiente confinato” del D.P.R. 177/2011 è chiaramente indicato l’ambiente “vasca” (quindi viene da chiedersi sulla base di quale ragionamento ci si può sentire in diritto di affermare che una vasca non è un ambiente confinato), altro tema ricorrente è che l’apparente scarsa profondità declasserebbe il luogo come se, nel punto 3 dell’allegato IV, vi sia un qualche riferimento alla profondità della vasca stessa, condizione che non è vera. Inoltre, volendo citare la normativa statunitense, si evidenzia che una vasca a cielo libero profonda più di 1,22 metri è un Confined space secondo la OSHA 1926.21(b)(6)(ii) che prevede: For purposes of paragraph (b)(6)(i) of this section, “Confined or enclosed space” means any space having a limited means of egress, which is subject to the accumulation of toxic or flammable contaminants or has an oxygen deficient atmosphere. Confined or enclosed spaces include, but are not limited to, storage tanks, process vessels, bins, boilers, ventilation or exhaust ducts, sewers, underground utility vaults, tunnels, pipelines, and open top spaces more than 4 feet in depth such as pits, tubs, vaults, and vessels. Anche se la profondità appare bassa, bisogna considerare che i problemi che si possono avere in questi spazi, sono legati sia alla difficoltà di accesso/uscita sia al fatto che, in presenza di agenti chimici pericolosi (specie quelli con densità superiore all’aria), questi potrebbero accumularsi anche in vasche a bassa profondità e diventare pericolosi nel momento in cui il lavoratore dovesse chinarsi (tipici esempi d’incidenti sono quelli occorsi in acciaieria durante attività di manutenzione all’inter-


Attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati

no degli Electric Arc Fournace – EAF – a causa della stratificazione di Argon). Inoltre, le caratteristiche dimensionali delle vasche (rapporto tra lunghezza, larghezza e profondità) correlati con le condizioni meteoclimatiche (velocità e direzione del vento, pressione atmosferica, ecc.), sono parametri che condizionano i flussi all’interno della vasca e, quindi, anche l’effettiva circolazione di aria all’interno del volume.

“il “confinamento” è condizione necessaria e sufficiente per essere considerato un rischio indipendente e che deve essere posto sotto controllo” Non è infatti detto che, in ogni condizione, in ogni zona del volume interno di una vasca a cielo libero si possa considerare un flusso adeguato di aria di ricircolo in grado di garantire una sufficiente concentrazione di ossigeno o diluire, sotto ai valori di TLV, la concentrazione di eventuali agenti chimici pericolosi presenti. Alcuni studi, sebbene non direttamente condotti a questo scopo, indicano quali possono essere le caratteristiche della vasca utili al verificarsi delle condizioni di ricambio naturale. Sulla base di quanto visto, quindi, appare evidente che ogni situazione è da valutarsi caso per caso, evitando di fare affermazioni con presunta valenza generale quale: essendo una vasca a cielo aperto, non sussiste la definizione di luogo confinato.

li la presenza di una scala a rampe facilmente percorribile, con un normale rapporto pedata/alzata) è un Confined space così come identificato dalla normativa tecnica internazionale. • L’inquinamento si potrebbe verificare anche da agenti provenienti da lavorazioni in essere presso impianti limitrofi alla vasca un esempio potrebbe essere H2S quindi a prescindere dai rischi specifici dell’attività Bisogna valutare anche il contesto industriale in cui si trova la vasca, nel petrolchimico un ambiente del genere è sempre considerato spazio confinato La valutazione dei rischi deve tenere conto di tutti i pericoli reali o potenziali, quindi presenti o che potrebbero derivare da lavorazioni effettuate all’interno dei Confined space o provenienti dall’esterno. Nel caso specifico, poiché le attività si svolgono all’interno di una vasca interrata ubicata in un impianto in esercizio, è certamente necessario accertarsi che non vi possano essere interferenze o rilasci di agenti chimici pericolosi che potrebbero interessare la vasca. Specie agenti chimici gassosi più “pesanti” dell’aria che, quindi, potrebbero accumularsi all’interno di ambienti che si trovano sotto il piano stradale. Da più parti si evidenzia come la rigidità che è imposta dall’attuale testo normativo e l’indeterminazione di alcune sue parti, potrebbe facilmente portare a generalizzare l’applicazione del DPR 177/2011 a prescindere dall’effettivo livello di rischio e condurre le aziende a predisporre misure di prevenzione eccessivamente rigorose, anche a fronte di rischi di lieve entità. Nel caso specifico, infatti, in assenza di una puntuale e approfondita analisi differenziale del rischio, si potrebbero creare le condizioni per cui diversi committenti (tanto per non sbagliare) potrebbero applicare quanto previsto dal D.P.R. 177/2011 in modo fin troppo restrittivo, con il perico-

• Un luogo confinato non è detto che sia un luogo con sospetto inquinamento. L’ambiente confinato non è necessariamente un ambiente completamente chiuso. È evidente la correttezza delle affermazioni soprariportate. Non a caso il Legislatore, sebbene induca un’evidente difficoltà interpretativa, prevede che il D.P.R. 177/2011 si applichi alle attività in luoghi sospetti di inquinamento o confinati, affermando l’indipendenza delle due condizioni ai fini dei requisiti legislativi cogenti. Questo considerato che il “confinamento” è condizione necessaria e sufficiente per essere considerato un rischio indipendente e che deve essere posto sotto controllo. A riguardo bisogna infatti ricordare che, come già detto, la normativa statunitense prevede che prima occorre verificare se il luogo sia o meno un Confined space e poi s’identificano gli altri rischi presenti (che determineranno la classificazione come permit / non – permit required). In generale, resta il fatto che una vasca interrata o fuori terra sufficientemente alta/profonda da generare accesso/uscita difficile (a meno che non sussistano specifiche condizioni qua-

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Attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati

lo di attivare scorciatoie o applicazioni formali del disposto normativo, ritenuto troppo complesso e difficile da attuare, da parte delle ditte incaricate dei lavori. Appare quindi evidente come un’adeguata articolazione della classificazione del luogo di lavoro che, come punto di riferimento, non assuma solamente il contesto geometrico o la definizione del luogo (es. vasca.), debba invece puntare sull’individuazione dell’effettivo livello di rischio che rappresenta certamente il modo più corretto per approcciare al problema. Evidentemente ancora oggi, a distanza di oltre tre anni dalla sua entrata in vigore, la discussione sulla definizione di ambiente sospetto di inquinamento o confinato, così come identificato dal DPR 177/2011, è più che mai serrata.

“È evidente che la valutazione dei rischi deve tenere conto di tutti i pericoli reali o potenziali” Se si applica letteralmente la definizione introdotta prima dal DPR 547/55 e poi così come richiamata dal punto 3 dell’allegato IV e quindi assunta dal DPR 177/2011, una “vasca” è una “vasca” a prescinde dalle modalità di accesso, e questo è un ulteriore limite della normativa nazionale. E questo senza considerare la presenza o meno di inquinamento. Se poi facciamo lo sforzo di andare oltre la normativa nazionale (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, ecc.) ci si accorge che le cose sono un attimo più chiare e i pareri individuali sono meno rilevanti. Quando si parla di un ambiente in cui un lavoratore può entrare completamente con il corpo per effettuare una lavorazione, con limitate vie di accesso e di uscita (e si può stare una settimana a definire questo punto) e non concepito per la permanenza continuativa di un lavoratore ci si riferisce a quanto previsto dalla 29 CR OSHA 1910.146, dal Confined Spaces Safety Act 2009, Raccomandation R 447 INRS, eccetera. Certo l’applicazione del DPR 177/2011, così come concepito, non favorisce per niente la soluzione dei problemi. Anzi. Per affrontare correttamente il tema della sicurezza negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati, bisogna riuscire a non fermarsi alla categorizzazione di tali ambienti cercando una sorta di “griglia decisionale” che consenta, anche a chi non ha mai avuto modo di occuparsi di queste tipologie di attività, di poter definire in modo automatico la classificazione di un ambiente come sospetto di inquina-

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mento o confinato. Tuttavia le attività nei Confind Spaces hanno una trattazione nettamente particolare che va di là dall’usuale approccio ai temi della sicurezza. Basti pensare che, come già detto, la questione del “confinamento” introduce problemi di accesso e gestione della fase di soccorso specie per soggetti che, anche a causa di un malore, potrebbero trovarsi nella condizione di non poter uscire senza aiuto da parte di terzi (una condizione classificata dall’OSHA come Immediately Dangerous to Life and Health - IDLH). Ogni ambiente e ogni situazione sono un caso a parte, tenuto conto che nell’ambito di una corretta valutazione dei rischi, non si possono considerare solo quelli presenti (ed evidenti) riguardo all’ambiente, ma bisogna considerare anche i rischi potenziali ovvero quelli indotti dalle lavorazioni o che potrebbero derivare dall’ambito in cui si sta operando. Per questo, sono necessarie esperienze specifiche e capacità di analisi, caratteristiche individuali che giocano un ruolo fondamentale nella previsione dei rischi, anche potenziali, che potrebbero interessare il luogo di lavoro, consentendo la definizione delle misure di prevenzione e protezione necessarie per garantire un adeguato livello di sicurezza nelle attività. Questo implica la conoscenza e applicazione di quanto previsto sia dalla legislazione cogente, sia dalle norme tecniche nazionali/internazionali - Approved Code Of Practice (ACOP) - Best Available Technologies (BAT) validate a livello internazionale posto che le norme tecniche, ancora prima di quelle giuridiche, sono (o dovrebbero) rappresentare lo stato dell’arte, le migliori prassi adottabili. Ai fini della sicurezza in questi luoghi particolari, è fondamentale identificare tutti i pericoli così da poter eseguire un’approfondita e corretta valutazione dei rischi, un addestramento efficace del personale operativo, l’impiego di attrezzature idonee e la pianificazione delle attività ordinarie sia degli scenari di emergenza, codificando le operazioni da porre in essere e verificando che la catena degli appalti e subappalti non porti aziende o artigiani a operare in attività per le quali non sono né preparati né attrezzati. Appare quindi necessario e urgente sia rivedere il quadro normativo di riferimento, al fine di dirimere i vari problemi interpretativi del Decreto a cominciare dalla definizione di ambiente sospetto di inquinamento o confinato, sia ricondurre la discussione su un piano prettamente tecnico, nell’ambito del quale poter elaborate una specifica norma di riferimento da sviluppare in conformità a linee guida, norme e/o standard e Best Practices presenti a livello nazionale e internazionale.


