La Freccia - aprile 2021

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ANNO XIII | NUMERO 4 | APRILE 2021 | www.fsitaliane.it

PER CHI AMA VIAGGIARE

L’ABBIAMO A CUORE VIAGGIO INTORNO ALLA TERRA


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EDITORIALE

IL FUTURO DELLA TERRA NELLE NOSTRE MANI

L

o è da anni, ma mai come in questi ultimi mesi, non disgiunta dalle considerazioni e dalle più o meno sincere prese di coscienza mosse dalla pandemia, l’attenzione alla sostenibilità economica, sociale e ambientale di ogni com-

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portamento individuale e collettivo sembra essere tornata a occupare un posto di rilievo nell’agenda di governi e partiti politici. L’arrivo di un nuovo inquilino alla Casa Bianca, il piano per la ripresa Next Generation EU e persino il nome di alcuni

dicasteri del nuovo esecutivo italiano sono segnali di un possibile cambio di passo nelle scelte di politica energetica, industriale, sociale. Nonché negli stili di vita individuali e nella sensibilità pubblica, alle quali dovrà prestare sempre più attenzione anche quella


che possono non ripagare in termini di successi o consensi immediati, ma sanno guardare lontano. Il Gruppo FS Italiane con tutte le sue società ha incardinato sul principio della sostenibilità nella sua triplice accezione la propria strategia di sviluppo, che o è sostenibile, o sviluppo non è. Infrastrutture resilienti ai cambiamenti climatici, ricerca continua di una maggiore efficienza energetica e idrica nelle stazioni come negli impianti di manutenzione, utilizzo sempre maggiore di fonti energetiche rinnovabili, elettrificazione di nuove linee, speri-

mentazioni sulla trazione a idrogeno. Saldi principi etici tradotti in norme e policy rigorose contro corruzione e pratiche di mala gestione, poi una rinnovata sensibilità all’inclusione e alle pari opportunità, al tessuto sociale in cui l’azienda opera con politiche di attenzione alle emergenze e di sostegno al terzo settore, ponendo sempre la persona al centro. Ossia gli stakeholder di oggi, ma anche quelli di domani, e di dopodomani. Perché il futuro della Terra, non dobbiamo mai scordarlo, è nelle nostre mani. In quelle di tutti noi.

© rangizzz/AdobeStock

politica, troppo spesso occupata a guadagnarsi un facile quanto effimero consenso cavalcando umori e bisogni contingenti. Serve innanzitutto vincere quei latenti egoismi generazionali che si concentrano sull’oggi e sul domani perdendo di vista il dopodomani. E rischiano di farci dimenticare il sano ammonimento che dovrebbe guidare ogni nostra azione, traducendola nell’impegno di lasciare a chi verrà dopo di noi un mondo migliore di quello che abbiamo trovato. O, almeno, non peggiore. Serve coraggio, per compiere scelte

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MEDIALOGANDO

LA NUOVA ECOLOGIA TRA INFORMAZIONE, SCIENZA E DIVULGAZIONE A CONFRONTO CON IL DIRETTORE FRANCESCO LOIACONO di Marco Mancini

marmanug

I

n un numero in gran parte dedicato alla Giornata mondiale della Terra, e alle riflessioni che l’appuntamento sollecita, Medialogando ospita una testata storica dell’ambientalismo italiano, La Nuova Ecologia. A presentarla è il suo direttore Francesco Loiacono, un predestinato, per chi crede alle coincidenze del fato. Loiacono nasce infatti lo stesso giorno in cui dall’azienda Icmesa di Meda fuoriesce una nube tossica di diossina che colpisce in particolare Seveso, nella bassa Brianza, provocando uno dei più gravi disastri ambientali della storia, con centinaia di intossicati e sfollati, 80mila animali morti o abbattuti. Era il 10 luglio 1976 e tre anni più tardi esce il primo numero de La Nuova Ecologia, “dal 1979 dalla parte del pianeta”. Così Loiacono racconta i primi passi del mensile: «Il primo numero esce a Milano nel gennaio 1979, a fondarlo un gruppo di giovani ricercatori e universitari con la passione per la divulgazione e il giornalismo. Il primo direttore è stato il professore Virginio Bettini, scomparso lo scorso anno. Con lui c’era, tra i suoi studenti, quello che poi gli sarebbe succeduto, Andrea Poggio, figura storica del movimento ambientalista italiano e ancora oggi dirigente di Legambiente. L’intero comitato di redazione era allargato a personalità del mondo scientifico e dell’ambientalismo, da Massimo Scalia a Gianni Mattioli, da Antonio Cederna a Enzo Tiezzi, da Marcello Cini fino a Laura Conti. Il numero 100 della rivista ha voluto omaggiarli con una foto di copertina che li ritrae tutti insieme, in una villa romana». Uomini e donne di scienza uniti dal desiderio di trasmettere la loro passione fuori dalle aule universitarie. È così? Sì, alla ricerca di uno strumento che glielo consentisse. Infatti, nel primo editoriale, Bettini scrisse: «Adesso abbiamo la barca, facciamola navigare». Erano scienziati prestati al giornalismo con l’obiettivo di rendere fruibili le loro conoscenze a un pubblico più ampio. La loro storia si intreccia con quelle della rivista, di Legambiente e del suo comitato scientifico. Ti ho citato non a caso Laura Conti, una delle fondatrici dell’associazione. Il 31 marzo è stato il centenario della nascita e sul numero di aprile le dedichiamo un servizio speciale, perché da 20 anni la nostra cooperativa editoriale organizza un corso di giornalismo ambientale intitolato proprio a lei: donna di scienza, medico, scrittrice, divulgatrice, partigiana, confinata per alcuni mesi, a 23 anni, in un campo di concentramento a Bolzano. Fu in prima li-

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Francesco Loiacono, direttore de La Nuova Ecologia

nea dopo l’incidente di Seveso, quando da consigliera regionale riuscì a stare vicina alla gente, a parlare e spiegare cosa era accaduto. Un evento che, oltre a coincidere con la tua data di nascita, segnò un discrimine netto per l’ambientalismo. Laura Conti scrisse anche due libri su Seveso, dimostrando quanto sia importante informare e sensibilizzare. Infatti, il corso di giornalismo a lei intitolato è stato frequentato negli anni da centinaia di ragazzi, tra i quali io stesso, nel 2002.


Primo passo di un percorso che un paio di anni fa mi ha portato alla direzione. Quindi da scienziati ambientalisti con la passione per il giornalismo a giornalisti con la passione per l’ambiente e la scienza. Credo che questo sia un po’ quello che è accaduto a tutto il giornalismo ambientale in questi 40 anni. Negli ultimi 15, il turnover ha portato nelle testate ideate da quei precursori una generazione di giornalisti con la passione per l’ambiente. Tra questi, rimasto alla direzione de La Nuova Ecologia per una decina d’anni, anche Paolo Gentiloni, oggi commissario europeo per l'economia. Lavoriamo tutti a stretto contatto con i ricercatori scientifici, le università, gli istituti di ricerca pubblici, penso all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Perché trattare l’ambiente significa trattare la complessità e, come giornalisti, rendere semplice la lettura di elementi e fenomeni complessi. Ma significa anche altro… Significa costruire le informazioni su fonti solide e verificate: è necessario e deontologicamente dovuto. Per questo, e anche per conferire al proprio lavoro maggiore sicurezza e padronanza, qualche competenza scientifica aiuta. La pubblicistica di questi 40 anni ha contribuito a far crescere l’attenzione all’ambiente e alla sostenibilità? Secondo me sì. L’opera di informazione e di educazione ambientale, nata su alcune riviste o su giornali come il nostro, è senz’altro arrivata ai cittadini. Quello che ancora a volte difetta è la capacità di incidere sull’agenda politica. La vostra però è una testata di nicchia, un “verticale” come si dice in gergo: vi cerca chi coltiva già una personale passione per i temi trattati. È vero, in tanti sono mossi da una propria sensibilità, che aiutiamo a consolidare in coscienza e responsabilità civica. Però, soprattutto negli ultimi anni, abbiamo saputo uscire dalla nicchia, e i nostri media si sono aperti al digitale. Lanuovaecologia.it, nell’ottobre del 2002, è stato il primo quotidiano dedicato all’ambiente a sbarcare sul web. Alla fine, anche i media mainstream hanno finito con l’occuparsi sempre di più di questo argomento. Fino ad arrivare ai giorni nostri, quando la nascita addirittura di un ministero per la Transizione ecologica li ha costretti a farlo. E noi, nell’occasione, siamo stati tempestati di domande. Insomma, i temi legati all’ecologia sono diventati, o tornati, d’attualità, nonostante la pandemia monopolizzi ancora, e inevitabilmente, l’attenzione mediatica. Sì, ma ancora non abbastanza per l’importanza che hanno per il futuro nostro e delle nuove generazioni. Il bicchiere resta mezzo vuoto finché, ribadisco, non riusciamo a incidere più profondamente nell’agenda politica. Però il nuovo ministero che hai citato, e il cambio del nome per quello che oggi è il ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, indicano un cambio di passo. Un’accelerazione lodevole. Sebbene sarebbe stato giusto e salvifico, anche per il pianeta, accelerare qualche anno fa, perché il tempo veramente stringe. Se il tempo stringe, vanno sfruttate le enormi potenzialità

del digitale. Per smuovere la politica, che cerca il consenso rispondendo alle sollecitazioni dell’opinione pubblica e ai suoi bisogni reali o fittizi, occorre agire su quest’ultima. Voi come vi state muovendo? Intanto è bastato essere sul web per moltiplicare i contatti e, con una semplice ricerca su google, intercettare tanti lettori che altrimenti non avremmo mai raggiunto. Poi abbiamo frazionato la comunicazione su più canali, aperto una pagina facebook, twitter e instagram. E nel 2020 un canale podcast dove riversiamo soprattutto i contenuti della nostra sezione Gaia, quelli un po’ più scientifici, sul mondo animale e sugli ecosistemi, tradotti in un linguaggio semplice. E poi negli anni abbiamo dedicato tanto impegno alle dirette in streaming, oggi diventate una normalità. «In streaming prima di Beppe Grillo», scherzava un nostro ex direttore, dimostrando che a volte in piccole realtà si hanno intuizioni che anticipano veri e propri trend. Ecco, noi le facciamo da dieci anni, per illustrare i rapporti dell’associazione, lanciare ogni mese la rivista, presentare eventi sull’economia circolare, l’energia da fonti rinnovabili o l’efficientamento energetico. Dirette streaming che poi restano disponibili on demand. Tutto questo riesce a scuotere l’opinione pubblica? Oltre al medium valgono i contenuti. Ce ne sono tanti che incidono sulla vita quotidiana delle persone e mostrando i vantaggi di alcuni comportamenti virtuosi sull’ambiente inducono i singoli consumatori a cambiare stili di vita. Ma il risultato più grande lo ottieni quando con le tue inchieste riesci a far cambiare le politiche e gli investimenti. Quando bonifichi, per esempio, i territori. E in Italia ce ne sono tantissimi da bonificare. Ecco, parliamo d’inchieste e approfondimenti, sale del giornalismo e pungolo forte anche per amministratori, locali e nazionali.

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MEDIALOGANDO

Noi dedichiamo sempre tanto impegno alle inchieste, concentrandoci in particolare su quelle legate ai macroproblemi ambientali: le bonifiche, l’inquinamento, l’abusivismo edilizio, il dissesto idrogeologico. Da redattore ne ho fatte molte, con un’attenzione particolare, da tarantino, all’ex Ilva. Ecco, in Italia abbiamo tanti territori da bonificare, siti di interesse nazionale dove esistevano industrie pesanti, e il piano nazionale per sistemare questi siti va avanti, ma a rilento. Poi penso all’amianto. Altra questione delicatissima, che ha provocato ferite e lutti in molte famiglie. E continuerà a mietere vittime, soprattutto per mesotelioma pleurico. Oggi se ne calcolano seimila all’anno, ma il picco arriverà tra il 2025 e il 2030. Il 28 aprile è la giornata dedicata alle vittime dell’amianto. A più riprese La Nuova Ecologia ha denunciato i rischi e chiesto una bonifica di tutti quei manufatti che contengono ancora amianto in Italia. Poi citavi l’abusivismo. Sì, è un altro dei nostri temi forti. Perché è una piaga senza fine e non circoscritta solamente al Sud. Si fatica a fare prevenzione e persino a far rispettare la sentenza di un giudice che ordina un abbattimento. Non si capisce che la questione è strettamente connessa al dissesto idrogeologico, altro problema tipicamente italiano. Perché? Perché abbiamo reso ancora più fragile, costruendo abusivamente e in aree dove non si doveva costruire, un territorio dall’equilibrio già delicato per le sue particolari caratteristiche geomorfologiche. Il problema del dissesto idrogeologico merita, come per le bonifiche, un impegno costante in risorse finanziarie e umane. Sebbene negli ultimi anni qualcosa si sia mosso e alcune risorse siano state stanziate, sono ancora troppi i cittadini italiani

che vivono in aree a rischio. E qui l’informazione può e deve fare di più. Come? Ti faccio un esempio. Nel novembre 2018 la cronaca ha raccontato il caso di un’intera famiglia, a Palermo, travolta dalla piena di un torrente mentre era a casa a festeggiare un compleanno. Siamo rimasti tutti, per più giorni, sconvolti per l’immane tragedia. Ma non si è trattato di una fatalità: il cancello di quella casetta si trovava sul letto di un torrente, che può essere in secca anche per 350 giorni all’anno ma prima o poi si riempie d’acqua. Ecco, il giornalismo deve essere più costante nel denunciare gli scempi che portano i cittadini a vivere queste situazioni di pericolo. In sostanza, dici che troppo spesso è l’attualità a dare l’input a un approfondimento, del tutto estemporaneo, che dovrebbe invece essere più costante e incalzante, se davvero il giornalismo vuole essere il cane da guardia del potere, in tutte le sue declinazioni. Oggi il giornalismo, e non solo, si riempie la bocca di un termine di gran voga: la resilienza. Solo una moda? Aiutaci a capire. La resilienza è la capacità di sapersi adattare in maniera positiva a un evento, anche drammatico. Vale anche per le infrastrutture che, ad esempio, per rispondere bene ai terremoti devono essere capaci di assorbire il colpo, facendo degradare la sollecitazione meccanica nell’arco di spazio e tempo. Però sì, il concetto di resilienza è un po’ abusato. A dover essere veramente resiliente è il territorio. Perché? Perché viene sempre di più sollecitato da eventi meteorologici estremi, che cambiano anche repentinamente. Si può passare nel giro di poco tempo dalla siccità all’eccesso di piogge. E più un territorio è cementificato, meno è “naturale” e meno resiste e si adatta a questi eventi. Quindi? Dobbiamo riappropriarci della sapienza che per secoli ha permesso all’uomo di gestire l’equilibrio tra la pietra, la terra, l’acqua, facendo nascere e preservando splendidi borghi in contesti naturali complessi, tra Alpi, Appennini e colline. Complice forse un’eccessiva fiducia negli strumenti del progresso tecnologico, questo equilibrio è diventato precario e l’uomo ha pensato addirittura di poterlo spezzare. Ma in realtà non ce lo possiamo permettere. Oggi ancor meno che 40 anni fa. E poi c’è il capitolo a noi caro della mobilità e la ventennale liaison tra FS Italiane e Legambiente con il Treno Verde. Il treno deve essere al centro della riorganizzazione degli spostamenti, soprattutto delle persone che per lavoro e studio si muovono ogni giorno verso le grandi aree urbane: i pendolari. La mobilità è strettamente legata alla qualità della vita e alla salute dei cittadini, ecco perché dobbiamo ridisegnare le città dando spazio a quella sostenibile. lanuovaecologia.it lanuovaecologia

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SOMMARIO APRILE 2021

IN COPERTINA VIAGGIO INTORNO ALLA TERRA

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74

UN VULCANO DI SCIENZA

49 STOP GLOBAL WARMING

52 IL SUONO DELL’OCEANO

54 NEL SEGNO DELL’ACQUA

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35 UN TRENO DI LIBRI

ECOLOGIA DIVINA

Invito alla lettura di Alberto Brandani, che questo mese propone ai lettori della Freccia il nuovo romanzo di Marco Balzano, Quando tornerò

SFIDE ESTREME

46 UN PIANETA DA SALVARE

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Il 22 aprile si celebra la 51esima Giornata mondiale della Terra. Una maratona online che coinvolge oltre un miliardo di persone

RAILWAY HEART

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MONDO FS

20

L’ITALIA CHE FA IMPRESA

28

GUSTA & DEGUSTA

30

WHAT’S UP

32

62 66 SOSTENIBILE CON STILE

68 IL BELLO DELLA NATURA

74 CITTÀ DA CAMMINARE

78

70

INEDITA USSITA

FIUMI DI PEDALATE Dalla Dora Baltea all’Isonzo, itinerari green da raggiungere in treno e percorrere in bicicletta seguendo il rumore dell’acqua

82 LA VIA DEL CIOCCOLATO

86 CILENTO INCANTATO

102

90 IL GREEN SI FA LOCALE

93 UN CAPOLAVORO DI BOTTE

96 IN MEMORIA DEL 25 APRILE

102 TRAIETTORIE LIQUIDE

70

108

110

ABBRACCIARE LA NATURA

114 OCCHI SU ROMA

116 LE RADICI DEL PASSATO

128 PRIMA DI SCENDERE LE FRECCE NEWS//OFFERTE E INFO VIAGGIO

119 SCOPRI TRA LE PAGINE LE PROMOZIONI E LA FLOTTA DELLE FRECCE i vantaggi del programma CartaFRECCIA e le novità del Portale FRECCE

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Tra le firme del mese

I numeri di questo numero

21

le postazioni per i pazienti sul treno sanitario di FS Italiane [pag. 17]

CESARE BIASINI SELVAGGI Critico d’arte, curatore e saggista. Da marzo 2017, direttore editoriale di Exibart.com ed Exibart on paper. È anche co-direttore del festival Art+b=love (?) di Ancona

27

le bottiglie di plastica necessarie per realizzare una felpa in pile [pag. 20]

80

i giorni che il velista Giancarlo Pedote ha trascorso da solo in mezzo all’oceano [pag. 64]

Read also

GIANNA BOZZALI Giornalista enogastronomica, redattrice di VdGmagazine.it ed esperta di food & restaurant marketing. Insegna comunicazione alla Nosco Academy di Ragusa ed è docente nei corsi Onav. Collabora come food shopper con alcune agenzie di viaggio

FSNews.it, la testata online del Gruppo FS Italiane, pubblica ogni giorno notizie, approfondimenti e interviste, accompagnati da podcast, video e immagini, per seguire l’attualità e raccontare al meglio il quotidiano. Con uno sguardo particolare ai temi della mobilità, della sostenibilità e dell’innovazione nel settore dei trasporti e del turismo quali linee guida nelle scelte strategiche di un grande Gruppo industriale

PER CHI AMA VIAGGIARE

MENSILE GRATUITO PER I VIAGGIATORI DI FERROVIE DELLO STATO ITALIANE ANNO XIII - NUMERO 4 - APRILE 2021 REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ROMA N° 284/97 DEL 16/5/1997 CHIUSO IN REDAZIONE IL 24/3/2021 Foto e illustrazioni Archivio Fotografico FS Italiane FS Italiane | PHOTO Adobestock Copertina: © rosewind\Adobestock Tutti i diritti riservati Se non diversamente indicato, nessuna parte della rivista può essere riprodotta, rielaborata o diffusa senza il consenso espresso dell’editore

ALCUNI CONTENUTI DELLA RIVISTA SONO RESI DISPONIBILI MEDIANTE LICENZA CREATIVE COMMONS BY-NC-ND 3.0 IT

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EDITORE

Direzione Centrale Comunicazione Esterna Piazza della Croce Rossa, 1 | 00161 Roma fsitaliane.it Contatti di redazione Tel. 06 44105298 | lafreccia@fsitaliane.it Direttore Responsabile Responsabile Editoria Caporedattrice Coordinamento Editoriale Caposervizio In redazione Segreteria di redazione Coordinamento creativo Ricerca immagini e photo editing Hanno collaborato a questo numero

Marco Mancini Davide Falcetelli Michela Gentili Sandra Gesualdi, Cecilia Morrico, Francesca Ventre Silvia Del Vecchio Gaspare Baglio Francesca Ventre Giovanna Di Napoli Michele Pittalis, Claudio Romussi Serena Berardi, Cesare Biasini Selvaggi, Valerio Birindelli, Alberto Brandani, Gianna Bozzali, Francesco Bovio, Peppone Calabrese, Viola Chandra, Claudia Cichetti, Fondazione FS Italiane, Alessio Giobbi, Valentina Lo Surdo, Flaminia Marinaro, Luca Mattei, Enrico Procentese, Andrea Radic, Elisabetta Reale, Gabriele Romani, Flavio Scheggi, Filippo Teramo, Mario Tozzi

REALIZZAZIONE E STAMPA

Via A. Gramsci, 19 | 81031 Aversa (CE) Tel. 081 8906734 | info@graficanappa.com Coordinamento Tecnico Antonio Nappa

VALENTINA LO SURDO Conduttrice radiotelevisiva Rai, pianista classica con anima rock, presentatrice, speaker, attrice. Trainer di comunicazione, da 20 anni è reporter di viaggi all’ascolto del mondo. Le sue destinazioni preferite? Ovunque ci sia da mettersi in cammino

PROGETTO CREATIVO

Team creativo Antonio Russo, Annarita Lecce, Giovanni Aiello, Manfredi Paterniti, Massimiliano Santoli

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La carta di questa rivista proviene da foreste ben gestite certificate FSC®️ e da materiali riciclati

FLAMINIA MARINARO Giornalista e conduttrice radiofonica. Scrive su diverse testate, tra cui Il Foglio e L’Osservatore Romano, di costume, attualità, cinema e letteratura. È l’ideatrice di @scrittorinsalotto, piattaforma editoriale in cui si alternano le penne più brillanti d’Italia

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On Web La Freccia si può sfogliare su fsnews.it e su ISSUU

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FRECCIA COVER

Mario De Biasi, Messico (1968)

LO STUPORE ALL’IMPROVVISO di Sandra Gesualdi

Si è spinto in ogni dove per raccontare il mondo. Con la curiosità del fotografo, il realismo del reporter e la poesia di chi crede che «dovunque s’incontra la vita, s’incontra la bellezza». A Mario De Biasi, tra i grandi della fotografia italiana, la Casa dei Tre Oci di Venezia dedica un’approfondita monografica aperta fino al 31 agosto e curata da Enrica Viganò in collaborazione con l’archivio intitolato all’artista. Mario De Biasi. Fotografie 1947-2003 è una carrellata di oltre 200 scatti, molti dei quali inediti, che ripercorre l’intera produzione del fotoreporter, dagli inizi della sua collaborazione con la rivista Epoca fino agli ultimi lavori. Dieci sezioni suddivise per temi raccolgono tutte le declinazioni presenti nello sguardo del maestro milanese.

sandragesu

Da corrispondente estero della storica rivista documenta i grandi eventi del secolo breve come la rivolta popolare ungherese e la repressione sovietica degli anni ‘50. E poi ci sono gli scatti nei paesi esotici, i ritratti ai personaggi famosi o ai volti della gente comune incontrata per strada, le scene di vita quotidiana e le immagini che attestano il suo amore per la natura e i suoi fenomeni. Dalle celebrità immortalate alle eruzioni dell’Etna, fino agli orizzonti di ogni continente, quella di De Biasi è stata una ricerca continua della bellezza, perché – ne era convinto – «basta guardarsi attorno per vederla: anche in una foglia, in un sasso, in un balcone fiorito. Anche nei riflessi in una pozzanghera». treoci.org 11


RAILWAY heART

PHOTOSTORIES PEOPLE In viaggio con Carletto © Bruna Marsili bruna_whi_is

IN VIAGGIO Treno merci verso Firenze © Frank Andiver frankandiverfoto

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LE PERSONE, I LUOGHI, LE STORIE DELL’UNIVERSO FERROVIARIO IN UN CLICK. UN VIAGGIO DA FARE INSIEME a cura di Enrico Procentese

Utilizza l’hashtag #railwayheart oppure invia il tuo scatto a railwayheart@fsitaliane.it. L’immagine inviata, e classificata secondo una delle quattro categorie rappresentate (Luoghi, People, In viaggio, At Work), deve essere di proprietà del mittente, priva di watermark, non superiore ai 15Mb. Le foto più emozionanti tra quelle ricevute saranno selezionate per la pubblicazione nei numeri futuri della rubrica. Railway heArt un progetto di Digital Communication, Direzione Centrale Comunicazione Esterna, FS Italiane.

enricoprocentese

LUOGHI Stazione Napoli Afragola © Giovanni De Angelis giovannideangelis

AT WORK Asia, addetta customer service a Milano Centrale © Asia D. asia.dvt

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RAILWAY heART

A TU PER TU a cura di Alessio Giobbi - a.giobbi@fsitaliane.it

P

atrizia, 41 anni, lavora nella Divisione Passeggeri Regionale di Trenitalia in Sicilia, ma ha anche esperienza come tutor per la formazione tecnico-professionale dei capitreno. Quando è cominciata la tua carriera nel Gruppo FS? Sono entrata in azienda nel 2002 e il mio percorso si è subito proiettato verso incarichi che coinvolgevano il personale in viaggio, dalle attività di capotreno all’assistenza a bordo. Nel corso della mia carriera, sempre in Trenitalia, ho ricoperto anche incarichi di assistenza commerciale a terra. Poi, circa quattro anni fa, mi sono specializzata nella formazione dei colleghi capitreno, assumendo il ruolo di tutor e coronando il mio sogno lavorativo. Come hai ottenuto questo ruolo? Attraverso un percorso di studi che prevede una selezione e un esame finale per diventare istruttore. Oltre a occuparmi di formazione, insieme al team con cui lavoro gestisco la valutazione periodica delle competenze per il personale in servizio sui treni Regionali e Intercity della Sicilia. Seguo i nuovi assunti nella preparazione iniziale e i colleghi con più esperienza per i corsi di aggiornamento, spesso di natura normativa e commerciale. Ho fatto tesoro delle precedenti esperienze a bordo per trasmettere in maniera ottimale tutti gli insegnamenti utili a chi vuole diventare capotreno. Come si svolge il tuo lavoro? L’aumento dei nuovi assunti ha intensificato le attività. Ultimamente ho seguito un gruppo di colleghi coinvolti in un corso di formazione a Messina, dove si trova la mia base operativa, ma mi muovo spesso tra più sedi. Far crescere e seguire le risorse, che è il principale compito del tutor, richiede capacità di interazione continua: bisogna far conoscere i meccanismi e i regolamenti che governano la circolazione ferroviaria, ma anche aiutare a comprendere le esigenze dei viaggiatori per poterle soddisfare al meglio. Il primo suggerimento che daresti a un nuovo capotreno? Prendere consapevolezza di appartenere a una solida realtà aziendale in cui si può contare sulla squadra in qualunque situazione, ordinaria e straordinaria, in aula come sul campo. Il sostegno del team è sicuramente un punto di forza per chi inizia a percorrere questo itinerario formativo e professionale, dove il tutor diventa giorno dopo giorno una figura di riferimento. Cosa ti piace del tuo lavoro? Le relazioni che si creano con ogni componente del gruppo, dal neoassunto al dirigente, e con le strutture interne con cui ci rapportiamo per muovere questa complessa macchina organizzativa. Un processo che stimola la necessità di confrontarsi su ogni passaggio decisionale e ha contribuito a rafforzare il mio senso di appartenenza a questa grande famiglia.

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LE STORIE E LE VOCI DI CHI, PER LAVORO, STUDIO O PIACERE, VIAGGIA SUI TRENI. E DI CHI I TRENI LI FA VIAGGIARE

F

rancesco Conte, 39 anni, videomaker e giornalista freelance, è tra i fondatori di Termini TV, canale online dedicato al mondo degli scali ferroviari. E ha una passione antica per tutto ciò che ruota attorno alle stazioni. Da cosa nasce questo interesse? Da sempre sono state la vera meta dei miei viaggi, in Italia e all’estero. Sono una bussola con cui orientarsi, il termometro di un centro urbano, l’opposto di semplici aree di passaggio, perché attraggono, affascinano, ti trattengono e, quando vuoi, ti lasciano andare. Nei miei ricordi di bambino occupa un posto particolare quella di Ancona, la prima finestra sul mondo nella città dove sono cresciuto. Che cosa rappresentano per la comunità? Sono punti di osservazione privilegiati per cogliere le tendenze della società e i cambiamenti delle abitudini, messe a dura prova da un anno di pandemia. Ciononostante, le stazioni rimangono poli attrattivi d’incontro in continuo fermento. Non sono, quindi, “non luoghi” destinati a svanire, come spesso vengono definite, ma “iper-luoghi” che, a differenza degli aeroporti, rappresentano il cuore pulsante della vita urbana ed extraurbana. Raccontaci qualcosa in più sulla tua professione. Lavoro come producer nello studio romano di una tv pubblica tedesca. Dal 2015 seguo il progetto Termini TV, canale online e laboratorio multimediale focalizzato su storie di viaggio e migrazione che gravitano attorno alle stazioni e al loro interno, con un occhio di riguardo al principale scalo ferroviario italiano. Cerchiamo di raccontare l’unicità e le esperienze delle persone con lo strumento della web tv senza ricorrere a stereotipi, classificazioni o categorie di alcun tipo, ma cavalcando l’autenticità dei protagonisti. Un ingrediente di Termini TV? Per noi è indispensabile raccontare gli scali ferroviari e le loro evoluzioni attraverso le voci e i volti delle persone anziane. Come quando, agli inizi della nostra esperienza, un ex facchino degli anni ‘70 ci descrisse il suo incontro con Totò a Roma Termini. Vogliamo documentare i cambiamenti delle città anche attraverso questo tipo di testimonianze. Come immagini le stazioni del futuro? Stanno diventando sempre di più anelli di congiunzione tra la mobilità e le esigenze della collettività, veri e propri hub dove si incontrano diverse modalità di trasporto in una logica di integrazione e sostenibilità. Quando sarà di nuovo possibile, vorrei che si tornasse a investire sulle stazioni italiane per trasformarle in veri e propri centri di aggregazione culturale. Dovrebbero diventare contenitori di iniziative capaci di contribuire in modo positivo al tessuto sociale e urbano delle aree circostanti, valorizzandole e tutelandone il patrimonio storico, architettonico e artistico.

termini.tv 15


MONDO FS

INSIEME PER LA RIPARTENZA

Il treno sanitario di FS Italiane

UN TRENO SANITARIO PER LA CURA E IL TRASPORTO DEI PAZIENTI E UN HUB DEDICATO ALLE VACCINAZIONI NELLA STAZIONE DI ROMA TERMINI. L’IMPEGNO DI FS ITALIANE PER CONTRASTARE IL COVID-19 di Francesco Bovio Foto FS Italiane

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U

n treno sanitario, primo convoglio in Europa per il trasporto e la cura dei malati in Italia e all’estero, e un hub nella stazione di Roma Termini dove poter somministrare ogni giorno fino a 1.500 dosi di vaccino contro il Covid-19. Questa la doppia iniziativa, presentata l’8 marzo dall’am-

gliari, Firenze Santa Maria Novella, Milano Centrale, Napoli Centrale, Palermo Centrale, Reggio Calabria Centrale, Torino Porta Nuova e Venezia Mestre. A pieno regime, l’iniziativa consentirà di effettuare fino a 540mila test antigenici gratuiti in sei mesi su tutto il territorio nazio-

ministratore delegato Gianfranco Battisti, con cui FS Italiane vuole far fronte alla pandemia. Un piano per la ripartenza del Paese che preve-

nale. UN OSPEDALE MOBILE Realizzato a Voghera (PV), nelle Officine manutenzione ciclica di Trenitalia, in collaborazione con il

de anche di mettere a disposizione della Croce rossa italiana diversi spazi nei principali scali ferroviari dove allestire tensostrutture per le

dipartimento della Protezione civile e l’Agenzia regionale emergenza urgenza (Areu), il treno sanitario può trasportare i pazienti verso altre

attività di screening alla popolazione. Tra questi ci sono Roma Termini, Bari Centrale, Bologna Centrale, Ca-

zone d’Italia o all’estero per alleggerire la pressione sulle strutture ospedaliere. Ma rappresenta anche


un’integrazione al servizio sanitario territoriale per la gestione delle emergenze, in caso di utilizzo come Posto medico avanzato. Progettato per offrire un livello di assistenza che arriva fino alla terapia intensiva, il convoglio medico comprende due locomotive per velocizzare le fasi di avvio e otto carrozze. Tre di queste sono attrezzate per accogliere i pazienti e prevedono in tutto 21 postazioni equipaggiate con altrettanti ventilatori polmonari e sofisticate strumentazioni mediche tra cui un ecografo, due emogasanalizzatori e 21 fra monitor, aspiratori e altre attrezzature. I convogli sono gestisti da personale sanitario specializzato, addetti tecnico-logistici e di direzione per un massimo di 45 operatori. Altre due carrozze sono necessarie per il funzionamento delle apparecchiature medicali e, in particolare, per ospitare i gruppi elettrogeni capaci di alimentare in modo indipendente gli strumenti in dotazione. Quelle che rimangono sono a disposizione per il riposo del personale, il coordinamento tecnico-sanitario e il magazzino per il trasporto dei farmaci. Insomma, un vero e proprio ospedale su rotaia sempre pronto a intervenire. HUB FERROVIARIO PER I VACCINI Ventuno postazioni, due dedicate

