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Federico Zuccari, Il Tempo
Il Tempo
FOTO SOPRA: Federico Zuccari, Il Tempo (1577; affresco; Firenze, Casa Zuccari)
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i perseguitati mostrando a tutti la nuda verità. Ed è significativo il fatto che, alla scomparsa dell’artista nel 1609, nella sua casa di Trinità dei Monti venne rinvenuto un quadro, oggi non ancora ritrovato, raffigurante la Verità tirata da una grotta del tempo. Il tema della Veritas filia temporis, del tempo come supremo giudice capace di svelare le trame degli ipocriti e dei bugiardi, fu più volte percorso da Federico Zuccari, che rinverdì un topos tipografico capace d’incontrare una gran fortuna nel Cinquecento: era stato l’editore Francesco Marcolini a inventare una marca tipografica con la “Verità figlia del tempo”, motivo allegorico desunto dalla letteratura classica, segnatamente dalle Noctes Atticae di Aulo Gellio. Secondo Elena Capretti, fu Anton Francesco Doni, che pubblicava con Marcolini, a introdurre Federico Zuccari al tema della Veritas filia temporis, ma non fu questa l’unica sua fonte: la studiosa cita anche gli opuscoli riformati che venivano stampati Oltralpe e ch’erano illustrati da incisori tedeschi o comunque del Nord Europa, i quali a loro volta avevano ripreso l’immagine biblica della Veritas de terra orta, la “Verità nata dalla terra”, che nelle illustrazioni veniva tratta fuori da un antro con l’aiuto della personificazione del tempo. Federico Zuccari fuse tutti questi temi in alcuni studî, risalenti alla metà degli anni Settanta, e quindi pochi mesi dopo che il cardinale Alessandro Farnese, per ragioni che non conosciamo, gli tolse l’incarico degli affreschi del Palazzo di Caprarola per affidarlo a Jacopo Bertoja, per un’opera avente per protagonista la Verità rivelata dal Tempo, che sarebbe stata poi tradotta in incisione da Pieter Valck. Diverse sono le novità che l’artista marchigiano introduce rispetto alla tradizione: la corona di fiori e frutti che il Tempo porta in capo e che simboleggia l’alternarsi degli stagioni, l’uroboro che gli s’avvinghia attorno al braccio e che allude alla ciclicità del tempo, la compagnia dei due putti che aiutano il Tempo a portare i suoi due classici
attributi iconografici, ovvero la clessidra e la falce, le due teste che soffiano per far diradare le nubi e rivelare la Verità. L’idea stessa del Tempo che trae in salvo la Verità, portata in volo mentre vien tenuta dal padre per il braccio, sottratta dalle grinfie dell’Invidia (la terrificante vecchia smunta che notiamo tra le nubi), è un’invenzione zuccariana, e l’artista sarebbe poi tornato a giocarsela negli affreschi di Santa Maria del Fiore, recuperandola come anima salvata da un angelo. Il tema del Tempo era così radicato nell’immaginario di Federico Zuccari e gli era così caro che decise d’affrescarlo anche al centro della volta della Sala Terrena di Casa Zuccari a Firenze, l’antica bottega di Andrea del Sarto che l’artista acquistò nel 1577, all’epoca del suo trasferimento in Toscana, per farne la sua residenza fiorentina. Il programma iconografico gli era stato suggerito dal summenzionato Doni, e l’immagine che prese corpo sul soffitto della casa di Federico è una delle più affascinanti immagini cinquecentesche del Tempo: la divinità alata occupa il centro esatto della composizione, ed è affiancata da due figure, un vecchio macilento che osserva se stesso in uno specchio, allegoria del passato, e un bambino che invece rivolge lo specchio al riguardante, personificazione del futuro. Sotto, il sole e la luna, simboli dello scorrere del tempo che spuntano da dietro la cornice in un fine brano d’illusionismo prospettico, mostrano all’osservatore un libro: è la Storia, scritta dal tempo. C’è da specificare che, per Federico Zuccari, investire il tempo del ruolo di giudice supremo e di rivelatore dei soprusi non riguardava soltanto la sua affermazione personale: per l’artista, la questione era molto più ampia. Il 24 novembre del 1581, pochi giorni prima della sentenza che l’avrebbe condannato all’esilio, Federico scriveva a Francesco I de’ Medici un’accorata lettera alla ricerca d’un supporto nella tormentata vicenda che lo vedeva a processo. Occorrerà dire che, rivolgendosi al granduca, l’artista cercò d’ammorbidire la sua posizione, evitando d’addentrarsi troppo nei dettagli, ma è decisamente più interessante soffermarsi sulle motivazioni di carattere generale che animano la missiva di Federico Zuccari: dopo aver spiegato al granduca che la giustizia pontificia aveva trattenuto tre suoi collaboratori (forse, supponeva il pittore, «per trar da loro li concetti del animo mio, circha la detta pittura, la qual cosa né essi né altri può saperlo; essendo solo Dio chi vede i chuori»), Federico pronunciava una sorta di manifesto avanti lettera della libertà dell’artista: «A me pare che alli pittori non deba esser imputatto l’intrinsicho del animo loro, quando nelle loro pitture non vi siano ritratti ne nominati in scritto persona achuna». In altri termini, non è possibile fare un processo alle intenzioni dell’artista, che dovrebbe esser libero di dipingere secondo le disposizioni del suo animo. Nella debole linea difensiva dell’artista, che dinnanzi al Governatore di Roma aveva cercato di spiegare che la sua Porta Virtutis non era un’accusa a qualcuno in particolare ma era una riflessione di carattere generale, si poteva leggere davvero in filigrana, secondo Cristina Acidini, «la difesa di ogni artista, che non deve essere accusato quando palesa il suo pensiero, se non fa nomi di terze persone né dipinge ritratti»: il suo era «un autentico culto della libertà espressiva dell’artista». Ed è su questo piano che l’artista trasfigura le sue vicissitudini personali, innalzandole su di un livello più alto per rivendicare, in senso molto moderno, un’insindacabile prerogativa dell’artista: nessuno può giudicare il suo animo se non conosce le sue intenzioni. ◊
Bibliografia essenziale
Cristina Acidini, Elena Capretti (a cura di), Innocente e calunniato. Federico Zuccari e le vendette d’artista, catalogo della mostra (Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, dal 6 dicembre 2009 al 28 febbraio 2010), Giunti, Firenze, 2009 Julian Brooks (a cura di), Taddeo and Federico Zuccaro. Artist-brothers in Renaissance Rome, catalogo della mostra (Los Angeles, Getty Museum, dal 2 ottobre 2007 al 6 gennaio 2008), Getty Publications, Los Angeles, 2007 Patrizia Cavazzini, The Porta Virtutis and Federico Zuccari’s Expulsion from the Papal State. An Unjust Conviction, in Römisches Jahrbuch der Biblioteca Hertziana, XXV (1989), pp. 169-177
OPERE E ARTISTI | Il Padre Tempo
Genesi e iconografia tra Sei e Settecento
testo di Giorgio Dellacasa
In che modo si è originata la tipica iconografia del tempo? Un viaggio dall’arte classica per arrivare fino al Sei e al Settecento, due secoli in cui il tema del tempo è spesso presente nell’arte, attraverso alcuni capolavori significativi.
«HUOMO, vecchio alato, il quale tiene un Cerchio in mano, & stà in mezzo d’una Ruina, hà la Bocca aperta, mostrando i Denti, li quali sieno del colore del Ferro. Si fà Alato, secondo il detto: Volat irreparabile tempus». Così Carlo Cesare Ripa (Perugia, 1560 – Roma, 1645), allo scoccare del XVII secolo, descrive nella prima edizione della sua Iconologia (1593), contenente l’ekfrasis di 699 personificazioni metaforiche, la figura del Padre Tempo. L’“enciclopedia” allegorica dell’erudito perugino influenzò l’intero mondo delle