Redazionale a cura di | Centro di Formazione e Ricerca Merlo |

La formazione è il futuro dei cantieri

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l Centro Formazione e Ricerca Merlo e Volvo CE Italia hanno unito le forze per offrire agli operatori di macchine movimento terra una formazione tra le più prestigiose e complete d’Italia. Una partnership di alto profilo in cui i valori di ricerca della sicurezza che accomunano i due marchi trovano la migliore valorizzazione. La formazione professionale sta lentamente assumendo un ruolo fondamentale anche in Italia, un riconoscimento reale alla importanza di fornire adeguati strumenti conoscitivi a chi utilizza macchine industriali e da cantiere. Non passa giorno senza che le cronache riportino di incidenti più o meno gravi che coinvolgono lavoratori addetti all’utilizzo di macchine ed attrezzature; gli operatori spesso non le conoscono a fondo ed il più delle volte imparano ad usarle sul campo, magari in modo del tutto errato: la superficialità ed il mancato rispetto delle più elementari regole di sicurezza e di buon senso sono infatti tra le cause principali degli incidenti sul lavoro. Diventa quindi di fondamentale importanza approfondire la complessità e la criticità della gestione di mezzi evoluti per dotare gli operatori di strumenti conoscitivi, di metodi e tecniche di analisi, per affrontare in modo consapevole la gestione quotidiana di macchine spesso semplici da usare, ma potenzialmente molto pericolose se affidate a mani inesperte o non adeguatamente preparate. Per questo motivo il Gruppo Merlo, da sempre distintosi per gli investimenti in ricerca e sviluppo, con il Centro Formazione e Ricerca Merlo offre un punto di eccellenza per la formazione nell’uso delle macchine. Non solo sollevatori telescopici e, soprattutto, non solo macchine Merlo. L’accordo tra CFRM e Volvo CE mira infatti a rendere ancora più completo e tecnicamente valido un servizio tra i più apprezzati dagli operatori del settore. La nascita di quest’accordo è stata dettata dalla crescente domanda di formazione di qualità e ad alto valore aggiunto, anche da parte degli operatori di macchine movimento terra. Si tratta certamente di una iniziativa formativa di alto profilo tra due attori che, prima e più di altri, hanno capito che la valorizzazione dei ruoli professionali, l’analisi delle problematiche attinenti alla sicurezza, la difesa dell’ambiente e lo sviluppo di nuove tecnologie costruttive rendono evidente la necessità ed innegabile il vantaggio economico di una formazione professionale adeguata e mirata. LA FORMAZIONE DEGLI OPERATORI È UN OBBLIGO, NON UN’OPZIONE La formazione per gli operatori di macchine movimento terra è obbligatoria per legge e l’accordo Stato-Regioni del 22 febbraio 2012 regola la sua attuazione e ne formalizza un protocollo didattico da erogarsi da parte di soggetti accreditati dalle Regioni secondo precisi requisiti. L’abilitazione si ottiene dopo il superamento delle verifiche intermedie e finali inerenti sia i contenuti strettamente teorici (normativa di riferimento, conoscenza tecnica delle macchine) che quelli pratici (condotta corretta del mezzo in base a una serie di prove stabilite). L’attestato ha una validità quinquennale e si rinnova prima della scadenza con la partecipazione ad un corso di aggiornamento. IL CENTRO FORMAZIONE E RICERCA MERLO NEL 2014 • Oltre 50 mila metri quadri di aree per le prove e l’addestramento • Oltre 35 mila ore di lezione • 2218 allievi provenienti da 24 Paesi • oltre 900 metri quadrati di aule e laboratori • 604 enti ed aziende hanno accordato la loro preferenza al CFRM


Medicina del Lavoro A cura del Dott.ssa Giovanna Pirana

Il danno epatico da farmaci Stimati da 7 a 15 casi all’anno su 100.000 abitanti Il fegato ha un ruolo fondamentale nel metabolismo della maggior parte dei farmaci e dei “prodotti di erboristeria”: questo lo rende particolarmente esposto alla loro potenziale azione tossica indipendentemente dalla via di somministrazione. Sono più di 1.000 le sostanze in grado di causare un danno epatico con un quadro clinico molto variabile che può andare da forme asintomatiche, caratterizzate solo da una modesta alterazione dei test ematochimici di funzione epatica, fino alle forme più gravi di epatite con insufficienza epatica fulminante.

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l danno epatico da farmaci rappresenta quindi un problema di grande rilevanza clinica perché spesso misconosciuto e sottostimato: questo può portare ad un ritardo diagnostico con serie ricadute sulla storia naturale dell’ epatopatia dato che il provvedimento terapeutico più importante è la sospensione del farmaco incriminato. L’incidenza è stimata in circa 7-15 casi/100.000 abitanti per anno, ma i dati sono con tutta probabilità più alti: il 5% dei ricoveri ospedalieri è legato al danno epatico da farmaci. Ci sono numerosi fattori che influenzano in modo significativo il rischio di sviluppare una tossicità epatica da farmaci: sesso (più frequente nelle donne specie in gravidanza), epatopatie pre-esistenti, abuso di alcolici, fattori metabolici (obesità, diabete), diatesi allergica, ma i due più importanti sono: la politerapia (più farmaci si assumono quotidianamente più aumenta il rischio di danno epatico per fenomeni di intera-


Il danno epatico da farmaci

decorrere in maniera asintomatica e la diagnosi può essere casuale e intercorrente durante accertamenti laboratoristici di routine (con alterazione delle transaminasi AST e ALT, aumento degli indici di colestasi ALP e GGT). Le forme acute sono spesso prevedibili, il danno è prevalentemente dosedipendente e il tempo di insorgenza dall’assunzione di un determinato farmaco è breve. Molto raramente possono avere un andamento fulminante con progressivo e rapido deterioramento della funzione epatica.

“Elemento di attualità nel mondo occidentale è il ricorso ai “farmaci naturali” a base di erbe in virtù di una loro presunta mancanza di effetti collaterali” zione/competizione a livello dell’epatocita) e l’età (il 40% delle epatiti acute negli over 60 è da farmaci e, soprattutto, circa il 50% degli over 65 assume 5 o più farmaci al giorno). Le classi di farmaci più spesso coinvolte sono i FANS (antiinfiammatori non steroidei), farmaci anti-infettivi (antibiotici, antimicotici, antiretrovirali), farmaci neuropsichiatrici, farmaci, antiaritmici, farmaci ipolipemizzanti (statine) e il paracetamolo. Un altro elemento molto significativo e di grande attualità in tutto il mondo occidentale è il crescente ricorso ai “farmaci naturali” a base di erbe in virtù di una loro presunta mancanza di effetti collaterali: esiste invece in letteratura un lungo elenco di sostanze di origine vegetale che hanno una potenziale ma ben documentata tossicità epatica.

Le forme ad andamento cronico, invece, hanno un decorso subdolo, imprevedibile, spesso accompagnato da sintomi di tipo sistemico (eruzioni cutanee, artralgie, febbre, leucocitosi eosinofila). La diagnosi di epatite da farmaci è una diagnosi principalmente di esclusione, ovvero vanno prima ricercate tutte le altre cause di malattia epatica acuta o cronica (es. virali, esotossiche, metaboliche, autoimmuni): non esistono infatti test specifici per dimostrare la tossicità epatica da farmaci.

Il danno epatico da farmaci si esplica principalmente con due meccanismi patogenetici: da tossicità diretta dose-dipendente e da tossicità immuno-mediata (o “idiosincrasica”). Nel primo meccanismo il farmaco, assunto oltre un certo dosaggio, diventa nocivo. Caratteristica è l’epatotossicità da paracetamolo: questo farmaco, se assunto ad un dosaggio dieci volte superiore alla dose giornaliera consigliata, può causare un danno epatico irreversibile. Nelle forme idiosincrasiche invece un farmaco, generalmente non tossico nella maggior parte delle persone, può diventare nocivo attraverso meccanismi di tipo “immunoallergici”, non dose-dipendenti, tramite l’attivazione del sistema immunitario del singolo soggetto. Le epatiti da farmaci si possono manifestare in forma acuta o cronica. Nella forma acuta i sintomi principali sono caratterizzati da febbre, dolore addominale e ittero; tuttavia queste forme possono

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Il danno epatico da farmaci

Nella diagnosi riveste fondamentale importanza l’anamnesi con particolare riguardo all’assunzione negli ultimi mesi di farmaci, prodotti di erboristeria o “integratori alimentari” (spesso autoprescritti), alle eventuali modalità di somministrazione ponendo sempre particolare attenzione alle possibili interazioni farmacologiche o alla presenza di manifestazioni allergiche di tipo sistemico.

