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IL GLOBALISTA

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REGIMENTAL

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BENVENUTI NEGLI ANNI ‘70: LE BANCHE TIRANO I REMI IN... PATRIA

Dopo aver spinto oltre ogni limite il gioco finanziario della globalizzazione, ora gli istituti di credito si trincerano dietro i confini dei rispettivi continenti

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Nel mondo di ieri erano i campioni, anzi le campionesse visto che si sta parlando di banche, della globalizzazione, del mondo senza confini dove il denaro poteva circolare liberamente e per conseguenza generare profitti (ed extra-profitti), certificati dalla crescita dei listini di Borsa. Nel mondo di oggi con guerra inflazione stagnazione crisi energetica blocco delle “supply chains”, insomma tutto quello che nel lontano 2003 aveva previsto un economista americano molto chiacchierato ma dalla vista lunga e con visioni strategiche originali frutto probabilmente del suo talento di campione di scacchi – stiamo parlando di Kenneth Rogoff che all’epoca era capo economista del Fondo monetario internazionale – nel mondo di oggi, dicevamo, sono proprio le banche, le grandi banche internazionali che per un decennio e più hanno spinto oltre ogni limite il

QUI MIAMI

gioco finanziario della globalizzazione, a fare (prudentemente?) uno o più passi indietro trincerandosi - proprio loro, le campionesse della finanza senza confini - all’interno del perimetro dei rispettivi Paesi e dei rispettivi continenti. Insomma “le banche si de-mondializzano” come hanno titolato in queste ultime settimane i grandi giornali finanziari, dal Wall Street Journal al Financial Times, testimoni quasi increduli del repentino cambio di paradigma (e di strategia). Che cosa è accaduto, in sostanza? Innanzi tutto, le banche hanno cambiato registro per semplicissime e ovvie ragioni economiche. Lo dimostra il caso del colosso francese Bnp Paribas – la prima banca europea come si compiace di definirla il suo gran capo Jean-Laurent Bonaffé – che a dicembre 2021, in piena pandemia ma ancora lontani

Dall’American Dream non ci si desta neanche sotto le sirene dell’inflazione

Prosegue la crescita dell’economia americana: la spesa è alimentata da una domanda crescente, rallentata solo dalle difficoltà di approvvigionamento. E le fiere sono tornate in calendario in presenza

La spesa dei consumatori americani ad aprile è cresciuta dello 0,9% totalizzando nel mese, sulla base dei dati del U.S. Census Bureau, una spesa complessiva di ben 677,7 miliardi di dollari (in pratica un valore mensile pari un terzo del Pil dell’Italia nel 2021). Questo nonostante il prezzo della benzina qui in Florida abbia superato i 5 dollari al gallone (oggi $4,79 esattamente il doppio dello scorso anno a $2.39), nonostante le incertezze del nuovo assetto geopolitico mondiale a seguito dell’invasione russa in Ucraina ridisegnino nuove alleanze e collaborazioni tra paesi e mercati, e nonostante il tasso di inflazione annuale abbia raggiunto a maggio 2022 il record di 8,6% (il più alto dal 1981). Inoltre, pur con l’aumento dei prezzi al consumo, cresciuti ad un tasso mai visto nell’uldai venti di guerra, ha deciso di vendere la sua controllata californiana, la Bank of the West di San Francisco, che per oltre 40 anni ha dato non poche soddisfazioni alla casa madre parigina. La banca, infatti, aveva, al momento del “deal”, 89 miliardi di dollari di depositi, un patrimonio di 105 miliardi e 500 filiali nel Midwest e nel West. Non è bastato, comunque, per resistere all’offerta del più importante istituto canadese, Bank of Montreal (ha aperto la sua prima filiale negli Stati Uniti nel 1818 e negli anni ‘90 è diventata la prima banca canadese quotata a Wall Street con una capitalizzazione, oggi, di 69 miliardi di dollari) che ha messo sul tavolo 16,3 miliardi di dollari cash.

timo decennio, la spesa degli americani è aumentata in tutte le categorie, dai beni di consumo (con un particolare incremento nello shopping online) al lusso, dalla ristorazione ai viaggi. Il che tradotto segnala che la morsa sul reddito familiare dovuta dalla pressione dell’inflazione non ha ancora segnato un impatto significativo sulle spese di non primaria necessità: una spesa alimentata da una forte e crescente domanda che risulta rallentata solo dalle difficoltà di approvvigionamento nella filiera della supply-chain, a riconferma del famoso motto di Warren Buffet “never bet against America” (mai scommettere contro l’America) che riporta forte ed attuale l’american dream. Prosegue così robusta la crescita della economia americana, che l’ufficio

