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BEPI KOELLIKER

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Deglobalizzazione e nuove alleanze

Col pretesto di combattere l'inflazione si fanno strada misure protezionistiche e all'efficienza si privilegia la sicurezza di fare affari solo con i Paesi "amici". Basta guardare a come si stanno muovendo gli Usa

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di Ugo Bertone *

“Misure urgenti per combattere l’inflazione”. Con questo titolo il presidente degli Usa ha presentato lo scorso agosto al Congresso (che l’ha prontamente approvata) una legge che, in realtà, con l’inflazione ha ben poco a che fare, ma che suona come una formidabile arma per proteggere l’industria Usa. Il piano per “ridurre i prezzi” comprende interventi sui farmaci e la spesa sanitaria ma, soprattutto, prevede 370 miliardi di dollari di aiuti all’industria delle energie rinnovabili. Proposte apprezzabili, anzi lodevoli salvo il fatto che il diavolo, come spesso accade, sta nei dettagli che proprio dettagli non sono. Il provvedimento prevede uno sconto di 7.500 dollari per ogni vettura venduta nel Paese purché risulti prodotta negli Stati Uniti e monti una batteria made in Usa. Insomma, una pillola avvelenata nei confronti dell’industria europea, tedesca in particolare che riapre il contenzioso commerciale tra le sponde dell’Atlantico giusto un anno dopo l’accordo sull’acciaio e la composizione dell’annosa lite tra Airbus e Boeing. Ma rispetto ai primi anni del millennio i rapporti di forza sono cambiati: gli Stati Uniti, severamente impegnati nel conflitto ucraino, hanno senz’altro un maggior potere contrattuale rispetto ai Paesi della Ue. Specie nei confronti della Germania, colpevole per la politica sul gas che ha portato alla dipendenza da Gazprom. E così Bruxelles stenta, per ora, a trovare sanzioni efficaci per replicare a Washington. Commerci e politica estera viaggiano ormai di conserva. Superata la fase della guerra dei dazi, cara a Trump, gli Usa hanno alzato il tiro sul fronte dei semiconduttori con l’obiettivo di azzerare la minaccia cinese in materia di intelligenza artificiale o di altre possibili applicazioni militari. Un’altra legge, stavolta rivolta contro Pechino, impone a tutte le aziende, americane e non, il divieto di vendere chips o macchinari per la produzione dei semiconduttori che non abbiano ottenuto il via libera da Washington. Non solo. I manager o gli scienziati che non obbediscono a questo vincoli perderanno la cittadinanza americana o la green card. Vincoli che valgono per amici e nemici: l’olandese Asml È dagli anni Quaranta del secolo scorso, ha scritto lo storico Nial Ferguson, che non si vedevano mosse così severe sul fronte della libertà dei commerci. Anzi, paragone inquietante, lo storico si spinge a sostenere che la stretta di Biden sui chips equivale alla decisione di Franklin Delano Roosevelt di vietare la vendita di petrolio al Giappone, una delle ragioni che spinsero Tokyo a lanciare l’attacco a Pearl Harbour. Speriamo che la storia non si ripeta a Taiwan. Insomma, archiviata la stagione della globalizzazione, il mondo è entrato in una fase nuova e pericolosa. All’insegna di quella che è stata definita la “globalizzazione lenta”: gli affari si fanno solo con i Paesi amici, privilegiando la sicurezza all’efficienza. E qui torna in campo l’inflazione: i maggiori costi del sistema, a livello globale, valgono almeno tre punti in più, secondo il Wall Street Journal. Ecco perché il mondo post global deve rassegnarsi a tassi di interesse più alti che nel recente passato, quando la Russia forniva le materie prime, la Cina era la fabbrica globale e gli Usa garantivano finanza e servizi. E l’Europa, Italia in testa, si ritagliava uno spazio in cui far prosperare l’export al riparo dal ricatto di materie prime sempre più costose. E della corsa alle armi, che assorbe una quota crescente di ricchezza. È un mondo più difficile, in cui cresce la tentazione di isolarsi. Pessima idea, dal punto di vista della crescita. Meglio puntare sullo sviluppo delle relazioni con i Paesi emergenti, specie in Africa, sviluppando tecnologie (vedi l’idrogeno, ad esempio) e mercati. La vera lotta all’inflazione la si fa così.

*L'autore, Ugo Bertone, torinese, ex firma de Il Sole 24 Ore e La Stampa, è considerato uno dei più competenti giornalisti economico-finanziari italiani

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