“La sospensione del farmaco “sospetto” è la prima misura terapeutica da attuare”

I criteri cronologici sono importanti per la diagnosi: normalmente l’intervallo fra l’inizio dei sintomi e l’assunzione di un farmaco può variare da una settimana ai tre mesi precedenti. Il miglioramento clinico e degli esami bioumorali alla sospensione di un determinato farmaco sono gli elementi più importanti ai fini diagnostici. Il test di risomministrazione (“rechallenge”), molto utile per determinare con certezza la natura iatrogena del danno epatico, non è eticamente percorribile: è infatti troppo pericoloso per poter essere attuato intenzionalmente. La biopsia può essere di aiuto per determinare la gravità dell’insulto epatico e per escludere altre cause misconosciute di epatopatia ma spesso il quadro istologico non è specifico per danno farmaco indotto. La sospensione del farmaco “sospetto” è la prima misura terapeutica da attuare. Nelle forme da intossicazione acuta una precoce lavanda gastrica (gastrolusi) può aiutare a rimuovere residui di farmaco nella cavità gastrica. Purtroppo esistono pochi antidoti specifici per un limitato numero di sostanze (es. infusioni di n-acetil-cisteina per il sovradosaggio di paracetamolo). Nelle forme croniche, di tipo immuno-mediato, se la sospensione del farmaco non è seguita da un miglioramento clinico ed i sintomi sistemici perdurano per oltre 4 settimane, è necessario associare una terapia con steroidi. Anche l’uso di anticorpi monoclonali (anti TNF-alfa) può essere utilizzato come terapia di salvataggio nelle epatopatie più severe da farmaci. Nelle forme ad andamento fulminante, con progressivo e rapido deterioramento della funzione epatica, solo il trapianto di fegato può mantenere il pazien-

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te in vita (l’epatite fulminante da farmaci rappresenta il 10% delle indicazioni al trapianto per insufficienza epatica acuta nel bambino e il 16% nell’adulto). I farmaci rappresentano, senza ombra di dubbio, un presidio insostituibile per vivere meglio e più a lungo ma restano sempre “sostanze chimiche” che possono presentare effetti collaterali talvolta rari e inattesi. Per questo vanno assunti e gestiti in stretta collaborazione con il proprio medico di fiducia valutando sempre il fondamentale rapporto rischio-beneficio.


Psicologia del Lavoro A cura del Dott. Piergiorgio Frasca

Una “cultura della sicurezza positiva” Da sviluppare come fattore fondamentale per la prevenzione dei rischi in azienda

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gni azienda è un sistema sociale complesso, finalizzato ad ottenere gli obiettivi specifici per i quali l’organizzazione è stata pensata e realizzata mediante l’utilizzo e la gestione di: risorse tecniche, risorse economiche, conoscenze e di prestazioni lavorative. Ogni organizzazione si contraddistingue per un suo modo tipico di funzionare, per i valori che ha come riferimento, per le ideologie, le opinioni, gli atteggiamenti ed i modi di pensare e di agire che sono condivisi e attuati stabilmente dai suoi membri. Questi elementi ne costituiscono gli assunti fondamentali su cui si fonda la sua “cultura organizzativa”, fattore che trova

concreta espressione negli stili di governo adottati dal management e nei comportamenti e nelle prestazioni quotidianamente espressi da ciascuno dei suoi membri. Comportamenti e prestazioni che non possono pertanto essere compresi e tantomeno modificati se non vengono riferiti alla “cultura” che permea l’organizzazione entro cui essi si manifestano. Tra gli elementi che caratterizzano le modalità operative di un’organizzazione vi sono anche i modi con cui vengono assunte decisioni e attuati comportamenti relativamente ai rischi ed alle misure di prevenzione e di sicurezza adottate per garantire la tutela della salute e sicurezza nei suoi luoghi di lavoro. Così

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come gli stili decisionali e di leadership i comportamenti e le prestazioni degli individui adottati nella gestione dei processi organizzativi costituiscono l’aspetto concreto, operativo, della “cultura organizzativa” che permea l’azienda, allo stesso modo gli stili decisionali e di leadership, i comportamenti e le prestazioni degli individui adottati per quanto riguarda la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, non sono altro che l’espressione concreta della “cultura della sicurezza” di cui è permeata la “cultura organizzativa” dell’azienda.

“Gli stili decisionali e di leadership adottati per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, sono l’espressione concreta della cultura della sicurezza” La “cultura organizzativa” ed una “cultura della sicurezza” sono gli elementi imprescindibili su cui si formano i processi decisionali e di governo di un’impresa. Per quanto riguarda la “cultura della sicurezza” si può distinguere tra una “cultura della

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sicurezza positiva”, nella quale il valore della sicurezza non è una mera espressione verbale ma rappresenta il riferimento centrale per lo sviluppo di comportamenti e prestazioni effettivamente improntati alla sicurezza sul lavoro, rispetto ad altri modelli di “cultura della sicurezza” nei quali la sicurezza non è intesa come un valore fondante delle pratiche lavorative, gli apprestamenti necessari per la sicurezza sul lavoro sono percepiti come dei vincoli e dei costi e l’applicazione delle stesse avviene in modo burocratico e non spontaneo. Al pari delle fondamenta la cui solidità costituisce il fattore indispensabile per la stabilità di un edificio, così una “Cultura della sicurezza” positiva, è alla base della solidità ed efficacia del sistema aziendale per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori. La “cultura della sicurezza” è descrivibile come “l’insieme coerente di assunti fondamentali, valori, atteggiamenti, percezioni, competenze e modelli di comportamento che determinano l’impegno, lo stile e la competenza nell’affrontare e risolvere le questioni attinenti la tutela della sicurezza e della salute in una organizzazione lavorativa”. Concretamente la “cultura della sicurezza” di un’organizzazione non è altro che “il modo in cui di solito si fanno le cose” ed è l’espressione della serietà con cui i vertici aziendali discutono i temi della sicurezza e salute sul lavoro. Ad esempio il modo con cui fare la valutazione dei rischi, la formazione, il modo con cui valutare e gestire il rischio di stress lavoro correlato, e così via. Le aziende nelle quali


Una “cultura della sicurezza positiva”

è radicata una cultura positiva della sicurezza e salute sul lavoro si contraddistinguono per l’efficacia raggiunta nel conciliare l’integrazione tra sicurezza e produzione, per la percezione condivisa dell’importanza della sicurezza, per la fiducia nell’efficacia delle misure di prevenzione adottate e per l’assunzione degli obiettivi della prevenzione come valore fondamentale della gestione dell’organizzazione. Gli esempi dell’esistenza di organizzazioni nelle quali si respira l’esistenza di una “cultura della sicurezza” positiva non mancano: entrando in tali aziende si avverte subito il clima di positività e di reciproca fiducia che ne permea il contesto. In tali aziende i lavoratori sono sereni, le relazioni tra lavoratori e capi sono improntate a fiducia reciproca, nella consapevolezza che ogni decisione lavorativa è permeata dal preventivo esame dei potenziali rischi e dalle misure per eliminarli, ridurli e controllarli. In queste organizzazioni le informazioni utili per la sicurezza circolano liberamente e costantemente, le regole necessarie per garantire la sicurezza vengono applicate spontaneamente dai lavoratori ed il naturale conflitto esistente tra sicurezza e produzione è preso in carico dai vertici aziendali e da essi correttamente gestito. Le somme erogate per garantire la prevenzione ed il controllo dei rischi non sono scritti a bilancio nella voce “costi”, ma nella voce “investimenti” e l’obiettivo condiviso da tutti i membri dell’organizzazione non è quello del ri-

spetto burocratico delle norme, bensì quello di migliorare continuamente le procedure e le attività che consentono di garantire la massima sicurezza e salute sul lavoro. Al contrario nelle organizzazioni in cui non è presente una “cultura della sicurezza positiva” il clima lavorativo è spesso teso, il naturale conflitto “produzione sicurezza” è gestito in modo ondivago, secondo criteri di opportunità del momento che quasi sempre privilegiano il risultato produttivo a scapito della sicurezza; i comportamenti non sicuri sono tollerati dai capi e dagli altri lavoratori e, spesso, sono addirittura premiati; le misure minime prescritte dalle norme sono intese come fastidi da eliminare con il minimo di impegno e di spesa; la valutazione dei rischi, anche se ben fatta, non è presa come documento operativo su cui costruire l’azione di prevenzione e protezione dai rischi, ma come un documento burocratico da custodire per poterlo esibire in caso di controlli da parte dell’ASL; la formazione sulla sicurezza è vissuta come una perdita di tempo e come tale viene anche realizzata; fattori di rischio come il rischio stress lavoro correlato non sono neppure presi in considerazione; e l’elenco delle negatività potrebbe continuare a lungo. Per avere successo nel miglioramento della sicurezza sul lavoro di un’azienda, è indispensabile attuare interventi finalizzati a trasformare la “cultura della sicurezza” in essa esistente, in una “cultura della sicurezza positiva”: operazione