“L’operazione ha senso per Bnp Paribas. Bank of the West, profitti a parte, non era poi così strategica per i francesi. Non sarebbe mai stata una grande banca retail negli Stati Uniti. Con i quattrini della vendita Bnp Paribas può concentrarsi sull’investment banking europeo, dove fa più profitti”, ha commentato, all’indomani dell’operazione, il gestore di fondi Clairinvest Ion-Marc Valahu, che possiede azioni Bnp Paribas. Bnp Paribas non è stata, comunque, l’unica banca europea a lasciare gli Stati Uniti. Alla fine l’America si è dimostrata un mercato sempre meno attraente (e complicato soprattutto nella relazione con le autorità di controllo sia statali sia federali). Anche la spagnola Bbva, per dire, ha venduto le sue attività americane a PNC nel 2020, mentre Hsbc, Hong Kong Shanghai Bank, all’inizio di quest’anno ha ceduto la maggior parte delle sue attività Oltreatlantico a Citizens Financial Group, una banca dello stato del Massachussets. Ma la ritirata non riguarda solo il “difficile” mercato nordamericano. Le banche “si demondializzano”, per usare il titolo del Financial Times, e arretrano anche sui mercati europei. Lo sta facendo (con un certo metodo) l’olandese Ing - quella del Conto Arancio in Italia - che si prepara a lasciare la Francia considerata poco redditizia. E lo sta facendo anche la seconda banca francese, la Société Générale, che ha deciso di chiudere la sua filiale russa, Rosbank, e di cedere tutto al fondo Interros Capital dell’oligarca Vladimir Potanin, uno dei tanti miliardari arricchitisi con la svendita del patrimonio minerario ed energetico dell’ex Urss (Potanin, re del nickel, è considerato uno dei più grandi inquinatori dell’Artico ma è anche uno degli uomini più ricchi al mondo con un patrimonio personale di 28 miliardi di dollari secondo Forbes). Société Genérale ha preferito realizzare una perdita di 3,2 miliardi di euro piuttosto che continuare a fare banking in un mercato finanziario considerato senza prospettive e a bassi margini (indipendentemente anche dalla guerra in Ucraina). È quello che faranno anche l’italiana Unicredit e l’austriaca Raiffeisen (che controlla la Raiffeisen Bank, “the best bank in Romania” come si legge nella pubblicità) non appena avranno trovato un compratore. Il ragionamento che sta alla base di queste scelte è che le banche, anche le più internazionalizzate, non sono più disposte a correre “rischi politici” (nel caso del mercato russo ma anche di quello cinese come si dirà tra poco) e “rischi sistemici” (è il caso del mercato statunitense, già analizzato con la vendita della Bank of the West di Bnp Paribas, ma anche del mercato dell’Est Europa, come la Romania, che non dà più garanzie di tassi e margini più alti). Tornando ai rischi politici che “de-mondializzano” il business bancario, emblematica la vicenda di un istituto che ha vissuto per decenni sul banking globale come HSBC, un gigante per metà britannico e per metà cinese.

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di Antonio Acunzo, Ceo di Mtw Group-Foreign Market Entry Advisors

di bilancio del Congresso (Congressional Budget Office) stima per il 2022 al +3,1% e che, per la prima volta dal 1976, cresce più fortemente dell’economia cinese che invece quest’anno rallenterà al 2%, il valore più debole dai tempi della Rivoluzione Culturale. E sia Bloomberg che la World Bank sono allineati sul sorpasso. Un altro segnale che l’economia Usa è forte viene dall’occupazione nell’industria e nei servizi dove mezzo milione di nuovi posti di lavoro si aggiungono sistematicamente ogni mese e lo spettro di una eventuale recessione si allontana (per il momento) dai tavoli economici e dai board aziendali. Eventi e fiere di settore sono ritornati nel calendario e tutti in presenza attirando espositori e buyers e riportando al massimo livello tutti gli appuntamenti annuali, tra i quali e per citarne alcuni: Icff di New York e NeoCom di Chicago per il mondo del design, arredo e sistema casa; American Food & Beverage Show di Miami per l’eno-food; Pack Expo di Chicago per le innovazioni nel packaging; Meat Processing Expo di Des Moines per tutta la filiera dell’industria della carne; il famossimo Ces di Las Vegas, il più importante evento globale per il mondo della tecnologia; D&M West di Anaheim in California per tutte le nuove tendenze in tema di prototipazione, produzione e robotica; Art Basel Miami di Miami Beach per l’arte moderna e contemporanea.

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Mtw Group, società di advisory di international business con sede a Miami in Florida, dal 2005 offre consulenza manageriale strategica per l’internazionalizzazione nel mercato Usa integrata con servizi di Marketing Communication, Brand Marketing, Business Development e Corporate a supporto delle Pmi e delle aziende Mid-Market del Made in Italy che guardano al mercato Usa per la propria crescita ed espansione attraverso piani di internazionalizzazione strutturata come Joint-Venture, M&A, Fdi e Direct Export. antonio@marketingthatworks.us www.marketingthatworks.us

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