ATTUALITÀ
Emergenza Covid e ittico di Sebastiano Corona
Come la crisi economica e sanitaria abbiano impattato sul comparto della pesca è l’oggetto di una recente pubblicazione del CREA – Centro di Ricerca Politiche e Bio-economia, che ha approfondito il tema partendo dal quadro precedente all’arrivo della pandemia. Il documento è realizzato sulla base di indagini svolte sul 10% circa della flotta da pesca attiva al momento, distribuita tra le varie marinerie italiane. Un’analisi che ha permesso non solo di osservare l’impatto della pandemia sul comparto, ma anche l’efficacia delle misure messe in atto dai diversi soggetti per limitare i danni. Si è partiti da una condizione pre-Covid non del tutto soddisfacente: un VA che conta il 3% circa del settore primario e una bilancia commerciale che fa segnare un deficit strutturale di 5 miliardi di euro all’anno, con una capacità di pesca in costante riduzione e un’acquacoltura che forse ancora non ha il ruolo che merita, con una produzione concentrata soprattutto su alcune specie. La crisi non ha risparmiato il comparto, facendo registrare un calo della domanda di prodotto nazionale fresco.
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La contrazione si è immediatamente registrata sia all’ingrosso che al consumo, innescata dalla chiusura dei mercati d’esportazione, dell’HO.RE.CA. e, più in generale, dal calo del turismo. I consumi domestici hanno mostrato un leggero aumento, ma non sufficiente a coprire la contrazione suddetta. Inoltre, le condizioni di incertezza dei mercati non hanno giovato nemmeno al venir meno del lockdown, vista anche la permanenza di problemi di forti eccedenze di produzione, sia nell’acquacoltura, sia nel trasformato. L’eccesso di offerta, infatti, è stato, dove possibile, assorbito dagli impianti di trasformazione, senza però trovare uno sbocco di mercato e andando a riempire i magazzini con un aggravio di problemi e costi di gestione dovuti, tra l’altro, al mantenimento in vasca o in gabbia del prodotto invenduto. Le attività di pesca, sebbene incluse tra quelle strategiche per l’economia nazionale — e quindi non sospese nei mesi tra marzo e giugno scorso — hanno risentito in maniera indiretta delle misure di contenimento della pandemia, soprattutto a causa della sospensione
della quasi totalità delle attività produttive, ricettive, di ristorazione e per la limitazione agli spostamenti delle persone. Il fatturato, i livelli occupazionali e i sistemi logistici hanno subito gli effetti delle misure di emergenza già a partire dalla seconda settimana di marzo, sebbene l’impatto non sia stato geograficamente omogeneo e si sia mostrato differente a seconda di elementi come la dimensione dell’imbarcazione, la tecnica di pesca, il numero degli imbarcati e i canali commerciali di riferimento. La flotta a strascico di grandi dimensioni ha risentito di più del lockdown, mentre la piccola pesca ha, in generale, affrontato meglio l’impatto. La voce pesca sportiva/ripopolamento acque pubbliche è rimasta del tutto bloccata e solo a partire dalla seconda fase della crisi sanitaria è lentamente è ripresa. Al pari dell’offerta, la domanda è mutata in quantità e qualità: non si è infatti solo ridotta, si è anche trasformata, a causa degli effetti prodotti dalle misure di contenimento sul reddito dei consumatori. Nelle aree con le economie più deboli, la diminuzione del potere di acquisto
IL PESCE, 2/21