Omelie Avvento-Pasqua Anno A

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Parrocchia Madonna Loreto Frati Cappuccini - Chivasso

Isaia 2,1-5 Salmo 121 Romani 13,11-14 Matteo 24,37-44

Attendere, camminare nella luce, desiderare  “Vegliate, dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà”. Queste parole di Gesù dovrebbero farci sobbalzare sulla sedia, metterci in allarme, agitarci. Se non lo fanno è un brutto segno. Vuol dire che queste parole del vangelo, come quelle del profeta della prima lettura, nonché quelle dell’apostolo della seconda, ci dicono soltanto che ricomincia un altro Avvento, e che questo tempo liturgico è diventato per noi, per l’appunto, soltanto “liturgico”, cioè solo per la liturgia, per la messa, senza incidenza sulla vita reale, e per di più un appuntamento scontato, abitudinario. Peggio, quasi una condanna. E sì, perché bisogna ricominciare a giocare a “Gesù che nasce un’altra volta”, per la gioia di grandi e piccini, con le solite profezie di Isaia sulle lance che diventano falci, sull’agnello che se la fa con il lupo…, poi con tutto il codazzo di usanze più o meno stucchevoli che questo gioco si porta appresso: presepi, alberi, luminarie, regali…  In questa prima domenica d'avvento possiamo accogliere, al contrario, con immensa gratitudine, il dono di una nuova occasione che ci viene offerta per progredire attraverso il tempo verso il compimento della nostra vita. Con Isaia, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, per guardare il mondo con gli occhi di Dio. E’ da questo sguardo che nasce e si alimenta la speranza. Non è vero che il mondo è stato sempre così e sarà sempre così: succube della violenza, della prepotenza, dell’ingiustizia, dell’inganno. Esso va dove vuole il suo creatore: le spade possono realmente trasformarsi in vomeri e le lance in falci. Sta avvenendo. Non ce ne accorgiamo? Anche noi siamo stanchi di guerre… in televisione, in fabbrica, per strada, persino in famiglia.  La parola del profeta Isaia può darci alcune chiavi di lettura per entrare in questo tempo di grazia: la «visione» (Is 2,1) e il «camminare» (2,3). Di fatto l'avvento è sempre una sorta di invito a ricominciare a sognare la vita trasformando il nostro modo di vedere, in una visione che ci metta in sintonia con il modo di guardare la storia da parte di Dio. Quando Dio guarda la nostra vita ce ne dà una visione totalmente nuova, www.parrocchiamadonnaloreto.it

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insperata, inedita: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra» (2,4). E se Dio fa tutto questo per l'umanità, non può che richiedere una risposta adeguata a ciascuno dei suoi figli, che in questi giorni si fa pressante e accorato invito: «Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore» (2,5). Ed ecco che appare l'altro grande simbolo che accompagna questo tempo: la luce! Tutto il tempo di avvento, che coincide per noi con l'abbreviarsi delle giornate, è avvolto da questo desiderio di luce che abita il nostro cuore e che viene condiviso con la stessa natura. Anche in questo caso, il desiderio si fa subito sfida ed esortazione a mettersi in condizione di poter ricevere questo dono oltre che semplicemente sospirarlo: «Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce». E l’apostolo aggiunge e chiarisce: «Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie» (Rm 13,12-13). Con Gesù, togliamoci dagli occhi la benda che ci fa essere come i contemporanei di Noè, che, nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, incapaci di sentire il rumore delle acque che si avvicinavano. Sotto e dietro alla cose che accadono c’è sempre qualcosa in più di quello che si vede e si sente. C’è il Signore della storia che viene a separare il grano dalla zizzania, le cose eterne (noi) dalle cose transitorie, effimere (i nostri desideri). Così l'avvento, se è la celebrazione di un grande dono che ci viene offerto gratuitamente, come il sole di ogni mattina, è pure il momento di riprendere in mano il proprio «camminare» (ls 2,3) perché non sia un vagare senza meta e non si trasformi in un triste vagabondare senza direzione, ma proceda speditamente e decisamente verso «il monte del Signore» (2,2), verso quella felicità che anela il nostro cuore. Per dire tutto questo, il Signore Gesù usa nel vangelo una sorta di parabola secondo cui «due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l'altra lasciata» (Mt 24.40-41). Con questa immagine il Signore vuole mettere nel nostro cuore una sana e santa inquietudine che ci liberi dal pericolo di accomodarci troppo nella mediocrità e nella superficialità, come avvenne «nei giorni che precedettero il diluvio» (24,38). Il Signore Gesù non vuole spaventarci, nondimeno vuole scuoterci dal rischio di non essere «pronti» (24.44): le cose più belle della vita sono quelle a sorpresa e la più grande sorpresa della vita è l'avvento del Signore, il suo compromettersi intimamente con la nostra storia. Il fatto di essere «preso» da qualcosa o da qualcuno, nella nostra lingua significa proprio essere interessati e se siamo veramente interessati a Dio non possiamo certo addormentarci nel disinteresse e nella mediocre soddisfazione dei nostri bisogni immediati, ma apriremo il nostro cuore a un rinnovato e crescente desiderio.

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 Non domandiamoci “quando il Signore verrà?” ma semmai chiediamoci “come io lo sto aspettando?” Il Signore vi dia Pace… Buon Cammino. (Fra Alberto)

«Il desiderio ti dilati cosicché potrai essere riempito, quando arriverai alla visione. Ammettiamo che tu debba riempire un grosso sacco e sai che è molto voluminoso quello che ti sarà dato; ti preoccupi di allargare il sacco o qualsiasi altro tipo di recipiente il più che puoi e allargandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo Dio con l'attesa allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l'animo e il cuore e, dilatandolo, lo rende più capace. Viviamo dunque, o fratelli, di desiderio poiché dobbiamo essere riempiti. In questo consiste la nostra vita: nell'esercitarci col desiderio». (Agostino)

Lo Tsunami del Cuore Oggi iniziamo a leggere il Vangelo di Matteo, il discepolo ex pubblicano, colui che sapeva fare bene di conti… sapeva che gli conveniva seguire Gesù. Noi invece siamo cristiani più per abitudine… ma poi nella vita succede sempre qualcosa di imprevisto, uno tsunami che stravolge i nostri parametri e in quel momento si può veder il “cielo”. Quando si pensava che fosse tutto finito, ecco i colori di una nuova primavera… perché a volte i fallimenti possono farci comprendere che siamo arrivati in un vicolo cieco e allora l’inverno delle nostre illusioni si apre alla speranza di una nuova esistenza vissuta in modo diverso. All’apostolo Matteo è successo così e può succedere anche a te, oggi. Nel vangelo si parla di un diluvio… ma nella nostra epoca Dio si presenta più come un Padre discreto, modesto, quasi timido, che non impone la sua presenza, ma la propone ogni giorno negli avvenimenti lieti e tristi della esistenza umana. A noi è chiesto di spalancare il cuore alla sua luce, come finestre al sole, ci è chiesto di lasciarci accarezzare dalla brezza del suo amore che dona pace ai nostri cuori inquieti. Aprire gli occhi e lasciare emergere il desiderio. Non occorre aspettare un terremoto per cambiare la vita. Possiamo farlo molto prima… oggi. “Venite, saliamo…” Avvento è desiderio, è attesa, è speranza di un mondo nuovo che Gesù ci può donare. Avvento è fare crescere dentro di noi il desiderio di incontrarlo, come accadde a Matteo o a Zaccheo. Avvento è coltivare sentimenti di amicizia, di fraternità, di fedeltà. Non basta vedere Gesù, occorre “incontrarlo”, lasciarsi incontrare da Lui… Gesù troppo spesso è sulle nostre labbra e poco nel nostro cuore. Gesù ancora oggi fatica ad entrare nelle nostre vite… oggi è tempo che venga e viva in noi.

FAME di SPERANZA

PREGHIAMO: O Signore, che ci inviti a vegliare e a stare pronti per la tua venuta definitiva, quando il nostro tutto finirà per ricominciare nel tuo amore, donaci la forza di non lasciarci sedurre e distrarre dalle cose di questo mondo. Concedici di capire che ciò che rimarrà alla fine della nostra vita, saranno solo i giorni spesi per amore. Illumina il nostro cuore perché ogni giorno possiamo partecipare con Te alla nascita del Tuo Regno di giustizia e verità, che trasfigurerà questa povera umanità sofferente. Amen

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Come arrivare a povertà zero? Credo che sia una questione di cambiamento, in primis individuale. Ciascuno deve capire cosa cambiare in se stesso. Certamente l'egoismo, perché siamo tutti egoisti! Anche qui occorre capire cosa significa ... cosa vuol dire essere altruista, cosa vuol dire amare ... Perché tante volte l'amore può essere sbagliato! Dare un futuro ai propri figli: questo è il sogno di tante donne che lasciano i propri cari per venire a lavorare in Italia. E mentre curano i nostri anziani e i nostri bambini, i loro anziani e bambini rimangono soli. Ciò non è giusto! Davvero difficile è scegliere “le vie del Signore” e camminare sui suoi sentieri. L’Europa non è un mondo dorato, come forse credevamo. Occorre cambiare lo stile del nostro vivere. Dobbiamo uscire dalle nostre case per vedere come vivono gli altri! Cerchiamo di informarci, di capire, anche visitando il sito della Campagna “Zero Poverty” (www.zeropoverty.org) o della Caritas Italiana (www.caritasitaliana.it). Natale non può essere solo la festa delle “luci” ma deve essere prima di tutto “Festa della Luce” nella condivisione e nella “restituzione” al fratello del bene che gli abbiamo sempre rifiutato.

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Per i Ragazzi: Eccoci, cari amici: si riparte! La madre Chiesa ci invita a percorrere un nuovo anno per scoprire il Il Signore è venuto, viene e verrà. mistero di Dio e per lasciarci scovare da suo Figlio Ci vuole bene nonostante i nostri che ancora viene a cercare ciascuno di noi. limiti. Ci vuole bene il Signore… Riguardo all'Avvento vorrei subito chiarire un da morire. (Don Tonino Bello) possibile equivoco in cui potremmo correre il rischio di cadere. Questo tempo dell'anno, con tutta la sua magia e la sua bellezza, non è un "teatrino» in cui si fa finta che Gesù non sia ancora venuto e ci si mette ad aspettare tutti preoccupati che finalmente nasca il Salvatore. Gesù è già venuto! Lui è già in mezzo a noi e l'Avvento ci ricorda che egli è sempre il Veniente! Questo è l'annuncio: Gesù non si è ancora stancato di noi, di me, di te! Viene in mezzo a noi e si impasta nella nostra storia come lievito di bellezza. Il brano del Vangelo di questa prima domenica ruota attorno ad una mini-parabola. Dio è come quel ladro che viene di nascosto e passa senza mandare una cedola di preavviso, senza pianificare e programmare le visite. Ogni ingresso di Dio nella nostra vita è libero e misterioso, non è calcolabile o intuibile. Allora, dice Gesù, è necessario essere uomini svegli e attenti per non lasciarci sballottare e stordire dalle false urgenze del mondo. A volte ho l'impressione che il cristianesimo sia ridotto a qualcosa di mieloso e consolante con cui addolcire le amarezze della quotidianità e che il buon Dio venga tirato a destra e a sinistra come un talismano per sfuggire le sfortune della vita. L:esperienza cristiana, a volte, è proprio ridotta ad un antidolorifico ... Ma Gesù - per fortuna! - ha in mente un'altra cosa e all'inizio dell'Avvento ci sveglia con uno squillo di tromba: "Vegliate!».  Vegliare per non far diventare la nostra fede un impasto di scaramanzie e superstizioni.  Vegliare per non cadere nell'abitudinarietà che surgela la preghiera e lo stupore.  Vegliare per non mettere in stand-by la ricerca di Dio, illudendoci di essere già a posto.  Vegliare per darci una mossa e abbandonare il demone della pigrizia.  Vegliare per dare ordine alla vita, per mettere ogni cosa al suo posto.  Vegliare per far crescere in me il gusto dell'attesa ed essere pronto a tuffarmi nel suo abbraccio. (Roberto Seregni)

Per i Giovanissimi: Il grande periodo dell'Avvento si apre all'insegna di una serie di imperativi: “vegliate, cercate, tenetevi pronti”. Il tono è incoraggiante: non si impongono dei divieti ma vengono suggeriti alcuni atteggiamenti molto positivi. Bisogna guardare avanti, ma per migliorare il presente. È con questa tensione che il cristiano, giovane o adulto che sia, è chiamato a vivere la propria vita.

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Non si può, infatti, trascorrere la propria esistenza come se tutto finisse nel presente. Tale atteggiamento, senza radici nel passato e senza obiettivi per il futuro, viene contestato già dai tempi di Noè e quindi viene ripreso anche da Gesù. È vero che la realtà presente, in particolare quella giovanile, può correre il rischio di cadere nell'indecisione, nell'incertezza di ciò che accadrà, e quindi si può ingenerare un senso di smarrimento e instabilità a tutti gli effetti, però è anche vero che proprio nel cuore dei giovani Dio pone la ferma speranza in un mondo più giusto, migliore, che sa puntare al bello, che sa contestare ciò che è dato come acquisito. Ma per essere veri cristiani non basta desiderare che le cose cambino o che vengano cambiate da qualcuno. Il giovane parte dalla certezza dell'evento della risurrezione di Gesù e afferma che sicuramente il Signore verrà: non sa quando, ma sa che verrà. È questa bella notizia che fa lievitare il presente portandolo alle altezze della contemplazione e dell'impegno profuso per gli altri, è questa certezza che fa entrare nella luce divina che rischiara e dissolve ogni paura e turbamento, è questa attesa, costante e operosa, che ci prepara all'incontro pieno ed autentico con il Signore. (AVE)

Per i Giovani: Gesù parla ai suoi discepoli. Parla della venuta del Figlio dell'uomo, parla della sua ultima venuta. Nell'ultimo giorno il Signore verrà a manifestare il suo regno di amore, la sua misericordia. in quel giorno ognuno di noi sarà giudicato in base alla propria vita, alle proprie scelte libere, alle proprie vere intenzioni del cuore. Sei chiamato a essere pronto a vivere in pienezza quel giorno. Nulla si può lasciare all'improvvisazione. Sei chiamato ad allenarti all'amore e nell'amore, altrimenti corri il rischio dei contemporanei di Noè, e cioè di non accorgerti di nulla e di essere travolto via. È il rischio di quando vivi lontano da Dio, quando ritieni di essere autosufficiente, per non dire onnipotente, e coinvolgi Dio soltanto nelle cose che ti interessano o nelle quali pensi di dover essere aiutato (studi, sentimenti, relazioni, lavoro); quando ti rivolgi a Lui con qualche preghiera fatta con le labbra ma con il tuo cuore lontano ... un cuore freddo e spento! Ed è qui che la tua fede ti scuote, ti chiama alla verità e all’essenzialità. Il Signore ti vuole incontrare! Vuole condividere con te il suo progetto di amore, tutto il suo amore! La sua amicizia, la sua luce, la sua consolazione, il suo sostegno... il Signore ti chiede semplicemente di vegliare! Nella veglia si realizza l'attesa: anelare all'incontro con l'amato. Un'attesa che diventa, giorno dopo giorno, entusiasmo, gioia, felicità, sequela, preghiera. L'incontro è certo perché Gesù è fedele, viene continuamente presso il tuo cuore, e bussa ... sta alla porta del tuo cuore e bussa ... Tocca a te! È solo nella veglia, nel silenzio adorante del tuo cuore che tu, solo tu, riesci ad ascoltare e percepire la sua presenza discreta e totalmente rispettosa della tua libertà. Lasciati affascinare da Gesù perché sia tutto per te ! (AVE)

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 Isaia 11,1-10 Salmo 71 Romani 15,4-9 Matteo 3,1-12

SECONDA DOMENICA di Avvento

Convertitevi! Preparate il cuore. Il Signore viene…  La liturgia di questa domenica - almeno a un primo sguardo può creare un certo imbarazzo soprattutto a motivo di una certa contraddizione di toni tra la parola del profeta Isaia e quello veemente e intransigente del Battista: «Razza di vipere» (Mt 3,7). Giovanni, con la sua esistenza, proclama il primato di Dio sulla vita, richiama tutti ad uscire da una visione stereotipata e immobilista della fede per incontrare l'inaudito di Dio. Certo non è un complimento quello che Giovanni fa a quei «molti farisei e sadducei» (3,6), persone ragguardevoli e devote, che già avevano fatto lo sforzo di mettersi in fila con pubblicani e peccatori, per ricevere a loro volta il battesimo di penitenza: sono duramente criticate, perché la loro innegabile fede è annientata da un ritualismo esasperato. Giovanni ci chiama infatti ad interrogarci continuamente sul rischio dell'abitudine alla fede. Lui è un profeta coerente e austero, e forse proprio in questo modo apre e prepara la strada all'adempimento delle parole meravigliose e un po’ per noi utopiche del profeta Isaia: « Il lupo dimorerà insieme con l’agnello… il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso.» (Is 11,6-8).  Questa visione, lungi dall’essere una semplice riduzione ecologista, ci mettei di fronte - attraverso l'immagine del superamento di ogni lotta o paura nel rapporto tra creature - al grande cammino di conversione, che Giovanni ci invita a intraprendere, per ricreare le basi delle nostre relazioni umane. Si tratta infatti di accogliere l'esortazione dell'apostolo: «Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio» (Rm 15,7). Ed è proprio Paolo che nella medesima Lettera ai Romani chiarisce che cosa ha significato per il Signore

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 

Gesù accoglierci quando non eravamo altro che «nemici» (5,10)1. L’unico modo per poterci accogliere vicendevolmente «sull'esempio di Cristo Gesù» (15,5), è quello di riconoscere quanto siamo «vipere» e imparare a recuperare la fiducia disarmata e disarmante del «lattante» e del «bambino» di cui parla il profeta. Con un'immagine potremmo dire che il cammino di attesa e di conversione di questo avvento è come un imparare nuovamente a “giocare”, avendo «gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti» (15,5), nella retta consapevolezza di aver tutti bisogno di un cammino di conversione. La parola del Battista: «Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 3,2) esprime una grande urgenza di trasformazione e naturalmente ogni metamorfosi non può avvenire se non «in Spirito Santo e fuoco» (3,11). Giovanni mette sotto i nostri occhi la fiamma spaventosa e temibile di un «fuoco inestinguibile» (3,12), ma solo - come si fa con dei bambini - per insegnarci a non giocare col fuoco e imparare a rispettarlo e a usarlo senza esserne danneggiati, ma per esserne trasformati. L’amore di Dio rende possibile l’impossibile (pensiamo a mercoledì nella festa della Immacolata), ma non si deve approfittare di questo amore misericordioso e paziente. In questa seconda domenica di Avvento la parola forte del profeta Giovanni è un modo per aprire il nostro cuore alla realizzazione reale e coraggiosa della dolce parola del profeta Isaia, secondo cui «un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici» (Is 11,1). Siamo noi questo «tronco» che, apparentemente morto, porta in sé la promessa di un «virgulto» a cui però dobbiamo saper dare spazio accettando la forza travolgente della vita. È nel nostro cuore che portiamo il «fuoco» dello «Spirito Santo», che trasformano la nostra condizione disastrosa di peccatori meritevoli di castigo, in misericordia che rinnova e salva, come un forno che cuoce il pane senza bruciarlo. Abbiamo bisogno di profeti… perché i profeti abitano ancora le nostre città: sono persone all'apparenza normali. Eppure sanno parlare in nome di Dio, sanno leggere il presente alla luce della fede. Perché il profeta non predice il futuro (quello è l'indovino!) ma ci aiuta a capire il presente. Abbiamo bisogno di profeti, per riuscire 1

Romani 5, 6-11: “Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione.”

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ad intravedere nel periglioso mare delle nostre attività quotidiane, che Gesù viene ancora oggi per me, per noi!  Il Dio che il Battista annuncia, il Dio che aspettiamo, è il Dio che brucia dentro, che spazza via con forza ogni timore e oscurità! Giovanni ammonisce: non basta rifugiarsi dietro alla tradizione o in una fede esteriore, di facciata. Colui che viene chiede un reale cambiamento, una scelta di vita nuova, chiede decisione totale del cuore. «Fratelli, celebrate come si conviene, con grande fervore di spirito, l'avvento del Signore, con viva gioia per il dono che vi viene fatto e con profonda riconoscenza per l'amore che vi viene dimostrato. Non meditate, però, solo sulla prima venuta del Signore, quando egli entrò nel mondo per cercare e salvare ciò che era perduto, ma anche sulla seconda, quando ritornerà per unirci a sé per sempre. Fate oggetto di contemplazione la doppia visita del Cristo, riflettendo su quanto ci ha donato nella prima e su quanto ci ha promesso per la seconda» (San Bernardo) Il Signore accompagni i vostri passi di Avvento Fra Alberto PREGHIAMO: Ti rendiamo grazie, o Dio, nostro Padre, per il tuo Santo Spirito, che invita la Chiesa a preparare la via di colui che solo può colmare l’attesa di tutti gli uomini, e ci dà la forza per camminare con decisione verso il giorno di Cristo. Lode e gloria a Te Cristo Gesù!

Chiamati a conversione Non pensare alla conversione cristiana solo in negativo, come lo sforzo di non peccare più. Essa consiste prima di tutto nella scoperta gioiosa di un bene irrinunciabile, da te tanto atteso e sognato: la presenza accanto a te di un Dio che ti chiama, ti sollecita, non cessa di amarti. Se in Cristo Dio ti ama, non tirarti indietro. Egli non ti porta lontano dalle tue responsabilità presenti, ma dentro la vita che tu vivi; non fuori in un mondo ovattato, ma dentro la tua realtà di uomo. Lasciati liberare da tutto ciò che condiziona la tua libertà: lasciati trasformare e convertire, per gustare veramente la pace. “Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, ed ecco che tu stavi dentro di me ed io ero fuori e ti cercavo. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità…” (S. Agostino) FAME di CONSAPEVOLEZZA Lavoro con persone senza fissa dimora, a Mosca. Tempo fa abbiamo organizzato con alcuni di loro un laboratorio di pittura con le dita, poi abbiamo preso i loro dipinti e abbiamo organizzato una mostra. Sono intervenuti molti giornalisti e i quotidiani hanno parlato diffusamente della nostra esposizione attirando così molto pubblico. I quadri erano davvero belli e lo gente, che di solito non è interessata alla povertà, ha cominciato a domandare chi fossero questi pittori, perché vivessero in quel modo ... Io ero sorpresa di tanta attenzione e ho chiesto a un giornalista presente: «Perché questa mostra è così interessante per voi?». Ha risposto: «La gente ama le cose terribili e le cose bellissime ... ». La gente vuole conoscere, perché vede qualcosa di bellissimo e nello stesso tempo drammatico ... Questi quadri sono l'altra faccia della povertà. (Caritas Russia) Come scoprire l'altra faccia della povertà? Come cogliere la persona e le sue risorse quando si nascondono dietro lo facciata di una vita disperata? L'unico modo per uscire dagli stereotipi di cui siamo vittime è uscire da noi stessi e accettare di incontrare la povertà direttamente: una notte in dormitorio, un turno alla mensa per i poveri possono aiutarci ad avvicinare un mondo altrimenti troppo lontano.