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Una “cultura della sicurezza positiva”

che non è impresa facile e che richiede impegno e dedizione, in quanto rappresenta un cambiamento spesso radicale di mentalità e di abitudini, nella cui apparente sicurezza ci si è magari cullati da lungo tempo. In particolare è indispensabile che l’adozione di comportamenti sicuri non venga percepita dai membri dell’organizzazione come un obbligo o un vincolo imposto dall’esterno e calato dai vertici ai lavoratori, ma sia vissuta come il naturale risultato dell’attribuzione alla sicurezza sul lavoro di un “valore” che orienti stabilmente scelte e condotte. Tale risultato per essere raggiunto richiede che siano implementati i seguenti elementi: • la sicurezza sul lavoro deve essere inserita tra i valori dichiarati nel codice etico dell’azienda; • è necessario che l’attuazione delle misure che garantiscono la sicurezza sul lavoro venga sistematicamente dimostrata mediante specifiche certificazioni; • occorre predisporre una struttura deputata al controllo interno del rispetto delle norme e delle misure di sicurezza adottate; • è indispensabile che le strategie e gli obiettivi del top management in tema di sicurezza sul lavoro siano coerenti rispetto al loro modo di rapportarsi con l’ambiente di lavoro ed il suo contesto e, soprattutto, che tali strategie, obiettivi e comportamenti vengano da tutti percepiti come sistematici e coerenti; • occorre inoltre adoperarsi per trasformare un comportamento coercitivo dettato da elementi esterni (ad esempio le norme con le relative sanzioni) e veicolato dall’alto verso i lavoratori, con la percezione da tutti sentita dell’esigenza di attuare le misure di sicurezza come condizione basilare per lavorare meglio. Per ottenere questo scopo sono strumenti fondamentali l’informazione, la formazione e la sensibilizzazione alla sicurezza sul lavoro. In particolare: • è indispensabile che tutti i membri dell’organizzazione, a cominciare dal management siano adeguatamente informati, formati e sensibilizzati in materia di sicurezza e salute sul lavoro; • occorre sviluppare un progetto formativo sulla sicurezza che non si limiti a fornire conoscenze e competenze normative e tecniche (sovente già presenti in modo più o meno corretto), ma che sia soprattutto finalizzato a stimolare il coinvolgimento attivo dei partecipanti sui temi del rischio e della sicurezza, per farli riflettere in modo approfondito sulle proprie responsabilità individuali e di gruppo in merito agli obiettivi di sicurezza; • occorre inoltre stimolare un processo di sensibilizzazione continua, finalizzato alla diffusione ed al mantenimento in azienda di una positiva “cultura della sicurezza”, fondata sul protagonismo responsabile di ciascun membro dell’organizzazione.

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67&+1 4#5%# di Dott. Piergiorgio Frasca

Servizi di Psicologia del lavoro e sviluppo organizzativo, Formazione e aggiornamento per la sicurezza e salute sul lavoro, Ergonomia

____________________________________________________________________________ Studio Frasca opera da diversi anni nel campo della Psicologia del lavoro e delle organizzazioni applicata alla prevenzione dei rischi per la sicurezza e la salute sul lavoro offrendo alle aziende servizi qualificati per lo studio e la valutazione dei rischi psicosociali, per l’applicazione dei principi ergonomici alle attività lavorative, per la formazione di dirigenti, preposti e lavoratori in materia di sicurezza e salute sul lavoro. I servizi offerti comprendono: Servizio di valutazione del rischio di stress correlato al lavoro. Assistenza e supporto alle aziende per la definizione e l’attuazione di strategie personalizzate per la prevenzione, il controllo ed il monitoraggio del rischio di stress da lavoro Servizio di monitoraggio sullo stress lavoro correlato Formazione dei dirigenti, dei preposti e dei lavoratori alla sicurezza e salute sul lavoro e sul rischio di stress correlato al lavoro. Valutazione dei bisogni di formazione e dell’efficacia della formazione attuata Progettazione e realizzazione di attività formative Progettazione e realizzazione di interventi di Behavior Safety Valutazione ergonomica delle mansioni e applicazione dei principi ergonomici alle attività lavorative. Valutazione conoscenza e competenza nella lingua italiana per lavoratori stranieri (D.Lgs. 81/08, artt. 36 e 37, comma 13) Servizio di valutazione, intervento e monitoraggio del rischio stress correlato al lavoro Studio Frasca effettua l’intero ciclo di valutazione, intervento e monitoraggio sul rischio di stress da lavoro come prescritto dal D.Lgs. 81/08 e s.m.i. secondo le modalità indicate dalla Commissione Consultiva permanente (CM del 18/11/2010). Per la valutazione dei dati oggettivi sono utilizzate specifiche check-list, mentre per i fattori soggettivi sono utilizzati appositi questionari somministrabili anche on-line. I risultati con la valutazione del rischio riferita ai fattori di rischio del Contesto lavorativo e del Contenuto del lavoro e l’indicazione delle criticità rilevate sono illustrati in una relazione dettagliata e sintetizzati con grafici e tabelle un cui esempio è riportato sotto. Il Servizio viene svolto su tutto il territorio nazionale e su qualsiasi comparto lavorativo, compreso l’ambito sanitario, le costruzioni, la P.A. Di seguito è riportato un esempio di analisi realizzata con il questionario QUERTI SLC.

Test ITALSIC di valutazione della conoscenza e competenza linguistica per lavoratori stranieri In relazione agli adempimenti prescritti dagli articoli 36 e 37, comma 13, del D.Lgs. 81/08 Studio Frasca ha messo a punto il Test ITALSIC espressamente dedicato alla valutazione delle conoscenze e competenze nella lingua italiana con riferimento alla sicurezza e salute sul lavoro. Il Test è di semplice utilizzo e non richiede competenze specialistiche per la somministrazione. Per l’elaborazione dei risultati è utilizzato uno specifico software acquistabile con la prima fornitura del test. Apposite istruzioni guidano l’utilizzatore, ad esempio l’RSPP, in tutte le fasi di impiego. Il Test è acquistabile inviando la richiesta tramite e-mail a Studio Frasca, al quale ci si può rivolgere per ulteriori informazioni. E’ anche possibile la somministrazione del test on line.

Per informazioni sui costi dei servizi, telefonare al n° 348-6507545 o inviare una e-mail all’indirizzo studiofrasca@iol.it o collegarsi al sito www.benessereorganizzativo.eu. Studio Frasca di Dott. Piergiorgio Frasca è a Monza (20052), via Lecco 88 – Tel. 348-6507545.

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Antincendio A cura di Fernando Cordella - Segretario nazionale UGL Vigili del Fuoco

Pannelli fotovoltaici: la parola ai vigili del fuoco In italia non esiste una normativa specifica di prevenzione incendi relativa agli impianti fotovoltaici (FV)

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a Direzione Centrale per la Prevenzione e Sicurezza Tecnica dei Vigili del Fuoco, considerata che l’installazione di impianti fotovoltaici nei fabbricati può comportare un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio, ha emanato le seguenti disposizioni: • nota DCPST del 7 febbraio 2012 con oggetto: “Guida per l’installazione degli impianti fotovoltaici” • nota DCPST del 4 maggio 2012 con oggetto: “Chiarimenti sulla guida per l’installazione degli impianti fotovoltaici”. La guida rappresenta uno strumento di indirizzo non limi-

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tativo delle scelte progettuali. Ricordiamo che gli impianti FV non rientrano fra le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi ai sensi del D.P.R. n.151 del 1 agosto 2011. Se l’impianto fotovoltaico è a servizio di un fabbricato con almeno un attività soggetta, l’installazione potrebbe comportare un aggravio del preesistente livello di sicurezza in caso di incendio per il fabbricato stesso. Quindi un’attività soggetta ai controlli di prevenzione incendi richiedi gli adempimenti previsti dal comma 6 dell’art.4 del DPR n.151 del 1 agosto 2011. Per impianto FV a servizio di un’attività


Pannelli fotovoltaici

soggetta si intende impianto i cui moduli ricadono, anche parzialmente, nel volume delimitato dalla superfice cilindrica verticale avente come generatrice la proiezione in pianta del fabbricato, inclusi aggetti e sporti di gronda. Pertanto nel valutare l’eventuale aggravio del preesistente livello di rischio incendio devono essere valutati i seguenti aspetti: • interferenza con il sistema di ventilazione dei prodotti della combustione, ostruzione parziale/totale di traslucidi, impedimenti apertura evacuatori; • modalità di propagazione dell’incendio in un fabbricato dalle fiamme all’esterno o all’interno del fabbricato - presenza di condutture sulla copertura del fabbricato suddiviso in più comportamenti - modifica della velocità di propagazione di un incendio di un fabbricato mono compartimento; • sicurezza degli operatori addetti alla manutenzione; • sicurezza degli addetti alle operazioni di soccorso; In caso di aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio: • per le attività di categoria A - Presentazione di SCIA a lavori ultimati; • per le attività di categorie B e C - Presentazione del progetto ai fini della valutazione e SCIA a lavori ultimati. In caso di non aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio solo aggiornamento pratica con la presentazione della SCIA per la sola attività principale soggetta. Se la SCIA si presenta senza preventiva approvazione del progetto, la documentazione dovrà essere integrata con la valutazione del rischio di cui al D.Lgs 81/2008.