Una delle 21 postazioni equipaggiate per i pazienti all’interno del treno sanitario

alle persone con disabilità, sono disponibili anche nel primo hub ferroviario per i vaccini contro il Covid-19 allestito a Roma Termini. Quasi duemila metri quadrati nel parcheggio in piazza dei Cinquecento ospitano tre giganti tende mobili della Croce rossa italiana destinate alle operazioni di accettazione, anamnesi, vaccinazione e attesa post vaccino. Si aggiungono un presidio sanitario attivo e un’ambulanza sempre presente. FS Italiane ha messo a disposizione l’area, di proprietà di FS Sistemi Urbani, e con Grandi Stazioni Rail ha fornito tutto il supporto logistico,

compresi servizi igienici, fornitura di acqua, elettricità e pulizie, per un’installazione in tempi record. A pieno regime qui si prevede di effettuare circa 1.500 vaccinazioni al giorno. Infine, sempre nell’ottica del rilancio, il Gruppo sta attivando una serie di treni Covid-free che prevedono un test per personale e passeggeri prima di salire a bordo. Il primo è partito ad aprile sulla tratta Roma-Milano. Seguiranno i collegamenti con le città d’arte, Firenze, Venezia e Napoli, a cui si aggiungeranno, in estate, le principali destinazioni turistiche del Paese. fsitaliane.it

L’hub vaccinale allestito alla stazione di Roma Termini

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MONDO FS

RIPENSARE IL

FUTURO

DALLA PRODUZIONE DI MASCHERINE IN HOUSE AL SELF CHECK-IN. COSÌ IL GRUPPO FS AFFRONTA LE COMPLESSITÀ DELLA PANDEMIA. NELL’OTTICA DI UNA MOBILITÀ SEMPRE PIÙ SOSTENIBILE

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el difficile contesto del 2020, il Gruppo FS Italiane ha affrontato l’emergenza sanitaria cercando di dare tempestive garanzie di sicurezza al personale e ai viaggiatori, ma trovando anche il modo per avviare una riflessione strategica su una ripartenza solida e sostenibile. Oltre al potenziamento degli interventi di igienizzazione e sanificazione dei mezzi, delle stazioni e degli ambienti, sui quali Trenitalia ha ottenuto la Biosafety Trust Certification, sono state diverse le misure intraprese per continuare a garantire la mobilità in sicurezza di persone e merci. Con l’avvio della seconda fase dell’emergenza sanitaria, i passeggeri dei Frecciarossa e Frecciargento sono stati accolti con un safety kit gratuito composto da mascherina, gel igienizzante per mani, guanti in lattice, poggiatesta monouso e una lattina d’acqua. Mentre sulla nuova app di Trenitalia è stato lanciato il self checkin, capace di facilitare il sistema di controlleria e il counter digitale, sperimentato sui treni regionali, che usa un sistema a tre colori per consentire ai viaggiatori di conoscere in tempo reale il numero dei posti disponibili ed evitare così situazioni di sovraffollamento. Sin da marzo 2020, medici, infermieri e operatori sociosanitari reclutati dalla Protezione civile per l'emergenza, hanno viaggiato gratuitamente sui treni per raggiungere le aree colpite dall’epidemia. Mentre oltre cinque milioni di tonnellate di merci trasportate sui binari durante i mesi del lockdown – soprattutto alimentari, farmaci 18

© FS Italiane | PHOTO

di Valerio Birindelli

La produzione di mascherine nello stabilimento Onae di RFI a Bologna

e materiale medico sanitario – hanno permesso il costante rifornimento di beni su una catena logistica a limitato rischio di contagio. Inoltre, FS Italiane ha messo a disposizione e riadattato le proprie strutture per far fronte all’emergenza e contribuire alle necessità del Paese. La riconversione dello stabilimento Onae di Rete Ferroviaria Italiana (RFI) a Bologna, dove solitamente si costruivano apparecchiature elettriche, ha consentito di produrre da luglio 2020 oltre 13 milioni di mascherine protettive destinate ai dipendenti del Gruppo ma anche ad altre realtà. A Cosenza i diecimila metri quadrati del piazzale merci nello scalo ferroviario Vaglio

Lise sono diventati sede di ospedale da campo. Mentre a Roma, presso l’Help Center della Stazione Termini, i volontari dell’associazione Binario 95, in collaborazione con l'Istituto San Gallicano, hanno eseguito tamponi gratuiti per le persone senza dimora. Insomma, la discontinuità generata dall’emergenza sanitaria ha mostrato la necessità di essere preparati alle complessità. La volontà di ripartire e di guardare al futuro è ben definita nella strategia del Gruppo FS Italiane, che continua a puntare su una mobilità multimodale, sostenibile e sicura, che metta al centro i bisogni delle persone e crei valore per il Paese. fsitaliane.it


INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

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L’ITALIA che fa IMPRESA

RIFIUTI ZERO DARE NUOVA VITA AGLI IMBALLAGGI IN PLASTICA È LA MISSIONE DEL CONSORZIO COREPLA, CHE SI OCCUPA DI RACCOGLIERE, RICICLARE E RECUPERARE QUESTI MATERIALI. PER TRASFORMARE IN RISORSA GLI SCARTI INQUINANTI di Silvia Del Vecchio - s.delvecchio@fsitaliane.it

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on 67 bottiglie in PET si può realizzare l’imbottitura di un piumino matrimoniale, con 32 una giacca tecnica, con 27 una felpa in pile». Così Giorgio Quagliuolo, presidente del Consorzio

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nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica (Corepla), prova a quantificare gli infiniti modi in cui è possibile riutilizzare questi materiali. Con più di 2.500 imprese associate

nella filiera del packaging, dai produttori ai riciclatori, Corepla garantisce che gli imballaggi raccolti in modo differenziato siano recuperati e riciclati con efficienza, efficacia ed economicità. Riceve i rifiuti dai Comuni,


Prodotti realizzati grazie al riciclo degli imballaggi in plastica

«Corepla promuove nuove soluzioni aiutando chi progetta imballi a fare scelte sostenibili: più che di plastic free, ci piace parlare di plastic free nell’ambiente» riconoscendo loro un corrispettivo e assicura il corretto avvio del processo, facendosi carico dell’invio del materiale raccolto alle imprese che se ne occuperanno. Supporta inoltre le istituzioni, fornendo strumenti di informazione ed educazione ai cittadini per poter migliorare e massimizzare le possibilità di riciclo. «Nel 2019, dei 2.083.880 di tonnellate di imballaggi in plastica immessi sul mercato in Italia ne abbiamo recuperati ben 1.917.614, ovvero il 92%. Di questi, il 43% è stato avviato a riciclo e il 49% a recupero energetico, contro solo un 8% impossibile da riconverti-

re», specifica Quagliuolo. Sono 7.345 i Comuni che hanno avviato il servizio di raccolta con Corepla, posizionando l’Italia tra i primi Paesi d’Europa nel riciclo degli imballaggi in plastica. Presidente, quali sono i vostri obiettivi? Mantenere i risultati raggiunti e massimizzare la valorizzazione dei rifiuti raccolti, evitando la dispersione degli imballaggi nell’ambiente. Proseguiremo poi a sensibilizzare tutti gli attori coinvolti nel processo e a sviluppare nuove tecnologie per vincere la sfida dell’economia circolare. In questo modo, nonostante le difficoltà legate

alla carenza degli impianti italiani, potremo contribuire al raggiungimento degli obiettivi che l’Unione europea pone per il 2025. Il vero problema è la dispersione degli imballaggi nell’ambiente o il materiale di cui sono composti? È la loro non corretta gestione. Nessun tipo di imballaggio si degrada da solo: è indispensabile che tutti vengano avviati in impianti in grado di valorizzarli. Corepla promuove nuove soluzioni aiutando chi progetta imballaggi a compiere scelte sostenibili: più che di plastic free, ci piace parlare di plastic free nell’ambiente. La soluzio21


L’ITALIA che fa IMPRESA

Carte da gioco dal kit Riciclala

ne è utilizzarli sempre correttamente, riducendoli e riutilizzandoli dove possibile e riciclandoli e recuperandoli quando arrivano a fine vita. È una questione di responsabilità individuale e collettiva, a tutti i livelli. Come lavora Corepla? Le imprese che producono e utilizzano imballaggi in plastica versano la propria quota di contributo ambientale attraverso il Consorzio nazionale imballaggi (Conai). La cifra è modulata in base alla quantità di materiale lavorato ma anche alla sua riciclabilità, nel rispetto del principio “chi inquina paga”. Grazie alla somma che rice-

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viamo, garantiamo che gli imballaggi accumulati attraverso la raccolta differenziata siano appunto avviati al riciclo. Con il contributo fornito dalle aziende sosteniamo i Comuni o i delegati ai servizi di raccolta differenziata (come l’Ama a Roma) in base alla quantità e qualità della plastica che ci arriva, attivando un circolo virtuoso. Nel 2019 abbiamo riconosciuto ai Comuni circa 400 milioni di euro. La consapevolezza sul tema sta crescendo e, con essa, anche la raccolta differenziata. Ci fa qualche esempio di nuova vita per bottiglie, flaconi e bicchieri di plastica? Con 67 bottiglie in PET si realizza l’imbottitura di un piumino matrimoniale, con 32 una giacca tecnica, con 27 una felpa in pile, con 20 una coperta dello stesso materiale. Con mille bottiglie si può produrre addirittura un’intera cucina. Da 11 flaconi in polietilene ad alta densità (HDPE) nasce un annaffiatoio, da 24 bicchierini da caffè in polistirolo una ciotola per i nostri amici a quattro zampe e con sette portauova si può tenere accesa una lampadina da 60 Watt per un’ora e mezza. Sono veramente tantissimi i modi in cui è possibile utilizzare la plastica riciclata. Corepla è presente anche sui social network e svolge un’intensa attività di comunicazione per educare i cit-

tadini, soprattutto gli studenti, al corretto smaltimento dei rifiuti. Crediamo che informare sia fondamentale. Per le scuole primarie stiamo realizzando nuovi video online con pillole di magia sulla trasformazione della plastica e la versione digitale del kit Riciclala. Per le medie, invece, c’è Idea plastica: un fascicolo dedicato agli studenti, a cui è associata una guida per i docenti, con un racconto che ha come protagonista un detective alle prese con un’indagine sul ruolo delle materie plastiche nell’inquinamento del pianeta. Il mese scorso, inoltre, abbiamo lanciato Coreplay, una challenge su instagram per i ragazzi delle scuole superiori, che permetterà di verificare le conoscenze da loro acquisite dopo le lezioni svolte sulla base del materiale digitale messo a disposizione da Corepla. Il meccanismo premiante stimolerà la partecipazione e la viralità dei contributi. In più, dal 16 marzo partecipiamo a #NonCiFermaNessuno, un ciclo di dieci incontri in streaming con Luca Abete (inviato di Striscia la notizia, ndr) rivolto agli universitari. Davvero tantissime iniziative… Sì, siamo molto soddisfatti perché i ragazzi partecipano sempre con entusiasmo, fanno molte domande e


diventano parte attiva nella raccolta domestica, controllando addirittura i genitori. Spieghiamo loro cose che non sanno, per esempio che non occorre separare il tappo dalla bottiglia di plastica perché i macchinari dividono i materiali in base alla tipologia di polimero. Anzi, consigliamo di non toglierlo per poter schiacciare meglio e ridurre il volume della bottiglia. Bisogna invece eliminare quelle etichette che ricoprono tutta la superficie dei flaconi, così da facilitare le operazioni di suddivisione degli imballaggi, e svuotare piatti e bicchieri di plastica dai residui di cibo, ma senza lavarli. Tutto il materiale raccolto, infatti, viene pulito da apposite macchine prima di essere avviato al riciclo. Un’altra iniziativa che mi piace ricordare è la Casetta rifugio realizzata da Corepla con i rifiuti raccolti nel fiume Po e trasformata in opera d’arte contemporanea dagli street artist Atomo e Teatro durante la Milano Design Week 2019. La Casetta è stata poi donata all’Oratorio dei Padri Sacramentini (Orpas) di Milano, centro di aggregazione e circolo polisportivo per circa 400 ragazzi

e famiglie. Un altro bell’esempio di economia circolare. Corepla dà anche un contributo importante nella pulizia di mari e fiumi. Sì, a dicembre 2020 è partito Mare pulito, un progetto biennale promosso dal ministero dell’Ambiente – oggi ministero per la Transizione ecologica – per la raccolta dei rifiuti presenti lungo le coste italiane, in particolar modo nelle acque davanti alle foci dei fiumi e nelle aree marine protette, attraverso l’impiego di 19 unità costiere della flotta speciale antinquinamento guidata dal consorzio Castalia. I rifiuti galleggianti recuperati vengono poi stipati in cassoni nei porti coinvolti dall’operazione (Imperia, La Spezia, Castellammare di Stabia, Fiumicino, Piombino, Vasto, Porto Torres, Crotone, Gallipoli, Otranto, Vibo Valentia, San Benedetto del Tronto, Chioggia, Cagliari, Oristano, Termini Imerese, Marsala, Augusta, Pozzallo e Licata) e, una volta portati nei centri autorizzati per verificarne tipologia, composizione e stato di conservazione, si procede alla selezione degli imballaggi in plastica riciclabili.

E i fiumi italiani come se la passano? Nel 2018 abbiamo installato barriere acchiappa-rifiuti in tre diverse zone lungo il Po. È andata bene, nel senso che a Pontelagoscuro (FE) sono stati raccolti soltanto 93 kg di plastica. Successivamente, invece, durante una sperimentazione di otto mesi promossa dalla Regione Lazio, sono stati trovati 2.300 kg di rifiuti, di cui il 35% composto da plastica, nel Tevere, un fiume meno in salute del Po. Con la Regione Lazio e la Regione Puglia, poi, abbiamo inaugurato l’iniziativa Fishing for litter, che prevede un accordo con i pescatori di Molfetta (BA), Fiumicino e Civitavecchia (RM) per la raccolta dei rifiuti sui fondali durante le battute di pesca a strascico. Le valutazioni sono in corso, la via intrapresa per pulire le acque marine e fluviali è quella giusta, ma siamo solo all’inizio. corepla.it Corepla Corepla_Riciclo corepla_consorzio Corepla Video

La raccolta dei rifiuti sul fiume Po, in zona Sacca di Colorno (PR)

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L’ITALIA che fa IMPRESA

GOCCIA A

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CON GLI IMPIANTI DI IRRIGAZIONE ANTI-SPRECO TARGATI IRRITEC, L’IMPRENDITRICE SICILIANA GIULIA GIUFFRÈ VINCE IL NOBEL ITALIANO PER LA SOSTENIBILITÀ

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ssere donna in Sicilia è ancora una dura sfida quotidiana, soprattutto se si sceglie di fare la madre ma anche l’imprenditrice in un settore tipicamente maschile come quello agricolo». Una sfida che Giulia Giuffrè, sustainability ambassador e direttore marketing del Gruppo Irritec – azienda leader a livello internazionale negli impianti di irrigazione a goccia – affronta ogni giorno con passione, promuovendo progetti green e inclusivi. Un impegno

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di Elisabetta Reale

che le è valso il riconoscimento di Sustainable Development Goals (SDG) Pioneer 2020 dal Global Compact Network Italy. Il premio è una sorta di Nobel italiano per la sostenibilità e rientra nella più ampia campagna di sensibilizzazione sull'importanza di raggiungere gli obiettivi Onu dell’Agenda 2030. Come vincitrice del round nazionale, rappresenterà l’Italia nella competizione globale per il titolo di Global Compact Sdg Pioneer 2020, che si

concluderà a luglio 2021. Una bella occasione: è soddisfatta? Come imprenditrice, questo riconoscimento ha per me un significato prezioso e mi richiama a una grande responsabilità, nella speranza che la mia esperienza rappresenti uno stimolo per tutte le donne del sud e d’Italia. Averlo ottenuto in piena pandemia mi spinge a essere ancora più motivata nel mio impegno ambientale e sociale. Soprattutto perché è stata affermata l’importanza del nostro


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settore – l’irrigazione di precisione – per la salvaguardia del pianeta. Il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 fa parte della mission di Irritec e sono molto orgogliosa che sia stata premiata un’azienda siciliana, modello d’eccellenza a livello internazionale. Per noi la sostenibilità è un impegno costante. E non significa rinunciare al profitto ma applicare un modello di business responsabile legato al perseguimento dei parametri di sostenibilità, che si dimostrano un efficace strumento di competitività nel rispetto e nella tutela di ambiente e risorse. Come è nata l’azienda? La storia di Irritec comincia nel 1974 a Capo d’Orlando (ME), quando mio nonno Rosario Giuffrè, insieme al fratello Cono e al figlio Carmelo, costituisce la società, inizialmente specializzata nella produzione di avvolgibili in PVC. Poi, grazie alla visione pionieristica di mio padre Carmelo, l’azienda sceglie di convertire la produzione per realizzare sistemi di irrigazione a goccia (microirrigazione) per favorire il risparmio idrico e promuovere un modello di agricoltura sostenibile. Una scelta vincente che, in breve tempo, ci ha portato a diventare leader a livello internazionale con 14 sedi produttive e commerciali, una rete globale di circa 15mila esperti e oltre 800 collaboratori. L’impresa ha oggi sedi produttive e commerciali in Italia, Algeria, Brasile, Cile, Germania, Messico, Senegal, Spagna e Stati Uniti e si appresta a inaugurare una nuova sede in Perù e un hub logistico di 12mila m2 a Bologna. A marzo abbiamo inaugurato anche una filiale commerciale in Senegal. Così si interviene dove ce n’è più bisogno e si mette a disposizione dell’economia locale l’esperienza maturata negli anni.

Essere donna ha rappresentato un ostacolo o un valore aggiunto? Nella filiera dell’agroalimentare un’impresa su tre è guidata da una donna e il 70% degli occupati del settore di sesso femminile. Sono numeri importanti che devono essere considerati uno stimolo, ma non un traguardo. Sento forte la responsabilità di contribuire a diffondere una cultura che promuova i diritti delle donne e contrasti stereotipi e discriminazioni di genere. Per questo, ho scelto di entrare a far parte dell’associazione nazionale Le donne dell’ortofrutta e diventare membro del direttivo siciliano della Confederazione italiana della piccola e media industria privata (Confapi) con delega alle Pari opportunità. Ho potuto così contribuire all’avvio del progetto 6come6, osservatorio digitale contro le violenze e le molestie sul luogo di lavoro che vuole incoraggiare le donne a denunciare ogni maltrattamento, promuovendo la diffusione di una cultura etica e inclusiva nelle aziende. Sono convinta che occorra un’attenzione maggiore su questi temi, per abbattere certi retaggi culturali che tendono ancora oggi a sminuire il ruolo e la professionalità delle donne. Sfide da vincere? Dal 1974 Irritec si impegna a semplificare la vita di chi cura le piante e lavora nei campi, anche in Paesi in via di sviluppo come l’Africa, dove l’agricoltura è uno dei settori con le maggiori potenzialità. La sfida è continuare così e garantire a tutti, non solo alle donne, di potersi esprimere al meglio. Tra le vostre attività, che ruolo ha la formazione? È un tassello importante: per diffondere la cultura dell’agricoltura sostenibile abbiamo creato Irritec Academy, che mira a promuovere il risparmio idrico attraverso convegni, seminari, corsi e incontri in collaborazione con enti, istituzioni, università, centri di ricerca e rivenditori in tutto il mondo. Inoltre, sosteniamo progetti di alternanza scuola-lavoro con le università e gli istituti tecnici per favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. irritec.it 25


L’ITALIA che fa IMPRESA

LA SOSTENIBILITÀ È UN G I O C O L’APP AWORLD PREMIA CHI SI IMPEGNA A RIDURRE IL PROPRIO IMPATTO AMBIENTALE. E VIENE SCELTA DALL’ONU PER SUPPORTARE LA CAMPAGNA ACTNOW CONTRO IL CAMBIAMENTO CLIMATICO di Flavio Scheggi

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ella vita ci sono momenti o eventi che possono cambiarne il corso e farti ripensare a quello che stai facendo. Ad Alessandro Armillotta, piemontese di 34 anni, è successo quattro anni fa. «Lavoravo negli Stati Uniti per un’azienda di moda», racconta, «e un giorno sono andato a Guangzhou, in Cina, per visitare alcune fabbriche che producevano jeans e magliette. Ho visto persone in condizioni precarie, che faticavano dentro immobili fatiscenti per pochi dollari al giorno. Quando ho chiesto quale fosse il colore della nuova collezione, mi hanno risposto di guardare le sfumature del fiume dove finivano i prodotti di lavorazione delle industrie. In quel momento ho capito che quello che stavo facendo non rispecchiava il mio modo di essere». Così insieme a due amici, Marco Armellino e Alessandro Lancieri, dopo una

serie di studi e tentativi non andati subito a buon fine, ha creato l’app AWorld, disponibile per iOS e Android. Uno strumento che punta a promuovere uno stile di vita sostenibile attraverso il gioco. In breve tempo, la start up fondata dai tre giovani è diventata una struttura con 14 collaboratori e sedi a Torino e New York. E non è tutto: la loro applicazione è stata selezionata dall’Onu come dispositivo per supportare la campagna globale ActNow contro il cambiamento climatico. Oggi chi apre il sito delle Nazioni Unite la trova direttamente in homepage. Un grande successo per un giovane imprenditore con la passione dell’e-commerce partito dalla provincia di Vercelli. Alessandro, come sta la Terra? In molti pensano che il lockdown abbia dato una grande mano all’ambiente, ma in realtà il pianeta non sta bene. Abbiamo perso il 40% della biodiversità negli

Da sinistra, Alessandro Armillotta, Marco Armellino e Alessandro Lancieri, fondatori di AWorld

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ultimi 20 anni e si stima che nel 2050 il mondo sarà abitato da nove miliardi di persone. Malgrado nascano nuove idee per affrontare queste sfide, c’è ancora tanto da fare. La tecnologia può aiutarci? Sicuramente, ma la cosa più importante è la consapevolezza. Dobbiamo ricordarci sempre che ci troviamo in mezzo a una crisi climatica indotta dall’uomo: sono state le nostre azioni, nel tempo, ad aver creato danni enormi. Com’è nata l’idea dell’app? Volevamo sensibilizzare le persone sul tema della sostenibilità mostrando l’impatto di ogni singola azione. Chi compra una maglietta a Milano non sa che è stata prodotta dall’altra parte del mondo, da un individuo pagato pochi dollari al giorno che vive in un contesto precario. Perché il nome AWorld? Noi viviamo nel mondo A, l’unico che


abbiamo a disposizione perché non esiste un pianeta B. Vogliamo bene a questa Terra e dobbiamo preservarla. Come funziona? È come un “Frankenstein” che unisce tecniche di vendita cinesi e conoscenza delle Nazioni Unite con un’anima italiana. Ci siamo mossi con l’obiettivo di creare una maggiore consapevolezza utilizzando il sistema del gioco a punti, come abbiamo imparato in Cina. Più azioni compi e più ottieni punti che si tradurranno in buone pratiche per la Terra. Spiegaci meglio… AWorld sfida la community a entrare in azione per raggiungere alcuni obiettivi, per esempio risparmiare in due mesi 200 tonnellate di CO2. Per ogni target raggiunto un partner mette in palio un premio destinato alla Terra, come la piantumazione di alberi, l’acquisto di un pozzo o di boe che raccolgono la plastica in mare. Peccato che una vita sostenibile sia spesso vista come una vita di rinunce.

È vero. Vogliamo far capire che basta veramente poco per generare un impatto positivo. Una doccia che dura cinque minuti anziché dieci fa risparmiare 47 litri d’acqua. Non bisogna per forza smettere di mangiare carne, ma provare a fare un pasto vegetariano una volta a settimana. Il punto vincente sono le piccole azioni compiute dalla collettività. Anche nei trasporti dobbiamo fare scelte green. Tra le buone azioni c’è quella di prendere il treno e non l’aereo. Per noi il viaggio Milano-Roma si fa solo così, è diventato uno stile di vita. Il treno è il trasporto del futuro, magari da affiancare a un veicolo elettrico o un monopattino per raggiungere la stazione da casa e viceversa. Aziende e governi stanno facendo abbastanza? Sono convinto che questa sensibilizzazione parta dal basso per andare verso l’alto. Molte persone, soprattutto i giovani, nelle loro azioni quotidiane sono

molto attente al risvolto ambientale. Un libro che ti ha ispirato? La nazione delle piante di Stefano Mancuso, pubblicato da Laterza. Mi ha fatto capire l’importanza di alberi, erba e foglie e la loro trasformazione avvenuta in milioni di anni. Ho scoperto che il nostro pianeta è in vita grazie a pochi elementi fondamentali: il sole e le piante che ogni giorno fanno il miracolo di trasformare l’anidride carbonica in ossigeno. Come vedi il futuro? Viviamo in un mondo dove un albero, dal punto di vista finanziario, vale più da morto che da vivo. Lo stesso accade per un elefante: sono più preziose le sue zanne che la sua salute. Fino a quando l’economia ragionerà così e non ci saranno regole precise per la salvaguardia del pianeta, lasceremo un mondo peggiore alle prossime generazioni. aworld.org aworld.actnow

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GUSTA & DEGUSTA

di Andrea Radic

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ANTONIO CHIODI LATINI UN CUOCO CHE PARTE DALLA TERRA

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opo 50 anni di onorato mestiere di cuoco secondo i dettami degli chef francesi Georges Auguste Escoffier e Marie Antoine Carême, Antonio Chiodi Latini ha ribaltato il paradigma. Lasciata la cucina onnivora, ha tratto nuova ispirazione dal nutrizionista statunitense Colin Campbell e il suo libro The China Study e dalla Trilogia del teosofo Rudolf Steiner, fino alle teorie sul biologico e la permacultura del divulgatore scientifico Dario Bressanini. Tecnica, scienza e passione per trasformare i prodotti della terra in piatti di alta cucina, rendendo una patata o una cipolla protagoniste del fine dining. «Non ritengo la mia cucina vegana ma olistica, tradizionale: parte dalla terra, forma più sincera del gusto primordiale, per raccontare storie e cambiamenti climatici. Un piatto è uno scopo, un coinvolgimento, una teatralità. Molti segnali mi spingevano verso questo cambiamento, mi ritengo fortunato ad averli colti», spiega Chiodi Latini guardando avanti. «Gli alimenti non avranno più una componente animale e si partirà dal seme per giungere al piatto, spettacolarizzazione del prodotto vegetale, frutto di profonde conoscenze agronomiche». Per vivere la piacevolezza della sua cucina, occorrono un treno per Torino e la voglia di scoprire quanto la tecnica e la pas-

Antonio Chiodi Latini

sione siano in grado di generare gusto e soddisfazione. Come in Dedicato A. Parmantier: piatto di patate e intingoli vari dove Antonio gioca con le mani “sanificate” dal rosmarino affinché il profumo della pianta aromatica resti sulle dita e accompagni il boccone, o in Ère Noir, sublimazione della cipolla, massima esasperazione della terra. antoniochiodilatini.com

ALESSANDRO ROSSI ELEGANZA DI UNA CUCINA CHE SCEGLIE L’AMBIENTE

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ono cresciuto sul confine tra Umbria e Toscana, in una famiglia dove l’orto era la principale fonte di cibo. Arrivato a Marina di Grosseto, quella realtà mi è mancata». C’è un profondo rispetto per la natura e per la terra alla base del talento del giovane chef Alessandro Rossi, confermato dalla stella Michelin assegnata

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pochi mesi fa. Sull’acqua del porticciolo turistico si affacciano i tavoli del Gabbiano 3.0, ma è a pochi chilometri nell’immediato entroterra maremmano che Rossi ha proseguito il sogno interrotto. «Un appezzamento di terra dal quale trarre prodotti e idee per declinare al meglio il gusto della stagionalità vegetale. Il pomodoro pesca con la pelle pelosa e il tomatillo sudamericano sono solo due delle 300 varietà di pomodori del mio orto. E poi ci sono verdure come le foglie di senape bicolore, tutta la varietà che ci piace a partire dal seme». Un orto coltivato a mano, senza utilizzo di prodotti chimici, concimi sintetici o diserbanti. Frutta, verdura e piante aromatiche saranno protagoniste dei nuovi menù del ristorante nel pieno rispetto della materia prima e della natura. «Andrò io stesso a raccogliere le verdure la mattina prima di andare in cucina dove, per la prima volta, proporremo tre menù degustazione: di carne, di pesce e vegetariano». Rossi, insieme ai cugini e soci del Gabbiano 3.0, Marco e Riccardo Tomi, non segue le mode del momento, ma solo il desiderio di dimostrare quanto la terra possa essere artefice della nostra soddisfazione gastronomica. ilgabbianotrepuntozero.it


ANDREA DI FABIO QUANDO LE PERSONE FANNO LA DIFFERENZA

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anno scorso abbiamo fatturato 37 milioni di euro, prodotto 12,5 milioni di bottiglie e coltivato 2.700 ettari di vigneti tra Abruzzo, Puglia e Molise». Questi i numeri di Cantina Tollo sciorinati dal direttore generale Andrea Di Fabio, a cui si aggiungono le 12mila bottiglie vendute della maison Champagne Jean Noel Haton, un’azienda familiare indipendente fondata nel 1928 con sede a Damery, in Francia, e proprietaria di vigneti con i migliori cru di champagne. «Abbiamo deciso di dare alla nostra rete di venditori un’ulteriore opportunità per aumentare il portafoglio prodotti formato da Cantina Tollo, Auramadre (marchio di vini biologici multiregionali dal Primitivo al Lambrusco, ndr) e Feudo Antico. Uno champagne scelto con i medesimi principi della nostra impresa, altissima qualità e ottimo rapporto qualità prezzo, e con la professionalità di Pascal Tinari, sommelier del ristorante Villa Maiella di Guardiagrele (CH) che lo conosceva e sapeva essere in linea con le nostre aspettative, scelte qualitative e coerenza stilistica». Le bottiglie molto buone vanno anche vendute e su questo Di Fabio ha idee molto chiare: «Nonostante il successo dell’online, mi viene difficile pensare a un futuro del vino senza il ruolo dell’agente, vero ambasciatore sul territorio». Sono donne e uomini a fare la differenza, sia quando si produce sia quando si vende.

