6 minute read

PNRR

Next Article
REGIMENTAL

REGIMENTAL

Se la "questione" meridionale è che il Sud può trainare il Nord

Centrali elettriche (anche da fonti rinnovabili), multinazionali, progettualità: lo stereotipo del Mezzogiorno arretrato viene smentito dai fatti. Un esempio per il resto del Paese

Advertisement

di Federico Pirro

Diciamolo con chiarezza: ci sembra che sia giunto il momento di analizzare le questioni socioeconomiche dell’Italia meridionale – per chi ne avesse il desiderio o la necessità - superando vecchi schemi, stereotipi e visioni non più rispondenti alla realtà. Lo impongono del resto gli effetti macroeconomici della guerra in Ucraina, il forte incremento dei costi energetici, le difficoltà negli approvvigionamenti di materie prime agricole e di semilavorati per l’industria, e di conseguenza la necessità di valorizzare in un momento di crescenti difficoltà per l’economia nazionale le risorse naturali, produttive e tecnologiche di tutto il Paese ed in particolare delle sue aree meridionali. Naturalmente con tali affermazioni non si vogliono in alcun modo nascondere le diffuse criticità tuttora esistenti nel Mezzogiorno

IL SUD DISPONE DI INGENTI FONDI COMUNITARI CHE LE IMPRESE DEL NORD ED ESTERE IMPIEGANO CREANDO OCCUPAZIONE E SVILUPPO

in diversi ambiti della società politico-amministrativa, nelle business community, nel mondo della ricerca e sotto il profilo infrastrutturale, o almeno per alcune specifiche infrastrutture in determinati ambiti territoriali. Ma non si può ignorare tuttavia che il Sud pone a disposizione dell’Italia non solo derrate agricole strategiche come grano duro, ortofrutta, olive, uva da vino, risorse ittiche - trasformate nel Meridione da una fiorente industria agroalimentare ormai di standing qualitativo e dimensionale europeo - ma anche il petrolio della Basilicata e della Sicilia, energia da fonte eolica e fotovoltaica - con i primati nazionali in questi due campi della Puglia, entrambi inoltre migliorabili sulla terraferma e soprattutto off-shore con i giganteschi investimenti annunciati nei mari del Sud da big player come ad esempio la Falck Renewables. Il Mezzogiorno inoltre pone a disposizione dell’Italia 3 centrali a carbone (tornate prepotentemente alla ribalta) ed altre a gas, oltre – è appena il caso di rilevarlo – alla produzione di autoveicoli di Stellantis, aeromobili di Leonardo e delle sue Divisioni Aerostrutture ed Elicotteri, convogli ferroviari della Hitachi-Rail-STS, prodotti farmaceutici delle multinazionali Merck, Sanofi, Pfizer, Novartis, costruzioni navali, raffinazione petrolifera di Saras, Lukoil, Sonatrach, Ram ed Eni, chimica di base della Versalis, materiali per l’edilizia: produzioni che concorrono non solo a soddisfare la domanda interna, ma che alimentano anche robuste esportazioni. Non si dimentichi inoltre che in Sicilia, in Puglia e in Abruzzo approdano tre grandi metanodotti sottomarini, due elettrodotti da Grecia e Montenegro, mentre rilevanti giacimenti di gas sono stimati da anni sui fondali prospicienti la Puglia e la Basilicata: giacimenti che è necessario iniziare a sfruttare (finalmente), data la situazione di allerta se non di vera e propria emergenza energetica in cui versa il Paese. Il Sud inoltre dispone di altri ingenti fondi comunitari ‘strutturali’ – che anche tante imprese del Nord ed estere vengono ad utilizzare, creando occupazione e sviluppo – e può contare su elevate quote di risparmio che potrebbe essere impiegato in loco in misura ben maggiore nel campo degli investimenti. E poi ribadiamolo con altrettanta chiarezza:

non esiste più ormai da molti anni un Sud omogeneo e indistinto nella sua arretratezza, ma coesistono diversi Sud in ogni regione, dall’Abruzzo alla Sardegna, diverse capacità amministrative fra Comuni e Regioni più efficienti anche nella spesa pubblica e Istituzioni che lo sono meno, imprenditori più dinamici di altri e ormai proiettati in molti casi a livello internazionale con le loro grandi aziende fra le quali ricordiamo Adler Pelzer di Paolo Scudieri, Casillo partecipazioni, La Doria, Casa Olearia Italiana, De Cecco, Divella, Simec, La Molisana, Lucio Garofalo, Caffè Borbone, Caffè Kimbo, Siciliani, Cooperativa Assegnatari Associati di Arborea, Ferrarelle, Lete, Nino Castiglione, Laminazione Sottile, Sideralba, Seda International, Fluorsid, Natuzzi, MobilTuri, Leo Shoes, Cofra, Pianoforte Holding, Original Marines, Ciro Paone, Sielte, Irem, Sicilsaldo, Ceit, Walter Tosto, Bruno Generators, Irritec, Mer.Mec, Palumbo Group, Tiscali, senza dimenticare i grandi armatori come Grimaldi. Società di imprenditori meridionali, ciascuna delle quali ha superato nel 2020 i cento milioni di fatturato, collocandosi in un range fra i 100 e i 700 milioni - con qualche punta anche abbondantemente superiore al miliardo - cui si affiancano centinaia di altre imprese minori fra i 20 e i 99 milioni di ricavi, diffuse sia pure con varia densità insediativa nelle otto regioni del Sud, e che insieme alle società prima citate e alle tante fabbriche di gruppi settentrionali ed esteri localizzate nell’Italia meridionale la rendono una piattaforma produttiva di dimensioni europee. Ora questi Sud fra loro abbastanza diversificati - con imprese industriali e commerciali, enti locali e loro amministratori, Università, ceti professionali, strutture sanitarie, banche - sono chiamati ad una nuova durissima sfida costituita dall’acquisizione e dall’impiego entro il 2026 dei fondi del

LE CITTÀ METROPOLITANE E I COMUNI MAGGIORI SONO RIUSCITI A PRESENTARE MOLTI PROGETTI RELATIVI AI BANDI PUBBLICATI

Pnrr. Ce la faranno a vincerla? In alcuni casi, si, la stanno già vincendo almeno sotto il profilo dell’acquisizione dei fondi che poi, però, dovranno essere tradotti in cantieri, investimenti industriali e attività di ricerca applicata da rendicontarsi nella spesa entro il 2026. Le Città metropolitane e i Comuni maggiori, sia pure spesso con stress operativi di particolare acutezza, sono riusciti a presentare progetti sui bandi sinora pubblicati e ad acquisirne quote di risorse non irrilevanti. Ora tuttavia dovranno accelerarne l’impiego, mentre è bene sottolineare che nel manifatturiero ogni 100 euro investiti nel Sud generano 58 euro aggiuntivi per altre aree del Paese. A loro volta Autorità di sistemi portuali, Consorzi Asi, e società di gestione di utilities stanno accelerando sia per impiegare al meglio i fondi del Pnrr già acquisiti, e sia per completare e rendicontare entro il 31 dicembre 2023 la spesa delle risorse loro rivenienti dai fondi europei strutturali del ciclo 2014-2020. Certo, anche in questo caso non mancano performance realizzative abbastanza diversificate: ad esempio, fra le Regioni la Puglia ha ormai rendicontato una spesa pari all’86% dei fondi del ciclo 2014-2020 ad essa assegnati, e pertanto non può in alcun modo essere assimilata ad altre Regioni che, invece, sono più indietro e che pure stanno recuperando, anche se poi si scopre che sono alcuni Ministeri ad essere più indietro nella spesa dei fondi strutturali di loro pertinenza, come ha denunciato di recente il Sole 24 Ore. I Comuni minori lamentano limitata disponibilità nei loro organici di figure professionali idonee a gestire procedure di accesso alle risorse del Pnrr e per loro impiego. E per questo il Governo ha posto a disposizione contingenti di professionisti fra i quali poter attingere quelli necessari allo scopo, ma è probabile che molti piccoli Comuni non riusciranno ad accedere ai finanziamenti del Pnrr, anche se (forse) si potrebbero ‘risarcire’ con quote maggiori dei fondi europei strutturali del ciclo 2021-2027. Insomma il Mezzogiorno da lungo tempo ormai non è più quello che molti in Italia si ostinano ancora a considerare, ovvero sinonimo di arretratezza e di sottosviluppo: se così fosse bisognerebbe spiegarsi allora perché tante multinazionali estere continuino ad arrivare in alcune regioni, come è accaduto in Puglia negli ultimi mesi ove si sono registrati insediamenti fra gli altri di Ntt, Lutech, Atos, Deloitte, Lottomatica, Pirelli, Midsummer, Martur, Philip Morris. Solo per i cospicui incentivi ? Si, certo, quelli contano, ma se non vi fosse un ecosistema idoneo ad attrarre e consolidare la loro presenza, dopo qualche tempo quelle aziende potrebbero lasciare il territorio. Il Sud inoltre è un grande mercato, e questo lo sanno bene tutti i gruppi che cercano di soddisfarne la domanda. Allora l’Italia meridionale può diventare la nuova frontiera dello sviluppo italiano?

UN REPARTO AUTOMATICO DELLA ADLER

This article is from: