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La conta degli avvoltoi
A stabilire dove fondare la città sarebbero stati gli dèi, manifestando la loro volontà attraverso messaggeri venuti dal cielo: grandi uccelli, come gli avvoltoi. Romolo e Remo, seguiti da sacerdoti e consiglieri, presero posto su due colli l’uno non troppo lontano dall’altro e di là guardarono attenti il cielo. Chi avesse visto più avvoltoi sarebbe stato il prescelto, il vincitore e sarebbe diventato il re di questa nuova città. L’attesa durò a lungo.
Remo vide sei avvoltoi. Romolo ne vide dodici.
Gli dèi avevano mandato un messaggio chiaro. Nel grande campo prescelto, con un aratro trainato da un bue e da una mucca, Romolo cominciò ad arare un lungo solco tracciando un quadrato: in esso sarebbe sorta la sua città.
Quando il cielo limpido e azzurro fu all’improvviso scosso da un tuono formidabile, tutti pensarono che il dio supremo, Giove, avesse mandato il suo segno di consenso. I lavori per la costruzione delle mura cominciarono quello stesso giorno, che secondo la tradizione fu il 21 di aprile.
Roma era stata fondata.
In pochi anni il numero degli abitanti crebbe, come quello di chi lavorava; crebbe quindi la ricchezza. Insieme con essa, come naturale, crebbero le cose da fare: prima di tutto difendersi. Quelli erano tempi di guerre continue e per questo dovevano esserci uomini capaci di usare le armi: Roma ebbe da subito i suoi soldati. Ebbe anche i suoi sacerdoti, i suoi saggi, i suoi ricchi e i suoi poveri. Non fu più un villaggio, ma una città. Non ancora grande, ma una città.