“l’installazione di impianti fotovoltaici nei fabbricati può comportare un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio” In questi ultimi anni c’è stata una crescita di impianti, vuoi per una politica di incentivi statali, vuoi per la caratteristica di produrre “energia pulita”, ma c’è da dire che sono aumentati anche gli incendi. Quindi possiamo affermare che il rischio incendi nei pannelli fotovoltaici esiste e sicuramente deve essere valutato correttamente applicando tutte le norme di sicurezza vigenti.

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Antincendio A cura di Stefano Marsella - Coordinatore nazionale UGL Vigili del Fuoco

La formazione professionale dei vigili del fuoco Il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco mantiene elevati livelli di professionalità, che implicano anche qualità del servizio e maggiore sicurezza degli operatori attraverso una forte attenzione alla formazione di tutti i dipendenti.

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uesta attenzione ha un preciso ornamento storico. Infatti, la costituzione del Corpo è avvenuta insieme alla realizzazione delle Scuole Centrali Antincendio, che ospitano ancora oggi il sacrario dei Vigili del Fuoco ed il luogo che ospita tutti i Vigili del fuoco all’inizio della loro carriera. Ovviamente, dal 1941 ad oggi molte cose sono cambiate. Il Comandante delle Scuole non è più il Capo del Corpo e la formazione ha assunto un’articolazione diversa, suddivisa tra tre strutture centrali molto specializzate (formazione di base, formazione operativa e alta formazione), in poli didattici attivi nella maggior parte delle regioni e le strutture formative attive in ogni comando provinciale. In questo caso si realizza in pieno il principio di sussidiarietà, dato che la formazione, coordinata da un direttore centrale, viene svolta al centro per i corsi di ingresso di elevata specializzazione, nei poli didattici per alcune attività specializzate che possono essere svolte sul territorio e, per il normale aggiornamento professionale, nelle sedi di servizio provinciale. Di cosa si occupa la formazione erogata nel Corpo? Nei corsi di ingresso il principale obiettivo didattico è quello di insegnare a lavorare ed a lavorare in sicurezza. Quindi, sia i comportamenti che le procedure da seguire nelle singole fattispecie di intervento (dall’incendio ai puntellamenti agli incidenti stradali) sono insegnati tenendo conto del principio di non esporre mai il soccorritore ad un rischio indebito. Lo scopo di questa attenzione è duplice: alle tutele che le norme garantiscono a tutti i lavoratori, infatti, si deve aggiungere la garanzia di soccorso al cittadino, che certo verrebbe limitata da un incidente che riguarda chi sta portando soccorso.

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La formazione professionale dei vigili del fuoco

Nei corsi di aggiornamento, invece, si approfondiscono argomenti che il personale già conosce a seguito dell’esperienza operativa e che possono essere approfonditi in modo compiuto. A fianco di tali corsi si svolgono periodicamente i corsi di specializzazione, che consentono al personale selezionato di entrare nei gruppi quali i sommozzatori, gli specialisti o i piloti di elicottero, gli addetti alle telecomunicazioni.

“l’installazione di impianti fotovoltaici nei fabbricati può comportare un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio”

Anche la prevenzione incendi è oggetto di formazione, sia in ingresso che durante la vita professionale dei Vigili e dei Funzionari. Questa materia è in costante evoluzione, anche per effetto delle disposizioni comunitarie che la riguardano, e necessita di una continua attività di progettazione ed organizzazione dei corsi a tutti i livelli. Più recentemente è stato avviato un piano di aggiornamento professionale per il personale amministrativo ed informatico. In entrambi i casi, l’obiettivo dell’impegno organizzativo è quello di accompagnare l’ammodernamento del Corpo per renderlo coerente con l’evoluzione della Pubblica Amministrazione. Per conseguire tale obiettivo si cerca di fornire alla componente amministrativa le informazioni più tempestive e puntuali sulle continue innovazioni del settore amministrativo-contabile. Alla componente informatica, invece, sono fornite le competenze necessarie per sviluppare e gestire in modo autonomo le risorse ITC a servizio dell’emergenza e della gestione amministrativa, limitando quindi l’impegno di risorse esterne e quindi i costi di gestione dell’intero settore.

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Formazione alla Sicurezza A cura di Mario Romeo - Dirigente Salute e Sicurezza SIA Ingegneria

Revisione della Direttiva Europea 2004/37/CE Gli agenti cancerogeni e mutageni nei luoghi di lavoro “L’attuale quadro legislativo è inadeguato e insufficiente, poiché è basato su conoscenze scientifiche che risalgono agli anni ‘70”

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a revisione della Direttiva Europea 2004/37/CE sugli agenti cancerogeni e mutageni nei luoghi di lavoro è quanto mai necessaria e urgente. L’attuale quadro legislativo è inadeguato e insufficiente, poiché è basato su conoscenze scientifiche che risalgono agli anni ‘70, epoca in cui era ampiamente ignorato il ruolo delle sostanze interferenti endocrine e i processi epigenetici nello sviluppo dei tumori. La Direttiva in oggetto inoltre non è coerente anche rispetto alle definizioni delle sostan-

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Revisione della direttiva europea 2004/37/CE

ze che destano le maggiori preoccupazioni inserite nel Regolamento REACH emesso nel 2006, in quanto essa esclude le sostanze tossiche per la riproduzione. Inoltre non va confuso l’obiettivo perseguito dal Regolamento REACH, sulla base del quale sono stati introdotti gli importanti obblighi di tracciabilità delle sostanze, con i Valori Limite di Esposizione Professionale non previsti dal Regolamento. Valori, quest’ultimi, che con l’emanazione delle direttiva diventerebbero vincolanti, tenuto conto della natura coercitiva delle direttive, quali strumenti legislativi ormai da troppo tem-

“Attualmente sono previsti dei Valori Limite di Esposizione Professionale vincolanti per 5 sostanze tossiche e indicativi per altre 95, inseriti nella Direttiva 99/45�

po abbandonati dal livello europeo a favore di una libertĂ di mercato che crea, a partire dai temi di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, dumping a svantaggio delle lavoratrici e dei lavoratori. Attualmente sono previsti solo dei Valori Limite di Esposizione Professionale vincolanti, per 5 sostanze tossiche e indicativi per altre 95, inseriti nella Direttiva 99/45. L’esperienza delle azioni di prevenzione mostra che le situazioni piĂš pericolose sono legate a esposizioni multiple nonchĂŠ a esposizioni provocate dal processo produttivo, come nel caso della silice cristallina o i vapori di diesel. La sorveglianza della salute, come prevista dalla attuale Direttiva, non è sufficiente, sappiamo che esistono tempi di latenza molto lunghi fra periodo dell’esposizione e sviluppo di un tumore ed è quindi indispensabile prevedere una sorveglianza della salute che copra tutto l’arco della vita dei lavoratori che sono stati esposti. Tale azione di prevenzione non è prevista attualmente nella Direttiva comunitaria, nĂŠ viene finora attuata nella maggior parte degli Stati membri. Il ritardo nella revisione della Direttiva Europea 2004/37/CE rappresenta uno dei problemi piĂš importanti e una delle ragioni basilari dell’aumento del numero di lavoratori che ogni anno si ammalano a causa dell’esposizione ad agenti

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Revisione della direttiva europea 2004/37/CE

chimici. Oggi sono circa 55.000 le sostanze tossiche che circolano in Europa (a fronte di 75 milioni di sostanze prodotte e classificate, grazie all’azione determinata dall’introduzione del Regolamento REACH e CLP). Un obiettivo concreto a livello comunitario dovrebbe essere quello di arrivare a prevedere dei Valori Limite di Esposizione Professionale vincolanti per almeno 50 sostanze, tra cui quelle cancerogene. Attualmente in Italia la stima è di 100 casi di tumore scoperti ogni giorno. Su di un numero complessivo di circa 400.000 casi all’anno in Italia, si stima che tra il 10% e il 15% del totale siano di origine professionale, anche se ad oggi le denunce all’INAIL non raggiungono nemmeno la metà del dato. Da oltre dieci anni le Organizzazioni Sindacali e un gran numero di Stati membri attirano l’attenzione della Commissione sull’importanza e la assoluta necessità dell’aggiornamento della Direttiva in oggetto, sebbene questo fatto era esplicitamente indicato nella Strategia Europea 2002-2007.

“Su di un numero complessivo di circa 400.000 casi all’anno in Italia, si stima che tra il 10% e il 15% del totale siano di origine professionale”

Nella nuova Strategia Europea emessa nel giugno 2014 dalla Commissione non vi è alcun riferimento alla questione, la revisione non è ancora stata realizzata né tantomeno iniziato l’iter. Il 4 marzo 2014, i Ministeri del Lavoro di Austria, Germania, Paesi Bassi e Belgio hanno indirizzato una lettera comune alla Commissione per chiedere una revisione rapida della Direttiva sulla prevenzione dei tumori connessi all’attività professionale. L’obiettivo di prevenire i tumori legati al lavoro deve essere immediatamente perseguito con forza dalla Commissione Europea e dall’Italia in primo luogo al fine di tutelare i lavoratori ed i cittadini tutti. È dunque doveroso intervenire e sollecitare, al pari di altri paesi europei, circa la revisione della Direttiva.

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La Parola al Legale A cura di Maurizio Cilione - LML Avvocati Associati

Il problema della responsabilità Il direttore dei lavori nominato dal committente è responsabile dell’infortunio sul lavoro?