Brut Reserve, di bel corpo e pienezza, Brut Rosé, intenso e verticale, Cuvée Noble Vintage, potente e vellutato, e il superbo Blanc de Blanc Millésimé sono le quattro etichette di Haton. Declinano champagne di grande equilibrio olfattivo tra pienezze floreali e delicatezze dei frutti. Pieni e generosi al palato, complessi e di elegantissima struttura, con lunghi finali da apprezzare totalmente. cantinatollo.it | champagne-haton.com

Andrea Di Fabio

LAURA GATTI PER FERGHETTINA LA QUALITÀ È BIO

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na storia di passione e determinazione quella della famiglia Gatti e della loro azienda agricola Ferghettina, ad Adro (BS), nel cuore della Franciacorta. In 200 ettari lavorati con capacità e visione, le loro bollicine si distinguono per eleganza e raffinato equilibrio. Nel 2014, i Gatti scelgono di passare al biologico non per

Laura e Matteo Gatti

moda ma per profonda convinzione. «Una scelta morale, che neppure scriviamo in etichetta. Anche i vini hanno trovato più rotondità, equilibrio e complessità con la coltivazione bio in vigna, perché le viti devono imparare a vivere in modo indipendente», spiega Laura. L’avventura vinicola inizia nella vendemmia del 1991 con Roberto Gatti e sua moglie Andreina. Oggi, con loro, i figli Laura e Matteo, entrambi laureati in enologia. Matteo ha inventato e brevettato la bottiglia a base quadrata, i cui lati più ampi e piatti consentono una maggiore permanenza del vino sui lieviti. Una linea stilistica, quella di Ferghettina, che declina equilibrio, carattere e originalità: «Dipende dalla tipologia del prodotto e dall’identità che vuoi dare», aggiunge Laura. «Nel Saten è molto forte, legata al territorio, Chardonnay al 100%. Altre tipologie uniscono questa eleganza alla forza del Pinot Nero, un vitigno che ha bisogno di tanta cura e che adoro al punto di aver creato Eronero, prodotto solo in alcune annate». Un Blanc de Noir nel quale gli aromi di frutta rossa e scura si sposano con brillante freschezza e solenne eleganza in una bollicina di perfetta struttura e godibilissima lunghezza. «La soddisfazione più bella? Vedere con quale rapidità un calice di Ferghettina diventa vuoto», conclude brindando con una vecchia annata, un 2005 stappato à la volée. ferghettina.it 29


WHAT’S UP

NATURALMENTE LUCA BARBARESCHI PRESENTA IL NUOVO TALK SHOW, IN BARBA A TUTTO, DAL 19 APRILE SU RAI3. E SPIEGA COME RILANCIARE IL TEATRO DOPO LA PANDEMIA di Gaspare Baglio

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gasparebaglio

© Assunta Servello

e c’è un personaggio che riesce sempre a risvegliare l’attenzione quello è Luca Barbareschi. Un uomo dalla carriera esplosiva: attore, regista, presentatore, produttore e direttore artistico del Teatro Eliseo di Roma. Dopo aver sperimentato se stesso in ogni ruolo, torna in tv su Rai3 con In barba a tutto, talk show pop destinato alla seconda serata del lunedì, in onda dal 19 aprile. Al centro del format, interviste trasgressive, zeppe di autoironia e sense of humor, nello stile del conduttore che abbiamo imparato a conoscere con Il grande bluff su Canale 5 e Barbareschi Sciock su La7. Cosa caratterizza il suo nuovo programma? Una satira leggera con temi alti, importanti. Cercherò di provocare un po’ e rompere questa omertà del politically correct che addormenta il cervello del mondo. Effettivamente la satira sembra mancare da un po’… Manca da quando molti comici, invece di fare il loro lavoro, hanno cominciato a parlare di politica. La satira deve essere laica, anarchica. Se invece per dieci anni te la prendi con Giulio Andreotti e poi con Bettino Craxi, Silvio Berlusconi o Matteo Renzi non è satira. E che cos’è? Un gioco che, come dice la grande poetessa Cristina Campo, fa rima con nulla. Adesso tutto è sfociato nel pensiero politicamente corretto: si crea un tribunale morale su qualsiasi artista e questo rappresenta la fine, è l’imposizione di una lingua artificiale, la neolingua orwelliana. Anche il giornalismo ha perso la sua funzione dirompente. Io amo quando mi mettono in difficoltà, però è una chiave che non vedo mai nei talk italiani. Come si traduce questo suo pensiero nel nuovo show?

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SCORRETTO Ci saranno diversi faccia a faccia molto veloci e divertenti. Vorrei giocare come fanno i colleghi americani, tipo il conduttore tv Jay Leno, con un filo d’ironia costante anche su temi delicati. O anche come ho visto fare in un programma tedesco molto divertente sul tema della disabilità: ho cercato di portarlo qui, ma nessuno ha voluto farlo. Come mai? Perché è uno show in cui le persone con disabilità si prendono in giro. Si tratta l’argomento con sensibilità ma senza il pietismo del finto dolore. Chi vive la disabilità ha elaborato la cosa e ci scherza sopra. Che tipo di ospiti avrà? Astronauti, scienziati, persone che hanno qualcosa da dire, ma anche spiritose. Il programma è posizionato dopo Report per intercettare un pubblico che ha ancora bisogno di elaborare. L’obiettivo è intervistare ministri o attori nel rispetto dei ruoli,

nel tentativo di tirar fuori qualcosa e permettere all’ospite di esprimersi superando i cliché. Lei è anche un uomo di teatro. Che ne pensa di questa chiusura per la pandemia? Credo si debba sfruttare il Covid-19 come un’opportunità per resettare il sistema teatrale italiano che è fallito, morto, da 30 anni. Non crea più eccellenze e quando ci sono – come per esempio la Carrozzeria Orfeo – non hanno una residenza, le nomine delle direzioni artistiche sono politiche e non di merito, qualità o sapienza. Manca un sistema industriale alla base. Quindi? Invece di fare l’elemosina e cadere nella retorica del “non interrompere l’emozione”, prendiamo esempi virtuosi come quello tedesco, in cui il 2% del Pil va al teatro dal vivo. E chiediamoci come possiamo competere con la qualità interpretativa

degli attori dello Schauspiel Stuttgart, che sanno alternare spettacoli di repertorio e novità. Quale continuità industriale può esserci se non si può programmare? All’estero stanno pensando già alla stagione 2023/2024. Bisogna investire in formazione, eccellenza degli spettacoli e continuità creativa. Soluzioni per uscire dall’impasse? Smettere di piangersi addosso e lavorare sull’industria dello spettacolo. La politica e le commissioni vanno istruite portando soluzioni ai problemi e non chiedendo solo soldi. Puntiamo sui più bravi, su chi sa fare questo mestiere. Lei fa questo lavoro da anni e ha una carriera solida. Come se l’è costruita? Con umiltà, passione e scegliendo collaboratori bravi. lucabarbareschi.com barbareschiluca

Luca Barbareschi con Massimo De Lorenzo nello spettacolo teatrale Cyrano de Bergerac

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© Filiberto Signorello

WHAT’S UP

DESTINAZIONE

ESTATE

DOPO SANREMO, IL CANTAUTORE INDIE FULMINACCI PUNTA AL SUMMER TOUR. PER POTER PRESENTARE FINALMENTE LIVE IL NUOVO ALBUM TANTE CARE COSE di Gaspare Baglio

È

una delle più belle rivelazioni indie degli ultimi anni. Non è un caso, quindi, se la sua Santa Marinella è arrivata fino al palco più importante, quello dell’Ariston, durante la 71esima edizione del Festival di Sanremo. Subito dopo è uscito il nuovo album Tante care cose che, oltre al brano presentato nella Città dei Fiori, contiene le hit Canguro e Un fatto tuo personale. La chiacchierata con Filippo Uttinacci (questo il suo vero nome, ndr) avviene rigorosamente tramite videochiamata. Allora, com’è andata a Sanremo? Mi sono divertito come un pazzo e ho imparato il linguaggio televisivo, una lezione importante per il mio lavoro. Oltre che una grande occasione per farmi conoscere. Eppure non è stato il classico festival... Ho avuto la fortuna di non averlo vissuto prima. Me ne parlavano come di un gigantesco luna park di eventi e divertimento. Quest’anno è stato diverso ma io sono comunque un sedentario che non 32

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ama le feste , ma preferisce una birretta con gli amici. Come se la passa la musica oggi? Finché non torniamo ai live con la gente appiccicata che canta non possiamo viverla. Ci arriva alle orecchie solo con dispositivi e piattaforme, e meno male che esistono. Anche se, in Australia, i Tame Impala hanno fatto finalmente un concerto sold out senza problemi, notizia vissuta come una piccola luce in fondo al tunnel. Nell’album c’è un brano curioso: Miss Mondo Africa. Ce lo spieghi? È lo spin-off di Le ruote, i motori!: quattro ragazzi bighellonano su un muretto del lungotevere, il sabato pomeriggio dopo la scuola. Un giovane senegalese si avvicina e racconta la sua vita ripetendo la filastrocca: «Africano bianco, bello abbronzato, Miss Mondo Africa, playboy Africa». Ho pensato la canzoncina su uno standard soul, cambiando linea melodica: è la fotografia di un momento di coesione e sorrisi.

Nei tuoi testi è sempre molto presente la sera. Perché? È il momento della riflessione, quando gli impegni sono conclusi e arrivano le preoccupazioni per i giorni successivi, i pensieri su ciò che si poteva fare meglio, ma anche le idee per le canzoni. La sera, in particolare quella estiva, ha una grande potenza. Effettivamente nel disco si sente il sapore dell’estate… L’ultima in particolare è stata una finestra che ci ha permesso di respirare: si è potuto fare qualcosa in più, con meno preoccupazioni. Ho capito l’importanza di stare con gli amici, la cosa che mi commuove di più al momento. Prossimo viaggio? In tour, all’arrivo della bella stagione, quando si potranno realizzare live all’aperto, anche se distanziati e con la mascherina. E per fortuna, altrimenti questo disco quando lo suono? fulminacci


VITA DA INFLUENCER

GIULIA DE LELLIS INTERPRETA UNA STAR DEI SOCIAL NEL NUOVO FILM DI MICHELA ANDREOZZI, DAL 4 APRILE SU SKY CINEMA E NOW TV di Gaspare Baglio

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primi passi nello showbiz li ha mossi col programma Uomini e donne di Maria De Filippi, su Canale 5. Poi è arrivata la partecipazione come concorrente al Grande Fratello Vip e la consacrazione a star dei social network, con più di cinque milioni di follower su Instagram. Giulia De Lellis è uno dei personaggi del momento. Il 4 aprile, su Sky Cinema e NOW TV, debutta nel film Genitori vs influencer di Michela Andreozzi, con Fabio Volo, Nino Frassica e Paola Minaccioni. Che personaggio interpreti? Ele-O-Nora, una giovane influencer con un bel caratterino, un po’ simile a me. È un’eterna romantica, entra delicatamente nella vita di Paolo – un professore di filosofia vedovo di cui si innamora – e della figlia Simone (alla francese, ndr), fino a stravolgerla. Com’è stata la prima volta da attrice? La ricorderò per sempre. La notte prima delle riprese ho dormito pochissimo e ho continuato a ripassare la parte. Ero emozionatissima, nonostante fossi molto preparata. Poi, sul set, quando la regista Michela Andreozzi ha gridato «Azione!», è come se fossero sparite tutte le persone intorno a me e ho fatto del mio meglio. Nonostante sia molto severa con me stessa, sono soddisfatta: ho ricevuto complimenti anche da esperti del settore. Difficoltà sul set al tempo del Covid-19? Intorno a un film lavorano tante persone. Facevamo i tamponi molecolari ogni 48 ore e quelli rapidi più di una volta al giorno quando cambiavamo location. Il team è stato straordinario, super organizzato e non ci ha fatto pesare la situazione. Si sono presi cura di noi senza sottovalutare niente. Da influencer, che tipo di comunicazione hai scelto per questo periodo? Cerco di dare messaggi di positività, leggerezza e gioia visto che siamo bombardati da notizie che generano ansia. Il mio obiettivo è non perdere la serenità e regalarla anche a chi mi segue. Senti una certa responsabilità, quindi… Sì e cerco di dare l’esempio, tirando fuori la parte migliore di me. A volte sbaglio, ma sono umana, può capitare. Però resto me stessa, con i miei valori: chi mi conosce sa che sono sincera. Presto condurrai su Real Time il reality Love Island, che vede uomini e donne single vivere insieme in una villa, nella speranza di trovare l’amore. Dopo essere andato in onda in 18 nazioni, finalmente questo format arriva anche da noi: sono contenta ed emozionata di essere il volto della versione italiana. Dove andrai appena si potrà viaggiare senza problemi? Vorrei andare al mare con le mie nipotine, non aspettano altro. giuliadelellis103

STAZIONI D’ITALIA Il tour degli scali nazionali prosegue su Rai Radio Live ogni venerdì, alle 9 e in replica alle 16, con il racconto delle grandi e piccole Stazioni d’Italia. Il programma condotto da Valentina Lo Surdo ha superato le 30 puntate e ospitato sindaci, musicisti, storici, esperti di turismo e cittadini appassionati del mondo ferroviario. All’inizio della trasmissione viene lanciata una canzone scelta tra le tante ispirate a treni e binari. Gli ascoltatori possono suggerire il brano preferito scrivendo a radiolive@rai.it. raiplayradio.it/programmi/stazioniditalia 33


WHAT’S UP

CHI RIDE È FUORI IL COMICO ANGELO PINTUS, STAR DI AMAZON PRIME VIDEO, SI DIVIDE TRA IL COMEDY SHOW CONDOTTO DA FEDEZ CON MARA MAIONCHI E UNA SITCOM SULLA SUA VITA PRIMA DEL SUCCESSO di Gaspare Baglio

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ieci comici molto famosi chiusi in uno studio per una sfida senza precedenti: non ridere alle battute altrui per sei ore consecutive. Ecco il comedy show LOL - Chi ride è fuori, dal 1° aprile su Amazon Prime Video. Condotto da Fedez e Mara Maionchi, il format ha per protagonisti Elio, Caterina Guzzanti, Lillo, Frank Matano, Katia Follesa, Ciro e Fru dei The Jackal, Michela Giraud, Luca Ravenna e Angelo Pintus. Il comico e imitatore triestino, lanciato dal programma di Italia1 Colorado e consacrato dallo spettacolo teatrale record di sold out 50 sfumature di Pintus, ha deciso di partecipare allo show dopo aver visto la versione messicana. «Mi sono detto: “Perché no?”. In fondo si trattava di stare chiuso in uno studio, con persone che già conoscevo, senza preparare esibizioni». Cosa ti fa ridere oggi? Ultimamente mi sono fatto grasse risate quando hanno detto che avrebbero riaperto i teatri dal 27 marzo... Come vive la pandemia chi, per lavoro, deve fare divertire gli altri? Dal primo lockdown ho cominciato a utilizzare un po’ di più facebook e instagram e, per assurdo, ho vinto un premio come comico sui social per il 2020. Questo fa capire il livello dello stress mentale di tutti. A parte gli scherzi, senza i live non è facile. Si fatica a trovare energia positiva in giro. Anche girare la sitcom per Prime Video Before Pintus è stato difficile. Dicci qualcosa di più su questo progetto. Racconta la mia vita prima di fare il comico: mi sono improvvisato cameriere e ho vissuto a scrocco da un amico. Nel cast ci sono Maurizio Casagrande e un sacco di ospiti. Un progetto carino che, in questo momento, mi fa bene. Vorrei tornare presto a esibirmi dal vivo: le persone hanno bisogno di uscire e farsi due risate. La cosa più divertente in tempo di pandemia? Il modo tutto italiano di prendere le cose. Ogni giorno ti svegli e ti chiedi: «Ma oggi che colore è? Rosso? Arancione?». O la prendi così o la prendi male. Poi vorrei sapere cosa passa nella testa di quelli che sono da soli, in macchina, con la mascherina. A livello di fastidio per me hanno superato quelli con il monopattino (ride, ndr). È un igienismo che non ha senso, anche perché conosco gli uomini: sono gli stessi che mangiano le noccioline in un bar dopo aver fatto la pipì e non essersi lavati le mani (ride, ndr). Prossimo viaggio? Da mio papà, a Trieste, con un bel Frecciarossa da Milano. Ci manca la libertà di muoversi liberamente per l’Italia. PintusOfficial pintus21may

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UN TRENO DI LIBRI

Invito alla lettura di Alberto Brandani [Presidente giuria letteraria Premio Internazionale Elba-Brignetti]

In viaggio con il Prof

QUANDO TORNERÒ LA “SOSTENIBILITÀ” DEGLI AFFETTI E L’EPOPEA DELLE BADANTI DALLA ROMANIA ALL’ITALIA

U

na nuova prova d’autore per Marco Balzano, anche se il titolo di questo libro si lega simbolicamente all’ultimo grande successo, Resto qui. D’altronde, l’attenzione alle tradizioni si coglie anche nei due bellissimi versi del sottotitolo: «Passa sotto la nostra casa, qualche volta / volgi un pensiero al tempo ch’eravamo ancora tutti» (cfr. Mario Luzi, Il duro filamento). Balzano inizia questa sua opera con lo spirito di un archivista: ha visitato in Romania comunità e istituti di orfani bianchi, quei figli non più tali, affidati ai nonni e spesso alla strada e alla solitudine dell’alcolismo. E dà forma allo svolgersi della storia. Daniela parte dalla Romania per Milano, lasciando soli il figlio Manuel, la sorella Angelica e il marito. A nessuno di loro dice nulla, di lei resta solo un biglietto lapidario: «Ho trovato lavoro in Italia, devo andare, altrimenti non potrete più studiare e nemmeno mangiare come si deve». Emerge potente il mondo di sofferenze e privazioni di una madre, non lenite dai moderni strumenti tecnologici; l’ossessione del risparmio, per procurare alla propria famiglia una lavatrice nuova, un tetto solido sopra la testa, un liceo internazionale per Manuel; le telefonate e le videochiamate sono sempre più compulsive, in un crescendo di fredda ostilità che i due figli provano per Daniela. Mentre il padre si ubriaca sistematicamente e, dopo aver annunciato trionfalmente che

avrebbe accomodato la mansarda, prima crolla nell’ozio e poi improvvisamente decide di fare il camionista in Siberia. Per sempre. Nonostante l’anaffettività, i figli pensano: «Almeno lui ci ha avvertito». Sullo sfondo, sempre solide e serene le figure dei nonni. La vita e gli anni scorrono così: Manuel è solo e depresso, beve e beve (e forse anche di più) e purtroppo scopre l’ebrezza della velocità in sella al motorino di un compagno. In una notte senza luce ha un terribile incidente che lo getta in un coma profondo. Daniela, a quel punto, lascia Milano e comincia a passare notte e giorno ininterrottamente nella stanza d’ospedale del figlio, infrangendo regole e divieti. Riuscirà a risvegliarlo e a risvegliare il suo grande amore per lei? Il tema centrale di tutto il libro è la “sostenibilità” dei propri affetti. Tutti i protagonisti vorrebbero sostenerne il più grande numero, ma la vita agra del villaggio non lo permette. Per Manuel, affetto significa essere accudito da nonna Rosa, che sferruzza eterni maglioni, e da nonno Michai, che lo porta a pescare le trote. «Magari si può fare», è la sua frase magica, diventata il perno del mondo di Manuel, fatto della sua terra e della natura, un microcosmo dentro il quale vorrebbe soffocare di affetto sua madre. Diversa la visione di Angelica, la figlia più grande. Nel piccolo villaggio ormai le manca l’aria, ha bisogno

di Radu, il fidanzato, del suo lavoro a Berlino, del matrimonio subito, senza più curarsi delle miserie giornaliere. Le scene del matrimonio sembrano tratte dal cinema muto sovietico in bianco e nero. Daniela resta inchiodata dall’amore per i figli e dal mal d’Italia dovuto a un lavoro che la obbliga alla “sostenibilità” di tanti, forse troppi affetti, materiali e immateriali. E così Balzano, che ha iniziato questa sua opera con lo spirito scrupoloso e quasi notarile di un archivista, la conclude invece come amanuense di esistenze, sentimenti e dilemmi universali.

Einaudi, pp. 208 € 18,50 35


UN TRENO DI LIBRI

BRANI TRATTI DA QUANDO TORNERÒ

do a lei, e dopo averla ascoltata ogni cosa diventa chiara perché Angelica ha un’idea della vita, ragiona sui fatti. Io invece no, sono istintivo. Altrimenti non sarei in questo stato. Partiamo dall’inizio. Quel mattino ci siamo svegliati come al solito alle sei e ci siamo messi a cercare Moma per tutta la casa. A un certo punto abbiamo persino spostato i mobili, come se Moma fosse un anello o un mazzo di chiavi. Quando papà ha capito che sua moglie se n’era andata davvero, ha cominciato a prendere a calci le porte e a tirare pugni contro il muro. Io invece sono uscito sul pergolato, gridavo così forte il suo nome che dopo un po’ anche mio padre mi ha ordinato di piantarla. [...] – No, sarà sufficiente tenere steccata la spalla. Il neurologo crede che sia questione di tempo, come se il corpo avesse subito un trauma troppo grande da cui potrebbe riaversi soltanto dormendo. Potrebbe, – sottolinea alzando la testa. – Adesso cosa succederà? – Riposerà per tutto il tempo che gli occorre, – dice chiudendo il fascicolo e incrociando le braccia sotto il petto.

© catalinbalau\AdobeStock

«Tu non dovevi nascere». Questa frase Moma me la ripete da sedici anni. Moma è mia madre, la chiamo così fin da bambino. Qualche tempo dopo la prima gravidanza l’avevano operata all’utero e le avevano detto che poteva scordarsi di avere altri figli: per evitare che s’illudesse glielo scrissero anche sul foglio di dimissioni. Forse proprio per questo Moma mi ha sempre amato come una pazza, perché da desiderio senza speranza sono diventato carne e ossa. Intesi, non che Moma non voglia bene a mia sorella. Angelica, poi, è impossibile non volerle bene: se con me non va d’accordo è solo perché pretende ogni minuto di dirmi cos’è giusto e cosa no. Pensa di poter disporre di me, ma io ormai so cucinare e lavarmi i vestiti. Non ho bisogno di nessuno. Angelica è organizzata e generosa. Se c’è da lavorare non si tira mai indietro. Anzi, è una che si sacrifica. Un giorno stavo disegnando in cucina con Moma, che da sempre sogna una stanza tutta sua da riempire con cavalletti e tavolozze, e le ho chiesto di di-

pingere la nostra famiglia come fossimo animali: Moma cavallo, papà lupo, io gatto. Per mia sorella, invece, avevo scelto un corpo d’asino, perché Angelica è così, tira la carretta finché non stramazza. «Stai in guardia da quelli che sgobbano senza mai lagnarsi, perché un giorno si stufano e tagliano la corda», diceva nonno Mihai. Prima Angelica mi stava più simpatica, andavamo quasi sempre d’accordo. Giocava, scherzava, correva con me tra i girasoli… E soprattutto rimaneva al suo posto. Dopo che Moma se n’è andata, invece, ha iniziato a trattarmi come un’educatrice e questa cosa mi faceva saltare i nervi. «È vero, hai otto anni in più, e allora?» le ribattevo a muso duro. Angelica non rispondeva. Quando si arrabbia mai che risponda, prende la bicicletta e se ne va per campi. In questo è identica a Moma: quelle due si sfogano sempre altrove e non ti dicono la verità neanche se piangi in cinese. Insomma, mia sorella è un somaro ma ha cervello da vendere e, come tutti quelli che ne hanno, ascolta tanto e parla poco. Quando per esempio non capisco i comportamenti di mia madre o i silenzi di mio padre chie-

In questa pagina e nella successiva, ragazze rumene in abiti tradizionali 36


– Lei pensa che non sia stato un incidente? – domando con occhi vuoti. – Non lo so, signora. Era solo un dubbio che ci pareva sensato sottoporle, – dice con una voce più calda. – In ogni caso, credo che le farà bene parlare con uno psicologo. Qui in ospedale la può assistere il dottor Albescu. – Non penso di averne voglia. Lui rimane sorpreso e prima di parlare allarga le mani: – L’importante è non aspettarsi comprensione dai chirurghi. Noi siamo solo dei macellai in camice bianco. [...] Ero stufa di fare gli straordinari e di andare a pulire la casa di quella del piano sopra, così affettai la carne, aggiunsi i crauti e in un piatto preparai dei piccoli panini che poi avvolsi nella carta stagnola. Misi tutto dentro una busta di stoffa e andai al parco. Mi suonava in testa quella parola che aveva detto Clarissa: emancipata. A pensarci bene non l’avevo mai usata. In passato mi era capitato di dire libera, indipendente, ma emancipata mai. Cercai il significato preciso su internet e arrivai alla conclusione che io non dovevo emanciparmi né dai miei genitori, né da mio marito e nemmeno dal posto dove ero nata. Io dovevo emanciparmi soltanto da me stessa, e siccome durante il giorno sgobbavo, avevo il diritto di uscire di casa e di svagarmi senza sentirmi in colpa per voi, perché era soltanto per voi che facevo quella vita. Clarissa aveva ragione: potevo curarmi e vestirmi un po’ meglio senza paura di divertirmi per qualche ora. Il corpo di Giovanni, che dovevo maneggiare di continuo, mi faceva pensare a quando ero io a scegliere chi toccare e da chi essere toccata. Invece lui voleva che gli pulissi il naso come fosse una cosa dovuta, e se gli rispondevo di farselo da solo brontolava in dialetto: «Eh, ma io sono il tuo cliente!». Vagabondai per il parco, guardavo la luce del sole tra gli alberi e sopra il cielo di cristallo. Sembrava che la primavera fosse arrivata a liberarmi e di nuovo mi veniva in mente Rădeni, coi bucaneve e i fiori selvatici che ad aprile sbocciano ai margini del bosco, sotto gli alberi pieni di gemme.

© alexandrulogel\AdobeStock

Un assaggio di lettura

Certe volte, durante quelle passeggiate, ti mandavo delle foto e tu rispondevi che volevi essere con me. Allora mi sedevo sulla panchina e ti scrivevo lunghi messaggi pieni di promesse che però poi cancellavo all’istante: non aveva senso portarti in Italia, almeno finché non potevo permettermi un appartamento in affitto. Dopo aver messo a letto Giovanni perdevo ore a guardare gli annunci, ma solo facendo due conti c’era da toglierselo dalla testa. Avremmo dovuto andarcene in provincia, tirar fuori i soldi per i mezzi, tenere d’occhio le spese condominiali, fare attenzione a cosa comprare al supermercato. Non sarei riuscita a mettere via più niente e non ti avrei potuto portare nemmeno a mangiare una pizza. [...] Al mattino sembrava che dovesse piovere e io, all’idea che il pranzo all’aperto si sarebbe trasformato in un imbarazzante buffet in piedi pigiati nella nostra sala, stavo per avere una crisi di nervi. Avevo dormito dalla nonna con Natalia e Tania, che si era da poco laureata in Medicina col massimo dei voti. Siamo rimaste tutta la notte sedute sul letto a parlare, ogni tanto uscivamo fuori dalla porta per fumare una sigaretta. In quell’oretta che mi sono appisolata ho fatto un sogno: sono bambina e gioco a inse-

guire mio padre. Lo rincorro talmente veloce che a un certo punto il fiocco nei capelli che mi ha fatto mamma si scioglie e vola via. Io continuo a correre a perdifiato, e quando finalmente mi accorgo di averlo perso mi dispero rifiutando i suoi abbracci. «Bumba, non è colpa mia», mi ripete ossessivamente lui. Alle cinque siamo andate in cucina a prepararci il caffè e abbiamo trovato nonna Rosa che stava glassando i dolci col miele. Aveva già il ferro da stiro caldo per dare un’ultima passata al vestito. La cerimonia in chiesa è stata lunga e quel prete, a dir la verità, non mi è parso poi così originale. I nostri testimoni erano due amici, hanno letto una poesia e il testo di una canzone. Erano venuti anche i bambini dei vicini a cantare e Mario, di fianco all’altare, dirigeva col dito quel piccolo coro. Il pergolato era irriconoscibile, mamma aveva pulito anche i mattoni e tirato a lucido le piastrelle. Aveva foderato i tavoli con delle tovaglie fiorate che coprivano le sbucciature del legno, ghirlande e foglie di vite scendevano dal soffitto e dondolavano sotto il cielo coperto che c’era quel giorno. Sono arrivata a casa piena di riso nei capelli. Ad accoglierci sulla soglia c’erano le nostre nonne coi fazzoletti colorati in testa. Io baciavo chiunque e bevevo i 37


UN TRENO DI LIBRI

Un assaggio di lettura

bicchierini di grappa che il fratello di Radu continuava a riempire prima di proporre brindisi e canti. Dopo l’aperitivo ci siamo seduti a tavola. Tutti tranne Manuel. Se ne stava sul marciapiede che costeggia il fianco della casa con un piatto di pasticcio di carne e una lattina di Coca-Cola appoggiata per terra. Non era venuto nessuno dei suoi amici di scuola, nemmeno quei due che avevano detto che si sarebbero fatti accompagnare dai genitori. C’era solo Petru Popa, che a stento mi ha salutata con un’alzata di ciglia. Aveva un cappellino nero che si tirava continuamente sulla fronte e anche lui mangiava il pasticcio di carne bevendo Coca-Cola. Guardavano l’orto e l’aia del vicino, con le galline e i conigli che razzolavano, e a turno cambiavano canzone sul cellulare che tenevano a tutto volume appoggiato alle lattine. [...] Mamma veniva ogni dieci minuti a

domandarmi se Manuel stava bene e ripeteva che era contenta che ci fosse un suo amico. Io le davo corda e le aggiustavo il vestito che le scendeva largo sui fianchi. Non c’era ragione che le raccontassi quello che non sapeva. Lo aveva detto anche lei, la memoria è meglio che bruci. Sono tornata tra gli invitati che avevano fatto cerchio attorno a due ragazzi coi violini. Erano zingari, con la carnagione olivastra, alti e baffuti, i capelli di un nero lucido e il fisico scolpito sotto le camicie bianche e i panciotti aperti. Li aveva chiamati il fratello di Radu. Ci siamo messi a ballare, e a furia di walzer e polche siamo lentamente usciti dal pergolato fino ad arrivare sulla strada di ghiaia. I vicini si sono uniti alle danze sempre più vorticose, roteavano gonne e volavano sguardi accesi. Soltanto quando l’ultimo degli amici aveva il fiatone gli zingari hanno posato i violini e finalmente è arrivata la torta. Prima di tagliarla io e

© ANSA/DRN

Una scena del film Mar Nero (2008) di Federico Bondi

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Radu siamo entrati in casa a darci una sistemata. – Non ci posso credere, tra poco saremo a Berlino, – ho detto prendendogli le mani mentre lui mi baciava sul collo. La torta, il papanași e i biscotti al miele erano buonissimi ma non riuscivo a mandare giù nemmeno l’aria, avevo solamente voglia di sciogliermi i capelli, levarmi i fermagli e stare con Radu. Invece mi è toccato ballare fino al tramonto e fare sorrisi mentre guardavo nella macchina fotografica e nelle telecamere dei telefoni. Anche mamma sorrideva, in posa con una mano sul fianco e l’altra appoggiata alla spalla di Manuel. Vorrei avere meno paura dell’amore che mi lega a lei, del destino che potrebbe assomigliare al suo. Vorrei avere meno paura del mio viso che col tempo diventerà sempre più uguale al suo viso scavato. Verso le sette la nonna è venuta col fazzoletto in testa a dirmi che rientrava. Non l’ho mai abbracciata così forte. A parte quelle brevi passeggiate con Manuel usciva solo per fare un po’ di spesa al mercato. Non era venuta neanche una volta in ospedale, né durante la riabilitazione aveva voluto restare con noi a Iași. Nonna Rosa era rinsecchita, con le gote pallide e gli occhi acquosi, ma quel giorno il sorriso non aveva mai lasciato le sue labbra sottili e negli occhi riconoscevo lo stesso sguardo tenace che aveva quando ero bambina. Ho baciato a ripetizione le sue guance, finché lei mi ha scostato dicendo di conservare i baci per mio marito. Subito dopo se ne sono andati i genitori di Radu, con l’altra nonna che da qualche ora se ne stava in disparte vicino all’uscio. Petru ha salutato Manuel con una di quelle mosse da rapper, e in fretta ha raggiunto lo zio che lo era venuto a riprendere in macchina. Gli amici allora hanno annunciato che ci aspettavano al bar in piazza, si erano portati un cambio e prima di andarsene sono andati a turno in bagno a togliersi la giacca e l’abito per rimettersi jeans e magliette. Io e Radu li avremmo raggiunti per un ultimo bicchiere. [...]


Lo scaffale della Freccia a cura di Alberto Brandani

STAI ZITTA Michela Murgia Einaudi, pp. 128 € 13 A volte si utilizzano parole che fanno sparire le donne dai luoghi pubblici, dalle professioni, dai dibattiti e dalle notizie. E di parole ingiuste si muore anche nella vita quotidiana, dove il pregiudizio che passa per il linguaggio uccide la possibilità di essere pienamente se stesse. Questo libro è uno strumento che evidenzia il legame mortificante tra i soprusi vissuti e le parole pronunciate e ascoltate.

LA DISCIPLINA DI PENELOPE Gianrico Carofiglio Mondadori, pp. 192 € 16,50 Penelope si sveglia nella casa di uno sconosciuto, dopo l’ennesima notte sprecata. Va via silenziosa e solitaria, attraverso le strade livide dell’autunno milanese. Comincia così un’appassionante investigazione che si snoda fra le vie inesplorate della città. Una scrittura che non lascia scampo e illumina una figura femminile dai tratti epici, durissima e fragile, carica di rabbia e di dolente umanità.

