Didascalie Informa - n. 1-2 gennaio/febbraio 2012

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PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

AUT DR/CB Centrale/PTMagazine EDITORI/213/2006 08/02/2006

INFORMA

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

didascalie 1-2

n.

Rivista della scuola in Trentino

gennaio-febbraio 2012

Mestiere insegnante

Contributi e riflessioni dopo la lettura de “I figli dell’ultimo banco”


SOMMARIO

DIDASCALIE

Rivista della scuola in Trentino Periodico mensile Anno XXI, numero 1-2 gennaio febbraio 2012 Rivista promossa dalla Provincia Autonoma di Trento (L. P. 3 maggio 1990, n.15, art. 22) Autorizzazione del Tribunale di Trento n. 745 dell’11.1.1992 Direttore responsabile: Giampaolo Pedrotti Coordinatore: Mario Caroli E-mail: mario.caroli@provincia.tn.it In redazione: Norma Borgogno Manuela Saltori (segreteria)

In questo numero: Arianna Bazzanella, Silvano Bert, Norma Borgogno, Mario Caroli, Mariagrazia Corradi, Marta Dalmaso, Livio Degasperi, Patrizia di Gloria, Brigitte Dotzauer, Crescenzo Latino, Sandra Lucietto, Giovanna Molinari, Aldo Muciaccia, Mauro Neri, Marta Ober, Alessandra Osculati, Stefano Paternoster, Gaia Pedron, Miriam Pintarelli, Pierluigi Pizzitola, Maria Ruggio, Daniele Siviero, Ivan Sodini, Anna Tava, Alberto Tomasi, Maria Pia Veladiano

Scuola in Finanziaria: interventi e ritocchi normativi provincia / Certificazione delle competenze centro rovereto/Formazione Anno di prova, dati e contenuti /Il Seminario Tecnologie e cittadinanza iprase/L’evento Rapporto OGI dalle scuole /I.C. Tuenno Riutilizzo di materiali tra scuole la notizia:

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il dossier dentro il libro

il dossier letto da: Alberto Tomasi Daniele Siviero Ivan Sodini Maria Ruggio Gaia Pedron Alessandra Osculati Maria Pia Veladiano l’intervista: Marta Dalmaso

MESTIERE INSEGNANTE Contributi e riflessioni dopo la lettura de “I figli dell’ultimo banco”

Redazione: Via Gilli 3, 38121 Trento tel. 0461/497268 - 69 fax 0461/497267 Realizzazione e Stampa Litografia Effe e Erre - Trento Per richiedere la rivista Didascalie telefonare o mandare un fax o scrivere a: Redazione Didascalie, Palazzo Istruzione via Gilli, 3 – 38121 Trento E-mail: didascalie@provincia.tn.it

Le foto di questo numero sono di: archivio Didascalie e fornite dai diretti interessati, archivio Ufficio stampa Pat

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

AUT DR/CB Centrale/PTMagazine EDITORI/213/2006 08/02/2006

INFORMA

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

Inserto a cura di: Mario Caroli Interventi: Mario Caroli, Marta Dalmaso, Alessandra Osculati, Gaia Pedron, Maria Ruggio, Daniele Siviero, Ivan Sodini, Alberto Tomasi, Maria Pia Veladiano. Inserto 15-34 la scuola: Formazione e sviluppo professionale del docente la lettera/i.r.c.: Bert e Paternoster iprase/Educazione alla cittadinanza dalle scuole /Arcivescovile: Scrivere storia in tedesco dalle scuole/I.I. Degasperi Borgo: Il nostro museo recensione /Il Margine: Anjes di Concetta Marotta scuola infanzia/Strumenti: Storie e percorsi offerta varia/Liceo Filzi Rovereto:

“Licei: la Rete e il Convegno nazionale” offerta varia /Il Convegno: Il Tedesco per il Trentino e l’Europa

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48-terza copertina

quarta di copertina

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Rivista della scuola in Trentino

gennaio-febbraio 2012

Mestiere insegnante

Contributi e riflessioni dopo la lettura de “I figli dell’ultimo banco”

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In copertina in alto: L’immagine di una classe di alunni molto particolare, formata da coniglietti e individuata per presentare il dossier interno dedicato al “Mestiere insegnante” con riflessioni e contributi scaturiti dalla lettura del libro di Augustin D’Humières “I figli dell’ultimo banco” (vedi servizio alle pagine 15-34); in basso, la copertina del libro in questione letto a più voci e commentato nel dossier interno. n. 1-2 gennaio febbraio 2012


LA NOTIZIA

SCUOLA

Novità normative e finanziarie Come ogni anno, riportiamo sulla rivista l’informazione su “La scuola nella Finanziaria”, con un intervento di Livio Degasperi, direttore dell’Ufficio per il nucleo di controllo e per le relazioni sindacali, presso il Dipartimento. Ci sono altri interventi sulla scuola, ai quali accenniamo nella pagina seguente rimandando ai documenti integrali su vivocuola, sui quali torneremo certamente nei prossimi numeri della rivista. In Finanziaria L’articolo 71 della legge provinciale 27 dicembre 2011, n. 18 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Provincia autonoma di Trento (legge finanziaria provinciale 2012)” riguarda in particolare il settore della scuola poiché va a modificare la legge provinciale sulla scuola. Qui di seguito si riportano le principali novità: Il comma 1 introduce delle modificazioni ai contenuti del progetto d’istituto finalizzate a: • evidenziare che contiene e dettaglia anche i piani di studio dell’istituzione scolastica e formativa e in particolare la ripartizione dell’orario complessivo lungo le settimane dell’anno scolastico, nel rispetto del monte ore annuale stabilito dai piani di studio provinciali; • dare risalto alla competenza didattica, metodologica e valutativa del docente; • togliere i riferimenti agli aspetti organizzativi che dovranno quindi essere disciplinati in generale nel regolamento interno, sulla base di criteri fissati nello statuto dell’istituzione, e nello specifico poi rientreranno nelle funzioni gestionali del dirigente dell’istituzione; • evidenziare che contiene i criteri per la formazione delle classi nel rispetto dei limiti fissati dalla Provincia. Il comma 2 introduce una modifica tecnica dell’articolo della legge provinciale sulla scuola che disciplina il consiglio dell’istituzione: • per coordinare lo stesso con quanto previsto dalla legge provinciale sulla scuola in materia di contenuti dello statuto dell’istituzione: viene tolto infatti il riferimento agli aspetti di indirizzo che non sono propri dello statuto. Il comma 3 introduce delle modificazioni alle competenze del dirigente dell’istituzione scolastica e formativa: • specificando che allo stesso, in adeguamento ai principi fondamentali delle recenti norme nazionali di riforma economico sociale, spettano in particolare autonome funzioni di gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali comprese le funzioni di organizzazione del lavoro, tenenendo conto delle competenze previste dalla legge provinciale sulla scuola in capo al consiglio dell’istituzione e al collegio dei docenti. Il comma 4 introduce delle modificazioni all’articolo della legge provinciale sulla scuola che disciplina i piani di studio dell’istituzione scolastica e formativa finalizzate a: • evidenziare che l’istituzione scolastica e formativa, compatibilmente con l’organizzazione complessiva, anche didattica, è chiamata a tenere conto delle esigenze delle famiglie degli studenti iscritti e in particolare oltre che della richiesta di una frequenza solo antimeridiana, come già previsto in legge, anche della richiesta di una frequenza scolastica solo su cinque giorni settimanali; • stabilire che l’istituzione scolastica e formativa nella predisposizione del proprio progetto d’istituto e quindi dei propri piani di studio, in adeguamento di quelli provinciali, e nell’attivazione di eventuali accordi di rete con altre istituzioni scolastiche e formative tiene conto, compatibilmente con l’organizzazione complessiva, delle rilevazioni effettuate dalle quali emergono i bisogni organizzativi e formativi delle famiglie. • stabilire che i criteri, le modalità e i tempi per la rilevazione dei bisogni organizzativi e formativi espressi dalle famiglie, da effettuarsi prima dell’iscrizione ai diversi cicli scolastici, sono definiti dalla Giunta provinciale previo parere della IV commissione del Consiglio provinciale. Il comma 5 introduce un articolo nuovo nel Capo della legge provinciale sulla scuola che disciplina l’educazione permanente: • tale articolo riguarda la formazione scolastica presso la casa circondariale di Trento ed è finalizzato a garantire ai detenuti l’accesso alla formazione scolastica del primo e secondo ciclo di istruzione e formazione professionale e a moduli di alfabetizzazione e formazione al lavoro, attraverso la stipulan. 1-2 gennaio febbraio 2012

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zione di un protocollo d’intesa con la casa circondariale di Trento. Il comma 6 introduce delle modificazioni all’articolo della legge provinciale sulla scuola che disciplina i contributi alle scuole dell’infanzia equiparate: • prevedendo la possibilità che alle stesse, qualora l’intervento sia più economico, possa essere concesso un finanziamento provinciale per la costruzione della immobile ove si svolge l’attività, invece che per la ristrutturazione che alle volte risulta più onerosa. Il comma 8 stabilisce infine che • entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria 2012, la Giunta provinciale dà specifiche direttive all’Agenzia provinciale per la rappresentanza negoziale (APRAN) per l’armonizzazione dei contratti collettivi provinciali del comparto scuola con le modificazioni introdotte nella legge provinciale sulla scuola, sopra descritte, in merito al progetto d’istituto, al consiglio dell’istituzione e al dirigente dell’istituzione scolastica. E’ infatti necessario che le disposizioni contrattuali rispettino il riparto ordinamentale di competenze tra gli organi dell’istituzione scolastica stabilito dalla legge provinciale sulla scuola. Livio Degasperi direttore Ufficio per il nucleo di controllo e per le relazioni sindacali presso il Dipartimento Istruzione, Università e Ricerca GOVERNO DELLE SCUOLE Chi fa che cosa: organi e competenze Dopo la Finanziaria è stato avviato anche un approfondimento sugli articoli della legge provinciale sulla scuola e su quelli del Contratto dei docenti sulla governance nella scuola e sulle competenze degli principali organi della stessa. Consegna ai sindacati (il 15 febbraio 2012) e successivo confronto coi dirigenti scolastici della relativa Proposta per la governance nella scuola. (Ne riparleremo) consiglio dell’istituzione

Il Consiglio dell’istituzione ha compiti d’indirizzo. Il Consiglio stabilisce gli obiettivi strategici pluriennali e la loro declinazione annuale in relazione agli esiti dei processi di valutazione e ai bisogni del contesto territoriale. Tali obiettivi risultano vincolanti per le successive fasi di programmazione il collegio docenti

Il Collegio ha compiti di programmazione, indirizzo e monitoraggio delle attività didattiche ed educative. Il Collegio è responsabile delle scelte didattiche ed educative, cui faranno riferimento i consigli di classe ed i docenti. In particolare: • può proporre indirizzi ed obiettivi strategici al Consiglio dell’Istituzione; • definisce le finalità e i criteri generali per l’elaborazione della programmazione didattica metodologica; • approva i piani di studio di istituto nel quadro di quanto stabilito dai Piani di Studio Provinciali; • definisce i criteri generali di valutazione dell’apprendimento e della capacità relazionale ai sensi dell’articolo 15 del Regolamento per la Valutazione; • individua priorità e ambiti per la formazione del personale docente; • elabora e approva il Regolamento per il funzionamento del Collegio; • definisce finalità e criteri generali per l’utilizzo della flessibilità; • delibera le priorità di utilizzo delle risorse del fondo d’istituto, tenendo conto delle finalità stabilite dalla legge e del progetto d’istituto; • definisce le aree e i criteri per l’individuazione delle funzioni strumentali. il dirigente

Il Dirigente ha autonomi poteri di gestione, di organizzazione del lavoro, di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane; in particolare, il dirigente organizza l’attività educativa secondo criteri di efficienza e di efficacia ed è titolare delle relazioni sindacali. Il Dirigente definisce scopi, modalità, tempi, luoghi di realizzazione delle attività, strumenti gestionali da adottare e soggetti coinvolti. 2

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PROVINCIA

la delibera CERTIFICAZIONE

Ripensare i percorsi formativi La Giunta provinciale ha approvato il 3 febbraio 2012 la delibera con l’adozione del modello per la certificazione delle competenze al termine del biennio conclusivo dell’obbligo di istruzione a partire dall’a.s. 2011/2012; una novità, che interessa sia gli istituti provinciali sia quelli paritari, sia l’istruzione che la formazione professionale. Riportiamo il contributo del dirigente scolastico Enzo Latino del Dipartimento Istruzione, Università e Ricerca.

sultati raggiunti nello sviluppo delle competenze di base e di quelle di cittadinanza. Se è importante conoscere il voto in matematica o in inglese è altrettanto importante avere un riscontro rispetto alle cosiddette “competenze trasversali”: imparare a imparare; risolvere problemi; comunicare; individuare collegamenti e relazioni; progettare; acquisire e interpretare l’informazione; comunicare; collaborare e partecipare; agire in modo autonomo e responsabile. Informazioni altrettanto preziose per l’autorientamento. Il Modello di certificato

Il valore aggiunto Il processo di riforma del sistema educativo ha fatto registrare due tendenze fondamentali: il curricolo orientato allo sviluppo di competenze e la relativa certificazione. Nel quadro della riforma del secondo ciclo il primo biennio ha conservato un ruolo strategico in quanto in esso si porta a compimento il percorso decennale dell’obbligo di istruzione, in continuità con il primo ciclo, e si pongono le basi per la prosecuzione degli studi. Caratteristiche peculiari di questo segmento scolastico sono la sua finalità formativa e orientativa e la sua unitarietà a garanzia dell’equivalenza formativa di tutti i percorsi. Ciò si sostanzia in “una base comune”, costituita dalle competenze di base e dalle competenze chiave di cittadinanza, necessaria a tutti gli studenti per proseguire con successo gli studi, per costruire il proprio progetto personale e professionale, per svolgere un ruolo attivo nella società. Non bastava la “vecchia pagella”? Perché un altro documento? Non era sufficiente la tradizionale “pagella”? La certificazione delle competenze rappresenta uno strumento utile a sostenere e orientare gli studenti nel loro percorso di apprendimento, non sostituisce ma si integra con gli altri strumenti già previsti dall’ordinamento nella prospettiva di un più efficace accompagnamento al successo formativo per tutti. Se la “pagella” fornisce allo studente e alla famiglie informazioni relative agli esiti dell’apprendimento nelle diverse discipline, la certificazione delle competenze illustra i rin. 1-2 gennaio febbraio 2012

Il modello di certificato adottato dalla Giunta provinciale è unico per tutte le istituzioni scolastiche e formative del Trentino. Questa scelta è coerente con le finalità formative e orientative assegnate al biennio dell’obbligo di istruzione e rafforza alcune scelte di principio contenute nei piani di studio provinciali quali la pari dignità fra tutti i percorsi, l’area delle discipline comuni, la possibilità di passaggio tra i percorsi del secondo ciclo nel corso del primo biennio. Rispetto al modello nazionale quello adottato dalla Giunta provinciale prevede una maggiore visibilità per le competenze di cittadinanza che sono inserite a tutta pagina, in primo piano, con pari dignità rispetto a quelle degli assi culturali. In questo contesto le discipline diventano uno strumento più ricco che i docenti utilizzano non solo per garantire gli apprendimenti in funzione delle competenze di base ma anche per promuovere lo sviluppo di quelle competenze chiave di cittadinanza ritenute fondamentali anche dall’Unione europea per favorire il pieno sviluppo della persona, quale cittadino che è in grado di agire in modo consapevole e responsabile. Il Consiglio di classe, al fine di attribuire il livello per ciascun asse culturale, dovrà perciò tener conto non solo dei risultati raggiunti in relazione alle competenze previste per ciascun asse culturale ma anche di quanto lo studente, grazie al percorso scolastico, ha sviluppato quelle di cittadinanza. Il percorso per la certificazione La certificazione delle competenze costituisce l’esito, il punto d’arrivo di un processo che si sviluppa attraverso le necessarie fasi della programmazione, dell’at3


tuazione del percorso didattico e della valutazione in un curricolo coerentemente orientato allo sviluppo di competenze. Si tratta di un impegno nuovo, complesso e non privo di rischi il più comune dei quali è quello di una corrispondenza automatica tra voti e livelli. La certificazione delle competenze non è un doppione della pagella, né per attribuire il livello a un asse culturale si può pensare di ricorrere alla media tra i voti delle discipline che vi concorrono. Quello che si richiede ai docenti è uno sforzo collegiale di sintesi, un momento autentico di valutazione in cui è opportuno tenere ben presenti alcuni punti fermi: - ciascun asse culturale comprende più competenze che fanno riferimento a più discipline; - ciascuna competenza si sviluppa sempre con il contributo di più discipline; - le competenze previste dagli assi culturali vanno considerate nel loro intreccio con le competenze di cittadinanza, che per loro natura sono trasversali a tutte le discipline; - una competenza si manifesta in forme e contesti plurimi e diversificati. Gli elementi di valutazione Quali elementi di valutazione considerare? Si devono fare “altre” prove di verifica specifiche ? Va innanzitutto chiarito che non ci sono prove specifiche che consentano di decidere una volta per tutte se una competenza è stata raggiunta e a quale livello. La valutazione e la conseguente certificazione delle competenze deve tener conto del fatto che una competenza comporta l’acquisizione di conoscenze, lo sviluppo di abilità e la maturazione di atteggiamenti e che il soggetto sia in grado di esercitare la competenza con autonomia e responsabilità in contesti diversi. Si tratta di un insieme di elementi talmente ampio e diversificato che necessita di numerosi elementi di valutazione acquisiti in forme, tempi e contesti diversi. In questa prospettiva è opportuno che i docenti utilizzino tutti gli elementi di valutazione raccolti durante l’attività didattica, non solo le prove di verifica ma anche le osservazioni degli studenti in situazioni di realtà, la partecipazione a progetti, senza trascurare la prospettiva delle cosiddette prove esperte di competenza. Riferimenti utili per la costruzione di prove orientate alla valutazione delle competenze sono disponibili nel materiale OCSE-PISA e nei quadri di riferimenti Invalsi. Gli stessi risultati conseguiti dagli studenti nelle rilevazioni Invalsi 4

possono costituire un utile elemento di valutazione da considerare insieme a tutti gli altri previsti dalla programmazione di ogni singola scuola. Una nuova (antica) sfida per i docenti Di competenze si parla da diversi anni, i piani di studio provinciali le hanno assunte in tutti i percorsi del primo e del secondo ciclo, ma è la prima volta che i docenti sono chiamati a certificarle. Ma le competenze sono proprio una novità per la scuola? O ci sono sempre state? Io ritengo che sia più vera la seconda opzione. La scuola che abbiamo frequentato tutti noi, quella tradizionale, quella del “programma” sviluppava competenze? Certamente si, ma con due limiti fondamentali: le sviluppava solo per alcuni (gli studenti bravi hanno sempre imparato a imparare, a fare collegamenti, ecc.) e lo faceva in maniera non intenzionale. La sfida che abbiamo oggi davanti è proprio questa e si può esprimere in due punti: le competenze di cittadinanza non si possono considerare un privilegio di pochi fortunati ma sono un diritto di tutti gli studenti; per raggiungere un tale obiettivo il percorso didattico va strutturato intenzionalmente e coerentemente per tale finalità. Non si ricomincia da zero Come sempre non si tratta di ricominciare da zero ma almeno da tre, come ci ha insegnato il povero Troisi perché tutti abbiamo almeno tre cose da salvare dalla nostra esperienza professionale. La novità, per ciascun docente, consiste nel ripensare la propria disciplina in funzione della didattica per competenze. Si tratta sostanzialmente di rispondere a tre domande: - quale contributo io e la mia disciplina possiamo dare allo sviluppo delle competenze disciplinari? (Dipartimento); - quale contributo io e la mia disciplina possiamo dare allo sviluppo delle competenze degli assi culturali (Dipartimenti e Collegio docenti); - quale contributo io e la mia disciplina possiamo dare allo sviluppo delle competenze di cittadinanza (Dipartimento e Consiglio di classe). Valorizzare le potenzialità formative della propria disciplina, condividere di più i percorsi formativi con i colleghi rappresentano la condizione e l’opportunità per un nuovo protagonismo dei docenti e per una didattica più rispondente ai bisogni formativi degli studenti. Crescenzo Latino n. 1-2 gennaio febbraio 2012


anno di prova FORMAZIONE

La motivazione

Percorso per i docenti neoassunti È partito ufficialmente nel mese di gennaio 2012 con gli incontri territoriali organizzati dal Centro di Formazione professionale, ma quello che tutti conosciamo come “l’anno di prova” non è certo una novità per il mondo della scuola. La novità, comunque, c’è e riguarda il soggetto referente al quale stanno facendo riferimento gli oltre duecento insegnanti, il Centro di formazione degli insegnanti di Rovereto, che ha strutturato la formazione di questi docenti, assunti da quest’anno con incarico a tempo indeterminato, con relazioni e contributi in quattro sedi decentrate del Trentino, con materiale di riferimento reperibile nella piattaforma sul sito del Centro stesso, momenti di gruppo ed elaborazioni individuali e con una momento collettivo di confronto sulle tematiche principali del percorso, in forma seminariale aperta. Come Didascalie, seguiamo questa esperienza e torneremo con resoconti su momenti d’incontro e su alcuni contenuti proposti dai relatori. Intanto offriamo una breve sintesi dell’impostazione generale, così come presentata al momento dell’avvio.

I riferimenti Il direttore del Centro, Luciano Covi (Rovereto) e gli altri rappresentanti del Centro [Paola Baratter (Trento), Aldo Gabbi (Mezzolombardo), Maria Martinelli (Pergine)] hanno introdotto i primi quattro incontri introduttivi, si sono innanzitutto congratulati coi docenti neoimmessi in ruolo, “un importante traguardo che in molti casi giunge dopo un periodo impegnativo ed una prolungata esperienza di docenza a tempo determinato, svolta in variegati contesti e situazioni”. Per la verità – hanno riferito -, proprio l’eccessiva durata della fase iniziale nell’insegnamento, sembra essere causa di una diffusa percezione, tra i docenti coinvolti, che “di fatto con l’inserimento in ruolo non cambi nulla.” In realtà i cambiamenti ci sono e non riguardano solo questioni di maggior stabilità e progettualità personale, “ma aspetti più direttamente connessi alla funzione docente, come per esempio la possibilità di vivere in modo n. 1-2 gennaio febbraio 2012

diverso i rapporti all’interno della comunità professionale, di rappresentare e rapportarsi in modo diverso alla propria professionalità ed allo sviluppo del proprio profilo professionale.” Formazione importante, anche se “la prova” è iniziata da tempo Le ragioni dell’importanza del percorso iniziale di formazione (anche se di fatto molti insegnanti “la prova” l’hanno già fatta e non solo per un anno) non mancano.

La formazione iniziale dei neo assunti in ruolo è un elemento fondamentale nella strategia di sviluppo e di potenziamento delle performance del sistema scuola. L’ingresso in forma stabile nelle istituzioni scolastiche di nuove risorse professionali che assumeranno incarichi a tempo indeterminato, richiede investimenti significativi in ambito formativo finalizzati a realizzare una sostanziale coerenza, in termini di abilità e di competenze, fra i docenti che hanno alle spalle un vissuto professionale molto diversificato. Per tale ragione il Centro ha organizzato un percorso specificamente mirato che, a partire dalle importanti esperienze di lavoro pregresse maturate nei primi anni di servizio dentro la scuola dai docenti, li supporti nella strutturazione e consolidamento delle loro competenze di insegnamento. Anche il tema della formazione continua ed in servizio può assumere significati nuovi, non essendo più prevalentemente (o a volte esclusivamente) associata a momenti di autoformazione di iniziativa personale, ma incentrata anche su altre possibilità/occasioni più strutturate ed ordinarie di confronto, di scambio, di riflessione. L’articolazione territoriale Il percorso di formazione per gli insegnanti neo immessi in ruolo nell’anno scolastico 2011/ 2012 si rivolge a 239 docenti neo assunti

Percorso formativo per docenti neo-assunti in ruolo - a.s. 2011/2012 Percorso formativo per docenti neo-assunti in ruolo! Primaria 70 Secondaria I grado - a.s. 2011/2012 -! 102 Secondaria II grado 67 Totale 239 Primaria! 70!

Secondaria I grado!

102!

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di cui 70 della Scuola primaria, 102 della secondaria di primo grado e 67 della scuola secondaria di secondo grado. È articolato in quattro sezioni territoriali parallele in modo da ridurre il disagio della distanza fra luogo di lavoro e luogo della formazione. Con questa scelta si è voluto inoltre concretizzare la vocazione del Centro di formazione degli insegnanti di Rovereto di decentrare nei territori i laboratori della crescita professionale degli insegnanti per favorire le opportunità di aggregazione culturale, di confronto e di scambio. Le sedi delle quattro aree di riferimento territoriale • Centro di formazione insegnanti di Rovereto: Vallagarina, Altipiani Cimbri e Alto Garda - Ledro • Liceo scientifico Da Vinci di Trento: Valle dell’Adige, Valle dei Laghi e Valli Giudicarie • Istituto di Istruzione Martini di Mezzolombardo: Valli di Non, Sole, Cembra, Fiemme, Fassa, Paganella e Piana Rotaliana • Istituto di Istruzione Curie di Pergine Valsugana: Primiero e l’Alta e BassaValsugana La durata del corso di formazione è di 40 ore è strutturato in modo da consentire ad ogni insegnante di seguire una linea di proposte coerenti con la propria specificità professionale e prevede momenti di operatività sia individuale, a distanza, sia in gruppo. Le lezioni sono organizzate in modo da alternare momenti di frontalità ad altri di dialogo ed altri ancora di lavoro per gruppi. I contenuti degli incontri Il primo gruppo di proposte formative sui temi fondamentali: il sistema scolastico del Tren6

tino e le istituzioni scolastiche autonome; il contesto culturale della didattica attuale: le competenze. Un secondo gruppo con due percorsi separati, sempre organizzati nei quattro territori di riferimento: • per gli insegnanti di scuola primaria, tre incontri dedicati alla documentazione dei processi di apprendimento secondo il modello di Reggio Children; le proposte dei pedagogisti e degli atelieristi contengono i suggerimenti per la progettazione di unità di apprendimento da descrivere nelle attività a distanza. • per gli insegnanti di scuola se-

classe. Per due incontri, insegnanti organizzati in gruppi più piccoli omogenei per ordine e per area disciplinare e sempre nei quattro territori di riferimento; verranno trattate le tematiche relative alle risorse della didattica digitale e agli strumenti della didattica digitale, in particolare verranno esplorate le potenzialità della lavagna interattiva multimediale. Lezioni particolarmente importanti per arricchire le proposte di elaborazione di unità di apprendimento che ogni insegnante dovrà elaborare in linee generali e sintetiche e collocare nella piattaforma e-learning dedicata al corso condaria di formazione che verrà predispo• incontro con gli operatori del sta a cura degli operatori del CenCentro di formazione di Rove- tro di formazione di Rovereto. reto per individuare e proporre Un quarto momento: un modello per la progettazione Evento di alto livello culturale che di unità di apprendimento disci- verrà proposto all’Auditorium Meplinari da elaborare successiva- lotti di Rovereto sulla tematica del mente nelle attività a distanza; profilo professionale dell’insegnan• approfondimento della tematica te oggi. della valutazione delle competen- Un’ultima lezione sul tema: ze, compito che coinvolgerà gli • la scuola inclusiva che oggi più insegnanti il prossimo anno scoche mai rappresenta un nodo lastico; che definisce il livello di qualità • approfondimento del tema deldell’insegnamento e della istitula adolescenza e della pre-adolezione scolastica. scenza che riguarda appunto gli La conclusione del corso con: studenti degli insegnanti della • una sintesi del percorso fatto, inscuola secondaria. sieme ad operatori del Centro di Un terzo gruppo di lezioni su: Rovereto, attraverso la documen• la conoscenza e l’uso delle tecnotazione di alcuni materiali didatlogie dell’informazione e della cotici prodotti dai corsisti. municazione per la didattica in Sette ore a distanza dedicate alla • elaborazione di unità di lavoro per apprendimento e si svolgeranno durante il periodo di formazione; Percorso formativo per docenti neo-assunti in ruolo! gli insegnanti, che auto-certificheranno le ore di forma- a.s. 2011/2012 -! zione, saranno seguiti da tuB) Articolazione organizzativa ! tor del Centro di Rovereto e • depositeranno i loro mateFormazione in presenza: 33 h! riali sulla piattaforma e-learModalità di interazione: plenarie, lavori di gruppo, lavoro individuale! ning a loro dedicata. Formazione a distanza: 7 h! Strumenti: piattaforma web – www.formazionescuolatrentina.it!

(Sintesi a cura di M. C.) n. 1-2 gennaio febbraio 2012


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PERGINE n. 1-2 gennaio febbraio 2012

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il seminario TECNOLOGIE

Per le competenze di cittadinanza Nello stesso giorno in cui la Giunta provinciale ha approvato la certificazione delle competenze a conclusione del percorso decennale dell’obbligo scolastico, venerdì 3 febbraio 2012 a Rovereto, presso l’aula magna del “Liceo Rosmini”, s’è tenuto il quarto ed ultimo Seminario promosso dal Centro per la formazione e aggiornamento insegnanti sulle competenze per la cittadinanza: dopo quello sui linguaggi, sulla matematica e sull’asse storico sociale. L’ultimo su “Scienze e Tecnologia per il cittadino”. In apertura, il saluto delle autorità, poi relazioni e dibattito.

Seminari a supporto dei nuovi Piani di Studio Il quarto Seminario organizzato dal Centro formazione e aggiornamento Insegnanti di Rovereto, a supporto della introduzione dei nuovi Piani di studio relativi al Secondo Ciclo della Provincia di Trento, non ha potuto ignorare la delibera che proprio nella stessa giornata e nella riunione del mattino, la Giunta provinciale ha approvato con l’importante novità dell’introduzione a partire da quest’anno della “certificazione delle competenze” per tut-

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ti gli studenti che termineranno il secondo anno delle superiori, a conclusione dei primi dieci anni dell’obbligo scolastico. L’incontro di Rovereto, infatti, era centrato sul ruolo dell’insegnamento delle Scienze e della Tecnologia proprio nel biennio di fine obbligo d’istruzione. Un momento di confronto significativo, collocato all’interno di un programma di approfondimento e di studio incentrato sulle discipline che costituiscono gli assi portanti culturali degli istituti superiori, ovvero matematica, scienza, tecnologia, storia e linguaggio.

Dipartimento Istruzione e Comune di Rovereto Assente l’assessore provinciale all’istruzione, Marta Dalmaso, per un altro impegno improvviso, il dirigente Enzo Latino del Dipartimento Istruzione, Università e Ricerca ha fatto il punto sul percorso ormai avanzato di implmentazione dei piani di studio per il primo e per il secondo ciclo di istruzione e formazione, ricordando come il tema del ruolo centrale del’insegnamento delle scienze e della tecnologia è stato sempre presente anche perché è innegabile la loro centralità nella dimensione orientativa degli studenti. L’assessore all’istruzione del Comune di Rovereto, Giovanna Sirotti, anche nel ruolo di presidente del Museo Civico, ha voluto riconfermare l’apprezzamento per l’obiettivo comune a tutti i Seminari di “formazione per il cittadino e la cittadinanza”. Un obiettivo, che a Rovereto trova terreno fertile anche per la presenza e l’azione formativa in collegamento con le varie scuole svolta proprio dal Museo Civico della città”.

n. 1-2 gennaio febbraio 2012


mario fierli

La strada ancora in salita Coordinato da Cristiana Bianchi e da Aldo Gabbi, del Centro Formazione insegnanti di Rovereto, il Seminario è entrato nel vivo con l’intervento dell’esperto nazionale Mario Fierli, referente per l’Istruzione tecnica nel Comitato scientifico per i Piani di Studio provinciali e autore di libri di testo che hanno fatto la storia dell’educazione tecnica nella scuola moderna, che ha fugato ogni illusione sullo stato dell’arte nella scuola italiana riguardo al ruolo delle scienze e della tecnologia. “La scuola trentina è messa bene anche nelle indagini internazionali” ha detto, “ma i risultati degli studenti italiani sull’apprendimento delle discipline scientifiche è decisamente deludente”. Le potenzialità sono davvero enormi sulla capacità dell’asse scientifico e tecnologico di aiutare gli studenti a sapersi orientare meglio per il loro futuro, mettendo nel piatto del loro ingresso in società proprio le competenze di cittadinanza acquisite con questo insegnamento/apprendimento, “ma la strada da fare è ancora lunga”, c’è da prendere consapevolezza sugli strumenti interni alla disciplina, sulle metodologie adottate, sul ruolo del docente/adulto che deve e può aiutare gli studenti in questa direzione. Lo studio corretto delle discipline scientifiche “non dà risultati solo nell’abito specifico della scienza e della tecnologia “ma integra il pensiero scientifico e tecnologico nel più vasto ambito della storia delle idee”.

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paolo rigo

Il ruolo orientativo delle scienze

esercitare i diritti di cittadinanza, fare scelte consapevoli nella propria vita. silvia de francesco e stefano oss

L’importanza LABORATORIOdell’approcSCIENTIFICO cio laboratoriale PER TUTTI LABORATORIO SCIENTIFICO PER TUTTI Silvia Defrancesco

Rovereto, 3 febbraio 2012

LABORATORIO: LE RICHIESTE DELL’EUROPA Silvia Defrancesco

Rovereto, 3 febbraio 2012

La laboratorialità permette il rafforzamento delle competenze chiave per l’apprendimento permanente individuate dal Parlamento europeo • • • •

Paolo Rigo, dirigente scolastico in Veneto, esperto nell’ambito dell’orientamento scolastico e presenza attiva nel gruppo di lavoro sulla Certificazione delle competenze per l’asse tecnologico scientifico, ha poi proposto una riflessione sulla funzione orientativa delle scienze e della tecnologia. bruna baggio

Ocse, un buon riferimento Bruna Baggio, docente presso l’ufficio Scolastico regionale della Lombardia ed esperta sulle certificazioni OCSE PISA, ha presentato il quadro di riferimento per le scienze dell’indagine OCSE PISA, che individua la competenza scientifica come fondamentale per partecipare attivamente alla società,

COMPETENZE…. CONOSCENZE…. ABILITA’…. “ATTEGGIAMENTO”

I contributi che sicuramente hanno offerto più spunti operativi per gli insegnanti, quelli nella seconda parte del Seminario, di Silvia De Francesco, docente di Fisica presso il Liceo Scientifico Galilei di Trento, e Stefano Oss, docente presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università di Trento, hanno presentato l’esperienza laboratoriale e la sua importante ricaduta sul lavoro in classe. (m.c.)

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Quarto rapporto biennale OGI

14.00 | 14.15 Accoglienza e registrazione partecipanti

Apertura lavori 14.15 | 14.45

Saluto di benvenuto

GIOVEDÌ 22 MARZO 2012 ORE 14.00 | 18.00

Marta Dalmaso, Assessore Istruzione e Sport, Provincia autonoma di Trento

AULA MAGNA PALAZZO ISTRUZIONE VIA GILLI, 3 TRENTO

Prima parte: Crescere a scuola

Marco Tomasi, Dirigente Dipartimento Istruzione, Università e Ricerca, Provincia autonoma di Trento Beatrice de Gerloni, Direttore IPRASE

14.45 | 16.00

Presentazione OGI e rapporto 2011 Arianna Bazzanella, IPRASE Adolescenti tra disagio e protagonismo Gustavo Pietropolli Charmet, psicoterapeuta Adolescenti a scuola Annamaria Ajello, professore ordinario di psicologia dell’educazione 16.00 | 16.30 coffe break

Modalità di iscrizione iscrizioni on line collegandosi al sito www.iprase.tn.it termine previsto: mercoledì 21 marzo 2012 Informazioni Antonella Fambri, IPRASE tel. 0461 494379 e-mail: antonella.fambri@iprase.tn.it

Seconda parte: Vivere nella società 16.30 | 17.30

Giovani tra vincoli e possibilità: le politiche per sostenere l’autonomia Luciano Malfer, Direttore Agenzia per la famiglia, la natalità e le politiche giovanili, Provincia autonoma di Trento Giovani e lavoro Michele Colasanto, Presidente Agenzia del Lavoro, Provincia autonoma di Trento OSSERVATORIO PERMANENTE SULLA CONDIZIONE DELL’INFANZIA E DEI GIOVANI

istituto provinciale per la ricerca e la sperimentazione educativa

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Chiusura lavori 17.30 | 18.00

n. 1-2 gennaio febbraio 2012


L’EVENTO

L’Osservatorio e il Rapporto I primi passi dell’Osservatorio (OGI) risalgono al 2004 quando, dopo un biennio di collaborazione tra IPRASE e l’Istituto IARD, nasce l’Osservatorio Giovani IPRASE: un’équipe di ricercatori dedicata allo studio dei giovani trentini. Dopo una prima fase di sperimentazione, la Legge Provinciale 5 del 2007 istituisce formalmente l’Osservatorio permanente sulla condizione dell’infanzia e dei giovani e con il Regolamento sull’ordinamento e il funzionamento di IPRASE del 3 aprile 2008 ne specifica ulteriormente ruoli e compiti. L’Osservatorio Così oggi l’Osservatorio è chiamato a: a) elaborare, con cadenza biennale, un rapporto sulla condizione dell’infanzia e dei giovani; b) studiare, approfondire e analizzare la condizione dell’infanzia e dei giovani, al fine di favorire una lettura dinamica e fruibile dei processi riguardanti la condizione di questi due segmenti della popolazione; c) concorrere alla verifica del grado di realizzazione delle politiche per l’infanzia e per i giovani; d) realizzare e gestire servizi informativi e banche dati sulla condizione e sulle politiche per l’infanzia e per i giovani, utilizzando anche i dati acquisiti da altri attori e uffici che operano sul territorio. Per assolvere questi compiti, viene ideato e progettato come strumento operativo il rapporto biennale «Giovani in Trentino…», nato con l’obiettivo di raccogliere e sistematizzare dati disponibili sul territorio, analizzarli in relazione al segmento giovanile della popolazione e restituirli alla collettività. Le prime due edizioni (nel 2005 e nel 2007) propongono dati su scuola, lavoro, associazionismo, salute, immigrazione… La terza, n. 1-2 gennaio febbraio 2012

«Giovani in Trentino 2009», risulta in parte rinnovata dalla presenza di un approfondimento monografico sulle politiche giovanili e i Piani Giovani di Zona della Provincia di Trento, in risposta alle nuove competenze in capo a OGI. Il Quarto Rapporto A distanza di sei anni dalla prima edizione, è giunto dunque il momento di Giovani in Trentino 2011. Quarto rapporto biennale che prosegue la riflessione sulle condizioni di vita degli adolescenti e dei giovani trentini, a partire dall’idea che tanto più e tanto meglio potrà essere fatto per le nuove generazioni, quanto più queste

saranno ascoltate e conosciute per quello che sono realmente, al di là delle facili quanto fallaci rappresentazioni offerte dall’immaginario collettivo. Il volume prosegue nel tentativo di offrire una lettura dinamica e sfaccettata di dati e riflessioni rivolta a tutti coloro che sono interessati ad approfondire la quotidianità, il contesto, gli ambienti di vita dei nostri giovani e i mutamenti di cui, volenti o nolenti, questi si ritrovano protagonisti. Il testo è strutturato in due sezioni principali: la prima presenta alcuni contributi di carattere generale principalmente connessi alla vita scolastica; la seconda restituisce i primi risultati di una ricerca sulla devianza giovanile che ha coinvolto un campione di Dirigenti scolastici trentini. Ancora una volta, dunque, il rapporto non si configura come un approfondimento monotematico bensì come un’opera miscellanea, sia per i contenuti sia per le professionalità che vi contribuiscono, al fine di offrire un’occasione per condividere più prospettive e punti di vista e tentare una prima ricomposizione di quel variegato quanto affascinante mosaico che è il mondo giovanile. (A. B.)

La collana OGI Bazzanella A. (a cura di) (2011), Giovani in Trentino 2011. Quarto rapporto biennale, IPRASE, Trento Bazzanella A, Beltrame L., Giovanetti S. (a cura di) (2011), Scienza e nuove generazioni: i dati ROSE in Trentino, IPRASE, Trento Bazzanella A. (a cura di) (2010), Investire nelle nuove generazioni: modelli di politiche giovanili in Italia e in Europa, IPRASE, Trento Amistadi V., Bazzanella A., Buzzi C. (a cura di) (2010), Giovani in Trentino 2009. Analisi e letture della condizione dell’infanzia e dei giovani. Terzo rapporto biennale, IPRASE, Trento Amistadi V., Buzzi C., Zanutto A. (a cura di) (2007), Giovani in Trentino 2007. Analisi e letture della condizione giovanile. Secondo rapporto biennale, IPRASE, Trento OGI (a cura di) (2005), Giovani in Trentino 2005. Analisi e letture della condizione giovanile. Primo rapporto biennale, IPRASE, Trento 11


DALLE SCUOLE

I.C. Tuenno RIUTILIZZO

Rete di scambio materiali tra scuole Presentiamo di seguito una nuova esperienza realizzata dall’istituto comprensivo di Tuenno, guidato dalla dirigente scolastica Sandra Lucietto. Un’iniziativa di spessore educativo e finanziario che potrebbe diventare “un’intelligente abitudine”. La dirigente ha anche presentato gli steps da effettuare nella concretezza, rispettando le norme vigenti, per effettuare gli “scambi”.

Il contesto Per i nuovi Piani di Studio Provinciali la laboratorialità è elemento caratterizzante della didattica per competenze: imparare facendo, risolvendo problemi e scoprendo assieme ai compagni il mondo che ci circonda, dovrebbe diventare “pane quotidiano” degli studenti. Per farlo, però, in alcune materie bisogna prima di tutto allestire ed attrezzare spazi idonei. All’I.C. Tuenno, nel sottotetto della parte antica appena restaurata, gli spazi fisici ci sono, ma in quanto ad arredi e attrezzature dobbiamo certamente migliorare. Già nel 2010-11 avevamo individuato tra gli obiettivi di miglioramento la finalizzazione degli spazi-laboratorio, compreso quello di Scienze. Ad aprile 2011 avevamo installato la LIM, ma gli arredi erano rimasti costituiti da banchi e sedie quasi di risulta, neanche tutti dello stesso colore, forma e altezza. Attrezzature scientifiche: nessuna.

Matematica e Scienze, aveva anche fatto visita ad una scuola per vedere un laboratorio funzionante, ma…. il grosso impegno finanziario prospettato aveva fatto un po’ arenare il progetto. L’acquisto degli arredi degli istituti comprensivi spetta ai Comuni, che non sempre hanno fondi. Nel nostro caso, il Comune di Tuenno, avendo appena finito di restaurare tutta la scuola, non poteva mettere in campo ulteriori risorse. Nell’agosto 2011 la dirigente dell’I.I. Pilati di CLES invia una mail ai colleghi della Rete invitandoci a prendere visione di alcuni banconi di uno dei due laboratori di Scienze dell’Istituto, in via di dismissione per una razionalizzazione complessiva dei loro spazi attrezzati. Destino segnato degli

arredi: il Deposito; destino sognato: il Riutilizzo. I banconi sarebbero stati ceduti a titolo gratuito. Le nuove postazioni Memore delle Giornate di Scuola Verticale dedicate dal nostro Istituto al “Rifiuto, Riutilizzo, Riciclo” (cfr. il servizio su Didascalie, Novembre 2011) e dell’approccio che vogliamo sviluppare negli studenti, e non solo a parole, ho subito fatto una visita: ho valutato stato d’uso e idoneità, preso le misure, fatto fotografie, e inviato il tutto alle due insegnanti. Ho contattato anche il Responsabile del plesso della SSPG e il Collaboratore Vicario, e ho chiesto a tutti un loro parere. Le risposte, entusiaste, non si sono fatte attendere. Insieme, con l’aiuto anche dell’Assistente di segreteria, abbiamo misurato e rimisurato gli spazi, trovato la soluzione più funzionale per la didattica e visivamente meno impattante, e ci siamo resi conto che il risultato sarebbe stato più che accettabile. Certo, i banconi nel sottotetto sono imponenti se avessimo dovuto acquistarli non avremmo scelto modelli così completi e sofisticati (con i rubinetti per acqua e gas, i micro-lavandini e le prese elettriche), ma, come si dice…. “A caval donato…”.

Una bella sorpresa La Figura strumentale per l’idoneità degli spazi scolastici aveva studiato gli spazi e fatto un progetto per nuovi arredi da laboratorio, visionato cataloghi e chiesto preventivi per l’acquisto di banconi, microscopi, stereoscopi ed altre attrezzature; assieme alla Coordinatrice di 12

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Un’altra opportunità: gli strumenti Grazie anche al Comune di Tuenno, che ha fornito il trasporto, da ottobre 2011 abbiamo 24 nuove bellissime postazioni-studente e una postazione “di testa” per la docente. Con una spesa relativa (poco più di 2.000 Euro) si sono acquistati nuovi sgabelli (le vecchie sedie erano troppo basse per le nuove altezze delle superfici di lavoro), ed ora stiamo pensando alle attrezzature. Anche per queste ci è venuto incontro il caso: la nostra Figura strumentale, docente di Tecnologia alla SSPG, ha iniziato a novembre un corso di aggiornamento a Trento, e, per caso, ha saputo da un collega che il Liceo Galilei voleva dismettere strumenti che erano stati sostituiti da altri più nuovi. Felicità! Per un istituto comprensivo non sono necessari modelli sofisticati o ultra-nuovi come per un liceo a forte vocazione scientifica: l’importante è che siano a norma e non presentino problemi di fun-

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zionamento. Subito l’insegnante mi ha informato, subito abbiamo condiviso l’opportunità con i colleghi, subito la risposta è stata entusiasta e a gennaio 2012 le due insegnanti si sono recate al Liceo per visionare gli strumenti, “aggiudicandosi” 7 microscopi e 5 stereoscopi. Anche in questo caso, punto centrale dell’iniziativa è stata la cessione a costo zero. Un bel risparmio per la nostra piccola scuola e per l’Amministrazione. Con i nostri fondi possiamo ora acquistare un microscopio collegabile al computer e alla LIM ed altre attrezzature per permettere agli studenti di iniziare un percorso di learning by doing. L’ idea per vivoscuola Da qui a pensare in grande il passo è stato breve: perché non prevedere uno “spazio-baratto” a livello provinciale, magari su Vivoscuola, una specie di e-bay gratuito dove le scuole possano postare le proprie risorse di cui non hanno più bisogno, e da cui le scuole che invece cercano beni che non possono permettersi, ma che servirebbero eccome, possano “opzionare” arredi e attrezzature? Sarebbe un’iniziativa di grande spessore educativo e finanziario, anche al di là dei tempi di crisi economica che stiamo vivendo, uno spazio istituzionale che darebbe visibilità e organizzazione a quello che a noi è successo in modo assolutamente fortunato e fortuito. Come succede, però, la transazione è più complessa di quel che sembra: la cessione di un bene a titolo gratuito tra Istituzioni scolastiche pubbliche è un’idea semplice, la bu-

rocrazia che l’accompagna, invece, complicata. C’è voluto qualche tempo per capire quali “carte” produrre e a firma di chi. Ora che le Segreterie dei due Istituti hanno risolto con successo i mille inghippi sul fronte procedurale e finanziario, volentieri mettiamo a disposizione degli altri Istituti le fasi salienti dei nostri apprendimenti organizzativi. I due cardini da tenere presenti sono: la determinazione a cura della scuola cedente del valore d’uso pari a zero dei beni che si vogliono cedere, e la rideterminazione da parte della scuola beneficiaria di un valore maggiore di zero, che tenga conto del valore assoluto del bene ceduto, non lo assuma però acriticamente, ma lo ridetermini in base al nuovo valore d’uso. Senza nulla voler insegnare ai colleghi dirigenti (DS) e ai bravissimi FAS, mi permetto di riportare nella tabella seguente gli step che abbiamo seguito, compresi gli artt. di legge da noi citati a sostegno di cessione e assunzione dei beni. Sandra Lucietto Dirigente Scolastica I.C. Tuenno

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COME FARE Indicazioni tecniche Step 1 Il DS della scuola consegnataria emette una Determinazione dirigenziale di cessione di beni inseriti nelle scritture inventariali dei “Beni mobili” del proprio Istituto, in cui VISTI l’art 21 comma 16 della Legge n. 59/1997; l’art 25 bis comma 5 del D.Lgs. n. 29/1999, introdotto dal D.Lgs. n. 59/1998; l’art. 1 comma 6 della LP n. 29/1990, con la relativa modifica ai sensi dell’art. 83 della LP n. 10/1998; l’art 41 del Regolamento di contabilità delle istituzioni scolastiche in provincia di Trento (DPGP n. 18-36 Leg. 2000); TENUTO CONTO che l’art 42 della LP 23/1990 dispone “I beni mobili divenuti inservibili o non più idonei all’uso […] sono dichiarati fuori uso ed eliminati dal proprio inventario con verbale che ne determina anche il valore di stima e l’eventuale destinazione” (ecc. ecc.); DETERMINA 1) di dichiarare inservibili i beni […] il cui valore inventariale è pari a 0 (zero), e di conseguenza di dismetterli dall’inventario con destinazione cessione gratuita all’Istituto XXXX; 2) di procedere a rideterminare il costo storico dei beni inventariali con una diminuzione di Euro YYYYY [riduzione del valore assoluto in base all’anzianità del bene, n.d.r.]; 3) di provvedere per il tramite del personale dipendente alla consegna dei beni inservibili alla suddetta Istituzione scolastica; 4) di scaricare dal registro del materiale inventariale dell’Istituto i beni di cui all’elenco; e -al termine del procedimento- 5) di cancellare dall’inventario e di ridefinire, con la ricodifica dei beni, la situazione patrimoniale in modo corretto a chiusura dell’esercizio finanziario modificando le scritture contabili in essere. Step 2 Il DS della scuola consegnataria emette un Provvedimento di cessione gratuita e cancellazione inventariale in cui: a) esaminata la documentazione inventariale; b) rilevata la necessità di rideterminare l’inventario dei beni; c) presa visione dei beni da cedere in quanto non più idonei allo svolgimento dell’attività didattica programmata; d) verificati lo stato di conservazione e le condizione di utilizzo dei beni nel rispetto ed in conformità a quanto disposto dalla normativa CEE in materia di sicurezza; e) tenuto conto che i beni in elenco hanno un valore quantificabile ad Euro 0 in applicazione al comma 5 art. 38 della LP 23/1990; f ) considerata la destinazione dei suddetti beni, DISPONE, ai sensi dell’art. 38 della LP 23/1990 : 1) di autorizzare per i motivi esposti lo scarico del materiale in elenco, parte integrante del provvedimento; 2) di procedere alla cessione delle attrezzature all’Istituto XXXXX, con sede in provincia di Trento, per lo svolgimento di attività rientranti nei loro compiti istituzionali. Al documento vengono allegati l’elenco dei beni e la copia della dichiarazione del vettore dell’avvenuta presa in carico del materiale ai fini della sua destinazione. Step 3 Il dirigente scolastico della scuola beneficiaria emette una Determinazione dirigenziale di presa in carico di attrezzature avute in donazione in cui VISTI: a) il provvedimento di data … [citazione completa del Provvedimento di cessione gratuita e cancellazione inventariale del collega DS, n.d.r.]; b) l’art 21 comma 6 della Legge 59/1997, che ha abrogato le disposizioni che prevedevano autorizzazioni preventive per l’accettazione di donazioni da parte delle istituzioni scolastiche; c) l’art 13 della legge 127/1997, che ha abrogato l’art 17 del codice Civile e la Legge n. 218/1996, d) gli artt. 769 e 783 del Codice Civile; e VISTO che il materiale è regolarmente pervenuto a scuola e che risulta efficiente per l’impiego senza oneri aggiuntivi a carico dell’Istituto stesso, DETERMINA 1) di assumere in consegna i beni [descrizione]; 2) di autorizzare il FAS dell’Istituto XXXXX a collocare i suddetti beni nel …. [aula di destinazione]; 3) di incaricare il medesimo FAS a procedere all’inventariazione dei beni donati assumendoli nelle scritture contabili dell’istituto per un valore pari ad Euro XXYYZZ [rideterminazione in base al valore d’uso attribuito dall’Istituto beneficiario, n.d.r.]

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il dossier dentro il libro il dossier letto da: Alberto Tomasi Daniele Siviero Ivan Sodini Maria Ruggio Gaia Pedron Alessandra Osculati Maria Pia Veladiano l’intervista: Marta Dalmaso

MESTIERE INSEGNANTE Contributi e riflessioni dopo la lettura de “I figli dell’ultimo banco” Inserto a cura di: Mario Caroli Interventi di: Mario Caroli, Marta Dalmaso, Alessandra Osculati, Gaia Pedron, Maria Ruggio, Daniele Siviero, Ivan Sodini, Alberto Tomasi, Maria Pia Veladiano n. 1-2 gennaio febbraio 2012


il dossier INSEGNANTI

Animatori, educatori, professionisti… Un dossier interno particolare, anzi “speciale”, quello di questo numero di Didascalie, che si presenta da solo, già nel titolo: “Mestiere insegnante - Contributi e riflessioni dopo la lettura de “I figli dell’ultimo banco”. Un dossier che abbiamo fortemente voluto e che ha forti motivazioni alle spalle, da parte nostra, ma anche – crediamo – da parte di molti insegnanti che ci hanno spronato in questa direzione. Vediamo brevemente perché. All’inizio era “il piacere d’insegnare” Su didascalie di settembre 2003, avviammo una rubrica dal titolo il piacere d’insegnare, prendendo spunto proprio da un libro di Marco Lodoli, I professori e altri professori, (Einaudi 2003), di sole 130 pagine e agile per la lettura. Facemmo leggere quel libro ad un pedagogista (Marco Dallari), un docente universitario (Silvano Zucal) e un docente delle superiori (Flavia Andreatta – oggi preside). Nove racconti sul rapporto tra allievi e maestri, tutti a loro modo principianti di fronte all’imprevedibilità della vita: il fascino, le sorprese, i pericoli, le trappole e le magie dell’insegnamento. I motivi di quella scelta. “Di che si tratta? – scrivevo allora - Esattamente di ciò che recita la testatina: “il piacere d’insegnare”. Proprio così, non una boutade all’insegna del facile ottimismo, ma semplicemente la convinzione che quando da più parti si insiste nel dire che gli occhi devono essere adesso puntati sulla didattica vuol dire che bisogna parlare della relazione insegnante/studente senza tanti giri di parola. Vuol dire occuparsi degli insegnanti non solo per affrontare le “doglianze” sindacali, le diatribe istituzionali e politiche, il calvario dei precari, le rivendicazioni sull’orario ed i problemi sulla sperimentazione dell’Intesa Pat-Miur; ma raccontare anche “il piacere d’insegnare”, che siamo convinti ci sia, così come c’è chi ha voglia di raccontarlo. Parliamo proprio del “piacere” intrinseco legato al “mestiere dell’insegnante”, anche perché delle “buone pratiche” ci siamo sempre occupati e continue-

remo a farlo, in termini di divulgazione dei percorsi didattici e di progetti realizzati. In questa rubrica, invece, la nostra attenzione si focalizza sulla relazione, sull’investimento personale dell’insegnante e sull’eventuale soddisfazione nell’esercizio del “mestiere”. Perché una simile scelta? Perché ci sono stimoli che abbiamo ricevuto da più parti ed alcune coincidenze degli ultimi mesi. Intanto, come dicevamo prima, in più sedi è stata ribadita l’urgenza della “centralità della didattica” come vero volano dell’innovazione. Poi, leggendo il ricordo fatto da un’insegnante delle superiori di un suo collega morto da alcuni anni, abbiamo ritrovato un richiamo fortissimo alla “scuola di vita” che ormai va scomparendo per lasciare il posto alla “scuola della forma”, delle “formule”, della pianificazione perfetta e della burocrazia anche nella relazione tra insegnante e studenti. […] In più occasioni abbiamo registrato anche “il piacere” esplicito di alcuni laureati giovani, che hanno scelto l’insegnamento – passando per il calvario del precariato – rinunciando a lavori meglio remunerati e più “d’immagine”, per il semplice fatto che “insegnare mi piace molto”. “Lasciatemi insegnare” Sul numero successivo della rivista, iniziammo un giro di conversazioni sul piacere d’insegnare. La prima con Enia Marchetti: docente di lettere nella scuola media di Gardolo. Chiudiamo con le sue parole, che spiegano il senso anche di questa nostro “ritorno alle origini”, per parlare di relazione docente/studente a partire da un libro scritto da un docente, di poche pagine, per una lettura a più voci ed un’ampia conversazione con un’ex insegnante di liceo classico, oggi assessore provinciale all’istruzione.

“Insegnare è bello. Ci ho pensato tante volte specialmente in questa fase della vita scolastica in cui ho sentito molti miei colleghi dire: “Vorrei insegnare, vorrei riuscire ad insegnare”. Siccome siamo oberati da riunioni, progetti, incarichi speciali, funzioni obiettivo, referenti di progetto… abbiamo nostalgia del ‘nostro’ insegnamento, di stare in classe coi ragazzi. Mi rendo conto che la realtà è cambiata, serve sempre più collegialità, collaborare per usare bene le risorse per risolvere anche i problemi delle altre classi ecc. ecc.. Però, la relazione con la classe sembra che si sia ristretta. Ho sentito diversi insegnanti, bravi, dire: “Basta, voglio tornare a insegnare, non voglio nessun incarico, perché voglio tornare a dedicare le mie energie all’insegnamento. Lasciatemi insegnare!” Mario Caroli

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TOMASI

Dirigente scolastico in un liceo La lettura de I figli dell’ultimo banco si presta ad un’analisi a più livelli, da quello legato alla qualità della scrittura e allo stile a quello di qualificarlo come letteratura di genere, con rinvii a diverse figure topiche: i docenti, gli studenti, il preside, il background socio-culturale che funziona come scenario in cui sviluppare una narrazione, i genitori; ognuno con la sua impronta, il suo punto di vista, le sue attese. Scrivere di scuola L’autore, Augustin d’Humières, va ad aggiungersi ad una nutrita schiera di docenti-scrittori che pescano dalla loro professione quotidiana le ragioni stesse di una voglia e di un piacere di raccontare e, al tempo stesso, di riflettere, politicamente, sul funzionamento o meno della scuola. Su questo fronte d’Humières è in buona compagnia e va ad aggiungersi ad altri autori francesi che hanno goduto anche in Italia di ampia attenzione. Come esempi recenti, basti citare Diario di scuola di Daniel Pennac e La classe di François Bégaudeau; nel primo riferimento, l’autobiografia professionale (ma non solo, ci sono pagine che descrivono un percorso di formazione che precede il passaggio da allievo a insegnante) privilegia delle considerazioni che muovono dall’osservazione del sé e non pretendono di definire un proprio modo di fare l’insegnante confrontandolo con altri. Qui il lettore coglie una prima, evidente differenza fra l’approccio di Pennac e quello di d’Humières, poiché il secondo disegna il suo ruolo in chiara alternativa ai comportamenti prevalenti dei colleghi, con accenti critici espliciti. Il paragone con La classe è invece utile per mettere a fuoco le storie, le fisionomie, i comportamenti degli studenti/adolescenti, la presenza oppure l’assenza dei genitori. Il confronto è facilitato dalla storia degli istituti che operano in quartieri periferici (la banlieue parigina), con una forte eterogeneità di origini culturali, identità, slanci e spaesamenti, con risorse non sempre all’altezza della situazione. Il punto di vista italiano Anche nella letteratura italiana troviamo parentele (addirittura più efficaci, sia dal punto di vista narrativo, quanto da quello della capacità di contestualizzare il fenomeno). Basti pensare a Registro di classe n. 1-2 gennaio febbraio 2012

di Sandro Onofri o a Il rosso e il blu. Sono pagine che fotografano con intensità vasti squarci della scuola italiana che vive/sopravvive nelle realtà metropolitane più difficili; nella fatica della quotidianità gli autori-insegnanti – anziché ricavarne motivo di fuga e sfinimento – ritrovano intatte le ragioni per insistere nel mestiere dell’insegnare. Sbrigativamente, si potrebbero citare altri libri che convergono sul tema della complicata arte dell’insegnare, da Tra i banchi (per la penna di vari autori, fra i quali Bruno Arpaia e Angelo Petrella) a Consiglio di classe (che si avvale, fra gli altri, del contributo di Eraldo Affinati, di Andrea Bajani, di Chiara Valerio). Dei sentimenti degli insegnanti-scrittori di scuola italiana possiamo infine trovare un’agile sintesi nel breve saggio di Roberto Carnero, Adottati a scuola, in Tirature ’12. Racconto di una professione Questa minima bibliografia dà la misura del fenomeno rappresentato da quei docenti che, episodicamente oppure con una certa assiduità, si cimentano con la loro professione, talvolta analizzata con certosina scientificità, altre volte “usata” come spunto per racconti o romanzi. A buon diritto Augustin d’Humières partecipa a questa avventura, misurandosi con una scrittura che mescola reportage, sguardo indagatore su chi gli sta attorno, narrazione pura. Anche qui possiamo incrociare le pagine e confrontare autori che navigano quasi nello stesso mare, pur con qualche differenza temporale. Il primo nome che viene alla mente, pur nel diverso approccio, è quello di Domenico Starnone. Starnone nelle sue tante opere dedicate all’universo scuola fa dell’ironia e dell’autoironia la cifra principale per interpretare luoghi e persone. D’Humières – specie nella prima parte del suo libro – affonda lo sguardo nel medesimo terreno, non risparmia giudizi su preside e colleghi, ma – pur evitando valutazione drastiche – dipinge una comunità professionale inadeguata, quasi imbelle, preoccupata soprattutto di andare avanti senza fastidiose rogne. Lo stile non indulge a particolari, rifugge ogni condiscendenza, non contempla quell’autoironia che 17


“tiene” Starnone allo stesso livello dei colleghi che critica, dà quasi ragione a chi si tiene alla lontana da uno che appare come il “primo della classe”. IL GRECO: un progetto per insegnarlo La prima parte de I figli dell’ultimo banco diventa così una sorta di viaggio agli inferi e il protagonista ci sembra un lupo solitario, evitato da molti e costretto a contare unicamente sulle proprie forze per realizzare il suo progetto. Pur nella loro credibilità, questi capitoli accentuano una visione giustamente senza mezze misure del liceo teatro delle vicende narrate, deprivata però di sfumature e toni che forse sarebbero stati più utili a completare una quadro di riferimento che sicuramente è debitore di complessità frequenti. C’è una prepotenza dell’io narrante che riduce ogni comportamento e scelta altrui, anche quando ci appare francamente censurabile, ad un qualcosa di immodificabile. La seconda parte del libro mi pare invece più autentica, soprattutto perché c’è una diversa intonazione. Esaurito il compito di censire ritardi, negligenze e disattenzioni dei tanti che sono chiamati a scrivere la storia del liceo di una banlieue (con esempi che ci risultano immediatamente comprensibili perché riverberano le nostre medesime esperienze), d’Humières sposta il tiro dall’analisi a campo lungo, restringe il focus e mira diretto alla sostanza del suo progetto (insegnare il greco ad una banda di malnati, contando solo sulle sue forze). Dallo sconcerto all’energia Qui il primo della classe esce dallo stereotipo per diventare anima vera. Più che nella critica dell’esistente, del18

le sue manchevolezze e inerzie, il professor d’Humières vince la sua battaglia, ormai non più solo personale, nel lavoro a stretto contatto di gomito con gli studenti che faticosamente è riuscito a trattenere; nella complicità con alcuni artisti e con i pochi servizi presenti nel quartiere. Lo sconcerto, l’acrimonia dei primi mesi vissuti nel liceo si trasformano in energia, nella ricerca di modalità nuove di presentare una materia ostica come il greco, nella presa di coscienza da parte dei suoi allievi che il lavoro proposto ha un senso che va al di là della tecnica e dell’esercizio fini a se stessi, ma contribuisce a dare maggiori possibilità di espressione, di comunicazione, persino di padronanza della lingua francese. D’Humières supera la prova e gli va dato atto che la supera doppiamente: dal punto di vista letterario, le pagine acquistano un valore aggiunto considerando l’intera economia della storia, con un equilibrio fra prima e seconda parte che non poteva darsi per scontato. Dal punto di vista della credibilità dell’impegno e della sua visione della funzione della scuola, d’Humières è coerente: non si è lasciato andare a sterili piagnistei, non ha cercato vie di fuga, si è rimboccato le maniche, si è dato da fare, spingendo fra le quinte gli iniziali strali per concretizzare, con ostinazione, le sue intenzioni. IL PRESIDE: burocrate o presenza? Dalla lettura, infine, si può ritagliare anche una riflessione sulla figura del preside. Anche in questo caso la letteratura ci propone un’evoluzione (un’involuzione?) di questo ruolo, fra luoghi comuni e immagini più che azzeccate. Già Lucio Mastronardi ne Il maestro di Vigevano ci presentava un direttore tronfio e borioso che pretende di essere assunto ad esempio assoluto da un intimorito e perplesso maestro. Roald Dahl in Boy ci offre un’altra declinazione del direttore, personaggio lontano dalla vita vera degli studenti e presente soprattutto per infliggere incomprensibili e feroci punizioni corporali. In tempi più vicini a noi, ancora Domenico Starnone, in Sottobanco, ci regala una descrizione magistrale del preside che accomoda, media, invecchia nel tentativo di tenere a bada un consiglio di classe di narcisi, di velleitari, di indignati. Augustin d’Humières è implacabile nell’illustrare il “suo” preside, forse il più antipatico dei suoi interlocutori. Magari l’esperienza vissuta giustifica la descrizione del capo di istituto, definito il “grande battitore”, emblema del preside moderno, dedito ad “evitare qualsiasi contatto con gli alunni, lasciar governare i rappresentanti dei docenti e, per esser loro graditi, colpire tutti gli insegnanti che non marciavano a ranghi serrati n. 1-2 gennaio febbraio 2012


dietro i loro capi. Un ruolo da “battitore” insomma.” Il preside in questione emerge come figura di burocrate refrattario ad ogni confronto che non sia con chi è disposto a condividere le sue decisioni, attento a non scontentare chi è funzionale al mantenimento dello status quo gradito. Tale inadeguatezza è illuminata da un’altra figura, quella di Christine Bureau-Garonne, assunta da d’Humières come esempio rimarchevole di preside che sa il fatto suo, ha autorevolezza, si muove con rigore senza guardare in faccia a nessuno, gelosa della propria indipendenza morale a costo di pagare un prezzo ingiustificato. Non deve essere casuale questo parallelo fra il preside del liceo e la “vecchia” preside in pensione, chiamata per nome e cognome (non è un semplice dettaglio, diventa un riconoscimento) e “portata” dentro la storia senza averne preso direttamente parte, ma in quanto significativa pietra di paragone di una presenza sempre più labile. Chi siamo noi, i presidi di oggi? Con questo paragone, d’Humières ci getta, involontariamente, un’esca e ci apre lo spazio per una nuova discussione. Chi siamo noi, i presidi di oggi? Siamo epigoni del “grande battitore” o ambiamo ad essere interpreti, illusi o disillusi a seconda della nostra personale lettura del tempo presente, di un ruolo che serve veramente a far funzionare il sistema scolastico? Ogni stagione ha i suoi accenti e le sue contingenze; non ci può essere un preside per tutte le stagioni. Il nostro ruolo muta oltre le nostre intenzioni e si precisa nel rapporto dialettico con gli altri. Ma non siamo obbligati ad una parte così misera (però possibile) come quella rappresentata dal “grande battitore”; né ci può essere vietato, se solo ne siamo capaci, di essere amministratori e persone intenzionalmente colte conn. 1-2 gennaio febbraio 2012

temporaneamente. Però la funzione del preside deve fare i conti con le intemperie del tempo presente e, a mio personale ed opinabile avviso, deve spendere più energie rispetto al passato per far fronte all’effimero, per gestire complessità, per ascoltare tutti, per responsabilizzare ognuno (essendo innanzi tutto d’esempio). È un lavoro faticoso, per il quale non bastano le buone letture e l’impegno. Ci vuole anche pazienza e attenzione a priorità autentiche. Per fare il nostro mestiere, abbiamo bisogno di letteratura e di testimonianze appassionate come quella di d’Humeriès; e non guasta, di tanto in tanto, una rilettura della nostra Costituzione, dove possiamo individuare bussole sufficienti per non diventare “battitori liberi” e timorosi. Alberto Tomasi dirigente scolastico Liceo “da Vinci” Trento BIBLIOGRAFIA CITATA Augustin d’Humières, I figli dell’ultimo banco, Piemme 2011 Daniel Pennac, Diario di scuola, Feltrinelli 2008 François Bégaudeau, La classe, Einaudi 2008 Sandro Onofri, Registro di classe, Einaudi 2000 Marco Lodoli, Il rosso e il blu, Einaudi 2009 AA.VV., Tra i banchi, l’ancora del mediterraneo 2009 AA.VV., Consiglio di classe, Ediesse 2009 (a cura di Vittorio Spinazzola), Tirature ’12, il Saggiatore 2012 Lucio Mastronardi, Il maestro di Vigevano, Einaudi 1992 Roald Dahl, Boy, Salani 1994 Domenico Starnone, Sottobanco 1992 19


SIVIERO

Insegnante scuola primaria Daniele Siviero è l’insegnante – e lettore assiduo della rivista didascalie – che per primo ci ha proposto, a ridosso dell’inizio del nuovo anno scolastico 2011/2012 – il libro di Augustin d’Humières “I figli dell’ultimo banco” per una semplice recensione sulla rivista. Dopo la prima lettura, da parte del sottoscritto, abbiamo concordato che valeva la pena farlo leggere a più mani e, magari, riprendere ed approfondire le tematiche sul ruolo e sulla funzione dell’insegnante. Da qui, ha preso le mosse il dossier che presentiamo a pagina 16 di questo numero della rivista. Per le ragioni di cui sopra, a Daniele Siviero non abbiamo chiesto vincoli e finalizzazioni particolari per il suo contributo, ma semplicemente la “recensione” del libro. Che ha fatto in modo egregio, indicandoci tacitamente i percorsi da seguire per una buona lettura. (m.c.) L’ennesiomo libro sulla scuola? Non proprio… Perché mai occuparsi dell’ennesimo libro scritto sulla scuola, in un anno che, come è stato anche celebrato sulle pagine di questa rivista, ha prodotto molti buoni libri sul tema come mai si era visto prima d’ora. Cosa ci sarà poi di così interessante in un romanzo di sole 150 pagine, che per inciso si intona con il compleanno della nostra povera nazione, ma, ironia della storia, è scritto da un professore di liceo francese. Ah, quando si dice i cugini; ci assomigliano più di quanto possiamo immaginare, leggere per credere. Insegnare per scelta E poi, almeno per quanto mi riguarda, le ragioni per leggerlo non mancano, e sono tra loro le più disparate. Una per tutte: l’onestà. Prendiamo ad esempio il tema: come si diventa insegnante. Nelle prime pagine l’autore ci svela il suo percorso di formazione iniziale, dandone però un’immagine a prima vista ben lontana da quella edificante di un insegnante che si approccia alla professione con coscienza, anzi, sembrerebbe arrivarci in maniera piut20

tosto caotica e casuale. Che poi, se si andasse a parlare un po’ con i colleghi, si scoprirebbe che molti di noi sono diventati docenti per caso, piuttosto che per scelta. Alzi la mano chi, appena iscrittosi all’università, pensava che lo scopo dei suoi studi sarebbe stato quello di diventare insegnante? Andando avanti nel libro invece si scopre che d’Humieres, così si chiama l’autore, ci descrive un uomo che ama il suo lavoro a cui ha verosimilmente dedicato la sua vita. Egli ci racconta come, questa volta in modo niente affatto casuale, riesce a trasmettere questa passione ai suoi studenti, a quelli reali, piuttosto che a quelli ideali, tratteggiati con rimpianti negli scritti di una Mastrocola. Due parti opposte D’Humieres ha scritto questo breve, ma intenso libro, dividendolo in due parti. Prendendo a prestito da Bacone le sue categorie analitiche, la prima parte del libro funge da pars destruens , e ci descrive una realtà che definirei paradossale, talvolta grottesca, caricaturale. E’ probabile che il ricordo biografico abbia volutamente calcato i toni, ed alcuni episodi sembrano del tutto inverosimili, raggiungendo lo scopo di convincerci che la scuola, almeno il liceo d’eccellenza dove opera il nostro, sia una realtà allo sbando. Insomma un quadro disarmante, che lascia sbigottito anche il più scettico degli osservatori, facendo diventare la prosa di Starnone un esercizio di buonismo. La seconda parte è la pars construens, ovvero D’Humieres ci spiega la sua visione di scuola. E lo fa lasciando parlare le storie di scuola, sue e dei suoi ragazzi. n. 1-2 gennaio febbraio 2012


Il greco e il teatro C’è la storia del greco. Proprio la lingua che mai nessuno penserebbe di insegnare ai figli degli immigrati, che invece sono tra i suoi allievi migliori. Il professore che spiega l’utilità del greco nei suoi tour promozionali nelle ultime classi delle medie, con dei veri e propri schetch, recite a soggetto. Capire il francese, ricavandone il significato nascosto nella radice semantica delle parole derivate dal greco è una conquista, che affascina ancor più i giovani di origine arabe, che si trovano in mano una chiave per aprire gli arcani misteri della loro lingua, fin lì per loro matrigna, facendone così diventare una lingua madre. C’è la storia del teatro. Teatro come riscatto, protagonismo positivo per i figli dell’ultimo banco, che attraverso la messa in scena di testi difficili, Shakespaere tanto per fare nomi, sedimenta nelle loro giovani coscienze esperienza di autostima, conquistate attraverso di impegno, disciplina, responsabilità. E tutto questo entrando in rapporto con il territorio che, se non ostile, si dimostra almeno un po’ diffidente, se non indifferente, nei confronti di questo professore parigino un po’ fuori di testa, ma che crede nei suoi ragazzi, a volte più di quanto loro credano in sé stessi. La parte che descrive le vicissitudini del primo spettacolo, ma soprattutto nelle parole di Lisa Mandeng, quando spiega che cosa è per lei fare teatro. I colleghi e… C’è la storia dei colleghi. Del conformismo di gruppo, manicheo nell’isolare il diverso, la pecora nera che si distingue perché non segue il branco nel fare la guerra al preside. E questo isolamento del protagonista è un po’ il limite di questa esperienza. C’è l’insofferenza dello stesso per la disciplina sindacale, che lo porta ad essere bollato come reazionario, salvo poi nel capito della vestizione, ad essere riconosciuto, obtorto collo, alfiere della sinistra, lui si almeno per le cose fatte, piuttosto che per quelle dette. Purtroppo i successi con le lingue antiche di D’Humieres sono il frutto della volontà di un singolo isolato dal contesto, incapace di contagiare gli altri. Sono una prassi che, per quanto buona, è difficile da replicare, perché da pochi o nessuno imitata. Utile però a dimostrare che quello dell’insegnante è ancora uno dei pochi lavori che permette un grande esercizio della propria libertà, che però, badate bene, va messa al servizio dei propri studenti. La libertà è quella di sperimentare strade e percorn. 1-2 gennaio febbraio 2012

si di insegnamento che favoriscono la crescita attraverso la messa alla prova delle loro potenzialità che vanno stimolate, sollecitate, impegnate attraverso la proposta della cultura, selezionata dalle mani esperte dell’insegnante. … gli studenti C’è la storia degli studenti. Dei nomi: Renate, Allan, Dounya, David, Kadiatou, Amelie, Kamir, mescolanza tra autoctoni ed esotici. Dalla loro voci, scritte come se fosse la sbobinatura di un nastro, si capisce come scelgano di accettare le proposte del loro professore, che oltre a farli studiare in aula, li trascina a cercare nuovi adepti per le sue lezioni di greco e latino. Ines, che passa dal livello- a cosa mi serve il greco- a dire, per convincere i più giovani – il greco era lì, in me, mi faceva bene. Quando sono un po’ persa con una parola nuova posso riuscire ad indovinarne il senso. – Ci sono le brevi biografie abbozzate, pennellate sociologiche che raccontano la vitalità di queste vite di periferia. La politica scolastica francese C’è la storia della politica scolastica francese. Che affiora qua e là, lungo le pagine del libro, con i suoi rimandi a terminologie ed acronimi che per noi italiani suonano nuovi e incomprensibili. Mi vengono in mente una serie di figure che non esistono da noi, dove la categoria del personale scolastico prevede solo docenti e dirigenti. Ma anche acronimi quali ADA, ma se pensiamo che ci muoviamo tra POF, MIUR, BES, ecc. ecc, bè, è poco meno di un linguaggio per iniziati. Ci sono poi le amare considerazioni sulle logiche burocratiche che dominano i meccanismi meritocratici interni, o i meccanismi che lasciando alla libera scelta degli utenti delle opzione, che hanno l’effetto di scatenare la caccia allo studente da parte dei singoli docenti, preoccupati perlopiù di salvare la loro sorte personale legata alla sopravvivenza della cattedra. Insomma, ci sono questi e forse altrettanti altri buoni motivi per provare a leggere il libro di D’Humieres, perché ci ricorda a tutti noi che quando entriamo in aula il nostro lavoro, che è importante, lo è ancor più per i figli dell’ultimo banco. Daniele Siviero docente in utilizzo area BES presso il Dipartimento Istruzione 21


il punto SODINI

Docente di ruolo da pochi anni Mentre si leggono le agili pagine di “I figli dell’ultimo banco”, si percepisce via via sempre più netta la sensazione che il mondo sia un grande, immenso paese. Ciò che infatti il professor Augustin d’Humières racconta dell’istruzione francese, della sua scuola, dei suoi ragazzi, è in definitiva ciò che molti docenti italiani, se interpellati sull’argomento, potrebbero a loro volta raccontare.

Scuola, luogo di vita La scuola è un mondo, la scuola è un grande paese, un luogo in cui si vive, luogo anzi privilegiato di vita e di esperienze, e vivida e concretissima è la rappresentazione che ne dà d’Humières. Il professore è terribilmente caustico, ancorché realistico, quando scrive che “ogni sforzo del progetto di istituto era teso verso un solo e unico obiettivo: che l’alunno stesse bene al Liceo” e che “i ragazzi avevano capito la tecnica: all’inizio erano ben lontani dall’essere i peggiori alunni della scuola, ma un buon diavolo a cui si lascia credere che può permettersi tutto, Platone lo chiama un tiranno!” Una schietta e corrosiva efficacia descrittiva pervade ogni passo, soprattutto nella prima parte del testo: “Erano sufficienti quattro o cinque elementi per rendere la classe ingestibile; così gli alunni minimamente seri e motivati annegavano presto nella massa.” E ancora: “la galleria dei motivi a favore della promozione diventava sempre più ricca; c’erano studenti che si scandalizzavano perché li si voleva promuovere.” “Il bravo professore diventava allora quello che si avvicinava di più all’animatore di quartiere, quello che sapeva che l’ultima cosa da fare in quelle classi era pretendere di fare lezione”. Pretendere “Non sono dei letterati” viene spesso ripetuto al professore da chi lo considera eccessivamente esigente nei confronti dei suoi studenti, e questo perché non perdona loro ‘banali’ errori di ortografia: e lui ribatte deciso che saper scrivere correttamente in fran22

cese non è fatto riservato ai soli letterati. In realtà, racconta, “i tre quarti degli alunni erano incapaci di redigere un tema in modo corretto, ma noi eravamo lì per ‘far amare la letteratura’, per fare in modo che i nostri studenti scoprissero un giorno ‘il piacere del testo’. Quando ricevevamo le istruzioni per la correzione del tema di maturità, la solfa era sempre la stessa: non fissatevi troppo sulla correttezza ortografica, valorizzate lo ‘sforzo creativo’.” “L’idea di misurare l’istruzione nazionale sulla quantità, con il famoso 80% di diplomati, è assurda. Il problema non sta nell’ottenere il diploma, ma nel sapere parlare il francese al momento di lasciare la scuola e di entrare nel mondo del lavoro, nel sentirsi a proprio agio con se stessi, nel saper ragionare in modo sensato.” “Alla fin fine -riflette convinto- per farli sentire bene al liceo, forse la cosa migliore era farli sgobbare. E così il professore dai “metodi pedagogici d’altri tempi”, era spesso destinatario delle lamentationes di studenti e genitori, e non mancava, a tal proposito, chi gli facesse notare che forse era lui a doversi mettere in discussione. Il greco ginnastica dello spirito E invece d’Humières era “il” professore: voleva fare lezione, voleva stare fra i suoi ragazzi, “tra studenti che potevano anche essere molto fastidiosi, ma che, ben inquadrati, mostravano una freschezza e una fame di conoscenza che -dice- non ero sicuro di ritrovare altrove.” D’Humières vuole il bene dei suoi ragazzi, ha a cuore il loro destino, e perciò non risparmia loro la fatica, anche se questo potrebbe significare perderli; egli semina, ed è disposto ad attendere pazientemente i frutti del suo lavoro, che spesso non saranno immediati. E per raggiungere i suoi nobili scopi d’Humières usa il greco, una lingua morta, che, ne è certo, renderà vivi i suoi studenti. All’inizio sembra quasi facile, un gioco: i ragazzi sono affascinati, incuriositi da quell’alfabeto particolare, da quella lingua un po’ strana, che però ha qualcosa a che fare con loro, con le loro parole. L’etimologia conquista. Ed anche le storie che i Greci ci hanno lasciato: i miti. Ma il greco non è solo questo: “Imparare etimologie, leggere e scrivere in greco, ascoltare l’Iliade erano tutte attività che suscitavano un’approvazione pressoché unanime. n. 1-2 gennaio febbraio 2012


Era la transizione a essere difficile da negoziare: far capire che quella tranquilla iniziazione al greco si sarebbe trasformata in una scuola di rigore, in una ginnastica dello spirito che costituiva una delle non trascurabili virtù della materia.” E chiunque abbia insegnato i rudimenti del greco in uno qualsiasi dei nostri ginnasi italiani sa perfettamente quanto sia vero quello che ci viene narrato. Ma la passione genera passione, e con il tempo i ragazzi capiscono il loro professore, e lo seguono, al punto che una delle sue allieve arriverà ad ammettere, con un sorriso, di dover molto al greco: “Il greco era lì, in me, e mi faceva del bene”. Raggiungere il cuore Certo le difficoltà non mancano, e il pragmatico d’Humières le delinea impietosamente: “Il lavoro di professore è sempre più faticoso. Una prova fisica. Per i ragazzi di oggi, restare fermi al loro posto e rimanere concentrati è quasi impossibile. Vivono nel rumore. Il silenzio li inquieta, l’autonomia gli è sconosciuta. Non appena si aiuta uno di loro, tutto intorno è il caos. Bisogna richiamarli all’ordine e chiedere il silenzio sei o sette volte all’ora. Hanno visto molte cose, sentito parlare di molte cose, ma nulla si fissa con precisione nella loro memoria. La maggior parte degli alunni oggi non legge più, salvo certi romanzetti: una letteratura appositamente impostata per i giovani. E sono persuasi che aver letto un paio di volte sia sufficiente.” Lo sguardo del professore, nonostante tutto, è sempre pieno di entusiasmo e di speranza: egli si propone ambiziosi traguardi, che alla fine riuscirà anche a tagliare, portando i ragazzi “dall’ossessione degli sms alla capacità di guardare il mondo che li circonda: una vittoria immensa.” D’ Humières nei suoi ragazzi ci crede, fino in fondo, se li sente in pancia. Il greco è in ultima analisi solo il suo strumento, certo un nobile strumento, ma l’obiettivo del professore è più alto, va al di là anche del greco: egli desidera raggiungere gli studenti nel loro cuore, toccare le corde più vere e profonde del loro animo, e aprire i loro occhi alla vita. “Ho capito perché, bene o male, il sistema funziona comunque “ Ma egli crede anche nella scuola e non molla mai, le prova tutte, contro tutti, con profonda convinzione: “Ho capito perché, bene o male, il sistema funziona n. 1-2 gennaio febbraio 2012

comunque. Perché? Perché in tutti gli istituti scolastici si trovano delle persone straordinarie, che credono nel loro mestiere e negli studenti. Anche se se ne dovesse incontrare una sola, è il segno che vale ancora la pena.” Ne viene allora una constatazione, forse un po’ amara, ma che può spalancare nuovi orizzonti d’azione e di speranza. Tutti questi insegnanti, irresistibilmente vocati alla loro professione, che siamo avvezzi ad incontrare nella letteratura dedicata alla scuola, anche al di qua delle Alpi, sono soli, sono naufraghi: tentano di sopravvivere alle intemperie scolastiche, facendo i conti con colleghi disillusi e dirigenti sempre più manager e sempre meno educatori. Lo stesso d’ Humières afferma che “in questo tipo di lavoro, è fondamentale avere dei sostegni, lavorare con qualcuno.” “A conti fatti, i soli con cui potevo costruire qualcosa erano gli studenti.” “A conti fatti - dice però tristemente - i soli con cui avevo qualche possibilità di lavorare, di poter costruire qualcosa, erano gli studenti.” Ebbene, proprio questo dobbiamo riscoprire noi docenti: il desiderio di costruire con i nostri ragazzi, anche quando sembra impossibile, anche se significa “farli sgobbare”, e magari non averne nemmeno un ritorno immediato in gratificazione. E poi, all’interno delle nostre scuole, nei collegi e nei consigli, dobbiamo assolutamente recuperare in unità, e non solo a livello delle pur sacrosante rivendicazioni sindacali: siamo una comunità insegnante ed educante, nel rispetto delle specificità di ognuno. Un progetto impegnativo, come quello educativo, ha bisogno di forze numerose e molteplici, che lavorino guardando ad un orizzonte comune. Solo così si possono aiutare davvero i ragazzi a crescere, a diventare persone istruite, cittadini responsabili, ma prima di tutto uomini. E di umanità vera abbiamo un estremo bisogno. Ivan Sodini docente latino e greco Liceo classico “G. Prati” Trento 23


RUGGIO

Docente al liceo, vicina alla pensione Agile e scorrevole, questo piccolo libro invita alla lettura con capitoli brevi dai titoli accattivanti. Dal risvolto di copertina poi la descrizione delle difficoltà di un professore di latino e greco in un liceo di periferia, risolte con l’ausilio del teatro di Shakespeare, tende a depistare il lettore. Il titolo originale è in realtà “Omero e Shakespeare in periferia”, Omero in primo luogo, in un secondo momento il teatro e Shakespeare, quando ormai gli studenti hanno letto Omero. Non è una differenza da poco. “Star bene” a scuola Tutto succede in un liceo di periferia dove il lento degrado ha svuotato di interesse e motivazioni preside, docenti e studenti, in cui i genitori si presentano solo per recriminare o protestare, i “creativi” accettano e giustificano qualunque comportamento in nome dello “star bene” al liceo, la vita è difficile per chi vuole lavorare e sa bene che le regole gli studenti le impareranno a loro spese solo al loro primo lavoro. Risultati catastrofici, “verifiche di truppa”, anno a progetto, corsi propedeutici senza alunni, insegnanti d’avanguardia ambivalenti: le infinite risorse di chi non vuole insegnare in una scuola che ha perduto il suo ruolo educativo. Chi lavora nella scuola troverà situazioni ed esperienze diffuse. Quando Augustin detta le sue regole, puntualità e rigore, spiega il suo metodo, studio anche a memoria e ricopiatura degli errori, compiti supplementari e via dicendo non solo ottiene risultati scolastici ma anche la simpatia degli allievi e si convince che per far “star bene” a scuola gli studenti bisogna farli sgobbare. Certo l’istituzione scolastica non favorisce in alcun modo la scelta del latino e del greco, anzi boicotta lo studio delle due materie classiche e Augustin trova il modo di rivolgersi direttamente agli studenti e ai genitori nel momento in cui devono operare la scelta e la sua tecnica sarà imitata anche dai colleghi. Arrivare al cuore Etimologie e mitologia saranno il cavallo di Troia all’inizio, la grammatica arriverà dopo, ma ormai il nostro professore è riuscito a coinvolgere gli studenti 24

che arrivano ad accompagnarlo nel “Tour d’Humière” al momento delle iscrizioni. Incrocia docenti ancora motivati e critici, capaci di vedere lontano dove porteranno riforme e nuovi metodi, a studenti “turisti”, a scuola di passaggio, ecc. In questo percorso gli studenti sono sempre presenti, presenti soprattutto con la loro vitalità, con la modestia delle loro aspirazioni, tolte lodevoli eccezioni, con la difficoltà di vita tipica della provincia che non consente di riuscire facilmente a concretizzare le proprie aspirazioni. Dopo il liceo tentano l’università, ma devono viaggiare su e giù, seguire le lezioni, lavorare per mantenersi e presto si ritroveranno a lavorare lasciando perdere il resto. Riconoscere i bisogni che i giovani portano dentro e che fanno fatica a spiegare è l’aspetto più arduo del lavoro dell’insegnante, lavoro che non si esaurisce nella preparazione e nello svolgimento delle lezioni, ma soprattutto nella capacità di cogliere il modo per arrivare al cuore e alla ragione degli allievi. Bisogno di regole Augustin individua presto la fame di conoscenza e di regole, di norme di comportamento e di rigore mentale, che la famiglia e una società ormai troppo problematica e insicura non sanno più dare. Il rispetto di sé si conquista con la consapevolezza e l’autosufficienza. Sono soprattutto gli studenti che provengono da altri paesi a dimostrare quanto sia determinante il rispetto dei genitori verso lo studio dei figli e a spiegare quello che viene definito “pesantezza” del sistema scolastico francese perché non dà una seconda possibilità. Non ci si può svegliare tardi: se hai fallito a scuola, per te è finita. Non ci saranno carriere brillanti davanti, solo lavori esecutivi e ripetitivi. E’ gioco facile pensare alla situazione italiana e non solo, visto che il problema scolastico e educativo è ormai esploso a livello mondiale. Il teatro diventa per alcuni di questi studenti scuola di vita, le prove da occasione di gioco e distrazione diventano importanti e pressanti; i ragazzi si mettono in gioco, assumono un’altra dimensione, comprendono, memorizzano, fanno esercizi di dizione, esplodono nella rappren. 1-2 gennaio febbraio 2012


sentazione che non avrà nulla di amatoriale, perché sarà un vero spettacolo teatrale. La metamorfosi è compiuta, da Omero, con i cui versi, letti dalla studentessa che ha recitato nel Cyrano e che calamita l’attenzione, il libro si chiude, a Platone lo studio ha segnato il carattere e la personalità degli studenti grazie al greco per il rigore, per la ginnastica della mente, ma anche il professore ha ottenuto di incanalare quella curiosità e quell’entusiasmo che aveva intravisto in quegli alunni tanto lontani dagli standard tradizionali in una direzione di miglioramento e conoscenza. Ha offerto loro ciò che cercavano lasciando che “i nastri sventolassero”. Maria Ruggio docente latino e greco Liceo classico “G. Prati” Trento

PEDRON

studentessa II liceo classico Prima regola di sopravvivenza per professore di lingue “morte” in un liceo di periferia popolato da studenti disagiati e disinteressati: farli appassionare con metodi d’insegnamento non convenzionali, sapendo loro trasmettere la sua passione; perché “il greco è un elemento di formazione intellettuale e morale fondamentale per le persone mal orientate e che, per mancanza di aiuto, rischiano di cadere nell’incomprensione, dunque nella violenza”. Così afferma Jacqueline de Romilly, preside in pensione, prima di dichiarare la sua passione verso i giovani, per i quali “le cose erudite e dotte” sono “come il cibo”. Aver fiducia nei giovani Proprio questo narra questo libro: giovani che, grazie ad un tenace professore di greco, riscoprono sé stessi attraverso una meravigliosa metamorfosi a colpi di teatro, tragedie greche e grandi oratori. I giovani: “generazione bruciata” si sente dire ormai troppo spesso. E irrecuperabile, pare. Io, però, non ci credo. E Augustin d’Humières, l’autore del romanzo, è sicuramente d’accordo con me. Forse i giovani hanno solo bisogno di qualcuno che li aiuti e dia loro stimoli, occasioni, opportunità per comprendere e capire il mondo che brulica loro attorno; diversi da “televisione, pubblicità, reality show e chat su internet”, che isolano dagli altri e fanno percepire una realtà distorta. Quella raccontata è una situazione difficile: lui però, non senza fatica, riesce a districarsi e n. 1-2 gennaio febbraio 2012

a orientarcisi dentro, contribuendo così alla rinascita di questi ragazzi, inizialmente “sommersi dall’eccesso della realtà”: grazie al teatro, sono loro adesso a sommergere la realtà con il loro carattere, finalmente in grado di estrarsi dalla massa svogliata che vaga tutt’attorno. D’Humières si trova da solo nella sua lotta per un “rinascimento giovanile”. Nessun tipo di aiuto da colleghi, Preside, Sovrintendenza. E’ un sistema scolastico, quello francese, che “non dà una seconda possibilità”; in questo liceo di periferia “il futuro non è neppure evocato”. Un sistema scolastico addormentato da burocrazia e privilegi, dove se si vuole far carriera vige la regola del “niente storie”. Valorizzare Ma d’Humières, appoggiato da nessuno, non ci sta, si ribella e, ostinato, va avanti; e con determinazione vince. La chiave del suo successo? Il metodo. Insegnare è la sua vita, il greco la sua passione; e riesce a trasmetterla ai suoi studenti, rendendoli partecipi del loro sapere e della loro istruzione. Sono loro i protagonisti. Le classi dovrebbero essere cantieri del sapere, dove ognuno, mattone su mattone, costruisce non solo la propria cultura, ma la propria vita. Questo straordinario professore ha saputo cogliere le enormi capacità e qualità dei suoi ragazzi, e metterli nelle condizioni di farle fruttare. Noi studenti siamo prima di tutto persone, diverse, che vorrebbero una scuola che fosse palestra e maestra di vita. Abbiamo tutti caratteristiche differenti da valorizzare, non solo giudizi e voti da prendere. E’ il saper valorizzare i suoi studenti che permette a d’Humières di far superare la convinzione che il suo sia un “liceo che piange”. Christine Bureau-Garonne, preside in pensione; una delle tante storie narrate nel libro è la sua. E proprio lei afferma: “Ci sono quelli che non sanno adattarsi alla scuola, e allora la scuola deve potersi adattare a loro”. E sostiene subito dopo che questo la scuola non sappia farlo. E forse non ha tutti i torti. Gaia Pedron studentessa seconda liceo classico “G. Prati” e presidente Consulta provinciale studenti 25


OSCULATI

Mamma di due figli al liceo Un professore che non si dimentica facilmente, questo Augustin d’Humières. Decisamente alternativo, profondamente motivato, tenace ed instancabile nel perseguire i suoi obiettivi. Quanto più i nostri figli progrediscono nel percorso scolastico, tanto più ci rendiamo conto di affidarli a relazioni umane che diventano sempre più rilevanti, sempre più significative ed incisive. Ed allora la qualità delle persone che incontrano fa la differenza.

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“Venditore ambulante”

Tra realtà e piacere di imparare

Il protagonista di questa “avventura” nelle scuole della periferia parigina è una persona straordinaria, un professore che crede nel suo mestiere, che crede negli studenti, e si ostina a smuovere le cose all’interno della realtà in cui opera. Il contesto non è semplice: ambiente di periferia, appunto, grigio ed anonimo, situazione molto composita, che vede, accanto ad alunni seri e motivati, ragazzi difficili, famiglie assenti, tanto disimpegno e tanta trascuratezza. Una situazione limite, per certi aspetti, sicuramente particolare, eppure paradigmatica di difficoltà e fatiche diffuse sempre più tra i nostri ragazzi, oggi: ragazzi che fanno fatica a rimanere concentrati, che non sono capaci di stare fermi al loro posto, che non sanno cosa sia il silenzio perché abituati a vivere nel rumore, incerti nell’uso della loro stessa lingua, incapaci di memorizzare, refrattari alla lettura. Sono una realtà, anche nelle nostre scuole, anche tra i nostri figli. Eppure il professor Augustin – che ha occhi per vedere oltre l’apparenza – coglie in loro una freschezza, una fame di conoscenza ed una energia straordinarie. E va a cercarli. Lo fa fisicamente, nella storia che ci racconta: si reca nelle scuole del bacino d’utenza del liceo in cui insegna, si presenta ai ragazzi e cerca di convincerli a seguire i suoi corsi di greco, quasi fosse un “venditore ambulante”. Ma ci piace questo atteggiamento come metafora di un modo di fare scuola: i ragazzi vanno cercati e conquistati, di continuo; la curiosità va sollecitata e stimolata, non solo riscontrata; l’intelligenza va provocata, non semplicemente misurata o giudicata.

Lui stesso propone, per sé, un’immagine molto appropriata, quella dell’allenatore capace di motivare nel modo giusto, capace di incoraggiare, di indicare la direzione di marcia. Più che un professore troppo bravo, ultra brillante, si ritiene un professore efficace: bravo e preparato, sì, ma soprattutto a servizio dei suoi ragazzi, impegnato non tanto a esibire un sapere quanto a tessere una rete di interessi, motivazioni, passioni, decisioni nei ragazzi. Perché ciò che conta è che i ragazzi intuiscano di avere delle possibilità aperte davanti a sé, che la scuola sia vissuta come una grande opportunità; non il luogo di un giudizio, di una valutazione che ti definisce, ma piuttosto l’occasione di sempre nuove, sorprendenti, entusiasmanti scoperte. Il professor d’Humières appare costantemente teso tra due obiettivi, entrambi ineludibili: da una parte puntare su una scuola che sappia fare i conti con la realtà, dall’altra non rinunciare mai a far percepire il piacere di imparare. Così la “sua” scuola è innanzitutto davvero utile: insegna a guardare il mondo, a prospettare il proprio futuro in esso, a lavorare per acquisire competenze e capacità che possano portare ad un sereno inserimento. Studiare serve per la vita. Arricchisce, dà sicurezza, garantisce una marcia in più. Lo riconoscono, e lo dicono, i suoi ragazzi alla fine del percorso. La sfida del greco E d’altra parte la “sua” scuola è bella, come testimonia una delle protagoniste, Inès, una ragazza che atn. 1-2 gennaio febbraio 2012


traverso un percorso molto travagliato trova la sua strada e scopre una vera passione nel dare lezioni di sostegno agli alunni della scuola elementare, che esorta con queste parole:”E’ così bello imparare! Perché non ci provate?” (p.92). Questo è il vero punto di forza del nostro professore: l’unica, importante meta è che i ragazzi provino il piacere di conoscere; “mi concentrai su un solo obiettivo: che imparassero qualcosa di nuovo a ogni lezione, che prendessero il più rapidamente possibile gusto alla materia” (p.84). La sfida, per lui, è ardua perché si tratta di cimentarsi con il greco antico. Ma è una sfida che viene vinta: i ragazzi entrano nel vivo della materia, provano vera gioia nel leggere questa lingua antica, nel decifrarne l’alfabeto, nell’indovinare le origini delle parole. E si accorgono che davvero il greco può servire, è la chiave per capire il significato di tante parole, arricchisce il vocabolario, insegna a pensare, oltre a far scoprire un mondo vivo e affascinante. Dare un significato alla fatica Le ultime pagine del testo, raccolte nella Postfazione, sono una vera esaltazione del valore formativo che continuano ad avere il latino ed il greco; una lettura interessante, da consigliare a tutti coloro che si occupano di “orientamento” dei ragazzi dopo la scuola media, siano essi genitori o insegnanti, perché apre un interrogativo sul nostro modo di indirizzare verso gli studi classici; una lettura da cui emerge chiaramente come il criterio della scelta non debba, forse, essere prima di tutto il rendimento scolastico ma piuttosto il desiderio di scoprire un mondo, la prospettiva di un traguardo di valore da raggiungere. Tutto ciò, è bene dirselo, non è esente da fatica. Ma il professore non ha paura di chiederla ai suoi alunni: “alla fin fine, per farli ‘sentir bene’ al liceo, forse la cosa migliore era farli sgobbare” (p.52). Non è rinunciando a mete alte che si aiutano i ragazzi a crescere, bensì accompagnandoli nel modo giusto, semmai incoraggiandoli. E aiutandoli a dare un significato alla fatica. … il preside, però! Con coraggio. Senza la preoccupazione di essere gradito, o di garantirsi un quieto vivere, atteggiamento che invece riscontriamo nel preside della scuola in cui lavora d’Humières, teso solo a mostrarsi disponin. 1-2 gennaio febbraio 2012

bile e accondiscendente con tutti, insegnanti, alunni, genitori. A lui il professore contrappone la convinzione che alla fine – ed è verissimo – i ragazzi si stancano di non incontrare alcun limite, sanno accettare l’adulto che pone delle regole (la puntualità, la regolarità della frequenza, la responsabilità di avere tutto l’occorrente) e che ne esige il rispetto. Alla fine di questa bella lettura, la nostra riflessione è illuminata e confortata dal successo del’impresa: il professore si ritrova una classe completamente diversa, attenta, interessata, che “tace, ascolta, vuole sapere il seguito” (p.150). Rimane lì, anche dopo il suono dell’ultima campanella. Un sogno? Un sogno? Un po’ sì, sembra di uscire da un sogno, alla fine. Viene da chiedersi quanto sia davvero possibile, se sia realizzabile o in qualche misura replicabile una simile esperienza. Tra le righe, però, accanto alla caparbia determinazione e alla forte personalità di questo insegnante, troviamo una preziosa indicazione su cui vogliamo portare l’attenzione, che può condurci a una risposta positiva. Di fronte alle prime difficoltà e alla solitudine in cui si trova appena giunto nella nuova scuola, il professore d’Humières vede con lucidità quanto sarebbe importante la collaborazione con altri, la condivisione con i colleghi, la complicità delle famiglie: “in questo tipo di lavoro, è fondamentale avere dei sostegni, lavorare con qualcuno” (p.60). Questa rimane, per tutti coloro che operano nella scuola, una consegna: occorre favorire maggiormente la comunicazione, la relazione e la collaborazione tra i vari soggetti coinvolti (dirigenti, insegnanti, genitori) perché la scuola diventi veramente una comunità che educa; occorre pensarla e farla insieme, questa scuola, per i nostri figli. Gli esiti potranno essere anche altri, rispetto a quelli che ci racconta questo libro, ma sicuramente il contributo delle varie componenti rimane fondamentale affinché la nostra scuola sappia rispondere con compiutezza al suo compito educativo. Sia questo un impegno comune, e non, ancora, il sogno bellissimo di qualche visionario. Alessandra Osculati genitore con un figlio al liceo scientifico, una al classico e uno nella scuola secondaria I grado

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Veladiano

Dirigente scolastica e scrittrice C’è qualcosa di tremendamente possibile nell’incipit di questo libro di scuola: un insegnante che parla, dei ragazzi che non ascoltano e qualcuno che osserva. In questo caso un giornalista, spettatore, straniero a quel che accade, che non si sente in gioco, che niente ha a che vedere con quello che ha davanti: l’insegnante ce la fa? Non ce la fa? Pazienza. Si passa ad altro. La solitudine dell’insegnante E invece no. No perché nessuno si può dir fuori e non si può passare ad altro. Perché dalla scuola dipende troppo. Vien da dire tutto: difficile immaginare qualcosa di più importante della cultura, e quindi della capacità di conoscersi e dirsi e difendersi, e quindi di costruire un mondo migliore, e quindi della possibilità di rovesciare le iniquità, e quindi di coltivare la felicità personale propria e degli altri. Eppure è vero che oggi la scuola è sola, circondata dalla curiosità estranea della società. O, spesso, dall’interesse ostile di chi legge ideologicamente quel che dentro accade, immagina che accada. E più ancora è solo l’insegnante, accusato di essere incapace, impreparato, sempre in vacanza, docente-per-caso o per ripiego, doppiolavorista e inculcatore di idee sovversive. È vero che un po’ la solitudine è una condizione obbligata dell’insegnante. Forza e difficoltà insieme: solo lui, solo noi, con i ragazzi, a scegliere le parole da dire, a governare le emozioni che ci attraversano, nostre e loro, tante ore, tanti anni, tanti tanti ragazzi. E dopo tutto questo fare e questo essere, vita, passione, impegno, fatica, non poter sapere quel che è nato. I risultati non visti Perché è difficilissimo anche chiamar per nome il risultato dell’insegnare: il successo scolastico è il voto? O la passione? O la curiosità? O lo sguardo consapevole sul mondo? O il sentirsi parte e responsabili di questo mondo? O un talento finalmente scoperto? Forse basta una di queste cose. Lo sguardo diverso con cui un bambino o ragazzo, arrivato già “vinto” in prima, ci saluta l’ultimo giorno di scuola. E il cielo sa che lo cerchiamo questo sguardo, un segno che ci restituisca la consapevolezza che qualcosa di importante è capitato nella vita d’aula. 28

E rarissimo è il caso di un adolescente che ce lo venga a dire: l’età scontrosa lo impedisce. Qualche volta a distanza di molti anni. Ma intanto si deve insegnare. E spesso l’efficacia dell’insegnare è davvero nascosta e richiede davvero tanto tanto tempo per dar segno di sé. La scuola opera sempre nell’incertezza: deve raccogliere i cambiamenti del mondo, senza assecondarne le derive, deve farlo in fretta perché tutto è veloce e i ragazzi sono qui e ora, ma è un’istituzione e quindi lenta a cambiare. È l’insegnante ad assicurare oggi che quel che accade a scuola sia un agire dentro un orizzonte sensato. E se l’essere alla fine solo è inevitabile, tutto è infinitamente più leggero e vero se funzionano le giuste alleanze: con l’istituzione, appunto, e con le famiglie, e con la società. E anche con la politica. La “carriera di resistente” Negli ultimi decenni la politica si è impegnata molto a far saltare queste alleanze, investendo le aule di una battaglia ideologica assurda, che ha portato a colpire la scuola per colpire i docenti. La “carriera di resistente”, di cui parla Augustin d’Humières nel suo libro a proposito della condizione dell’insegnante nella scuola e nella società francese, ha interessato anche l’Italia. E’ letteratura, e paga un po’ d’enfasi alla necessità di farsi leggere, ma c’è verità, oltre che un po’ di esagerazione, nelle parole di questo insegnante francese di liceo quando racconta che a volte il nemico è stato l’istituzione. Il Trentino forse ha potuto resistere e continuare a essere vicino alla scuola grazie alla sua autonomia, ma altrove gli insegnanti non hanno avuto come alleato il Ministero dell’istruzione. Eppure ancora nelle indagini la scuola mantiene la fiducia delle famiglie che, dove sono state attente, hanno potuto vedere il lavoro compiuto nelle aule: vera resistenza, per coltivare il diritto dei loro figli alla cultura, il diritto a diventare quel che desiderano, o almeno a provarci, e a farlo nel rispetto e nella verità del bene comune. C’è da ricostruire un’alleanza nuova intorno al lavoro dell’insegnante. Un bel lavoro ed è bello poter dire: noi ci siamo. Maria Pia Veladiano dirigente scolastica I.C. Alta Vallagarina n. 1-2 gennaio febbraio 2012


le parole per dirlo pag. 139

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Magia del teatro

[…]

[…] “Ho trascorso qualche anno nei corsi di teatro, di tanto in tanto mi succede ancora di andarci, ma ho raramente visto un’energia paragonabile a quella che dispiegavano i miei attori principianti la sera della rappresentazione. L’avevo intravista casualmente durante qualche prova generale. C’era qualcosa che aveva a che fare con il senso di liberazione. Questa gioia di diventare un altro, di entrare nella pelle di un personaggio, fa parte della “normale” magia del teatro, ma questa magia aveva senza dubbio più effetto qui che altrove. La sera della prima del Sogno di una notte di mezza estate, dopo aver coscienziosamente salutato il pubblico, d’un tratto si sono precipitati gli uni sugli altri come se avessero vinto la Coppa del Mondo: li guardavo affascinato dalla postazione di regia, erano gli stessi che avevo chiamato quindici volte al cellulare, che avevo svegliato durante le prove, che gridavano perché invadevo la loro vita privata… La sala era un po’ inquietante. Come ai tempi del melodramma, il pubblico si rivolgeva direttamente agli attori al loro ingresso in scena: “Ohè, Dounya, sei fica!”, “Wow, Renate!”, “Louis è troppo forte!”. Gli attori, che non deviavano un attimo dal loro percorso, imponevano poco a poco il silenzio. La metamorfosi colpiva soprattutto quelli che frequentavano i medesimi alunni in altri contesti: “Non riconoscevamo più i nostri studenti!”. Il direttore di scena, all’ultima rappresentazione prima di andare in pensione, non si capacitava: “No, davvero, tanto di cappello per quello che hanno fatto! Ci aspettavamo di veder arrivare dei ragazzini di periferia, invece ci hanno veramente stupiti!”. Il riconoscimento che ne traevano gli attori principianti era immenso, giungeva a modificare il loro modo di parlare, di leggere un testo a lezione.” Augustin d’ Humières, I figli dell’ultimo banco, Piemme Voci, Milano 2011, pp 160, € 13.50 n. 1-2 gennaio febbraio 2012

“Il linguaggio è la prima fonte della paura quando i ragazzi affrontano il “fuori”, compresa la scuola: non solo perché la lingua della cittadinanza italiana è per loro una precaria, semi-estranea seconda lingua; ma perché cambia l’intero sistema dei segni, e le proprie capacità di decodificazione sono disattivate. Dentro la nicchia la conoscenza è basata sulla ripetizione dei copioni e sulla loro prevedibilità, comprese le sparatorie e le uccisioni, quasi sempre previste e pronosticate dalla narrazione collettiva. Fuori la conoscenza è esplorazione e scoperta dell’ignoto, che per tutti è fonte di paura: ma mentre nei percorsi conoscitivi normali la paura si accoppia al piacere, e porta lontano, nei nostri ragazzi diventa panico, e blocca il cammino. In questo “fuori”, quello della scuola e della polis, la sicurezza è rappresentata da un gruppo di adulti educanti che organizzano la scuola come spazio rassicurante, e che accompagnano i ragazzi negli altri “fuori”. Una parte importante di questo cammino di conoscenza è rappresentata dall’insegnare ai ragazzi a camminare a piedi, che è la vera presa di possesso del mondo ignoto, insieme al linguaggio. La protesi meccanica del motorino copre con la sua potenza una tale fragilità che non è in grado di violare nemmeno i confini dei quartieri, se non in forma di banda organizzata per aggredire il quartiere vicino. Ho fatto l’esperienza di un percorso formativo di tre anni con lo stesso gruppo di ragazzi, che si è concluso con un viaggio-stage in Spagna. Nel bilancio di questa esperienza fatto nel circle time alla fine del percorso, per dare parola al sentimento di una autonomia raggiunta un ragazzo disse “camminavamo, sudavamo, e non mangiavamo”: camminare da soli (senza la prossimità fisica dei tutor) in una grande città straniera; sudare, cioè accettare come proprio, senza “scuorno”, un corpo naturale al posto di quello standard, deterso, profumato e rivestito secondo il dettato sociale; non mangiare, cioè poter rinunciare a quel rifornimento emotivo spesso coatto che ha accompagnato e sostenuto tutto il percorso (a Chance diamo da mangiare ai ragazzi). Tre azioni concrete, ma anche tre metafore della sicurezza conquistata.” Carla Melazzini, Insegnare al principe di Danimarca, Sellerio editore Palermo, 201, pp 262, € 14,00 29


l’assessore DALMASO

Assessore, ex insegnante in un liceo Per chiudere questo dossier dedicato al “mestiere insegnante” abbiamo pensato di fare un’intervista all’assessore provinciale all’istruzione e allo sport, Marta Dalmaso, la quale – ovviamente – ha letto il libro dal quale ha preso le mosse lo stesso dossier. Per la verità, quella che riportiamo, più che l’intervista all’assessore è innanzitutto una “chiacchierata” con una ex insegnante di materie letterarie in un liceo classico della città, anche se non potevamo certo ignorare l’attuale carica di responsabile provinciale proprio dell’istruzione. Abbiamo toccato tutti gli spunti di riflessione che sono emersi dalla lettura fatta a più voci e riportati per esteso nelle pagine precedenti. L’intervista è stata realizzata lunedì 13 febbraio 2011 Un libro coinvolgente, ma che a tratti lascia sgomenti intanto le prime impressioni sul libro

Il libro si legge volentieri e immerge in una situazione di scuola molto problematica, molto difficile, che fatica a dare risposte adeguate alla complessità e sembra addirittura per certi aspetti cedere alla trascuratezza. Un libro che in certi passaggi lascia anche sgomenti: penso ad esempio a come viene affrontato il tema dell’orientamento e dell’accompagnamento dei ragazzi nello loro scelte. Emerge però la figura dell’insegnante protagonista che si propone con la sua passione, con le motivazioni forti che lo spingono, il grande amore per la disciplina che insegna, ma anche con profonda attenzione nei confronti dei ragazzi: tutti aspetti, che durante la lettura coinvolgono e invitano a confrontarti con il suo modo di affrontare la scuola. il mestiere dell’insegnante: uno diventa insegnante quasi per caso, però poi c’è chi ha passione e chi non ne ha. l’insegnante, in particolare, non riesce mai a capire il vero risultato finale del proprio lavoro. partiamo dalla “passione”: da dove capiamo se c’è o no passione nell’insegnante?

Credo che la passione di un insegnante debba essere innanzi tutto passione per le persone, perché quando un adulto si trova ad accompagnare nella loro formazione dei ragazzi, la prima cosa impor30

tante è la consapevolezza di avere di fronte delle persone a tutto tondo, per le quali si è comunque un riferimento. Per questo ritengo che il modo in cui l’insegnante si pone debba partire dal profondo rispetto nei confronti dei suoi studenti e dalla fiducia nelle potenzialità che tutti i ragazzi hanno e che attendono di essere valorizzate. Solo a partire da questa premessa, mi pare, si può cominciare a lavorare sulle discipline. Quindi: appassionati per i ragazzi come persone e amanti della disciplina che si insegna. Gli alunni si accorgono se un insegnante ama la propria materia oppure no e anche se ama l’insegnamento come lavoro oppure no. L’amore per la propria disciplina è in parte per così dire “innato”, ma in buona parte lo si acquisisce e lo si coltiva con lo studio e con l’approfondimento, che permettono per così dire di distillare l’essenziale e di aprirsi con maggiore disponibilità all’apporto dei propri studenti che vengono aiutati a conquistare un proprio sapere. Terzo aspetto, la didattica. Io purtroppo sono arrivata all’insegnamento dopo il liceo classico, l’università e un concorso per l’abilitazione che non prevedeva praticamente nulla che riguardasse la didattica. In sostanza uno si doveva costruire sul campo questa dimensione della professionalità e sperare di aver indovinato il proprio lavoro. Un conto infatti è la passione per la disciplina, ma cosa assai diversa è relazionarsi ad una classe o a più classi, che devi aiutare a crescere anche attraverso lo studio, nel mio caso, nelle materie umanistiche. n. 1-2 gennaio febbraio 2012


Mestiere libero sì, ma che si gioca all’interno di una comunità educante spesso a me è stato detto da personaggi significativi che “il mestiere dell’insegnante è uno dei mestieri più liberi del mondo”. è ancora così?

Di sicuro è un mestiere bello e avvincente. E’ vero che, salve delle premesse sui programmi e sulle regole di fondo, poi l’insegnante è davvero in classe il più delle volte da solo, specie nelle superiori, con i suoi studenti ed è veramente libero di adottare le metodologie che più gli sembrano adeguate e immaginare il percorso didattico e il dipanarsi dei contenuti come gli sembra più opportuno. Una libertà assolutamente importante, che non può mancare in una relazione educativa. È peraltro fondamentale tenere presente che questa relazione educativa si basa anche sulla libertà dello studente, che deve essere rispettata e vorrei dire coltivata: quale attività consente più dello studio e del pensiero di rafforzare lo spirito critico e di dare strumenti per poter essere autenticamente liberi? Anche nei recenti Piani di studio provinciali si sottolinea molto il protagonismo dello studente nell’apprendimento e nella costruzione della propria formazione. Tornando alla libertà dell’insegnante, aggiungo che ad essa deve corrispondere altrettanto senso di responsabilità e mi pare che questo possa avvenire in maniera più adeguata se e quando gli insegnanti non rivendicano la propria libertà come valore da gestire individualmente ma piuttosto come una risorsa da mettere a disposizione per un lavoro di squadra con i colleghi. Una libertà, quindi, che si gioca all’interno di un team, di una comunità educante, non in esperienze solitarie, come purtroppo a volte avviene. L’azione formativa

risulta molto più efficace quando quelle dei docenti sono tante libertà che comunicano e che costruiscono un progetto che sia leggibile anche complessivamente come il progetto di una comunità educante. Pratica dell’insegnante in classe e “riti collegiali” riprendo alcune impressioni che ha avuto chi ha letto questo libro: c’è una realtà, la scuola come istituzione, che in qualche modo trascina gli insegnanti alla tentazione del branco, alla disciplina sindacale, con una separazione spesso netta tra le cose fatte in classe e le cose dette nelle realtà collegiali, nei consigli, nelle assemblee…

Per fare riferimento ad un’esperienza abbastanza recente, in questo periodo del riordino del secondo ciclo ho avvertito che quello a cui s’è dato maggiormente risalto da parte dei mezzi di comunicazione sono state le dinamiche rivendicative di natura sindacale; io però sono assolutamente convinta che nella quotidianità del lavoro sia preponderante la passione per l’insegnamento che porta moltissimi docenti a lavorare al di là delle previsioni contrattuali e senza l’atteggiamento rivendicativo che talvolta si attribuisce loro. Credo che se la scuola, e la scuola trentina in particolare, è arrivata a certi livelli di qualità e di efficacia è perché moltissimi insegnanti lavorano con grande motivazione e professionalità, anche se poi magari in qualche collegio docenti emergono di più le voci che portano le istanze meno costruttive, che pure ci sono. Dovremmo, penso, aiutarci tutti, assessorato, dipartimento, dirigenti scolastici, docenti e personale della scuola, nonché organizzazioni sindacali, ad individuare le questioni sulle quali è necessario puntare, per il bene dei nostri studenti e della scuola. Questo peraltro è un processo che abbiamo avviato e per il quale mi pare ci sia una buona disponibilità. La centralità della relazione educativa e la stima reciproca insegnante/studente il docente “bravo e motivato” e i suoi studenti. chi è? “un animatore di quartiere o uno che si propone usando la disciplina e “fa sgobbare” i suoi studenti? insomma, “stare bene a scuola”, per gli studenti deve voler dire accontentarli, pruomuoverli, portarli avanti…? irrigidirsi sulle regole, farli sgobbare o accudirli e curarli? c’è un confine tra istruire ed educare?

Probabilmente queste dimensioni devono coesistere e quanto debba pesare l’essere “animatore” o quanto n. 1-2 gennaio febbraio 2012

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C’è sempre meno tempo per fare “altro” dai vincoli della disciplina

debba pesare l’altra dimensione, io credo vada veramente tarato sulla situazione reale. Penso che uno dei “compiti” più complessi, delicati ma anche importanti per un insegnante sia quello di sapere chi ha davanti quando entra in classe e si ritrova dei ragazzi seduti dietro un banco, con i loro volti, gli sguardi puntati e il loro vissuto personale. Secondo me la sfida è proprio quella di capire queste diverse storie per trovare per ciascuna la risposta giusta. Ci sono dei ragazzi che hanno bisogno anzitutto di capire il senso di quello che fanno, e senza questa consapevolezza non si lasciano imporre una disciplina e non accettano il rigore nell’affrontare lo studio. Ci sono dei ragazzi, invece, che già si sentono motivati e pronti a lavorare sui contenuti, e che non solo accettano, ma richiedono pure al docente di farli andare avanti nella conquista della conoscenza e del sapere. Sempre più frequenti, però sono i casi in cui lo studente, prima di poter essere avvicinato ad una materia scolastica, ha bisogno di trovare la strada per venir fuori da altri problemi, che, se non vengono affrontati per tempo, gli impediscono di aprirsi ad altro. … e, allora, quale strada scegliere?

le modalità per recupare una dimensione dell’”altro oltre la disciplina”. nel libro, l’insegnante l’ha trovata utilizzando il teatro, che diventa il riscatto per i ragazzi. nel testo della “maestra di strada” a napoli, carla melazzini, c’è la gita a barcellona e lo stage in emilia… con i nuovi piani di studio e i nuovi quadri orario, anche nel primo ciclo si avverte quasi la scomparsa delle attività “altre”, delle attività teatrali, della dimensione espressiva. è così oggi nella scuola?

Se guardiamo al primo ciclo, è vero che prima c’erano più ore obbligatorie, ma è anche vero che moltissime sono le esperienze di “tempo pieno” garantite con ore di scuola anche nel pomeriggio, che concedono ampi spazi per materie opzionali e per esperienze molto varie e significative. Del resto, è difficile ridurre ad un unico clichè le domande delle famiglie, che oggi non sono omogenee e rivelano in qualche situazione anche un’inversione di tendenza. Ci sono infatti dei genitori che richiedono il tempo scuola più ridotto, perché evidentemente intendono (e possono) completare la formazione e l’educazione dei propri figli con iniziative che sono al di fuori della scuola e che legittimamente vengono considerate importanti e utili. Ribadisco: nella scuola ci sono tante opportunità ancora, però credo vada fatta una riflessione sulle metodologie didattiche che vengono adottate. Se in molti casi il modo di insegnare si è adeguato alle nuove esigenze, in altri casi segna il passo, con il risultato che è difficile affrontare i problemi di un mondo che cambia

E’ inutile essere esigenti, severi e richiedere impegno a dei ragazzi che hanno macigni esistenziali addosso. Un docente naturalmente non è un assistente sociale, non può neanche fare la mamma o il papà e tantomeno l’amicone; è un docente, ma credo che debba prendere atto che può favorire davvero l’apprendimento dei suoi studenti solo se si dimostra disponibile a capire, a cogliere i segnali che essi mandano e a lavorare su quei segnali. Dopodiché, l’esperienza insegna che nel momento in cui in questa relazione educativa scatta una stima reciproca, non solo da parte del ragazzo ma anche da parte del docente nei confronti del ragazzo, allora gli studenti sanno dare tanto, in maniera diversa a seconda della propria indole, ma sanno veramente venir fuori con tutte le loro potenzialità e accettano che l’adulto, che loro considerano significativo, sia anche esigente. 32

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La scuola tra paradossi e “resistenze”

anche dentro la scuola senza rivedere gli schemi di lavoro. Dobbiamo tutti attrezzarci di più, senza tuttavia pensare che al docente si possa chiedere di trasformarsi immediatamente, a seconda delle esigenze, in animatore o altro. Per quanto riguarda le attività non strettamente curricolari, credo che affrontarle con una relazione più forte tra docenti possa consentire di ottimizzare sia i tempi che le energie. Ad esempio: l’insegnante che fa teatro ma resta solo dentro il Collegio docenti perché snobbato e ostacolato (vedi il protagonista del libro… e altre esperienze che qualche nostro insegnante potrebbe raccontare), si trova ad affrontare un’impresa titanica; se, invece, il docente appassionato in questo ambito lavora in un team in cui magari non tutti hanno lo stesso talento, ma sostengono comunque l’iniziativa, favorendola e lavorando assieme con apporti diversi, è chiaro che l’efficacia dell’intevento si moltiplica all’ennesima potenza. L’ansia dei testi… però, c’è anche l’ansia dei test, delle schede preconfezionate, dei traguardi prefissati…

L’ansia della valutazione è un dato di fatto. Sul tema della valutazione stiamo andando avanti col lavoro: c’è stato il regolamento sulla valutazione, il compito assegnato ai Consigli di classe ed ai Collegi docenti per darsi dei criteri, ma è un processo che va ulteriormente affinato. Dobbiamo arrivare a capire quale può essere la valutazione che aiuta i ragazzi a crescere, a capire a che punto sono e a fare progressi e che consente anche agli insegnanti di migliorare la propria didattica. Anche un’esperienza teatrale nella quale si affronta un testo da tanti punti di vista, con la difficoltà graduata rispetto al livello scolastico, può essere un terreno prezioso per capire a che punto è il bambino, qual è il suo impegno, quali sono le sue potenzialità, e magari la chiave giusta per poterlo valorizzare. È chiaro che non tutti gli insegnanti sono vocati ad utilizzare questo tipo di attività o di espressività, ma, come dicevo prima, la cosa importante è condividere con i colleghi gli obiettivi e contribuire ciascuno con il proprio apporto. n. 1-2 gennaio febbraio 2012

tre paradossi segnalati in particolare da mariapia veladiano dopo la lettura di questo libro. risposte anche flash su ognuno. il primo: da una parte c’è la convinzione diffusa che dalla scuola dipenda tutto, anche la felicità dei singoli, perché si formano le persone in prospettiva. oggi, però, la scuola sembra essere sempre più sola, mentre fuori c’è una società estranea, un po’ curiosa e un interesse spesso ostile….

È vero che quando emergono problemi la prima realtà chiamata in causa è la scuola, come responsabile del male e incapace di intervenire per sanare le situazioni. Nell’immaginario collettivo la responsabilità della scuola è molto elevata e la si sottolinea soprattutto per quello che non riesce a fare. Dall’altra parte, è anche vero che la scuola non di rado è sola, non sempre per responsabilità del mondo che c’è fuori, ma anche per responsabilità della scuola stessa. Direi che in molte delle situazioni di difficoltà quello che manca è un rapporto ben costruito tra la scuola e la famiglia, tra la scuola e il territorio. Talvolta questo capita anche per una visione “delegante” del contesto, che vorrebbe appunto delegare alla scuola ciò che la famiglia e la comunità non riescono a fare. Credo che si debba proprio lavorare per oliare bene questa relazione: ci sono, è vero, molte esperienze positive di relazioni belle tra scuola e territorio, ci sono comunità sensibili alle loro scuole e famiglie molto attente, ma gli organi di rappresentanza nella scuola fanno fatica, la partecipazione delle famiglie alla vita della scuola è un processo che va ulteriormente potenziato e sostenuto. Il paradosso, però, ha del vero. il secondo. nell’era della incertezza (se ne è parlato nelle giornate di educa 2011), da una parte la scuola è chiamata a dare risposte molto in fretta, dall’altra è un’istituzione lenta a cambiare.

Concordo. E proprio qui si vede la grandezza, a volte mi viene da dire l’eroismo, di molti insegnanti che, pur in questa tendenza complessiva alla conservazione, si fanno promotori e artefici di iniziative davvero all’avanguardia, con strumentazioni e con modalità innovative. C’è tanta innovazione “spicciola” dentro la scuola, anche se è vero che è un’istituzione lenta a cambiare. Dobbiamo far conoscere di più le buone pratiche, renderle patrimonio comune e valorizzare meglio le competenze di molti insegnanti capaci. Nella formazione dei docenti stiamo cercando di fare anche questo. 33


La battaglia ideologica contro la scuola e gli insegnanti il terzo paradosso, riguarda la politica. in certi momenti si ha l’impressione che da fuori ci sia una sorta di battaglia ideologica contro la scuola e cioè contro gli insegnanti, i quali rispondono con “la carriera del resistente al nemico”.

Chi è che sta facendo la battaglia ideologica contro scuola/insegnanti? Forse si traduce così la proposta di valutarli? All’inizio di questa intervista dicevamo che l’insegnante è sovrano nella classe… Ebbene: se portiamo all’esasperazione questo concetto rischiamo di avere chi se ne serve per non affrontare le situazioni di malcontento e di insoddisfazione, che sono magari motivati perché la scuola non offre risposte adeguate. Credo che noi dobbiamo essere consapevoli della preziosità del lavoro dell’insegnante ed è per questo che quando parliamo della valutazione, l’obiettivo non è tanto quello di dare delle pagelle, ma di individuare dei meccanismi di miglioramento. Come in tutte le realtà, anche nell’ambito della scuola esistono situazioni diversificate ed è giusto che sia così, ma riteniamo importante valorizzare le esperienze particolarmente positive e magari ren-

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derle più diffuse. Insomma, la strada della valutazione sembra essere ormai una scelta obbligata… La valutazione, se vista come volontà di accompagnare in un progressivo miglioramento i docenti, i dirigenti, gli operatori che sono dentro la scuola è passaggio sicuramente interessante e utile. Quanto al paradosso, è ovvio che quando si generalizza e la realtà esterna se la prende con la scuola perché le risposte non sono adeguate, dagli insegnanti scatti un’autodifesa che rischia di essere altrettanto irragionevole laddove non si colgono le criticità che nella scuola ci sono e che dovremmo serenamente affrontare. Abbiamo tutti gli strumenti e le possibilità per vedere ciò che nella scuola funziona bene e ciò che invece va migliorato e affrontato come problema e come criticità. E sono convinta che tutta la comunità ci guadagna nel momento in cui ama la propria scuola, la vede come un presidio prezioso e irrinunciabile per la libertà, per la democrazia, per l’integrazione e per tutti i valori che sono a fondamento della civile convivenza. Mario Caroli

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LA LETTERA

IRC IN TRENTINO

Due contributi dopo il dossier Nel numero di dicembre 2011 di didascalie abbiamo pubblicato un dossier dedicato all’Insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole del Trentino, dal titolo “A scuola di religione”, 25 anni dopo l’avvio di tale esperienza. Pubblichiamo ora due lettere che sono giunte nel tra gennaio e febbraio 2012.

RELIGIONI A SCUOLA Silvano Bert, insegnante in pensione “È complesso trovare soluzioni adeguate”, scrive un po’ sconsolata Beatrice de Gerloni, direttore dell’Iprase, a proposito delle attività didattiche alternative. Ma il problema, a me pare, sta proprio in quella normale attività quotidiana a cui Didascalie nel n.12/2011 dedica il suo dossier. L’ “insegnamento della religione cattolica” -scrive Mario Caroli- è infatti collocato “in uno scenario radicalmente mutato dalla presenza di culture religiose diverse”. È questo scarto il problema: fra “il singolare di una religione”, l’unica da insegnare ed apprendere, e “il plurale delle religioni”, le molte praticate sul territorio. Lo scarto è fra la domanda della realtà sociale e la risposta della scuola che per legge deve interpretarla. C’entrano certo i governanti. Ma il problema è politico nel senso profondo, perché riguarda la responsabilità di noi cittadini, la cultura che stiamo elaborando. Con il Concordato riformato nel 1984 ci fu uno scambio fra lo Stato e la Chiesa: l’ora di religione cattolica, da “fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica” qual era dal 1929, divenne confessionale e facoltativa. La confessione maggioritaria decide i programmi e sceglie gli insegnanti, lo Stato 36

dichiara quell’insegnamento facoltativo. È una soluzione che, per privilegiare una parte, priva tutti i cittadini della conoscenza storico-critica delle religioni, e ignora il senso della secolarizzazione. Si rinuncia a una riflessione sul come convivere, mentre la globalizzazione scaraventa i popoli gli uni addosso agli altri. La stampa locale ci informa che sono venti le religioni nella nostra provincia, e si riduce fra i trentini la scelta dei sacramenti cristiani. Proporre ancora la religione cattolica secondo la tradizione è come insegnare, dopo Galileo, che la terra sta ferma al centro dell’universo e, dopo Darwin, che l’uomo è stato creato, fisso su un piedistallo, separato dal resto della natura. Sarebbe come se, nello scenario del web, per riferirmi all’intervento di don Ivan Maffeis, ricavassimo informazioni solo dalla parola stampata su carta o, quando intorno risuonano le lingue più varie, la scuola parlasse solo in lingua italiana, quella materna. La soluzione (difficile, tutta da studiare) è un insegnamento critico di “storia delle religioni”. Committente diventa lo Stato laico, la casa di tutti, l’unico che, anche togliendo il crocifisso dal muro, può rinunciare alla verità. Che viene affidata alla ricerca delle comunità che credono in Dio, in forme diverse, o di chi crede solo nell’uomo. Questa era anche la soluzio-

ne auspicata da Antonio Autiero, direttore del Corso Superiore di Scienze Religiose della FBK, oggi rimandato a Muenster, dopo che la diocesi gli aveva affiancato un più fedele Studio Teologico Accademico. Ruggero Morandi e Roberto Giuliani obbietteranno che il dialogo interreligioso è in Trentino al centro dei programmi, ma devono riconoscere anch’essi che il punto di vista sugli “altri” rimane quello della Diocesi che rilascia ai docenti l’idoneità. Di tanto in tanto la comunità musulmana alza la voce a ricordarci, inascoltata, che così le cose non vanno bene, che esiste anche il Corano. Lo stesso vescovo, mons. Luigi Bressan, fa risalire il rapporto fra la Chiesa e la scuola alle parole di Gesù ai discepoli, “andate e insegnate”, senza cogliere che il punto di vista teologico (legittimo, importante, anche a me caro) è tutt’altro da quello storico e laico al quale nella scuola di tutti hanno diritto i nostri ragazzi. È anche questa mancata distinzione, fra il resto, che l’educazione a una fede adulta esigerebbe, a spingere i giovani, in Italia e in Trentino, a lasciare dopo la cresima, con i giochi, la chiesa. Non tutti abbandonano la fede, è vero, ma devono cercare altrove la risposta alla domanda di spiritualità. Gli insegnanti di religione vivono, nella scuola, una crisi specifica, anche se in molti si dedicano con impegno al loro lavoro. L’ho visto insegnando al loro fianco per anni all’Iti di Trento, e nelle scuole frequentate dai miei figli. Con Patrizia Filippi ho collaborato nel preparare a Comano un recital teatrale sulla Shoah. Ma non possono supplire ai problemi politici di grande portata. È una cultura nuova da costruire. Visitando le scuole del Trentino n. 1-2 gennaio febbraio 2012


non mi pare che l’assessore Marta Dalmaso ponga l’insegnamento delle religioni come problema. Né lo fanno i dirigenti. Oggi non succederà più, ma quanti insegnanti ho sentito nel consiglio di classe, il giorno degli scrutini, definire ancora “esonero” il “non avvalersi”. E quanti studenti e genitori erano lontani dall’immaginare che il corso di religione cattolica di cui si avvalevano era confessionale. O se la cavavano con “un po’ di religione non fa mai male: chi insegnerebbe altrimenti che non è bene bestemmiare, rubare, dire falsa testimonianza?” A Trento, al recente convegno su “La Bibbia nella storia d’Europa”, Tullio De Mauro ha spiegato che le città europee sono impregnate di un sacro che va conosciuto, se non vogliamo che restino mute mentre le percorriamo, vi lavoriamo, ci divertiamo, ci amiamo, ci facciamo la guerra. Due anni fa, nel momento caldo della contestazione che la associava al ministro Gelmini, proposi all’assessore Dalmaso un atto di coraggio: un convegno plurale che mettesse alla prova, su strade nuove, l’autonomia speciale. Suggerii anche il nome di Flavio Pajer, forse il massimo esperto in Italia di insegnamento comparato delle religioni. Ma c’è sempre qualche altra questione che urge. In Italia però non siamo all’anno zero. Nella città di Torino, con la collaborazione di Brunetto Salvarani, si sperimenta un insegnamento delle religioni. A Radio Tre parla Gabriella Caramore (www.uominieprofeti.rai.it). E possiamo metterci in contatto con Biblia, l’associazione laica di cultura biblica (www.biblia.org). Sono esempi di pluralismo, tracce su cui camminare. Trovare soluzioni adeguate resta complesso, ma la ricerca è possibile.

Silvano Bert n. 1-2 gennaio febbraio 2012

IL NOSTRO RUOLO Stefano Paternoster, docente IRC Ho letto il dossier sull’Insegnamento della Religione Cattolica nella scuola trentina e da insegnante di religione ho apprezzato l’attenzione al nostro lavoro. In effetti ho avuto modo di constatare più volte quanto il nostro ruolo all’interno della scuola porti con sé molte attese, ma anche altrettanta confusione. Il legame che normativamente ci lega alla Chiesa cattolica, la preparazione professionale, fino ad arrivare alle stesse finalità del nostro insegnamento, rappresentano per taluni motivo di sospetto. In realtà l’IRC, pur nella sua specificità e nei suoi limiti, risente come ogni altra materia dei mutamenti in atto nella nostra società e cerca di fornire il proprio contributo rispetto alle nuove sfide a cui la scuola è chiamata a rispondere. Sfide che non si riducono nelle rinnovate richieste che provengono dal mondo del lavoro o nei tagli economici, ma che sono prima di tutto culturali. Proprio rispetto ad una complessità culturale sempre più accentuata l’IRC è chiamato a mostrare la propria forza e il proprio valore specifico. In una società in cui siamo chiamati a riconoscere e mettere in comunione linguaggi e letture del mondo diversificate, la capacità di saper interpretare, valorizzare e collocare nel modo più rispettoso e corretto il diverso modo di rapportarsi di fronte alle prospettive religiose, diviene una competenza necessaria ad ogni livello. Per questo sono convinto che l’IRC debba proseguire la strada che lo porterà ad essere sempre più parte integrante della scuola e della sua offerta formativa. Questo non attraverso l’imposizione di chissà quali nuovi concordati o intese, ma prima di tutto attraverso il riconoscimento dell’importanza di quel sapere religioso oggi così necessario, che trova negli insegnanti di religione già presenti nella scuola le figure professionali più preparate ad esserne divulgatori. Oggi mi appare sempre più chiaro che il nostro futuro non possa giocarsi all’interno di una sorta di lotta di territorio tra spazio laico e spazio di fede, lettura ormai limitata e datata, ma attraverso un’ulteriore crescita della nostra figura professionale capace di intercettare le richieste e gli stimoli che si stanno delineando all’orizzonte, facendo riferimento prima di tutto al bagaglio di competenze e capacità che già fanno parte del curriculum di ogni buon insegnante di religione. Stefano Paternoster Insegnante di religione cattolica - Liceo “Da Vinci” Trento 37


buone pratiche CITTADINANZA

Percorsi per “un mondo migliore” Il lavoro “Tutti insieme per… un mondo migliore” è nato due anni fa, promosso dall’IPRASE nell’ambito dei progetti di ricerca-azione. Molti docenti chiedevano informazioni circa i percorsi didattici di educazione alla cittadinanza per stendere delle Unità di Lavoro da proporre agli studenti. Ne è nata così una “raccolta di buone pratiche” in materia di formazione delle competenze relazionali e civiche con lo scopo di valorizzare il lavoro degli studenti e dei docenti che viene svolto nelle nostre scuole di ogni ordine e grado, documentando tutte le attività scolastiche in materia di educazione alla cittadinanza, di educazione alla pace, alla solidarietà, alla convivenza, ai diritti umani (come da Raccomandazioni europee 2006 e Linee Guida dei Piani di Studio Provinciali 2009). Perché una raccolta di buone pratiche… Le scuole della provincia sono state invitate a collaborare alla raccolta, inviando il materiale prodotto, che è stato visionato, suddiviso e catalogato secondo gli ordini e i gradi di scuola: dalle scuole dell’infanzia, agli Istituti Comprensivi, agli Istituti di Istruzione Superiore, tenendo conto degli argomenti affrontati. Molti Istituti hanno inviato i loro prodotti e ne è nata questa pubblicazione dal titolo “Tutti insieme per…un mondo migliore” percorsi didattici di educazione alla cittadinanza, che evidenzia l’importanza delle tematiche e gli sforzi che i docenti compiono per “trasmettere” questi valori trasversali a tutte le discipline. Le competenze relazionali e civiche, infatti, stanno alla base del vivere in comune e mirano a favorire lo sviluppo di una cultura politica basata su principi e valori condivisi, ma soprattutto a promuovere la partecipazione attiva alla vita della comunità, a educare alla convivenza civile e a sviluppare un pensiero critico e propositivo; si può parlare di una “pedagogia” della pace, della democrazia. 38

Una scuola che educa Sicuramente sono valori che vanno vissuti nelle azioni quotidiane, che dobbiamo imparare e interiorizzare, prima in noi stessi e poi interagendo con le persone che ci circondano (la famiglia, la scuola, la società) se vogliamo “costruire” un mondo migliore, specialmente nel contesto attuale. La scuola quindi come “comunità educante” con al centro il cittadino come persona, con la propria dignità; tutto è educazione alla cittadinanza (come si può dedurre dalle Unità di Lavoro raccolte). I protagonisti sono gli studenti delle scuole trentine che hanno potuto sperimentare questi percorsi straordinari e la varietà dei progetti con elementi che si rincorrono, spesso a valenza pluriennale e/o ciclica; argomenti che procedono in modo parallelo alle discipline, trasversali ad esse. Credo ed auspico che sia un modo di confronto fra le varie realtà scolastiche per avviare una collaborazione, anche in rete, in modo da ottimizzare il tempo e prendere spunto da attività già sperimentate da altre scuole.

La struttura della pubblicazione La pubblicazione risulta così divisa in quattro parti: nella prima, oltre alla presentazione, si trovano i contributi della dirigente Beatrice de Gerloni “Educazione alla cittadinanza: il quadro normativo, i principi e i contenuti”, nel quale viene affrontato tutto l’aspetto normativo e l’attuale situazione riguardo a questa disciplina; di Elvira Zuin “Contenuti e forme dell’educazione alla cittadinanza nel “curriculum di fatto” delle scuole trentine” e di Alberto Conci “Educare al noi”; nella seconda parte si trovano tutti i lavori che gli Istituti scolastici provinciali hanno inviato; volutamente è stato mantenuto il materiale originale anche nella forma per non alterare le Unità di Lavoro. Si inizia con le proposte delle scuole dell’infanzia, successivamente quelle degli Istituti Comprensivi e degli Istituti di Istruzione Superiore; nella terza parte si trovano le iniziative sul territorio: Trento città per la pace, la giornata della pace a Pergine Valsugana, la realtà del Tavolo Tuttopace, il quaderno operativo “Vivere la pace”, l’esperienza del “dado della pace”, la “tela dei diritti umani”. Particolare interesse riveste la raccolta “Racconti per riflettere”; dall’esperienza di un’insegnante che ha cercato di fissare, attraverso delle piccole storie, i valori di educazione alla cittadinanza; l’ultima parte vede le note conclusive a cura di Olga Bombardelli, docente dell’Università degli Studi di Trento. Mariagrazia Corradi n. 1-2 gennaio febbraio 2012


il seminario PACE

Un confronto a più voci I risultati del lavoro “Tutti insieme per… un mondo migliore” sono stati presentati ed approfonditi in un apposito incontro, martedì 13 dicembre 2011, organizzato dall’Iprase, al quale ha partecipato anche l’assessore all’istruzione, Marta Dalmaso, con un breve saluto in apertura. Molte le voci, non solo dei relatori, ma anche di insegnanti (per lo più di religione) che hanno relazionato con grande partecipazione sui percorsi e sulle iniziative sulla Pace attivate nelle proprie scuole. “Buone pratiche”, ma anche rilancio della riflessione sui contenuti e sulle modalità didattiche utilizzate. Iprase, dipartimento e scuole… Più che un lavoro dell’Iprase – ha esordito Arduino Salatin, all’espoca direttore Iprase -, “si tratta di un lvaro delle scuole, spesso in rete e nel territorio e spesso con interventi degli enti locali. Questo, dalle scuole dell’infanzia sino alla secondaria superiore. I contenuti riguardano valori e dimensioni forti, attorno ai quali oggi, in questo momento di crisi generale, si costruisce solidarietà.” Dopo l’introduzione di Maria Grazia Corradi (vedi pagina qui accanto), l’apprezzamento per tutto il percorso svolto, per i materiali prodotti e per l’approccio complessivo, da parte di Olga Bombardelli, pedagogista dell’Università di Trento. Beatrice de Gerloni, (oggi direttore Iprase ma in quella sede per conto del Dipartimento Istruzione, Università e Ricerca) ha presentato delle slides molto esplicative sulla ricostruzione storica della stessa tematica dell’educare

alla cittadinanza oggi, del quadro europeo di riferimento, di quello nazionale e poi trentino, fino al Regolamento sui Piani di Studio Provinciali del primo ciclo. Rilettura critica dei materiali e dei percorsi Elvira Zuin (Iprase) ha relazionato sulla “rilettura critica dei materiali, sulla quantità, sulle caratteristiche specifiche, su possibili evoluzioni per una documentazione organica di questi progetti. “Ho trovato percorsi straordinari, di qualità pluridisciplinari, di momenti in cui la scuola si riorganizza per fare spazio a questi strumenti. Interessanti anche le metodologie di ‘compiti di realtà’, di protagonismo degli studenti assieme agli insegnanti, questi ultimi però più da registi che da protagonisti attivi. Ma interessanti anche per l’apertura delle scuole agli enti del territorio ed alla società nel suo complesso ‘testimoni privilegiati del nostro tempo’. Molti di questi progetti sono pluriennali, si ripe-

tono in forme e modi diversi e sono comunque collegati all’attualità.” Un limite – ha rilevato Zuin – sta nella valutazione della ricaduta vera: “né gli insegnanti né gli studenti sanno valutare quanto resta in termini di abilità di conoscenze disciplinari; e non si capisce fino a che punto la scuola li consideri luoghi di apprendimento di competenze. Mancano gli strumenti per valutare le competenze relazionali e civiche.” Dall’analisi dei materiali e dei percorsi viene fuori che “la scuola ha in mente un modello di società (solidale, rispettosa, multiculturale…) cui vuole educare i suoi studenti, ma c’è qualcosa di più. Per esempio: sulla Pace, si analizzano le ragioni per cui si va in altra direzione, si individuano modi precisi per risolvere i problemi . Non è buonismo quello che emerge, ma la ricerca di risposte, risolvendo i problemi. È una scelta metodologica, un metodo. Però, anche qui il nodo è: quando questo metodo diventa vera competenza per gli studenti”. La riflessione e la pratica continuano… La riflessione sul tema della Pace e dell’educazione alla cittadinanza ed alla legalità è stata ripresa e sviluppata con stimoli interessanti da Alberto Conci (dipartimento istruzione) e dall’Arsenale della Pace Torino). Conci, in particolare, ha affrontato il tema del “tipo di cittadinanza che immaginiamo”, di cosa voglia dire “pedagogia della democrazia” e dei “valori civici” come “evidenze fondamentali”. Infine, le testimonianze di alcuni docenti coinvolti: Daniela Buffoni, Giovanna Girardini, Armida Moser, Barbara Orzes, Elena Pasolli, Rosanna Polla e Stella Salin. (m.c.) n. 1-2 gennaio febbraio 2012

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DALLE SCUOLE

Liceo Arcivescovile Trento STORIA

Dimensione locale, prospettiva europea Il progetto didattico “Costruire storia Geschichte schreiben: dalla dimensione locale alla prospettiva europea”, è un progetto transfrontaliero promosso e coordinato dall’Iprase di Trento che coinvolge, oltre al nostro Trentino, anche istituzioni e scuole del confinante Tirolo settentrionale e meridionale. Oltre all’Iprase di Trento al progetto collaborano anche la Fondazione Museo Storico del Trentino, il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento, il Pädagogisches Institut für die deutsche Sprachgruppe (BZ), il Landesschulrat für das Bundesland Tirol e della Pädagogische Hochshule Tirol. Una sperimentazione didattica Questo progetto di sperimentazione didattica coniuga due aspetti fondamentali del dialogo interculturale, la necessità di rapportarsi con la lingua del vicino e la consapevolezza, attraverso lo studio della storia, della condivisione di un comune orizzonte regionale ed europeo. Due aspetti contenuti anche nella tradizione didattica ben collaudata del nostro Liceo Arcivescovile di Trento iniziata nell’anno scolastico 1995-96 quando, primi in Trentino e per volere dell’allora Rettore Monsignor Umberto Giacometti,

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è stato introdotto l’insegnamento della Storia in lingua veicolare tedesca. Tradizione didattica che prosegue con il Dirigente scolastico Udalrico Fantelli che sostiene fattivamente questo progetto. Le tappe preparatorie Per gli insegnanti di storia il progetto è partito nell’autunno 2010 con degli incontri preliminari tra i docenti coinvolti per individuare i temi da proporre agli studenti (coadiuvati anche da esperti e conoscitori di storia locale) e per preparare una metodologia di lavoro condivisa. In primavera 2011 è iniziato il lavo-

ro al progetto in aula. Gli studenti hanno lavorato in rete di gruppi composti da classi provenienti dalle tre regioni partecipanti, approfondendo gli argomenti storici concordati [“Monumenti del Trentino, Sudtirolo e Bundesland Tirol”, “La reazione all’occupazione nazista (1938-1945) e “Viaggi e viaggiatori nel Tirolo storico”], facendo delle ricerche approfondite e scambiandosi i risultati attraverso la piattaforma elettronica “blikk”, messa a disposizione dal Pädagogisches Institut für die deutsche Sprachgruppe (BZ) Istituto Pedagogico per il gruppo linguistico tedesco di Bolzano. Si sono svolti anche degli incontri de visu tra le classi che hanno lavorato sulla piattaforma. Un argomento condiviso Il 5 maggio 2011 di quest’anno la classe IV del Liceo Linguistico Europeo Arcivescovile, accompagnata dalle docenti Brigitte Dotzauer e Roberta Tomio si è incontrata ad Innsbruck con gli alunni del Bundesgymnasium di Kufstein (Austria) e i loro docenti Klaus Tschallener e Katrin Petzold, per lavorare insieme al loro argomento comune “Reisen und Reisende – Viaggi e Viaggiatori”. L’argomento trattava delle ricerche sugli scritti di personaggi letterari e storici famosi come Goethe, Mercey, Montaigne, Heine, Kafka ed altri che sono passati nel Tirolo di allora, descrivendo ciascuno a modo suo la gente, gli usi e costumi, le città ed il paesaggio. Per la classe del Liceo Arcivescovile che dal terzo anno sta studiando la storia in lingua veicolare tedesca con il metodo CLIL, questo lavoro con la classe di Kufstein e con quella di Merano è stata l’occasion. 1-2 gennaio febbraio 2012


ne anche per applicare le loro conoscenze linguistiche con gli amici altoatesini e tirolesi ed è quindi stato particolarmente motivante. Il lavoro svolto Durante il lavoro svolto in classe in primavera gli alunni hanno potuto approfondire le loro conoscenze su come si svolge il lavoro del ricercatore, anche grazie ad incontri con esperti del ramo e studiosi di storia. Per i docenti stessi si è offerta l’occasione per sperimentare una impostazione nuova ed innovativa nella didattica della storia, che ha raccolto entusiastici consensi di impegno e partecipazione tra gli studenti. Numerosi sono stati anche gli incontri tra i docenti delle tre realtà scolastiche transfrontaliere coinvolte, occasione anche per aggiornarsi e scambiarsi idee, ed esperienze preziose dato che i moduli svolti in classe sono stati preparati da loro.

n. 1-2 gennaio febbraio 2012

Programma e finalità dell’incontro odierno Il programma della mattina prevede l’incontro con la classe di Merano, accompagnata dalla docente Margret Karlegger. In questa occasione viene portato a termine il lavoro svolto insieme da queste classi, cioè la stesura di una brochure-guida “turistico-storica” fatta da studenti per studenti che riassume il risultato del lavoro di ricerca storica svolto dai ragazzi stessi. In conclusione gli studenti dell’Arcivescovile hanno organizzato una visita guidata per i loro compagni di Merano alla ricerca dei luoghi significanti nel centro storico della nostra città di Trento che sono stati descritti dagli autori analizzati nell’ambito del loro lavoro di ricerca. Brigitte Dotzauer docente del Liceo Linguistico europeo Arcivescovile

LA SCHEDA Il progetto IPRASE “Costruire storia - Geschichte schreiben: dalla dimensione locale alla prospettiva europea”, coordinato da Chiara Tamanini assieme a Francesco Bailo, ha visto partecipi quattro Istituti scolastici trentini: 1. Arcivescovile Trento 2. ITI “Buonarroti” Trento - insegnante referente Natascia Rosmarini 3. Istituto “Pozzo” Trento - insegnanti referenti Massimo Parolini e Salvatore Marà 4. ITC “Fontana” Rovereto - insegnante referente Annamaria Raciti 5. Tre scuole dell’Alto Adige 6. Tre scuole austriache. La ricerca ha coinvolto circa 200 studenti che sia negli incontri reciproci, sia in un questionario finale hanno mostrato apprezzamento per l’esperienza. L’idea centrale del progetto fa riferimento alla consapevolezza che i territori di confine possono diventare laboratori di convivenza e di confronto culturale e che i confini, storicamente fattori di divisione e di conflitto, possono al contrario diventare risorse importanti per una didattica della storia che faccia emergere i differenti punti di vista da cui leggere e interpretare gli avvenimenti storici. Contribuendo con ciò non solo ad una migliore conoscenza delle vicende storiche, ma anche al dialogo e al confronto culturale, alla condivisione di un comune orizzonte regionale ed europeo e, più in generale, all’educazione alla cittadinanza. Il progetto ha prodotto una ricca documentazione che sarà a breve pubblicata sul sito dell’IPRASE e che verrà presentata a fine 2012 in un convegno a cui parteciperanno anche i partner del progetto e cioè il Museo Storico in Trento, l’Università di Trento (docente L. Blanco), il Bildungsressort–Bereich Innovation und Beratung der Autonomen Provinz Bozen e il Landeschulrat für Tirol. 41


il nostro

LA SCUOLA AL MUSEO

Guida alla Mostra Permanente della Grande Guerra in Valsugana e sul Lagorai

I.I. “A. Degasperi� Borgo Valsugana

A cura delle classi. VAL e VBL Istituto di Istruzione A. Degasperi - Borgo Valsugana

GRANDE GUERRA

A Borgo abbiamo “Il nostro museo�

(Foto Giacomo Bianchi)

coordinate dal prof. Pierluigi Pizzitola Supervisione scientifica: Luca Girotto, Fulvio Alberini

La Guida alla Mostra Permanente della Grande Guerra in Valsugana e sul Lagorai dal titolo “Il nostro museoâ€?, utile supporto alla visita è stata realizzata grazie al prezioso impegno delle classi V AL e V BL dell’Istituto di Istruzione “ A. Degasperiâ€? di Borgo Valsugana, coordinate dall’insegnante Pierluigi Pizzitola, nell’anno scolastico 2010/2011, con la supervisione scientifica di Luca Girotto e Fulvio Alberini. Il coordinatore del progetto, Pierluigi Pizzitola, ha presentato il lavoro e riassunto le caratteristiche principali di tutto il percorso soffermandosi su tre punti di forza: far apprendere in modo piĂš attivo la storia ai ragazzi partendo direttamente dalle fonti, ricostruire il generale anche da un rapporto con il locale e inserirsi nel territorio valorizzandone il patrimonio culturale. Questa guida è stata chiesta da molte biblioteche e sarĂ una delle proposte didattiche che l’istituto presenterĂ assieme ai propri Piani di studio. La Mostra Permanente Il Museo Diffuso è un progetto finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto che si declina in una serie di azioni volte alla valorizzazione delle realtĂ museali e spazi culturali della Valsugana orientale. Nell’ambito di questa iniziativa, che si svolge in fase sperimentale, è stata rivolta la proposta a degli studenti del liceo scientifico dell’Istituto “Alcide Degasperiâ€? di Borgo Valsugana, di prendersi cura di un museo della Valsugana orientale. La scelta è caduta sulla Mostra Permanente della Grande Guerra in Valsugana e sul Lagorai, allestita all’interno dell’ex Mulino Spagolla nel centro storico di Borgo, il risultato dell’impegno dell’Associazione storico-culturale della Valsugana Orientale del Tesino che tra i suoi scopi ha quello di conservare e valorizzare le testimonianze materiali, bibliografiche, archivistiche e fotografiche della Grande Guerra nell’area compresa tra la Valsugana e la catena del Lagorai-Cima d’Asta. L’esposizione inaugurata nell’ottobre 2002, ma ampliata e radicalmente rinnovata nella forma attuale a fine 2005 occupa due ambienti: 42

uno propone vetrine che si alternano a pannelli fotografici e diorami in cui si racconta ai visitatoti l’evolversi delle operazioni militari, illustrando con materiale fotografico dell’epoca i campi di battaglia e le distruzioni subite dai paesi della valle. Le finalitĂ del progetto Il progetto “Il Nostro museoâ€? ha consentito ai ragazzi di avvicinarsi alla storia in un modo nuovo e attivo, permettendo loro di approfondire il tema della Grande Guerra e sviluppando un’efficace comparazione tra la dimensione locale, cioè quella degli avvenimenti in Trentino e del suo passaggio all’Italia, e quella generale delle grandi vicende nazionali e internazionali che la hanno caratterizzata. Ma soprattutto ha fatto lavorare gli studenti direttamente sulle fonti stimolando quel processo inferenziale della costruzione storica che riprende, in qualche modo, il lavoro dello storico. Si è voluto rendere i ragazzi diretti protagonisti attivi e non passivi della “costruzione storicaâ€?. L’azione, divisa in due momenti, uno in classe, l’altro sul campo, ha immaginato nuove modalitĂ di rela-

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zione fra le realtĂ culturali della rete e la popolazione giovanile, al fine di attivare la creativitĂ , lo spirito di iniziativa, il senso di responsabilitĂ e la consapevolezza nei confronti del patrimonio storico-artistico ed etnoantropologico locale. Motivazioni didatticometodologiche Lo studio della storia “localeâ€? può diventare, quando è strutturata su parametri di serietĂ e scientificitĂ , un’efficace leva di stimolo nello studio della storia generale. In questo modo molti fenomeni trovano, nel loro muoversi tra locale e generale, una chiara esemplificazione. Esiste quindi un continuo richiamo tra le due dimensioni spaziali: entrambe possono vicendevolmente sostenersi e contribuire alla costruzione del senso di sĂŠ sociale e civile dei giovani. Il progetto ha offerto la possibilitĂ di attivare pratiche didattiche cognitive e metodologiche piĂš attive. Le attivitĂ laboratoriali hanno avu-

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te della Grande Guerra si è realizzata la documentazione fotografica a corredo del lavoro di ricerca dei gruppi che si sono dedicati agli oggetti e alle nuove testimonianze della collezione del museo. to un ruolo centrale nello stimolare negli studenti le abilità del metodo storico, attraverso la lettura e l’interpretazione di vari testi e documenti trovati, in particolare, alla Mostra Permanente della Grande Guerra di Borgo Valsugana. Lo studio e la ricostruzione della storia richiedono un approccio critico, non mnemonico e ripetitivo, che riproduca, sia pure in parte, il lavoro di ricerca dello storico. La prima fase di realizzazione I ragazzi hanno sviluppato questo progetto attraverso diversi momenti di lavoro e di ricerca. In ottobre c’è stata la visita alla Mostra “Paesaggi di Guerra” pres-

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so spazio Klien a Borgo Valsugana e un incontro introduttivo sulla Grande Guerra in Trentino con l’insegnante Pierluigi Pizzitola e visione di un documentario sulla Grande Guerra in Trentino; in dicembre i ragazzi hanno poi visitato la Mostra Permanente della Grande Guerra di Borgo Valsugana con le esperte Paola Morizzo e Giovanna Sartori che, in quell’occasione, hanno presentato alle classi il progetto “Il Nostro Museo” nell’ambito delle attività promosse dal Museo Diffuso della Valsugana orientale; in gennaio c’è stata la lezione sulla Grande Guerra in Valsugana presso l’Auditorium dell’Istituto “A. Degasperi” di Borgo Valsugana con Luca Girotto, iniziativa che ha coinvolto anche la collettività. Nell’incontro con le classi VAL e VBL sono state presentate delle schede di lavoro (sottoposte alle classi in forma di documentazione in power point più immagini e didascalie) alla base della realizzazione della ricerca. I ragazzi sono stati suddivisi in gruppi di lavoro a cui è stato affidato un argomento specifico da approfondire. Le suddivisioni proposte sono state: introduzione generale alla Grande Guerra, introduzione alla Grande Guerra in Trentino, introduzione alla Grande Guerra in Valsugana, approfondimenti sui diversi paesi della Valsugana colpiti dal primo conflitto mondiale. Una serie di gruppi di lavoro infine sono stati identificati allo scopo di concentrarsi sulle diverse tipologie di oggetti e testimonianze entrate a far parte della collezione del museo dal 2007 al 2010. In questo periodo con la visita alla Mostra permanen-

La seconda fase In marzo c’è stata la presentazione e l’assemblaggio del materiale prodotto da parte dei due gruppi di ricerca con la verifica, l’adattamento grafico e la stampa del materiale prodotto (da parte del coordinatore del progetto e del mediatore, con il supporto dell’insegnante di riferimento). In aprile infine i ragazzi delle quinte sono andati a visitare il Museo della Grande Guerra di Rovereto dove è stato possibile ampliare la riflessione sulla Grande Guerra a tutto il Trentino e all’Italia. La fase di elaborazione individuale del materiale si è svolta attraverso un lavoro di ricerca a scuola e presso la Biblioteca comunale di Borgo Valsugana con l’utilizzo di fonti documentali a stampa, banche dati e internet, realizzazione di una documentazione fotografica in loco e di eventuali brevi interviste con la supervisione dell’insegnante di riferimento e del mediatore didattico, Roberta Tomio, del Museo Diffuso della Valsugana orientale. Infine c’è stata poi la presentazione pubblica della ricerca nell’ambito dell’evento Palazzi Aperti 2011. Protagonisti della serata sono stati indubbiamente gli studenti che hanno dimostrato di possedere le competenze per costruire importanti materiali storici e sono apparsi preparati e capaci di comunicare al pubblico presente i risultati del loro lavoro, anche utilizzare al meglio gli strumenti informatici. Pierluigi Pizzitola docente dell’Istituto Degasperi di Borgo Valsugana 43


segnaliamo

la recensione ANJES

32 centimetri, bellissima Nei primi giorni del nuovo anno, mercoledì 4 gennaio 2012, il libro “Anjes, segni particolari: 32 centimetri, bellissima” edito da “Il Margine” è stato presentato in Sala Aurora di Palazzo Trentini. Per la verità, è stata presentata la stupenda storia di Anjes, di sua madre Concetta, di sua sorella, di suo padre, dei suoi nonni… e dell’amore dell’Associazione “Amici della Neonatologia Trentina”, che questo libro ha adottato. Un racconto a più voci, guidato da Paolo Ghezzi del Margine, con Dino Pedrotti, Paolo Bridi, Giuseppe De Nisi e lei, la madre che racconta, Concetta Marotta. (m.c.)

Non voglio perdere la mia bambina! Fin dalle prime righe questo libro mi ha coinvolto, quasi costringendomi ad una lettura continua, di seguito. Il coinvolgimento, forse perché sono mamma anch’io è stato davvero alto. Concetta Marotta con una semplicità a volte perfino disarmante ha raccontato la sua sfida per la sopravvivenza della sua seconda bambina Anjes, nata il dieci settembre 2008 a sole ventiquattro settimane di gestazione, con un peso di solo 600 grammi, lunga 32 centimetri, ma bellissima. La situazione è grave e complessa ma il primo pensiero di Concetta, che per carattere ha fiducia nella vita e negli altri, è “ non voglio perdere la mia bambina!”. Concetta di carattere è forte e coraggiosa e lo ha dimostrato anche quando ha lasciato l’Italia per andare a vivere a Tirana in Albania con il marito Muharrem, da cui ha avuto anche Francesca che ora ha cinque anni e mezzo. In Albania Concetta insegna italiano in una scuola e lì ha incontrato le suore di madre Teresa. Fin da piccola era stata affascinata da quella piccola suora che per molti anni aveva creduto indiana. Solo più tardi aveva scoperto essere di na44

zionalità albanese e, guarda caso la vita l’aveva chiamata a vivere nella sua patria dove per la strada si vedono spesso le suore con il sari bianco bordato d’azzurro. Ed è proprio a madre Teresa che la piccola bimba prematura viene affidata e che porterà il nome di battesimo della suora: Anjes. Cuore di mamma Sicuramente contrastanti i sentimenti che affiorano in questi momenti così difficili da sostenere, dove si sa che il rischio più grande dei bambini che nascono così presto, i prematuri gravi, non è solo quello di morire, ma anche la sopravvivenza è impegnativa perché si possono facilmente contrarre infezioni o emorragie cerebrali con possibili conseguenze irreversibili di handicap. A Concetta viene proposta una consulenza psicologica, perché essendo un caso limite è necessario prepararsi anche ad un lutto, ma questa mamma forte e coraggiosa risponde: “io non voglio abbandonare questa bambina, le voglio donare me stessa, fosse pure accompagnarla alla morte da qui a qualche ora”. E questo atteggiamento è il filo conduttore di tutto il libro, una mamma straor-

dinaria che affidandosi totalmente nelle mani di Dio affronta una sfida enorme. Da ogni riga di questo diario infatti emerge una grandissima fede e soprattutto la presenza della famiglia che la supporta e la incoraggia, i genitori i fratelli e la sorella, anche lei incinta, i cognati. Francesca La preoccupazione più grande è comunque Francesca, l’altra figlia, che non sa nulla ma intuisce tutto, che d’improvviso, in un contesto di vacanza si trova a vivere con i nonni materni, lontano dalla sua casa, dai suoi amichetti, e che viene iscritta all’ultimo anno della scuola materna in Italia per stare vicino alla mamma. Deve invece stare lontano dall’amatissimo papà Muharrem che non può assentarsi troppo dal lavoro e che chiama affettuosamente babi. Come spiegare e far capire a una bambina di soli cinque anni perché la sua sorellina appena nata non può uscire dall’ospedale come gli altri bambini? Perché la mamma è sempre via e lei sta dalle cuginette e dai nonni? Giorni difficili, sentimenti tristi e speranzosi assieme ma nonostante tutto Concetta afferma con sicurezza: “Sono la protagonista della favola più bella, la favola della vita”. Tutto alla fine andrà bene, Anjes sopravviverà e sarà portata a casa e questa storia raccontata, fin nei dettagli ma soprattutto nei sentimenti e col cuore può diventare prezioso conforto per chi ha vissuto una situazione simile o viceversa occasione di ringraziamento per non essere stati messi così a dura prova dalla vita. Ora dice Concetta: “Anjes è una bambina felice e grata alla vita. Anjes è una bambina solare e piena di ottimismo. E nessuno lo avrebbe detto, eccetto me”. (N.B.) n. 1-2 gennaio febbraio 2012


n. 1-2 10 ottobre gennaio2011 febbraio 2012

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sCUOLA DELL’INFANZIA

strumenti TRENTASEI

NATURA

“Storie per 12 mesi - Racconti e attività ludiche per la scuola dell’infanzia e il biennio della scuola primaria” è un libro che fa parte dei “materiali per la didattica” che la Casa Editrice Erickson propone per presentare ai bambini vari argomenti fornendo nel contempo diversi spunti operativi. Lo scrittore trentino Mauro Neri ha composto 36 simpatiche storie sul tema del tempo, che hanno come protagonista Picalù, una bambina di quattro anni e mezzo con tante cose ancora da imparare e una erre che non le viene proprio (nello scritto è riportata fra parentesi per catturare l’attenzione). Per ogni mese ci sono tre racconti con piccole avventure e quadretti di vita familiare, scritti in un linguaggio semplice, adatto ai bambini alle prime letture. Ad esempio, a gennaio mamma Favilla spiega a Picalù la neve, papà Andrea l’aiuta a fare un pupazzo e l’amico Giò condivide con lei giochi e riflessioni sul freddo. Seguono schede da colorare, per imparare a fare i fiocchi di neve e per trovare le differenze fra figure. Il libro prosegue con la stessa formula: a febbraio ci sono racconti di freddo e maschere, a marzo le rondini e la festa del papà, ad aprile la Pasqua e così via. Ascoltando o leggendo queste storielle, i bambini dai 4 ai 7 anni potranno affrontare i concetti relativi allo scorrere del tempo, conoscerne le scansioni, le feste e le tradizioni, affrontare il perché dei i cambiamenti climatici e dei comportamenti di animali e uomini. Le schede, attinenti alle caratteristiche stagionali, sono di quattro tipi, con lo scopo di stimolare differenti abilità: “Disegniamo”, “Scopriamo”, “Creiamo”, “Giochiamo. Il formato grande del testo e della scrittura considera l’uso da parte dei bambiMauro Neri, “Storie ni, che possono agire sulper 12 mesi - Racconti le pagine per completare e attività ludiche per la le proposte grafiche. Con scuola dell’infanzia e il queste favole i bambibiennio della scuola pri- ni conosceranno gli elemaria”, Illustrazioni Pa- menti caratterizzanti di ola Leonardelli, Edizio- mesi e stagioni e seguini Erickson – Collana “i ranno il calendario gioMateriali”, Trento 2012, cando e sviluppando competenze. A.T. pagine 156, €18,50

“Quattro passi nella natura” è un libro per i bambini della scuola dell’infanzia e del primo ciclo della scuola primaria utilizzabile per progetti di educazione ambientale. La grafica accattivante e le schede da colorare o completare contenute ne fanno un volume che cattura l’attenzione dei bambini. Il testo è suddiviso in quattro parti, una per ogni stagione, e in ognuna vengono proposti giochi e attività manuali introdotti da un racconto ambientato nel bosco. I protagonisti principali sono due gnomi: Tikko e Milla che, attraverso le loro avventure, narrano i cambiamenti della natura e i comportamenti degli animali. Per ogni stagione sono proposte sei sezioni operative: osservare e riflettere, sentire con i sensi, conoscere ed esprimere, creare, giocare, educazione ambientale; con specifiche schede con diversi obiettivi, come memorizzare nomi, imparare ad utilizzare attrezzi, sviluppare conoscenze. Un esempio: nella sezione Estate si racconta la storia di “Tikko investigatore e l’insalatina sparita”, che evidenzia alcuni fattori stagionali, seguono poi le proposte di gioco con i sensi: il tatto per scoprire la terra, il gusto nell’assaggio di verdure, l’odorato su salvia e basilico, la vista e dell’udito per osservare e ascoltare l’acqua; seguono le indicazioni per costruire personaggi utilizzando funghi o sassi, e indicazioni per un’animazione con le ombre e, infine, i suggerimenti per fare un piccolo orto. Allegato al volume c’è un fascicolo con originali fotografie in cui si vedono dei pupazzetti posizionati in contesti reali (bosco, orto, prato); il testo riporta quattro racconti dei folletti scritti in stampatello a caratteri grandi, per scolari alle prime letture. Ecco così prendere vita l’ambientazione abitata che il libro ci racconta. L’autrice è insegnante di scuola dell’infanzia, da sempre attenta all’ambienMaria Pia Trentini, te e ricca di inventiva, di“Quattro passi nella na- vulga le proprie produzioni tura – percorsi di esplora- per trasmettere un pensiezione sensoriale e ambien- ro di rispetto per la natura. Giovanna Molinari tale”, Edizioni Erickson, Insegnante scuola dell’infanzia Trento 2012, €18,50

Storie per conoscere il tempo

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Percorsi di esplorazione sensoriale e ambientale

n. 1-2 gennaio febbraio 2012


MIGNON

… IN EUROPA

“Storie mignon” è una raccolta di racconti brevi, accompagnati da accattivanti immagini, dedicati ai bambini da 2 a 6 anni, eppure possono parlare anche agli adulti, rendendo loro visibili i pensieri dei piccoli, in particolare di fronte alle preoccupazioni dei genitori, e mostrando come la fantasia sia una risorsa quando diventa senso di vicinanza. Non a caso i racconti sono scritti e illustrati da due insegnanti della scuola dell’infanzia, che hanno messo in questo lavoro la loro competenza pedagogica e l’empatia verso il sentire dei bambini. I protagonisti del libro sono quelli classici della letteratura per l’infanzia: animaletti, personaggi delle fiabe e i componenti della famiglia; i contenuti sono vari: c’è l’amicizia fra diversi e la gelosia verso il fratellino, un bambino che si nasconde troppo e uno che fa tutto viceversa, una strega che più brutta non si può e un orco stranamente minuscolo, un’idea per vestirsi eleganti e una per volare, una mamma distratta e un papà che col giornale sa farci un gioco... Insomma, diverse faccende simpaticamente risolte e dimostrazioni d’affetto in molte forme. “Storie mignon” fa parte dei testi per i bambini che l’Ufficio di coordinamento pedagogico generale prepara per far arrivare nelle scuole dell’infanzia provinciali racconti e poesie che portano qualcosa di nuovo nei momenti dedicati alla narrazione. Queste favole ben si adattano a diventare spunto per aprire un dialogo su qualche tema - come il valore del dare aiuto o del saper riconoscere le proprie qualità - ma ancor più possono creare quel piacere che nasce quando una storia fa star bene e non intende necessariamente insegnare qualcosa ma, semplicemente, divertire. E divertirsi insieme dà tanto perché crea quel contatto emotivo che favorisce l’emergere di sensazioni personali. Ci sono piccole storie che hanno una grande forza, queste sono così. I bambini e chi sa stare con loro ne converrà alla prima lettura, e ancora, Anna Tava,“Storie mignon”, all’ennesima richiesta Illustrazioni Nella Valen- di “un’altra volta!”. tini, edizioni PAT, Trento 2011, pp 48 € 3,00 Miriam Pintarelli

Bambini in Europa è il quadrimestrale della Junior Edizioni che persegue un’ambiziosa finalità: quella di creare uno spazio di condivisione di esperienze e di riflessioni a livello europeo sui temi dell’educazione e delle politiche scolastiche. È una rivista che nasce dalla collaborazione di diverse riviste europee e che viene pubblicata contemporaneamente in tutti i paesi che compongono il network; l’obiettivo è quello di promuovere una cultura condivisa a sostegno dei diritti dell’infanzia e per lo sviluppo dei servizi educativi. È dunque uno strumento che permette di mantenersi aggiornati sulle politiche europee, la ricerca scientifica e la buone pratiche più diffuse. Il contenuto della rivista è monografico: l’argomento viene affrontato dal punto di vista dei diversi Paesi con diversi contributi di specialisti ed esperienze. Nel numero di Dicembre 2011 affronta il tema delle competenze: come accrescerle nel gruppo di lavoro, come promuovere il coinvolgimento dei bambini e, soprattutto, la fondamentale distinzione tra abilità e competenza. La domanda su come la scuola possa favorire lo sviluppo delle competenze trova risposte originali ed esaurienti nell’articolo Bambini abili o competenti? che delinea una serie di scelte di metodo e di strategie per favorire l’emergere della capacità di agire con consapevolezza e creatività. Suscita particolare attenzione la descrizione degli strumenti utilizzati in Australia per sviluppare le competenze dei genitori nella scelta dei servizi per l’infanzia e un’esperienza francese di accoglienza e ascolto verso le famiglie in situazioni sociali difficili. Un’ulteriore prospettiva a completare il dibattito è quella che prende in considerazione l’accrescimento delle qualità dei professionisti e le nuove direzioni per le politiche europee: una maggiore apertura del ruolo di educatore alla figura maschile, miBambini in Europa qua- gliori condizioni di lavoro drimestrale anno XI n°2 e potenziamento della forDicembre 2011. Spaggia- mazione. ri edizioni – edizioni Jua cura di nior. e- mail: BambinieuPatrizia Di Gloria ropa@edizionijunior.it Insegnante scuola www.childrenineurope.org dell’infanzia

Racconti per divertirsi assieme

n. 1-2 gennaio febbraio 2012

Si ragiona sulle competenze


IL CONVEGNO

Istituto “F. Filzi” Rovereto PASSAGGI

Un convegno nazionale per i licei Nei giorni 29, 30 e 31 marzo 2012, si terrà a Rovereto il Convegno nazionale della “Rete dei Licei delle Scienze Umane” denominata “Passaggi”. Ogni anno questa Rete di 43 scuole nazionali promuove un convegno in una città italiana, organizzato da uno dei licei delle Scienze Umane che ne fanno parte. Quest’anno il nostro Liceo “Fabio Filzi” di Rovereto ha accettato di farsi carico di questa prestigiosa opportunità, nell’interesse del mondo della scuola ma anche per la comunità ospitante. La “terza” cultura Il convegno avrà come argomento centrale la “terza cultura”, cioè l’intreccio tra le due culture, quella umanistica e quella scientifica, tema avvincente e centrale dell’attuale dibattito culturale. Un’occasione per favorire il confronto su temi di grande attualità e rilevanza scientifica, economica e filosofica fra il mondo delle Scienze e quello delle discipline umanistiche, in un periodo di profondi cambiamenti che riguardano ambiti fondamentali per la conoscenza umana. Obiettivo del convegno è inoltre di stimolare il dibattito intorno alle Scienze Umane e ai loro insegnamenti, alla luce dei cambiamenti introdotti dai nuovi piani di studio. I lavori vedranno la partecipazione attiva dei protagonisti dello scenario della formazione: la scuola, l’università, le istituzioni culturali, le associazioni e le cooperative sociali, il mondo della ricerca, l’editoria scolastica, i media specializzati. L’organizzazione è sostenuta da un comitato scientifico composto da docenti

universitari, dirigenti scolastici, Direttivo della Rete “Passaggi” e docenti della Rete dei Licei delle Scienze umane del Trentino, nata proprio in occasione del Convegno e coordinata dai docenti del Liceo Filzi, Aldo Muciaccia e Paola Sterni. La novità: i ragazzi protagonisti L’Istituto “Cobianchi” di Verbania ha proposto di prevedere una partecipazione attiva dei ragazzi, dando la massima attenzione ai contributi che potrebbero portare nei vari momenti del convegno organizzandosi in gruppi di lavoLa sfida di oggi

L’obiettivo è dare agli studenti le basi per articolare, collegare e contestualizzare i saperi al fine di permettere loro di “sapersi situare” all’interno della società complessa. Per realizzare questo obiettivo docenti universitari e docenti di scuola superiore sono stati impegnati in una riflessione sul tema della terza cultura e la sua possibile traducibilità in termini pedagogico-didattici. Credo sia importante in questa fase storica, di ridefinizione di paradigmi culturali, stimolare i nostri insegnanti a riprendere entusiasmo per il loro compito che non può esaurirsi nel fornire agli studenti strumenti culturali per navigare nella complessità o di sommare conoscenze specialistiche o iper-specialistiche. La sfida del pensiero oggi, che gli insegnanti devono saper cogliere, è di organizzare, ibridare le conoscenze e non sommarle. Per dirla con Morin: “Questo sapere che abbraccia deve far rinascere una cultura che non sia puramente e semplicemente la copia della vecchia, ma che rappresenti l’integrazione di questa cultura all’interno di una connessione tra la cultura umanistica e quella proveniente dalle scienze”.

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ro su tematiche specifiche con una parte attiva alle sezioni chiave delle tre giornate, inclusa la tavola rotonda finale. Per la prima volta i ragazzi potranno essere protagonisti del convegno nazionale della rete “Passaggi” e da questa esperienza di Rovereto potrebbero scaturire nuove modalità di collegamento e di scambio proficuo fra scuole a livello provinciale e nazionale. Ne è nata una Rete, quella dei Licei delle scienze umane del Trentino, che sta dando i suoi frutti, dato che i docenti hanno iniziato a confrontarsi, a verificare i vantaggi del lavorare insieme. L’occasione del Convegno sarà per la Rete, provinciale e nazionale, un momento di verifica e confronto, uno snodo cruciale per riaffermare l’esigenza di lavorare in raccordo fra scuole, per scongiurare l’isolamento nelle proprie piccole realtà, un punto di partenza, dal quale far scaturire prospettive di nuovi percorsi formativi a beneficio di tutti, nel prossimo futuro. Marta Ober Dirigente scolastica liceo “Filzi” di Rovereto

Aldo Muciaccia coordinatore comitato scientifico n. 1-2 gennaio febbraio 2012


LICEO FABIO FILZI n. 1-2 gennaio febbraio 2012

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il convegno Il ruolo della lingua tedesca per il Trentino in Europa 22 marzo 2012 16.30-19.30

Programma

Sala Rosa della Regione

Saluto delle autorità - Marta Dalmaso, Assessore provinciale all’istruzione e sport - un rappresentante della Regione TAA - Maurizio Giangiulio, Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia di Trento Organizzazione dei Tavoli Moderatore: Paolo Ghezzi, giornalista ed editorialista 1° TAVOLO Ruolo e specificità del plurilinguismo in Trentino (16.40-17.10) - Pierangelo Giovanetti, Direttore de “L’Adige” “La lingua tedesca nella comunicazione giornalistica” - Adele Gerardi, pubblicista e giornalista “La comunicazione giornalistica in lingua tedesca in Trentino Alto Adige” - Roberto Toniatti, Professore Ordinario Università di Trento, ex Preside della Facoltà di Giurisprudenza “Quale plurilinguismo per il Trentino in Europa” - Gianfranco Betta, Direttore Ufficio Politiche turistiche Provinciali “Il fabbisogno linguistico per un turismo di qualità in Trentino” 2° TAVOLO Lingua Tedesca nella formazione e nel lavoro (17.15-17.45) - Gianni Andreottola, professore ordinario Università di Trento “Le relazioni internazionali e gli sbocchi professionali per gli ingegneri trentini” - Francesco De Pascale, Dirigente Scolastico Liceo “Rosmini” di Rovereto “I compiti di realtà nella scuola trentina e le cooperazioni sul territorio” - Stefan Ties, manager di Trentino Export “L’importanza della lingua tedesca nell’impresa e nell’industria” 3° TAVOLO Testimonianze e studi (17. 50 - 18.20) - Paolo Magagnotti, giornalista, docente all’Università di Timisoara, Romania “L’impatto della conoscenza del tedesco sull’economia trentina: indicazioni di uno studio comparativo” - Francesco Veronesi, ingegnere “Il tedesco come plusvalore per gli ingegneri trentini in Europa” - Martina Demattio, ingegnere “Il tedesco come lingua per le nuove professioni a salvaguardia dell’ambiente” - Stefano Tomasi, laureato in Mediazione linguistica per le imprese e il turismo, Università di Trento “Il tedesco come plusvalore per l’occupazione giovanile in Trentino” Dibattito e conclusioni Aperitivo Coordinamento scientifico e organizzativo Federica Ricci Garotti, professoressa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Trento Iniziativa del Goethe Institut di Milano e della Facoltà di Lettere e Filosofia, in collaborazione con il Dipartimento Istruzione, Università e Ricerca della Provincia autonoma di Trento e della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol. Comitato scientifico Ermenegildo Bidese, Fulvio Ferrari, Michaela Girschik, Adrian Lewerken, Manuela Moroni, Gina Muscarà, Federica Ricci Garotti, Laura Rosani, Sabine Stricker, Mario Turri Informazioni mario.turri@provincia.tn.it

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