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n questa sede si vuole evidenziare il principio ormai consolidato in giurisprudenza che “Il direttore dei lavori nominato dal committente è responsabile dell’infortunio sul lavoro, quando allo stesso sia affidato il compito di sovrintendere all’esecuzione dei lavori, con la possibilità di impartire ordini alle maestranze; e ciò, sia per convenzione, cioè per una particolare clausola introdotta nel contratto di appalto, sia quando, per fatti concludenti, risulti che egli si sia in concreto ingerito nell’organizzazione del lavoro” (Sent. N. 49462/03).

Tale principio viene infatti ribadito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 35970 del 19 agosto 2014. Con sentenza resa in data 11.1.2012 il tribunale di Sondrio, sezione distaccata di Morbegno, ha condannato C.F. alla pena di tre mesi di reclusione in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di S. R., in (omissis). All’imputato, unitamente ad altri soggetti, era stata originariamente contestata la violazione colposa delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro poiché, in qualità

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di libero professionista delegato della società (omissis) aveva consentito, o comunque non impedito, che lo S., titolare della ditta sub-appaltatrice di lavori per conto della (omissis), impegnato nelle operazioni di getto del calcestruzzo per il completamento di un solaio di copertura in cemento armato prefabbricato, cadesse al suolo provocandosi gravi lesioni personali a causa del cedimento di detto solaio. Il cedimento era dovuto all’inadeguatezza delle opere provvisionali di sostegno, collocate in assenza di uno specifico calcolo tale da garantire che le armature supportassero oltre il peso delle strutture anche quello delle persone e dei sovraccarichi eventuali, nonché le sollecitazioni dinamiche dovute all’esecuzione dei lavori. Con sentenza in data 3.10.2013 la corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha disposto la riduzione della pena inflitta all’imputato determinandola in quella di un mese e quindici giorni di reclusione (pena convertita in quella pecuniaria d’importo corrispondente) confermando nel resto l’impugnata sentenza. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione censurando il provvedimento della corte territoriale per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo i giudici del merito erroneamente scritto in capo all’imputato una posizione di garanzia in relazione all’infortunio in esame, in assenza di alcun presupposto idoneo a giustificarla, attesa l’originaria limitazione

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del ruolo del C., nell’ambito dell’attività dell’impresa del G., a una mera collaborazione professionale per la predisposizione dell’istruttoria ai fini della partecipazione alla gara d’appalto pubblico; posizione alla quale non faceva riscontro l’attribuzione di alcuna mansione in materia di conduzione del cantiere o di sicurezza dei lavoratori, non disponendo lo stesso, né del tempo necessario, né delle specifiche competenze indispensabili a tal fine.

“La corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha disposto la riduzione della pena determinandola in quella di un mese e quindici giorni di reclusione” Osserva il collegio come la corte territoriale abbia riconosciuto una specifica posizione di garanzia in capo al C. in relazione all’infortunio oggetto d’esame, muovendo dall’interpretazine del contratto di prestazione d’opera stipulato tra lo stesso e la ditta (omissis), dalla quale è emerso come al C. era stata attribuita la qualifica e le mansioni di direttore tecnico, unitamente e/o disgiuntamente al dott. G., per la direzione tecnica


Il problema della responsabilità

dei lavori pubblici eseguiti ai sensi del D.P.R. n. 34 del 2000. La stessa corte ha dato atto, come con la missiva in atti del 10.2.2009 inviata dalla società (omissis) al Servizio di prevenzione degli infortuni sul lavoro della Asl di Morbegno, in risposta ai corrispondenti quesiti formulati dalla stessa Asl (coerentemente con il contenuto del contratto di prestazione d’opera), si precisava come l’architetto C., nell’organizzazione della ditta (omissis) rivestisse la funzione di direttore tecnico, come da attestazione SOA, con competenza sui lavori di carattere edilizio per tutti i contratti di lavori pubblici di cui alla stessa attestazione SOA (e quindi ivi compreso il cantiere di (omissis) sulla base della specifica professionalità acquisita dallo stesso. A conferma di tali premesse, la corte distrettuale ha altresì richiamato le molteplici e convergenti deposizioni testimoniali rese nel corso dell’istruttoria dibattimentale, all’esito della quale è emerso come il C. disponesse ed esercitasse effettivamente e concretamente i poteri di gestione e di direzione del cantiere, anche perché spesso presente in loco impegnato ad attendervi, e ciò anche nell’immediatezza dell’infortunio oggetto dell’odierno giudizio, prima del quale il C., che aveva partecipato all’organizzazione dei lavori, nessuna direttiva o disposizione aveva impartito ai fini del corretto e sicuro posizionamento dei puntelli di sostegno del solaio successivamente crollato con lo S.. Ciò posto, occorre rilevare come la corte territoriale - con motivazione

completa ed esauriente e immune da vizi d’indole logica o giuridica - si sia correttamente allineata al consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, ai sensi del quale va riconosciuto che il direttore dei lavori nominato dal committente è responsabile dell’infortunio sul lavoro, quando allo stesso sia affidato il compito di sovrintendere all’esecuzione dei lavori, con la possibilità di impartire ordini alle maestranze. Ciò sia per convenzione, per una particolare clausola introdotta nel contratto di appalto, sia quando per fatti concludenti risulti che egli si sia in concreto ingerito nell’organizzazione del lavoro. In tema di prevenzione degli infortuni, il direttore dei lavori nominato dal committente, mentre svolge normalmente un’attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all’esecuzione del progetto nell’interesse di questi, risponde invece dell’infortunio subito dal lavoratore là dove sia concretamente accertata, come nel caso di specie, una sua effettiva ingerenza nell’organizzazione del cantiere. É quindi di solare evidenza che la responsabilità del direttore dei lavori esista sempre e comunque anche se non contrattualmente indicate le mansioni, essendo sufficiente la prova del suo coinvolgimento nel delicato mondo chiamato “cantiere”.

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Prevenzione sul lavoro Dalle coalizioni opeeraie di mutuo aiuto e difesa all’ordinamento corporativo a cura della dott.ssa

Daniela Nasi

Nel nuovo Regno d’Italia i primi sindacati nacquero come “coalizioni di mutuo aiuto e difesa”, con lo scopo di regolare la concorrenza tra i lavoratori bisognosi di lavoro alleviando le condizioni di inferiorità degli stessi di fronte agli imprenditori. Con la costituzione della Confederazione generale del lavoro, nel 1906, prevalentemente orientata verso un socialismo riformista, il movimento sindacale cominciava ad operare per l’elevazione del proletariato.

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o Stato, dalla sua posizione di iniziale indifferenza si avviava verso una più decisa tutela del contraente più debole del rapporto di lavoro. La legislazione precettiva acquistava un accelerato ritmo di produzione. Tra le principali norme ricordiamo quelle dirette a una più efficace tutela sanitaria (1902), alla difesa degli emigranti (19011903 - 1913), alla tutela delle donne e dei fanciulli(1902-1907),

al lavoro delle mondine nelle risaie (1902), al miglioramento dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, all’istituzione della Cassa di invalidità e vecchiaia per gli operai, sino all’istituzione nel 1912 del Servizio d’ispezione del lavoro. Come detto, nella lotta tra capitale e lavoro lo Stato abbandonava la sua posizione di neutralità assumendo il compito di armonizzare e regolamentare i rapporti sia nel campo professionale e sociale che in quello economico e produttivo. Nei primi anni del XX secolo la legislazione operaia, benché assai rudimentale, non trovò applicazione alcuna per l’insufficiente intervento dello Stato nel settore della vigilanza. Era un fatto triste e notorio che anche quel minimo di legislazione di tutela esistesse solo sulla carta, risolvendosi di fatto in una dolorosa irrisione. Tuttavia un fatto determinante si verificò il 15 aprile 1904 con la stipula a Roma dellaConvenzione italo-francese, per regolare la protezione degli operai nazionali lavoranti all’estero, la quale sancì il principio di or-


Prevenzione sul lavoro

controllo della combustione – preposta alla verifica degli impianti termici - sancita dal R.D.L. n.1331. Con il successivo R.D. 29 luglio 1927, n. 1443 vennero stabilite le norme per la disciplina della ricerca e la coltivazione delle miniere.Ma il grande balzo si ebbe con l’approvazione del codice penale che all’art. 437, tuttora vigente, introdusse la fattispecie del delitto di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. Inoltre, il codice - approvato in pieno conflitto mondiale, con il R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - sancì agli artt. 589 e 590 le fattispecie di omicidio colposo e di lesioni personali colpose: reati configurabili nelle ipotesi infortunistiche occorse in azienda per inosservanza delle disposizioni sulla sicurezza del lavoro o per violazione del principio generale di tutela delle condizioni di lavoro posto dall’art. 2087 del nuovo codice civile.

