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Valerio Castello, Carro del Tempo
Tempo sopraffatto da Speranza, Amore e Bellezza
FOTO A PAG. 126: Simon Vouet, Tempo sopraffatto da Speranza, Amore e Bellezza (1625-1626; olio su rame, 63,5 x 84,5 cm; Collezione privata)
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La Verità svelata dal Tempo
FOTO A PAG. 130: Giambattista Tiepolo, La Verità svelata dal Tempo (1744 circa; olio su tela, 338 x 251 cm; Vicenza, Musei Civici, Palazzo Chiericati)
Carro del Tempo
FOTO SOPRA: Valerio Castello, Carro del Tempo (16561659; affresco; Genova, Palazzo Balbi Senarega) zione di Occasio. Crono, riconoscibile dalla falce e dalla clessidra, tenta di difendersi ma appare decisamente sopraffatto dalle figure femminili, a testimoniare come Speranza, Bellezza e Amore, nonostante l’inesorabile e lapidario scorrere del Tempo, risultino valori eterni ed inalterabili. La molteplicità di exempla incentrati sull’allegoria del Padre Tempo, di cui in questo contributo si sono volute brevemente presentare alcune tra le infinite rappresentazioni, consente di comprendere la fortuna e, soprattutto, l’importanza di un tema che, tra Sei e Settecento, grazie alle varie interpretazioni iconologiche basate su un colto substrato di matrice classica, si attestò come una tra le iconografie più ricche e potenti del vasto campo dell’arte figurativa. ◊
GRAND TOUR |
FOLIGNO
Gli affreschi di Palazzo Trinci
Ossessione del tempo e paura della morte
testo di Cristina Galassi
Realizzati a partire dal 1411-1412 su commissione di Ugolino III Trinci, gli affreschi di Palazzo Trinci a Foligno sono una straordinaria testimonianza sull’ossessione per il tempo degli uomini del tempo e sulla loro paura della morte: due temi centrali nella civiltà cortese.

Bisogna ammettere che i cicli pittorici delle “case nuove” di Ugolino III Trinci a Foligno, con la loro magnificenza e sofisticata complessità iconografica, non sarebbero affatto dispiaciuti a Julius von Schlosser, autore di una serie di articoli che avevano come oggetto comune l’arte di corte del tardo Medioevo, apparsi nello Jahrbuch viennese nel 1895 e tradotti in raccolta italiana, L’Arte di corte nel secolo decimoquarto, nel 1965. In primo luogo perché le pitture delle sale di rappre-
Cappella
FOTO SOPRA: Volta della Cappella di Palazzo Trinci con
gli affreschi realizzati da Ottaviano Nelli nel 1424.
sentanza incarnano, in modo esemplare, quello stile internazionale che fiorì nelle corti europee tra la fine del Trecento e il principio del Quattrocento, dando vita ad una nuova arte profana, che dalla vita che si svolgeva nelle dimore e castelli, principali teatri di essa,
Loggia di Romolo e Remo
FOTO SOTTO: La Loggia di Romolo e Remo. Affreschi di
Gentile da Fabriano e bottega del 1411-1412.
traeva ispirazione. Un’arte che tenta di dare vita ad un sogno, quello delle corti, che cercano di trasferire sul piano della rappresentazione figurativa l’eleganza cui aspirano e il cui sfarzo esorbitante culmina nel cerimoniale effimero delle feste palatine. In secondo luogo perché, sia a livello formale che dei contenuti veicolati, le pitture delle “case nuove” di Ugolino avrebbero consentito a Schlosser di ipotizzare che quella comune atmosfera di cultura che aveva portato a stretto contatto le corti del Tirolo, della Boemia, dell’Inghilterra e soprattutto della Francia e quelle adiacenti dell’Italia

settentrionale, da queste aree, attraverso i rapporti dinastici, il girovagare degli artisti, la circolazione di testi, miniature, arazzi, squisiti prodotti d’oreficeria e oggetti in avorio, si era poi irradiata, a macchia d’olio, anche negli stati centrali del paese. In terzo luogo per l’interesse iconografico degli affreschi, straordinariamente conservati nel loro insieme al di là di singole cadute o manomissioni, dove iconografico va inteso nel senso schlosseriano «dell’individuazione e della ricostruzione dei miti e delle favole collettive, viventi e operanti in una società» e che la caratterizzano storicamente. Il quarto motivo d’interesse, strettamente collegato al precedente, è che le pitture di Palazzo Trinci nel loro insieme bene rispecchiano lo status e l’elevata posizione raggiunta dalla famiglia in seno alle dinamiche del potere signorile italiano agli esordî del Quattrocento, quando Foligno, grazie all’accorta politica del suo signore, divenne un’autentica piccola capitale di cultura. Ugolino Trinci, il domicellus fulginas, come è definito nei documenti dell’epoca, nonché committente dei cicli pittorici, amò circondarsi, infatti, di un folto gruppo di intellettuali, letterati, poeti e artisti, che diedero grande impulso alla vita di corte, allestendo nelle sale del suo palazzo anche una significativa raccolta archeologica, in parte conservata, che lo pone tra le avanguardie italiane anche in campo collezionistico. È grazie al supporto di dotti e umanisti che il metaforicamente esiguo spazio del suo palazzo in piazza Grande (questo il nome antico dell’attuale area urbana ridenominata piazza della Repubblica) si dilata ad accogliere al suo interno tematiche ambiziose. Ecco allora che Palazzo Trinci si popola di una miriade di personaggi, si trasforma da semplice dimora privata in monumento pubblico, straordinario contenitore di allegorie e miti del proprio tempo, diventa «un microcosmo, una copia del mondo, le pareti conducono lo sguardo, al di là della limitata vita del singolo, sul destino dell’umanità che, chiusa tra la terra e il cielo, condizionata dai loro influssi, conduce la sua mutevole esistenza, resa tollerabile solo dalla cura dei beni spirituali» e dal conforto di rassicuranti e pregnanti figure simboliche. È in virtù di questo assunto che sulle pareti di Palazzo Trinci, di volta in volta illustrate da immancabili tituli latini, da versi in volgare e da antiche iscrizioni in lingua d’oïl, convivono la Storia di Romolo e Remo, messa in ideale confronto con gli esordi della dinastia folignate, anch’essa di vantata ascendenza troiana, le figure degli Uomini Famosi, di derivazione petrarchesca, probabile modello per la dinastia regnante, ma anche le Arti Liberali e la Filosofia, regina delle arti, i Pianeti, le Sette Età dell’Uomo, in ben tre versioni pittoriche, le Ore del Giorno, e i Neuf Preux, derivati dal mondo delle imprese cavalleresche, insieme alle più tarde Storie di Maria che, su modello delle cappelle palatine e ricorrendo alle narrazioni della Legenda Aurea di Iacopo da Varazze,


Luna e Decrepitezza
FOTO A SINISTRA: Sala delle Arti Liberali e dei Pianeti, la
Luna e la Decrepitezza.
vanno a materializzare nel 1424 quella devozione alla Beata Vergine, in precedenza espressa solo grazie ad una parva cona. Johan Huizinga aveva lamentato che nella ricostruzione della società franco-borgognona del Quattrocento mancavano quasi del tutto all’appello «l’arte figurativa profana e l’arte applicata», «proprio quelle forme in cui si manifestava il nesso tra produzione artistica e vita sociale», così che «l’immagine dell’arte resta separata
Le pitture delle sale di rappresentanza di Palazzo Trinci incarnano, in modo esemplare, quello stile internazionale che fiorì nelle corti europee tra la fine del Trecento e il principio del Quattrocento.
dalle nostre conoscenze sulla variopinta vita dell’epoca». Palazzo Trinci ci restituisce un documento eloquente di quella vita: le Arti, altro non sono che nobili dame del tempo, che vestono i panni dell’epoca; i loro vestiti di corte, fatti di sete, velluti, damaschi trapunti d’oro, sono cosparsi di centinaia di pietre preziose; i manti, rabescati, sono bordati da pellicce; le acconciature sono alte, le fronti bombate. Nell’Esecuzione di Rea Silvia i personaggi che popolano la scena sono armati e guerrieri con il loro seguito, pronti per il combattimento e il torneo cavalleresco, con cimieri, blasoni, bandiere e, come molte delle Età dell’Uomo, indossano abiti variopinti con vite strette, maniche gonfiate a palloncino rialzate sulle spalle, le pellande che scendono fino ai piedi e le giubbe così corte che lasciano scoperte le natiche; le calze colorate o le armature, gli speroni




Sala delle Arti Liberali e dei Pianeti
FOTO PAGINA A FIANCO: Sala delle Arti Liberali e dei
Pianeti, in alto, da sinistra: l’Infanzia e la Puerizia.
In basso, da sinistra: l’Adolescenza e la Giovinezza.
d’oro, gli alti berretti e cappelli a punta o a cilindro, i cappucci drappeggiati in modo strambo intorno alla testa. Ma è nella straordinaria commistione di tematiche, in parte riflesso dell’enciclopedismo della cultura medievale, in parte preannuncio degli albori del Rinascimento (la vita cavalleresca, si sa, è imitazione, sia che si tratti degli eroi del ciclo arturiano sia di quelli dell’antichità), che risiede un ulteriore motivo d’interesse per le figurazioni folignati, huizinghiano potremmo dire: nelle decorazioni di Palazzo Trinci è impossibile scorgere, a livello concettuale, una insanabile cesura fra età di mezzo e rinascenza, confermando il celebre assunto dello storico olandese per il quale, nell’Italia del Quattrocento, «la base della vita civile era ancora rimasta schiettamente medievale e negli stessi spiriti del Rinascimento, i tratti medievali erano segnati assai più profondamente di quanto si voglia ammettere». Particolarmente sentito era, nella civiltà cortese, il tema dello scorrere del tempo, che si collegava alla paura della morte e alla labilità della vita: è questa la ragione per la quale negli affreschi di Palazzo Trinci le Età dell’Uomo sono raffigurate in tre distinti cicli. Un prima redazione era stata sviluppata sulla parete di sinistra del Corridoio di collegamento con il Palazzo delle Canoniche. Quando nel 1411-12 si decise di attualizzare la decorazione dell’edificio, per adattarla alle rinnovate richieste di Ugolino III, che chiamò presso di sé il più grande artista del tempo, Gentile da Fabriano, insieme alla sua équipe, la galleria dei Neuf Preux si sovrappose alle Età dell’Uomo che non vennero escluse dal programma iconografico ma trasferite sulla parete opposta. Il riaffioramento sulla parete di sinistra del più antico livello decorativo, forse da riferire ad un artista folignate, Paolo Nocchi, che ha comportato la perdita di alcuni Prodi, consente oggi di avere sotto gli occhi due distinte serie delle Età dell’Uomo. Entrambe attingono ad un comune modello iconografico: un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Parigi che illustra il Salmo 89, un lamento sulla caducità della vita, miniato all’inizio del XIV secolo da un artista catalano. Nella prima scena del manoscritto compare un bambino che gioca con un bastoncino (Infanzia), mentre in alto un angelo srotola un cartiglio. A fianco sono raffigurati un ragazzetto che lancia una freccia ad a un uccello su un albero (Adolescenza) e un giovane cavaliere che, proteggendosi la mano con un guanto, sorregge un falco (Giovinezza). Seguono le immagini di un uomo barbato che tiene in mano un mazzo di gigli (Virilità) e quindi di un uomo allo scrittoio in atto di sfogliare un libro (Maturità). Gli ultimi due personaggi sono un vecchio che cammina appoggiandosi alle stampelle (Vecchiaia) e un vegliardo seduto che guarda il cielo (Decrepitezza). Di grande interesse sono le frasi in lingua d’oïl riportate nei cartigli delle Sette Età dell’Uomo, probabilmente copiate da un’opera francese pervenuta alla corte dei Trinci nel corso del XIV secolo, forse per il tramite di due personaggi di casa Trinci: Paolo Trinci, vescovo di Foligno, e il fratello Pietro, che furono ad Avignone dove svolgevano importanti incarichi prelatizî (e richiamano la Francia anche il tema dei Neuf Preux, così come la gabbietta con dentro il pappagallo, dipinta nell’arcata che separa Romolo da Scipione Africano, che riprende un analogo motivo nella Torre degli Angeli nel Palazzo dei Papi di Avignone). Ma il tema delle Età dell’Uomo compare anche nella Sala delle Arti Liberali, associato alle raffigurazioni dei Pianeti e delle Ore del giorno. Questo accostamento si trova formulato in ambiente padovano nel Conciliatore di Pietro de Abano (1303). La corrispondenza fra Età dell’Uomo/Ore del giorno ha invece un preciso antecedente letterario e iconografico nel codice miniato della Biblioteca Apostolica Vaticana (Cod. Barb. Lat. 4076), intitolato Documenti d’Amore, di Francesco da Barberino, la cui stesura e illustrazione viene riferita al soggiorno padovano dell’autore (1304-1308). Francesco da Barberino, per esplicare la sua teoria, si avvale di un miniatore che inserisce in ruote, come a Foligno, le figure corrispondenti delle età, mentre le ore del giorno sono indicate dalla posizione del sole nel cielo. L’assunzione di questi modelli, veicolati a Palazzo Trinci quasi certamente dall’umanista Francesco da Fiano, non si traduce tuttavia in una acritica riproposizione dei medesimi. Diversamente dalla versione miniata, la Decrepitezza, raffigurata come una donna vecchissima con la testa fra le mani, è inserita nella prima ruota in relazione al Mattutino, nel cielo della Luna e non in relazione alla Compieta. Nella seconda ruota sono invece associate Aurora e Infanzia, rappresentata, secondo quanto riportato dalle fonti letterarie e da numerose versioni
FOTO A DESTRA: La Loggia di Romolo e Remo. Affreschi
di Gentile da Fabriano e bottega del 1411-1412.
pittoriche, celebre quella di Guariento nell’abside della chiesa degli Eremitani a Padova (dopo 1366), come un ragazzetto in atto di cavalcare un bastoncino, tipico balocco infantile. Vengono poi Ora Terza e Puerizia, rappresentata da una donna che si mette una ghirlanda di foglie sul capo e si guarda allo specchio. Una stringente similitudine con il testo manoscritto si nota anche nelle ruote successive con le coppie Ora Sesta/ Adolescenza, impersonata da un ragazzo riccioluto che tiene un serto di lauro in mano e che si dirige verso la Puerizia e dall’Ora Nona/Giovinezza, raffigurata da una madre che stringe al seno un bambino. Perduta è la coppia Vespero/Consistentia, mentre nell’ultima ruota troviamo affiancate Compieta/Vecchiaia. Le lievi divergenze iconografiche rispetto ai Documenti d’Amore sono probabilmente da riferire alla necessità di adattare un modello, che scandisce la vita in sei età, ad un programma iconografico imperniato invece sul numero sette. Interessante notare che anche alcune teste archeologiche, facenti parte della collezione dei Trinci, illustravano questo tema, che quindi doveva essere un’ossessione per la dinastia folignate. Pare di assaporare in questi affreschi, nei quali il tema dello scorrere del tempo è richiamato con tanta insistenza, quella sottile tristezza, quei toni sfumati e malinconici che aleggiano nella civiltà di corte vagheggiata da Johan Huizinga nel celebre Autunno del Medioevo (1919): una civiltà che non si qualifica come un albore del Rinascimento, ma come tramonto della società medievale, pervasa dall’aspirazione a evadere da una realtà crudele e violenta dominata dall’idea della Morte (da qui l’idea ossessiva delle Età dell’Uomo), nel tentativo di dare vita ad un sogno. ◊
www.museifoligno.it