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Solennità Maria Immacolata Maria, una donna come noi Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei. Molti cristiani fanno fatica a pregare la Madonna, come se lei fosse troppo alta, troppo irraggiungibile, come se fossero bloccati dal fatto che è “la senza peccato”, come se di fronte a tanta purezza fossero abbagliati dalla sua luce e nascesse in loro la vergogna di sentirsi deboli, peccatori sempre più fragili nonostante i più grossi sforzi per migliorare. Maria è invece una donna che fa pienamente parte della nostra umanità. . Dobbiamo prendere consapevolezza: siamo, in gran parte, ciò che i nostri genitori erano nel momento in cui, unendosi, ci hanno dato l’esistenza... miscuglio d’aggressività e di sensualità, d’amore e di tenerezza, di paura e di debolezza, di gioia e di dolore. Nel nostro DNA c’è la sintesi dei due rami ereditari della nostra mamma e del nostro papà, pregni di bellezza e di squallore, di conflitti e di serenità, di virtù e di vizi. Maria, dal canto suo, è il frutto di una stirpe di ebrei talmente fedeli alla Torah, talmente attenti alla presenza del Signore nella loro vita, che, di generazione in generazione, hanno trasmesso ai loro figli sempre meno negatività, sempre più purezza. La leggenda della sua concezione, come ogni mito, offre un insegnamento vitale. Il racconto degli. apocrifi narra che la Madonna era figlia di due persone troppo anziane per essere feconde: vi è qui un accenno ai concepimenti miracolosi di Isacco, di Samuele, di Giovanni il Battista… e di tanti altri. La Sacra Scrittura mostra che in questi interventi divini c’è sempre la benevolenza di Dio, che usa mezzi semplici e umili per realizzare grandi cose nella storia umana. In realtà è sempre il Signore l'artefice di ogni nascita: Dio compie meraviglie attraverso coppie disprezzate per la loro sterilità, i cosiddetti “poveri di Javhè”, che attende tutto da Dio; per la loro fede possono dare alla luce figli che, toccati dalla grazia divina, potranno essere strumenti eccelsi dell'azione provvidenziale di Dio nella storia della salvezza, anche nella nostra storia. www.parrocchiamadonnaloreto.it

L'Immacolata Concezione indica quindi l'importanza della preparazione interiore che Dio attua in ogni vita umana. Se ogni coppia fosse consapevole di essere secondo il disegno divino (Genesi 1,27-28) - collaboratrice dell'azione creatrice di Dio, il mondo sarebbe popolato di persone pacifiche, attente alla propria interiorità, pronte a partecipare all'opera di salvezza divina. Nell’Annunciazione, vediamo la possibilità per ognuno di noi di essere strumento docile nelle mani di Dio. Ma occorre entrare in un ottica diversa, dal certo alla fede, dal conosciuto all’ignoto, fidarsi di Dio per puro amore, sapendo che Lui è nostro Padre, che ha pensato il massimo bene per la nostra vita. Per Maria quell’annuncio può essere stato un vero Getsemani: questa fanciulla vedeva crollare il suo progetto di vita, ben consapevole del rischio di essere lapidata, la condanna per ogni ragazza madre. Ma percepiva che Dio aveva preparato lei e paradossalmente anche Giuseppe, per essere sì famiglia, ma “famiglia per il Figlio di Dio”. Maria poté dire così liberamente il suo SI, senza paura, perché in lei non c’era quel sogno di onnipotenza che spinge ognuno di noi a sentirsi “padrone della sua vita” senza alcun riferimento con Dio; per lei libertà era offrire il suo sì alla strana vicenda che le si apriva davanti... offrire se stessa per lasciarsi condurre da Dio, lontano ma sempre nella consapevolezza di essere in “buone mani”. Così conobbe le gioie della maternità, di una vita condivisa con un uomo e, anche nel dolore più tragico, la morte del suo Figlio, credette in Dio per dare compimento alla splendida realizzazione del progetto divino a favore dell'umanità… a favore di te, fratello e sorella. PREGHIAMO: Quante volte Madre ti imploriamo e a te rivolgiamo lo sguardo per chiederti aiuto. Tu Madre dell’Amore supremo, ci insegni la dolcezza con il tuo sguardo di tenerezza. Stringi più forte la nostra mano, quando ti accorgi che camminando, inciampiamo fra i ciottoli insidiosi del nostro camminare terreno. Amen

Il Signore accompagni i vostri passi di Avvento Fra Alberto

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La Visione di Maria “C'era una volta un frate molto umile: aveva un solo desiderio nella sua vita: vedere la Madonna! Per questo pregava notte e giorno; ma, più cresceva il desiderio di contemplare Maria in tutta la sua gloria, più gli si insinuava nel cuore un dubbio: «E se il troppo splendore mi abbagliasse e poi rimanessi cieco?». Un giorno la grande Regina del cielo volle esaudire la brama del suo devoto: gli apparve in tutta la sua bellezza celestiale. Ma il frate, pauroso, incominciò a guardarla con un occhio solo; pensava infatti: «Anche se rimanessi abbagliato, non rimarrei cieco che da un solo occhio!». La visione però fu così bella che il frate si decise ad aprire anche l'altro occhio; ma proprio allora la Madonna scomparve. Il povero frate per tutto il resto della sua vita non fece che piangere, non per l'occhio rimasto abbagliato, ma per non aver goduto con tutti e due i suoi occhi la bellezza della sua celeste Regina. E nel pianto, che rende la vista più pura, il frate innamorato pregava: «Non m'importa più niente: anche se perdessi completamente la vista, donami, o Madre, di contemplare ancora il tuo dolce viso!». E la Madonna lo esaudì: di nuovo apparve al suo devoto in tutto il suo splendore. Questa volta l'umile frate la guardò con tutti e due gli occhi spalancati. E la luce di Maria che sembrava lo accecasse, rese la sua vista più acuta, più adatta al cielo. Da quel giorno riusciva a vedere tutto il bello che c’era nel cuore di ogni uomo, e visse da santo e un giorno Maria ritornò per portarlo in cielo… nella visione sua beatifica per sempre.” (S. ALFONSO M. DE' LIGUORI, Le Glorie di Maria, 2,8) www.parrocchiamadonnaloreto.it

FAME di RICONOSCIMENTO Ora ti racconto una bella storia. Ho conosciuto una donna che veniva dall'Iraq, aveva tre figli. Aveva problemi di salute e veniva almeno due volte alla settimana da noi. Dopo un lungo periodo, con il nostro sostegno alimentare e vestiti per i bambini, questa donna è riuscita a inserire il bambino più piccolo all'asilo. Da noi, solo i genitori che lavorano entrambi e che presentano una dettagliata documentazione su dove lavorano, l'orario di lavoro e lo stipendio riescono a inserire i figli. Lei, ovviamente, non aveva nessun documento. Dopo molti sforzi siamo riusciti a inserire il bambino e lei è riuscita finalmente a trovare un lavoro, a sostenere economicamente lo sua famiglia, a seguire delle lezioni di greco. In Iraq lavorava come insegnante di inglese. Bene, il suo diploma è stato riconosciuto e questa donna ha potuto nuovamente insegnare ... Questa donna all'inizio l'abbiamo sostenuta tanto, lei non faceva molto ... Così dopo un po' le ho detto: «Devi fare qualcosa! Io non posso continuare ad aiutarti se tu non aiuti te stessa!». Dopo qualche tempo è ritornata e mi ha detto: «Hai ragione. Andiamo avanti!». Ha cominciato a cambiare e anche i bambini sono cambiati! Il figlio maggiore è andato alla scuola primaria dove hanno organizzato una gara di matematica. Lo sai? È arrivato primo in tutta lo Grecia! È venuto e ci ha ringraziato ... Credo che questo sia il modo con cui prendersi cura delle persone. (Caritas Grecia) Quante volte ci siamo lasciati andare e grazie all'incitamento di persone care abbiamo trovato la forza di credere nelle nostre capacità! Dobbiamo superare la logica dell'elemosina e appoggiare quei progetti che garantiscono la promozione delle persone, la loro maturazione, perché possano mettere le basi per una vita migliore. Verifichiamo se il nostro atteggiamento, quello del nostro gruppo, della nostra parrocchia va in questa direzione.

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Isaia 35,1-10 Salmo 145 Giacomo 5,7-10 Matteo 11,2-11

TERZA DOMENICA di Avvento La gioia, il dono della pace e della pazienza dei giorni  Il tema di questa domenica è la gioia: siamo arrivati nel nostro cammino alla “Domenica Gaudite”. E d’altronde non si può vivere la Cena del Signore e il cammino dell'Avvento senza riscoprire e testimoniare il dono divino della gioia (Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé;Gal 5,22) pur in mezzo a tribolazioni e guai; e questo perché il Signore è tra noi, è con noi.  La gioia ci è annunciata come dono divino da far fruttificare, beneficiando certamente di ciò che il Signore opera nella natura, nel nostro corpo, nei nostri rapporti. Infatti il profeta Isaia ci parla delle “mirabilia” di Dio nella natura: il deserto e la steppa fioriscono, le terre già rigogliose come il Libano, il Carmelo e la valle del Saron diventano splendide nel fiorire della vita, rivelazione della «gloria di Dio».  Inoltre le persone malate, sfiduciate e smarrite sono trasformate dalla salvezza divina in forti, sicure, coraggiose, piene di salute. La gioia invade l’intera terra, perché tutti sperimentano una esperienza di sanazione totale: ciechi che hanno la vista; sordi che odono e gridano di felicità; zoppi che saltellano.  Anche l’esperienza dell’esilio finirà, perché Dio ricondurrà a casa il suo popolo: ««Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio… Egli viene a salvarvi» (Is 35,4)  Ma la lettera di Giacomo ci dice qualcosa di più: la gioia è sempre accompagnata e sorretta dalla pazienza. Icona di questa virtù è l’agricoltore che semina nell’autunno e attende dopo il lungo inverno, che a primavera germogli il seme. Per avere il “prezioso frutto” occorre il lavoro costante e paziente dei giorni. www.parrocchiamadonnaloreto.it

 La gioia che ci dona Dio è quella dell’Amore, che si offre senza riserve. Anche i profeti, nella storia del «popolo di Dio», parlando del Signore, attestano l'importanza della sopportazione e della pazienza. È perciò importante, per gustare la gioia cristiana, avere un cuore umile che gioisce delle piccole cose quotidiane. Non possiamo “lamentarci” sempre di tutto, oppure “ergerci a giudici” dell’atteggiamento altrui, con quel insano spirito che ci fa sentire a posto e ci permette di guardare gli altri dall’alto in basso. Soltanto con un cuore veramente accogliente della grazia divina, che non presume niente e tutto sa di ricevere nella vita, da colui che accompagna i nostri giorni nell’amore, possiamo guastare il frutto della gioia, che sempre anelanti cerchiamo.  Così è accaduto a Giovanni il Battista: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?» Giovanni si era preparato alla venuta del Messia nella penitenza più austera, ma tutto sembrava svolgersi al contrario. Anziché continuare a preparare il popolo a ricevere degnamente colui che tutti aspettavano, il Messia, ora si trovava in carcere, per volontà di una donna adultera. Inoltre quel Gesù di Nazareth, nel quale aveva creduto di riconoscere il Messia, sembrava contraddire le sue parole di fuoco, che lui aveva pronunciato nel tentativo di purificare il cuore della gente: infatti Gesù non pronunciava nessun giudizio contro i peccatori, anzi, banchettava con loro ed era amico di chi non osservava la Legge. Giovanni forse aveva sbagliato tutto?  Eppure Gesù stesso lo ammirava, lo dichiarava il più grande di tutti i profeta… e nello stesso tempo affermava che il più piccolo del Regno dei Cieli, che Lui era venuto a istaurare, era più grande di lui. Come era possibile tutto ciò?  È molto semplice: Gesù ci fa passare da una economia dei “meriti” a una dimensione di “pura grazia”. Giovanni faceva parte di un' epoca in cui il popolo eletto doveva dimostrarsi degno del suo Dio. Gesù invece introduceva nella storia umana le dinamiche inedite della potenza dell’Amore del Padre, che rendeva possibile un cambiamento radicale del cuore umano, nelle persone che si lasciavano toccare dalla grazia divina. Gesù non guarisce solo il corpo, guarisce alla radice l’umanità e dona ad essa un senso nuovo dei giorni, delle relazioni, dei sentimenti: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: ai poveri è predicata la buona novella e beato colui che non si scandalizza di me». I poveri, i peccatori che erano maledetti, emarginati perché non conoscevano la legge e tanto meno la potevano osservare, sono messi a contatto con una parola di liberazione e non più di condanna: «Sono venuto a salvare, non a condannare». Alla base di tutto c’è una relazione nuova con Dio, che è chiamato “Abbà” Papà. parrocchiamadonnaloreto@gmail.com


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Il più grande, nel Regno di Gesù, non sarà più il perfetto, l’eroe della penitenza, ma colui che saprà scorgere dietro ogni male o errore una persona che soffre: ecco che allora lui stesso diventerà mano e potenza del Signore per far sperimentare a quel fratello il Dio della tenerezza, offrendogli un'accoglienza incondizionata. Il più grande sarà colui che saprà cogliere l'offerta del Bene, le risorse della vita in ogni evento e condividere con i fratelli ogni istante della sua esistenza. Questa nuova mentalità cambierà il mondo, la storia, il rapporto dell’uomo con Dio, con il prossimo e con l'universo… sarà Natale, il vero Natale di Gesù. «Tu solo sei veramente il Signore: il tuo dominio su di noi è la nostra salvezza e il servire te significa per noi essere da te salvati. E qual è la tua salvezza, o Signore, al quale appartiene la salvezza e la benedizione sul tuo popolo, se non ottenere da te di amarti ed essere da te amati? Proprio così: ci hai amati per primo, perché noi ti amassimo; non che tu avessi bisogno del nostro amore, ma perché noi non potevamo essere ciò per cui ci hai creati se non amandoti» (Guglielmo di Saint Thierry) Il Signore accompagni i vostri passi di Avvento Fra Alberto PREGHIAMO: Ti rendiamo grazie, o Dio, nostro Padre, per la gioia di coloro che attendono il tuo Figlio Gesù Cristo. Oggi noi viviamo nella speranza senza vederlo; un giorno purificati dal suo fuoco e rinnovati dal suo Spirito, vedremo per sempre il tuo volto e sarà gioia piena ed esultanza. Lode e gloria a Te Cristo Gesù!

FAME di LIBERAZIONE Credo che la povertà consista anche in cose come il non poter leggere, non avere momenti per rilassarsi... Ti faccio l'esempio di una mamma che frequenta un centro per famiglie. Questa donna vive con la madre anziana, il marito e tre bambini. La loro casa ha due stanze da letto: in una c'è la nonna, nella seconda dorme la coppia, mentre i bambini dormono nel soggiorno... La donna porta i figli al centro a giocare due volte alla settimana. La nonna soffre di demenza e deve essere seguita 24 ore su 24 perché di notte si alza, si muove... Questo significa non riuscire mai a dormire, o riposarsi. Il marito, ovviamente, deve uscire per andare al lavoro. Bene, questa donna mi raccontava che le 4 ore a settimana in cui lei lascia i figli al centro, è il solo spazio che riesce ad avere per se stessa. E sapete cosa fa? Va in biblioteca, si siede, prende un libro e legge. Io do per scontato di poter andare in biblioteca, di poter leggere un libro nel week-end, di potermi sedere... Il non disporre di un po' di tempo per me mi condurrebbe alla pazzia... È importante capire il tipo di pressione a cui sono sottoposte le persone... Non è solo una questione di tempo, né di denaro. Queste persone sono sottoposte a forti stress. Curare i bambini, seguire gli anziani, mantenere il lavoro... Che tipo di liberazione è questa? È sorprendente lo pressione a cui queste persone sono sottoposte... (Caritas Gran Bretagna ) Ecco un modo autentico per esprimere vicinanza a chi vive un momento difficile: rendersi disponibili, perché le persone possano coltivare qualche interesse, distrarsi per qualche ora, anche solo per una passeggiata. È un volontariato che non aspetta di essere organizzato da qualcuno: è sufficiente tenere gli occhi aperti e cercare di capire in che modo essere utili, cercare, insomma, di "fare agli altri quello che vorresti facessero a te".

Cammina con me Un uomo camminava su una strada deserta insieme al suo bambino. Gli diceva: “Cammina innanzi a me:” Ma poi vide delle losche figure venirgli incontro e allora gli disse: “Cammina dietro me”. Ma s’accorse che anche un lupo li inseguiva e allora disse. “Cammina a fianco a me”. Ai lati la strada era però disagevole e il bambino faceva fatica a camminare. Che fece il Padre? Sollevò il suo bambino tra le braccia e se lo mise sulle spalle. Così fa con noi Adonai, il tre volte Santo.(Talmud) Vieni Signore Gesù, accendi l’amore. Dona la vista a chi non vede più le sofferenze degli altri, fai camminare sulle strade della gioia chi è nella tristezza. Purifica il cuore degli uomini dalla cattiveria, proteggi coloro che hanno paura. Tutti possano ascoltare la Tua Parola di vita e conoscere la buona notizia che Gesù è Dio in mezzo a noi. Amen

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Isaia 7,10-14 Salmo 23 Romani 1,1-7 Matteo 1,18-24

QUARTA DOMENICA di Avvento

Un segno che apre una relazione… permette la Vita  Indaffarati tra pacchetti e panettoni, la Parola di Dio giunge ancora al nostro cuore per ricordarci il centro di questi giorni santi che hanno cambiato per sempre il corso della storia e del mondo. A volte ci penso e mi sembra tutto così strano e assurdo che mi convinco sempre di più che Dio è veramente grande e che la sua fantasia d'amore supera di gran lunga la nostra immaginazione. Ma ci pensate? Tutta questa festa, tutto questo movimento, tutta questa attesa … per chi? Per un bimbo che nasce in una stalla di uno sperduto paese della Giudea. Così è Dio! Fantastico, non vi pare?  Mi piace pensare che il buon Dio, tra tutte le infinite possibilità che aveva a sua disposizione, abbia scelto uno come Giuseppe per essere il padre terreno di suo Figlio. Mi piace, perché ci fa scoprire che per essere collaboratori del progetto di salvezza di Dio non serve un dottorato in teologia o un premio Nobel per la pace. Dio ha scelto Giuseppe, perché ha un cuore grande, pronto a lasciare stravolgere i propri progetti dal Signore, mettendosi totalmente a disposizione del mistero.  Nel brano di Vangelo Giuseppe viene presentato come «giusto». Penso che questa sua giustizia non stia tanto nella rigida osservanza della Legge che autorizzava il divorzio in caso di adulterio, quanto nel suo desiderio di non pretendere di capire per pregiudizio. Si pone davanti al mistero con il cuore aperto verso Dio per ricevere luce, ha le imposte aperte del cuore. Giuseppe scopre un piano, un progetto superiore a quello del matrimonio, che si sta preparando a vivere con Maria, ed è per questo che forse vuole delicatamente

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ritirarsi da quella vicenda inondata dalla presenza di Dio. Qui sta la sua giustizia. Grande, grandissimo Giuseppe! Ricordate la scorsa settimana Giovanni il Battista, con il suo dubbio esistenziale: “sei davvero tu o dobbiamo aspettarne un altro?” Oggi la liturgia ci indica Giuseppe, dubbioso. Ora se loro hanno avuto dei dubbi nella loro vita, può capitare anche a me, e non è peccato? Giuseppe è un poveraccio a cui Dio ha soffiato la ragazza, ma prima di tutto pensa: “come è possibile che Dio scelga proprio la mia ragazza e poi perché dovrebbe nascere in un buco di posto come Nazareth e non scegliere Gerusalemme, Atene, oppure Roma per il Suo Figlio?” Aveva la vendetta a portata di mano e benedetta dalle leggi che gli uomini attribuiscono a Dio… ma poiché è devoto alla Legge vera di Dio che nasce dal cuore, decide di mentire: dirà al rabbino di non volere più sposare Maria, che tornerà alla casa dei suoi; nessuno la vorrà più, ma, almeno, avrà salva la vita e l’onore. Sì,è giusto, Giuseppe, perché non giudica secondo le apparenze, perché non brandisce la Legge di Dio come una clava. È giusto, perché lascia prevalere la misericordia e l’amore alla vendetta, al suo orgoglio ferito. Nella notte, Dio gli parla al cuore e gli rivela: alla sua sposa ha chiesto un corpo, a lui chiede di portare la croce di allevare un figlio non suo. Il Figlio di Dio avrà il suo nome: Gesù della stirpe di Davide, il Messia. Ora comprende che Dio ha scelto per il suo Figlio Giuseppe come papà e Maria come mamma. Aveva certamente dei altri progetti, il buon Giuseppe: un laboratorio più grande, una casa spaziosa, dei figli cui insegnare l’uso della pialla e dello scalpello. Non aveva grandi pretese, questo figlio di Israele, un piccolo sogno da vivere con una piccola sposa. Ma Dio ha bisogno della sua mitezza e della sua forza, sarà padre di un figlio non suo, amerà una donna silenziosamente, come tanti padri che tirano la carretta ogni giorno, senza far pesare in famiglia la situazione finanziaria traballante, donerà tutto se stesso per prendersi cura del Figlio di Dio. Giuseppe e Maria sembrano il riflesso della prima mitica coppia, quella d'Adamo ed Eva, smarrita nella ricerca della propria realizzazione, nella dimenticanza d’ogni riferimento al Creatore. Giuseppe e Maria ribaltano la logica che aveva fino ad allora indirizzato il mondo: la dialettica del male che rimbalzerà, tra accuse e sensi di colpa, in un intreccio di violenze e di menzogne, lungo la storia di tutta l’umanità. Adamo aveva scoperto nel sonno la donna che gli avrebbe rivelato la bellezza della relazione. Giuseppe si addormenta, alle prese anche lui con la solitudine, nella ricerca di una soluzione che rispetti Maria. Ed ecco la risposta: «Non temere di prendere con te Maria, è tua sposa». parrocchiamadonnaloreto@gmail.com


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 «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la

sua sposa». Proprio sulla semplice umanità di Giuseppe si innesta la fede, che va oltre la giustizia umana e realizza il volere di Dio, portando Giuseppe a prendere con sé Maria come sua sposa. Così, lo scandalo diviene rivelazione: l’evento di contraddizione diviene occasione di obbedienza a Dio e di realizzazione della sua opera di salvezza. Non solo Giuseppe non rifiuta, non ripudia, non condanna, ma accoglie, prende con sé, com-prende che Dio vuole usare lui per un bene più grande. Dio ha bisogno di ognuno di noi, poveri, umili e semplici uomini.  Così ci prepariamo al Natale di Gesù, di nuovo, nella nostra vita personale, nella comunità cristiana, ma con uno spirito nuovo che nasce da un invito: “non temere!” Non temere di stare vicino a tuo figlio che non capisci più. Non temere di giocarti in una rinnovata fedeltà nell'amore coniugale. Non temere di prenderti cura di tua suocera ammalata. Non temere di stare vicino a tua madre che sta male. Non temere di dire tutta la verità a colui che ami. Non temere, dice il Signore, perché io sono con te… ora e per sempre, dal quel Natale di Betlemme. «Egli viene e con lui viene la gioia. Se lo vuoi ti è vicino. Ti parla, anche se non gli parli; se non l’ami, ti ama ancora di più. Se ti perdi, viene a cercarti; se non sai camminare, ti porta. Se tu piangi, sei beato per lui che ti consola; se sei povero, hai assicurato il Regno dei cieli. Se hai fame e sete di giustizia, sei saziato di speranza; se perseguito per causa della giustizia puoi in lui rallegrarti ed esultare.» (Primo Mazzolari) Il Signore accompagni i vostri passi di Avvento Fra Alberto

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FAME di GIUSTIZIA Ho conosciuto un ragazzo di 26 anni che era fuggito dall’Afghanistan per motivi politici. I talebani lo avevano catturato e messo in un campo di prigionia dove è stato torturato. Lo avevano appeso a testa in giù, attaccato a un albero con altri prigionieri. Uno di questi durante la notte è riuscito a liberarsi e il ragazzo l’ha chiamato, chiedendogli di aiutarlo a scappare... Ora questo ragazzo è in Grecia, è riuscito a ottenere il permesso e a trovare lavoro... Questa è una storia a lieto fine, ma la maggior parte non si concludono allo stesso modo... Molti richiedenti asilo arrivano dalla Turchia per mare e quando le condizione atmosferiche sono cattive spesso cadono in acqua, annegano o vengono feriti dall’elica dei motori... Arriva tanta gente ferita gravemente alle gambe o alle braccia ... (Caritas Grecia) Quelli che chiamiamo con disprezzo "clandestini" sono spesso persone che fuggono dalla disperazione, inseguendo il sogno di una vita più giusta. La Comunità di Sant'Egidio sta raccogliendo le firme perché i bambini nati in Italia da cittadini stranieri regolari possano acquisire la cittadinanza al momento della nascita e possano acquisire la cittadinanza anche i bambini, nati all'estero e giunti in Italia minorenni, che abbiano frequentato un ciclo di studi nel nostro Paese. Aiutiamo questa iniziativa informandoci su www.santegidio.org.

IL GRILLO E LA MONETA Un saggio indiano aveva un caro amico che abitava a Milano. Si erano conosciuti in India, dove l’italiano era andato con la famiglia per fare un viaggio turistico. Riconoscente, l’amico milanese aveva invitato l’indiano a casa sua. Voleva ricambiare il favore e fargli conoscere la sua città. Il giorno dopo del suo arrivo a Milano, il milanese e l'indiano passeggiavano per il centro della città. L'indiano, con il suo viso color cioccolato, la barba nera e il turbante giallo attirava gli sguardi dei passanti e il milanese camminava tutto fiero d’avere un amico così esotico. “Sai purtroppo a Milano ci sono solo macchine e smog” si lamentava il milanese. Ad un tratto, in piazza San Babila, l’indiano si fermò e disse: “Senti anche tu quel che sento io?”. Il milanese, un po' sconcertato, tese le orecchie più che poteva, ma ammise di non sentire nient'altro che il gran rumore del traffico cittadino. “Qui vicino c’è un grillo che canta”, continuò, sicuro di sé, l'indiano. “Ti sbagli”, replicò il milanese “io sento solo il chiasso della città. E poi, figurati se ci sono grilli da queste parti”. “Non mi sbaglio. Sento il canto di un grillo”, ribatté l’indiano e con sicurezza si diresse verso le foglie degli alberelli striminziti del parco. Dopo un po’ indicò all’amico, che lo osservava scettico un piccolo insetto, uno splendido grillo canterino. “Hai visto che c'era un grillo?”, disse l’indiano. “È vero”, ammise il milanese, “voi indiani avete l’udito molto più acuto di noi bianchi...” “Ti sbagli amico”, sorrise il saggio indiano. “Stai attento... e vedrai”. L'indiano tirò fuori dalla tasca una monetina e facendo finta di niente la lasciò cadere sul marciapiede. Immediatamente quattro o cinque persone si voltarono a guardare. “Hai visto?”, spiegò l'indiano. “Questa monetina ha fatto un tintinnio più esile e fievole del trillare del grillo. Eppure hai notato quanti bianchi lo hanno udito?”. Occorre vivere con un cuore attento alla voce di Dio che ti parla. Signore Gesù, figlio di Davide, tu hai voluto venire fra noi, nascendo dalla Vergine Maria e crescendo sotto la protezione di Giuseppe il giusto. Vieni Emmanuele, Dio con noi.