ganizzare in tutto il Regno un servizio di vigilanza funzionante sotto l’autorità dello Stato. La leggen. 380 del 1906 considerata istitutiva dell’Ispettorato del lavoro, viene a costituire i primi tre Circoli di ispezione di Torino, di Milano e di Brescia. Con la legge 22 dicembre 1912 n. 1361, nasce l’Ispettorato del lavoro. Nella legge n. 1361 le funzioni assegnate all’organo furono distinte in: • obbligatorie: di vigilanza sull’applicazione delle leggi del lavoro e di studio dei problemi operai; • facoltative: di prevenzione e risoluzione pacifica dei conflitti di lavoro, quando invitati dalle parti. Venne quindi sancito l’obbligo di “obbedienza” agli ispettori e il “diritto” di questi ultimi di elevare contravvenzioni per le infrazioni accertate. Fu attribuita agli ispettori la “facoltà” di visitare in qualunque ora del giorno e della notte tutti i luoghi di lavoro sottoposti alla loro vigilanza. Nel periodo post-bellico che seguì la grande guerra, la legislazione sociale si sviluppò notevolmente affermando, quale diritto primario del proletariato, il principio di tutela dall’indigenza. All’entrata in vigore della Carta del lavoro fascista - la quale sancì l’obbligo per gli organi dello Stato di sorvegliare l’osservanza delle leggi sulla prevenzione degli infortuni e la polizia del lavoro - segui l’istituzione dell’Ispettorato corporativo, con il R.D. 28 dicembre 1931, n.1684, che ampliò grandemente il campo d’intervento assumendo la funzione di vigilanza per l’attuazione di tutta la legislazione del lavoro nelle aziende industriali, commerciali, negli uffici, in agricoltura. Significative per la tutela della salute furono la legge 26 aprile 1934, n.653, sulla protezione delle donne e dei fanciulli, con precise disposizioni sul trasporto e sollevamento pesi. Risale al ‘26 la costituzione dell’Associazione nazionale per il

La Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, permeata di spirito sociale, rispondeva alle istanze più profonde del popolo italiano, espresse dai partiti che si riaffacciavano sulla scena politica del dopoguerra, in una atmosfera incandescente ricca di contrasti spirituali, sociali ed economici. Lo Stato si qualifica preliminarmente, all’art. 1, in un triplice modo: come Repubblica, democratica, fondata sul lavoro. Attributo quest’ultimo di significato storico-dogmatico e politico programmatico, indicante il carattere che lo Stato deve assumere. Il lavoro viene elevato a nucleo fondamentale della struttura statuale.

“Nel periodo post-bellico, la legislazione sociale affermò quale diritto primario del proletariato il principio di tutela dall’indigenza. Emerge tra tutte le disposizioni l’art. 41 il quale, premesso che l’iniziativa economica privata è libera, afferma che “non puo’ svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.” Lo spopolamento delle campagne e l’inurbamento nelle grandi città con il lavoro in fabbrica, nella seconda metà del secolo XIX, spronava il Parlamento del giovane Regno d’Italia ad affrontare la questione sociale e la triste piaga degli infortuni sul lavoro, in crescita esponenziale, determinati dall’industrializzazione. Dobbiamo al ministro dell’Agricoltura, dell’industria e del commercio Francesco Guicciardini l’approvazione da parte del Parlamento della legge 17 marzo 1898, n. 80. Essa introduceva nel sistema normativo del Regno l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, volto a fronteggiare attraverso l’indennizzo il dilagante fenomeno degli infortuni sul lavoro che lasciava gli operai rimasti invalidi, e le famiglie dei deceduti, privi dei mezzi di sussistenza.

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Il primo conflitto mondiale, per le gravi conseguenze di miseria dei soldati che ritornavano dal fronte, malati e mutilati, impose la creazione dei primi ambulatori destinati al pronto soccorso dei lavoratori infortunati ubicati nelle maggiori città del Paese (Genova, Bologna...). Con il Regio decreto 17 agosto 1935, n. 1765, veniva sancito il carattere pubblicistico dell’assicurazione e venivano introdotti i pilastri dell’attuale sistema normativo: dalla costituzione del rapporto assicurativo per tutti i lavoratori, attraverso la contribuzione delle aziende, all’erogazione delle prestazioni sanitarie di cura e riabilitazione, alla liquidazione delle rendite ai mutilati ed invalidi del lavoro. Il lavoro costituisce il principale mezzo di sostentamento. È l’espressione più alta della capacita dell’uomo a concorrere al benessere della collettività.

“Il lavoro costituisce il principale mezzo di sostentamento. È l’espressione più alta della capacita dell’uomo a concorrere al benessere della collettività” Dopo la terribile guerra mondiale, il Legislatore repubblicano mise mano alla realizzazione di un “corpus” normativo prevenzionale organico i cui principi basilari, tuttora validi con riguardo alla protezione tecnologica delle macchine e delle attrezzature, sono stati trasferiti nel recente Testo unico sulla sicurezza del lavoro. L’opera di stabilire le regole per la ricostruzione del Paese nel periodo post-bellico decollava con la delega del Parlamento al Potere esecutivo (legge 12 febbraio 1955, n.51)volta ad emanare norme generali e speciali in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro. La delega che aveva la durata di un anno non fu totalmente utilizzata. Segnatamente il settore dell’agricoltura non venne disciplinato con norme ad hoc per cui fu giocoforza per l’impresa agricola ricorrere all’osservanza delle norme generali. Le disposizioni principali che hanno costituito per oltre mezzo secolo i pilastri della tutela fisica dei lavoratori sono le norme per: • la prevenzione degli infortuni (DPR 547/1955); • l’igiene del lavoro (DPR 303/1956); • la sicurezza del lavoro nelle costruzioni (DPR 164/1956). L’intero sistema normativo - con alcune eccezioni afferenti la prevenzione infortuni e l’igiene del lavoro in sotterraneo (DPR 320/1956), nei cassoni ad aria compressa (DPR 321/1956), nell’industria della cinematografa e della televisione,(DPR 322/1956) e negli impianti telefonici (DPR 323/1956) - è stato adeguato recependo negli Allegati al D.Lgs.81/2008 gran parte delle norme degli anni ’50. In ogni caso, le principali norme delegate, di cui alla citata legge n. 51/1955, sono state abrogate in modo esplicito dal decreto correttivo (D.Lgs. 106/2009) al Testo unico sulla sicurezza del

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lavoro (D.Lgs. 81/2008). Un salto di qualità nella legislazione sulla prevenzione infortuni e l’igiene del lavoro viene compiuto dalla Comunità europea in attuazione del Trattato di Roma del 25 marzo 1957. La scelta della tutela della salute dei lavoratori comunitari si imponeva, nell’ottica dell’organizzazione del grande mercato sovrannazionale, in vista della creazione degli Stati Uniti d’Europa. La motivazione più nobile dell’intervento comunitario era volta ad assicurare una più elevata qualità della vita dei cittadini europei. A ciò si aggiungeva l’interesse di ridurre l’enorme costo sociale degli infortuni e delle malattie professionali ed assicurare una parità di condizioni concorrenziali tra le imprese comunitarie in ordine ai costi della sicurezza sul lavoro. Lo strumento giuridico impiegato per attuare i principi del Trattato è la direttiva. Le direttive emanate seguono due filoni: le direttive c.d. di mercato e le direttive di tutela della salute nei luoghi di lavoro. Le direttive di mercato comprendono quei provvedimento indirizzati ai fabbricanti come la direttiva macchine, la direttiva sui dispositivi individuali di protezione e la direttiva di bassa tensione afferente il prodotto elettrico. Quelle di tutela sono la direttiva madre, o direttiva quadro, e le sue direttive particolari di attuazione o direttive figlie. La direttiva madre è la n. 89/391/CEE del Consiglio dei Ministri del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro. Queste direttive sulla tutela della salute e sicurezza del lavoro vengono recepite nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. 19 settembre 1994,


Prevenzione sul lavoro

mente affermato il dovere di ciascun lavoratore di prendersi cura della salute e sicurezza propria, e delle altre persone su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni ed omissioni, divengono elementi di responsabilità penale le omissioni del datore di lavoro afferenti la formazione e l’istruzione da dare al personale sui processi e sui mezzi impiegati per eseguirli in sicurezza. Conformemente al principio della sicurezza a monte, si introduce il dovere per i progettisti, confermato dagli obblighi dei fabbricanti, dei fornitori e degli installatori. L’obbligatorietà di un servizio di prevenzione aziendale, interno o esterno, è uno degli aspetti più qualificante della nuova politica di prevenzione, in quanto obbliga l’imprenditore a costituire in azienda una stabile struttura di consulenza per meglio assicurare l’osservanza dei precetti di prevenzione e protezione. Altre figure di primaria importanza da evidenziare nella 626 sono: • il Medico Competente, nominato dal datore di lavoro, al quale la norma affida i controlli sanitari e le visite di monitoraggio aziendali; • il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, tenuto a dare il suo contributo di professionalità ed esperienza al fine di assicurare un maggior coinvolgimento dei lavoratori nella gestione in sicurezza dei processi produttivi. n. 626, il quale trasformerà il sistema di tutela nazionale, basato sulla prevenzione tecnologica, introducendo il principio dell’organizzazione e gestione in sicurezza dei processi lavorativi. Il sistema di sicurezza globale nei processi produttivi, tracciato dalle direttive dell’ Unione Europea, viene trasposto nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. 626/1994. Con il D.Lgs. 626 si sblocca la crescita della legislazione di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Ricordiamo alcune significative eccezioni come la promulgazione del vigente DPR 9 aprile 1959, n. 128, recante norme sulla polizia delle miniere e delle cave; il DPR 13 febbraio 1964, n. 185 (abrogato dall’attuale DPR 230/1995) in materia di protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti.

I negoziatori del Trattato di pace che mise fine alla guerra mondiale 1914-1918 decisero di fondare, allo stesso tempo della Società delle nazioni chiamata a prevenire i rischi di nuovi conflitti, un’organizzazione permanente per la protezione ed ilmiglioramento delle condizioni dei lavoratori. Nacque così, nel 1919, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Innovazione fondamentale: l’OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) era tripartita. Era la prima istituzione internazionale dove lavoratori, datori di lavoro e governi erano riuniti per esaminare su un piano di eguaglianza, sul palcoscenico mondiale, le questioni afferenti il lavoro dell’uomo. È principalmente attraverso le norme internazionali del lavoro, le Convenzioni e le Raccomandazioni, che il BIT (Bureau international du travail), avente sede a Ginevra, contribuisce a promuovere il progresso sociale.

Va menzionato, per l’importanza che ha rivestito per oltre 40 anni, lo Statuto dei diritti dei lavoratori, di cui alla legge 20 maggio 1970, n.300, sulla tutela della libertà e dignità dei prestatori d’opera. Il legislatore passa da un ordinamento basato essenzialmente sulla prevenzione tecnologica - che sarà abrogato esplicitamente 15 anni dopo dal D.Lgs. 106/2009 - a un sistema di sicurezza globale che pone l’uomo, anziché la macchina, al centro della nuova organizzazione della sicurezza in azienda, codificando i doveri giuridici dell’informazione, della formazione e della partecipazione attiva dei lavoratori alla sicurezza sul lavoro. La tecnica, l’organizzazione e l’uomo, i tre cardini della moderna prevenzione vengono tradotti con il D.Lgs. 626/1994 in un disegno giuridico di grande respiro. Benché sia esplicita-

Le Convenzioni sono gli accordi internazionali che fissano degli obiettivi alle politiche nazionali o stabiliscono le norme di lavoro. In maniera generale le norme internazionali del lavoro hanno contribuito a far riconoscere a livello mondiale l’importanza dei diritti economici e sociali dell’uomo lavoratore. Queste Convenzioni disciplinano la durata del lavoro giornaliero e settimanale, l’età minima d’ammissione all’impiego, la regolamentazione del lavoro notturno delle donne e dei minori nell’industria, la protezione delle lavoratrici madri, la protezione dei lavoratori contro il carbonchio, contro il saturnismo, contro i rischi derivanti dall’impiego del fosforo bianco nella fabbricazione dei fiammiferi, ecc… come pure tutelano i lavoratori e la popolazione dai grandi rischi industriali.

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Nel 1947 la Conferenza adottava la Convenzione (n. 81) sull’ispezione del lavoro, applicabile all’industria e al commercio, e la relativa raccomandazione. Con il D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, il Legislatore delegato recepisce la direttiva europea sui cantieri temporanei e mobili, la cui filosofia è assunta successivamente nel Titolo IV del vigente Testo unico sulla sicurezza del lavoro. Il Committente diventa il primo destinatario del “dovere di tutela” nella fase di progettazione dell’opera e in particolare al momento delle scelte tecniche, nella redazione del progetto, nell’organizzazione e gestione del cantiere. L’obbligo primario consiste nel pianificare l’esecuzione dei lavori in sicurezza. Il decreto persegue la “effettività della tutela” dei lavoratori, individuando nel Committente, che si aggiunge agli appaltatori, nell’assicurare la tutela della salute nei luoghi di lavoro. Le disposizioni prevedono la redazione, a cura del Committente, del Piano di sicurezza e di coordinamento (PSC), compilato da uno specialista della sicurezza, il Coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione del cantiere. Il Piano è costituito da una relazione tecnica e da prescrizioni operative correlate alla complessità dell’opera da realizzare ed alle eventuali fasi critiche del processo di lavorazione. Occorre sottolineare che il PSC non è mai, specie in opere complesse, un documento chiuso e compiuto, ma un atto di una procedura in progress, che viene aggiornata dal Coordinatore man mano che se ne verifichi l’esigenza, soprattutto attraverso le verifiche di cantiere, effettuate durante l’esecuzione delle varie fasi di lavorazione. I vari Piani di sicurezza, (PSC e POS), nell’ottica del Legislatore, finiscono per integrarsi in un vero e proprio “sistema” di sicurezza, atto a coprire flessibilmente tutto l’ambito delle lavorazioni, sempre nei limiti del rischio prevedibile. Il che non significa che i piani debbano occuparsi con previsioni specifiche di tutti i dettagli delle singole lavorazioni, ma piuttosto che sia il Coordinatore ad individuare, avvalendosi delle speciali e titolate competenze professionali, quali siano le fasi, o i segmenti lavorativi, che presentino un grado di rischio tale da esigere prescrizioni specifiche (“fasi critiche”). Dalle Convenzioni internazionali degli anni ’50, attuate solo parzialmente, alla vigente disciplina del 1994 ancora insufficiente ad assicurare la condizioni ditutela della salute nei luoghi di lavoro. La Convenzione n. 81/1947, sull’ispezione del lavoro nell’industria e nel commercio, recepita nell’ordinamento giuridico nazionale, afferma che il sistema d’ispezione è incaricato di: • assicurare l’applicazione delle disposizioni di legge relative alle condizioni di lavoro ed alla protezione dei lavoratori nell’esercizio dell’attività lavorativa; • fornire le informazioni ed i consigli tecnici ai datori di lavoro ed ai lavoratori sui mezzi più efficaci per osservare le disposizioni. Il ruolo dell’ispettore, quindi, non è quello di promuovere le sue idee, anche se generose, ma di vigilare per l’attuazione delle norme della legislazione sociale poste a tutela

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della classe lavoratrice. L’ispettore del lavoro, nella previsione internazionale deve essere uno dei motori del progresso sociale poiché deve assicurare l’attuazione delle misure sociali decise dal legislatore suggerendo i correttivi da apportare al sistema. Le funzioni ispettive si esplicano lungo tre grandi direttrici: la funzione di esecuzione della legislazione, basata soprattutto sul controllo; la funzione d’informazione e di consulenza, rivolta ai datori di lavoro ed ai lavoratori; la funzione di sensibilizzazione dell’autorità politica. La necessità di rifondare l’ispezione di sicurezza è imposta dalla strage dei lavoratori innocenti. Vediamo le altre funzioni, oltre a quella di controllo, attribuite ai funzionari dell’ispezione dalle Convenzioni internazionali. Sono: • la consulenza nel corso dell’ispezione; • i pareri e i consigli d’ufficio; • l’attività pedagogica; • la diffusione dell’informazione. L’ignoranza della legislazione sulla sicurezza, la disconoscenza della sua ragion d’essere e della sua utilità sono tra gli ostacoli più grandi – soprattutto a causa della mancata formazione scolastica – contro i quali si scontra l’ispezione del lavoro. E ancora. L’efficacia del controllo e della consulenza. È stato infausto opporre la funzione di controllo alla funzione di informazione o di consulenza: funzioni che si completano e si integrano l’una con l’altra. Senza consulenza il controllo è divenuto strettamente giuridico e formale, energico certo ma limitato in ragione dei suoi effetti repressivi. Questa funzione è stata sottostimata, sebbene sia menzionata nelle Convenzioni internazionali, ma non evidenziata nell’ordinamento nazionale attuale.Di conseguenza le aziende nazionali non dispongono più di un organo pubblico a cui rivolgersi per consigli, pareri o consulenze, tanto necessari considerata la complessità della materia. È necessario che la vigilanza non sia ispirata a criteri meramente repressivi o improntata a formalismi burocratici. Occorre evitare il sospetto che l’ispezione sia motivata dall’ “interesse di cassa” dell’azienda USL attraverso la percezione dei proventi contravvenzionali. Occorre, dunque, “mettere in campo un progetto globale di prevenzione” – che non appare nel D,Lgs. 81/2008 – che aiuti a colmare le disparità geografiche, incrementi i livelli di professionalità e le dotazioni strumentali; renda gli ispettori degli “specialisti” al servizio della prevenzione. Le attuali carenze organizzative dell’ispezione derivano anche dalla pluralità di organi di vigilanza. Il D.Lgs. 81/2008, corretto ed integrato dal successivo D.Lgs. 106/2009, emanato dall’Esecutivo su delega del Parlamento, ha armonizzato, razionalizzato e coordinato la massa di disposizioni legislative che durante mezzo secolo si erano affastellate rendendo incerta l’applicazione puntuale delle misure di sicurezza nei luoghi di lavoro.


Prevenzione sul lavoro

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DESCRIZIONE Per consentire le lavorazioni in sicurezza sulle coperture degli edifici od in quota, la normativa attuale prevede l’installazione di appositi dispositivi, che chiameremo in qui in avanti “linea vita” o dispositivi anticaduta (ganci o altro), che consentono ai vari operatori di muoversi o lavorare in sicurezza in quota. Il rovescio della medaglia dell’installazione di tali dispositivi è che diventano vie preferenziali per i malfattori che si trovano così facilitati nell’uso di vie di accesso o fuga che solitamente sono difficoltose. L’idea di applicare un sistema antifurto a tali dispositivi serve proprio ad impedire o a limitare tale situazione. Nel momento in cui qualsiasi persona non autorizzata si agganci ed utilizzi i dispositivi antintrusione ad esempio via wireless o con cablaggi opportunamente protetti verrà inviato il segnale di intrusione all’antifurto che con dispositivi acustici e visivi segnalerà la presenza e l’uso non autorizzato. Si va così ad assolvere ad una duplice funzione, anticaduta e antifurto, abbinando due dispositivi che solitamente sono utilizzati in ambiti distinti. Si avrà così la possibilità di regolamentare, ad esempio, l’accesso alle coperture; funzione particolarmente utile in ambito condominiale dove operatori incaricati dai singoli condomini accedono ai tetti senza darne comunicazione e molto spesso causando danni che difficilmente si riescono ad attribuire in maniera corretta.

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