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CI PIACE/NON CI PIACE

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BEPI KOELLIKER

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CI PIACE

QUANDO LA FAMIGLIA INVESTE NELL’IMPRESA

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I Cremonini si sono ricomprati da Cdp Equity la quota del 28,4% che il fondo deteneva nell’Inalca

la redazione

Una grande famiglia, la famiglia Cremonini. Che fa veramente ripensare alla celebre analisi di Luigi Einaudi sullo spirito d’impresa che anima molti imprenditori italiani «che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritrarre spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi». Già: perché la famiglia imprenditoriale entrata nel business con il capostipite Luigi Cremonini (classe ’39) e oggi guidata dai figli Vincenzo e Claudia ha confermato una seconda volta l’attaccamento al proprio gruppo. L’ha fatto ricomprando da Cdp Equity la quota del 28,4% che il fondo creato dalla Cassa Depositi e Prestiti deteneva nell’Inalca, gruppo leader nella produzione di carne bovina in Europa e nella distribuzione alimentare all’estero, appartenente appunto alla famiglia Cremonini. La quota era stata acquistata nel dicembre 2014 dal Fondo Strategico italiano insieme alla Qatar Investment Authority (Qia) per 165 milioni di euro ed è tornata alla base per 168. Qualcuno ricorderà che nel 2008 Cremonini aveva delistato la capogruppo – che dopo la quotazione della Marr era diventata holding – e aveva ceduto il 50% dell’Inalca al colosso brasiliano delle carni Jbs S.A., il più grande produttore al mondo di carni bovine. Ma tre anni dopo, la famiglia aveva deciso di riacquistare la quota e continuare da sola. Scelta lungimirante, alla luce dei risultati. Inalca è un colosso del settore, che ha chiuso il 2021 con circa 2,4 miliardi di euro di ricavi (da 2,1 miliardi nel 2020), un ebitda di 161,7 milioni di euro (da 138,5 milioni).

Già nel 2011 Cremonini aveva riacquistato dalla brasiliana Jbs il 50% di Inalca

L’informazione promozionale sul titolo è stata veritiera ma un po’ lacunosa

Ma è proprio corretto dire, come ha fatto il Tesoro, che il Btp Italia – il titolo di Stato emesso con grande successo a metà novembre – “difende dall’inflazione”? Il Btp è stato indicizzato all’inflazione, cioè l’emittente (lo Stato) ha deciso di pagare una cedola variabile e proporzionata all’eventuale aumento dell’inflazione e (collegato) dei tassi di interesse. In più lo Stato ha aggiunto a questa emissione un premio fedeltà a favore di tutti coloro che l’hanno acquistata appunto sul mercato “primario”, quando cioè sono stati emessi, e lo tengono fino alla fine della sua vita. Fin qui, tutto bene. Ma sul piano della comunicazione, dire che questo titolo difende dall’inflazione è vero ma parziale. Cioè se l’inflazione scenderà – com’è non solo auspicabile ma prevedibile, perché è interesse di tutti al mondo che scenda – quel Btp renderà meno, e ciò ne deprimerà il valore sul mercato secondario. Quindi, se uno ha comprato il Btp in emissione in una delle 3 scadenze possibili (4, 6 o 8 anni) e lo conserva fino a scadenza, bene: si riprende i suoi soldi, ha intascato le cedole semestrali, calanti se l’inflazione sarà calata, crescenti se sarà cresciuta e intasca il premio fedeltà. Se invece a metà della vita del Btp il risparmiatore volesse riprendersi prima i suoi soldi e andasse a vendersi il titolo in Borsa, scoprirebbe amaramente che il valore di quel titolo, in caso di calo dell’inflazione, sarebbe sceso, e molto. Che è l’”altra faccia” della garanzia di aggancio in caso di crescita. Quindi l’informazione promozionale sul titolo è stata veritiera ma parziale. C’era un “segnale di pericolo” che poteva e forse doveva essere comunicato più chiaramente.

NON CI PIACE

FACCIAMO ATTENZIONE AL LATO B DEL BTP ITALIA

Per chi non mira al premio fedeltà, il valore del titolo potrebbe calare con l’inflazione

la redazione

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