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Messaggio alle famiglie Natale 2010 •Carissime famiglie, amici, fratelli e sorelle è Natale… indaffarati tra pacchetti e panettoni, la Parola di Dio giunge ancora oggi al nostro cuore per ricordarci il centro di questi giorni che hanno cambiato per sempre il corso della nostra storia e del mondo: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama». A volte ci penso e mi sembra tutto così strano e assurdo… mi convinco sempre di più che Dio è veramente grande e che la sua fantasia d’amore supera di gran lunga ogni nostra immaginazione. •Il presepe, l’albero, le strade illuminate, i colori che circondano questa festa, gli auguri tra parenti e amici, i grandi pranzi e cene… tutto fa parte di un grande rituale consolidato della nostra tradizione, che ogni anno segna le nostre vite, la nostra società… ma con passare del tempo sembra di aver perso l’anima di questa festa, vissuta sempre più come un fatto scontato, una grande farsa buonista che lascia nella nostra anima un grande senso di amarezza. •Occorre sforzarsi per entrare nel cuore di questi festeggiamenti, superando la logica consumista degli sprechi e dei vizi, per festeggiare e incontrare il Festeggiato Gesù, che cambia realmente le nostre vite, il nostro modo di relazionarsi con il mondo e i fratelli. •Natale è prima di tutto una festa familiare, non solo perché rivediamo parenti e amici, ma perché è una festa che avendo al centro la nascita di un bambino, coinvolge tanti genitori e famiglie, che hanno provato questa intensa esperienza. Vorrei perciò salutare fraternamente tutte le famiglie che hanno avuto di recente un bambino. Pace a voi e tanta felicità. •Ma Natale ci coinvolge anche perché noi tutti siamo “figli”, avendo ricevuto il dono della vita dai nostri genitori e da Dio che ci ha pensato con amore. La vita è un dono prezioso che non va sprecato e Gesù è il dono della vita di Dio, che vuole illuminare le nostre esistenze. Ricordiamoci sempre che Gesù è nato per offrire la sua Vita perché tutti riavessimo vita in Lui. •Gesù è nato per noi. Scriveva Adriana Zarri, una sorella delle nostre terre canavesi dal grande spirito profetico: “Da oggi Dio non sei più solo Dio, da www.parrocchiamadonnaloreto.it

oggi uomo non sei più solo uomo. Il grembo di una donna ha fatto nascere qualcosa di nuovo sulla terra e nel cielo. E niente sarà più come prima.” •Gesù è per noi… cioè egli non appartiene solo alla sua famiglia, alla sua gente, alla sua stirpe… è per noi, dono per tutti e per ciascuno, è il Dio con noi che prende su di sé le miserie e le speranze di ogni uomo… per dare nuova vita e nuova forza alle aspirazioni profonde del nostro cuore. •Nessuno è escluso da questa felicità: non il divorziato-risposato, non l’omosessuale, né tanto meno chi si sente escluso dalla comunione ecclesiale. Dio è nella Chiesa, ma è molto di più della Chiesa. Gesù è la fonte di ogni gioia, comune ad ogni uomo, credente o ateo, perché su questo umile bambinello possiamo fondare il nostro amore matrimoniale, l’educazione dei nostri figli, la cura paziente dei nostri malati. In Gesù troviamo la certezza che ogni avversità, sofferenza o difficoltà può essere vinta… persino la morte. In Gesù troviamo la forza per costruire ogni giorno, nei gesti quotidiani, la speranza di un mondo migliore, per noi e per i nostri figli. È Gesù che ci permette di credere che vale la pena di amare questa nostra umanità ferita e infedele ai molti richiami di un Dio che si è sempre manifestato come Padre e Amante appassionato. •Gli angeli annunciano ai pastori: “Oggi vi è nato un Salvatore”. La Chiesa ancora annuncia quell’Oggi non solo come fatto storico, ma prima di tutto come un invito a riconoscere “oggi”, qui, nella nostra città, nella nostra comunità, nella nostra famiglia, nella nostra vita la nascita di Gesù Salvatore. Dobbiamo riconoscere come i pastori di aver bisogno di Salvezza, di una boccata di aria fresca che spazzi via lo stantio puzzo dei nostri pensieri troppo spesso stanchi, depressi, amareggiati, ipocriti e superficiali. Gesù è la novità autentica del nostro vivere, un regalo che ci viene direttamente da Dio per dare nuovo vigore alle nostre vite. “Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna”. Fratelli il Paradiso è già qui se noi accogliamo nelle nostre famiglie Gesù. Credere nel mistero dell’incarnazione significa fare spazio al Dio con noi nelle nostre vite e famiglie. Ecco perché insisto sempre sulla preghiera familiare che dovrebbe illuminare le vostre case di “immenso”, dare forza al vostro amarvi. •Pensate anche a Maria e Giuseppe: come è stato possibile il loro amore? Si sono lasciati sedurre da quel Figlio e Gesù si è lasciato amare umilmente da parrocchiamadonnaloreto@gmail.com


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una mamma e un papà come noi. Anche noi possiamo adottare Gesù in questo Natale. Maria e Giuseppe sono state le prime creature che hanno accolto e contemplato il volto del Padre. Maria e Giuseppe hanno visto in Gesù la bellezza di Dio e Gesù nei suoi genitori ha visto la bellezza di ogni uomo, di ognuno di noi amato dal Padre. Diventiamo per i nostri figli “bellezza” che porta serenità e li aiuta a crescere felici, senza bisogno di tante cose. •Gesù è nato in una famiglia e ha donato a tutti noi una famiglia… la nostra comunità parrocchiale, sia per tutti voi una famiglia, dove si sentite accolti e consolati, una comunità ricca di valori, umani e spirituali, fraterni e amicali. Viviamo insieme l’avventura della fede. L’amore non può essere solo qualcosa di intimistico o privato. Papa Giovanni XXIII chiamava la parrocchia, la “fontana del villaggio”. Sia la nostra comunità per tutti voi una fontana di gioia. •Natale allora porti in tutti i vostri cuori, in ogni casa, in ogni famiglia la voglia di credere che ci dona la forza per superare ogni tentazione di scoraggiamento e indifferenza. Ci aiuti a costruire una comunità sempre più bella, dove ogni contributo diventa prezioso per il bene di tutti, dove ognuno si senta valorizzato e sorretto nel cammino della vita. Insieme possiamo veramente aprire nuove vie alla speranza che tutto non ritornerà uguale dopo Natale… nuove prospettive nella nostra vita familiare, lavorativa o scolastica. •Il Signore viene… è in mezzo a noi, l’Emmanuele e tutto diventa possibile e ogni traguardo futuro realizzabile, perché Gesù ci ha aperto la vita ad una prospettiva nuova che guarda al bene di ogni fratello ben al di là di ogni singolo merito.

giornate…ma un speciale augurio vorrei rivolgerlo a tutte le famiglie che hanno un malato in casa, le persone che stanno attraversando un momento di difficoltà economica o spirituale, le famiglie che hanno perso di recente un caro, le tante famiglie di divorziati- risposati che si sentono messe da parte dalla Chiesa… siete tutti nel nostro cuore, anche se a volte non sembra, siete tutti nel mio cuore. PREGHIERA Dio in Gesù, domanda di essere amato: non temuto, non obbedito, non rispettato, non adorato. Chiede amore perché offre amore e non un amore qualsiasi: il suo è un amore smisurato, un amore fedele, indissolubile, di cui non possiamo dubitare, un amore misericordioso, benevolo, anche di fronte ai nostri tradimenti, un amore totale, donato in ogni istante della nostra vita. Ecco perché la risposta che si attende non è un amore qualsiasi, un brandello, una traccia, un rimasuglio del nostro cuore. No, Dio, in Gesù, si attende di essere amato con tutto il cuore, un cuore indiviso da non spartire con qualche idolo, con tutta l'anima, un'anima ardente che lo cerca ad ogni istante, con tutta la mente, una mente limpida libera da tante contorsioni complicate, una mente rischiarata dalla Sua luce. E l'amore per Gesù non può essere affatto separato - se è autentico - da un amore altrettanto grande per i nostri fratelli, perché sono come noi, in cammino insieme a noi, perché siamo tutti figli di Dio in Gesù che nasce per noi. •Gesù nasce ancora oggi… nasca nelle vostre case, fratelli e sorelle •Buon Natale, sereno e lieto… porti a tutti voi il coraggio della pace, del perdono, dell’amore… porti a tutti voi la speranza di un domani migliore insieme. Pace e Bene. fra Alberto

•Saluto calorosamente tutti i fratelli e le sorelle che vivono felicemente insieme, le persone anziane che in questi giorni vedono gli amati cari insieme riuniti nelle loro case, tutti i bambini che gioiosamente rallegrano le nostre www.parrocchiamadonnaloreto.it

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Numeri 6,22-27 Salmo 66 Galati 4,4-7 Luca 2,16-21

Maria Santissima Madre di Dio Un nome, un programma, una vita  Inizio di anno In questo primo giorno dell’anno la chiesa ci invita a rivolgere lo sguardo a Maria, Madre di Dio. Le parole dell’angelo Gabriele sono divenute realtà: Maria ha concepito un figlio, lo ha dato alla luce e lo ha chiamato Gesù. A lui, il Figlio Unigenito di Dio, la Madonna ha donato un corpo di carne, che diverrà lo strumento per riscattare coloro che erano sotto la legge e renderli figli di Dio. Dio non solo le ha chiesto di dare un corpo di carne al suo Figlio, ma le ha chiesto di custodire nella vita questo grande “dono del Padre”. La Vergine di Nazareth ha saputo dire "Sì" a un avvenire a lei sconosciuto, dando credito alle parole dell'angelo. Ha creduto e ha affidato la sua vita nelle mani di Dio. Anche noi oggi siamo chiamati a dire il nostro "Sì", accogliendo con fiducia quanto il nuovo anno ci riserva, nel bene e nel male, confidando sempre nella provvidente presenza di Dio accanto a noi. D’altronde sappiamo che la volontà di Dio è che il mondo viva, cresca, conosca il bene, la gioia. Maria non ha svolto opere straordinarie e non capì immediatamente quanto doveva affrontare. Ci auguriamo anche noi di vivere il dono dei giorni di questo nuovo anno con lo spirito di Maria, Madre di Dio, che serbava nel suo cuore ogni cosa, meditandola ogni evento alla luce del grande progetto dell’amore di Dio, rivelatogli dall’angelo Gabriele. Le parole di Dio furono luce ai suoi giorni.

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 Un nome, una vocazione La festa odierna invita a contemplare e a lodare la maternità della Vergine. Maternità divina, perché nel suo grembo il Figlio di Dio si è fatto uomo! La generazione eterna del Padre e la generazione nel tempo di Maria hanno lo stesso punto terminale: Gesù Cristo. Quando nel 431 il Concilio di Efeso ha definito Maria «Madre di Dio» non ha sottolineato solo una sua funzione, ma ne ha definita la profonda identità. Nella Bibbia, il nome significa identità, affermazione dell’unicità della persona nel disegno di Dio. E nella Scrittura troviamo parecchi episodi nei quali il Signore cambia il nome a certi personaggi: Abramo e Sara, Giacobbe ... e infine Simone, che diverrà Pietro. Quando un uomo è insignito di una speciale missione, e acconsente alla propria vocazione, acquista un nome nuovo, che esprime una novità: l’identità non è più la stessa, ma è trasformata dall’incontro con Dio e arricchita di un nuovo dono. Ciò capita anche a Maria. Riceve una missione unica e irripetibile: è chiamata a essere Madre di Dio. Nella storia sarà il titolo con cui la designeranno quanti crederanno nel Figlio suo. Anche al Figlio è dato un nome, Gesù, lo stesso indicato dall’angelo al momento del suo concepimento verginale. Un nome è dato nel battesimo anche ad ogni uomo che diventa “figlio di Dio”: noi diventiamo figli nel Figlio e il nome battesimale segna il legame con Cristo del quale diventiamo fratelli. È la nostra nuova identità fondata sulla sua vocazione. Maria e Gesù hanno vissuto la loro vita nella fedeltà al disegno di Dio, compiendo fino in fondo la missione affidata loro da Dio. Ogni credente è chiamato a vivere la propria vita a partire da questa vocazione e dal dono grande della Vita divina che ha ricevuto nel battesimo rinascendo alla vita in Dio.  Donna di fede «Maria custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». Un filo collega l’atteggiamento spirituale di Maria che medita l’evento dell'Incarnazione e l’atto fisico di generare il Salvatore: la fede. E la fede del suo «sì» all’angelo che la rende fisicamente Madre; la fede della mente e del cuore, che la apre alla feconda ed unica maternità spirituale, verso Cristo e verso ogni uomo. Ed Elisabetta incontrando Maria la proclama beata per la fede che ha reso possibile la maternità fisica (cf. Lc 1,45). Un giorno Gesù confermerà questa beatitudine lodandola per aver ascoltato la parola di Dio ed averla osservata (cf. Lc 11,28). parrocchiamadonnaloreto@gmail.com


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Maria è diventata Madre di Dio per la sua fede maturata nel tempo, attraverso un cammino che ha conosciuto momenti oscuri. Ha capito che Dio manteneva le sue promesse, i destini di misericordia per l'uomo. E meditando le cose nel cuore, ha conservato, approfondito, sviluppato le parole, i gesti di Gesù, gli eventi che lo riguardavano, in una fede lucida e ardente. La crescita e lo sviluppo della fede di Maria sono figura di quelli della Chiesa e dei credenti. Essi hanno il compito di far crescere e sviluppare la fede ricevuta nel Battesimo per approfondire la verità, assimilarla in una convinzione personale e testimoniarla con la vita.  Benedizione e Pace Il cammino di fede è la via regale per accogliere due valori: la benedizione divina e la pace. "Il Signore ti conceda pace!»: respiriamo in queste parole della prima lettura una benevolenza di cui siamo avidi. Ci auguriamo che questa benevolenza non ci chiuda in un senso di benessere spirituale che basta a se stesso, ma ci apra al mondo, agli altri. La pace del cuore è un dono che va condiviso, destinata com'è a contagiare il mondo non solo dentro, ma intorno a noi. Oggi in un certo senso è tornato di moda "il sacro'; ma non è questa la vittoria di Cristo. Le nostre espressioni di lode e di preghiera, la nostra adorazione, sono certamente importanti per metterci in comunione con Dio, ma acquistano valore davanti a Dio quando sono accompagnate dalle opere buone, compiute per diffondere quella pace che il Signore Gesù è venuto a portare. Noi ragioniamo, discutiamo, evangelizziamo, adoriamo perché vogliamo vivere il vangelo. Maurice Zundel ha scritto: «Dio è in noi, e appare quel tanto che noi lo lasciamo trasparire. È inutile dimostrarlo, dobbiamo mostrarlo». In altre parole forse Dio non ci chiederà: «Sei stato un credente?» ma sicuramente: «Sei stato credibile? Come dire: la tua testimonianza nella vita di ogni giorno, ha aiutato i tuoi fratelli e sorelle a credere che “Dio li ama”? La benedizione di Dio in Cristo Gesù deve insegnare ad ogni credente a ringraziare, ad implorare l'aiuto di Dio per essere fedele al suo progetto. Una benedizione che deve essere il segno e la testimonianza della fede. Fede nel Signore, che è presente anche nei momenti bui della vita, e che fa brillare sull’uomo il suo volto di amore, per donarci la speranza e la forza della pace. Solo lo sguardo di Dio genera pace. Come Maria, ogni battezzato che custodisce e medita nel cuore gli eventi della storia con un atteggiamento di fede, non si lascia travolgere da questi, ma si mette in ascolto di ciò che Dio vuole dire, restando nella pace. Una pace accolta, ma anche voluta. Essa è un dono che si perde quando manca la speranza. Se, come Maria, ogni battezzato medita su ciò che Dio dice all’uomo con la nascita di Gesù, ritrova la pace e vive in essa. www.parrocchiamadonnaloreto.it

 Una vita diversa Gesù passa anzitutto attraverso la fede di Maria, che accoglie il progetto divino e vi si rende totalmente disponibile, come l'ancella del Signore, tutta dedita alla Sua volontà. Ma Gesù agisce anche negli umili pastori, che ripartono dalla grotta e lodano Dio. La loro vita certamente non sarà più quella di prima. Tornando alle loro occupazioni e condizioni abituali non dimenticheranno più quella nascita, quell’innocenza e quell’amore. Non lasciano che tutto torni come prima, conserviamo nel cuore la “bellezza” del Natale di Gesù… e allora sarà veramente un “nuovo” anno, perché vissuto con un cuore “nuovo” nell’incontro con Gesù, che ci ha cambiato dentro. PREGHIERA O volto sorridente di Gesù, sguardo dolce di Madre che illuminate questo giorno, benediteci e ridonate speranza ai nostri giorni. Inizio di un anno, vita d'amore, aspettativa di pace profonda, sguardi che si incrociano, desideri che riemergono in attesa di trovare compimento, speriamo da voi aiuto, sostegno, incoraggiamento e ... futuro. Donateci un volto sorridente, un volto accogliente, prospettiva di grazia e di pace, fiorire di vita, respiro ai nostri giorni, luce per il cammino che inizia. Il Signore accompagni i vostri passi nel nuovo anno nella Pace. Fra Alberto

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Isaia 60, 1-6 Salmo 71 Efesini 3, 2-3a.5-6 Matteo 2, 1-12

Epifania del Signore “Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo” Giornata dell’Infanzia Missionaria La festa dell’Epifania (Manifestazione) fa splendere ancora oggi a tutti i popoli e a tutte le culture la Luce del Natale: in Cristo Gesù si manifesta la salvezza di un Dio che non è solo il Re degli Ebrei, ma di ogni popolo della Terra. Ogni uomo è chiamato a riconoscere in Gesù l’unica strada della pace, della giustizia, della salvezza. Alla “manifestazione” di Dio deve corrispondere l’accoglienza e l’adorazione della nostra vita. L’Epifania è la festa della nostra fede: i Magi, come i pastori a Natale, lo hanno riconosciuto autenticamente come Principe di pace, gli hanno offerto i doni della loro vita, rivelando in Lui il Re dei re, il Dio degli dei, la Vittima Pasquale per la salvezza di ogni uomo. Il Bambino di Betlemme è il Signore dell’universo che offre la sua Vita perché il creato riabbia Vita in Lui. Ora ogni incontro con Dio in Gesù non può che realizzarsi in un offerta della nostra vita, come hanno fatto i Magi:  Oro: “Tu sei il mio Re, te solo desidero seguire”  Incenso: “Tu sei il mio Signore, te solo desidero adorare”  Mirra: “Tu sei Colui che ha dato la vita per me, te solo desidero amare”.  Il Dio dei contrasti Nella notte di Natale abbiamo compreso che Dio è venuto “povero fra i poveri” (pensate al presepe di Greccio fatto da S. Francesco) ma oggi scopriamo che egli è venuto per illuminare le menti e i cuori di coloro che non sono poveri economicamente, ma che umili nell’animo hanno cercato per tutta la vita la luce della Verità che è Gesù. Se voi osservate il racconto evangelico scopriamo degli opposti: Gesù non nasce a Gerusalemme centro del potere politico e religioso, ma a Betlemme, umile borgata che aveva dato i natali al re Davide; inoltre i sacerdoti (professionisti del Sacro e della Bibbia) non riconoscono Gesù, mentre i Magi (pagani e che non conoscono le Scritture) vedono in Gesù il Messia e Luce di Verità per il mondo intero; infine Re Erode (falso re non ebreo) è al potere, mentre Gesù (ebreo e vero Re) è costretto a fuggire in esilio (in Egitto come il popolo di Israele, per tornare come nuovo Mosè). www.parrocchiamadonnaloreto.it

 Dio dei lontani I Magi vengono da lontano non solo in senso geografico, ma soprattutto allegorico: sono pagani ma con il cuore e gli occhi aperti. Per prima cosa cercano la verità e non hanno paura di porsi delle domande. Posseduti da un reale desiderio interiore colgono subito i segni nel cielo della storia. Utilizzano la loro scienza e intelligenza lasciandosi illuminare dalla luce della grazia (i “semi della Sapienza divina” di cui parlano i primi Padri della Chiesa). Quando giungono a Gerusalemme mostrano di conoscere l’identità del Re dei re e al loro arrivo non si lasciano scandalizzare dal Bambino di Betlemme, accolgono la sorprendente novità e sperimentano la gioia della fede per pura grazia. Riconoscono in quel bambino quella Luce della Sapienza divina che li ha preceduti, guidati e accompagnati nella vita. Attraverso quella luce è Dio stesso ad averli presi per mano. Ogni uomo infatti cerca il volto di Dio, ma scopre ben presto in Gesù che è primariamente Dio che cercare l’umanità perduta nel peccato (Il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei? ” Gen 3,9), Dio attira ogni uomo a se attraverso il Figlio Gesù donato all’umanità.  Dio della vita nuova I Magi adorano il Bambino e poi ripartono. Non sono più gli stessi di prima: quella Luce e quella Grazia li accompagneranno sempre. Non si può uscire indenni dall’incontro con Dio. Il loro ritorno non sarà un semplice ripercorrere i propri passi, ma la loro vita sarà un sempre nuovo viaggio accompagnati da una Presenza. Il loro quotidiano sarà illuminato da una luce nuova, che li spinge ad una responsabilità: lasciar crescere in loro quella Luce che li spinge a crescere, a cambiare, ad amare.  Manifestazione del vero Amore Gesù è la manifestazione della Vera Umanità, che si offre nell’amore di Dio per i fratelli, la scandalosa debolezza di un Dio che si mette nelle mani di ogni uomo senza condizioni, la forza di un Dio che è venuto a condividere la strada della storia di ogni uomo per donare luce, pace, giustizia ai nostri giorni. Betlemme porta al Calvario perché ognuno di noi scopra che c’è sempre una possibilità di salvezza in Dio, senza meriti per puro Amore. Il Signore vi illumini con il Suo Amore che Salva. Fra Alberto parrocchiamadonnaloreto@gmail.com


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Battesimo del Signore “Gesù, il Figlio Amato del Padre” Isaia Salmo Atti Matteo

42,1-4.6-7 28 10,34-38 3, 13-17

“Ogni fine è solo l’inizio di un nuovo percorso nella fede.” Abbiamo visto Gesù bambino e in pochi giorni facciamo un salto di 33 anni. In mezzo l’esilio in Egitto, il ritorno in Galilea alla morte di re Erode, la vita semplice e nascosta a Nazareth. Cosa sarà successo in quegli anni? Il Vangelo di Matteo non ci dice nulla… ma oggi ecco che Gesù riceve proprio dal Padre che è nei cieli l’investitura per la sua missione di Messia: “Tu sei il Figlio Amato”. Non più gli angeli, non più i pastori, non più i saggi Magi pagani, ma proprio il Padre di Gesù, che da quel giorno diventa anche nostro Padre, rivela a noi chi è Gesù e chi siamo noi. Mentre esce dall’acqua si aprono i cieli, scende su di lui lo Spirito e il Padre trova il suo compiacimento nel Figlio amato. Gesù oggi è immerso nell’acqua del Giordano, trasformando tutte le acque in acque apportatrici di salvezza e di grazia. Attraverso il suo battesimo ha immerso ciascuno di noi nella sua morte e nella sua risurrezione, cioè nella sua vita divina senza fine. Questa festa in quanto “manifestazione” piena di Gesù fa da chiusura del tempo di Natale e da giusta apertura al tempo ordinario, il tempo della Chiesa e del suo concreto impegno di vivere quotidianamente l’insegnamento di Cristo.

Guardando al Tuo cuore di misericordia: Convocati sulle rive del Giordano per riconoscere in Gesù il salvatore del mondo, datore dello Spirito che vivifica, riconosciamo di essere peccatori e invochiamo su di noi il dono della sua misericordia che ci purifica dal male: Servo del Signore su cui riposa lo Spirito Santo: porta il vangelo agli uomini che cercano la verità. Kyrie, eléison. Eletto di Dio che non spezzi la canna incrinata: abbi misericordia di noi che siamo fragili e deboli. Christe, eléison. Luce delle genti, che hai realizzato in te il progetto di salvezza del Padre: insegnaci a compiere nell'obbedienza la volontà di Dio. Kyrie, eléison.

MEDITAZIONE:  Venne al Giordano Il Figlio di Dio si presenta così nel mondo: in fila con i peccatori, solidale con l’umanità ferita. Come uomini, ci saremmo aspettati qualcosa di più. Anche il Battista prevedeva un’entrata più solenne, grandiosa… e invece Gesù non tradisce lo stile di Betlemme, semplicità e umiltà. Forse preferivamo un Gesù “super-eroe” che alla maniera di Batman, un Dio che metteva tutte le cose a posto e all’inferno tutti i cattivi della Terra. Ma Dio, per fortuna non ragiona così... trent'anni di silenzio per mettersi in fila con dei peccatori, lasciarsi immergere

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“Dopo il battesimo di Gesù si aprirono i cieli, e come colomba lo Spirito di Dio si fermò su di lui, e la voce del Padre disse: «Questo è il Figlio mio Amato, nel quale mi sono compiaciuto». (Mt 3,16-17) nell’acqua del Giordano, in questa umanità che lo farà morire circa tre anni dopo! E, come se non bastasse, il Padre acconsente a questo stile: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento». La giustizia umana non ammette sconti: chi sbaglia deve pagare! La giustizia divina segue altre vie per salvare il mondo. Al Giordano si manifesta il modo di agire abituale del Figlio di Dio: misericordia, pazienza, solidarietà con l’umanità ferita. Così Gesù parla a Giovanni: “Lascia fare per ora perché così conviene che adempiamo ogni giustizia.” Proprio questa è la volontà del Padre: Dio in Gesù si fa uno di noi, ma per donarci la Sua Vita divina. Ora il Figlio di Dio si abbassa, è come se scendesse insieme con ogni uomo al fondo della propria umanità, ma prendendoci per mano e aiutandoci a risalire dall’abisso del nostro cuore, ci ridona la Gloria del Padre. Il Figlio di Dio si fa uomo condividendo le conseguenze del peccato, per aprire ogni creatura alla speranza, “c’è una medicina alla sofferenza del proprio cuore”, per donarci la forza per ritornare a vivere da “figli amati dal Padre”. Cristo, l’unico giusto, è venuto ad abitare con noi, e non si è vergognato di chiamarci “fratelli”. Dio si china in Gesù su questa nostra umanità, si mette accanto a noi, ci indirizza e ci consiglia, accettando anche di vedere cadere nel vuoto i suoi richiami d’amore, gli inviti e incoraggiamenti al bene… Dio ci ama a tal punto da accettare di essere escluso dalla nostra vita, ma sapendo sempre che la forza del suo amore è molto più forte del nostro peccato. In Gesù veramente questa umanità è redenta e salvata (“Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando” At 10,38).

 Si aprirono i cieli Dio si è affacciato dal cielo e ha inaugurato i tempi nuovi della Grazia. In Gesù, servo obbediente, si manifesta la pedagogia divina: “non griderà, non spezzerà, non spegnerà” (Isaia 42,2-3). Dio si propone liberamente all’umanità, nella mitezza e nella misericordia; “non verrà meno e non si abbatterà” di fronte al rifiuto dell’umanità. Dio in Gesù ha fatto una alleanza eterna con noi tutti e da quel giorno nulla più potrà dividere il Creatore dalla creatura, tutto è riconciliato nel Suo Amore, tutto è salvato. Nel giorno del nostro battesimo a ciascuno di noi Dio ha detto: «Tu sei mio figlio, mia figlia, l’amatissimo». Questo rappresenta per noi tutti un vanto, anche se a volte ce ne vergogniamo con la vita. Anche se la maggioranza nel nostro paese è battezzata, ancora troppo spesso non conosciamo la bellezza di questo Dio che ci Ama, non lo ascoltiamo e non viviamo del Suo Amore, non cerchiamo il suo volto, non dedichiamo del tempo per conoscerlo. Sappiamo che esiste ma non ci lasciamo sedurre dal Suo Amore. Non facciamo del male a Dio, ma a noi stessi ignorando questo Amore che salva. Dio vuole fare meraviglie nella nostra vita, vuole fare della nostra vita una meraviglia. Dio in Gesù si mette accanto a noi: forse è arrivato il tempo di alzare gli occhi e contemplare i cieli aperti, lasciarci illuminare dal volto del Padre, da quello sguardo che purifica le nostre vite e dona la freschezza di una speranza di vita nuova nel Suo Amore. Il Signore vi doni Pace. Fra Alberto

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II Domenica del Tempo Ordinario Anno A

“Gesù, l’Agnello di Dio” Isaia Salmo Atti Matteo

42,1-4.6-7 28 10,34-38 3, 13-17

Nel Vangelo di oggi Giovanni il Battezzatore vede Gesù venire verso di lui e ci Giovanni, vedendo Gesù svela il mistero di Gesù il Signore attraverso sei frasi. venire verso di lui, disse: 1. Anzitutto, dice «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba «Ecco l’agnello di Dio, dal cielo e rimanere su di lui» Il verbo "rimanere" denota la presenza stabile colui che toglie il peccato dello Spirito di Dio su Gesù, presenza che lo qualifica per il suo compito del mondo! … “Colui sul messianico. Giovanni è il testimone per eccellenza perché vede scendere e quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito su Gesù. A questo si aggiunge la voce del Padre che nei rimanere lo Spirito, è lui sinottici viene dal cielo e dice: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il che battezza nello Spirito mio compiacimento” (Mt 3,17; Mc 1,11; Lc 3,22) Santo”». (Gv 1,29.33) 2. Poi, Giovanni afferma “Proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: «Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo». Gesù non solo ha in sé ma dona lo Spirito che dà vita, lo Spirito che vivifica e rende capaci di dare testimonianza, lo Spirito che fa nascere nuovamente e dona, a coloro che accolgono Gesù, la possibilità di diventare figli di Dio. Abbiamo visto la scorsa domenica che Gesù scende nelle acque piene dei peccati dell’umanità e le vivifica con lo Spirito del Padre, rendendoci “figli e testimoni dell’Amore del Padre. 3. La terza frase riferita a Gesù ci svela la sua natura divina: «Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”». Nel prologo di Giovanni (Gv 1,1-18) leggiamo che “ il Verbo/ l’Unigenito Dio è nel seno del Padre”. Gesù è quindi il preesistente, Colui che era in principio presso Dio (1,2) e che si è fatto uomo per rivelarci il Padre e il suo progetto di salvezza. 4. Giovanni si aspettava un Messia “giudice inflessibile”, che avrebbe realizzato il giudizio di Dio sul mondo. Ora invece la venuta di Gesù ha sconvolto la sua visione del Messia: «Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni il Battista e Gesù si conoscevano sicuramente, in quanto tra loro c'era un grado di parentela. E allora perché non lo conosceva? La frase va compresa in senso più profondo. Tutti noi sappiamo che ci sono diversi gradi di conoscenza tra le persone: dipende dalla vicinanza, dall'amore, dal tempo che si dedica alla relazione. Paradossalmente succede spesso che ci accorgiamo di conoscere meglio una persona estranea di una della nostra famiglia. Inoltre nella vita di ogni giorno ci si può sbagliare sul conto di un figlio, di un amico, perfino del coniuge: la visione distorta è determinata dai giudizi e dalle attese che noi abbiamo su quella persona. Giovanni il Battista riconosce di aver sbagliato il suo giudizio sul Messia: solo ora comprende il senso della missione di Gesù e la sua vera identità. “Io non lo conosco” vuol dire “non ho capito” chi era Gesù. Adesso davanti ai fatti capitati al Giordano Giovanni comprende che Gesù è il Messia... ma un Messia non come lui se lo aspettava. Avviene nel cuore di Giovanni un cambiamento di mentalità. Nel deserto, praticando un’ascesi molto esigente, si era rivolto ai peccatori con accenti quasi rabbiosi. Prospettava scenari apocalittici, castighi imminenti, fuochi purificatori. Stando alle sue previsioni il Messia avrebbe dovuto essere un giudice implacabile. Ora il Battista ha capito. 5. Giovanni ha compreso che Gesù è il Messia, ma non un Messia politico o guerriero, chiamato a restaurare il regno di Israele del re Davide, sconfiggendo i Romani e tutti i nemici degli ebrei. Gesù è il Servo di Javhé secondo le profezie di Isaia. «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» Si profila in questa parola di Giovanni, l'immolazione del Signore per il suo popolo. Il Battista, dopo avere visto il modo e lo stile di Gesù Messia, talmente inatteso da scardinare le sue certezze, allarga il cuore alla testimonianza: egli è l’Agnello di Dio. Nel giorno dello Jom Kippur un capro veniva caricato di tutti i peccati del popolo e poi lasciato libero nel deserto dove veniva sbranato dalle fiere. Giovanni vede in Gesù non solo la determinazione e la forza del capro nell’affrontare il suo destino espiatorio, ma anche la mitezza e la rassegnazione dell’agnello pasquale, che viene ucciso senza un lamento. Il Messia non sarebbe venuto per www.parrocchiamadonnaloreto.it

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gettare la pula, noi peccatori, in un fuoco inestinguibile, non c’era nessuna ascia pronta ad abbattere nessun albero. Il Messia, Gesù, avrebbe zappato e concimato ogni albero, ogni nostra vita, attendendo i frutti della nostra conversione. Gesù è Messia, datore dello Spirito di Dio, della Sua Vita che ci purifica dal Peccato. Lo stupore del Battista diventa la nostra speranza: è sempre così inatteso il nostro Dio, sempre così diverso da come ce lo immaginiamo! Il giudice terribile è divenuto un agnello e il fuoco distruttore lascia il posto a un salvatore che porta su di sé il peccato del mondo, che si mette in fila con i peccatori, solidale con gli uomini e dal di dentro della nostra umanità ci salva. Gli occhi del Battista si sono finalmente aperti e hanno intravisto l’identità e la missione di Gesù, di questo uomo ordinario, figlio di un carpentiere, che viene da Nazaret e si manifesta come Figlio di Dio. 6. Al termine del lungo discorso Giovanni afferma con forza la sua testimonianza: «E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio». Sulla bocca del Battista l'espressione "Figlio di Dio" è un equivalente di "Messia", l’unto di Dio, l’atteso discendente di Davide (vedi 1Sam 7,14; Sal 2,7). Giovanni proprio perché ha visto scendere la Spirito su Gesù può testimoniare che è Messia. La grandezza di Giovanni non consiste tanto nell’aver cambiato idea, ma nell’aver saputo ascoltare quanto lo Spirito gli ha rivelato, a proposito di Gesù di Nazaret. Non si arriva col buon senso a dedurre che Gesù di Nazaret è il Figlio di Dio. Ci si arriva per rivelazione. Dirà infatti proprio Gesù a Simon Pietro: «Non la carne, non il sangue, ma il Padre te lo ha rivelato!”. Ci si arriva ascoltando le Scritture. Giovanni il Battista ha scrutato le Scritture tenendo gli occhi ben aperti sul mondo e ha scoperto così che non l’agnello pasquale immolato per ringraziare Dio della liberazione dalla schiavitù di Egitto, ma Gesù è il vero agnello pasquale, immolato per liberarci dalla schiavitù del peccato, con il quale celebriamo la vera Pasqua! Le parole di Giovanni, il testimone di Cristo, ci sono familiari: le ascoltiamo ogni volta che partecipiamo alla messa, mentre celebriamo il sacrificio di espiazione e di lode: infatti in Gesù troviamo la forza della fedeltà all’amore del Padre e la gioia di lodarlo con la nostra vita. La missione di Gesù è quella di unire la terra e il cielo, di far dimorare lo Spirito santo in questo mondo, nei nostri cuori, perché siano ricreati. Giovanni Battista ha compreso che questo uomo, Gesù, è il liberatore che porta su di sé il peccato del mondo, colui che crea un mondo nuovo e una terra nuova. Come Giovanni chiediamo anche noi lo Spirito Santo per comprendere il grande mistero di Dio, che in Gesù si fa nostro fratello e amico. Se solo permettessimo allo Spirito di Dio che abita in noi di parlarci, di spiegarci, di rivelarci la bellezza di Gesù il Cristo e di tutte le persone che fanno la nostra vita, potremo scoprire che sono veramente un dono speciale di Dio per noi. Potremmo con Giovanni stupirci e stupire il mondo con il coraggio del nostro amore, testimoni dell’Amore del Padre. Il Signore vi doni Pace. Fra Alberto

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III Domenica del Tempo Ordinario Anno A

“Una chiamata sorprendente per gente che non conta”

Isaia Salmo 1 Corinti Matteo

8,23b-9,3 26 1,10-13.17 4,12-23

 Ok, ci siamo, si parte! Gesù esce allo scoperto e dà inizio alla grande avventura della sua missione… ma inizia là dove noi non ce lo aspettiamo: non da Gerusalemme, dal centro del potere, ma dalla periferia, dal Bronx d’Israele. Quando Giovanni è ucciso in Giudea dalla prepotenza di re Erode, Gesù si ritira in Galilea. La scelta - come sempre! - non è casuale: la regione di Zabulon e Neftali è un territorio di frontiera, luogo di mescolanze etniche, culturali, religiose, guardato con diffidenza dai puritani di Gerusalemme. Qui nel 734 a.C. l’esercito assiro aveva deportato tutta la popolazione ebrea e aveva stabilito in quelle terre genti pagane del Nord. La pulizia etnica non è una novità, ma il profeta Isaia annuncia una speranza per quegli ebrei costretti all’esilio: “Il popolo che camminava nelle Mentre camminava lungo il tenebre ha visto una grande luce” (ls 9, 1). Isaia crede nel nuovo re di mare di Galilea, vide due Gerusalemme, Ezechia, ma soltanto con Gesù questa speranza si avvera in fratelli, Simone, chiamato pienezza. Pietro, e Andrea suo  Ricordate il battesimo al Giordano? Gesù in fila con peccatori. Ci risiamo. Il neofratello, che gettavano le Rabbì sale a Cafarnao e stabilisce qui il suo campo base, in mezzo a genti pagane, fra i reti in mare; erano infatti peccatori. Agli occhi dei giudei, i galilei erano dunque gente da poco, che non pescatori. E disse loro: apparteneva al popolo eletto, anche se aveva aderito alla religione ebraica. E là che Gesù aveva trascorso la sua infanzia dopo l’esilio in Egitto, la sua giovinezza a Nazaret. «Venite dietro a me, vi farò Per trenta lunghi anni aveva vissuto nel silenzio qui e proprio da qui voleva inizia la sua pescatori di uomini».. (Matteo 4,18-19) missione di Messia. A questi poveri, disprezzati dai giudei praticanti, è annunziato che il Regno è vicino per chi lo accoglie con un cuore nuovo.  Gesù inizia a chiarire subito che lui è diverso, che non cerca i primi della classe e va dritto nel Bronx per far risuonare la parola bruciante della conversione! In tutto questo Matteo vede il compimento della profezia di Isaia. Proprio qui, in questa terra guardata con disprezzo dai palazzi dell'autorità religiosa, Gesù sceglie i suoi primi compagni di viaggio. Con questo gesto il Rabbì di Nazareth ribalta la consuetudine in base alla quale erano i discepoli che andavano in cerca di un maestro a cui aggregarsi. Gesù non perde tempo nel far capire che lui non è come gli altri, che lui è diverso, che nella sua Parola ci sono una bellezza e una potenza inaudite.  Gesù «pur essendo di condizione divina» (Fil 2,6), scelse di stare con la gente che non conta. Quando noi vogliamo portare avanti un progetto che ci è caro, selezioniamo collaboratori di prestigio. Lui invece invita a collaborare con lui persone normalissime, lavoratori come noi: chiama dei pescatori senza cultura, con un forte accento provinciale che li farà riconoscere a Gerusalemme appunto come provenienti da una terra considerata pagana, gente di serie B per i dotti da Gerusalemme, ma di serie A per Gesù. Noi siamo per Gesù di serie A, anche se ci consideriamo persone fragili, peccatrici, limitate, grossolane, non adatte a predicare il Vangelo… Gesù chiama oggi proprio noi: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini».  Mi ha sempre stupito questa scelta: il primo incontro di Gesù con i suoi discepoli non avviene nella sinagoga o al tempio, ma sulle rive del lago, in pieno lavoro. Simon Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono sul lago, luogo della loro fatica quotidiana: un mestiere duro quello del pescatore, che richiede tanta pazienza e attesa. Gesù li raggiunge proprio lì, nel luogo della loro fatica quotidiana. È qui che gli ignari futuri discepoli, che ancora stringono nelle mani callose le reti della pesca, sentono per la prima volta la voce di Gesù e incrociano il suo sguardo. Basta una parola: «Seguitemi». Le reti scivolano fuori dalle mani. Così tutto inizia. Subito lo seguono, non hanno tentennamenti. È veramente grandiosa questa partenza: Gesù non espone una dottrina, non interroga sui dieci comandamenti, non chiede se sono fedeli alle preghiere. Niente di tutto questo! Gesù li chiama a stare con lui, per fare nuovo il mondo. La nuova vita nasce nel quotidiano, dove passa Gesù. Oggi inizia una nuova vita anche per te. Gesù è il centro della tua “nuova vita”.  L’esperienza della nostra fede parte da qui, da questa chiamata a stare con lui, a camminare in sua compagnia, a nutrirci della sua Parola, a godere di questo incontro. A volte - purtroppo! - l'esperienza cristiana è ridotta ad un elenco di cose da fare e altre da non fare, come se tutto si risolvesse in un gigantesco gioco a punti, dove ti conquisti il paradiso se hai tutti i bollini appiccicati al posto giusto! La vita del discepolo, per fortuna, è molto do più! Gesù ti viene www.parrocchiamadonnaloreto.it

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Parrocchia Madonna Loreto Frati Cappuccini - Chivasso a cercare, ti vuole scovare dentro il tuo Bronx, viene a cercarti nella tua quotidianità e ti invita a stare con lui. Non ti preoccupare di trovarlo… lasciati trovare da Lui e seguilo subito. Non farti prendere dai “se” o dai “ma”. Seguilo subito e tutto nella tua vita sarà diverso.  Oggi preghiamo per l’unità dei cristiani. In un mondo dove ogni uomo pensa a se e al suo prestigio, Gesù ci propone di lavorare insieme per la Chiesa e per il Regno di Dio. Ecco il cambiamento di mentalità al quale siamo invitati: non più lavorare per nostro conto, ma per il bene degli altri, non più per ricevere prestigio o successo, ma per dare prestigio e successo al Vangelo di Gesù, attraverso le nostre fatiche quotidiane. «Seguitemi», metteti in cammino. Il nostro Dio è un Dio di strada, che va avanti, non è statico. Abbandona i tuoi preconcetti, scopri la bellezza sempre nuova, sempre sorprendente, mai scontata del Vangelo. Seguire Cristo non richiede qualità particolari, non è una scelta elitaria: basta essere pronti a camminare verso la luce, a servizio degli uomini e non più dei nostri piccoli comodi. Siamo di Cristo: facciamo della nostra vita un capolavoro di Cristo.

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IV Domenica del Tempo Ordinario Anno A

“La Beatitudine del cristiano: confidare solo in Dio”

Sofonia Salmo 1 Corinti Matteo

2,3;3,12-13 145 (146) 1,26-31 5,1-12a

Beati i poveri, gli afflitti, i miti... Beati i misericordiosi, i puri di cuore... Beati gli operatori di pace... La tua voce armoniosa, Gesù, sembra ancora vibrare nell'aria e fa trasalire il cuore di chi sale, pensoso, la santa Montagna. Donaci, Signore, di vivere le Beatitudini: Monte delle beatitudini siano sempre il canto del nostro cuore, perché, seguendo il tuo esempio, possiamo manifestare al mondo il Volto della tua compassione, il sorriso della tua bontà. Rivestici di te, Signore: il tuo amore sia la nostra legge, la tua pace sia la nostra gioia, la comunione con te l'unico nostro desiderio. Allora per tutti i nostri fratelli tribolati sulle vie del mondo saremo un segno rassicurante della tua presenza, saremo un monte delle beatitudini dal quale tu ogni giorno continui ad offrire agli uomini la tua salvezza e la tua pace. Amen (Anna Maria Canopi)  La Parola evangelica è sempre sconvolgente, ci mette in crisi: proclamando le beatitudini sul monte Gesù si presenta come un nuovo Mosè che offre al mondo la Legge straordinaria del Regno dei cieli. Ci sembra però così assurdo pensare che la felicità sia laddove nessuno penserebbe: nei poveri, nei miti, nei pacifici, nei perseguitati a causa della giustizia. Questo mondo ci ha abituati a pensare la beatitudine nella ricchezza, nelle prepotenza, nella forza, nella scaltrezza e nell’arroganza, nell’ipocrisia e nell’arrivismo, nel successo a tutti i costi, persino passando sopra agli affetti. Gesù ci offre oggi la verità della Gioia: affidare la propria vita nelle mani del Padre, cercare la sua volontà, vivere per Lui realizzando primariamente in noi il Regno dei cieli.  Gesù parla del Padre, ne descrive il vero volto, racconta l'inaudito di Dio così come egli lo vive, perché egli è una cosa sola con Lui. Solo Gesù può svelarci il vero volto di Dio, un Dio povero, un Dio misericordioso, un Dio mite, un Dio che ama la pace, un Dio che, per amore, è pronto a soffrire. Un Dio così diverso da In quel tempo, vedendo le folle, come ce lo immaginiamo, un Dio così straordinario e armonioso… che ci sconvolge e Gesù salì sul monte: si pose a ci coinvolge nella sua perfezione beata. La beatitudine celebrata da Gesù non è sedere e si avvicinarono a lui i esaltazione della miseria, della sofferenza, del dolore, come condizioni per incontrare la suoi discepoli. Si mise a salvezza di Dio. Gesù al contrario celebra un Dio che colma il cuore di chi è affranto, di parlare e insegnava loro chi si sente povero, di chi comprende che solo in Dio c’è la gioia. E allora malgrado la dicendo: «Beati i poveri in sofferenza, la persecuzione, il pianto, tu sei sereno, beato, felice, perché riponi ogni spirito, perché di essi è il regno dei cieli. »(Matteo 5,1-3) giorno la tua fiducia in Dio, un Dio che ti cammina accanto, che hai posto sul tuo cuore, sulla cui Parola costruisci ogni giorno la tua esistenza. Allora comprendiamo che le beatitudini le ha vissute per primo Gesù. Guardando a Lui allora anche noi vogliamo fare del Suo Vangelo la Legge della nostra vita.  Dio è il difensore dei poveri, dei piccoli, degli oppressi, di coloro che il mondo disprezza. È ciò che insegna anche la tradizione profetica. Sofonia parlando agli ebrei, oppressi dalle potenze straniere, afferma con forza che solo un popolo dal cuore umile potrà contemplare la salvezza di Dio. Solo la consapevolezza della nostra povertà ci può aprire all’umiltà. Di qui scaturisce la corrente spirituale biblica dei «poveri del Signore», di quelli che sono detti con termine ebraico gli “Anawim”. Questa corrente ha ispirato molti salmi e cantici, compreso il Magnificat della vergine Maria. In Gesù, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), noi possiamo vedere la pienezza della nostra salvezza. D’altronde un cuore sazio che non ha bisogno di nulla. Solo un cuore povero, un cuore mite, un cuore libero da tutte le sicurezze di questo mondo può lasciarsi riempire dalla ricchezza di Dio, dalla sua pace, dal suo amore che ci spinge ad amare e a lottare per la verità e la giustizia.  Solo chi sperimenta la propria debolezza si può aprire alla forza di Dio. L'uomo che si sa rivestire di umiltà e povertà, è benedetto da Dio e gode già ora la serenità e la gioia del Regno. Lo afferma anche Paolo scrivendo alla comunità di Corinto: la vera Sapienza è quella della Croce, che diventa beatitudine proprio nel nostro conformarci al Vangelo di Gesù. Purtroppo oggi umiltà e povertà sono due parole poco apprezzate. Il sapere e le conquiste della tecnica possono disumanizzarci, nel momento in cui diventano motivo per affermare la nostra autosufficienza. Diventano invece un bene se con umiltà le mettiamo al servizio dell'umanità, per il bene di tutti. La vera ricchezza e felicità non può prescindere dal fatto che ogni bene viene da Dio e a lui deve tornare nell’amore per i fratelli. Gesù ci invita a guardare a Lui, alla sua Croce per trovare in Lui la forza per lottare per la verità e la giustizia, per la pace e per il progresso di tutti. Allora preghiamo insieme: “Illumina il mondo, Signore Gesù, servendoti di me e prendi possesso di me a tal punto che ogni persona che accosto possa sentire la tua presenza in me. Guardandomi, non sia io ad esser visto, ma tu in me.” (Beato J. H. Newman)

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V Domenica del Tempo Ordinario Anno A

“Voi siete il sale della terra e la luce del mondo”

Isaia 58,7-10 Salmo 111 (112) 1 Corinti 2,1-5 Matteo 5,13-16

Dopo il grande brano delle Beatitudini, l'evangelista Matteo ci mette davanti agli occhi ancora un testo per sottolineare le caratteristiche del credente in Cristo. Le due immagini del sale e della luce sono ricche di riferimenti alla vita quotidiana e alla tradizione biblica. Il discepolo lasciandosi incontrare dalla Parola di Dio che dona un progetto concreto al nostro vivere e mettendosi in ascolto di Gesù luce gloriosa del Padre, diventa lui stesso “icona” della presenza di Dio fra noi, segno visibile del suo amore che salva. Ognuno di noi nel suo contesto di vita deve rendere visibile la forza trasformante della grazia divina, che opera in noi. Con le nostre parole e i nostri gesti quotidiani noi possiamo fare sperimentare a tutti il gusto della vita nuova che Cristo ci ha donato e il sapore della pienezza che rende meravigliosamente belli i nostri giorni. La vita di tante persone oggi si svolge nella noia, nella depressione, nella fuga in divertimenti che ci lasciano sempre più vuoti nel cuore. Nel nostro mondo si pensa che ogni «Voi siete il sale della terra… persona vale per quello che produce e allora lavoriamo, produciamo ma ci sfugge il senso profondo dei nostri giorni. Soltanto Gesù può illuminare le nostre esistenze: ma dove cercarlo, Voi siete la luce del mondo… Così risplenda la vostra luce dove trovarlo? Le istituzioni tradizionali oggi sono in crisi: pochi vedono nella fede vissuta davanti agli uomini, perché nelle nostre comunità la fonte di senso e d'illuminazione; anzi, generalmente il credo che vedano le vostre opere buone professano ogni domenica incide poco o niente nel loro quotidiano, sulla nostra vita. E’ e rendano gloria al Padre davvero un Dio un po' noioso quello che traspare da tante nostre assemblee liturgiche! Un vostro che è nei cieli». cristianesimo che si riduce ad abitudine, a tradizione, a etica, a solidarietà, non dona più sapore (Matteo 5,13-16) alla vita. Siamo talmente attorniati dal cristianesimo da renderlo insipido, scontato, tiepido. A causa della nostra insicurezza e della nostra poca fede, tanti fratelli non riescono più a incontrare Cristo. Soltanto attraverso la nostra vita trasfigurata dalla presenza di Gesù possiamo ancora far intravedere a tante persone che Dio è luce sulla vita dell'uomo, sulle sue scelte, sul suo cammino e che la sua Parola può illuminare anche i tratti più bui e faticosi della nostra storia. Il discepolo, toccato dalla Parola, è chiamato a vivere come testimone della forza del Vangelo per rendere gloria al Padre. Ed è proprio per quest'unica ragione che Gesù ci chiama ad essere discepoli salati e luminosi. Non per noi, non per farci battere le mani, non per essere stimati e ammirati, ma per la gloria di Dio dobbiamo essere sale e luce. Attraverso di noi il Signore può ancora illuminare e salvare il mondo dalle tenebre del peccato, del dubbio, della paura, della depressione. Come? Il tema delle “opere buone”: il brano sottolinea la dimensione universale di questa responsabilità affidata ai discepoli: sale della terra e luce del mondo. Non per pochi o per qualcuno, ma per tutti. E come? Ce lo dice il profeta Isaia:  Dividere il pane con l’affamato  Accogliere il forestiero e il senza tetto  Vestire chi è nudo  Prenderti cura del fratello che hai accanto  Portare fraternità, giustizia ed uguaglianza nei rapporti sociali  Togliere il puntare il dito (il giudizio e il pregiudizio) e il parlare senza amorevolezza  Consolare il fratello afflitto San Paolo afferma con forza che non occorre essere dei dottori o dei professori per annunciare Cristo. Pensate a san Francesco: con umiltà e semplicità annunciava a tutti la bellezza dell’amore di Dio che salva. Il mondo ha bisogno oggi di semplici persone, che si lasciano appassionare dalla luce e dalla forza dell’amore di Dio e lo testimoniano semplicemente e concretamente agli altri. «Essere pronti a dar ragione della speranza» (1 Pt 3,15) esige di scoprirsi salvati e liberati. Quando si scopre questa realtà profonda allora diventa naturale testimoniarla a tutti. Coraggio, cari amici! Il sale e la luce sono in noi, sono doni di Dio, non dobbiamo dubitare. Piuttosto teniamo d'occhio quel moggio che vuole oscurarci, cioè quella pigrizia e quella tiepidezza che ci toglie il gusto della vita e della fede. Non permettiamo a nessuno, nemmeno ai nostri dubbi, paure o delusioni, di togliere quella carica profetica e missionaria che il Risorto affida a ciascuno di noi. Animo, fratelli, come discepoli salati e luminosi, testimoniamo che vivere con lui o senza di lui non è la stessa cosa! Signore Gesù, noi siamo sale della terra, solo quando il sapore della tua Parola abita nelle nostre parole; noi siamo luce del mondo, solo quando la tua luce illumina il nostro sguardo. Non venga mai meno nella nostra vita la sapienza della tua parola e la luce del tuo amore. Amen!

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VI Domenica del Tempo Ordinario Anno A

“Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e farisei”

Siracide 15,15-20 Salmo 118 (119) 1 Corinti 2,6-10 Matteo 5,17-37

 Dicono

i rabbini: “La Legge è la «siepe» che impedisce all'umanità di cadere nel burrone della violenza; è piantata da Dio attorno a ciascuno di noi, per proteggerci.” L'essere umano è, infatti, infinitamente prezioso per Dio, perché in lui si condensa tutta l'umanità che lo ha preceduto. Ciascuno è carico della positività e della negatività ereditate e presenti nei suoi genitori al momento del suo concepimento - è questa situazione che è chiamata il «peccato originale» - ed è gravato anche dalle sofferenze e dalle gioie prodotte dall'intreccio delle relazioni vissute dalla sua nascita in poi. La «Legge», più che principi generali da cui ricavare le norme di buon comportamento, è l'aiuto che un Padre dà ai suoi figli perché non muoiano, ma abbiano la pienezza della vita. Essa perciò fissa i paletti di confine, superati i quali l'uomo è preda del peccato, cade del burrone della morte.  Gesù non è venuto per abolire la Legge, ma desidera dare continuità alla Legge antica sviluppandola e portandola a compimento. Gesù non è un rivoluzionario che vuole fare piazza pulita del passato per ricominciare da capo. Al contrario dei giovani anarchici e rivoluzionari della nostra era, Gesù sa bene che un albero senza radici secca e muore. Ma bisogna avere una giustizia che superi quella dei Farisei: le parole di Gesù ci aiuta a cogliere la radice profonda e l’intenzione liberante dei comandamenti. La Legge antica va recuperata, ma spogliandola da tutte le tradizioni umane che l’hanno appesantita e riscoprendo il suo vero cuore e valore. Le beatitudini che abbiamo letto qualche settimana fa ci donano la luce per vivere al meglio le norme del Sinai.  La Legge scritta, la Torah è stata, fino all'incarnazione del Verbo, la mediazione usata da Dio per raggiungere l'uomo e rivelargli la sua vocazione divina. L'animale è determinato dai suoi istinti e non ha quindi bisogno di un'altra norma. L'uomo invece, essendo libero, trova davanti a sé mille possibilità di gestire la sua vita. Quale scegliere? La Torah diventa la luce, per indirizzare l’uomo verso il bene, diventa la forza per riconoscere le suggestioni del peccato e non seguirle, e quindi permettergli di diventare testimone ed interprete dell’amore infinito del Padre per il prossimo. La libertà umana non si esprime in una scelta arbitraria, priva di conseguenze; ma si manifesta in una decisione responsabile, legata a valori di riferimento e attenta ai suoi effetti, agli esiti che ne conseguono: «Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà» (Sir 15,17).  La Legge deve aiutarci a creare rapporti di comunione, ma quando divide, allora non viene più da Dio ma dalle intenzioni sbagliate dell’uomo, dall’uso sbagliato che della legge fa l’uomo nella sua libertà. Gesù ribadisce che l’uomo influenzato dal maligno può essere fautore di una giustizia puramente legale, che però è senza amore e quindi diventa ingiusta. Le parole del Signore ci richiamano all’interiorità, alla solidarietà, alla fratellanza, all’amore concreto dei fratelli e non della Legge in sé. Gesù ci esorta alla limpidezza del cuore e ci aiuta a capire che non c’è libertà senza giustizia e amore. Non è facile essere degli uomini giusti nell’amore. “Spesso è più facile amare le piante che amare gli uomini” (Claude Aubrun).  Gesù espone la Legge antica vissuta con un cuore nuovo, parlando in antitesi (“Avete udito… ma io vi dico…”). Per ben sei volte propone ai discepoli delle situazioni concrete, in cui dovranno seguire le indicazioni della Legge, vivendola non secondo il legalismo esteriore degli scribi e farisei, ma secondo il comandamento dell’amore fraterno. Le situazione di vita quotidiana sono: omicidio, adulterio, ripudio, giuramento, vendetta e odio verso i nemici. Le ultime due le vedremo la prossima domenica.  Non basta essere intransigenti nell’attuazione delle norme giuridiche, occorre vivere le indicazioni della Legge, migliorando il mondo intorno a noi: noi infatti siamo la “risposta di Dio” alle necessità dei fratelli. Il cristiano non può limitarsi alle parole della fede, ma deve vivere guardando a Gesù le opere della carità.  “Noi abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l’arte di vivere come fratelli” (Martin Luther King). Gesù ci dice di “non uccidere”: non si riferisce solo all’omicidio, ma alle tante volte in cui noi umiliamo gli altri uccidendoli. A volte insultare o deridere pesantemente una persona corrisponde ad ucciderla dentro. Umiliare l'altro non è forse rischiare di ammazzare la sua capacità di scegliere il bene? Una volta una ragazza si trasferì dalla campagna in città per studiare e andò a scuola con il vestito più bello. Fu derisa pesantemente dagli altri. Ebbene per l’umiliazione subita, anni dopo si trasformò in una celebre terrorista che odiava il mondo. Uccidere l'altro quindi è uccidere non solo un'immagine irripetibile del Creatore ma è troncare anche il bene che quest'esistenza avrebbe potuto realizzare. Gesù inoltre afferma il primato della relazione sul rito (Mt 5,23-24) e invita alla responsabilità della parola data. Il parlare dell’uomo deve essere talmente vero da non aver bisogno di giuramenti che tirano in ballo la fedeltà di Dio (Mt 5,33-37) www.parrocchiamadonnaloreto.it

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 “Il

più bel viaggio che possiamo fare quaggiù è quello che si compie andando incontro al proprio fratello” (Paul Morand). Un santone orientale di nome Mikal un giorno nel suo pellegrinare trovò lungo il ciglio della strada un mendicante, mezzo morto di fame e malato. Subito intenerito, lo soccorse e lo nutrì. Mentre a sera stava pregando il Signore gli venne dal cuore questo pensiero: “Ma Signore perché non hai fatto subito qualcosa per questo poveraccio, che stava morendo di fame?” Poi si addormentò. Nella notte fece un sogno: gli apparve il Signore che gli disse, rispondendo alla sua domanda, “Sai caro Mikal, io ho fatto subito qualcosa per quel fratello in difficoltà… ho fatto te!”.  L'uomo non si può salvare da solo: è Gesù che lo salva, soffiando via la cenere del peccato e permettendo alla scintilla del bene, nascosta nell'animo umano, di produrre una fiamma viva (il tema della scorsa domenica). Gesù sostiene la volontà di bene che c'è nell'uomo, la purifica, le dà forza sufficiente per vincere il male. È la sua grazia, offerta a tutti gli uomini, in ogni istante, che dà la possibilità di aprirsi a Dio, di sapere come realizzare il senso della propria vita. Così, seguendo i sentieri di Dio, e affidandoci alla grazia di Cristo, nella vita eterna arriveremo a godere di una libertà completa, perché la morte e il peccato non avranno più alcun potere su di noi.

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VII Domenica del Tempo Ordinario Anno A

“Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”

Levitico 19,1-2.17-18 Salmo 102 (103) 1 Corinti 3,16-23 Matteo 5,38-48

“Nulla è perfetto”, ripete la Sapienza “e tu puoi amare tutto”. Incroci nella strada dei volti stanchi alla fine dell'inverno che nascondono sotto il mantello questa mancanza fraterna, ignorando la loro gloria di uomini e di donne che li fa somigliare solo a se stessi e, misteriosamente, al cielo senza volto. (J.P. Lemaire, Il cuore circonciso)  Chi legge le pagine dell'Antico Testamento, costellate di guerre, vendette, distruzioni, è indotto a credere che Gesù sia venuto a portare la legge divina dell'amore dopo tanti anni dominati dalla legge divina del castigo. La parola di Dio che ascoltiamo oggi corregge questa interpretazione. Dio fin dai tempi più antichi ha comandato l'amore: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18); si è definito «lento all'ira e grande nell'amore» (salmo resp.102). Gesù non inventa un Dio nuovo: riscopre e ridona ai suoi discepoli, a noi fedeli del 2011, il volto unico e vero del Signore, un volto stravolto dalle false interpretazioni e dalla cattiveria umana («Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello» Lv 19,17) che ci ha portato persino a mettere nell’Atto di dolore una bestemmia: “perché peccando ho meritato i tuoi castighi”. La conferenza episcopale italiana dovrebbe rivedere alcune preghiere della tradizione che stravolgono lo spirito del Vangelo di Gesù. Semmai siamo noi che ci castighiamo privandoci del suo Amore. E Gesù porta oggi questa legge dell’amore alla perfezione, presentando la propria vita come modello da imitare. C'è stato qualcosa che ha preceduto ogni Parola del discorso della montagna. Questo qualcosa è il dono ai discepoli del privilegio di essere figli di Dio: Questo qualcosa è la testimonianza, in parole e in azioni, che Gesù ha reso a ciò che egli è: il modello di Gesù traspare in ogni frase del discorso della montagna. (J. Jeremias, Parole di Gesù. Il Discorso della montagna. Il Padre nostro). «Gesù fa la retta esegesi dell'etica proposta dall'Antico Testamento, legando ogni norma morale alla sua persona» ( biblista Antonio Bonora)  «Occhio per occhio e dente per dente». è la legge detta del «taglione» (Es 21,24; Lv 24,20; Dt 19,21). Oggi, la sua formulazione ci scandalizza , ma si trattava, in realtà, di un progresso della Legge contro le esagerazioni della vendetta privata e le crudeli rappresaglie senza fine fra i gruppi o i clan. Alla violenza cieca e sfrenata, la legge sostituiva una giusta proporzione fra la gravità del crimine commesso e del torto causato, da un lato, e il castigo e la riparazione, dall'altro. Gesù abolisce la «legge del taglione» e invita a rinunciare a ogni gesto vendicativo. Gesù si pone su un piano diverso rispétto a quello dei codici di giustizia, senza i quali non esiste. società di diritto. Non chiede di comportarsi da ingenui e tanto meno di accettare passivamente l'ingiustizia e la violenza. Ma dice con fermezza: in ogni circostanza, siate efficaci operatori di pace e di riconciliazione, pronti a spingervi eventualmente fino all'«eccesso», cioè tendere l'altra guancia, abbandonare il mantello e la tunica, dare a chi chiede anche ingiustamente. Anche in questo Gesù porta a compimento la legge . Infatti, il Levitico, che ha fatto proprio il principio dell'«occhio per occhio, dente per dente», vieta l’odio verso il fratello che ti ha fatto un torto, la vendetta e il rancore. Questo divieto viene motivato con il comandamento di amare il prossimo «come se stessi», giustificato, a sua volta, con questa affermazione di Dio: «Siate santi, perché io, il Signore, sono santo». Vero gioiello della Scrittura, tale pagina anticipa lo spirito evangelico, ma non è riuscita a tradurre l'amore del prossimo anche verso quanti non appartenevano al popolo di Israele.  Gesù invece oggi nelle sue parole, nella formulazione dei suoi contenuti, nella radicale esigenza di un amore senza limiti, ci fa giungere fino alla follia del cuore di Dio: il comandamento nuovo evangelico appare in tutta la sua novità rivoluzionaria. Gesù ha spezzato le barriere e ha dato all’amore per il prossimo un'estensione universalistica. Non ci sono più restrizioni di sorta, non vi sono eccezioni né sconti, non c’è razza o religione che tenga, popolo o lingua, sentimenti e diritti, essere buoni o cattivi: Dio in Gesù ama ogni uomo senza condizioni e chiede ad ogni uomo amato di lasciarsi sedurre da questo amore, chiedendo nella preghiera il bene e un cuore libero e nuovo per i nemici e i propri persecutori.  Nel Discorso della Montagna, l'uomo non incontra un regolamento impersonale, incontra invece qualcuno, un Vivente. L'uomo si trova davanti alla volontà di Dio, pura e semplice. Follia di Dio, suprema sapienza! Potenza di Dio, che fa di noi il suo tempio abitato dallo Spirito Santo! Tutto è nostro, perché noi siamo di Cristo e il Cristo è di Dio (ci dice oggi Paolo). Gesù è personalmente la rivelazione suprema di questa santità e di questo amore infinito di Dio. Inviato nel mondo, egli, il giusto, ha «offerto» la sua vita sulla croce dei malfattori per la salvezza dei peccatori.  Konrad Lorenz spiega, a proposito dell’aggressività, che quando un animale sente che sta per essere vinto nella lotta contro un altro, prima di essere ucciso si corica e offre alla vista dell' avversario le sue parti più deboli. L'altro allora si allontana senza più fargli del male. «Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra», dice Gesù. Il Signore ci consiglia forse di imitare l'istinto degli animali per salvarci la pelle? Oppure di essere remissivi di fronte www.parrocchiamadonnaloreto.it

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alla spirale della violenza? C'è qualcosa di più in queste parole? «Amate i vostri nemici ... perché siate figli del Padre vostro celeste». Porgere l'altra guancia non è quindi una reazione d’autodifesa, bensì l'atto più squisitamente umano che possa esistere: è offrirsi al nemico per contenere la sua negatività, è farsi amico del persecutore per impedire alla sua cattiveria di rovinarlo (pensate). Così ha fatto Gesù durante la sua passione, davanti a Pilato o ai giudei. “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guancie a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi” (Is 50,6; Mt 26,67; 27,30). Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). E pensate alle parole del centurione sotto la croce, dopo la morte di Gesù «Davvero quest’uomo era figlio di Dio» (Mc 15,39). Le parole più impegnative di Gesù sono stati i suoi atti concreti di amore totale. Chiede ai suoi discepoli di amare i nemici e di pregare per chi li perseguita, come egli stesso ha fatto sulla croce. L'amore del Padre di cui Gesù parla è un amore tenace, che non si lascia smontare dal nemico dichiarato, che spezza la violenza dell'avversario con le armi della pazienza, che si oppone all'odio con un’amabilità senza riserve, ad oltranza. Così si comporta Gesù attraverso i suoi discepoli di ieri e di oggi, che accolgono e amano senza giudicare. Stefano piegò le ginocchia e gridò a gran voce: «Signore, non imputar loro questo peccato». Detto questo, morì. (At 7,60).  Ma chi è il «nemico»? Forse non è solo chi odia o che fa del male ad un altro. Più spesso è la persona che la pensa diversamente, colui che non si accorge della presenza altrui, colui dal quale si è abbandonati in un momento di bisogno o di profonda solitudine. Spetta allora alla carità creativa del credente fare il primo passo: creare un'occasione di incontro, di apertura, di riavvicinamento per vincere l’ostilità, il malanimo, la discordia, o anche solo l'indifferenza.  Gesù ci spiega anche il motivo e la fonte di questo amore smisurato che può trovare radici anche in noi: «Volete essere figli di Dio? Dunque comportatevi come lui, che fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni». E la ripetizione variata delle parole che Dio dice nel Levitico: «Siate santi perché io, il Signore vostro Dio, sono santo». Cristo comanda ai cristiani di allargare il cuore alle dimensioni senza misura dell’amore del Padre. Di allargare il loro perdono fino a dimenticare che si è stati colpiti sulla guancia, non dimenticando che si deve perdonare senza misura (Mt 18,22). Chiede a coloro che lo seguono di imparare a dare fiducia al fratello fino all'infinito, di fare dono di se stessi e del proprio amore in modo illimitato. È confortante pensare che tanti cristiani sono giunti come Gesù a questa testimonianza di amore: dal primo martire cristiano Stefano a padre Kolbe; dal figlio del professore Bachelet, che perdonò e pregò per gli assassini di suo padre, a tanti altri che hanno fatto del messaggio evangelico il loro programma di vita. Gesù ha perfezionato la legge fino a renderla un impegno di amore, e l’amore non dice mai: «basta». «Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»: sono indicati il modo e la misura dell'amore cristiano per il prossimo. Il modo è la benignità e la misericordia del Padre, la misura è «senza misura».  Essere «perfetti com' è perfetto il Padre nostro celeste» consiste quindi nel guardare l'altro andando oltre la sua reazione negativa, per leggervi una chiamata, un bisogno, una sofferenza. E più facile, più immediato controbattere all’offesa, ma in fin dei conti è più conveniente comportarci da figli del Padre celeste. Rispondere con disprezzo o arroganza a un insulto allarga la distanza, l'incomunicabilità, mentre la docilità della mitezza permette all’altro di scoprire la sua ira che lo domina ma nello stesso tempo non sentirsi giudicato, ma benvoluto. La paura ci fa reagire ma, dice Giovanni nella sua prima lettera (4,18), «l'amore perfetto scaccia il timore». Il violento ha paura e se s'imbatte in un'altra paura, cresce la sua angoscia, la quale si traduce in brutalità sempre più distruttiva e dunque sempre più generatrice d’angoscia. Accogliere l'altro così com' è, contenerlo con la comprensione, è esporsi ai suoi colpi, ma per rivelargli di quale amore è avvolto, per farlo entrare nella dinamica del non giudizio, così da abbandonare lentamente ogni difesa e scoprire la bellezza di una relazione liberata dalla paura.  Il comandamento di Gesù tocca l'uomo nel più profondo del cuore dove si annida spesso un radicato egoismo, incline a ledere e a contraffare tutto ciò che si oppone al proprio «io». È un comandamento paradossale, sembra chiedere l'impossibile. Insegna all'uomo a spingere le dimensioni del suo amore all'amore con cui il Padre ama Cristo. Amare come Dio, che non impone il bene alla persona che ama, ma che crea il bene in essa, amandola.  Però, subito dopo, si affaccia la domanda: ma è possibile non opporre resistenza all’ingiustizia? Come è possibile amare come Dio? Giorno per giorno, a piccoli passi lasciar lavorare lo Spirito in noi. Gesù insegna la pazienza dei piccoli passi, i quali possono risultare molto grandi nella vittoria contro la paura che non ci permette di amare. Non è difficile dare qualche cosa di più di ciò che è chiesto, ciò che l’altro ha realmente bisogno: un pizzico di attenzione, di accoglienza, di premura Non ci vuole molto, se c’è l'amore, a stupire con piccoli gesti pieni di delicatezza, qualcuno che non è amico, ma che l’amore può rendere tale. Se tutti i credenti facessero dei piccoli gesti di amore, di perdono, di comprensione nei confronti degli altri, poco alla volta verrebbe estirpata dal mondo la spirale della divisione e della vendetta che soffoca gli uomini e li chiude in una morsa mortale. Spesso non li uccide, ma toglie loro la gioia di vivere, la felicità di essere persone capaci di voler bene, di vivere con serenità la vita di tutti i giorni. Allora la pace fiorirebbe poco a poco sulla faccia della terra, l’odio sarebbe sconfitto, sarebbero vinti i rancori. Forse cesserebbero le guerre e ogni uomo imparerebbe a vedere nel volto dell’altro quello di un fratello. Ma ricordiamoci sempre che l’amore capace di compiere questi piccoli grandi miracoli è dono di Dio. Così l'amore dell’uomo raggiunge una qualità inaudita: un amore purissimo, disinteressato dove non si tiene più conto della propria vita, perché la vita è “vivere Cristo”.

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VIII Domenica del Tempo Ordinario Anno A

“Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”

Isaia Salmo 1 Corinti Matteo

49,14-15 61 (62) 4,1-5 6,24-34

Dalla Leggenda dei tre Compagni: (25) “Il beato Francesco, compiuti i restauri della chiesa di San Damiano, seguitava a portare l'abito di eremita, camminava con il bastone in mano, le calzature ai piedi, una cintura di pelle ai fianchi. Ma un giorno, mentre ascoltava la messa, udì le istruzioni date da Cristo ai suoi discepoli quando li inviò a predicare: che cioè per strada non dovevano portare né oro, né argento, né borsa, né bisaccia, né pane, né bastone, né calzature, né due tuniche (cf. Mt 10.9-10; Lc 9.3; 10,4). Aiutato poi dallo stesso sacerdote a comprendere meglio queste consegne, colmo di gioia indicibile esclamò: «Questo è ciò che bramo realizzare con tutte le mie forze!». E fissando nella memoria tutto quello che aveva udito, si impegnò ad eseguirlo lietamente. Sbarazzatosi senza indugio della doppia tunica, da quel momento non fa più uso del bastone, delle calzature, della borsa e della bisaccia. Si confezionò una tonaca misera e grossolana e, in luogo della cinghia di pelle, strinse i fianchi con una corda. Mise tutta la sua sollecitudine interiore a intendere bene e realizzare i suggerimenti della nuova grazia. Ispirato da Dio, cominciò ad annunziare la perfezione del Vangelo e a predicare la penitenza, con semplicità (cf. Mc 6,12; Lc 24,47). Le sue parole non erano vuote, né ridicole, ma piene della forza dello Spirito Santo, capaci di penetrare nell’intimo dei cuori così da stupire e toccare con forza gli ascoltatori (cf. Lc 4,1; At 6,5). (26). Com'egli stesso ebbe a confidare più tardi, aveva appreso da rivelazione divina questo saluto: «Il Signore ti dia la pace» (cf. Nm 6,26; 2Ts 3,16). E perciò in ogni sua predicazione, nell’esordio della sua predica, salutava il popolo annunciando la pace.” La scorsa domenica il Vangelo si concludeva: “Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Ognuno di noi nel battesimo è morto ad ogni peccato, ad ogni idolatria che ci spinge a servire Dio formalmente ma a consacrare la nostra vita al Dio “Denaro, Ricchezza, Potere”. Come nel caso dell’adulterio (Mt 5,28) anche qui è una “questione di cuore”, di scelte fra il bene (benedizione di Dio) e il male (maledizione da parte di noi stessi che ci priviamo della vita). Alla radice del culto del Dio Denaro vi è una stima e una preoccupazione esagerata per i beni della terra, come fonte di felicità e benessere. Sopravvalutare i beni di questo mondo corrisponde a trasformarli da mezzi a fini che schiavizzano la nostra vita. Per condurre i suoi ascoltatori a stabilire una giusta gerarchia di valori, Gesù comincia con il fare appello al buon senso: “La vita vale più del cibo (mezzo) che serve per sostenerla e il corpo più del vestito (mezzo) che lo ricopre”. È questione di buon senso e di consapevolezza nello scoprire quanto siamo importanti per Dio: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,15). La provvidenza è il nome femminile di Dio: come una donna circonda di cure il suo bambino, così Dio ci avvolge con la sua dolce sollecitudine, chiedendoci di affidare a Lui ogni angoscia e preoccupazione. Soltanto sentendoci amati da Dio possiamo amare, possiamo augurare pace con la nostra vita, possiamo credere che nulla mai ci mancherà del necessario. La scelta radicale di San Francesco partiva da questa consapevolezza. L’amore provvidente di Dio non è in astratto ma passa dal nostro cuore capace di superare la paura di condividere. Occorre quindi riporre la nostra fiducia in Dio, che veglia sulle più piccole creature, ma che nello stesso tempo cambia i nostri cuori induriti e delusi, rendendoli capaci di realizzare i “sogni di Dio”: pane per tutti, giustizia, pace, fratellanza. In questi tempi difficili non è facile credere alle parole del Vangelo, perché non è facile credere nell’uomo e anche in noi stessi: ci siamo rassegnati al peccato, all’egoismo, alla cattiveria. Quindi diventa facile piegare le nostre ginocchia e i nostri cuori al Dio Denaro che ci illude di avere qualche chance in più, qualche possibilità in più per dribblare questa crisi dell’umanità. «Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena » (Mt 6,33-34). Soltanto nella ricerca del bene supremo troveremo la gioia di una “vita spesa bene”. È questa la regola d’oro che ci permette di vivere una vita senza preoccupazioni; sapere che Dio è “il più tenero e provvidente dei padri”, lui che con sapienza ha creato ogni cosa e la custodisce con amore, lui che l’ha affidata a noi per la nostra felicità. Noi siamo creature di Dio amate immensamente, lui ci ha fatto con sapienza e ci ha dato la possibilità di essere “Sua Immagine provvidente e misericordiosa”. Lui crede in noi (anche se noi non crediamo in Lui e in noi stessi). Lui ci ama (anche se noi non amiamo Lui e i fratelli). Non sprechiamo questa occasione unica per mostrare l’Amore di Dio a un mondo che cerca la felicità lontano da Lui, forse perché semplicemente non lo conosce.

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IX Domenica del Tempo Ordinario Anno A

Deuteronomio 49,14-15 Salmo 30 (31) Romani 3,21-25a.28 Matteo 7,21-27

“Costruite la casa della vostra vita, ascoltando e vivendo il Vangelo di Gesù” “Qualcuno forse mi dirà: "A che serve ascoltare ciò che non ho intenzione di fare? Infatti, se ascolto senza mettere in pratica, edificherò una rovina! Non è forse più sicuro non ascoltare nulla?". Nella sua comparazione, il Signore non ha voluto prendere in considerazione questo atteggiamento, ma ci ha fornito degli elementi per valutarlo. In questo mondo, la pioggia, i venti, i torrenti continuano la loro azione. Se non costruisci né sulla roccia né sulla sabbia, poiché non ascolti nulla, resterai senza alcuna protezione. Viene la pioggia, si ingrossano i torrenti: sarai forse al sicuro, quando, senza riparo, sarai spazzato via? Rifletti quindi attentamente sulla tua scelta. Non sarai al sicuro, come pensi, per il fatto di non aver ascoltato nulla. Senza protezione e senza il benché minimo riparo, sarai necessariamente rovesciato, portato via, sommerso. Se il costruire sulla sabbia è male, è male anche il non costruire affatto. Possiamo quindi concludere: non resta che costruire sulla roccia. È male non ascoltare ed è ugualmente male ascoltare senza agire.” (Agostino, Sermone 179,8-9) A conclusione del discorso della montagna, il Signore Gesù ci pone di fronte a una verità fondamentale e fondante: non è sufficiente credere che Gesù è il Signore, ma è necessario compiere la volontà del Padre, fare diventare la nostra vita effusione del Vangelo del Signore Gesù. Dio ci ha creati liberi e nella libertà dobbiamo costruire la nostra vita. Gesù però ci pone di fronte a un pericolo: “costruire la nostra vita senza Lui è come costruire senza fondamenta, senza basi solide”. C’è il pericolo di crollo! Il Maestro Gesù allora ci pone di fronte a una scelta per la vita o per la morte: soltanto ascoltando la sua Parola come Maria e mettendola in pratica con gesti fraterni di amore come Marta (Lc 10,38-42), soltanto accogliendo Gesù nell’intimità del nostro cuore, come hanno fatto le sorelle di Lazzaro, possiamo fare della nostra vita una casa solida per accogliere i fratelli e rendere visibile il Regno dei Cieli. Chi lavora con i giovani ha spesso l’impressione della friabilità del terreno su cui costruiscono la vita. Riusciranno a reggere l’impatto della realtà, abituati a virtualizzarla nei videogiochi e in tivù? Troveranno motivazioni forti alla vita, senza essere stati abituati a lottare «per» qualcosa, visto che l’indispensabile per vivere è scontato? Riusciranno a non rimanere soffocati dal senso di ineluttabilità, di noia o di sogno, cercando di volare «tre metri sopra il cielo», con mezzi più o meno leciti ma sempre più «normali»? Le loro paure troveranno risposte forti e chiare, oppure saranno costretti a trasgredire e a sentirsi forti nel gruppo «contro» qualcuno che li faccia sentire vincitori? Costruiranno rapporti che possono sfidare il tempo, oppure si accontenteranno di godere l’effimero ed il piacere del momento? I giovani hanno grandi doti di sensibilità, di fantasia, di entusiasmo. Devono però essere guidati a costruire su un terreno solido, riconoscendo le trappole che i disvalori degli adulti hanno seminato, per interesse personale, sul loro terreno. Solo la Parola di Dio ha la chiarezza e la lungimiranza per dare risposte vere ai bisogni di ogni essere umano. Per questo la testimonianza degli adulti ad una generazione più che mai distante dalle liturgie e dal culto è l’unica possibilità per creare nei giovani i presupposti per un cammino di fede nella concretezza della vita. I giovani sono concreti. L’ammonimento di Cristo: «Non chi mi dice: Signore, Signore… ma chi fa la volontà del Padre» sarebbe sottoscritto da ogni giovane. È la coerenza il terreno sul quale i giovani ci aspettano, assetati di fatti che conducano alla Vita piena. Il cristiano è invitato a guardare alla qualità della sua fede. Essa deve investire tutta la sua vita, condurlo a riconoscere Dio in modo pratico, operativo, determinando la direzione delle sue scelte. La fede che porta alla salvezza, spiega Paolo nella lettera ai Galati (cf 5,6), non è solo adesione dell'intelligenza a Cristo, ma di tutto l'uomo: intelletto e volontà, pensiero e opere. Gesù oggi avvisa che entrerà nel Regno dei cieli non tanto chi dice, ma chi ascolta/ proclama/ fa (ricordate la parabola dei due figli: Mt 21,28-31). Nel Deuteronomio Dio benediceva o malediceva l'uomo secondo l’obbedienza o la disobbedienza alla Legge. La sfida che attende il credente è esigente: una scelta da rinnovare quotidianamente tra la via stretta che coincide con l'adesione al piano di Dio e là via larga che non si preoccupa di Dio, perché segue altri idoli (ricordate il Vangelo della scorsa domenica). Il Dio di Gesù non maledice: ha parole di benedizione, progetti di salvezza e di felicità. Tocca all'uomo scegliere di lasciarsi guidare da Lui se vuole accogliere la salvezza. Essa gli è annunciata dalla Parola di Dio che il credente è invitato ad ascoltare e ad accogliere. Tutto ciò ripropone il tema delle «due vie»: una per la vita e una per la morte (non solo nostra ma anche di tutti coloro che sono con noi). Occorre fare una verifica costante della nostra vita cristiana: la sola parola non qualifica la vita; solo i gesti quotidiani mostrano le autentiche intenzioni e le fondamenta profonde del cuore. Gesù invita il discepolo a non barare nella vita, a cercare la verità sia nel parlare come nel fare. Lo mette in guardia dal dire parole vuote, dichiarazioni inutili, ma anche dall'ammucchiare azioni senz'anima. Perché anche le azioni possono diventare occasione di compiacenza, illudere, dare sicurezza o divenire motivo di ostentazione ( pensate ai “filatteri dei farisei”, una Legge ostentata ma non vissuta: Mt 23,2-7). Avere Gesù come “fondamento del cuore” non ci evita le difficoltà e le prove, ma ci dà la certezza e la forza per affrontarle a cuore sereno, con coerenza e integrità spirituale. “Fondare la casa della propria vita su Gesù”, essere cristiani non per tradizione o scaramanzia: può essere un buon proposito per vivere autenticamente la Quaresima, che stiamo per iniziare mercoledì prossimo. Auguro a tutti che sia veramente un periodo di conversione a vita nuova in Cristo Gesù Salvatore.

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I Domenica di Quaresima Entriamo nella Quaresima attraverso questa Domenica di Lotta Spirituale contro il Male. Ogni giorno dobbiamo affrontare il Tentatore ma Gesù ci ha mostrato che è possibile sconfiggerlo nel Suo Spirito. Gn 2,7-­9; 3,1-­7 Più che un racconto delle origini della storia umana, questo brano biblico si presenta come una lettura teologica della nostra esistenza umana in relazione con il nostro creatore. •

Gn 2,7-­‐9: “chi è l’uomo?” In ebraico “uomo” si dice “adam” (colui che viene da “adamà” cioè dal suolo). La tradizione jahvista presenta l’uomo come un essere plasmato dal Creatore con la polvere del suolo. Questo ci dice che l’uomo è fragile (Is 40,6: “ogni carne è come erba). Ma questo essere terrestre è animato da una scintilla divina, l’alito di vita di Dio; la sua vita dunque dipende da Dio. Egli è posto in Eden (delizia, piacere, bella creazione “Dio vide che era cosa buona” Gn1,4ss)cheunluogonon geografico ma teologico. L’albero della “conoscenza del bene e del male” deve essere inteso come un albero il cui frutto dà la conoscenza autonoma da Dio, sul piano esistenziale e non solo morale; quindi l’albero che permette all’uomo una scelta tra il rendersi indipendente da Dio o vivere in comunione con Lui. Questo ci dice che l’uomo fu creato libero.

Gn 3,1-­‐7: “che tipo di rapporti l’uomo intende avere con Dio?” Si rileva in questo ricchissimo testo, prima di tutto una serie di distorsioni ed errori nelle affermazioni del serpente e poi di Eva; inoltre l’uomo messo in presenza di una contro-­‐parola rispetto a quella di Dio, non solo l’ascolta, ma rimane sedotto e la segue senza pensare alle conseguenze. Questo è il peccato che nasce dalla “paura della morte” (a tutti i livelli): non tanto fare “cose proibite, ma semmai ascoltare e fare propria una “parola” che non è quella di Dio e fondare la propria vita su essa. Si accorgono poi di essere nudi: secondo la tradizione rabbinica, l’uomo all’origine era coperto dalla gloria di Dio (il suo amore). Scelta l’autonomia, il peccato, l’uomo si priva della gloria di Dio (Rm 3,23) e si scopre nudo.

Rom 5,12.17-­19 Rm 5,12-­‐21: in questa sezione (uno dei passaggi teologici più densi e importanti) Paolo mette a confronto la condizione dei cristiani , giustificati e riconciliati, con quella degli uomini prima della venuta di Cristo. Ciò implica anche un parallelismo tra Adamo (Gn 2) il primo uomo, attraverso il quale il peccato e la morte (Gn 3,1-­‐13) sono entrati nel mondo, e Cristo, che libera l’umanità dal peccato e dalla morte; tra la disobbedienza di Adamo e l’obbedienza di Cristo, che porta con sé una promessa di vita futura nella nuova creazione del Regno di Dio; tra gli effetti devastanti del peccato degli uomini e quelli benefici e sovrabbondanti della grazia di Cristo. L’apostolo sottolinea la gratuità del dono di Dio. •

Il peccato è entrato nel mondo: Paolo non cerca di spiegare come e perché tutti gli uomini peccano; parte dall’affermazione che il peccato conduce alla morte (Gn 2,17: “dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire”) e continua con l’affermazione che tutti gli uomini muoiono; il che significa che tutti peccano in qualche modo; la morte è la dimostrazione del

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loro peccato. Perché pecchino non ci è dato saperlo; non è spiegato neanche nel racconto di Adamo. Noi tutti veniamo da Adamo e siamo veramente uomini, in quanto ogni uomo nel suo essere è peccatore. •

Morte: anche effetto dell’ira di Dio (Rm 1,18-­‐32; 2,5-­‐9) dalla quale Cristo ci salva con la sua morte sulla croce ( Rm 5,9; 1Ts 1,10; 5,9). · Opera giusta di uno solo: alla solidarietà mortale di Adamo, Paolo oppone l’evento della salvezza. Gesù Cristo trascina dietro alla sua obbedienza e alla sua opera di giustificazione, tutti coloro che erano entrati nella solidarietà adamitica. Notiamo che Paolo parla di un “molto di più” (v. 15.17) e di una “abbondanza” che sottolinea la formidabile sproporzione tra l’opera di Adamo e quella di Cristo. Se in Adamo tutti sono coinvolti nella morte, molto di più tutti saranno coinvolti nell’opera di salvezza di Cristo (Rm 5,21; 6,23), che Paolo caratterizza con la parola “obbedienza

Mt 4,1-­11 Gesù dopo il battesimo viene condotto nel deserto, simbolo della vita degli uomini continuamente tentati dal diavolo (colui che separa da Dio). Al Giordano si era manifestata la voce del Padre che aveva definito Gesù e in Gesù ogni uomo: “Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento». (Mt 3,16-­‐17) Ora Gesù deve dimostrare con la vita la sua fedeltà all’amore del Padre. Condotto dallo Spirito nel deserto (simbolo dell’esodo di Israele verso la libertà) Gesù affronta il tentatore e ci manifesta che è possibile vincere la prova; basta credere nell’amore di Dio. Il diavolo propone a Gesù di usare la sua potenza per cambiare il Mondo (un Dio self-­‐service un Dio miracolistico, che deresponsabilizza l’uomo e gli toglie le patate bollenti dal fuoco). Lo provoca ricordandogli la sua identità di Figlio e al contempo mettendola in dubbio “Se...” Alla terza tentazione Satana rovescia i ruoli: offrendogli il potere sul mondo, lo invita ad accettare la logica diabolica che non vuole l’uomo libero, ma schiavo, gli offre una gloria terrena che si oppone al progetto di Dio sul creato. Diavolo offre a Gesù un potere da tiranno sul mondo, dove tutto funzionerebbe bene ma senza amore né libertà. Gesù vince perché al contrario di Adamo ed Eva la Parola di Dio è il suo riferimento, la sua guida: egli non dubita del Padre. •

Dio si propone e non si impone: Gesù rifiuta il Messianismo terrestre e politico. Le tre citazioni fatte da Gesù (Dt8,3; 6,16; 6,13) riprendono tre situazioni di tentazione subite da Israele nell’esodo: cercare il proprio nutrimento al di fuori di Dio (Es 16: la manna); tentare Dio per soddisfare se stessi (Es 17, 1-­‐7: Massa e Meriba); rinnegarlo per seguire altri dei che procurano il potere su questo mondo (Es 23, 23-­‐33). In Mt c’è un parallelismo forte fra Mosè e Gesù, nuovo Mosè che guida il popolo alla libertà.

Adamo/Gesù: un altro parallelismo, forse più specifico nel racconto lucano delle tentazioni, è quello tra Adamo disubbidiente e Cristo obbediente. La triplice tentazione verte sulla figliolanza divina di Gesù. Non si tratta qui tanto della figliolanza divina del Verbo in seno alla Trinità (tipica del vangelo giovanneo) ma della figliolanza espressa al Giordano. Gesù in quanto “figlio” è come Adamo: un essere fragile, debole, ma abitato dal soffio di Dio che gli dona vita (lo Spirito che è sceso su di lui). A differenza di Adamo non è condotto in luoghi di delizia ma nel deserto, luogo della scelta fra Dio e l’Io. L’incontro con Satana o con Dio dipende solo dalla parola che si ascolta: se si ascolta la voce del proprio cuore si incontra il diavolo; se si ascolta la parola di Dio si incontra un Padre.

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Il tentatore: si avvicina il diavolo la contro-­‐ parola, la “propria parola. La tentazione verte su tre filoni: i beni materiali; la verifica chiara dell’assistenza di Dio, il potere e la gloria.

Obbedire: l’ubbidienza di Cristo si esplicita nel rifiuto di questa contro-­‐voce a cui risponde semplicemente citando la Scrittura, riconosciuta ed accettata come Parola di Dio, citata nel giusto senso e non come il diavolo in maniera distorta e diabolica. Obbedire è dunque veramente “rinnegare se stessi” per affermare l’unico «Io Sono», Dio. È Lui l’unico esistente dal quale si irradia la vita. Noi dobbiamo considerarci semplici strumenti nella mano di Dio, docili perché Dio vuole il nostro bene e attraverso noi può fare il bene. Dio è l’unico soggetto che guida la storia: Gesù , a differenza di noi uomini che ci riteniamo indispensabili, si fida del progetto del Padre. Ma allora dal suo “abbassamento” riceve la gloria di cui parla Satana (v.6.11; Fil 2,6-­‐11). Da strumento seguendo le orme di Gesù l’uomo diventa protagonista della sua storia.

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II Domenica di Quaresima Entriamo oggi nella contemplazione del volto glorioso di Gesù: la Trasfigurazione conferma a noi, discepoli impauriti, che Cristo è il Figlio di Dio, il Benedetto, colui che rivela la presenza di Dio nei solchi della storia. Gn 12,1-­4 •

Dopo aver narrato nei capitoli 1-­‐11 la realtà di peccato che mette la creazione contro il suo Creatore, il libro della Genesi racconta l’opera di salvezza che Dio attua nel mondo attraverso un popolo che trova nel patriarca Abramo il suo capostipite. La sua storia si sviluppa in Gn 11,27-­‐25,10. Sarebbe vissuto intorno al XIX secolo a.C. ed è il primo dei Patriarchi, capo di una tribù nomade di pastori. Il suo nome era “Abram” = “padre grande” cambiato da Dio in Gn 17,5 in “Abrahàm” = “padre di una moltitudine”, perché considerato il padre di tutte le persone che credono in un Dio unico (fedi monoteiste: ebraismo, cristianesimo, islam).

· Dio si rivela a lui e gli chiede di abbandonare la sua città, Carran (importante centro carovaniero dove si adorava il Dio Luna), lasciare la sua famiglia paterna e la religione dei suoi padri (fatta di diverse divinità) per partire verso una meta ignota, fidandosi di un Dio di cui non conosce neppure il nome. È sempre Dio a prendere l’iniziativa in tutta la storia della salvezza: ogni sua Parola è rivelazione di amore e di misericordia, svelamento di un destino più grande a cui Dio ci chiama per dare luce e speranza all’umanità attraverso la nostra vita (benedetti e benedizione)

L’unica risposta dell’uomo all’appello di Dio è la fede: Abramo si affida unicamente a questa parola di Dio e parte; nella fede ogni uomo deve partire per uscire da se stesso e camminare giorno per giorno nella conquista della consapevolezza di ciò che Dio ha pensato per lui, nella scoperta del suo progetto di amore che passa dalle nostre umili vite.

Abramo faceva parte dei grandi movimenti migratori che da est andavano ad ovest. L’autore jahvista collega questa migrazione a tre elementi caratteristici della fede: 1. Dio è all’origine della salvezza. La migrazione di Abramo risponde ad una chiamata di Dio (“Vattene”). È il tema dell’elezione che non trova fondamento nelle qualità di Abramo, ma nel solo amore di Dio; ad essa è legata la particolarità del popolo di Dio rispetto agli altri popoli (Dt 7,6; 14,2; 26,18). 2. Dio è Dio della promessa. Ad Abramo Dio promette una numerosa discendenza e una terra donata da Dio al popolo che nasce da Abramo. 3. In Abramo Dio lavora alla salvezza di tutti i popoli. L’elezione di Abramo ha un significato universale che Israele non dovrà mai dimenticare. Il popolo di Israele è il più piccolo popolo (Es 19,5-­‐6; Dt 7,7; 9,5; Am 9,7), ma attraverso di esso la benedizione di Abramo scenderà su tutti i popoli della terra. L’elezione non è un privilegio, ma una responsabilità di cui dovremo dare conto a Dio (Am 3,2). La fede produce uno sradicamento dalle nostre sicurezze mondane e ci rende “stranieri e pellegrini” sulla terra. Questa è la santità di cui Dio riveste il suo popolo, chiamato a condividere la santità di Dio e non la mondanità del mondo (Rm 8,29). L’esistenza e l’avvenire del popolo eletto

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dipendono da questo atto assoluto di fede in Abramo (Eb 11,8-­‐9); ogni uomo può accoglierla o rifiutarla (At 3,25; Gal 3,8).

2 Tm 1,8b-­10 •

Timoteo: era figlio di padre greco e di madre israelita (At 16,1-­‐3); era già cristiano quando Paolo lo conobbe a Derbe; per evitare un conflitto inutile con i giudei lo fece circoncidere. Paolo insegnava con tenacia che non era necessaria la circoncisione per essere cristiano, ma nel caso di Timoteo, essendo la madre e la nonna pie israelite, mostra una flessibilità strategica che va a vantaggio dell’accoglienza del messaggio cristiano. A motivo dell’aiuto prestato nel difficile lavoro della missione (1Ts 3,2.6; 1Cor 4,17) viene molto apprezzato dall’apostolo (Fil 2,19-­‐23). La tradizione lo attesta come primo vescovo di Efeso (1Tm 1,3; 4,14; 2Tm 1,6). · Dio ci chiama e ci illumina: Paolo scrive a Timoteo dalla prigione, abbandonato da tutti; le sofferenze però non impediscono all’apostolo di continuare a proclamare la gratuità del dono salvifico di Dio in Cristo Gesù. Questo testo della seconda lettera al “figlio diletto” (2Tm 1,2), al “vero figlio della fede” (1Tm 1,2) ripropone temi vicini a quelli del libro della Genesi: in particolare quello della chiamata di Dio fondata non sulle opere ma sul disegno di Dio e sulla sua grazia (2Tm 1,9).

Vocazione santa: perché questa chiamata viene da Dio santo, ma anche perché la vocazione ha strappato Timoteo dal mondo e lo ha messo a parte per il servizio di Dio, a favore del mondo (“ i cristiani sono nel mondo, ma non sono del mondo” Epistola a Diogneto).

In Cristo Gesù: con questa precisazione Paolo afferma che ogni vocazione, da quella di Abramo fino alla nostra, avviene in Cristo; questo significa che ogni vocazione ci rende partecipi del destino di Cristo. Abramo e tutti i chiamati prima della venuta di Cristo hanno prefigurato la vita di Gesù di Nazaret, vita che Israele e la Chiesa prolungano nella storia umana. In questo mondo Cristo che è Vita di Dio, dona vita al mondo attraverso di noi. · Sofferenza: Timoteo deve comprendere che la sua vita, come quella di Paolo e di ogni chiamato, si svolge sotto il segno della sofferenza, affrontata come avvenne per Cristo con la sola forza di Dio. “E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rm8,17).

Mt 17,1-­9 Il racconto della Trasfigurazione occupa un posto centrale nei Vangeli: è il momento della “grande svolta” del ministero di Gesù. Egli vedendo che la folla lo pensa sempre più come un Liberatore politico e trionfatore sulle forze occupanti romane, si preoccupa di precisare il suo ruolo di “Messia” secondo la Scrittura, un Messia crocifisso e risorto. Lo splendore della Trasfigurazione evoca allora l’oscurità della passione e la illumina svelando la sua identità di “Figlio di Dio”. Questa esperienza vede coinvolti Pietro, Giacomo e Giovanni. Gesù li chiama ad essere testimoni della sua gloria (anche se li invita a parlarne solo dopo la risurrezione). Questi tre apostoli saranno i testimoni privilegiati di Gesù nella risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,37; Lc 8,51) e sul monte degli ulivi della sua passione (Mc 8,51; Mt 26,37-­‐46). La Trasfigurazione di Gesù è un invito pressante rivolto a tutti i discepoli del Signore a fissare l’attenzione sulle Scritture, le quali attestano che il Messia doveva passare attraverso la sofferenza e la morte per entrare nella gloria. Le parole di Gesù riguardo al suo destino di sofferenza trovano allora conferma nelle parole dei profeti ( Is 52,13-­‐ 53,12; Pt 1,19). www.parrocchiamadonnaloreto.it

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Per ogni cristiano si realizza ciò che l’episodio significò per i discepoli: introduzione sempre più profonda nel mistero di Cristo, mistero di morte e risurrezione, sofferenza e gloria. La forza di chi segue Gesù sta nell’ascolto della Sua Parola (“Ascoltatelo” è l’imperativo del Padre). Cristo è il Figlio di Dio, colui che dona compimento alla storia della salvezza, rappresentata da Mosè ed Elia, la Legge e i profeti. •

In Mt 16,21 inizia la seconda parte del Vangelo secondo Matteo, che riprende la formula introduttiva della prima (4,17: “Da allora Gesù cominciò”), che si era conclusa con la solenne proclamazione di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Nella seconda Gesù precisa la sua vocazione messianica, che passa dalla rifiuto e dalla passione del Figlio dell’uomo, alla quale vengono associati i discepoli di Gesù (Mt 16,21-­‐ 27). La Trasfigurazione servirebbe allora per prevenire lo scandalo della croce e dare sicurezza alla fede degli apostoli più intimi.

Voce del Padre: è centrale in questo episodio; ribadisce quello che ha detto nel battesimo del Giordano (Mt 3,17) ma aggiunge “Ascoltatelo” cioè aderite con tutto il vostro essere all’insegnamento che Gesù manifesta con la sua passione. Il Tabor e il Calvario vanno letti insieme: quando Gesù parla della propria morte ed invita i suoi discepoli a rinnegare se stessi, manifesta la volontà e l’obbedienza al progetto di Dio, la sua vita da Figlio in comunione con il Padre. Siamo di fronte a una “teofania” fatta di diversi elementi:

1. Su un alto monte: evoca il Sinai dove Mosè ricevette la Legge che il popolo accettò di “fare e ascoltare”(Es 24,7); Gesù parla da un monte come nuovo Mosè nel discorso della montagna (Mt 5-­‐7); Gesù risorto invia i suoi nel mondo da un monte (Mt 28,16). 2. Apparizione di Mosè ed Elia: attesta la conformità dell’insegnamento di Gesù con la primaalleanza. 3. Nube e volto luminoso: evocano anche essi la figura di Mosè che era avvolto dalla nube sul Sinai (Es 19,9.16; 24,15); il suo volto era raggiante quando scende con le tavole della Legge (Es 34,29). La nube indica la presenza misteriosa di Dio, che accompagna il popolo nel suo esodo (Es 13,21) verso la libertà e la terra promessa. 4. Ascolta: ricorda lo “Shemà Israel (Dt 6,4).

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III Domenica di Quaresima In questa tappa del nostro cammino quaresimale siamo chiamati a dissetarci alla sorgente d’acqua viva che sgorga dal costato di Gesù Cristo. Es 17,3-­7 1. Il popolo di Dio è uscito dall’Egitto ed è in cammino verso la liberazione, un itinerario scandito dai tempi e dai modi di Dio. L’esodo non è per l’ebreo soltanto un evento storico ormai passato: è un evento fondante il popolo d’Israele, ma è anche la situazione in cui egli si trova praticamente sempre. Il popolo di Dio è sempre in esodo, anche quando vive in terra d’Israele, perché è un popolo in attesa del Messia. Anche noi cristiani siamo un popolo in cammino e in attesa del ritorno glorioso del Signore Gesù. Il soggiorno di 40 anni nel deserto diventa il paradigma di ogni popolo in cammino verso la libertà, il deserto diventa un luogo di prova della fede. 2. Nel deserto vi è un problema fondamentale: quello dell’acqua. L’acqua è garanzia di vita. Siccome la vita è un dono di Dio, si capisce l’affermazione finale: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no”. La sete li fa mormorare contro Dio. 3. Questo episodio di redazione elohista, trova il suo parallelo in Nm 20,2-­‐13 di redazione sacerdotale. La mancanza di acqua è uno dei temi che danno luogo a varie narrazioni nella storia dell’esodo; legato al tema della mancanza di cibo ricordata in Es 16. Il problema dell’acqua era sorto subito dopo il passaggio del mar Rosso, in una località detta Mara, perché aveva una sorgente di acqua amara (Es 15,22-­‐25). Il deserto con le sue prove affina perciò la fede del popolo ebreo. 4. Legati all’acqua abbiamo tre aspetti: a. Dio è la Roccia da cui esce l’acqua. Mosè dona l’acqua che Dio fa scaturire dalla Roccia: non si tratta semplicemente del liquido che disseta il corpo, ma rappresenta un’acqua che dona “vita” alla totalità della persona. La roccia è figura di Dio stesso, solido punto di appoggio per costruire la propria esistenza (Dt 32,4.15.18; Nm 20,10; 1Sam 2,2; Sal 18,3.32.47) Nel vangelo questa figura sarà ripresa (Mt 7,24) e Paolo potrà identificare questa roccia a Cristo in cui tutto si compie (1Cor 10,4). b. L’acqua del monte Oreb. L’acqua che dona vita sgorga dall’Oreb, da cui è uscita la LeggediDio.ÈlàcheDiohadatoaMosèisuoi precetti e i suoi comandamenti (Dt 4,10-­‐14; 5,22; Ml 3,22). La vita d’Israele non è allora, in fin dei conti, null’altro che l’alleanza che Dio ha fatto con il suo popolo, alleanza di cui la Torah è testimonianza. c. Il piano trascendente si sovrappone a quello naturale: una sete d’acqua che deve essere letta come sete di senso e di infinito (Gv 4,13-­‐14); una protesta contro la guida umana che diventa protesta per l’apparente silenzio di Dio; un’acqua che tempra lo spirito e ci aiuta a vivere la storia della salvezza non da semplici fruitori del dono ma come protagonisti attivi del nostro cammino di liberazione. www.parrocchiamadonnaloreto.it

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Rm 5,1-­2; 5-­8 •

L’intento della lettera ai Romani è prima di tutto riproporre il Vangelo che è Gesù Cristo (1,1) e poi mostrare che la fede cristiana non è in rottura ma è in continuità con la fede d’Israele (1,16-­‐17). Paolo ribadisce la gratuità del dono di Dio: un amore preveniente, che raggiunge l’uomo peccatore e lo salva (2Cor 5,21).

Dopo aver mostrato che tutti gli uomini (ebrei e pagani) sono sotto la potenza del peccato (Rm 1,18-­‐3,20) Paolo presenta l’opera di Cristo come mistero di giustificazione dei peccatori, gratuitamente per pura grazia; non siamo salvati per i nostri meriti, ma solo nella fede in Cristo che ha donato la sua vita sulla croce per liberarci dal potere del peccato e renderci giusti (3,21-­‐5,11).

La giustificazione è opera trinitaria: si manifesta come amore del Padre, di cui prova evidente è la vita e la morte del Figlio, che dona a tutti noi lo Spirito, la cui presenza è attestata dalla comunione che lega i cuori dei credenti nella Chiesa.

La giustificazione ha per prima conseguenza la pace, un bene messianico dato adesso ad ogni credente (Ef 2,14-­‐17; Col 3,15), uno stato che coinvolge la pienezza dell’uomo, in comunione con Dio grazie alla mediazione di Cristo (Lc 1,79). • Secondo effetto della giustificazione è la riconciliazione con Dio, che dona una vita nuova al credente (2Cor 5,18-­‐19; Ef 2,16; Col 1,20-­‐22).

La speranza cristiana ha un nome: Gesù Cristo. La croce di Cristo è la dimostrazione definitiva dell’amore di Dio per noi; questa speranza non è un’illusione, poiché due sono i doni derivanti dalla croce: lo Spirito (Gv 7,39; 19,30) e la salvezza. Nello Spirito possiamo chiamare Dio Padre (Gal 4,6). Inoltre lo Spirito è caparra della salvezza (Ef 1,14). Il fondamento della speranza cristiana è perciò solido: noi resistiamo all’angoscia e all’incertezza della vita, perché Dio ci ama. Così la speranza diventa forza: è la certezza che colui che si è seduto alla mensa dei peccatori, dà più importanza all’accoglienza del suo amore che non al nostro peccato.

Peccatori perdonati, i cristiani possono amare dell’amore stesso di Dio e sperare già adesso di partecipare alla sua gloria, comunione di amore.

Gv 4,5-­42 •

In Gv le feste ebraiche hanno una radicale importanza per svelare il mistero del Messia Gesù: tre Pasque (2,13; 6,4; 11,55); la festa di Sukkôt o delle Capanne, a settembre dove si ricorda l’azione salvifica di Dio durante l’esodo (7,2); la festa della Dedicazione o Hanukkah (10,22) a fine dicembre dove si ricorda la restaurazione del Tempio dopo la vittoria di Giuda Maccabeo su Antioco IV. Queste feste accompagnano la vita di Gesù verso la manifestazione gloriosa della “sua ora” (12-­‐21).

L’intento di Gv è probabilmente di mostrare come in Gesù tutte le feste ebraiche trovino il loro compimento: ricordano un passato di grazia che si apre alla pienezza di grazia in Gesù crocifisso e risorto.

Il cap 4 è inserito nella prima Pasqua, in cui Gv presenta Gesù come il nuovo Tempio (2,13-­‐ 22). In lui possono radunarsi tutti i popoli per adorare Dio: gli ebrei (Gv 3); i samaritani (Gv 4, 1-­‐42) e i pagani (4,46-­‐54). Siccome la Pasqua è ricca di significati, Gv approfondirà questa festa nel cap 6, presentando Gesù come “pane di vita”. Queste due Pasque precedono e

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illustrano la terza Pasqua definitiva, dove Gesù “vero agnello pasquale”, sarà innalzato sulla croce, mostrando la gloria dell’amore di Dio per la salvezza di tutti gli uomini che affidano nella fede la loro vita in Lui. La salvezza è un’offerta gratuita: Dio giustifica l’uomo attraverso la fede in Gesù crocifisso; in Gesù ogni cristiano deve aderire libera-­‐ mente e in obbediente filiale alla volontà del Padre. •

In questo brano del cap 4 Gesù incontra una donna samaritana. I samaritani (secondo la tradizione biblica) hanno origine da un’immigrazione forzata di cinque popolazioni pagane al tempo della deportazione del regno del nord in Assiria (2Re 17,24-­‐ 41); odiati dai giudei praticanti di Gerusalemme e accusati di essere mezzi-­‐pagani. In 2Re 17,41 si dice che essi servono Dio pur continuando ad adorare i loro idoli: i cinque mariti della donna sono riferimento ai cinque idoli; l’attuale uomo della donna, che non è suo marito, si riferisce probabilmente al Signore.

Gesù parla con una donna: ruolo secondario nel culto ebreo, ma centrale nella vita del Signore (Gesù si manifesta per primo come risorto alle donne).

In Gesù crocifisso, l’acqua viva, che sgorga dall’Oreb e dal costato del Signore come sorgente che zampilla per la vita eterna, raggiunge quindi le donne e i samaritani (Gv 4,39.41).

Centrale è il dialogo dei vv.20-­‐24: l’Oreb è stato spostato dai samaritani sul loro monte, il Garizim, e dagli ebrei invece sul monte Sion a Gerusalemme Is 2,3; Sal 68,18). Questo era oggetto di continue dispute tra loro. Gesù afferma il primato del monte Sion: gli ebrei di Gerusalemme adorano colui che conoscono (essi sono il popolo di cui Dio è lo Sposo); da loro viene la salvezza. Tuttavia Gesù evoca un “tempo” (e non più un luogo) in cui si adorerà il Padre in “Spirito e verità”: è il culto il cui centro è il Cristo, nuovo e definitivo Tempio di Dio, dal quale sgorga l’acqua viva, zampillante per la vita eterna e che raggiunge tutti gli uomini (Ez 47,1-­‐12; Gv 19,34). Quest’acqua è anche la parola di Dio che è “cibo” per chi la mette in pratica (Gv 4,34) cibo di vita eterna (Gv 6,35-­‐40).

Quel tempo del culto in Spirito e verità è anche il tempo della mietitura escatologica preparata dai profeti, da Cristo e da quelli che precedono gli apostoli (Filippo per i Samaritani: At 8,5-­‐13) e completata da Pietro e dagli altri (At 8,14): gli apostoli sono pietre vive sulle quali Cristo, la roccia, costruisce la Chiesa, comunità escatologica (Mt 16,18; Ef 2,20).

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IV Domenica di Quaresima Anno A

16,1.4.6 7.10 13 22 (23) 5, 8 14 9, 1 41

“Gesù mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo” Troppo spesso, il terribile conformismo delle nostre società dei consumi induce nei cristiani un materialismo pratico. Non hanno compreso l’esigenza totalizzante della fede. Dividono facilmente la loro vita in due parti: la vita della fede, che tende a scomparire a poco a poco, e la vita pura e semplice, con la sua densità, la sua complessità, le sue difficoltà e le sue attrattive. Dopo un po' di tempo, la “serietà” della vita squalifica il mondo della fede, che si identifica per lo più con una certa pratica religiosa. E tuttavia, questa mancanza di realismo della fede è una malattia in qualche modo più grave dell'eresia. È ciò che contraddice maggiormente la vera realtà della fede, se è vero che il cristianesimo, in quanto religione di incarnazione, non propone solo delle “verità”, ma un nuovo tipo di uomo. Oggi l’ateismo più vivace non contesta l’ideale cristiano di una fraternità universale ( alla quale esso stesso si richiama ( ma denuncia la mancata efficacia del cristianesimo in quanto realtà storica, cioè il volto che i cristiani gli conferiscono nel mondo odierno. (Cl. Geffré, Uno spazio per Dio) Lo ha incontrato per caso, mendicava seduto sul ciglio della strada. Un cieco era escluso dal tempio, quindi dalla religione. Mentre Davide assediava Gerusalemme, gli abitanti della città l’avevano preso in giro, dicendo che persino i ciechi e gli zoppi gli avrebbero impedito di entrare nelle mura. Da vincitore, il re aveva fatto di Gerusalemme la sua capitale, e, per una ripicca un po' infantile, aveva decretato che quegli infermi non sarebbero mai potuti entrare nel tempio. Così il grande Davide si era vendicato della sua esclusione escludendo a sua volta dei deboli innocenti. Oggi diremmo che li aveva scomunicati. L’ostracismo è un riflesso umano viscerale, irrazionale, spesso radicato nel sentimento di essere stati rifiutati. Il diverso fa sempre paura, meglio escluderlo dalla società. E così che si giunge persino ad allontanare chi la pensa diversamente, gli infermi dell’ortodossia! Gesù s'intrattiene con lui. Come sempre dialoga con chi è escluso, con le persone alle quali nessuno rivolge la parola. Come uno che oggi si fermasse a dialogare con un marocchino o un barbone. Ma chi lo fa mai? Gesù ridà voce a chi non ce l'ha. Ai peccatori, agli indemoniati, persino ai lebbrosi. Come se avesse bisogno della diversità, per manifestarsi. Non si circonda forse di donne, di peccatori, di gentaglia, persino di bambini che contavano meno degli animali? Gli apostoli si sentono a disagio nel vedere il Maestro fermarsi per strada con un mendicante. Alzano il livello della conversazione, tirando in ballo un quesito teologico. Bisogna sempre giustificare l’esclusione. I discepoli cercano un responsabile di quest'infermità. Sarà lui? Ma se è nato cieco, che male avrebbe potuto commettere prima di nascere? I suoi genitori allora? Quando ci capita una disgrazia, ci chiediamo istintivamente che cosa abbiamo fatto per meritarla. «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio». No, non è la solita risposta che presenta l’eternità come il compenso di tutte le pene di quaggiù! Quali sono le opere di Dio? La creazione, di cui il capolavoro è l'essere umano. L’opera di Dio è l’uomo felice, rispettato nella sua dignità. Voi lo disprezzate perché è cieco, mendicante. E Gesù, «sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Siloe». Come se ripetesse il gesto della creazione d’Adamo, plasmato dal fango del suolo. Il cieco umiliato dalla sua infermità e ora dalla supposizione che la sua menomazione sia frutto del peccato, è invitato a, diventare protagonista della sua guarigione. E una storia che, come sempre con Gesù, si svolge su due piani: i ciechi sono coloro che guardano all’apparenza. Il vedente è Gesù che non si ferma mai all'esteriorità: scorge in ogni essere umano il volto di Dio. Il vangelo è l'intreccio di queste due dimensioni. «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato», accusano i farisei di fronte al miracolo. I genitori del cieco, chiamati in causa, preferiscono l’omertà alla verità. Chi vive nell’esteriorità rifiuta il cambiamento di chi si avvicina alla verità nascosta sotto l’apparente realtà. L’uomo guarito cammina invece verso la Verità: «Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi». Naturalmente lo cacciano via. Eccolo nuovamente escluso dalla religione ufficiale. A questo punto si incontra con Gesù e avviene la vera guarigione di cui la prima era solo il simbolo; così scopre la realtà nascosta dell’identità di Gesù: «Tu credi nel Figlio dell’uomo?» «Io credo Signore!». E noi scegliamo di cambiare, di lasciarci guarire per vedere? (Emmanuelle-Marie – Un Dio del Quotidiano)

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V Domenica di Quaresima Anno A

Ezechiele Salmo Romani Giovanni

37,12 14 129 (130) 8, 8 11 11, 1 45

“Io sono la Risurrezione e la Vita; chi crede in me anche se muore vivrà” •La quaresima è il tempo in cui riscoprire l’essenziale della fede, entrando nel deserto delle nostre giornate ingombre di cose da fare, che ci rendono arido il cuore. Un tempo per lasciare che l’anima ci raggiunga e scoprire l’essenziale che fa la vita. Abbiamo visto la scorsa domenica un Dio che disseta l’anima e ridona luce alla nostra cecità. E oggi, alla fine di questo lungo percorso, troviamo un vangelo che ci parla prima di tutto di una amicizia che dona vita là dove sembra esserci solo morte e disperazione. •Siamo a Betania, un piccolo villaggio che sorge sul monte degli ulivi, nel declivio opposto a quello che sovrasta Gerusalemme, dove Gesù volentieri si rifugia, in casa di amici per ritrovare un po’ di clima famigliare, per fuggire dalla Gerusalemme che uccide i profeti. Che bello pensare che anche Dio ha bisogno di una famiglia e di amici come noi. •Ma quando Lazzaro si ammala Gesù è lontano: come succede anche a noi, davanti alla malattia e alla morte di una persona che amiamo, ci sembra che Gesù sia distante. •La resurrezione di Lazzaro è posta poco prima della Passione di Gesù. Infatti il passaggio dalla morte alla vita, centro del messaggio di questa domenica, prelude, soprattutto con l’episodio della resurrezione di Lazzaro, all’evento pasquale la cui celebrazione si fa sempre più vicina. •È l’ultimo e il più clamoroso dei segni, quello che determina la decisione, da parte del Sinedrio, della pericolosità di Gesù e la necessità di un suo immediato arresto, senza indugiare ulteriormente. Come se Giovanni volesse dirci che la vita di Lazzaro determina la morte di Gesù. Siamo di fronte all’immagine di uno scambio, di un dono che Dio fa in Gesù per ogni uomo. La vicenda di Lazzaro, allora, è la vicenda di ognuno di noi: Gesù ci disseta; Gesù ci dona luce; Gesù dona la sua vita per me. •I testi sottolineano anche tre dimensioni della morte, nella sua drammaticità: la morte di Lazzaro è fisica, ma la morte spirituale di chi vive nella chiusura egocentrica e la morte simbolica del popolo deportato non sono meno drammatiche e reali: 1. La resurrezione appare come evento storico: la morte in cui giacciono i figli d’Israele è la situazione di esilio a Babilonia da cui essi risorgeranno ritornando in terra d’Israele (I lettura); la morte comunitaria di cui parla Ezechiele è situazione di morte della speranza: “La nostra speranza è svanita, siamo perduti” (Ez 37,11). Anche noi, nelle vicende relazionali (un’amicizia, un amore, un matrimonio), comunitarie ed ecclesiali che viviamo, possiamo sperimentare la morte della speranza, l’assenza di futuro. Tuttavia, la nascita della fede nella resurrezione e della speranza pasquale avviene attraverso la morte di altre speranze effimere. Lo Spirito creatore è lo Spirito che dona vita e suscita speranza là dove regna la disperazione e la morte. 2. La resurrezione appare come evento spirituale che caratterizza il credente che, lasciandosi guidare dallo Spirito di Dio, passa dalla vita nella carne, basata sull’egoismo e sul peccato, alla vita in Cristo (II lettura); per Paolo l’uomo che vive “nella carne”, nell’autosufficienza egoistica, fa del proprio cuore la propria tomba e si trova nella morte spirituale. Ma lo Spirito di resurrezione che forza l’impenetrabilità della morte e fa uscire dai sepolcri, può penetrare le chiusure individualistiche e, ponendo la dimora nel cuore umano e inabitando in esso, può immettere l’uomo in una vita nuova. 3. La resurrezione appare come evento personale e corporeo che conduce Lazzaro a uscire dalla tomba all’udire la parola di Gesù (vangelo). Il brano evangelico è una pedagogia verso la fede in Cristo che è la resurrezione e la vita. Il dialogo tra Gesù e Marta è incentrato sul credere: “Chi crede in me, anche se muore vivrà” (Gv 11,25); “Credi tu questo?” (11,26); “Sì, Signore io credo” (11,27).

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•Il racconto è un crescendo di emozioni, di testimonianze di fede delle sorelle, ma anche di umanissimo sconforto e pena. Quando Gesù vede la disperazione delle sorelle e della folla, resta turbato, e scoppia in pianto. All’inizio del vangelo a Giovanni e Andrea, discepoli del Battista, che, su indicazione del profeta, lo avevano seguito e gli chiedevano dove abitasse, Gesù aveva risposto “venite e vedrete” (Gv 1,39). Ora è Gesù che si fa discepolo, che è invitato ad andare per scoprire fino in fondo cosa significa essere uomini. Come se, fino ad allora, non avesse visto fino in fondo quanto dolore provoca la morte. Come se fino ad allora Dio non avesse ancora capito quanto male ci fa la morte, quanto sconforto porta con sé il lutto. Come se Dio non sapesse. Come se Dio imparasse cos’è il dolore. Dio piange, davvero. E quel pianto ci lascia interdetti. Quel pianto ci sconcerta, ci scuote, ci smuove. Dio, ora, sa cos’è il dolore. Fra poche ore andrà fino in fondo, portando su di sé tutto il dolore del mondo. Dio e il dolore si incontrano. Non è bastato che Dio diventasse uomo per condividere con noi la vita. Ha voluto imparare a soffrire, per redimere ogni pena. •MA Davanti ad un Dio che condivide, non sempre il nostro cuore si convince, si converte. Come coloro che vedono il pianto di Gesù: alcuni notano l’amore di Gesù per Lazzaro, la sua compassione; altri, cinicamente, obiettano “Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?” In queste parole abbiamo tutta la contraddizione dell’essere umano. Preferiamo un Dio che condivide il nostro dolore o un Dio che ci evita il dolore? •Di fronte all’insicurezza e alla precarietà che la prospettiva della morte ingenera nelle nostre vite (“a causa della morte, noi, gli uomini, siamo come città senza mura”: Epicuro), noi siamo tentati di costruirci baluardi, difese e barriere che ci proteggano da essa (vieni subito Signore). Siamo indotti dalla paura a un atteggiamento difensivo di paura. E così facciamo anche della vita una morte, una schiavitù (“gli uomini sono schiavi per tutta la vita a causa della paura della morte”: Eb 2,15): cercando di difenderci dalla morte, in realtà ci allontaniamo dalla vita. •Gesù, invece, chiedendo fede, affidamento, chiede di entrare nel suo atteggiamento di fronte alla morte (“Padre, io sapevo che sempre mi ascolti”: Gv 11,42), atteggiamento che, mentre assume la morte e soffre per colui che è morto, fa anche della morte una vita, vivifica la morte. •La fede è il luogo della resurrezione. La fede di Gesù è dunque un magistero, una via privilegiata, per non sentirci mai abbandonati dal Padre, quindi imparare a credere: “L’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano” (Gv 11,42). •Proclama un’omelia dello Pseudo Ippolito: “Avendo tu visto l’opera divina del Signore Gesù, non dubitare più della resurrezione! Lazzaro sia per te come uno specchio: contemplando te stesso in lui, credi nel risveglio”. •Se la fede è il luogo della resurrezione, l’amore ne è la forza: Gesù “amava molto Lazzaro” (11,5) e questo amore si fece visibile nel suo pianto dirotto (cf. 11,35-36). L’amore integra la morte nella vita e trova il senso di quest’ultima nel dono: dare la vita diviene un dare vita. Aver fede in Gesù che è resurrezione e vita significa fare dell’amore un luogo in cui la morte viene messa a servizio della vita. La fede e l’amore si manifestano nella parola con cui Gesù resuscita Lazzaro «Lazzaro, vieni fuori!»: Gesù può richiamare Lazzaro alla vita (chiamare chi è morto e giace nel sepolcro) grazie alla fede nel Dio che resuscita i morti e grazie all’amore, all’umanissimo amore che lega Gesù a Lazzaro. La potenza di resurrezione della parola di Gesù è tutta nella fede e nell’amore che la abitano. Il Signore vi doni Pace. Fra Alberto

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Triduo pasquale 2011 Giovedì santo Carissimi, questa sera siamo commensali alla tavola del Signore, la nostra comunità, le nostre sorelle di Cumiana, le sorelle della chiesa etiopica copta che sono con noi, e voi amici e ospiti. Siamo tutti invitati dal Signore per celebrare la Pasqua, la Pasqua in cui il Signore è passato da questo mondo al Padre (cf. Gv 13,1), la Pasqua in cui il Signore ha voluto riassumere tutta la sua vita, per quanto umanamente possibile, in due gesti accompagnati da pochissime parole. Il gesto della lavanda dei piedi, che noi ricorderemo dopo questa omelia, come gesto che narra l’azione di Gesù, non l’azione di chi presiede, ma l’azione, l’atteggiamento di Gesù nei confronti dei suoi discepoli, dunque nei nostri confronti. Un gesto che è un invito a che noi ci laviamo i piedi gli uni gli altri, ma un gesto che trova il suo canone, la sua forma nel gesto di Gesù, di cui noi cerchiamo di narrare tutta la portata attraverso un segno. Il gesto eucaristico, ringraziamento di Gesù al Padre, benedizione di Gesù verso tutta la creazione e tutta la storia, ma anche risposta agli eventi che incombevano su di lui nella sua vicenda, eventi che lo avrebbero portato alla fine, alla passione e alla morte. Quest’anno la nostra meditazione sarà su questo secondo gesto di Gesù, dunque sull’eucaristia, la cui narrazione abbiamo ascoltato nelle parole dell’Apostolo Paolo, che riferisce alla comunità di Corinto una memoria viva, vissuta dalla chiesa di Antiochia (cf. 1Cor 11,23-32), una memoria che era ormai celebrata in tutte le comunità cristiane come memoria del gesto compiuto da Gesù alla vigilia della sua passione e anche come rivelazione della sua Pasqua. Cerchiamo dunque semplicemente di ascoltare le Scritture sante e di comprendere l’eucaristia attraverso di esse. Gesù è salito a Gerusalemme con la sua comunità, i Dodici, e l’evangelista Luca ci dice che nella consapevolezza di quella Pasqua che incombeva su di lui, Gesù ha assunto un viso duro, una faccia dura e decisa (cf. Lc 9,51), quasi a dire che ormai le parole non erano più assolutamente necessarie e che bisognava tutto riassumere nella semplicità, con gesti elementari, con poche parole. Gesù sa – certo, con la sua coscienza umana, soltanto umana, ma vigilante, una coscienza non sonnolenta, una coscienza esercitata a comprendere la necessitas umana e le esigenze della volontà di Dio – che ormai si avvia verso la morte. L’ostilità nei suoi confronti è cresciuta, l’autorità religiosa legittima e istituzionale lo vuole far tacere e lo vuole eliminare, e i suoi discepoli mostrano sempre di più di non essere capaci né di comprendere né di reggere un coinvolgimento con la sua vita. Gesù sa che i più dormiranno, sa che addirittura colui che egli aveva chiamato Pietro, la roccia, preso da paura sarà più debole di una canna incrinata, e sa che tra i suoi, nella sua comunità c’è anche chi lo consegna per facilitare la sua fine. Ma Gesù legge tutto questo con una coscienza umana e come una necessità umana: Gesù sa che non c’è un destino che pesa su di sé, non c’è un fato, ma sa che c’è una necessità umana nella storia, perché le cose in questo mondo vanno così, seguono una logica ferrea per cui l’innocente il giusto, può solo essere rigettato, perseguitato e abbandonato ai suoi nemici (cf. Sap 1,16-2,20). La banalità del male di questo mondo – che non è umiltà del male, parola troppo nobile per essere applicata al male –, la banalità del male sta proprio in questo quotidiano avvenire delle cose. Gesù però non conosce solo la necessità umana, conosce anche le attese di Dio; si potrebbe anche parlare di una necessitas divina, ma per comprendere bene e non lasciare posti a equivoci preferisco dire che Gesù conosce le attese di Dio. Gesù ha una grande assiduità con Dio, lo prega intensamente, in particolare nella notte, legge le Scritture per trovarvi come fare la sua volontà, ha soprattutto la parola del Signore nel suo intimo, come tante volte ha ripetuto pregando il Salmo 40: «La tua legge, Signore, è nel mio intimo» (Sal 40,9). C’è dunque di fronte a Gesù, in quei giorni di Pasqua, l’attesa di Dio suo Padre, e ci sono delle precise azioni, responsabilmente fatte dagli uomini. Gesù deve rispondere alle attese di Dio e alle azioni dell’uomo: e ciò che è straordinario, e che per questo sarà proprio il cuore di tutta la nostra fede e della nostra vita cristiana, è che Gesù risponde con l’eucaristia. Eucaristia è veramente la parola migliore per identificare i gesti di Gesù, perché è la parola che dice un ringraziamento: «eukaristésas» (Mc 14,23; Mt 26,27; Lc 22,17.19; 1Cor 11,24), ossia «avendo ringraziato, innalzando a Dio una lode, dicendo a Dio un “amen” convinto e un grazie», un ringraziamento che scaturiva dalla sua fede incrollabile e dal suo fedele amore del Padre.


Ma questo ringraziamento era anche una risposta ai suoi avversari, a Giuda e ai suoi discepoli, risposta che viene data Gesù da con quel gesto sul pane e sul vino, accompagnato da pochissime parole. È significativo, Gesù non fa lunghi discorsi quella sera: sappiamo che nel quarto vangelo i discorsi di addio (cf. Gv 14,116,33) sono la memoria di sue parole, ma parole rivelate da un Kýrios glorioso e risorto alla sua chiesa, non parole dette da Gesù prima della sua passione. Gesù fa semplicemente un gesto, dice solo che quel gesto, quella Pasqua tanto desiderata (cf. Lc 22,15), sarebbe stata l’ultima con i suoi, e dice che quel calice del frutto della vite, quel vino della convivialità, quel vino che rappresentava tutto il possibile amore vissuto da un uomo sulla terra, sarebbe stato l’ultimo della sua vita. Chiarito il momento, resi consapevoli dell’ora i discepoli – l’abbiamo ascoltato, lo ascoltiamo sempre al cuore della nostra eucaristia, del nostro ringraziamento fatto con lui – «Gesù prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo per voi”» (Lc 22,19; 1Cor 11,24). Poi allo stesso modo disse: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue» (Lc 22,20; 1Cor 11,25), oppure: «Questo è il mio sangue dell’alleanza versato per le moltitudini» (Mc 14,24; Mt 26,28). Il gesto è chiarissimo, vuole essere una prefigurazione di quello che Gesù sta per vivere, la sua passione, la sua morte; ma vuole anche essere una sintesi di tutto ciò che fino ad allora Gesù ha vissuto. Ecco la risposta al Padre, all’attesa di Dio, che può essere espressa veramente dalle parole del Salmo: «Ecco, Padre, io vengo per fare la tua volontà (cf. Sal 40,8-9), il corpo che tu mi hai preparato ora accetto che sia spezzato, che sia dato, è un corpo per i discepoli, è un corpo per la comunità, è un corpo per la chiesa; e il sangue versato attraverso una morte violenta, è versato per le moltitudini di tutti gli uomini, di tutte le epoche e di tutta la terra». Perché corpo spezzato e sangue versato? Il Padre cosa attendeva da Gesù? Il Padre attendeva da Gesù quello che aveva atteso da tutti i giorni della sua vita terrena. Attendeva che Gesù, quale Figlio, non assumesse nessun atteggiamento contrario alla giustizia, che Gesù non assumesse nessun atteggiamento contraddicente l’amore, non conforme alla sua infinita misericordia. Gesù risponde al Padre ringraziando, e in quel ringraziamento c’è un ringraziamento per la vita che il Padre gli aveva dato, perché Gesù sapeva, e sapeva più di noi, che la sua vita, come la vita di ciascuno di noi, l’aveva voluta Dio in un disegno preciso e in un amore preciso. Gesù ringrazia il Padre per il dono di essere un uomo, per il dono di essere un uomo, per la grazia di essere stato terreno, mortale come noi; ringrazia il Padre per aver potuto amare questa terra; ringrazia il Padre perché gli è dato di avere del pane e di avere del vino, di muoversi in quella logica del bisogno e della gratuità, nella quale ogni uomo cerca ogni giorno di vivere e di fare vivere gli altri accanto a sé; ringrazia benedicendo il Padre, ma soprattutto la vera benedizione al Padre il vero ringraziamento è offrire la propria vita, offrire se stesso. Ecco la risposta di Gesù a Dio. Dio si attendeva solo questo, non si attendeva né la morte di Gesù, né la violenza che egli ha subito, ma si attendeva che Gesù restasse fino all’ultimo fedele ai suoi sentimenti, che Gesù sapesse narrare fino all’ultimo l’amore di Dio agli uomini. Se Gesù moriva, era per una necessità umana, non perché Dio lo voleva. Ma attraverso l’eucaristia Gesù dà anche una risposta ai sacerdoti e agli scribi, che lo accusavano di bestemmiare Dio. Lasciando che i sacerdoti e gli scribi, che l’autorità legittima del suo popolo disponga di lui, che lo catturi, che lo dichiari maledetto, che lo consegni a una morte infame, proprio facendo questo e permettendo questo, egli mostra di poter davvero ringraziare Dio, perché Dio gli ha concesso di narrarlo in questo mondo e di narrarlo senza venire meno. Ecco perché Gesù non fa nulla per contrastare il piano degli avversari, ecco perché non risponde con le armi da loro usate. A un certo punto addirittura tacerà (cf. Mc 14,61; Mt 26,63): ha parlato, ha anche attaccato quei sacerdoti e quegli scribi, ha anche lanciato loro dei «guai» (cf. Mt 23,1-36), ma, giunto il momento, resta un agnello afono, non risponde (cf. Is 53,7). Quel pane spezzato e dato: ecco ciò che vuole essere Gesù; quel sangue versato: ecco ciò che suggella chi era Gesù, cosa veramente voleva e come non tenesse alla propria vita ma tenesse soprattutto a che Dio potesse essere narrato agli uomini e gli uomini potessero conoscere che cos’è l’amore. Ma Gesù dà anche una risposta a Giuda. Giuda è terribilmente presente in questi racconti: lo abbiamo sentito nel quarto vangelo, ma Giuda è presente anche nei sinottici, e sappiamo dell’annuncio che Gesù, parlando di Giuda, ha dato in stretto legame con l’eucaristia (cf. Mc 14,17-21 e par.). Giuda è uno dei Dodici, che lo consegna e lo tradisce, e Gesù dà il boccone eucaristico anche a lui, dà il suo corpo e il suo sangue anche a Giuda. Lo scandalo va assunto nella comunità cristiana: i vangeli non stanno ad analizzare le cause psicologiche per cui Giuda ha tradito, non lo scusano e lasciano lo scandalo intatto, scandalo, inciampo per tutti. Se ci sono ragioni in Giuda per essere giunto fino alla consegna, quelle ragioni le sa solo Dio, non dobbiamo essere noi a investigarle, perché, quando lo facciamo, in realtà cerchiamo solo delle attenuanti per noi stessi. Ciò che veramente va preso in considerazione è lo scandalo del tradimento, ma anche la risposta di Gesù con l’eucaristia: «Giuda» – dice Gesù – «ecco il mio corpo, te lo do». E significativamente al momento della consegna, al Getsemani, il saluto che Gesù gli rivolge è: «Amico» – amico, perché questo era il


rapporto che Gesù aveva instaurato con Giuda – «per questo sei qui!» (Mt 26,50). Non solo, Gesù ha accettato anche il bacio da Giuda (cf. Mt 26,49), lo ha accettato senza rifiutarlo, senza vendicarsi, senza difendersi e senza condannare un bacio (tutti noi sappiamo che il bacio è l’atto più essenziale all’amore, e forse solo quelli che lo danno unicamente al vangelo o all’altare sanno che cos’è il bacio nella carne di un uomo…). Infine, Gesù con l’eucaristia risponde ai suoi discepoli, a Pietro e agli altri, a chi è pieno di paura e si mostra una canna incrinata, e agli altri che dormono e non sanno vegliare. Anche qui Gesù «non spezza la canna incrinata, non spegne lo stoppino dalla fiamma smorta», come annunciava il primo canto del Servo di Isaia (cf. Is 42,3; Mt 12,20); dice addirittura ai discepoli: «Dormite pure!» (cf. Mc 14,41 e par.). Ma a tutti questi suoi discepoli – che siamo noi, perché i discepoli di Gesù non erano differenti dalla comunità cristiana di oggi, e da ciascuno di noi, paurosi come «la roccia» o sonnolenti come gli altri dieci –, Gesù ha dato il suo corpo e il suo sangue, così come li dà a noi. L’eucaristia è la sola e definitiva risposta di Gesù a Dio e all’umanità intera, e ogni volta che la celebriamo dovremmo essere presi davvero da timore – il vero timor Domini, l’unico principio di una sapienza umana (cf. Sal 111,10; Pr 1,7) –, nell’accogliere nelle nostre mani e nell’accogliere in noi la vita di Gesù, la vita di Gesù raccolta in un gesto, il corpo del Signore per noi, il sangue per la moltitudine degli uomini. Ciò che celebriamo con il gesto del pane e del vino, ora lo celebriamo in memoria di Gesù anche con il gesto della lavanda. Sono due memorie di Gesù in cui non è possibile nessun protagonismo né di chi presiede, né del presbitero che presiede l’azione eucaristica: è il Signore che ci lava i piedi, è il Signore che ci dà il suo corpo e il suo sangue. ENZO BIANCHI, priore di Bose