LA CAREZZA DELLA MEMORIA Carlo Verdone Bompiani, pp. 224 € 17 La memoria è una scatola. Aprirla, guardare, ricordare, raccontare: è il disordine delle immagini che arrivano dal passato ad accendere la narrazione di Carlo Verdone. Uno sguardo acuto, partecipe, a tratti impietoso a tratti melanconico, su Roma e sulla sua gente. Si ride, ci si commuove, si riflette; si incontrano celebrità e persone comuni, ugualmente illuminate dallo sguardo dell’artista e dell’uomo.

LETTERE TRA DUE MARI Siri Ranva Hjelm Jacobsen Iperborea, pp. 334 € 14 In principio il nostro pianeta era un’unica e felice distesa d’acqua. La terraferma squarciò la coltre primigenia in mari e oceani, che da allora cospirano un ingegnoso piano per sommergere tutto e tornare all’unità perduta. Una narrazione epistolare che, attraverso la voce delle acque, protagoniste dei cambiamenti climatici, racconta nascita e declino dell’umanità. G.B.

FRECCIA VERDE: ANNO UNO Andy Diggle, Jock Panini Comics, pp. 152 € 19 Giovane, bello e miliardario. Oliver Queen ha tutto quello che si può desiderare. Il tradimento di un amico e un tentato omicidio lo mettono in crisi. Su una sperduta isola deserta, a contatto con la natura, fa un viaggio dentro sé stesso. E capisce di cos’ha realmente bisogno per tornare nella sua Star City da (super) eroe. La versione moderna delle origini dell’arciere di smeraldo. G.B.

FLOWER POWER Alessandra Viola Einaudi, pp. 176 € 16,50 Una riflessione per promuovere i diritti e ridurre le ingiustizie nel mondo delle piante. Il popolo verde, silente e mite, è sempre più vilipeso e falcidiato dagli esseri umani, con migliaia di specie in via d’estinzione, nonostante offra loro ossigeno e sopravvivenza. Occorre una Dichiarazione universale dei diritti delle piante, sorelle verdi che assistono e provvedono senza chiedere niente in cambio. S.G.

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Lo scaffale ragazzi a cura di Claudia Cichetti

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cichettic

’45 Maurizio A. Quarello Orecchio Acerbo, pp. 32 € 19 (da 11 anni) Un libro senza testo fatto di immagini che raccontano la Liberazione. Tra le pagine si intrecciano le vicende dell’inverno del ’45 – i rastrellamenti, le rappresaglie dell’esercito, le azioni partigiane contro i repubblichini e i tedeschi – con la storia privata di una donna qualunque, Maria, e le sue apprensioni per il marito combattente e il figlio alpino in Russia. Fino al momento cruciale dell’insurrezione e del ritorno a casa.

UNA PARTIGIANA DI NOME TINA Anselmo Roveda, Sandro Natalini Coccole books, pp. 72 € 9,90 (9-11 anni) La storia un po’ romanzata di Tina Anselmi e delle ragazze che durante la Resistenza hanno avuto un ruolo nell’azione partigiana, opponendosi all’oppressione e alla violenza. Una giovane Tina, nome di battaglia Gabriella, poi più volte ministra della Repubblica, in un racconto che parte dalla scelta di lotta, prima individuale e poi collettiva, compiuta da molti giovani della sua generazione.

QUEI SEI CONTRO L’INQUINAMENTO Squadra CCM Giunti, pp. 96 € 7,90 (da 8 anni) Chiusi nelle loro stanze durante il primo lockdown, 12 ragazzini cominciano a scrivere la cronaca delle loro emozioni. Nasce così una storia sull’inquinamento: sei piccoli eroi finiscono in un mondo lontano dal nostro, distopico, dove vivono mostri infestanti. I sei protagonisti, però, riescono a salvare quel pianeta contaminato e a tornare nel nostro, felici e in sintonia con la natura. Un eco-racconto per aiutare i bambini a tenere a distanza le loro paure.

IL VIAGGIO SEGRETO DEI VIRUS Ilaria Capua De Agostini, pp. 176 € 13,90 (da 11 anni) Abbiamo imparato a conoscerla per i suoi approfondimenti sul Covid-19. Ilaria Capua, scienziata da oltre 30 anni, con questo libro dedicato ai più giovani intraprende un viaggio alla scoperta di 11 virus che hanno inciso sulla storia degli esseri umani. Un approfondimento sul mondo naturale perché la conoscenza è fondamentale per prevenire un problema, ma soprattutto per vincere la paura. S.G.

GALILEO GALILEI. IL MESSAGGERO DELLE STELLE Francesco Niccolini, Massimiliano Favazza Becco Giallo, pp. 128 € 17 (da 13 anni) La vita di Galileo Galilei, padre della scienza moderna e della rivoluzione scientifica, narrata da strisce e disegni a matita. Con il lancio di due satelliti parte la costruzione della Costellazione Galileo, che permetterà l’aggiornamento del GPS europeo. Da questo evento prende spunto il racconto dell’astronomo, matematico e ricercatore di stelle che, tra il ‘500 e ‘600, ha ribaltato la visione geocentrica e rimesso il sole al centro dell’universo. S.G.

100 COSE DA SAPERE PER SALVARE IL PIANETA AAA. VV. Usborne, pp. 128 € 13,50 (da 9 anni) Dai batteri mangia-plastica che riducono l’inquinamento (e contribuiscono a salvare gli oceani) ai maglioni di lana in aiuto dei pinguini in pericolo. Un libro pensato per sensibilizzare ed educare i più piccoli alla sostenibilità e alla salvaguardia del nostro Pianeta. Dati e curiosità sono presentati e spiegati in maniera semplice, accompagnati da efficaci infografiche adatte alla lettura dei più piccoli. G.B.



IN VIAGGIO CON

UN VULCANO FISICO E SISMOLOGO ALL’UNIVERSITÀ DI NAPOLI, ALDO ZOLLO STUDIA LA TERRA E I SUOI MOVIMENTI. PER INTERCETTARE SEGNALI E ANTICIPARE SOLUZIONI di Andrea Radic Andrea_Radic

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andrearadic2019

no scienziato capace di applicare con chiarezza alla vita reale i principi studiati in laboratorio, diminuendo drasticamente la distanza tra teoria e pratica. Da giovane era una promessa

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del basket, ma al canestro ha preferito la fisica. E oggi dirige il laboratorio di Sismologia del dipartimento di Fisica all’Università Federico II di Napoli. Ma lo sport resta attaccato all’anima, così le partite di basket amatoriali insieme ai compagni di allora non mancano mai nell’agenda del professor Aldo Zollo, che vive nella zona vulcanica dei Campi Flegrei, quasi casa e bottega. Perché hai scelto la scienza e attraverso quale percorso formativo? Fin dal liceo mi interessava il pianeta, con i suoi processi interni ed esterni. Un carissimo amico, professore di geologia, mi suggerì la laurea in Fisica, per acquisire, diceva, le necessarie capacità di analisi. Ma anche quel rigore scientifico che oggi mi consente di guardare alla Terra con capacità di predizione e di mettere a punto stru-

mentazioni sperimentali nel settore. Quando ti è caduta in testa la mela della scienza? Nel corso della tesi di laurea: era il 1980, anno del terremoto in Irpinia, che mi coinvolse emotivamente. Da ragazzo di queste terre, cominciai a lavorare sulle ragioni dell’evento sismico, analizzando i dati per capire i motivi di tanta devastazione, dolore e morte. Fu in quel momento che mi accorsi di poter diventare un ricercatore, parte di un ingranaggio utile per la società. Scattò la passione per il laboratorio, poi il dottorato a Parigi e, al rientro in Italia, l’inizio della carriera. Riesci a mantenere un distacco scientifico nel tuo lavoro o il coinvolgimento emotivo è comunque presente? Difficile sdoppiare i due aspetti, i ricercatori sono persone che vivono


DI SCIENZA

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© jul14ka/AdobeStock

hanno origine i terremoti è limitata. Sono fenomeni che si formano a 2030 chilometri di profondità e il pozzo più profondo mai realizzato dall’uomo non è andato oltre i 12. Quindi usiamo l’osservazione indiretta, come un’ecografia al corpo del pianeta. Il Viaggio al centro della terra raccontato da Jules Verne nel 1864 resta un romanzo di fantasia? Direi di sì, anche se il progresso scientifico delle ultime due decadi ha compiuto passi inimmaginabili. Quindi non poniamo limiti alla strada della conoscenza. I fenomeni che studiamo sono molto vicini alla teoria del caos e accadono per variazioni minime rispetto a un trend. Il magma, per esempio, non risale dalle profondità in silenzio geofisico e l’obiettivo dei ricercatori è percepire in anticipo ogni segnale. È necessario, inoltre, accorciare la di-

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evacuare. D’altronde vivo ai Campi Flegrei, il vulcano della parte occidentale di Napoli. Esistono lacune nel monitoraggio dei vulcani? No. Dal punto di vista del controllo, in Italia viviamo una situazione felice rispetto ad altri Paesi. Possediamo tecnologie e capacità osservative molto avanzate, paragonabili a quelle di Stati Uniti e Giappone, siamo in grado di intercettare i seppur minimi segnali tellurici, geochimici o di deformazione del suolo. La scienza oggi ha il controllo della Terra o molto è ancora ignoto? Molto è ancora da scoprire. Nell’esplorazione dell’atmosfera possediamo mezzi per essere al centro dei fenomeni naturali. Nel caso della Terra, invece, la capacità di penetrazione con sonde dirette nelle regioni dove

do

anche emotivamente le emergenze. Durante campagne di studio e analisi sul Vesuvio e ai Campi Flegrei per capire dove si trovasse il magma, sono stato per diversi giorni a contatto con la popolazione. In quei momenti mi sono accorto dell’importanza del mio lavoro e della necessità di comunicare informazioni corrette, mi sono sentito coinvolto nell’impegno verso il progresso scientifico. Dobbiamo porre grande attenzione a ogni piccolo segno di pericolo, perché il Vesuvio causerebbe un’eruzione di tipo esplosivo, a differenza di quella recente e spettacolare dell’Etna, di tipo effusivo. Tu abiteresti mai alle pendici del Vesuvio? Sì, laddove consentito dalle regolamentazioni e con la consapevolezza di essere in una situazione a rischio, quindi pronto a dovermi trasferire o

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Il Vesuvio dall'alto (NA)

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IN VIAGGIO CON

Il professor Aldo Zollo in laboratorio

stanza tra le scoperte scientifiche e la vivibilità e sostenibilità dei territori: questo è un compito della politica, che dovrebbe aiutare la popolazione a conoscere e comprendere ciò che viene fatto per il bene comune. Servono cultura del territorio e addestramento all’applicazione dei protocolli di sicurezza. Conoscere per proteggere, quindi. Il mio gruppo di ricerca in Sismologia all’Università di Napoli sta lavorando con il settore ponti e infrastrutture di Rete Ferroviaria Italiana (RFI) sulla possibilità di utilizzare sistemi capaci di individuare in anticipo onde sismiche che potrebbero avere impatto sulla rete ferroviaria, così da adottare tutte le misure di sicurezza necessarie. Un progetto di altissima innovazione, unico a livello europeo. Dopo due anni di lavoro siamo giunti alla fase sperimentale, abbiamo lasciato la piramide di cristallo del laboratorio e siamo usciti sul campo con un obiettivo importante e delicato: proteggere la vita di migliaia di viaggiatori. Ti piace viaggiare in treno? Moltissimo, perché mi infonde un senso di serenità e tranquillità che con altri mezzi di trasporto non provo. Sulla mia tratta più frequente, Napoli-Roma, mi dedico a ciò che ho lasciato indietro, sfruttando quel tempo guadagnato che il treno mi regala. Abbiamo sufficiente rispetto della Terra? Le attività umane impattano sulla natura, è nostra responsabilità comprenderne rischi e benefici. Lo sfruttamento indiscriminato delle risorse 44

porterà problemi in futuro. Trovo che la cultura ambientale sia troppo poco diffusa: la classe politica dovrebbe avere maggior visione e volontà di investire in azioni di mitigazione ambientale a lungo termine. Forse sono investimenti poco “elettorali”, ma vedo segnali positivi da parte della popolazione riguardo al risparmio energetico e alla raccolta differenziata dei rifiuti. Percepisci nei tuoi studenti un interesse che va oltre la moda di essere green? Sì, nei giovani vedo una profondità che invece manca alle persone più adulte. Come l’estrema attenzione alla vita sana, che dimostrano anche i miei due figli ventenni. Com’è fare lo scienziato a Napoli? Il lavoro è più piacevole perché prima di tutto siamo un gruppo di persone

che condividono qualcosa e poi colleghi. Innanzitutto, possediamo il misterioso sodalizio del calcio: il Napoli ci accomuna a tutti i livelli, senza distinzione alcuna. Poi mi piace il cibo, il mare e soprattutto il modo in cui si pone la gente di questa città. Oltre alla nostra grande apertura nei confronti di tutti. Ripensando a quando eri bambino, qual è il profumo della tua infanzia? Quello della campagna nel beneventano, con i miei nonni e i miei zii agricoltori, apicultori e vignaioli, durante i momenti gioiosi della vendemmia e della pigiatura. I profumi della terra sono quelli che ho portato con me. Anche tuo fratello Massimo Zollo è uno scienziato, professore all’Università Federico II, uno dei massimi esperti nella ricerca sulle malattie genetiche. Dna di famiglia? Ci accomuna la caparbietà, necessaria a supportare il talento, affrontare le sfide più difficili e accettare le sconfitte per arrivare ai massimi obiettivi. Anche perché sono carriere che pretendono grandi sacrifici, non si smette mai di studiare, approfondire, aggiornarsi. E i tuoi figli? Margaux si è da poco laureata in Ingegneria chimica, Simon gioca a basket a livello professionistico. Come si dice, hanno seguito le orme del padre. Passioni di famiglia. aldozollo

Il giornalista Andrea Radic con Aldo Zollo alla stazione di Napoli Centrale



EARTH DAY

UN PIANETA DA SALVARE IL 22 APRILE SI CELEBRA LA 51ESIMA GIORNATA DELLA TERRA. UNA MARATONA ONLINE CHE COINVOLGE OLTRE UN MILIARDO DI PERSONE. CE NE PARLA PIERLUIGI SASSI, PRESIDENTE DI EARTH DAY ITALIA di Flaminia Marinaro

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obbiamo crescere nella coscienza della cura della casa comune. Abbiamo peccato contro la Terra. Dio perdona sempre, noi perdoniamo alcune volte ma la Terra non perdona mai». Sono le parole di papa Francesco in occasione della celebrazione della Giornata mondiale della Terra 2020, la 50esima, che si è tenuta il 22 aprile dello scorso anno in piena pandemia, durante la quale ha espresso profondo apprezzamento verso i movimenti internazionali che lottano e lavorano per risvegliare le coscienze. Cinquanta più uno sono gli anni di vita di Earth Day, l’organizzazione che prima di tutte sembra avere incarnato in modo profetico i principi dell’enciclica Laudato si’. «È nata in Usa nel 1970, dopo l’esplosione di una piattaforma petrolifera a Santa Barbara che distrusse un intero ecosistema costiero. Il senatore democratico Gaylord Nelson riuscì a mobilitare l’opinione pubblica facendo leva sugli studenti, già molto attivi contro la guerra in Vietnam. Oltre 20 milioni di americani scesero in piaz-

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za per la tutela del pianeta. Un evento epocale che indusse le Nazioni Unite a riconoscere l’Earth Day come movimento globale a tutela della Terra», spiega Pierluigi Sassi, presidente del network italiano. Poi, anche grazie al web, la protesta ha coinvolto il mondo intero. Quali obiettivi sono stati raggiunti da allora? La più grande missione del movimento è stata quella di creare una coscienza ambientale collettiva. In 50 anni l’organizzazione si è moltiplicata in modo esponenziale con 75mila partner nei 193 Paesi membri dell’Onu, diventando la realtà più impattante al mondo. Oggi la sfida è molto più complessa e l’Earth Day si sta organizzando per andare ben oltre la sensibilizzazione. In Italia i tre grandi temi riguardano l’alfabetizzazione climatica, perché tutti devono sapere cosa sta succedendo, l’educazione ambientale e l’innovazione per sviluppo sostenibile. La cosa più importante e urgente è cambiare il nostro modello economico dall’interno. Dobbiamo formare le nuove generazioni a un approccio climatico corretto e dare a tutti la piena consapevolezza delle sfide che ci troveremo davanti: secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, purtroppo, gli impegni presi dagli Stati alla Conferenza di Parigi vengono puntualmente disattesi. Il mondo intero è stato colpito dalla pandemia: si è detto che la Terra abbia reagito agli attacchi dell’uomo. Il cambiamento climatico e lo sfruttamento delle risorse hanno probabilmente fornito terreno fertile al virus. In che modo possiamo cambiare il futuro? Dobbiamo pensare ai giovani e puntare su di loro. Hanno tutto il diritto di rivendicare un pianeta sano e di contrastare modelli economici predatori. Purtroppo, i governi hanno dimostrato finora

di non saper gestire un tema così forte. Dallo storico accordo sul clima di Parigi nulla è cambiato, se non i giovani che sono tornati alla ribalta con movimenti di protesta e che vanno da tutti noi sostenuti. Earth Day lo fa con passione e guarda alle nuove generazioni in questa prospettiva perché solo loro, senza sovrastrutture, possono cambiare il mondo. Per la prima volta quest’anno e su iniziativa dell’Italia, la Conferenza sul clima sarà preceduta da una sessione interamente dedicata ai giovani. Un passaggio epocale se consideriamo l’importanza del dialogo tra le generazioni su un tema che è più di chi verrà dopo che nostro. Anche grazie ai media, sono state combattute le sperequazioni sociali e frantumate quelle camere stagne che tenevano lontani chi ha molto e chi non ha niente: oggi siamo tutti vasi comunicanti. Ancor più con il Covid-19 ci siamo resi conto di essere una sola famiglia umana in un pianeta che ha bisogno di ognuno di noi. È stata una presa di coscienza collettiva e lo stesso virus, a suo modo, ha “parlato” in senso ambientale, perché le ricerche scientifiche hanno dimostrato che il contagio è stato accelerato in modo molto significativo dall’inquinamento. Lo scorso anno, nell’impossibilità di celebrare la Giornata della Terra nello spazio fisico e simbolico di Villa Borghese, il web si è rivelato fondamentale. Qual è stato il bilancio? Avevamo scelto il cuore verde della Capitale come ombelico del mondo. Ma il web ci ha aperto una grande opportunità: la maratona mediatica del 2020 ha prodotto migliaia di contatti e dato voce a organizzazioni e persone che normalmente non ce l’hanno. La scorsa edizione è stata spettacolare: ad aprirla, uno strepitoso Zucchero


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© Carlo Landucci

Zucchero canta davanti al Colosseo per l’Earth Day 2020

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tivo giovani, in cui faremo collegamenti con le scuole e interviste in vista dell’evento alle Nazioni Unite; Obiettivo Agenda Onu 2030, in cui parleremo dei 17 goal da raggiungere con interventi di esperti e di chi si impegna ogni giorno per migliorare il mondo; Innovazione e sviluppo sostenibile, per capire che bisogna innovare per migliorare la qualità di vita e non per aumentare i profitti; Very important planet – la parte più divertente – con musicisti, sportivi, artisti e celebrità per contagiare i cuori di tutti gli ascoltatori. C’è anche un’altra piaga, ancora poco conosciuta, che affligge la nostra società: quella dei migranti ambientali. Di cosa si tratta e come possiamo combatterla? Le persone non si spostano più solo perché sono povere ma per l’incapacità della loro terra di sfamarle a causa di guerre, alluvioni, fenomeni climatici devastanti o sfruttamento da parte di colossi multinazionali che devastano le microeconomie locali. La mappa delle crisi ambientali e quella delle guerre sono drammaticamente simili. La questione ecologica è diventata anche una questione di sicurezza che

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davanti a un Colosseo illuminato di blu. Solo, al centro della piazza, come lo era stato papa Francesco in una San Pietro deserta, in preghiera per il perdono universale. Le note di Let your love be known, composta da Bono Vox e interpretata in italiano dall’artista, sono state il ringraziamento a quel gesto meraviglioso. Due immagini fortemente evocative che hanno provocato 150 milioni di contatti in pochi giorni. E altrettanti ne ha portati a casa la nostra campagna di comunicazione. Risultati importanti che danno la misura della partecipazione e della condivisione collettiva. Il servizio pubblico televisivo ha ricoperto un ruolo importantissimo, senza la Rai non avremmo potuto raggiungere tanta gente. Abbiamo avuto tanti testimonial e molti ne avremo anche quest’anno. La maratona online del 22 aprile vedrà coinvolte oltre un miliardo di persone. Come sarà strutturata? Il canale digitale RaiPlay ci offre la possibilità di essere visti da tutto il mondo. Tredici ore di diretta su temi ambientali su un canale gratuito sono il migliore esempio possibile di servizio pubblico. Sarà una staffetta di voci e di cuori – cosi amiamo definirla – una maratona con artisti, giornalisti esperti e scienziati, uno spazio virtuale ricco di contenuti ma anche di momenti di leggerezza. Quattro i blocchi fondamentali: Obiet-

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EARTH DAY

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è poi alla base di larga parte dei fenomeni migratori. Dobbiamo cominciare a parlare di ecologia integrale. La desertificazione da una parte e l’innalzamento del livello del mare dall’altra costringeranno gli abitanti di molti territori e città a modificare le proprie abitudini, se non addirittura a evacuare. Non si può pensare di fermare l’immigrazione senza affrontare il cambiamento climatico. earthday.org EarthDayNetwork earthdayitalia.org EarthDayIta earthdayitalia onepeopleoneplanet.it villaggioperlaterra


STOP GLOBAL

© Francesco Ditria

WARMING

Immagine creata per la open call di Zooppa a sostegno dell'iniziativa StopGlobalWarming.eu

UNA RACCOLTA DI FIRME PER SPINGERE LA COMMISSIONE EUROPEA A TASSARE LE EMISSIONI DI CO2 . A PARLARNE MARCO CAPPATO, UNO DEI PROMOTORI, E STEFANIA SPAMPINATO, TRA I VIP SUPPORTER di Serena Berardi - s.berardi@fsitaliane.it

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assare le emissioni di anidride carbonica per fermare il riscaldamento globale. E poi, con le risorse ricavate, ridurre le imposte sul lavoro. Un’idea da Nobel. Per la precisione un'idea di 27 premi Nobel. Ed è la proposta alla base di Stop Global Warming, l’Iniziativa dei cittadini europei (Ice) che chiede alla Commis-

sione Ue di varare una normativa per disincentivare il consumo dei combustibili fossili e favorire l’uso di energie rinnovabili, con l’obiettivo di contrastare i cambiamenti climatici e limitare l’aumento della temperatura terrestre. «Abbiamo semplicemente pensato di tradurre la dichiarazione di alcuni economisti premi Nobel in una proposta

politica. A maggior ragione in un momento come questo, con la pandemia che distrugge posti di lavoro e le emissioni che devastano il pianeta», spiega Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, fondatore del movimento di cittadini europei sullo sviluppo sostenibile Eumans e promotore dell’iniziativa. 49


EARTH DAY

«Non possiamo illuderci di poterci salvare solo attraverso comportamenti individuali virtuosi. Se non si trasforma profondamente l’intero sistema economico, gli sforzi personali non basteranno» 50

L'attrice Stefania Spampinato, tra i supporter dell'iniziativa Stop Global Warming

consumatori i soldi che perdono in termini di minor potere d’acquisto. E lo si deve fare abbassando le altre tasse, in particolare sui redditi più bassi», spiega Cappato. Se l’urgenza di agire diventa sempre più palese, c’è ancora chi nega i cambiamenti climatici: «Ognuno può pensarla come vuole, ma per conoscere come stanno le cose bisogna ascoltare la comunità scientifica. Gli studiosi non sono mai del tutto unanimi, ma hanno l’obbligo di pubblicare le proprie ricer-

che e di sottoporle alle valutazioni di altri colleghi. Senza il metodo scientifico l’uomo non sarebbe mai arrivato alla democrazia. Più che perdere tempo a convincere chi si rifiuta di capire, oggi è importante smuovere chi a parole è d’accordo ma poi non è disposto a fare nulla di concreto. Per questo abbiamo attivato la raccolta di firme», prosegue Cappato. Anche secondo Spampinato è impossibile continuare a girare le spalle, si tratta di dimostrare coscienza e senso

L'attivista Marco Cappato, tra i promotori di Stop Global Warming

© Davide Bozzalla

L’Ice, infatti, è uno strumento di democrazia partecipativa che consente di proporre modifiche ai trattati europei. Se la petizione Stop Global Warming raggiungerà l’obiettivo di un milione di firme entro luglio, verrà presentata alla Commissione Ue e discussa in Parlamento. «Abbandonare i combustibili fossili deve essere conveniente dal punto di vista economico. Fare i moralisti dell’ecologia non serve. Non possiamo illuderci di poterci salvare solo attraverso comportamenti individuali virtuosi, come fare la raccolta differenziata, mangiare meno carne e spostarsi in bicicletta. Se non si trasforma profondamente l’intero sistema economico, gli sforzi personali non basteranno. I cambiamenti culturali, da soli, sono troppo lenti», sostiene Cappato. Anche Stefania Spampinato, volto della serie tv Grey’s Anatomy e tra le decine di vip che hanno scelto di supportare Stop Global Warming, è convinta che una misura di questo genere sia necessaria, altrimenti si continuerà a inquinare senza remore. «Tutto ciò che è nocivo o pericoloso per il prossimo viene punito o scoraggiato. Se vai troppo veloce con la macchina, ti fanno la multa. Se parcheggi in seconda fila e intralci il traffico, ti rimuovono l’auto. Serve, quindi, un meccanismo che funzioni da deterrente anche per le emissioni di anidride carbonica», afferma l’attrice ambientalista. L’adozione della carbon tax potrebbe causare un aumento dei prezzi, per esempio di elettricità e benzina. Tuttavia, genererebbe un dividendo fiscale che potrebbe essere sfruttato a sostegno non solo dell’ambiente ma anche del lavoro. «Bisognerebbe restituire ai


© Davide Bozzalla

L'Acquario di Genova, struttura che ha aderito alla campagna

di responsabilità: «La stragrande maggioranza della comunità scientifica concorda sul fatto che il riscaldamento globale abbia cause antropiche. Ma, oltre a questo, gli effetti negativi tangibili sono sotto gli occhi di tutti. Così come manteniamo un ambiente salubre tra le mura domestiche, la stessa cosa deve valere per il pianeta che ci accoglie». Se da una parte la pandemia ha canalizzato tutta l’attenzione e spostato in secondo piano le altre problematiche, dall’altra ha fatto emergere una consapevolezza: «Bisogna rivedere il rapporto tra l’essere umano e l’ecosistema. Se si continua a non intervenire sulle emissioni di CO2 e l’inquinamento, le conseguenze in termini di salute e vite umane saranno molto più gravi e durature di quanto è accaduto con il

Covid-19», dice preoccupato Cappato. Dall’altro capo dell’oceano Stefania, che vive e lavora a Los Angeles, ha constatato in prima persona come il virus abbia travolto tutte le altre questioni: «Avevo esternato ai produttori di Grey’s Anatomy che ero disposta a destinare una parte del mio compenso per rendere più ecosostenibile il set. Li avevo trovati d’accordo a prescindere dal mio impegno e ci eravamo riusciti. Adesso, però, la situazione si è complicata: prima delle riprese, attori e staff devono sottoporsi al tampone e per effettuarlo viene gettata via ogni giorno un’enorme quantità di plastica, tra mascherine, guanti e altri dispositivi monouso. Ovviamente, quello che conta ora è non far ammalare le persone. Ma, appena superata l’emergenza,

occorrerà intervenire in maniera decisa per invertire la rotta». Nel caso la petizione online centri l’obiettivo del milione di firme entro luglio, la Commissione Ue sarà obbligata a dare seguito alla proposta. «Ho fiducia che a quel punto potranno accoglierla e studiare una legge europea. Il problema è che non resta più molto tempo, non solo per le firme, ma per mantenere una condizione di vita decente sulla Terra», conclude Cappato. Il pianeta, già malato e con la temperatura alta prima del Covid-19, non può aspettare ancora per essere preso in cura. stopglobalwarming.eu stopglobalwarming.eu sgw_eu

© Michael Braha

Una volontaria impegnata a promuovere la campagna

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EARTH DAY

IL SUONO DELL’OCEANO

L'installazione Answer to the Call alla mostra The Soul Expanding Ocean #1: Taloi Havini

DISTESE D’ACQUA DA ASCOLTARE. A VENEZIA, UNA PERSONALE DI TALOI HAVINI TRASPORTA IL VISITATORE IN UNA PICCOLA ISOLA DEL PACIFICO ATTRAVERSO UN'INSTALLAZIONE IMMERSIVA di Francesca Ventre - f.ventre@fsitaliane.it

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na visione dell’oceano diversa e stimolante che usa il suono come strumento per misurare lo spazio. È questo il senso dell’opera di Taloi Havini, nata nell’isola di Bougainville, in Papua Nuova Guinea, e attualmente residente a Sidney, in Australia. 52

Foto gerdastudio

L’artista utilizza fotografie, sculture, videoinstallazioni immersive e tecniche miste per affrontare temi come la rappresentazione, l’eredità e gli habitat dell’Oceania. Il suo lavoro viene esposto per la prima volta in Italia nella personale The Soul Expanding Ocean #1: Taloi Havini,

all’Ocean Space di Venezia fino al 17 ottobre, salvo cambiamenti dovuti alle restrizioni per contrastare il Covid-19. La mostra, commissionata e prodotta da TBA21–Academy e a cura di Chus Martinez, è progettata proprio per questo centro planetario, situato


all’interno della Chiesa di San Lorenzo, che si propone di contribuire alla ricerca sugli oceani e all’alfabetizzazione sul tema. L’artista utilizza diversi strumenti sensoriali per invitare il pubblico a riflettere sull’evoluzione del mondo, con sequenze di suoni che nella testa dei visitatori si trasformano in un ricordo interiorizzato. L’installazione Answer to the Call evoca il mare intorno a Bougainville, la terra natale di Havini, attraverso 22 diffusori acustici a tre livelli d’interazione e un set teatrale dalle tinte indaco e blu oltremare. Lo spettatore è invitato a raccogliersi per ascoltare l’oceano, come se fosse seduto proprio sulla piccola isola del Pacifico. Nel creare queste singolari armonie, Havini utilizza la sua lingua Hakö, alcuni canti di viaggio locali e un pezzo strumentale composto da Ben Hakalitz, musicista noto a Boungainville. Infine, aggiunge delle registrazioni subacquee frutto di una mappatura sonar catturate a bordo della nave R/V Falkor, durante un viaggio nelle acque

dell'Australia nord-orientale. Un progetto che ha unito artisti e scienziati, nell'ambito del programma ArtistAt-Sea dello Schmidt Ocean Institute, coproduttore della mostra, per un’esplorazione interdisciplinare dei mari. In particolare, Havini ha cercato di misurare la velocità del suono per produrre inedite mappature ad alta risoluzione dei fondali oceanici. Oltre a questa esposizione, nell’Ocean Space veneziano è ospitato anche il secondo capitolo di Territorial Agency: Oceans in Transformation, a cura di Daniela Zyman, commissionato e prodotto da TBA21–Academy. La mostra, aperta fino al 29 agosto – salvo cambiamenti legati alle misure anti Covid-19 – intende affrontare i pericoli causati dall’innalzamento delle acque, dalla devastazione ecologica degli oceani e dalla fragilità e volatilità dell'economia derivanti dalle imponenti trasformazioni dell'ambiente marino. ocean-space.org tba21.org/academy oceanspace.org

Una veduta della mostra Territorial Agency: Oceans in Transformation

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EARTH DAY

NEL SEGNO DELL’

ACQUA

© Pierluigi Orler

CON IL MOTTO REFILL YOUR BOTTLE, BRESSANONE CELEBRA QUESTA PREZIOSA RISORSA. E A MAGGIO PROMUOVE UN FESTIVAL PER RIFLETTERE SUL SUO CONSUMO CONSAPEVOLE di Silvia Del Vecchio - s.delvecchio@fsitaliane.it

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lla confluenza tra il fiume Isarco e il Rienza, Bressanone (BZ) ha un rapporto viscerale con l’acqua. Quella che sgorga dalla vicina sorgente della Plose è ritenuta la più leggera e pura, in Europa, tra quelle di alta montagna. E la cittadina della Valle Isarco vanta anche la più alta densità di fontane con acqua potabile in un centro storico dell’arco alpino. Tutto, qui, sembra sottolineare l’importanza di questo bene prezioso. «Quest'anno abbiamo voluto partecipare agli eventi organizzati intorno alle fontane del centro storico e lungo i fiumi, proprio per ricordare un lusso

che 1,8 miliardi di persone sul pianeta possono solo sognare», dice Karl Michaeler, amministratore delegato dell’Asm (Azienda servizi municipalizzati) di Bressanone. Dall’estate 2019 viene promossa la campagna Refill your bottle per incentivare il consumo della potabile di qualità contro l’acquisto di acqua in bottiglie di plastica. E dal 7 al 30 maggio, Covid permettendo, la città altoatesina rilancia con il Water Light Festival, che trasforma i principali luoghi urbani in un mare di luci. «Un’occasione per insegnare a bere con attenzione, vivere l’acqua consapevolmente e renderne meno scontato il consumo», spiega Lidia

Prader, responsabile sostenibilità della cooperativa Bressanone Turismo. Come si svolge il Water Light Festival? Artisti locali e internazionali trasformeranno i punti d’acqua di Bressanone e dintorni in luoghi luminosi e magici, grazie a installazioni e idee creative. Più di 20 fontane, il punto di confluenza tra i fiumi Isarco e Rienza e altri tesori storico-culturali saranno reinterpretati per diffondere un uso sostenibile delle risorse idriche attraverso il motto Acqua è vita - luce è arte. Qualche nome tra gli artisti che partecipano quest’anno?

Luminéoles by Porté par le vent, Water Light Festival 2019 54


L’altoatesina Petra Polli, residente in Germania, che con il progetto The right to choose riflette sull’impatto ambientale del processo di tintura dei tessuti, spesso inquinante perché le acque di scarico delle industrie non vengono adeguatamente filtrate. Così, un video proietta su strisce di cotone naturale le immagini di un fiume diventato del colore di moda della prossima stagione. Lo studio creativo Ocubo metterà invece in primo piano la bellezza e la fragilità dei ghiacciai con l’opera luminosa immersiva Glacier, mentre The Global Warning del trentino Stefano Cagol invita a riflettere sul mosaico di cause ed effetti del cambiamento climatico. Ancora, l’olandese Ivo Schoofs propone l’installazione interattiva Inverse frequency controllata da una leva che può essere mossa dai visitatori mostrando possibili ripercussioni sul clima, e il finlandese Kari Kola tingerà con le sue luci blu il Forte di Fortezza e il punto confluenza

tra i fiumi Isarco e Rienza. Nonostante le 48 fontane di Bressanone, nel centro di riciclaggio cittadino vengono smaltite ogni giorno circa 4.300 bottiglie di plastica. Soluzioni? Speriamo di raggiungere sempre più persone attraverso campagne di sensibilizzazione, progetti e festival come questi. Possiamo rompere le cattive abitudini solo grazie a una gestione consapevole e a un’attiva prevenzione dei rifiuti. Tocca a ognuno di noi fare la differenza: siamo sani quando lo sono anche la natura e l’ambiente. Quali progetti sostenibili avete intenzione di promuovere nel corso dell’anno? Il valore della sostenibilità è saldamente ancorato nella strategia di Bressanone Turismo e del nostro Comune. Nel campo della mobilità, consegniamo gratuitamente agli ospiti delle strutture ricettive convenzionate la Brixen Card, che consente di utilizzare in modo illimitato treni regionali,

autobus urbani ed extraurbani. Inoltre, favoriamo i prodotti locali e i fornitori regionali, e dall’estate 2019, abbiamo lanciato la campagna Refill your bottle insieme ai gestori delle baite e dei rifugi del monte Plose, per dire no alla plastica monouso. Le fontanelle sono state censite e contrassegnate con la targa Refill e abbiamo realizzato una borraccia in acciaio inossidabile, eliminando anche le bottiglie di plastica dietro i banconi. Il progetto è stato esteso poi a tutta la città di Bressanone. Inoltre, abbiamo misurato la nostra impronta di CO2 e lavoreremo per ridurla, utilizziamo carta ecologica e prestiamo attenzione alla prevenzione e alla separazione dei rifiuti, organizzando per esempio il mercatino di Natale plastic free. La sostenibilità è un processo e spesso l’effetto si vede dopo molti anni, ma è tempo di ripensare ogni cosa in tal senso. brixen.org

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EARTH DAY

ECOLOGIA

© Giorgio Galano/Adobestock

DIVINA

TUTELARE LA NATURA E DIFENDERE GLI ANIMALI È ANCHE UN ATTO DI FEDE. DA SAN FRANCESCO A SAN BENEDETTO, STORIE E LUOGHI DI RELIGIOSI AMBIENTALISTI di Francesca Ventre - f.ventre@fsitaliane.it

La Basilica di san Francesco ad Assisi (PG)

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zione per la natura e gli animali. SAN FRANCESCO L’ECOLOGISTA In primis san Francesco d’Assisi, che nel suo Cantico delle creature chiama fratelli il sole, il fuoco e il vento e considera sorelle la luna, le stelle e «nostra matre terra». Non a caso papa Francesco ha scelto di chiamarsi proprio come il religioso, da cui ha appreso l’attenzione per l’ambiente e si è ispirato per l’enciclica del 2015 Laudato si’. Da quell’anno, ogni 1° settembre si celebra la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato, una ricorrenza che va avanti fino al 4 ottobre per sensibilizzare i credenti sulle buone pratiche da adottare

per proteggere il pianeta. E se san Francesco fu nominato da Giovanni Paolo II il patrono dei cultori dell'ecologia, la sua città – immersa nella verde Umbria – è simbolo della bellezza del creato e di attenzione alla sua tutela. Tutti conoscono la Basilica nella piazza principale, affrescata da capolavori di Giotto, ma per ripercorrere le orme del Poverello bisogna arrivare anche al Santuario della Porziuncola, dove era solito raccogliersi in preghiera. O fare tappa al Santuario di San Damiano, la chiesa che il santo trovò in stato di abbandono e decise di ricostruire pietra su pietra dopo che, durante una preghiera,

La statua con san Francesco e il lupo, Gubbio (PG)

© lcphoto80/Adobestock

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uardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai e il Padre vostro celeste li nutre. Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone fu vestito come uno di loro» (Matteo 6, 25-34). L’ammirazione verso il creato e l’interesse per la sua tutela sono presenti dovunque nella Bibbia e sottolineati nel Vangelo. L’eredità spirituale della conservazione della Terra è stata raccolta nei secoli successivi da diversi santi, che hanno dimostrato una particolare atten-

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© JooRoberto/Adobestock

EARTH DAY

Il Santuario di san Damiano ad Assisi (PG)

Cristo sembrò invitarlo dal crocifisso a «riparare la sua casa in rovina». Lungo il suo cammino in missione di povertà, Francesco si fermò anche a Gubbio. È commovente l’incontro con il lupo che il Santo riuscì ad ammansire tanto da portarlo a poggiare il muso sul suo ginocchio. Il prodigio, dovuto a doti straordinarie di sintonia con le creature del 58

pianeta, avvenne nella zona dove è sorta poi la piccola Chiesa di san Francesco della pace. NATURA E ANIMALI AL CENTRO Molto sensibile nei confronti della natura e dei suoi abitanti era anche sant’Antonio Abate che, nel III secolo d.C., visse per 80 anni in solitudine in Egitto. Considerato il protettore degli animali, si festeggia il 17

gennaio, nel pieno dell’inverno, per propiziare l’arrivo della primavera. Sono tante quel giorno le tradizioni religiose che si celebrano in tutta Italia, con protagonisti i piccoli amici dell’uomo, per l’occasione benedetti davanti ai luoghi di culto. Anche il romano san Filippo Neri, vissuto nel ‘500, non sopportava che le bestie fossero maltrattate:


sorgere un agnellino a cui era molto affezionato e auspicava per tutti un ritorno alle origini, quando ci si nutriva solo dei prodotti della terra. Un altro prodigio, nel 1464, consolidò il suo legame con gli elementi naturali. Il Santo avrebbe dovuto attraversare con altri due frati lo Stretto di Messina, ma non avendo denaro non trovò nessuno che li trasportasse. Così, sostenuto da una solida fede, stese sulle onde il suo mantello, legandolo al bastone e creando così una sorta di barca, tanto sicura da portare lui e i suoi compagni di

viaggio sulla terraferma. In sintonia con la natura aspra ed essenziale, viveva anche san Girolamo, spesso ritratto con poche vesti in mezzo al deserto. Nel dipinto conservato nelle Gallerie degli Uffizi a Firenze, Giovanni Bellini lo mette al centro di un paesaggio scarno e selvaggio in fondo al quale si apre la veduta di una città, emblema della contrapposizione fra natura e civiltà. TRA ORTI E PREGHIERE A inseguire l’obiettivo di una relazione armonica tra uomo e natura

© Francesco Bonino/AdobeStock

i suoi atti di canonizzazione testimoniano che non poteva passare vicino ai macelli, perché soffriva nel vedere gli animali che sarebbero stati soppressi con crudeltà. Era un vegetariano ante litteram san Rocco, raffigurato spesso con un cane al suo fianco, pronto a leccargli le piaghe della peste. Mentre San Francesco di Paola, venerato nella cittadina in provincia di Cosenza, dove si trova un santuario a lui dedicato, è stato protagonista di alcuni miracoli legati agli animali e all’armonia con la natura. Fece ri-

45x31 cm 300DPI Veduta del Santuario di san Francesco di Paola, Paola (CS)

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© misterbike/Adobestock

EARTH DAY

L’Abbazia delle Tre Fontane, Roma

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© Claudio Giusti

Giovanni Bellini, San Girolamo nel deserto (1480 circa), Gallerie degli Uffizi, Firenze

sono anche molti consacrati al Signore, tra frati e monache, che si dedicano ancora oggi a coltivare orti e curare giardini per ottenere prodotti a chilometro zero. A poca distanza dal centro di Roma vivono i frati trappisti dell’abbazia delle Tre Fontane, seguaci di san Benedetto e della sua regola ora et labora, che prevede un’alternanza quotidiana tra ore di preghiera e tempo dedicato al lavoro della terra. Dai loro orti, in un’oasi di pace, provengono frutta e verdura di stagione, olio extravergine, miele, birra e la rinomata cioccolata. Mosse dallo stesso spirito di comunità, sono le monache cistercensi di Nostra Signora di Valserena a Guardistallo, in provincia di Pisa. Il loro lavoro manuale è dedicato soprattutto alla raccolta delle olive per produrre l’olio e, in tempi di pandemia, venderlo online. Il modo migliore e più umile di seguire il messaggio di papa Benedetto XVI: «Una parte della vita monastica, insieme alla preghiera, è anche il lavoro, la coltivazione della terra in conformità alla volontà del Creatore. Così in tutti i secoli i monaci, partendo dal loro sguardo rivolto a Dio, hanno reso la Terra vivibile e bella».


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SPORT

SFIDE ESTREME SCALARE LE MONTAGNE PIÙ ALTE DELLA TERRA IN PIENO INVERNO. O ATTRAVERSARE TRE OCEANI IN BARCA A VELA. COSÌ L’ALPINISTA SIMONE MORO E IL VELISTA GIANCARLO PEDOTE SI CONFRONTANO CON LA POTENZA DELLA NATURA di Flavio Scheggi

© Archivio Simone Moro

Simone Moro durante una spedizione sul Manaslu, in Nepal

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e montagne più alte della Terra, da scalare in inverno, sono la passione di Simone Moro. L’alpinista bergamasco, 53 anni, è l’unico uomo ad aver raggiunto nel-

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la stagione più fredda e senza ossigeno quattro cime di oltre ottomila metri, Shisha Pangma, Makalu, Gasherbrum II e Nanga Parbat, tutte appartenenti alla catena dell'Himalaya, conquistando record assoluti. Sempre pronto ad accettare l’insuccesso e a ripartire ogni volta più forte di prima: «Le mie capacità sono nettamente inferiori rispetto alle difficoltà che ho incontrato in montagna. Accettarlo mi ha consentito di ragionare con la testa e non con il cuore e di sopravvivere ai miei sogni», ha dichiarato a fine febbraio dopo aver tentato per la terza volta di scalare in inverno il Manaslu, l’ottava vetta della Terra. Ci riproverai? Ho già in programma di farlo. Voglio arrivare i primi di dicembre nella valle dell’Everest, e acclimatarmi scalando qualche cima di seimila metri. Poi alla fine del mese o a inizio gennaio 2022 proverò per la quarta volta l’impresa su questa montagna. Come è l’inverno a ottomila metri? Pone tre problemi. Innanzitutto il freddo, perché non c’è mai un luogo dove riscaldarsi. Poi ti costringe alla pazienza, perché devi stare anche 1520 giorni dentro la tenda ad aspettare una finestra di bel tempo per iniziare la scalata. Infine, ti obbliga all’autonomia, poiché in pochissimi possono venire ad aiutarti o a portarti i viveri. Anche le normali attività quotidiane diventano difficili… È vietato lamentarsi. Bisogna rimuovere dal vocabolario espressioni come “ho fame”, “ho freddo”, “quanto manca”. Nell’ultima spedizione non mi sono lavato per 51 giorni. Le salviettine umidificate con 40° C sottozero diventano dure come il cemento. Devi sciogliere la neve e usare un thermos di cinque litri se vuoi farti una doccia. E poi c’è sempre l’insuccesso da mettere in conto. Certo, devi essere allenato a fallire. Le statistiche dicono che nell’85%

delle spedizioni invernali non si riesce a raggiungere la vetta. Malgrado tutto, è affascinante: vedi le montagne com’erano mille anni fa, ti senti un esploratore. Come stanno i ghiacciai? Purtroppo, non bene. Non ci siamo accorti in tempo di quanto fosse rapido il loro scioglimento. Vado in Himalaya da 30 anni, ma negli ultimi 15 si è verificato un importante assottigliamento e, da un anno all’altro, metto i ramponi sempre più in alto anziché a cinquemila metri. I ghiacciai adesso sono solo sulle vette oltre i seimila. Nelle tue spedizioni quali accorgimenti prendi per tutelare la natura? Durante l’ultima ascensione eravamo in 15 al campo base, abbiamo prodotto energia elettrica usando i pannelli solari. E tutti i rifiuti, sia biologici sia compostabili, sono stati riportati a valle. Cosa possiamo fare nel quotidiano per contrastare il cambiamento climatico? Il pianeta può essere salvato solo modificando il nostro stile di vita. Ci stiamo lamentando invece di agire, facendo docce più brevi, abbassando il riscaldamento in casa, usando meno l’ascensore e muovendoci con mezzi non inquinanti. Se tutti iniziassimo ad avere queste piccole attenzioni, ci sarebbe uno stravolgimento planetario in favore dell’ambiente. Il Covid-19 ci ha spinto a riscoprire la montagna? La scorsa estate in tanti hanno scelto le nostre vette e quest’inverno c’è stato un boom nell’acquisto di racchette da neve e attrezzature per lo sci alpinismo, che permettono di esplorare la grande oasi di libertà che è la montagna. Esce proprio in questi giorni il libro che hai scritto con la tua manager Marianna Zanatta, Il team invisibile, edito da Rizzoli. Con Marianna siamo compagni di cordata da 20 anni. Abbiamo deciso di raccontare quello che c'è dietro a una spedizione in montagna, riflettendo su come affrontare le sfide del mondo che sta cambiando. SimoneMoroOfficial iamsimonemoro

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SPORT

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are il giro del mondo in barca a vela, in solitaria e senza scali, non è da tutti. Per questo la regata Vendée Globe è la sfida di ogni velista d'altura. Considerata l’Everest del mare, viene disputata ogni quattro anni con partenza e arrivo a Les Sables-d'Olonne, in Francia. In mezzo c’è la circumnavigazione del

globo attraverso gli oceani Atlantico, Indiano e Pacifico. Un viaggio di circa tre mesi per esplorare i confini liquidi del mondo e le profondità del proprio essere. Giancarlo Pedote, fiorentino di 45 anni laureato in Filosofia, è l’unico italiano che ha partecipato a questa edizione. Alle 13.02 del 28 gennaio 2021, dopo

© Martina Orsini

Giancarlo Pedote a bordo della Prysmian Group

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aver percorso oltre 24mila miglia (45mila chilometri) e vissuto 80 giorni in mezzo agli oceani a bordo della sua Prysmian Group, è entrato nella storia della vela italiana. Con un ottavo posto ha stabilito il miglior risultato di sempre nel settore per un tricolore. Dopo quasi tre mesi in mare, come ti sei ricaricato?


È stato sufficiente incontrare la mia famiglia, passare del tempo con i miei bambini e rivedere gli amici. Mettere i piedi a terra dopo quasi tre mesi di mare è già riposo. E poi ritrovare le cose normali della vita: una doccia

G iancarlo Pedote

calda, un letto comodo che non si muove, una coperta asciutta e la possibilità di dormire a sazietà. Quali condizioni atmosferiche hai dovuto affrontare? Trentacinque gradi all’equatore con un’aria irrespirabile per il gran caldo. Sotto il 50esimo parallelo, invece, ho navigato con temperature vicine allo zero e acqua gelata a sei gradi che mi arrivava addosso a secchiate. A Capo Horn, il punto più meridionale del Sudamerica, tirava un vento fino a 50 nodi. Come hai trovato la salute del mare? Il nostro percorso non prevedeva la zona delle isole di plastica. Ma mi sono sorpreso per le isole di alghe, dovute al riscaldamento globale, nella zona dell’equatore. In che modo hai tutelato l’ambiente durante la regata? Ho riportato a terra tutti i rifiuti non biodegradabili, imballaggi e contenitori vari. Quando sono arrivato a Les Sables-d'Olonne avevo accumulato otto sacchi grandi di spazzatura. Rimanere da solo per 80 giorni è stata anche un’esperienza introspettiva… Tutte le avventure in solitaria sono un viaggio interiore, soprattutto quelle in mare. Quando navighi per settimane in mezzo all’oceano hai sempre lo stesso paesaggio: cielo, acqua e nuvole. È lì che l’uomo inizia a incontrare se stesso. Com’erano scandite le tue giornate? Attraverso due momenti cruciali legati allo studio del meteo, a inizio e a fine giornata. In base alle previsioni facevo il cambio delle vele e regolavo la barca. Mi preparavo tre pasti al giorno con cibo liofilizzato o cucinato con la pentola a pressione. Il sonno, invece, si riduceva a micro sonnellini di 40 minuti al massimo. E la vita a bordo? Un monoscafo di 18 metri è una scatola di carbonio praticamente vuota. Il massimo del comfort è affidato a una

branda, un secchio e un fornelletto che, con un po’ di immaginazione, si trasformano in letto, bagno e cucina. Il resto dello spazio è occupato da vele, attrezzi e strumentazione di bordo. Hai accarezzato la tua imbarcazione all’arrivo. Perché? La abbraccio sempre quando finisco una regata: è il mezzo che mi permette di compiere l’impresa. Ho un senso di gratitudine verso la mia barca, soffro con lei, vivo in costante ascolto di tutti i rumori che fa. Prysmian è stata la mia fedele compagna per 80 giorni, ha sopportato le onde e il brutto tempo. Il Covid-19 ci sta aiutando a riscoprire la natura? Difficile parlare per tutta l’umanità. Ma probabilmente questa pandemia ha obbligato ognuno di noi a guardarsi dentro. Durante la prima passeggiata dopo il lockdown della scorsa primavera, ho osservato il mondo e capito davvero quanto era prezioso. L’avevo davanti agli occhi tutti i giorni senza rendermene conto. Quanto è importante tutelare l’ambiente? L’attenzione verso la salvaguardia della Terra è fondamentale. La questione ecologica è un problema che dobbiamo affrontare subito, altrimenti lo lasceremo ancora più grande ai nostri figli. Come in mare, le criticità vanno risolte sul momento e non quando diventano ingestibili. Cominciando, per esempio, a scegliere mezzi di trasporto green. Sono sempre stato un grande utilizzatore del treno, per quello che rappresenta dal punto di vista della sostenibilità. Tra Firenze e Roma impiego meno tempo che in auto e ho l’opportunità di relazionarmi, leggere e lavorare. Cosa farai adesso? Inizio a costruire le basi per il prossimo giro del mondo. Sto cercando un altro grande sponsor da affiancare a Prysmian Group per avere un budget importante che mi permetta di realizzare un progetto ambizioso per il Vendée Globe 2024. giancarlopedote.it giancarlopedote75 GiancarloPedote giancarlopedote

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MODA

SOSTENIBILE CON STILE CAPI ECO-FRIENDLY E A CHILOMETRO ZERO. LA MODA GREEN DELLA DESIGNER LAURA STRAMBI CHE UTILIZZA SOLO TESSUTI ORGANICI E AD ALTA TRACCIABILITÀ di Cecilia Morrico MorriCecili morricocecili

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l rispetto dell’ambiente è un valore imprescindibile per la designer Laura Strambi. Con voce pacata, ma determinata, ci racconta che per le sue collezioni utilizza solo materiali tracciabili, organici ed eco-friendly. Il brand nato nel 2012, che porta il suo nome, è una realtà in espansione che comprende anche una linea accessori e una di essenze per la casa – i cui proventi supportano le donne in difficoltà – oltre che diversi store all’estero e un sito per la vendita online. Come nasce la sua filosofia green?

Vengo dal Monferrato, sulle colline piemontesi, un luogo che ha saputo trasmettermi l’amore per la natura. Certo vivo a Milano, dove lavoro e costruisco le mie relazioni, ma lì ho le mie radici. Che mi hanno consentito di ragionare sul mio lavoro di fashion designer e capire che la moda avrebbe dovuto andare oltre l’estetica. È normale che alla base del lavoro di uno stilista ci sia la bellezza, ma questa va supportata con un messaggio che per me è il rispetto per l’ambiente. Il mio sforzo più grande a livello professionale riguarda la ricerca dei materiali.

Laura Strambi Primavera-Estate 2021

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La tua collezione primavera-estate si intitola Mother Earth. Qual è il suo fil rouge? Nasce da un lavoro meraviglioso: l’abito-opera realizzato con l’artista Franco Gervasio ed esposto fino a gennaio al Museo Salvatore Ferragamo di Firenze nell’ambito della mostra Sustainable Thinking. In esso sono racchiusi tutti gli elementi della Terra: il mare, il cielo, le montagne, i campi. L’abbiamo pensata durante il lockdown e volevamo dare un mesL’abito-opera realizzato con l’artista Franco Gervasio ed esposto al Museo Salvatore Ferragamo di Firenze

Fragranza Home & Body Laura Strambi

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ra

per chi ne parlava dieci anni fa. L’Italia, come sempre, è leader in questo ambito di ricerca e le aziende produttrici sono le prime a proporre questi tessuti. I tuoi capi sono anche a chilometro zero, visto che vengono prodotti in due fabbriche a Milano e a Biella. Ho scelto due aziende con una filiera interna certificata, dove c’è il giusto rispetto per i lavoratori. Ma anche vicine, per evitare l'impatto energetico del trasporto e della distribuzione. Mi stupisco ancora di come in Italia si continuino a preferire gli spostamenti su strada, quando con la rete ferroviaria si potrebbero ridurre notevolmente le emissioni di CO2.

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Utilizzi solo tessuti biologici, naturali e ad alta tracciabilità. Quali sono i tuoi preferiti? Il mio primo amore è il cotone organico che, a differenza di quello non organico, cresce in un terreno non trattato con prodotti chimici: una metodologia che giova sia all’ambiente sia a chi è impiegato in queste piantagioni perché non viene esposto ai pesticidi. Essere sostenibili significa anche rispettare la filiera produttiva e chi ci lavora. Uso questo tessuto per la maggior parte dei prodotti: abiti, camicie e pantaloni. Poi il lino o il ramiè per i capi estivi, mentre per quelli invernali scelgo la lana da economia circolare e quindi riciclata. Sulle fibre tessili stiamo facendo un grande lavoro di ricerca: siamo stati tra i primi a usare il pinatex, ricavato dalle foglie di ananas. Con questo tessuto, al Met Gala del 2017, abbiamo vestito Livia Firth, fondatrice di Eco Age, il primo negozio sostenibile ed etico a Londra. Quanto è difficile reperire questi materiali? Anni fa avrei risposto molto, oggi invece è più facile. La sostenibilità è diventata importante per tutti, non solo

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saggio incoraggiante. Anche i colori scelti sono molto naturali: il sabbia, l’azzurro, il celeste e il verde, che non manca mai e uso sia d’inverno sia d’estate. Qual è il futuro di Laura Strambi? Nell’immediato, lo showroom direzionale a Milano e a Düsseldorf per approcciarsi al mercato tedesco: penso che sia pronto ad accogliere il mio progetto sostenibile. E poi vorrei aprirne uno in Giappone. All’interno del brand, invece, abbiamo lavorato sugli accessori: per la primavera 2021 è stato realizzato uno stivale completamente in cotone organico, con tacco di gomma riciclata e rivestito in legno. Inoltre, abbiamo aperto l’e-commerce e lanciato la nostra prima fragranza per la casa. È un’essenza dalle note agrumate che può essere usata negli ambienti ma anche sul corpo. Viene venduta online e parte del ricavato è destinato alla FIVE onlus - Fondazione internazionale verso l’etica per realizzare comunità di accoglienza dedicate alle donne in difficoltà. Moda e ambiente. Che cosa c’è da fare ancora? Bisogna iniziare ad adottare un metodo progettuale sostenibile. Dall’eliminazione degli sprechi alla ricerca sui tessuti. Il lockdown ci ha insegnato a capire meglio che cosa ci serve davvero. La Terra è un dono e non va pensata solo come un bene di cui usufruiamo. Se la consumiamo e basta finiremo per portarla alla distruzione, dobbiamo invece preservarla per le generazioni future e insegnare loro come prendersene cura. laurastrambi.com laurastrambi 67


MODA

IL BELLO DELLA NATURA L’ART DIRECTOR SIMONE GUIDARELLI FIRMA DUE PROGETTI ARTIGIANALI CHE PUNTANO A RICOPRIRE GLI ABITI E LA CASA DI ANIMALI, PIANTE E FIORI

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ncontriamo, telefonicamente, Simone Guidarelli durante un set fotografico, mentre sta scattando un servizio per il magazine Vanity Fair, di cui è fashion editor. L’art director visionario e amante della natura non si riposa mai e firma una collezione dall’animo green con Cuoio di Toscana, casa che vanta l’eccellenza di una pelle conciata al vegetale unica in Italia. Con lo stesso spirito innovativo, ha cominciato una collaborazione con Officinarkitettura, giovane brand emiliano specializzato in carte da parati e rivestimenti sostenibili. Com’è nato il progetto con Cuoio di Toscana? Tutto è partito dal mio canale instagram, dove ho pubblicato i servizi per Vanity Fair e i miei wallpaper onirici. Il mio lavoro è piaciuto e così mi hanno contattato per creare un’opera prima con me. Quando ho visto i bancali di cuoio bianco e durissimo come il legno, con cui creare gli abiti, ho pensato che fosse una bellissima sfida. Ci abbiamo lavorato un anno intero, andando nelle concerie storiche d’Italia per capire come portare questo materiale complicatissimo da sotto la suola delle scarpe a sopra, per realizzare magari una giacca o un cappello. E qui si vede la bravura e la sapienza del made in Italy, la capacità di sedersi a tavolino e trovare soluzioni originali. Abbiamo iniziato con gli occhiali, dove la rigidità del cuoio poteva essere ben sfruttata e pian piano siamo riusciti a renderlo più morbido creando stivali cuissard

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© Cosimo Buccolieri

di Cecilia Morrico MorriCecili morricocecili

Simone Guidarelli e una delle sue grafiche

stampati all over e poi l’intera collezione, chiamata Twenty21. Come è avvenuta la trasformazione del materiale? Il cuoio viene tagliato in fette sempre più sottili, poi viene immerso nelle botti e infine ammorbidito a mano. È un processo lungo ed ecosostenibile, se si procede con i ritmi giusti e rispettando i prodotti. Quando mi sono approcciato a questo lavoro pensavo di poter realizzare un articolo a settimana, ma poi l’artigiano mi ha spiegato che per fare un pezzo bisognava aspettare un mese. Questi sono i tempi per i grandi brand del lusso. Ora stiamo portando avanti tantissime prove sui colori e sulla loro tenuta. I disegni sono fatti a mano, incredibilmente dettagliati, poi vengono passati allo scanner e digitalizzati. Avete scelto un motivo iconico?

Sì, il gallo. Volevo che fosse il loro biglietto da visita. Cuoio di Toscana mi aveva chiesto un animale, magari della giungla. Ma per me il gallo sottolinea l’italianità, mi ricorda Firenze, il Rinascimento e la campagna di questa regione splendida. Quanto è importante oggi il rapporto tra artigianalità e sostenibilità? Abbiamo cercato di mettere insieme questi due mondi lavorando con un materiale ecosostenibile e stando attenti alla sua provenienza. La filiera e la tracciabilità sono importantissimi per chi vuole definirsi green. E, in questo caso, lo è ogni passaggio. La natura è sempre presente nel tuo lavoro, soprattutto nelle stampe. È l’elemento fondamentale. Ho sempre voluto inserire animali, piante e fiori sulle stampe e le carte da parati. Io vengo dalla campagna marchigiana


La capsule collection Twenty21 di Simone Guidarelli per Cuoio di Toscana

Le nuance sono molto forti, dal nero luminosissimo al giallo, dall’arancio al rosa. Vorrei che le mie creazioni prescindessero dal tipo di persona che le acquista. Spero che siano capaci di innescare un ricordo, come la casa della nonna o un bel giardino rimasto nella memoria. Cosa dovrebbe fare la moda per rispettare sempre di più l’ambiente? Innanzitutto, bisogna capire che non basta prendere un vecchio vestito dall’armadio, tagliarlo e dipingerlo a mano per farlo diventare un capo green. Bisogna partire dai tessuti e dalla tracciabilità dei processi. Fino a qualche anno fa si pensava che il cuoio non fosse sostenibile, ora invece sappiamo che una sneaker realizzata con questo materiale è assolutamente green. Il mondo della moda dovrebbe studiare un po’ di più e darsi regole chiare e condivise.

© Officinarkitettura

e mi è stato trasmesso fin da piccolo il rispetto per la natura. Ormai corriamo sempre, mentre per avere il tempo giusto dovremmo seguire il ritmo calmo ed equilibrato delle stagioni. Anche il progetto con Officinarkitettura riprende le tue grafiche per i rivestimenti interni. Un’altra collezione che guarda all’ambiente. Partiamo dal fatto che ciò che rende rare le carte parati è il disegno. Nel mio caso è sempre realizzato a mano, da solo o con il mio team. Officinarkitettura offre tantissime soluzioni nel panorama del wallcovering, dalla carta da parati ecologica o in Tnt (tessuto non tessuto) alle lastre in kerlite decorata a mano che mantiene invariati i colori brillanti. Il processo costa un po’ di più, ma consente diverse soluzioni e garantisce la tracciabilità dei tessuti e dei colori, oltre alla certezza di sapere dove vengono smaltiti. A cosa pensi quando realizzi i tuoi wallpaper? Me li immagino sulle pareti di una casa: il proprietario è seduto sul divano, un po’ annoiato o assorto nei suoi pensieri, e si ritrova le mie stampe davanti agli occhi. Ecco, vorrei che in quel momento riuscisse a stupirsi dei piccoli dettagli. Per i disegni scelgo sempre fiori dai colori vivaci da cui fuoriescono diversi animaletti. Anche la disposizione della carta non avviene mai in modo standard per evitare il classico effetto a colonne. Così non stanca mai: è bellezza del classico con un tocco moderno.

simoneguidarellihome.com cuoioditoscana.it officinarkitettura.it simoneguidarelli

FEDEZ PER SEVEN Zaini, easy backpack, astucci, quaderni e anche un diario realizzati con tessuti di poliestere ricavato da bottiglie in PET e carta riciclata. È la capsule per la scuola di Seven ideata da Fedez, in vendita da giugno 2021. Un progetto che punta alla salvaguardia dell’ambiente e all’educazione dei cittadini, come spiega il rapper: «Ho voluto realizzare una linea pulita, minimal e dall’anima urban, in tendenza con lo stile contemporaneo. Ma, allo stesso tempo, ho cercato di sensibilizzare le giovani generazioni a riflettere sul rapporto con il pianeta, uno dei temi più urgenti del nostro tempo. Con Seven sono riuscito a dare una forma a tutto questo». seven.eu

Simone Guidarelli per Officinarkitettura

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TRAVEL

FIUMI DI DALLA DORA BALTEA ALL’ISONZO, ITINERARI GREEN DA RAGGIUNGERE IN TRENO E PERCORRERE IN BICICLETTA SEGUENDO IL RUMORE DELL’ACQUA

© Albert Ceolan/GettyImages

di Silvia Del Vecchio s.delvecchio@fsitaliane.it

In bicicletta lungo l’Adige (BZ) 70

«A

lmeno una volta l’anno, vai in un posto dove non sei mai stato prima». È il buon consiglio del Dalai Lama – che tutti speriamo di poter seguire presto, liberi dal Covid – ad aprire il travel book Ciclovie di Trenitalia: un invito a scoprire itinerari green, con la bici e il treno regionale, anche costeggiando i principali corsi d’acqua del nostro Paese. Camminare lungo le rive di un fiume accompagnati dai suoni e i profumi del bosco, scoprendo capolavori naturali e luoghi incontaminati, è una delle opportunità più rilassanti e rigeneranti che la primavera possa offrire.


PEDALATE LA DORA BALTEA E I SUOI GIOIELLI Si può partire da Aosta, pedalando (o passeggiando) fino alla stazione ferroviaria di Verrès lungo le anse della Dora Baltea. Attraverso 50 chilometri di piste ciclabili ben mantenute e strade a bassa intensità di traffico s’incontrano splendidi castelli, come quelli di Fénis e Issogne, ma anche ponticelli, vigneti e boschi, con un’unica salita impegnativa che porta a Saint-Vincent. Un altro itinerario, di media difficoltà ma per lo più pianeggiante, corre parallelo alla Dora Baltea nel cuore del Canavese, in Piemonte. Da Chivasso (TO) si raggiungono le frazioni di Betlemme e Mandria percorrendo vie secondarie e poi un saliscendi fino al lago di Candia, il cui parco è una delle zone umide più importanti della regione. Qui si possono ammirare la flora e la fauna lacustri, come ninfee,

iris, castagne d’acqua, pellicani e aironi bianchi e rossi. E non manca il bike park per chi vuole affittare una due ruote. Un ultimo tratto pianeggiante porta poi a Ivrea. Attraversata sempre dalla Dora Baltea, che dal Monte Bianco confluisce dolcemente nel Po, questa cittadina gode di bellezze naturali come l’Anfiteatro Morenico, un rilievo di origine glaciale creato dal trasporto di sedimenti nel bacino del fiume. A dominare il paesaggio, su una collinetta, il Castello Sabaudo dalle caratteristiche torri rosse. DAL TICINO AL PO Un altro itinerario da non perdere parte da Pavia, la città delle 100 torri, una delle località lombarde più ricche di storia. Catturano lo sguardo i pittoreschi vicoli del centro storico, la maestosità del Castello Visconteo, i chiostri universitari ricchi di storia e cultura,

la Basilica di San Michele, capolavoro romanico-longobardo e luogo delle incoronazioni imperiali, e la Basilica di San Teodoro, dedicata al protettore di pescatori, barcaioli e commercianti. Percorrendo il Ponte Coperto, antica porta della città, si raggiunge Borgo Ticino, dove le piccole case dei fiumaroli sono a pochi passi dalla riva. Appena oltrepassata la porta sull’argine, ci si ritrova immersi nel lussureggiante Parco del Ticino. Da sempre legato in modo inscindibile al fiume, nel borgo il tempo scorre placido come l’acqua. Meritano una visita le riserve naturali Bosco Negri e Bosco Grande, ricche di specie vegetali e animali tipiche degli ambienti fluviali e paludosi. Per osservare il gioco delle correnti nel punto in cui il Ticino confluisce nel Po, e si mescola a lui per due chilometri, si va sul Ponte della Becca,

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che congiunge i comuni di Vaccarizza e Tornello. Seguendo il grande fiume, lungo la ciclopista del Po e la Via Francigena, si arriva a Piacenza, tra paesaggi dimenticati e luoghi ricchi di curiosità e aneddoti legati ai popoli che da millenni ne abitano le rive. Il Po scorre sotto i ponti piacentini, si insinua nelle lanche dell’Isola de Pinedo e si allunga verso Isola Serafini dove, dalle grandi spiagge bianche che il fiume crea e disfa continuamente, si assiste allo spettacolo dell’Adda alla fine del suo viaggio. Il sito visitporiver.net raccoglie tutte le informazioni sulle ciclovie e i consigli di viaggio per esplorare al meglio il più importante corso d’acqua italiano. Che nasce torrente dal Monviso, poi cresce e si gonfia con i primi affluenti fino al suo ingresso trionfale a Torino: qui è d’obbligo una visita al Castello e al Parco del Valentino che si specchiano nelle sue acque calme. IN SELLA LUNGO L’ADIGE Un’altra ciclabile ben descritta nel travel book di Trenitalia è quella dell’Oltradige, 20 chilometri da Bolzano a Caldaro, realizzata recuperando il tracciato di un’ex ferrovia di fine ‘800. Il primo tratto fino a Castel Firmiano segue e incrocia il corso dei fiumi Isarco e Adige, passando attraverso vigneti e gallerie, dopodi-

© lorenzobovi/AdobeStock

Parco del Valentino, Torino

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© cosca/AdobeStock

TRAVEL

Dora Baltea (AO)

ché le possibilità sono due: seguire il percorso verso il Lago di Caldaro, il bacino d’acqua naturale più grande, basso e caldo delle Alpi, dove ci si immerge già da maggio, o passeggiare fino in paese. I più allenati possono pedalare da Trento a Bolzano per 60 chilometri lungo l’Adige, mentre per chi vuole semplicemente godersi l’aria di primavera, in sella o a piedi, c’è il Tru do l’Ega, sentiero lungo l’acqua. Si parte dal paese di Badia (BZ) seguendo il torrente Gadera, su strada sterrata fino a La Villa e ritorno. Solo dieci chilometri con poco dislivello, adatti anche alle

famiglie con bambini, con una divertente sosta al Parco dei cervi di Sompunt. Chi vuole può proseguire, sempre lungo il Gadera, fino a Corvara o, verso est, per San Cassiano. SULLE RIVE DEL SILE In Veneto, il tracciato della ferrovia dismessa che collegava Treviso a Mantova porta a scoprire verdi campagne ricche di gioielli architettonici tra cui Villa Badoer, Villa Cornaro e Villa Pisani. Gli ultimi chilometri del tratto padovano della Treviso-Ostiglia passano per Piazzola sul Brenta, dove non può mancare una tappa alla barocca Villa Contarini. La ci-


© dianacrestan/AdobeStock

La Riviera Garibaldi del fiume Sile, Treviso

vincia di Udine s’incontrano Buja, Osoppo, Gemona e Venzone, uno dei borghi più belli d’Italia, con le sue imponenti mura medievali e celebri monumenti come il Duomo di Sant’Andrea e la Cappella di San Michele. Lungo la Val Canale s’incrocia diverse volte il fiume Fella, che confluisce nel Tagliamento vicino Venzone, in un paesaggio bucolico quasi fiabesco. Superando Pontebba e Tarvisio si giunge al confine di Coccau, dove la ciclovia Alpe Adria prosegue per altri 234 chilometri fino a Salisburgo, in Austria. Vicino a Udine, invece, Cividale del Friuli –

cittadina dai molti luoghi d’interesse culturale – offre la visione del Natisone che corre verso l’Isonzo. In sella si percorre facilmente la strada principale che collega Cividale con la Valle dell’Isonzo, costeggiando Monte Matajur lungo il Natisone, godendo di scorci meravigliosi come la veduta del santuario della Beata Vergine di Castelmonte, della chiesa di Sant’Antonio con la cima del Krn sullo sfondo o del ponte di Napoleone nella stretta dell’Isonzo, sconfinando in Slovenia fino a Tolmin. trenitalia.com/it/treni_regionali/i_nostri_travel_book

Una bici lungo il Delta del Po

© alessandrogiam/AdobeStock

clabile è attualmente percorribile da Treviso a Grisignano di Zocco (VI), per una sessantina di chilometri, mentre a Badoere (TV) si incrocia la pista del Sile. Da non perdere l’Oasi di Cervara, dove madre natura è regina, bagnata dai fiumi Sile e Siletto, con ingresso dal trecentesco mulino circondato anche dalle acque del torrente Piòvega. Qui, dove un tempo era attiva la peschiera, oggi si ammira il sistema di cattura dei pesci ben ricostruito nell’Oasi, mentre la ruota di legno gira ancora azionata dall’acqua limpida. Un ambiente naturale intatto, classificato come sito di interesse comunitario per il rifugio della fauna selvatica e la conservazione della flora spontanea del Sile. DAL TAGLIAMENTO ALL’ISONZO In Friuli-Venezia Giulia a spiccare è il Tagliamento, con i suoi 170 chilometri di acque verdi e turchesi che attraversano le montagne. Ha una bellezza algida, come le Alpi Carniche da cui nasce. È possibile seguire il suo corso compiendo un viaggio all’insegna della natura selvaggia, grazie ad antiche vie di pellegrinaggio lungo le quali ammirare deliziosi paesini. C’è poi la tratta italiana della ciclovia Alpe Adria, 176 chilometri da Grado (GO) a Tarvisio (UD). Si parte dalla città lagunare collegata alla terraferma con un ponte ciclabile di sei chilometri, direzione Aquileia-PalmanovaUdine. Pedalando verso nord, in pro-

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© robertonencini/AdobeStock

CITTÀ DA CAMMINARE LA PRIMA È UN GIOIELLO ETRUSCO NELLA VALDICHIANA. LA SECONDA È CONSIDERATA L’ATENE DEL TRENTINO. ALLA SCOPERTA DI CORTONA E ROVERETO, DOVE IL VIAGGIO (A PIEDI) È A MISURA D’UOMO di Valentina Lo Surdo

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hi vuole scoprire l’Italia al ritmo lento dei propri passi, ad aprile può visitare due magnifiche città, crocevia di cammini in più tappe o anche solo di passeg-

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valentina.losurdo.3

ValuLoSurdo

ilmondodiabha ilmondodiabha.it

giate da compiere in giornata: Cortona e Rovereto. Due suggerimenti di viaggio perfetti in tempo di Covid-19 visto che, per le loro caratteristiche urbane e territoriali, entrambe non

risentono delle criticità tipiche dei grandi centri abitati e offrono diverse opportunità di turismo outdoor. CORTONA: SINFONIA ETRUSCA Situata al confine con l’Umbria, af-


Cortona (AR)

facciata sulla Valdichiana e sul Lago Trasimeno, la nota cittadina in provincia di Arezzo appare incastonata in un territorio collinare, protetta dalla cinta degli Appennini. Da secoli Cortona attrae i visitatori offrendo un’immersione totale nel suo patrimonio storico-artistico a contatto con la natura, senza dimenticare l’eccellente tradizione enogastronomica. Già la scorsa estate questa cittadina si è dimostrata capace di ospitare il flusso turistico in completa sicurezza e tuttora Cortona offre l’opportunità di vivere in modo ideale la dimensione del buen retiro, con il

suo centro storico pedonale a misura d’uomo e i magnifici sentieri che la circondano. Un luogo dove viene naturale trascorrere la maggior parte del tempo all’aria aperta e che da febbraio è ancor più facilmente raggiungibile grazie al Frecciarossa che lo collega ai maggiori centri del nord Italia. All’interno delle sue mura scopriamo innanzitutto perché sia considerata zona etrusca per eccellenza: suggestioni indelebili di una civiltà antica si scoprono visitando il Museo dell’accademia etrusca e della città di Cortona (Maec) e le sorprendenti aree

archeologiche più a valle, dove spicca la presenza di due impressionanti tumuli. Al Maec, dal 23 aprile al 12 settembre, è in programma la mostra Luci dalle tenebre, dai lumi degli Etruschi ai bagliori di Pompei. Mai finora era stata realizzata un’esposizione consacrata alle antiche tecniche di illuminazione e ai rituali connessi e il museo su questo tema gioca un ruolo fondamentale custodendo il celebre Lampadario etrusco, un unicum a livello mondiale. La mostra è inoltre arricchita dai prestigiosi prestiti concessi dal Mann di Napoli e dal Museo archeologico di Firenze. 75


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Eremo Le Celle, Cortona (AR)

IN CAMMINO PER LA RIPRESA Oltre alla possibilità di ammirare i resti etruschi, secoli di storia e cultura hanno forgiato la fama di Cortona: sono molti infatti i palazzi, le chiese e i musei che esaltano gli splendori dell’arte medievale e rinascimentale – tra i nomi più celebri legati alla cittadina ci sono Pietro da Cortona e Luca Signorelli – e persino futurista. Ma va segnalato anche il successo di Cortonantiquaria, in programma dal 20 agosto al 5 settembre, la più longeva mostra di settore a livello nazionale. Dal 21 al 23 maggio, poi, si accendono le luci sulle eccellenze enogastronomiche con la tre giorni intitolata La rinascita riparte dalla speranza, che valorizza la carne chianina Igp e il Syrah dei vignaioli cortonesi protagonisti insieme a rinomati chef ed enologi. A salutare l’arrivo della bella stagione, il 18 giugno passeranno poi le auto della Mille Miglia e, sempre in tema di motori, il 20 è fissato l'arrivo della Colonna della Libertà, la carovana di veicoli storici militari risalenti alla Seconda guerra mondiale, mentre il 18 settembre sarà il turno del Gran Premio Nuvolari. L’estate è all’insegna della musica e della fotografia con un cartellone di appuntamenti in cui la fanno da padrone i teatri naturali all’aperto, come 76

il Parco archeologico del Maec. Fra gli appuntamenti in programma, tra il 15 luglio e il 26 settembre è previsto Cortona on the move, intitolato quest’anno We Are Humans, festival internazionale della narrativa visuale realizzato nei palazzi del centro storico e alla Fortezza del Girifalco. C’è poi il rapporto straordinario che questo territorio intesse con i cammini, rappresentando una tappa obbligata per chi percorre la lunghissima Via Romeo-Germanica, che in 2.200 chilometri dalla Germania raggiunge Roma, o la Via Lauretana Toscana, antico asse etrusco-romano che in 108 chilometri collega Cortona a Siena, il sentiero della Bonifica, 62 chilometri tra Arezzo e Chiusi, e il percorso B (130 chilometri) dei Cammini di Francesco, da La Verna (AR) ad Assisi. D’altronde Cortona è meta storica del turismo francescano, grazie alla presenza dell’Eremo delle Celle fondato proprio da San Francesco, raggiungibile in tre chilometri dal centro con una piacevole passeggiata. Per gli appassionati dell’outdoor, si segnalano ancora una ventina di ulteriori percorsi, tra sentieri e itinerari ciclo-pedonali, alcuni specifici per il trail running e la mountain bike, distribuiti in montagna e a fondo valle. ROVERETO E I CAMMINI URBANI

La seconda città protagonista del nostro reportage è situata al centro della Valle dell’Adige, adagiata tra colline e vigneti: è Rovereto, la porta del profondo nord. Con il suo centro storico-palcoscenico, che l’ha portata a essere definita l’Atene del Trentino, è nota a livello mondiale come Città della pace, grazie alla presenza dell’imponente Campana dei caduti. Fusa con il bronzo ricavato dai cannoni delle nazioni che parteciparono alla Prima guerra mondiale, diffonde ogni sera un messaggio universale di pace con i suoi 100 rintocchi. Ma, soprattutto, Rovereto è una città da scoprire a piedi percorrendo le vie del centro come un viaggio ideale attraverso diverse epoche. Dal Medioevo che corre lungo le mura dei Castelbarco alla dominazione della Serenissima riflessa nella Casa del Podestà, fino al Primo conflitto mondiale raccontato nelle sale del Castello, Rovereto riflette la sua storia in percorsi di tale ricchezza che sono stati suddivisi, in collaborazione con l’Associazione guide e accompagnatori turistici del Trentino, in quattro itinerari tematici che vanno in staffetta di sabato in sabato fino alla fine dell’anno. Il primo è consacrato al cosiddetto Chilometro delle meraviglie: con par-


realizzate molte opere di Ambrogio, quindi ci si inoltra nella Rovereto del secolo dei Lumi, passando in rassegna Palazzo Fedrigotti, il Teatro Zandonai e i palazzi Alberti Poja, dell’Istruzione e dell’Annona. La terza opportunità di esplorazione a piedi trova il suo titolo nella Città della seta. Si parte stavolta da piazza Podestà e si viene poi introdotti all’economia della Rovereto tardo-medievale e rinascimentale, scoprendo le rogge, il primo filatoio cittadino, piazza Erbe, Palazzo Todeschi, il filatoio Tacchi e Palazzo Masotti, dove termina l’itinerario. Mentre la quarta passeggiata ci porta a scoprire i luoghi di Depero, partendo proprio dalla celebre casa d’arte futurista dell’istrionico talento, roveretano d’adozione. La visita prosegue verso via Rialto con un focus sulle prime esperienze dell’artista, concludendosi in piazza Rosmini dove furono esposte le sue prime opere. LA CULTURA NON SI FERMA Nel rispetto delle norme anti Covid-19, anche Rovereto propone un ricco cartellone di eventi per la primavera-estate, come le mostre del

Mart Giovanni Boldini. Il piacere, già pronta e in attesa di poter essere visitata, Picasso, de Chirico, Dalí: dialogo con Raffaello, con oltre 70 opere che raccontano come i maestri del ‘900 guardarono all’arte del grande urbinate, e Botticelli. Il suo tempo e il nostro tempo, che parte da 20 capolavori del sommo pittore fiorentino proseguendo attraverso le opere di artisti e stilisti contemporanei che rileggono la sua iconografia. Ma arrivare a Rovereto, da aprile a ottobre, significa anche mettersi sulle tracce dei dinosauri: gli esperti della Fondazione Museo civico di Rovereto sono pronti ad accompagnare il pubblico nella visita di un sito tra i più importanti d’Europa, in località Lavini di Marco, a sud della città, dove è stato scoperto un giacimento paleontologico con centinaia di orme lasciate da questi rettili preistorici. Infine, per gli amanti della musica c’è il festival Settenovecento, che dal 17 al 21 giugno offrirà la condivisione di percorsi musicali differenti, in nome dell’incontro tra i diversi generi. Con Rovereto sempre più al centro dell’arte. cortonamia.com | visitrovereto.it Rovereto (TN)

© Chiara Zeni/AdobeStock

tenza dal ponte Forbato, attraversa il quartiere di Santa Maria per proseguire verso Palazzo Pretorio. La narrazione, che trova dettagli nelle sontuose decorazioni esterne, tocca anche lo splendido castello, sede del Museo storico italiano della guerra, via della Terra, la chiesa e la porta di San Marco, il bastione Basadonna, fino a raccontare i passaggi di Mozart, del conte di Cagliostro e del giovane Fortunato Depero. L’itinerario continua tra piazza delle Oche, via Valbusa e piazza Rosmini, Palazzo Del Ben, corso Rosmini, il Boulevard di Rovereto, e corso Bettini, dove la passeggiata si conclude nell’agorà del Mart, il celebre Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, presieduto da Vittorio Sgarbi. Il secondo percorso ritrae questa città come punto di riferimento dell’avanguardia, dai lavori nella seconda metà dell’800 all’apertura del Boulevard di corso Rosmini, approfondendo l'importanza storica dell’Accademia roveretana degli Agiati e di Palazzo Rosmini, casa natale del filosofo Antonio Rosmini e dello zio e architetto Ambrogio. Si va avanti lungo il viale che vede

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TRAVEL

INEDITA U S S I TA

UNA GUIDA “NONTURISTICA” PER SCOPRIRE LA CITTÀ SUI MONTI SIBILLINI, COLPITA DAL SISMA DEL 2016-2017, ATTRAVERSO LE STORIE DEI SUOI ABITANTI di Cesare Biasini Selvaggi - cesarebiasini@gmail.com

© Cristiana Rubbio

Un ussitano mentre legge la guida nonturistica

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di Macerata che, colpita dagli eventi sismici del 2016-2017, si è rialzata con fatica e orgoglio. Come mai avete scelto Ussita? Mi sono avvicinato a questo paese quando mi sono chiesto quale contributo potessi dare alle comunità del centro Italia straziate dalle ferite del terremoto, come potevo aiutarle a ricostruirsi. Con questa domanda, grazie all’intuizione di Paolo Piacentini, scrittore e grande esperto di cammini, ho incontrato C.A.S.A. (Cosa Accade Se Abitiamo, ndr), un’associazione locale di ragazze e ragazzi che hanno scelto di tornare a vivere in montagna, o restarci dopo il sisma, per supportare i territori in modo costante. Attraverso questa realtà sono riuscito a conoscere Ussita da nonturista, in un’esperienza immersiva. Che cosa significa? È il passaggio a una dimensione più totalizzante dell’esperienza di viaggio, meno connessa all’acquisto di un servizio. È un cambio di paradigma nel modo di intendere il nostro tempo libero: più che da una raccolta di foto e dalla compilazione di una check list, il nonturista è mosso

Ediciclo Editore, pp. 160 € 16

dal desiderio di conoscere meglio se stesso attraverso le scoperte che fa durante il percorso, seguendo le deviazioni disegnate dagli abitanti dei luoghi che visita. A Ussita quali sono gli itinerari meno noti e le digressioni indicate dalla gente del posto che avete scoperto? Quelli nonturistici sono due e, al loro interno, includono diversi percorsi. Il primo, chiamato Vivere Qui, Frontignano, frazione di Ussita (MC) © Luca Tombesi (C.A.S.A.)

«L

a gente di un posto non si orienta con le mappe, si orienta con le storie», scrive Wu Ming 2 per la guida “nonturistica” Ussita (Monti Sibillini), edita da Ediciclo Editore. Un testo dove scrittori, artisti, sociologi e fotografi dialogano con gli abitanti del paese per raccontare itinerari inediti capaci di rappresentare lo spirito più autentico del luogo. In un momento in cui si parla sempre più spesso di ridisegnare finalmente la vocazione e il modello di sviluppo turistico del Paese all’insegna della responsabilità, della sostenibilità e della lentezza, Federico Bomba, presidente di Sineglossa, ha inaugurato una collana editoriale di guide definite, appunto, nonturistiche. Partendo da quella di Ussita, piccola cittadina in provincia

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© Cristiana Rubbio

TRAVEL

Federico Bo

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raccoglie i racconti degli abitanti sotto forma di punti di interesse incastonati in otto cammini ad anello, adatti a tutti. Un modo per coinvolgere il viaggiatore nella vita della comunità, guidandolo in un’esplorazione urbano-naturalistica dei luoghi che caratterizzano la nuova quotidianità̀ post sisma e la storia del territorio. Sono cammini che ripercorrono ricordi e memorie degli abitanti per scoprire le tante frazioni della cittadina. Ricalcano vecchie

© Antonio Di Cecco

Monte Bove Sud, vista verso Monte Vettore

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vie di comunicazione e intersecano il torrente Ussita tra mulini e vecchie centrali idroelettriche, fino a indagare lo sviluppo urbanistico delle frazioni più alte, tra modernità e abbandono, attraversando tracce e simboli a cui la comunità attribuisce i significati più inaspettati. Il secondo itinerario, Dalla valle alle vette, è lungo 30 chilometri ed è diviso in quattro parti, tra andata e ritorno: un’ascesa dal fondovalle al Monte Bove, appartenente alla zona settentrionale della catena dei Sibillini e simbolo del territorio. Si tratta di un’esperienza spirituale guidata dalle parole dello scrittore aquilano Alessandro Chiappanuvoli e accompagnata dai lavori del fotografo Antonio Di Cecco, in cui

allevate le trote per il Papa. Mariano e suo padre vi racconteranno questa e altre storie, anche più recenti, come quella del progetto Life Trota, che ha consentito di conservare le ultime popolazioni esistenti di trota mediterranea, unico esemplare originario dell’Italia centro-meridionale. Al Bar due monti, poi, si fanno sempre incontri speciali: è il punto di ritrovo per chi ha voglia di scambiare due chiacchiere, anche con altri viaggiatori. Basta sedersi per un caffè o un aperitivo, per entrare, in breve, nel vivo della politica locale dell’Alto Nera. Salire al Valico delle Arette, uno dei punti più panoramici dei Sibillini, offre invece la possibilità di abbracciare l’intera valle con un unico

l’immaginazione del viaggiatore è l’elemento imprescindibile per dare corpo alle suggestioni e agli accadimenti storici narrati dalle parole e dalle immagini. Cosa fare a Ussita? Come passare il tempo in maniera nonturistica? Sono infinite le cose da scoprire, oltre a quelle che ho appena raccontato. Si può andare a trovare Mariano che ogni giorno lavora al trotificio di famiglia, lungo il torrente Ussita, laddove in passato venivano

sguardo. Da lassù si possono immaginare pastori e pecore transumanti che, a inizio estate, dal fondovalle si spostano in carovana verso le verdi praterie d’alta quota. Le mucche al pascolo di razza marchigiana sono di una famiglia di allevatori della valle e ogni giorno salgono e scendono dalla località di Vallestretta. Alzando lo sguardo al cielo, nelle ore più calde della giornata, si può incrociare la coppia di aquile reali che abita la parete nord del Monte


© Mauro Pennacchietti

Punto panoramico in località Le Arette

Bove, intente nella caccia quotidiana. Ma, soprattutto, è suggestivo osservare come cambiano i luoghi e le persone in un territorio in forte mutamento, dove la ricostruzione sta finalmente ripartendo, insieme alle speranze degli abitanti. Che ruolo ha la cucina in questo tipo di ricettività? Quali le pietanze da assaggiare? Molti territori si raccontano proprio tramite la loro tradizione culinaria, dietro alla quale spesso sono racchiusi tutti gli usi e i costumi che fanno di un luogo “quel” luogo. E Ussita non è sicuramente da meno, con una cucina legata ai sapori del-

la terra e al lavoro in alta montagna. All’interno della guida non sono contenute delle vere e proprie ricette – quelle vanno scoperte direttamente sul campo – ma narrazioni che intrecciano gastronomia e personaggi. Le descrizioni dei sentieri sono intervallate da curiosità sulla vita di un tempo, come l’uso del “tascapane”, borsa nella quale i pastori si portavano dietro pane, formaggio e salumi. Un piatto tradizionale è sicuramente la pezzata: per utilizzare il pane secco si iniziava a cuocere una pecora nel brodo, lessata e a pezzi, poi venivano aggiunte le patate. Una preparazione lunga e un

procedimento di accudimento dal sapore antico, a cui il pane faceva da base. Piatti semplici legati alla vita umile di un tempo, fatta di dolci come la fregnaccia o il torciglione, alcuni persino cotti al camino, o scandita dalla spremitura del mosto durante la vendemmia, come una bevanda piuttosto “spiritosa”, detta acquarello. Tre parole con cui promuoveresti l’Italia attraverso il tuo nuovo approccio nonturistico? Una storia vera. nonturismo.sineglossa.it #cosaaccadeseabitiamo

© Cristiana Rubbio

Presentazione della guida nonturistica in piazza dei Cavallari, a Ussita

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TRAVEL

L A VIA DEL

CIOCCOLATO DA TORINO A MODICA, PASSANDO PER PERUGIA, UN VIAGGIO NELLE CITTÀ DELL’ORO NERO. TRA SPECIALITÀ ARTIGIANALI E CREATIVITÀ DEI MAÎTRE CHOCOLATIER

© rh2010/AdobeStock

di Gianna Bozzali - a cura di vdgmagazine.it

Torino 82


© Rosario Scalia/AdobeStock

V

i sono città dove il cioccolato non è solo un buon cibo ma un bene prezioso, al pari di un monumento o un’opera d’arte, capace di attirare sia gli amanti del cibo degli dèi sia chi desidera avvicinarsi a una tradizione millenaria. Esistono percorsi di viaggio tra le capitali europee dove il cacao è un bene da tutelare e tramandare: qui i turisti vengono presi per la gola e restano incantati dalla bravura dei maître chocolatier. Bruxelles, Vienna, Parigi sono le tappe principali di un meraviglioso itinerario tra praline, tazze di cioccolata fumanti e bonbon, alla scoperta di laboratori e bar storici che rimandano all’uso antico del cacao degli Aztechi e dei Maya ma, attraverso il costante amore degli artigiani, ci proiettano verso un uso più moderno e creativo di questo prodotto. In Italia, il viaggio parte senza dubbio da Torino, la terra del gianduiotto. Nel 1560, per festeggiare il trasferimento della capitale ducale da Chambéry alla città sabauda, Emanuele Filiberto di Savoia offrì agli abitanti, in modo simbolico, una tazza di cioccolata calda. E fu amore al primo sorso. La cicolaté (così è chiamata in dialetto torinese), magari sormontata da tanta panna montata, è perfetta in inverno ma non va disdegnata neppure in primavera, insieme al caffè in tazzina di vetro con sopra uno strato di cioccolato caldo. In alternativa, c’è il gianduiotto. Nato nel 1865 da Michele Prochet, un artigiano che unì il cacao alla nocciola delle Langhe, fu il primo cioccolatino a essere incartato. Ma l’arte torinese del settore è saputa andare oltre, differenziando i prodotti: basti citare l’alpino, ripieno di una crema liquorosa, il boero, con guscio di cioccolato e morbido cuore alcolico, e il cremino, composto da tre strati, quelli esterni di gianduia e quello interno di pasta alla nocciola. Tappa imprescindibile per i chocolate lovers è la bottega di Davide Appendino, nel centro di Torino: un autentico piccolo tempio del cioccolato, che si completa con una serra botanica dove ammirare le piante di cacao. Il maestro del gusto cerca le migliori fave, le macina a pietra e le trasforma in un prodotto di

Gli 'mpanatigghi, tipici dolci al cioccolato di Modica

grande qualità. Il risultato principale e più apprezzato del suo lavoro sono le tavolette monorigine bean to bar, che partono direttamente dai semi senza subire processi industriali: un viaggio sensoriale nei principali Paesi produttori di cacao, dalla Repubblica Dominicana all’Ecuador, passando per Bolivia, India e Madagascar. Straordinario è anche il suo Uovo di Colombo realizzato con cacao monorigine superior Venezuela Sur del Lago e zucchero grezzo di canna, decorato con granella di nocciola Piemonte Igp. Un altro nome che ha contribuito a scrivere la favola dell’oro nero torinese è Guido Gobino. Dietro il suo successo c’è una famiglia che dal 1964 inventa costantemente nuovi prodotti, migliorando il gusto dei cioccolatini tradizionali. Da assaggiare i suoi Tourinot, dove la potenza del fondente incontra la morbidezza del gianduia: una storia racchiusa nel libro 5 grammi di felicità, di Giuseppe Culicchia (Slow Food, pp. 192 € 18).

Il cioccolatiere Guido Castagna sorprende invece per i suoi Giuinott, gianduiotti rivoluzionari nati dall’unione perfetta tra la Nocciola Piemonte Igp e il cacao Chuao del Venezuela, ma anche per il vermouth ’L Türinèis, nato dalla collaborazione con il bartender Michele Marzella, dove il dolce corteggiamento tra il cioccolato e il liquore regala una delicata infusione di assonanze e riverberi. Da Torino ci spostiamo a Perugia, il cui nome è strettamente legato alla storica fabbrica Perugina che nel 1915 iniziò a lavorare il cacao in polvere. Tra i suoi prodotti, il più rinomato e senza tempo è il famoso Bacio, nato nel 1922 da un’idea di Luisa Spagnoli. Per chi desidera una full immersion nella tradizione, qui ci sono il Museo del Cioccolato e i corsi con i maestri della Scuola del Cioccolato, entrambi allestiti nell’edificio della Perugina. È merito di uno di loro, il pastry chef Alberto Farinelli, la torta Dantedì, un omaggio a Dante Alighieri nel 83


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700esimo anniversario della sua morte. Composta da tre strati di pan di Spagna e altrettante mousse, richiama gli ambienti delle cantiche in cui è suddivisa la Divina Commedia. La crema scura è realizzata con Perugina GranBlocco fondente extra 70% aromatizzato alla liquirizia e raffigura l’oscurità dell’Inferno. Il Purgatorio presenta una mousse più chiara con il fondente extra 50% e pistacchi salati. Il viaggio dei sensi termina con l’ultimo strato, il Paradiso, dove una crema al burro bianca ricopre la parte superiore della torta. Qui si raggiunge il massimo della dolcezza con un composto di cioccolato al latte Perugina GranBlocco 30% e caramello. Proprio nel capoluogo umbro si svolge tutti gli anni Eurochocolate, il più grande festival europeo a tema che trasforma il centro storico in una grande cioccolateria all’aperto. L’edizione 2021, se non ci sono cambiamenti dovuti alle restrizioni per il Covid-19, è prevista dal 15 al 24 ottobre. Prima di continuare il viaggio verso sud, si può fare una sosta nei dintorni a Brufa di Torgiano, dove il Borgobrufa Resort offre trattamenti di benessere a base di cioccolato e nocciola. Il tour può proseguire scendendo fino in Sicilia, a Modica, nel Ragusano: è qui che la secolare tradizione cioccolatiera oggi vanta il marchio Igp, l’unica denominazione europea per un cioccolato che ancora conserva i gesti e le tecniche di lavorazione trasmes-

se dagli spagnoli. Ingredienti semplici dall’inconfondibile aroma prendono forma, durante il trattamento a freddo della pasta di cacao, in una barretta dove brillano all’interno i cristalli di zucchero. A chi lo gusta, diceva lo scrittore Leonardo Sciascia, «sembra di essere arrivato all’archetipo, all’assoluto e che il cioccolato altrove prodotto – sia pure il più celebrato – ne sia l’adulterazione, la corruzione». Diverse le botteghe che accolgono i visitatori in un abbraccio di cannella e vaniglia e, oltre alla classica barretta, propongono dolci come le ‘mpanatigghie, mezzelune di pasta frolla ripiene di carne trita e cioccolato. Da provare quelle che Michele Spadaro dello storico Bar Fucsia produce ogni giorno all’interno del suo laboratorio, nel rigoroso rispetto della ricetta originaria. Tappa d’obbligo per gli amanti del cioccolato modicano è anche Ciomod, azienda storica dove il titolare Innocenzo Pluchino produce le classiche tavolette Igp partendo dalle fave di cacao colombiano, che vengono utilizzate come ingrediente anche in diversi liquori. Davvero originale il cioccolato modicano ideato con il produttore toscano Claudio Corallo e realizzato con cacao crudo all’80%. Partecipare, poi, alle lezioni di Pluchino apre le porte a un mondo incantato di colori, aromi e suoni. La specialità siciliana è stata adocchiata anche da grandi firme industriali come Bauli,

Le uova di Pasqua di Guido Gobino e i cioccolatini di Davide Appendino

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che quest’anno per Pasqua ha realizzato una colomba con crema al Cioccolato di Modica Igp dove il soffice impasto incontra una copertura di croccante fondente con granella di frolla. A promuovere gli itinerari tra i migliori produttori di cioccolato d’Europa ci pensa The Chocolate Way, un network per il turismo culturale del settore che unisce i distretti storici del continente, tra i quali spiccano, appunto, quelli italiani di Modica, Perugia e Torino. Al momento i percorsi proposti sono 30, tra Belgio, Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito: veri e propri pacchetti turistici che, appena sarà possibile, offriranno l’occasione di incontrare i maestri artigiani, ma anche di degustare e acquistare i prodotti delle aziende. Inoltre, il Comitato scientifico dell’associazione sta lavorando all’elaborazione delle linee guida per la presentazione di un dossier che consentirà il riconoscimento dell’Itinerario culturale europeo La via del cioccolato. Un modo per proteggere l’eredità culturale, artistica e storica di questa delizia valorizzando la creatività dei maître chocolatier. davideappendino.it guidogobino.it guidocastagna.it perugina.com fucsiamodica.it ciomod.com thechocolateway.eu


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C I LE NTO ALLA SCOPERTA DI CERASO E PALINURO CON DANIELA FEROLLA, EX MISS ITALIA E CONDUTTRICE RAI. TRA MERAVIGLIE DELLA NATURA, PIATTI TIPICI E RISPETTO DELLE TRADIZIONI di Peppone Calabrese PepponeCalabrese [Conduttore Rai1, oste e gastronomo]

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ualche anno fa sono stato catapultato nel mondo della televisione e uno dei primi incontri è stato quello con una lucana, versante Cilento: Daniela Ferolla, ex Miss Italia e conduttrice Rai. Daniela è una ragazza timida, riservata, e sono sicuro che la mia irruenza e festosità in principio l’abbiano un po’ stordita. Girando insieme a lei per un anno intero tutta l’Italia, abbiamo avuto l’occasione di stare spesso da soli, lontano dalle telecamere, durante interminabili viaggi in macchina o in treno. Ho riconosciuto in lei una dolcezza sincera, la discreta difesa di un mondo privato e tutto famigliare che capivo essere la sua vera forza, ciò

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che alimentava il motore delle sue passioni più vere. Un giorno, dopo aver capito il mio amore per il cibo (non che dovessi dire molto per farlo capire, è una chiara evidenza corporea), durante una colazione in una terrazza d’albergo fronte mare, cominciò a raccontarmi del suo paese di origine e di quanto fosse brava la sorella a cucinare. Potete immaginare quanto sia montata la mia curiosità nel tempo. Finché non è giunto finalmente il momento di compiere questa missione. Parto con il Frecciarossa delle 7.17 dal secondo binario di Potenza Centrale, direzione Ceraso, ma con prima tappa Palinuro, nel Salernitano. Ho

peppone_calabrese

prenotato il solito posto a sedere, per intenderci uno di quelli con il tavolino, perché mi piace sistemare l’acqua nell’apposito stallo e appoggiare il libro e il telefonino. La verità è che adoro il treno perché amo chiacchierare con gli sconosciuti. Per me il viaggio non è mai un trasferimento veloce. Sono l’incubo di quelli a cui non piace parlare. Nel mio vagone ci sono poche persone, attraverso il corridoio alla ricerca del mio posto e vedo due ragazzi che dormono, un militare che gioca con il telefonino e una signora anziana con due valigie enormi, che probabilmente starà andando dai figli al nord. Il viaggio prosegue così fino a Salerno,


INCANTATO © Iurii/AdobeStock

Palinuro (SA)

dove devo cambiare treno. Sul regionale mi colpisce una signora con un cappotto verde, la gonna verde, le calze e le scarpe verdi. Mi avvicino e le dico che sarebbe la testimonial perfetta del mio programma Linea Verde e lei risponde immediatamente che in quella zona vive già la regina di quella trasmissione. Sorrido e le dico che sto andando appunto a trovarla. I complimenti per lei si sprecano e io non vedo l’ora di conoscere la sorella cuoca. Daniela mi ha dato appuntamento a Palinuro e precisamente alla pista di pattinaggio dove da ragazza incontrava gli amici per trascorrere le serate. Palinuro è una piccola frazione

di Centola, in provincia di Salerno, ed è una delle località balneari più rappresentative della Campania e del Cilento. La biodiversità che la circonda è emozionante, ha una ricchezza di vegetazione tra le più importanti del Mediterraneo. L’alto promontorio si tuffa d’improvviso nelle limpide acque con rocce che cadono a picco anche per cinquanta metri, offrendo l’habitat ideale a numerose specie di uccelli nonché alla rarissima primula di Palinuro. Ecco Daniela: arriva prima il suo sorriso e poi la sua bellezza. Senza neanche farmi fare colazione mi invita a seguirla. Mentre camminiamo mi parla di un tesoro nascosto nella

zona. Arriviamo vicino al mare e c’è una barchetta che ci aspetta. In brevissimo tempo entriamo in una grotta e, da quel momento in poi, le parole non bastano a esprimere quello che gli occhi stavano vedendo. Un ombelico del mondo, un manto blu cobalto dove sembra possibile immergersi e vivere anche solo per un attimo una seconda vita. Ce ne sono ben trentadue di grotte, una più bella dell’altra. Scendiamo dalla barca e Daniela mi chiede se me la sento di fare trenta chilometri in bicicletta. Non si è allenata oggi per aspettarmi e quindi c’è solo da assecondarla: chiaramente, scelgo una bici a pedalata assistita. La macchia mediterranea del Parco 87


GENIUS LOCI

nazionale del Cilento ci accompagna nel nostro tragitto e immediatamente comprendo perché qui la qualità della vita è tra le più alte al mondo. Immagino Ancel Benjamin Keys, nutrizionista statunitense considerato il padre della dieta mediterranea, camminare per queste strade e razionalizzare la sua idea. Così da concludere definitivamente che l'alimentazione della popolazione locale era l’emblema della dieta perfetta per apportare benefici fondamentali alla salute. Attraversiamo odori e colori, siamo in completa armonia con la natura e la sua magnificenza. Dopo circa due ore, finalmente si intravede Ceraso, grazioso paese immerso nel verde. Con una scusa mi fermo e faccio una piccola sosta per cogliere gelsi bianchi e tornare un bambino intento a raccogliere dolcezze. A Ceraso attraversiamo la frazione di Santa Barbara, la più attiva culturalmente, dove vivono i cugini di Daniela e si organizzavano sempre serate da ballo o canore. La immagino cantare e ballare con il suo sorriso contagioso, lo stesso che ho visto una sera durante una trasferta in Calabria, dove abbiamo coinvolto tutti in un karaoke a perfidiato.

© Antonio Ferolla

Ceraso (SA)

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Daniella Ferolla, ex Miss Italia e conduttrice Rai

Il racconto delle serate si intreccia sempre con un ricordo della casa in campagna della nonna dove si riuniva sempre tutta la famiglia e si consumavano i riti della domenica. Profumo di pane caldo, pizza al pomodoro e ragù in pentola dalle prime ore del mattino. La nonna era la regina della casa, preparava la pasta a mano e la sorella Gabriella sempre attenta a rubare i segreti della cucina. Colazione insieme davanti al camino e poi tutti a messa. Insomma, Ceraso come il

posto sicuro dove ritrovare se stessi e vivere in serenità e armonia con l’ambiente. L’amore per la natura e gli animali è evidente dalla luce che ha negli occhi mentre ne parla. E lo capisco quando arriviamo nella casa della nonna, oggi ristrutturata da lei e il suo compagno. Ad aspettarci ci sono tutte le sorelle. Mi presento e l’accoglienza è di quelle che conosco bene, essendo anche io lucano. La prima ad arrivare è Giusi, che immediatamente marca


© JonShore/AdobeStock

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ripete negli anni di quanto sia importante stare insieme a tavola, seduti a chiacchierare e a ricordare eventi familiari. Oltre ai fusilli al ferretto c’è un altro assaggio di primo, il piatto di cui Daniela mi aveva sempre cantato le lodi: le rondelle in bianco al forno con besciamella, prosciutto cotto e formaggio. Mi sento a casa, sorrido con loro celebrando questa giornata di festa e rifletto su quanto sia importante la famiglia e il rispetto delle tradizioni.

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La più brava è ovviamente Gabriella. Mi fermo a parlare con lei e le comunico che la sua fama la precede. Ma anche la mia fame mi precede. Mi racconta di aver trascritto e conservato tutte le ricette della nonna, mostrandomi con orgoglio il suo libro. Ho sempre sognato di averne uno tutto mio, scritto da me: lo trovo un modo romantico per conservare le tradizioni di famiglia, rivivere i momenti insieme e far partecipare anche chi non c’è più. Giusy è attenta a ogni dettaglio, una perfetta cuoca. Conosce i tempi per fare una buona cucina, ha esperienza e si vede. Mi dice che è semplice mangiare bene se hai a disposizione prodotti buoni, frutto di una cultura di tutela del territorio come il Cilento. Ha ragione, ma sono sicuro che sappia bene anche quanta dedizione e amore ci vuole per assemblarli e prepararli a regola d’arte. Ammiro molto chi decide di presidiare il territorio conservandone l’identità più profonda. È quasi ora di pranzo, c’è fermento. La tavola è imbandita, tutto è pronto per offrire ancora una volta questo dono a tutta la famiglia. È il segno che si

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Da sinistra, Daniela Ferolla con le sorelle Gabriella, Giusi e Miriam

Una delle grotte di Palinuro (SA)

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il territorio ricordando di essere la più grande: quando Daniela era piccola la controllava sempre, anche se poi crescendo sono diventate complici, tanto che uscivano e Daniela poteva rientrare più tardi rispetto alle amiche proprio grazie alla sorella maggiore. Dopo poco arriva Miriam, la più piccola, che già conosco. Ci salutiamo affettuosamente e mi racconta di una scenata di gelosia che le fece Daniela su un aereo di ritorno da Milano perché si era già organizzata le giornate a Ceraso senza contemplarla. Poi mi porta a vedere cosa bolle in pentola. La cucina è grande proprio come nei racconti ricevuti e ai fornelli c’è Gabriella, la sorella appassionata di cucina, grembiule di ordinanza e mani all’opera per il piatto della tradizione della famiglia Ferolla: fusilli fatti con il ferretto. La tradizione si ripete, il rito è sempre quello. Come da bambine, quando tutte e quattro le sorelle provavano a imparare dalla nonna l’arte della pasta di casa, oggi sono tutte vicine intente a ripetere questo rituale.

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INCLUSION

IL GREEN SI FA LOCALE NELL’EX DEPOSITO MERCI DI RFI, A POTENZA, NASCE SCAMBIOLOGICO. UNA STRUTTURA AD ALTA EFFICIENZA ENERGETICA CHE OFFRE PRODOTTI A CHILOMETRO ZERO E UNO SPAZIO EVENTI di Serena Berardi - s.berardi@fsitaliane.it

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l piano terra, tra gli scaffali in legno chiaro dalle venature calde, si possono comprare frutta, verdura, latte, cereali, ma anche olive infornate di Ferrandina, peperoni cruschi, bottiglie di Aglianico. Salendo

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al primo piano, invece, si può assistere alla presentazione di un libro o imparare a riparare una bicicletta. Nell’ex magazzino merci della stazione di Potenza Superiore, concesso in comodato d’uso da Rete Ferroviaria

Italiana (RFI), Legambiente Basilicata ha inaugurato Scambiologico, la prima green station d'Italia con un supermercato a chilometro zero e uno spazio per eventi e formazione. La sua anima sostenibile, infatti, parte dalle fonda-


locali selezionate. Due volte alla settimana il furgoncino di Scambiologico fa il giro di agricoltori e allevatori della zona e rifornisce il punto vendita. «In questo modo sosteniamo l’economia locale e contribuiamo a ridurre l’inquinamento e le emissioni di CO2. E poi adottiamo la politica del giusto prezzo: le piccole aziende lo stabiliscono e noi applichiamo lo stesso ricarico su tutta la merce». Accanto ai prodotti del territorio, ci sono quelli del commercio equo-solidale: a Pasqua, per esempio, saltano all’occhio sugli scaffali le uova di cioccolato bio che nascondono oggetti lavorati e decorati a mano da artigiani nepalesi, cingalesi, peruviani, bengalesi. Al piano superiore, le capriate in acciaio esaltano il fascino di un’architettura industriale rimasta pressoché intatta: «Prima del Covid-19 qui si tenevano eventi, feste, presentazioni, spettacoli e concerti. Di recente siamo riusciti a

organizzare due corsi di formazione nell’ambito del progetto Ecco-Economie Circolari di Comunità, con prenotazione e ingressi contingentati». Il primo laboratorio è stato realizzato in collaborazione con Ri.Plastic, società con sede a Baragiano (PZ) leader nel Sud Italia per il recupero delle apparecchiature elettriche ed elettroniche, e Bitwo, azienda di Muro Lucano (PZ) che opera nel settore del ricondizionamento di pc e tablet. I partecipanti hanno imparato a rigenerare computer. «Siamo partiti dalla raccolta di pc usati e li abbiamo rimessi in funzione. Ora verranno distribuiti a chi ne ha bisogno, in particolare alle famiglie con più figli impegnati nella didattica a distanza». Il secondo corso, interrotto dal passaggio in zona rossa, prevedeva la riparazione di biciclette: «Ora sono tutte parcheggiate nel mio ufficio, mi ritrovo sommerso da ruote e manubri. Ma appena sarà possibile regaleremo anche

© Attilio Bixio

menta e arriva fino al tetto: «Grazie ai finanziamenti stanziati da Fondazione con il Sud abbiamo ristrutturato l’immobile, risalente ai primi anni del ‘900, che è stato convertito in un edificio di classe energetica A4. Abbiamo isolato termicamente la struttura e le fondazioni. Non abbiamo l’allaccio al gas e produciamo più energia di quella che consumiamo attraverso un impianto fotovoltaico a pannelli solari. Insomma, siamo a impatto zero», afferma soddisfatto Marco De Biasi, ex presidente di Legambiente Basilicata e attualmente amministratore unico di Energaia srl, l’impresa sociale che gestisce Scambiologico. «Prima del supermercato avevamo già creato un gruppo di acquisto. Siamo partiti da quell’esperienza ampliando la rete dei fornitori, che oggi sono circa un centinaio», prosegue. Nel negozio si trovano prodotti sfusi, freschi, da forno e da banco provenienti da realtà

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INCLUSION

Il supermercato a chilometro zero

queste o le utilizzeremo per le nostre attività». Se da una parte la paralisi del nuovo lockdown ha azzerato gli eventi in presenza, dall’altra ha aperto nuove opportunità: «Con la pandemia abbiamo iniziato a spedire generi alimentari, quelli che vanno a riempire i famosi pacchi che i genitori del Sud spediscono ai figli emigrati. I lucani sono dovunque. Così, per Pasqua o subito dopo, vorremmo inaugurare un e-commerce per consentire ai clienti di acquistare online». Davanti alla stazione green è parcheggiata anche una lavapiatti mobile per eventi a rifiuti zero: una sorta di roulotte dotata di due lavastoviglie e una lavabicchieri. «Ora è ferma, ma l’abbiamo usata più volte per sagre e concerti, come quelli di Mannarino e Caparezza.

Per i pasti, oltre alle tovagliette compostabili, sono stati utilizzati piatti in melamina, bicchieri in policarbonato, posate in acciaio e brocche al posto delle bottigliette di plastica. Alla fine, abbiamo potuto ritirare e lavare tutto, eliminando quasi totalmente la produzione di rifiuti», spiega De Biasi. Questa buona prassi è stata promossa nelle scuole e ora è adottata anche dalla mensa dell’Università della Basilicata. Scambiologico è stato addirittura un caso di studio per i ragazzi della Luiss di Roma, nell’ambito di un corso di Economia e gestione delle imprese. «Qualche anno fa, alla fine delle lezioni, gli studenti sono venuti a trovarci. Abituati ad analizzare i soliti modelli di business, non capivano perché non avessimo puntato a lavorare anche in

altri posti. Ma la nostra attività non può diventare un franchising: abbiamo un legame troppo forte con il territorio e relazioni strette con chi lo abita», continua De Biasi. Non si punta al mero guadagno, quindi. «Dopo la fine del progetto pilota siamo diventati una società a responsabilità limitata, ma il socio unico è sempre Legambiente. Siamo rimasti fedeli ai valori con cui siamo nati. Perché volevamo dimostrare che è possibile fare impresa in maniera sostenibile». E l’anima green di Scambiologico, nonostante le zone rosse e le difficoltà del periodo nero, non è mai sbiadita. scambiologico.it greenstationpz ScamBioLoGiCo

© Rocco Casaletto

Nel tondo il laboratorio di rigenerazione di pc, a destra la lavapiatti mobile

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UN CAPOLAVORO DI BOTTE LE BARRIQUE DI CANTINE TINAZZI DIVENTANO OGGETTI D’ARTIGIANATO GRAZIE A UN PROGETTO SOLIDALE CHE COINVOLGE I RAGAZZI DI CASA DON BOSCO DAB di Luca Mattei

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Foto Silvio Gioia

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e lo ha insegnato Carlo Collodi alla fine dell’800, creando il personaggio di Pinocchio: dal legno può nascere la vita. Ma un progetto avviato tre anni fa sul lago di Garda è andato oltre, con la convinzione che dal legno possa prendere forma persino una seconda esistenza, grazie all’impegno di adolescenti con difficoltà comportamentali e familiari. Sono loro i protagonisti di Salva una

botte, crea un capolavoro, iniziativa sostenibile capace di coniugare economia circolare, inserimento lavorativo e rispetto per la natura. L’idea è frutto dell’incontro tra Tinazzi, gruppo di cantine con sede a Lazise (VR), e Bottega Tettoia Pinardi, laboratorio di arte e artigianato della Casa don Bosco Dab, attiva ad Albarè, frazione di Costermano sul Garda. Per la famiglia di viticoltori il legame con il vino e le botti è evidente fin

dall’origine del nome: i tinazzi, nell’antica tradizione locale, erano recipienti in cui si inseriva l’uva pigiata a fermentare. Oggi l’azienda produce Amarone e Ripasso della Valpolicella, Lugana, Soave e altri vini dell’area veronese, ma ha terreni anche in Puglia dove mette in commercio Primitivo di Manduria, Negramaro e Malvasia nera. Quando le barrique usate per la fermentazione non servono più, vengono spedite ad Albarè, dove i ragazzi 93


INCLUSION

che lavorano nella falegnameria salesiana utilizzano il legno di cui sono costituite per realizzare piccole opere d’arte che poi vengono vendute o date in omaggio. Si producono giochi che stimolano l’intelligenza, come il picchio o il rompicapo giapponese tangram, articoli di oggettistica e idee regalo, mobili per vari usi come sedie, tavolini, appendiabiti, orologi a muro, portariviste, portaspezie, lampadari e lampade da scrivania.

«Le botti nuove», spiega Gian Andrea Tinazzi, il titolare delle cantine, «costano tra i 700 e gli 800 euro l’una. Sono in quercia, rovere di Slavonia o rovere francese: legni buonissimi che, se trattati bene, durano nel tempo e non marciscono pur avendo ospitato a lungo il vino». Un valore che non diminuisce neanche dopo il primo utilizzo: «Quelle usate si possono vendere a chi ne ha bisogno per affinare il cognac o la grappa, a una cifra tra

Il responsabile di Casa don Bosco Dab, don Paolo Bolognani, con i ragazzi di Bottega Tettoia Pinardi

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i 150 e i 200 euro l’una». Ma l’aspetto economico viene messo in secondo piano: «Siamo contenti di donarle ai ragazzi della Bottega affinché trovino uno scopo nella vita. Sono in condizioni difficili e la solidarietà ci sembra opportuna», precisa l’imprenditore. Oltre a essere aiutati da un falegname professionista con esperienza ultratrentennale, gli adolescenti sono seguiti da Emil Nobis, un educatore che si occupa anche della parte operativa del progetto. «I ragazzi hanno tra i 14 e i 19 anni, arrivano da noi volontariamente o perché segnalati dalle Asl o dai servizi sociali del territorio. Non presentano patologie particolari, ma difficoltà comportamentali o educative che li portano spesso ad abbandonare la scuola», chiarisce Nobis. L’iniziativa coinvolge anche gli studenti delle classi quarte e quinte del liceo artistico Nani-Boccioni di Verona che mettono a disposizione know-how e creatività, proponendo alla Bottega progetti da realizzare. «Noi ne abbiamo scelti alcuni», spiega l’educatore, «e li portiamo avanti. Utilizziamo diversi utensili, sia manuali, come seghe, raspe, scalpelli, sia elettrici, pialle, trapani, torni a legna per realizzare

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L’esterno della falegnameria Bottega Tettoia Pinardi

per trasformarli in un orto a chilometro zero. In cambio di una donazione spontanea, le famiglie locali possono ricevere i frutti del lavoro agricolo: peperoni, zucche, angurie, meloni, pomodori, lattuga, patate, melanzane, zucchine. «Offriamo a queste persone un modo per sentirsi impegnate nel corso della giornata così che non si perdano per strada», conclude Tinazzi, «perché per noi è fondamentale il legame con il territorio e la possibilità di costruire relazioni con chi si occupa di inclusione sociale». tinazzi.it | donboscodab.it CantineTinazzi cantine.tinazzi casadonboscodab

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sano e renderli onesti cittadini. Un insegnamento formulato nell'800 adattato ai nostri giorni». Ad Albarè, la settecentesca Villa Torri Giuliari ospita i Salesiani dalla metà del secolo scorso. Attivi nel campo dell’ospitalità e dell’educazione, sono ormai un riferimento per le famiglie del territorio che cercano supporto nella crescita dei figli. «Siamo un villaggio educativo. Abbiamo una comunità residenziale nella zona della falegnameria, sopra la quale c’è una torre in cui sono ospitati quattro adolescenti che compiono un percorso in comunità. In un altro spazio abbiamo un ostello per giovani stranieri che hanno difficoltà a trovare lavoro e alloggio. Infine, c’è la comunità diurna, che seguo io, in cui abbiamo messo in piedi una serie di attività, tra cui un percorso di studio per arrivare al diploma», conclude Albanese. Salva una botte, crea un capolavoro non è l’unica iniziativa messa in piedi da Tinazzi e Casa don Bosco Dab. Dall’amicizia tra il titolare delle cantine e il responsabile salesiano, don Paolo Bolognani, è nato anche il progetto Piana degli Orti, che vede coinvolte due associazioni, Città in Fiore e Oltre il Confine, che forniscono alloggi ad adulti con disagi e rifugiati richiedenti asilo. Le due realtà hanno preso in gestione terreni incolti nei pressi di Cavaion Veronese (VR)

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oggetti tondi e una sega a banco per i tagli dritti e obliqui» Lavorazioni complesse al termine delle quali la soddisfazione è alta: «Completare una commessa di oltre 200 ombrelli per le cantine Tinazzi è stato impegnativo. Ma in ogni progetto teniamo alta l’attenzione dei ragazzi per far sì che lavorino nel migliore dei modi. Partecipare alla creazione di oggetti di ottima qualità aumenta la loro autostima». L’attività lavorativa è infatti un pretesto per raggiungere un obiettivo più ampio: «La falegnameria è uno spazio dove, oltre a lavorare il legno, è possibile condividere le proprie difficoltà e parlare di sé. Un luogo di crescita a 360°, non solo individuale». In questo modo i ragazzi portano avanti una sorta di arte-terapia, come spiega Ester Albanese, l’educatrice che ha ideato il progetto iniziale La reciclofficina, a cui si è poi agganciata l’iniziativa di Tinazzi: «È come una terapia psicologica, solo che si comunica attraverso creazioni artistiche». Un approccio a cui viene collegato un metodo pedagogico utilizzato dai Salesiani: il sistema preventivo nell’educazione dei giovani di don Giovanni Bosco. «Religione, ragione e amorevolezza», spiega Albanese, «ne sono i termini fondanti. don Bosco riteneva che l’allegria, il teatro, la clownerie e le arti in generale fossero un modo per attirare i ragazzi, alimentare la loro autostima, farli divertire in modo

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RICORDI PARTIGIANI TERESA VERGALLI RACCONTA LA SUA RESISTENZA DA STAFFETTA, ATTRAVERSO LE FOTO DI UN TEMPO, SCELTE DAL SUO ARCHIVIO PERSONALE di Claudia Cichetti

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apete cosa vuol dire vivere senza la libertà? La libertà di leggere un libro che ti piace, di esprimere la tua opi-

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Foto courtesy Archivio Teresa Vergalli

nione, di spostarti da una città all’altra, di avanzare diritti nei confronti dei padroni su trattamento e paga al lavoro. O senza la libertà di andare a scuola,

un traguardo privilegiato che ai miei tempi era riservato a pochi? Ecco, il 25 aprile è il simbolo di queste piccole e grandi conquiste ed emancipazioni».


Teresa Vergalli, classe 1927, staffetta partigiana durante la Resistenza, li chiama ancora così: i padroni. Tradendo la consapevolezza antica di chi, già da giovanissima, si sentiva nata dalla parte sbagliata della storia, quella vissuta dai contadini della Val d’Enza, in Emilia-Romagna, una comunità fatta di miseria in cui l’unico sostentamento era il proprio raccolto. «Allora c’erano i padroni e i poveri. Le donne invece, come diceva mia madre, contavano meno dei gatti», racconta. Parlare con una testimone diretta di quegli anni significa toccare con

mano episodi del passato che di solito si leggono sui manuali di scuola, arricchiti da dettagli privati che hanno contribuito a costruire la storia. Dopo l’8 settembre 1943, data che sugella l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, segue un periodo durissimo per il nostro Paese che ebbe l’illusione di una pace immediata ma poi fu costretto a organizzarsi nella lotta partigiana per uscire dall’oppressione fascista. E Teresa se li ricorda bene quegli stenti. Osservandola, dall’alto dei suoi 94 anni, si capisce subito che lei ha e ha avuto la stoffa per essere una delle protagoni-

I partigiani e le partigiane a Reggio Emilia liberata (22 aprile 1945)

ste di quel pezzo di biografia italiana, della Liberazione ma anche dell’emancipazione femminile. Ancora oggi il suo viso asciutto, evidenziato da un filo di rossetto rosso, esprime determinazione. Rosso è anche lo smalto sulle unghie, il maglioncino di lana che indossa e il suo colore preferito. I racconti procedono come istantanee, affondano indietro negli anni e appaiono come lampi, sorretti da foto in bianco e nero custodite in una scatola e in una pennetta USB. Ne prende in mano una in cui è ritratta insieme alle sue amiche di studi e si scioglie in un fiume di parole: «Un giorno, all’improvviso, mi hanno detto che non potevo più andare a scuola. C’erano i bombardamenti, io frequentavo il secondo anno dell’istituto magistrale e, da un momento all’altro, non ho potuto più rivedere nessuno. Mio padre mi diceva di restare a casa e di continuare a studiare perché uscire era pericoloso. Ma io, a 16 anni, volevo contribuire a cambiare il mondo in cui vivevo, non pensavo ad altro, con le scuole chiuse e il rumore delle bombe in sottofondo. Avevamo impressa sulla pelle l’avversione per quella violenza e le angherie che stavamo subendo, i rastrellamenti, i saccheggi, gli incendi, le uccisioni pubbliche. La nostra coscienza era alimentata da queste sensazioni, ed era normale essere sfacciatamente antifascisti».

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25 APRILE Teresa prende tra le mani un’altra immagine e il nastro del tempo sembra riavvolgersi in un attimo: «Ognuno si rendeva utile come poteva, io diventai staffetta senza pensarci un attimo. Con la mia bicicletta azzurra facevo da tramite con le formazioni partigiane nascoste in montagna, costituite anche da ragazzi che non volevano arruolarsi nella Repubblica di Salò e vivevano con documenti falsi, inseguiti dal regime e in estremo pericolo. Li accompagnavo in montagna, anticipandoli nel percorso per evitare loro posti di blocco o persone sospette che avrebbero potuto fare la spia. Andavo da Bibbiano a Canossa, nella

provincia di Reggio Emilia: oltre 20 chilometri al giorno, andata e ritorno». Furono mesi sui pedali lungo la Pianura Padana per Teresa la staffetta, nome di battaglia Annuska. «Portavamo anche informazioni a voce, ordini operativi e notizie sugli spostamenti dei distaccamenti partigiani. Su pezzettini di carta, invece, scrivevamo l’elenco delle spese, le richieste di rifornimenti o i rapporti sull’esito di un agguato. Li ripiegavo e li nascondevo nelle trecce. A volte trasportavo anche un giornaletto che le formazioni garibaldine riuscivano a stampare, nascosto in una sporta insieme alle patate».

Teresa Vergalli con le trecce (fine ‘4 4)

La partigiana Piera Bertolini amica di Teresa Vergalli (1945)

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Le donne ebbero un ruolo importante nella Resistenza: collaboravano con i combattenti e raccoglievano medicinali, vestiti e cibo per i partigiani. Altre si occupavano di nascondere i ricercati. «Tra il ‘43 e il ‘4 4 avevamo organizzato una fittissima rete di donne», spiega Teresa, «che arruolavamo tra le nostre amicizie, pur con la paura che qualcuna parlasse e ci facesse scoprire. Poi c’erano anche le gappiste armate, che partecipavano agli attentati e catturavano prigionieri, proprio come gli uomini. Se ci siamo salvati è proprio grazie alla solidarietà di coloro che non hanno fatto la spia. Abitavamo fuori città perché mio padre era stato segnalato: finì in carcere e, per un periodo, fu condannato a morte. La nostra casa era un rifugio per i partigiani che avevano bisogno di protezione o di un pasto caldo. Mia mamma preparava lo gnocco fritto a chiunque arrivasse, c’era sempre il fuoco acceso. Mio fratello Orio aveva 12 anni e anche lui si dava da fare, si chiama così perché mio padre leggeva spesso La Stampa e apprezzava il giornalista Orio Vergani. Eravamo poveri, ma non analfabeti».


un’ultima foto che ritrae i primi gruppi partigiani arrivati in una Reggio Emilia liberata. «In questa foto del 22 aprile 1945 manchiamo solo io e mio padre: che eravamo ancora nascosti sulle montagne. Scendemmo due giorni dopo per raggiungere Reggio e Bibbiano (paese natale di Teresa, ndr), diventate città libere. Che gioia! A guerra finita cominciammo la militanza politica vera e propria: il lavoro con le donne, le assemblee con le operaie, le battaglie per i diritti, l’accoglienza dei prigionieri. Fu un periodo di grande impegno. Il 1° maggio di quell’anno parlai in pubblico. Subito dopo ripresi in mano le dispense politiche di Giuseppe Dossetti che leggevo a scuola. Insomma, fu un’emozione così forte che decisi di tornare a studiare». teresavergalli.wordpress

Mario Grisendi, detto Folgore (1942)

Prende fiato Teresa, rimette le mani affusolate nella scatola e tira fuori la foto di un ragazzo su una moto. La fissa a lungo come se i ricordi si facessero più appuntiti e acuti. «Lui è stato il primo soldato che ho visto morto: si chiamava Mario Grisendi, ma il nome di battaglia era Folgore, aveva combattuto in Africa dove, a El Alamein, perse una gamba. Quando fu dimesso dall’ospedale decise di lasciarsi alle spalle ciò che aveva visto in guerra e di stare dall’altra parte. Fu ucciso durante un’azione notturna organizzata per catturare un gerarca. Al suo funerale un compagno si alzò e disse: “Folgore, sarai vendicato! A morte il fascismo”. Il giorno dopo i fascisti fecero comunque circondare la casa di Folgore ma non poterono far altro che arrestare sua madre, una donna anziana e straziata dal dolore». Anche Prospero, il padre di Teresa, da civile ebbe un ruolo attivo e in prima linea durante la lotta antifascista. Fu più volte manganellato, fu arrestato e si salvò da una condanna a morte. Per sua figlia divenne un grande esempio. Dall’archivio privato di Vergalli esce

Nilde Iotti e Teresa Vergalli (1946)

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25 APRILE

© Federico Neri/AdobeStock

LA MEMORIA DELLA RESISTENZA

Chiesa di Sant'Anna di Stazzema (LU)

DALLE FOSSE ARDEATINE A MARZABOTTO. L’IMPORTANZA DI VISITARE E RICORDARE I LUOGHI DEGLI ECCIDI NAZIFASCISTI di Sandra Gesualdi

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a Resistenza all’oppressione nazifascista fu un fenomeno complesso che, dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43, oltre ai gruppi partigiani coinvolse larghe fasce di società civile. Donne e uomini, spesso giovanissimi, si impegnarono per la liberazione del nostro Paese. E la popolazione pagò un prezzo altissimo in termini di brutalità, violenze ed

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esecuzioni subite durante la ritirata dell’esercito tedesco. Secondo l'analisi riportata nell'Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, a cura dell’Anpi e dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, le vittime furono oltre 23mila e circa 5.550 gli episodi di violenza, tra il ‘43 e ‘45, mappati su una gran parte del territorio nazionale, soprattutto tra il Lazio, la Toscana, l’Emilia-Romagna e il nord Italia. Alle Fosse Ardeatine, le cave estrattive lungo l’omonima via di Roma, furono trucidate 335 persone tra civili, militari, ebrei, detenuti. Una strage esemplare per dissuadere il popolo da intenti ribelli a sostegno della Resistenza. Era un giorno di inizio primavera, il 24 marzo ‘4 4. Salendo lungo la Toscana, Sant’Anna di Stazzema (LU) si ricorda per una delle carneficine più raccapriccianti, il 12 agosto dello stesso anno: quella dei bambini. I civili fucilati e carbo-

nizzati furono 560, soprattutto minori. Scavallando l’Appennino tosco-emiliano c’è Marzabotto (BO), adagiato ai piedi di Monte Sole, dove si è consumato uno dei più gravi crimini di guerra contro la popolazione durante la Seconda guerra mondiale. Tra il 29 settembre e il 5 ottobre ‘4 4 oltre 800 abitanti di quella provincia bolognese furono giustiziati. Questo “solo” per citare le stragi più importanti. Ma in ogni paese, città o sentiero nel bosco c’è una lapide, un cippo, un monumento che ricorda quei giorni di atrocità e impegno. I ragazzi e le ragazze del ‘43-‘45 sono sempre meno, ecco perché è importante raccogliere e diffondere testimonianze vive come quella di Teresa Vergalli. La memoria funge da monito e rende visibile ciò che non lo è più e, come sostiene la senatrice Liliana Segre, «coltivarla è ancora oggi un vaccino prezioso contro l'indifferenza e ci aiuta in un mondo così pieno di ingiustizie».


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© LATTE CREATIVE


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TRAIETTORIE LIQUIDE

Federica Brignone con la Coppa del mondo generale conquistata nella scorsa stagione 102


COSÌ SI CHIAMA IL PROGETTO DELLA SCIATRICE FEDERICA BRIGNONE, CHE PUNTA I RIFLETTORI SULL’INQUINAMENTO DEI MARI E LO SCIOGLIMENTO DEI GHIACCIAI di Francesca Ventre - f.ventre@fsitaliane.it Foto Giuseppe La Spada

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arco naturale dello Stelvio, ghiacciaio vallivo dei Forni: 20 km2 di superficie nel

1800, la metà nel 2021. È il secondo più grande d’Italia e si scioglie alla velocità di 100 metri l’anno, perché le temperature si alzano, gli inverni sono brevi e le estati si allungano. La campionessa di sci alpino Federica Brignone, che a giugno 2020 è salita lassù per godere di uno scenario straordinario, ha notato con rammarico la riduzione del manto bianco. L’atleta, pluripremiata tanto da raggiungere Deborah Compagnoni come l’italiana più vincente di sempre, è l’unica donna nel nostro Paese ad aver conquistato la Coppa del mondo generale di sci. E ora investe le sue energie per affrontare la sfida contro i danni provocati dai cambiamenti climatici. Dal 2017, infatti, Brignone porta avanti il progetto Traiettorie liquide per combattere tutto ciò che contribuisce all’inquinamento dell’acqua. «In ognuno di noi esiste una piccola parte dell’oceano primordiale e proprio per questo siamo chiamati a preservarlo»: è questo il messaggio che riassume il suo impegno nella campagna di sensibilizzazione sui problemi dovuti allo scioglimento dei ghiacci e all’invasione della plastica nel mare. Ecco, quindi, che la campionessa si tuffa in acqua con tuta e sci, come se fosse in gara, in uno scatto realizzato dal fotografo Giuseppe La Spada, suo compagno di viaggio in questa battaglia per salvare il pianeta. O si presenta davanti all’obiettivo su un

La sciatrice al ghiacciaio dei Forni, nel Parco nazionale dello Stelvio 103


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Brignone con la Coppa del mondo generale 104


La campionessa immersa nelle acque di Lipari (ME) con la tenuta di gara

ghiacciaio «bellissimo e struggente», come descrive lei stessa, con un abito bianco prodotto in materiale di scarto, un mantello tricolore e la Coppa del mondo in mano. «Il ghiacciaio è molto cambiato negli anni a causa del darkening, lo scurimento dovuto all’inquinamento industriale, ai detriti e alla plastica. È più nero rispetto al passato e quindi riflette poco le radiazioni solari. Inoltre, a causa dell’innalzamento delle temperature, qui gli accumuli si sono notevolmente ridotti: ormai piove invece di nevicare». In precedenza, nelle prime due Traiettorie del 2017 e 2018, Brignone si era immersa con gli sci nelle acque siciliane di Lipari (ME) e in altri mari

italiani, dove plastica e scarti si accumulano da anni. Immagini intense con cui ha voluto trasmettere un senso di claustrofobia e soffocamento, quasi a immedesimarsi con pesci, tartarughe e altri esseri viventi che popolano il mare. Nel 2019, per la terza esperienza ecologica, aveva realizzato una staffetta subacquea nel Lago di Garda con l’obiettivo di recuperare bottiglie, lattine e sacchetti da consegnare ai bambini che hanno in mano il futuro. «Per fortuna, differenziare i rifiuti è diventata ormai la normalità», precisa la campionessa, «ed è aumentata la sensibilità sugli sprechi. Si utilizzano meno contenitori di plastica e si sostituiscono sempre di

più le bottigliette monouso con le borracce». Finita la stagione agonistica, in primavera, la sciatrice parte con una nuova iniziativa. La missione 2021 è indirizzare i consumatori verso l’uso di prodotti dermocosmetici biodegradabili, con packaging ecologici e riciclabili a tutela della biodiversità. Con gli occhi puntati sull’inquinamento dei fiumi che riversano enormi quantità di rifiuti nel mare. Traguardo finale: curare il mondo per vivere in un ecosistema più sano. federicabrignone.com federica.brignone.3 fedebrignone federicabrignone 105


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La campionessa immersa nell’acqua invasa dalla plastica 106


Brignone durante la staffetta di pulizia al Lago di Garda

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ABBRACCIARE LA

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NATURA AL FORTE DI BARD LE FOTOGRAFIE DEL WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR 2020 PER RIFLETTERE SULLA SALVAGUARDIA DEL PIANETA di Sandra Gesualdi

sandragesu

Foto courtesy Wildlife Photographer of the Year 2020

The Embrace, di Sergey Gorshkov, è la foto vincitrice del Wildlife Photographer of the Year 2020

L’

elegante pelliccia ramata indossata con stile su una fisicità monumentale, la testa possente e le zampe larghe con cui camminare anche sulla neve. È la tigre siberiana, tra i felini più spettacolari e rari del pianeta, immortalata da Sergey Gorshkov mentre abbraccia, con aria sognante, il tronco di un abete della Manciuria, regione nord-orientale dell’Asia. The Embrace, lo scatto lungo dieci mesi ottenuto dal fotografo russo grazie a macchine con sensore di movimento e lunghi appostamenti, ha vinto il Wildlife Photographer of the Year 2020, il più importante riconoscimento dedicato alla fotografia naturalistica. Fino al 31 agosto, al Forte di Bard (AO), è allestita l’anteprima italiana della 56esima edizione del concorso che documenta con le migliori immagini la bellezza e la varietà, ma anche la sempre maggiore fragilità, della natura. E sottolinea la priorità, non più rimandabile, di difendere e salvaguardare la Terra. Il report annuale 2020 del Wwf parla chiaro: l’uomo sta distruggendo il mondo. Flora e fauna globali sono in depressione a causa delle continue deforestazioni, le abitudini di vita inquinanti, le diete non proprio eco-friendly e i continui sprechi. In 50 anni è stato perso il 68% della popolazione totale degli animali selvatici, un numero che continua a crescere provocando la distruzione di molti ecosistemi. Eppure, la vita dell’uomo dipende da quella della natura: se perisce lei sparisce la nostra specie. Le foto al Forte di Bard vogliono stimolare proprio questa riflessione. Occorre ripartire dalla cura di ogni battito d’ali, salvaguardare ogni colpo di pinna nei fondali, riconoscere il più flebile dei ronzii o ascoltare cinguettii e voci dei boschi, inspirare i profumi del più comune fiore di campo e assecondare le leggi ancestrali del regno animale, rispettando tutti i biosistemi. Esattamente come sembra fare la grande tigre, specie in estinzione di cui è rimasto solo qualche centinaio di individui. Abbandonata in un’estasi ecologica in mezzo alla foresta russa pare sussurrare alla natura: «Se esisti tu, esisto anche io». fortedibard.it fortedibard

forte_di_bard 109


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Perfect balance, un piccolo uccello posato su uno stelo di fiore fotografato da Andrés Luis Dominguez Blanco 110


The Fox That Got the Goose, di Liina Heikkinen, ha ricevuto il premio Young Wildlife Photographer of the Year 2020

The pose, una giovane scimmia proboscide immortalata da Mogens Trolle sull’isola del Borneo, Malesia. Vincitore della categoria Ritratti

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A mean mouthful, un pesce pagliaccio con un parassita in bocca ritratto da Sam Sloss, durante una vacanza subacquea in Indonesia

Luciano Gaudenzio, con lo scatto Etna’s River of Fire, è il vincitore nella categoria Earth’s Environments

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INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

QUANDO SANIFICARE DIVENTA UNA NECESSITÀ ANCHE IN AMBITO PROFESSIONALE Disponibile in Italia il nuovo sanificatore SHU con tecnologia IoT, dispositivo che consente di sanificare l’aria indoor in modo pratico e sicuro contribuendo all’eliminazione di virus, batteri e muffe negli ambienti. Pureairion ha introdotto in Italia il suo nuovo dispositivo di sanificazione dell’aria e delle superfici con tecnologia EHG (electrons and holes generator) dotato di modulo IoT. La tecnologia wireless utilizzata è quella di Astrel, leader nel settore della domotica, che consente la ricezione di parametri sulla purezza dell’aria e sulla sicurezza dell’ambiente. In questo periodo di pandemia, molte aziende si sono rivolte al mercato, con dubbi risultati, cercando di produrre dispositivi più o meno efficienti per combattere i microrganismi che minano la nostra salute negli ambienti domestici, sul posto di lavoro e nei locali pubblici. L’offerta per il consumatore è talmente vasta che è difficile fare una corretta valutazione basata sulle caratteristiche e non unicamente sul prezzo. Pureairion ha un background alle spalle fatto di anni di ricerca sulla sanificazione in ambito professionale grazie alla quale può dare soluzioni realmente efficaci anche al consumatore privato. “Le prove che siamo riusciti a superare in ambito industriale e commerciale ci hanno dato il know-how per risolvere facilmente ed efficacemente problemi di sanificazione domestica.” Afferma Bruno Spoladore, CEO di Pureairion. “Abbiamo contribuito ad eliminare muffe e batteri nei caseifici più importanti d’Italia e abbiamo avuto ottimi risultati anche in ambito ortofrutticolo aumentando la shelf-life dei prodotti freschi. In un settore, come quello food, nel quale la sicurezza microbiologica è fondamentale, un prodotto che non presenta le caratteristiche richieste dal mercato, viene immediatamente scartato con un conseguente enorme danno economico per produttori e distributori. Per citare un esempio, mediante la nostra tecnologia siamo

riusciti a raggiungere risultati eccezionali aumentando la conservabilità di alcuni frutti da 20 a 90 giorni. Spesso si pensa che i virus siano tra i microrganismi più difficili da debellare ma non è così. Seppur vero che questi possono essere molto pericolosi per la salute, la loro resistenza è inferiore ai batteri ma soprattutto alle muffe che affrontiamo in ambito alimentare. Per questo le nostre tecnologie sono straordinariamente efficienti. Con la tecnologia wireless all’interno di SHU possiamo monitorare costantemente l’attività del dispositivo e attuare modifiche correttive quando l’ambiente lo renda necessario.” La serie Pro di SHU è nata proprio per adattare la potenza di sanificazione ai parametri rilevati e alle caratteristiche dell’ambiente permettendo di trovare soluzioni reali ai problemi dei clienti. L’innovazione di questi prodotti, sta nella customizzazione mediante l’associazione di moduli in parallelo grazie ai quali si raggiungono potenze di sanificazione mai viste prima, fino a 120.000 metri cubi, posizionando Pureairion al primo posto al mondo in termini di volumi di sanificazione. Pureairion, tramite la proprietà, nella persona di Bruno Spoladore, la direzione scientifica del prof. Giovanni Mastrovito e la direzione commerciale, nella persone di Romeo Moretto ed Andrea Fiesoli, sta dando vita ad un piccolo miracolo italiano che si sta realizzando e concretizzando, nel migliorare la qualità dell’aria che respiriamo in ogni ambiente, sia pubblico che privato. Pureairion non si ferma e continua la sua ricerca e a breve introdurrà sul mercato nuove tecnologie e soluzioni rivoluzionarie nell’ambito della sanificazione.

www.pureairion.com info@pureairion.com via Chiesa 61/2 30039 Stra (VE) 113


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OCCHI SU ROMA

AL MATTATOIO CINQUE FOTOGRAFI INTERNAZIONALI RACCONTANO LA CITTÀ ETERNA IN OGNI SUA LUCE E SFACCETTATURA di Sandra Gesualdi sandragesu

Tommaso Protti, Untitled (2019) Dal progetto Bordi 114


C

inque fotografi immortalano e presentano la Capitale attraverso il loro sguardo artistico, inoltrandosi oltre il visibile e l’evidente. Roma – che festeggia i suoi 2.774 anni di storia il 21 aprile – è tante metropoli in una. La si ama e la si odia senza compromessi, come se fosse le due facce di unico sentimento. Un connubio di luce materica, quella con cui si veste tutto l’anno, ma anche di quel buio profondo di certe sue periferie. Eloquenti le circa 130 immagini dei cinque autori internazionali selezionati dal curatore Francesco Zizola per la mostra Fotografia. Nuove produzioni 2020 per la collezione Roma,

al Mattatoio (ex Macro Testaccio) fino al 16 maggio (salvo slittamenti suscettibili dovuti alle misure per contrastare il Covid-19), nell’ambito delle residenze d’artista 2019 e le cui opere andranno a implementare l’Archivio fotografico del museo capitolino. Nadav Kander, Martin Kollar, Alex Majoli, Sarah Moon e Tommaso Protti propongono la Capitale attraverso una cronaca iconografica varia e multiforme in cui l’eredità sassosa e archeologica dell’Impero romano si mischia al caos dei graffiti sui muri dell’hinterland. Memorie, desideri e linguaggi diversi – per citare Italo Calvino – di una stessa caleidosco-

pica città coesistono, si intrecciano, si guardano in cagnesco pur sapendo che sono tasselli dello stesso immenso centro urbano, che cambia volto, luce e odori da un quartiere all’altro. Kander, Majoli, Moon e Protti elaborano con realismo documentale l’oggi, o presentano volti antichi riemersi da secolari anamnesi. Kollar, invece, ha raggiunto Roma a piedi partendo da Bratislava e percorrendo le antiche vie imperiali. Ne è nato un diario visivo con 42 scatti, uno per ogni giorno di cammino. mattatoioroma.it mattatoioroma mattatoio

Martin Kollar, Untitled (2019) Dal progetto Long stroll: all roads lead to Rome 115


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LE RADICI DEL PASSATO TRA COLONNE ROMANE E ROVINE EGIZIE, MEMORIA DELLA CULTURA MEDITERRANEA. IN MOSTRA A ROMA 100 SCATTI DELL’ARTISTA CECO JOSEF KOUDELKA di Cecilia Morrico

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Foto Josef Koudelka/Magnum Photos

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estituire un valore attuale alle rovine del passato. Questo l’ambizioso progetto del fotografo Josef Koudelka,

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in mostra, nell’unica tappa italiana, al museo dell’Ara Pacis di Roma fino al 16 maggio. Dalle colonne romane ai templi gre-

ci, dalle sfingi egiziane ai resti di Pompei, oltre 100 spettacolari scatti in bianco e nero raccontano il viaggio dell’artista ceco. Intitolata Radici.


Evidenza della storia, enigma della bellezza, l’esposizione è la testimonianza dei risultati ottenuti dopo 30 anni di lavoro nei più rappresentativi e importanti siti archeologici del Mediterraneo. Immagini panoramiche, alcune di grande formato, realizzate tra Europa, Africa e Medio Oriente, accompagnano il visitatore in un’inedita e personalissima riflessione sull’antico, il paesaggio e la bellezza. Scenari senza tempo, ricchi di anima e fascino, caratterizzati da prospettive instabili, inaspettate, ambivalenti, ben rappresentano il lessico visuale e la cifra stilistica dell’artista ceco. Rifuggendo la semplice illustrazione e documentazione delle rovine, Koudelka sceglie di dare respiro a ciò che resta delle antiche civiltà, rappresentandole in un’eterna tensione tra ciò che è visibile e ciò che

resta nascosto, tra enigma ed evidenza. Non ama parlare della sua opera, ma preferisce lasciare lo spettatore libero davanti ai rettangoli che gli propone, perfettamente integrati nella cornice dell’Ara Pacis. Esposti accanto a uno dei monumenti più significativi della prima età imperiale, gli scatti acquistano ancora di più il valore di immagini memorabili, in un rapporto intenso di rimandi ed echi di una memoria che a Roma più che altrove diventa presente. La retrospettiva è accompagnata dal volume Radici, pubblicato da Contrasto, dove il curatore francese Bernard Latarjet evidenzia la poetica dell’artista: «Le rovine fotografate da Koudelka sembravano l’allegoria di un’attualità di cui lui, con la sua arte, restituiva il senso nel nostro presente: sulle sponde del “mare comune”

«Le rovine non sono il passato, sono il futuro che ci invita all’attenzione e a godere del presente» Josef Koudelka

c’era tutta l’attualità della nascita dell’Europa, dei suoi valori fondanti, l’attualità dei rischi della loro morte. L’Europa delle rovine è quella in cui la mente fa dialogare la ragione e la fede, la libertà e la legge, quella di cui, per dirla come Jacques Berque, “portiamo dentro di noi le macerie ammucchiate e l’instancabile speranza”». arapacis.it MuseoAraPacis museiincomune museiincomuneroma

Roma, Italia (2000) 117


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Il Cairo, Egitto (2012)

Amman, Giordania (2012)

Pompei, Italia (2012)

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BASE

ECONOMY

LIBERTÀ DI VIAGGIO E CAMBI ILLIMITATI Biglietto acquistabile fino alla partenza del treno. Entro tale limite sono ammessi il rimborso, il cambio del biglietto e il cambio della prenotazione, gratuitamente, un numero illimitato di volte. Dopo la partenza, il cambio della prenotazione e del biglietto sono consentiti una sola volta fino a un’ora successiva.

CONVENIENZA E FLESSIBILITÀ Offerta a posti limitati e soggetta a restrizioni. Il biglietto può essere acquistato entro la mezzanotte del secondo giorno precedente il viaggio. Il cambio prenotazione, l’accesso ad altro treno e il rimborso non sono consentiti. È possibile, fino alla partenza del treno, esclusivamente il cambio della data e dell’ora per lo stesso tipo di treno, livello o classe, effettuando il cambio rispetto al corrispondente biglietto Base e pagando la relativa differenza di prezzo. Il nuovo ticket segue le regole del biglietto Base.

SUPER ECONOMY MASSIMO RISPARMIO Offerta a posti limitati e soggetta a restrizioni. Il biglietto può essere acquistato entro la mezzanotte del decimo giorno precedente il viaggio. Il rimborso e l’accesso ad altro treno non sono consentiti.

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Con Trenitalia i bambini viaggiano gratis in Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca e Intercity nei livelli Business, Premium e Standard e in 1^ e 2^ classe. Gratuità prevista per i minori di 15 anni accompagnati da almeno un maggiorenne, in gruppi composti da 2 a 5 persone 2.


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I Carnet Trenitalia sono sempre più adatti a tutte le esigenze. Si può scegliere quello da 15 viaggi con la riduzione del 30% sul prezzo Base, da 10 viaggi (-20% sul prezzo Base) oppure il Carnet 5 viaggi (-10% sul prezzo Base). Riservato ai titolari CartaFRECCIA, il Carnet è nominativo e personale. L’offerta è disponibile per i treni Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca e Intercity 3.

L’offerta consente di usufruire di prezzi ridotti per chi utilizza, in un unico viaggio, un treno Notte e un treno Frecciarossa o Frecciargento. La promozione è valida per i viaggiatori provenienti con un treno notte dalla Sicilia, dalla Calabria o dalla Puglia che proseguono sulle Frecce in partenza da Napoli, Roma o Bologna per Torino, Milano, Venezia e tante altre destinazioni, e viceversa 4 .

NOTE LEGALI 1. Il numero dei posti è limitato e variabile, a seconda del treno e della classe/livello di servizio. Acquistabile entro le ore 24 del terzo giorno precedente la partenza del treno. Il cambio prenotazione/biglietto è soggetto a restrizioni. Il rimborso non è consentito. Offerta non cumulabile con altre riduzioni, compresa quella prevista a favore dei ragazzi. 2. I componenti del gruppo che non siano bambini/ragazzi pagano il biglietto al prezzo Base. Offerta a posti limitati e variabili rispetto al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio. Cambio prenotazione/biglietto e rimborso soggetti a restrizioni. Acquistabile entro le ore 24 del secondo giorno precedente la partenza. 3. Il Carnet consente di effettuare 15, 10 o 5 viaggi in entrambi i sensi di marcia di una specifica tratta, scelta al momento dell’acquisto e non modificabile per i viaggi successivi. Le prenotazioni dei biglietti devono essere effettuate entro 180 giorni dalla data di emissione del Carnet entro i limiti di prenotabilità dei treni. L’offerta non è cumulabile con altre promozioni. Il cambio della singola prenotazione ha tempi e condizioni uguali a quelli del biglietto Base. Cambio biglietto non consentito e rimborso soggetto a restrizioni. 4. L’offerta Notte&AV è disponibile per i posti a sedere e le sistemazioni in cuccetta e vagoni letto (ad eccezione delle vetture Excelsior) sui treni Notte e per la seconda classe, o livello di servizio Standard, sui treni Frecciarossa o Frecciargento. L’offerta non è soggetta a limitazione dei posti. Il biglietto è nominativo e personale.

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NEWS

Notizie Ansa sui principali fatti quotidiani aggiornate ogni ora

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NEL CATALOGO CARTAFRECCIA COLLECTION È DISPONIBILE LA NUOVA COLLEZIONE ESCLUSIVA DUCATI-FRECCIAROSSA Trenitalia è orgogliosa di presentare l’esclusiva Ducati Capsule Limited Edition di CartaFRECCIA Collection, nata dalla collaborazione tra Frecciarossa e Ducati Corse. È possibile scegliere uno dei prodotti della collezione, disponibile fino al 30 aprile, su cartafrecciacollection.it. Con Frecciarossa e Ducati le emozioni viaggiano ad alta velocità.

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FLOTTA

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FRECCIARGENTO ETR 700

Velocità max 250km/h | Velocità comm.le 250km/h | Composizione 8 carrozze | 3 livelli di Servizio Business, Premium, Standard | Posti 500 | WiFi Fast | Presa elettrica e USB al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIARGENTO ETR 600

Velocità max 280 km/h | Velocità comm.le 250 km/h | Composizione 7 carrozze | Classi 1^ e 2^ | Posti 432 | WiFi Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIAROSSA ETR 1000

Velocità max 400 km/h | Velocità comm.le 300 km/h | Composizione 8 carrozze 124


FRECCIARGENTO ETR 485

Velocità max 280 km/h | Velocità comm.le 250 km/h | Composizione 9 carrozze | Classi 1^ e 2^ | Posti 489 | WiFi Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIABIANCA

Velocità max 200 km/h | Velocità comm.le 200 km/h | Composizione 9 carrozze | Classi 1^ e 2^ | Posti 603 Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIABIANCA ETR 460

Velocità max 250 km/h | Velocità comm.le 250 km/h | Composizione 9 carrozze | Classi 1^ e 2^ | Posti 479 Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

Livelli di servizio Executive, Business, Premium, Standard | Posti 457 | WiFi Fast | Presa elettrica al posto Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio 125


PRIMA DI SCENDERE FONDAZIONE FS

RICONVERTIRE LA STORIA

© Archivio Fondazione FS Italiane

DUE AUTOMOTRICI DIESEL VIAGGERANNO PRESTO A METANO LIQUIDO GRAZIE AL PROGETTO DI TRASFORMAZIONE GREEN DEI TRENI DI FONDAZIONE FS ITALIANE

Automotrice Leggera diesel ALn 668 in servizio sulla linea Fortezza-San Candido (1988)

L

a Fondazione FS Italiane promuove un modello di turismo sostenibile, alla ricerca di destinazioni lontane dai tradizionali circuiti turistici per riscoprire il patrimonio culturale ed enogastronomico della provincia. Al fascino esercitato dai treni d’epoca, si sta cercando di affiancare l’utilizzo di combustibili e risorse rinnovabili. Dallo scorso novembre, infatti, nelle Officine manutenzione ciclica di Trenitalia, a Rimini, sono in corso i lavori di conversione a metano liquido di due storiche automotrici alimentate a diesel. L’attività rientra nell’ambito del Memorandum d’intesa siglato a marzo 2019 da FS Italiane, Snam e

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Hitachi Rail con l’obiettivo di trasformare una parte dell’attuale parco rotabile di Fondazione FS Italiane. Il progetto pilota di Rimini rappresenta un primo step per eliminare le emissioni di particolato e ridurre di circa il 20% quelle di anidride carbonica. Le automotrici scelte appartengono alla terza generazione delle ALn 668: la loro particolarità è nella posizione del motore, progettato sotto il pavimento per garantire il massimo spazio disponibile ai viaggiatori e ai servizi. Una soluzione che non aveva eguali nell’ingegneria dei trasporti negli anni ’50 e ben descritta tra le pagine dei Quaderni delle Ferrovie dello Sta-

to, una serie di monografie iconiche consultabili sull’archivio online di Fondazione FS Italiane. Le ALn 668 furono migliorate nel tempo, tanto che la terza generazione fu prodotta nel biennio 1982-83, e costituirono per anni la spina dorsale del trasporto regionale sulle linee non elettrificate. Questa evoluzione le colloca tra i migliori esempi di perfezionamento ferroviario italiano, che oggi vive un nuovo momento eccezionale grazie al lavoro delle Officine Trenitalia di Rimini. fondazionefs.it archiviofondazionefs.it FondazioneFsItaliane fondazionefsitaliane


PRIMA DI SCENDERE FUORI LUOGO

di Mario Tozzi mariotozziofficial

mariotozziofficial

OfficialTozzi

[Geologo Cnr, conduttore tv e saggista]

ANTICA N MONTERANO

© ValerioMei/AdobeStock

Monterano (RM)

on lontano da Roma, il paese abbandonato di Monterano si staglia nei pressi del Lago di Bracciano, residuo del grande vulcano Sabatino, attivo qui centinaia di migliaia di anni fa per lungo tempo. È un paese fantasma quanto resta del più importante centro abitato sabatino, patria di famosi capitani di ventura del XV secolo, prima che la città di Bracciano ne spodestasse l’autorità. Monterano fu definitivamente abbandonato dopo la distruzione perpetrata dall’esercito francese nel 1799, ma ha acquistato un fascino particolare grazie al tempo che si è fermato, lasciando monumenti, palazzi, fontane e facciate in piedi in mezzo alla vegetazione intenta a riappropriarsi dei luoghi. Andando alla ricerca di set cinematografici famosi come Brancaleone alle crociate e Il marchese del Grillo non dovrebbe sfuggirci che, in realtà, fu la malaria negli ultimi decenni del XVIII secolo a fiaccare questa comunità e a ricordare agli uomini quanto non sia saggio colonizzare ogni luogo sfidando le regole che presiedono alle epidemie e agli equilibri ambientali. Il pianeta ci ricorda da tempo che il vaccino migliore lo abbiamo già in casa, ed è la tutela del mondo naturale.

IL RITORNO DI SAPIENS La divulgazione scientifica e ambientale riprende a partire dal 24 aprile, il sabato in prima serata su Rai3, con Sapiens - Un solo pianeta. Un programma che pone domande sull’uomo, la natura, lo spazio, la Terra e il futuro dei Sapiens, cercando le risposte con accurate indagini sul campo. La scienza diventa un racconto avvincente e spettacolare grazie alla narrazione di Mario Tozzi, divulgatore e appassionato esploratore. Anche Monterano sarà palcoscenico di una puntata che tirerà le somme degli aspetti naturalistici della pandemia. raiplay.it/programmi/sapiensunsolopianeta 127


PRIMA DI SCENDERE FOTO DEL MESE

a cura di Silvia Del Vecchio - s.delvecchio@fsitaliane.it

Il Gigante di Curinga – così lo chiamano amabilmente i suoi compaesani – è un platano orientale originario dell’Armenia. La leggenda vuole che sia stato piantato più di mille anni fa da un monaco basiliano sulle ripide sponde di un ruscello proprio quando, a Curinga (CZ), fu costruito l’eremo di Sant’Elia, un altro monumento capace di rendere misterioso e affascinante questo luogo. E fu, probabilmente, il profumo di sacralità a difendere questo albero, dandogli la possibilità di crescere meravigliosamente maestoso. Il suo fusto, quasi totalmente cavo alla base e largo più di tre metri, può ospitare tranquillamente una decina di persone. Con una circonferenza di 14,75 metri e un’altezza di 31,5, risulta il platano più imponente del nostro Paese, oltre a essere il più longevo. È stato infatti misurato scientificamente in arrampicata dall’agronomo Andrea Maroè, il più famoso cacciatore italiano di grandi alberi e direttore scientifico della Giant Trees Foundation, onlus che cerca, studia e difende questi esemplari a livello nazionale e internazionale e organizza il concorso Italian Tree of the Year, stravinto nel 2020 proprio dal Gigante di Curinga. Ma il platano calabrese ha difeso brillantemente il tricolore guadagnandosi anche il secondo posto al contest European Tree of the Year, che il 17 marzo scorso ha assegnato il titolo alla millenaria Carrasca di Lecina, in Spagna. gianttrees.org | treeoftheyear.org GiantTreesFoundation giant_trees_foundation Giant Trees Foundation

Il platano di Curinga (CZ) © Antonio Bretti

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