Venerdì Santo Ieri sera, all’inizio del triduo pasquale, nel memoriale della cena del Signore, abbiamo cercato di cogliere il segno dell’eucaristia e il segno che ne è l’ermeneutica giovannea, la lavanda dei piedi: segni che volevano essere una risposta di Gesù al Padre e agli uomini attori di quella vicenda di passione e di morte. Abbiamo compreso maggiormente che quell’«eukaristésas» (Mc 14,23; Mt 26,27; Lc 22,17.19; 1Cor 11,24), quel ringraziamento, e quell’«euloghésas» (Mc 14,22; Mt 26,26), quel benedire, erano in Gesù l’«amen», l’amen del testimone fedele, come significativamente definirà Gesù l’Apocalisse, scrivendo con audacia: «Così parla l’Amen, il Testimone fedele» (Ap 3,14), termini ormai cristologici, che confessano l’identità di Gesù a partire proprio dalla sua passione e morte. Un amen, un sì pronunciato da Gesù con tutta la vita; un amen che dice sì anche alla morte; un amen pronunciato attraverso una martyría, una testimonianza perseverante che non è venuta meno, che non ha conosciuto contraddizione, nemmeno nella sofferenza e nella prova. Ora, proprio ricordando la croce, noi torniamo a cercare la risposta data da Gesù, risposta che è stata la passione nel suo significato più profondo: passione come amore, la fiamma divina dell’amore (cf. Ct 8,6), e nello stesso tempo passione come sofferenza, dolore, sacrificio. La passione di Gesù è stata un duello, un duello combattuto tra l’amore umano di Gesù – amore che era il racconto dell’amore di Dio fatto dalla sua carne, fatto dalla sua mente, fatto da tutta la sua persona (cf. Gv 1,18) – e la morte, potenza che aliena l’uomo, ma che ha soprattutto come soggetto il diavolo (cf. Eb 2,14-15), «il principe di questo mondo» (Gv 12,31; 16,11). Non possiamo certamente commentare tutta la passione secondo Giovanni, che è la risposta di Gesù all’interno di questo duello, risposta a Dio e risposta agli uomini: cerco solo di evidenziare, in alcuni punti, le risposte di Gesù agli uomini coinvolti nella sua vicenda pasquale e la risposta al Padre. All’inizio della passione, al di là del torrente Cedron, appare subito Giuda il traditore. Giovanni specifica che Giuda conosceva quel luogo, proprio per la sua assiduità con Gesù, proprio perché si era ritirato sovente con Gesù e gli altri discepoli in quel luogo per passarvi la notte, per pregare durante le soste a Gerusalemme. Nel quarto vangelo Giuda non è soltanto chi permettere di riconoscere Gesù nel buio della notte, affinché sia arrestato, ma è anche colui che guida soldati e guardie fornite dai sommi sacerdoti. Gesù, dandogli il boccone di pane, gli aveva anche detto: «Ciò che tu vuoi fare, fallo presto» (Gv 13,27). Ed ecco, ora Giuda fa ciò che vuole, e per Gesù l’evento dichiarato già nell’ultima cena come inarrestabile si mostra davvero tale. È significativo, Gesù dà a Giuda che viene a catturarlo una risposta, composta da una domanda e da una breve affermazione. Chiede a Giuda e agli altri: «Chi cercate?». E quando essi replicano: «Gesù, il Nazareno», Gesù stesso ha una sola parola da dire: «Egó eimi», «Io sono». Certamente questo «Io sono» indica il Nome santo del Signore, ma va colto anche nella sua valenza di riconoscimento: «Sono io». È con estrema semplicità che Gesù consegna se stesso, fa la dichiarazione della propria identità, non solo senza


alcun atto di difesa, senza alcun atto di violenza, ma neppure cercando grandi ragioni al perché di quella cattura. Egli non chiede a Giuda e agli altri: «Perché?», bensì: «Chi cercate? … Sono io». Giuda è venuto con soldati, fiaccole, lanterne e armi, mentre Gesù gli risponde con un disarmo totale. Giuda è armato, ma significativamente il quarto vangelo ha il coraggio di dire che c’è anche un altro discepolo che è armato e ha con sé una spada. I vangeli sinottici non osano dire che quel discepolo è Pietro, mentre il quarto vangelo lo esprime chiaramente e, per testimoniare che non si inventa quell’identità, scrive anche con più precisione il nome del servo colpito, Malco. Pietro amava Gesù, lo amava certamente più degli altri, anche più del discepolo amato; il discepolo amato era oggetto dell’amore di Gesù, ma è Pietro colui che aveva un amore più grande per Gesù. Ma l’amore di Pietro non era intelligente, era un amore troppo egoistico, un amore che non gli permetteva di comprendere la necessitas umana per cui l’innocente, il giusto, può solo essere vittima, e così collocarsi dalla parte delle vittime: è l’unica possibilità per non collocarsi dalla parte dei potenti, dei violenti e, in definitiva, dei carnefici. Pietro non aveva capito, aveva rifiutato l’annuncio della passione di Gesù all’inizio della salita verso Gerusalemme, aveva rifiutato il gesto della lavanda dei piedi, aveva rifiutato anche la logica eucaristica del boccone dato a Giuda. Infatti solo il discepolo amato sapeva che quel boccone eucaristico era stato dato al traditore, lo sapeva da Gesù perché glielo aveva chiesto (cf. Gv 13,23-26), ma non lo aveva trasmesso a Pietro, partecipando così all’intelligenza di Gesù su Pietro. Pietro, in questa sua non intelligenza, non poteva fare altro che tirare fuori la spada e colpire il servo del sommo sacerdote. E Gesù gli fa semplicemente deporre la spada. Il calice che Gesù aveva donato ai suoi, il calice del suo sangue, questo calice – dice Gesù – «non devo forse berlo? È questa la mia vocazione». Qui abbiamo dunque la risposta data a Giuda: «Io sono, sono io», la consegna della propria identità che è anche sempre missione di cui si è o si dovrebbe essere consapevoli. Poi Gesù risponde anche a Pietro, che nel suo amore aveva seguito Gesù dopo il suo arresto. Giovanni dice che l’aveva seguito con un altro discepolo. In quella sequela – non una vera sequela cristiana, ma comunque uno stare dietro a Gesù – era giunto fino alla porta del cortile del sommo sacerdote. Una giovane portinaia lo fa entrare, ma gli chiede se lui è un discepolo di quell’uomo che è trascinato davanti al sommo sacerdote. Pietro risponde: «Ouk eimí», «Non lo sono». Come Gesù aveva risposto: «Egó eimi», «Io sono, sono io», così Pietro risponde: «Non lo sono», non sono un discepolo di Gesù. Ecco il mancato riconoscimento di Gesù, mancato riconoscimento di colui che era stato il rabbi, il profeta nella cui vita Pietro era stato coinvolto. La roccia su cui Gesù aveva voluto edificare la sua comunità – e l’aveva fondata su Pietro, non su altri! –, proprio quella roccia nega di conoscere Gesù. Conosce solo se stesso, anzi non conosce nemmeno se stesso nella verità, perché la verità è che egli era un discepolo, un seguace di Gesù. E proprio mentre Pietro rinnega, Gesù è interrogato dal sommo sacerdote. Nel quarto vangelo c’è simultaneità tra l’interrogatorio di Gesù da parte dell’autorità suprema del giudaismo, il sommo sacerdote, e l’interrogatorio di Pietro da parte di una povera portinaia. Quando il sommo sacerdote interroga Gesù, egli risponde soltanto: «Io ho parlato apertamente, non ho detto nulla di nascosto. Interroga quelli che mi hanno ascoltato, essi sanno ciò che ho detto». Ora, questa è una risposta al sommo sacerdote, ma è anche l’unica risposta che Gesù dà a Pietro. È come se dicesse: «Interroga i miei discepoli, interroga Pietro che è qui. Pietro e i miei discepoli sanno ciò che ho detto». Gesù non condanna Pietro, non lo rimprovera neanche: lo richiama in questo modo alla vocazione di ascoltatore della sua parola, e dunque gli rinnova la vocazione. «Interroga quelli che hanno ascoltato, interroga i miei discepoli»: queste parole dette da Gesù al sommo sacerdote si avvereranno presto, come ci testimoniano gli Atti degli apostoli. Infatti lo stesso Caifa, nei mesi successivi, dopo la Pentecoste, interrogherà proprio Pietro e Giovanni (cf. At 4,1-22), colui che qui è forse l’altro discepolo presente nel cortile del sommo sacerdote. Il vangelo secondo Luca aggiunge che, alla fine del rinnegamento, Gesù si voltò e fissò lo sguardo su Pietro (cf. Lc 22,61), fece cioè la stessa cosa che aveva fatto al momento della vocazione, quando aveva fissato lo sguardo su di lui e lo aveva chiamato. Ecco, Gesù risponde a Pietro rinnovandogli la vocazione, perdonandogli, rimettendolo al suo posto, anche se la roccia aveva rinnegato. Allora un gallo canta, in ricordo delle parole profetiche dette da Gesù a Pietro. Segue la risposta data da Gesù ai sommi sacerdoti e agli avversari, una risposta che anche in questo caso è una domanda. Che cosa ha da dire Gesù a chi lo ha fatto arrestare e lo vuole trascinare al supplizio della croce come maledetto da Dio e dagli uomini, come bestemmiatore? Soltanto una parola: «Se ho parlato male, testimonia circa il male; se invece ho parlato bene, perché mi percuoti?». È la risposta a una guardia che lo ha percosso, ma è la risposta a tutti gli avversari. Gesù non ha nient’altro da dire. Le parole di Gesù nella passione secondo Giovanni – che per altro vuole essere una dossologia, un racconto di gloria, a differenza dei sinottici – sono parole di una estrema semplicità: «Se ho parlato male, testimonia circa il male; se invece ho parlato bene, perché mi percuoti?».


L’apice si ha con la risposta a Pilato, risposta ultima all’arroganza degli avversari. Pilato gli dice: «Non sai che io ho il potere di liberarti e il potere di crocifiggerti?». Gesù, anche qui, non gli contesta il potere: egli riconosce l’autorità politica, non è né un anarchico né un rivoluzionario che non riconosce un ordine necessario alla polis. No, Gesù gli rivela semplicemente: «Non avresti alcun potere, se non ti fosse stato dato dall’alto». Ovvero, Gesù dice a Pilato: «La fonte del potere non è in te, l’unico potere che va riconosciuto è in alto, è quello che appartiene a Dio. Certo, tu puoi disporre di me, puoi esercitare il potere, puoi rimandarmi libero o puoi anche mandarmi alla morte, ma solo perché Dio non interviene per impedirti di esercitare un potere anche con ingiustizia e violenza. E solo perché io non mi ribello, non faccio violenza e non passo dalla tua parte, non sto con te». Ecco la risposta che Gesù dà a Pilato: netta, chiara, ma senza atteggiamento di ribellione o di negazione di un’autorità di cui gli uomini hanno bisogno per ordinare la loro vita comune. Alla croce, nell’ora della morte, Gesù risponde poi anche alla sua comunità, ai suoi discepoli e alle sue discepole. Ai suoi discepoli che erano fuggiti, alle sue discepole che erano presso la croce, ma semplicemente perché non dovevano temere nulla: erano delle donne, e nessuno in quel contesto sociale si interessava di loro. Se anche erano seguaci di Gesù, nessuno le avrebbe arrestate, perché non contavano nulla. Inoltre, alle donne era permesso di seguire i condannati a morte, per piangerli e per portare loro un po’ di soccorso. Insomma, neppure loro rischiano qualcosa. Ma Gesù vede sotto la croce sua madre e il discepolo che lui aveva amato. Ripeto, non il discepolo che lo amava più degli altri, ma il discepolo che lui amava. Anzi, a ben vedere il quarto vangelo non dice neanche che Gesù amava quel discepolo più degli altri undici: no, semplicemente era il discepolo da lui amato, senza alcuna reciprocità. Vedendo dunque il discepolo amato e la propria madre, Gesù vede davvero tutta la sua comunità. Vede che rappresentano Pietro, vede che rappresentano gli altri che sono fuggiti per paura, e Gesù risponde alla sua comunità dispersa mostrando il lato della maternità della comunità, ossia una capacità di generare credenti, una capacità di filialità, in cui i figli di Dio, i fratelli di Gesù riconoscono nella chiesa la madre: «“Donna ecco tuo figlio”, e al discepolo amato: “Ecco tua madre”». «E da quell’ora il discepolo amato da Gesù», l’unico che aveva conosciuto il traditore, l’unico che conosceva il cuore di Gesù e che nulla aveva fatto di fronte alla cattura e al tradimento, «accolse la madre di Gesù eis tà ídia, tra le proprie cose, le cose che gli appartenevano come un tesoro». Il discepolo amato di Gesù sa che la chiesa è un dono e che sta tra le cose più proprie. Infine, ecco la risposta al Padre, l’ultima risposta nella passione. Gesù è crocifisso, ma dalla croce prega, intonando il Salmo 42. Non vi illuda la traduzione: «Ho sete». In realtà in ebraico, in aramaico questo grido ricorda un versetto del Salmo 42: «Il mio essere ha sete del Dio vivente» (cf. Sal 42,3). Ecco la sete di Gesù, ecco ciò di cui era assetata tutta la sua vita: sete di Dio, ma che significa sempre sete della sua giustizia e del suo amore, sete della sua misericordia. Gesù ha sete del Dio vivente, quando vedrà il suo volto (cf. ibid.)? Pregare questo Salmo nell’ora della morte è confessare che si ha sete: se si ha sete, manca l’acqua; se si ha sete di Dio, manca Dio e non si vede il suo volto. Gesù guarda a tutta la sua vita, alla sua sete di compiere la volontà di Dio, guarda a tutto ciò che ha fatto e detto, guarda alle sue risposte date agli uomini, e in un atto ancora davvero eucaristico grida: «È compiuto», cioè tutto è giunto al compimento, «consummatum est». Sì, si è compiuta la volontà di Dio, Gesù ha compiuto pienamente la vocazione ricevuta, Gesù ha vissuto all’estremo il comando ricevuto dal Padre, il comando dell’amore (cf. Gv 13,1). Questo «è compiuto», è un grido di gioia, è un grido di eucaristia, è un grido di benedizione, è un grido di vittoria. È un grido che va capito alla luce di parole che il quarto vangelo mette in bocca a Gesù: «Io ho vinto il mondo, ho vinto la mondanità» (Gv 16,33). O meglio: «In me ha vinto l’amore di Dio», e la passione vuole solo esprimere questo. Ecco la risposta di Gesù al Padre, a Dio: l’eucaristia, il ringraziamento è stato vissuto da Gesù fino al «consummatum est», fino alla realizzazione di tutto ciò che il Padre gli aveva rivelato, di tutta la sua volontà. Dopo questo grido, «Gesù consegnò lo Spirito». Sappiamo che nel quarto vangelo questo significa «spirò, morì», ma si riferisce anche a quell’alito che Gesù aveva, che era l’alito dello Spirito santo, l’alito con cui era stato generato dal Padre. Quell’alito Gesù lo effonde sulla chiesa ai piedi della croce, sull’umanità, su tutto l’universo. Ora Gesù attende nella morte, nella tomba, la risposta del Padre. Gesù ha risposto, tutte le sue risposte sono state date: ora dovrà rispondere il Padre. ENZO BIANCHI


Sabato santo Carissimi, con questa veglia siamo giunti alla pienezza del triduo pasquale, al terzo giorno, al «tutto è compiuto» (cf. Gv 19,30), un «tutto è compiuto» cantato dal Cristo vivente e glorioso, risorto per sempre, un «tutto è compiuto» cantato dalla chiesa, da coloro che hanno seguito Cristo e che lo acclamano Kýrios, Signore. La lunga veglia, in cui abbiamo ascoltato le sante Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento, ci ha permesso di contemplare la storia della salvezza, l’azione di Dio, dall’in-principio fino al compimento delle sue promesse in Cristo. Questa veglia ha soprattutto uno scopo: farci comprendere la Pasqua, la resurrezione, e renderci partecipi di questo mistero, il mistero della vittoria di Dio sulla morte, del «Dio» che «è amore» (1Gv 4,8.16) sulla morte. Perché solo di questo noi terrestri abbiamo bisogno: di poter credere che l’amore che abbiamo vissuto, l’amore condiviso con quelli che abbiamo amato e che amiamo, l’amore di cui siamo stati capaci – combattendo il nostro egoismo, la nostra philautía, la nostra voglia di sopravvivere senza gli altri, magari contro gli altri, ma appunto di vivere sopra, di sopra-vivere –, ebbene questo amore sia un amore che rimane, che contiene qualcosa dell’eternità, un amore che ci possa permettere di dire nel presente e nel futuro: «Io amo, anche quando l’altro che io amo non è più». Proprio per questa speranza, proprio perché noi uomini abbiamo bisogno di comprendere, di capire soprattutto la nostra morte, vogliamo ascoltare ciò che il vangelo, la buona notizia ci dice di questa vittoria dell’amore sulla morte. Nei giorni precedenti ci siamo soffermati sul racconto dell’ultima cena, il racconto in cui Gesù ha dato il segno del suo amore, l’eucaristia, e ci siamo anche soffermati sulla passione vissuta da Gesù, mettendo a fuoco come Gesù abbia risposto prima con l’eucaristia, nient’altro che passione prefigurata, e poi con la vita, un unico amen: un amen dossologico a Dio suo Padre, ma anche un amen a quelli che erano stati suoi fratelli, coinvolti nella sua vita, fratelli che erano giunti a mostrarsi avversari e persecutori. E concludevo la meditazione del venerdì santo con il seppellimento di Gesù nella tomba quale attesa della risposta del Padre. Gesù ha risposto – potremmo riassumere – a tutti ha risposto, «amando fino alla fine» (cf. Gv 13,1) e senza mai contraddire l’amore. Ma quando ha rimesso tutto nelle mani del Padre, quando ha deposto anche il suo respiro (cf. Lc 23,46; Sal 31,6), Gesù è entrato nell’attesa di una risposta. Per gli uomini, per Pietro, per Giuda, per gli altri dieci, per i sommi sacerdoti, per il potere politico romano, con la morte di Gesù era finita una vicenda, era veramente finita: una tomba con una pietra rotolata sulla porta dice anche visivamente che tutto è davvero finito. Secondo Matteo ci sono addirittura delle guardie che vigilano sulla tomba, perché resti chiusa, perché nessuno la apra, perché nessuno venga a rubare il cadavere di Gesù e poi intoni la favola, la leggenda che lui è risorto (cf. Mt 27,62-66). Ma all’alba del primo giorno dopo il sabato, Maria di Magdala e l’altra Maria vanno a visitare il sepolcro. Ed ecco, proprio mentre guardano il sepolcro, sono colte da un evento di rivelazione. Un angelo del Signore, l’angelo interprete della parola di Dio, l’angelo interprete degli eventi operati da Dio nella storia, ebbene quest’angelo dice alle donne: «Non abbiate paura voi. So che siete alla ricerca di Gesù il crocifisso. Non è qui, è risorto, secondo le sue parole. Andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti e vi precede in Galilea: là lo vedrete”». Queste parole dell’angelo interprete le abbiamo ascoltate tante volte, perché sono l’annuncio pasquale per eccellenza, sono anche l’essenziale della buona notizia per gli uomini. Gesù il crocifisso, dunque colui che era morto sulla croce, è risorto, e la tomba infatti è vuota. Sono parole che paiono insensate, contro la ragione, soprattutto contro l’evidenza della morte quale realtà da cui nessun uomo è mai tornato. Eppure queste parole di interpretazione vogliono dire una verità che è ben più grande di un miracolo, ben più profonda dello straordinario contenuto nell’annuncio: «Eghérte», «È risorto, si è destato». Questo è il grido della Chiesa, il grido liturgico, ma, come dice Pietro nella sua prima omelia dopo la Pentecoste, questo grido continua a significare: «Dio lo ha risuscitato, questo Gesù Dio lo ha risuscitato» (cf. At 2,24.32). Dio, il Padre di Gesù, colui che Gesù invocava nella fede e chiamava: «Abbà, Padre» (Mc 14,36), gli ha risposto al di là della sua morte. Gesù è morto, è realmente morto, morto come muore un uomo, morto come muore una vita animale. Ma Dio lo ha rialzato dalla morte e gli ha dato la sua vita divina, la vita eterna. Non ha rianimato un cadavere, non ha fatto tornare in vita un morto – facciamo attenzione – ma gli ha dato la sua stessa vita, la vita divina, la vita eterna. Proprio uno dei testi più antichi che possediamo, più antico degli scritti dei vangeli, il prologo della Lettera di Paolo ai Romani, dice: «Cristo Gesù … nato dalla stirpe di David come uomo, [è stato] costituito Figlio di Dio con la potenza dello Spirito santificatore nella resurrezione dai morti» (Rm 1,1.3-4). Ecco la


risposta del Padre a Gesù, che rivela pienamente la paternità di Dio nei confronti di Gesù: è la risposta del Padre alla morte filiale di Gesù. Se c’è una rivelazione di Dio Padre, per noi cristiani, non ci viene neanche dall’invocazione fatta da Gesù: «Padre nostro» (Mt 6,9), ma ci viene soprattutto dall’azione con cui Dio ha fatto risorgere Gesù e lo ha fatto suo Figlio. Non solo, ma significativamente Paolo nella sua predicazione di fronte ai giudei di Antiochia di Pisidia afferma: «Dio ha risuscitato Gesù, come sta scritto nel Salmo secondo: “Mio Figlio sei tu, io oggi ti ho generato” (Sal 2,7)» (At 13,33). Questa esegesi dell’Apostolo sul Salmo 2 è un’esegesi canonica, dunque definitiva: la morte in croce di Gesù è in realtà una nascita alla pienezza di vita, è proprio perché Gesù ha saputo morire da Figlio, il Padre ha dovuto – potremmo dire – mostrarsi davvero Padre e dunque rialzare suo Figlio da morte. In questa luce della morte come vera generazione di Gesù a Figlio di Dio, comprendiamo anche alcune parole disseminate nella Lettera agli Ebrei. Gesù che è venuto nel mondo (cf. Eb 10,5), che ha imparato la sottomissione dalla cose che ha sofferto (cf. Eb 5,8), che ha imparato la sottomissione durante tutta la sua vita, fino alla sua passione e morte, nella morte filiale ha potuto davvero dire con pienezza la parola: «Abba, Padre», senza nessuna riserva, offrendo totalmente la sua vita a Dio. Vogliamo mettere accanto le parole di Gesù alle parole del Padre secondo la Scrittura? Gesù dice: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito», l’ultima sua parola prima di morire. E il Padre accoglie Gesù nella morte dicendogli: «Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato». Ecco dove sta il «tutto è compiuto» di Gesù, l’amen di Gesù al Padre, ma possiamo adesso dire anche l’amen del Padre a Gesù. Gesù è stato fedele, è stato un amen al Padre; e il Padre è fedele, è l’amen a Gesù. Gesù aveva definito la sua morte un battesimo, aveva parlato ai discepoli di un battesimo che doveva ricevere (cf. Lc 12,50). Ebbene, qui comprendiamo come la morte di Gesù è diventata davvero un immenso battistero: ogni uomo che muore è immerso in questo battistero, e nella propria morte incontra la morte di Gesù. La nostra morte è immersa nella sua morte, e con lui conosciamo dunque il rialzarci, o meglio, l’essere risuscitati da morte da un’azione di Dio che ci rialzerà, ma non solo ci rialzerà, ci darà vita, ci farà anche pienamente e radicalmente figli suoi. Ancora, basta ricordare quelle parole con cui Gesù, proprio parlando della sua morte come battesimo, ha sentito di dover chiedere ai discepoli: «Potete voi essere battezzati col battesimo con cui io sarò battezzato?» (Mc 10,38). Anche per ciascuno di noi la morte è un battesimo. Comprendiamo allora bene le espressioni che abbiamo ascoltato nella Lettera di Paolo ai Romani: siamo immersi nella morte di Cristo (cf. Rm 6,3-4), e la morte di Cristo è il vero battistero in cui tutti gli uomini sono in qualche misura immersi: credenti o non credenti, cristiani o non cristiani, la loro morte trova sempre la morte di Gesù e la morte di Gesù non è mai estranea a quella di noi uomini. D’altronde, alcuni padri della chiesa hanno osato dire che proprio nella morte troveremo la purificazione dai nostri peccati, perché la morte è un battesimo più radicale del battesimo sacramentale che abbiamo ricevuto e che ha dato inizio alla nostra vita cristiana. «Nelle tue mani, Padre, raccomando il mio spirito» dovremo dire, e ciascuno di noi dovrà dirlo; e ciascuno di noi ascolterà la voce di Dio: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato». Perché nella morte saremo generati alla vita eterna, parteciperemo alla vita di Dio. La risposta del Padre a Gesù sarà anche una risposta a ciascuno di noi, perché se non ci fosse questa risposta anche per noi – ed è sempre Paolo a dirlo –, allora non ci sarebbe neanche stata la risposta per Gesù. Attenzione, nella Prima lettera ai Corinti l’Apostolo lo dice chiaramente: «Se noi non risorgiamo, neanche Cristo è risorto» (cf. 1Cor 15,16). Non afferma solo: «Se Cristo non è risorto, neanche noi risorgiamo» (cf. 1Cor 15,14.17), ma anche: «Se noi non risorgiamo, neanche Cristo è risorto». Affermazione scandalosa, ma Paolo la conferma dicendo: «Se noi non risorgeremo, vana è la nostra fede e noi siamo da considerare i più miserabili tra tutti gli uomini» (cf. 1Cor 15,19). Al termine di questa sequela di Gesù che abbiamo cercato di fare, dall’ultima cena all’ora della resurrezione, possiamo allora dire che Gesù ha fatto al Padre una grande eucaristia, ha innalzato al Padre un grande ringraziamento. Il Padre ha gradito questo ringraziamento, lo ha accolto, e con la sua azione ha risuscitato Gesù, confermando la sua eucaristia. Ma questa conferma di Gesù è soprattutto un sigillo: avendo Gesù vissuto l’amore fino all’estremo, è degno di essere chiamato «mio Figlio», di essere Figlio del Dio che è amore, del Dio che, essendo amore, vince la morte. A me piace pensare che all’interno della vita trinitaria in cui Padre, Figlio e Spirito santo, in una circolarità, in una pericoresi, hanno uno scambio di vita, il Padre accoglie l’eucaristia del Figlio, il ringraziamento del Figlio, nello Spirito santo, ma ringrazia anche il Figlio di essergli stato fedele e di averlo rivelato a noi uomini. Davvero la Trinità è un’eucaristia reciproca nella quale noi siamo invitati a entrare. ENZO BIANCHI


Pasqua: bisogna credere l'incredibile La Stampa, 24 aprile 2011 Oggi i cristiani di tutte le confessioni celebrano il mistero fondante la loro fede: la risurrezione di Gesù Cristo dai morti. Per una rara coincidenza di calendario lo celebrano nello stesso giorno, ma non “insieme”, perché lo scandalo della divisione tra i cristiani continua a offuscare la luminosità della loro testimonianza. Ma questa celebrazione concomitante dà comunque maggior visibilità al segno di speranza che essa rappresenta soprattutto per i cristiani più provati nel vivere la loro fede:, è balsamo per le loro sofferenze. Pensiamo alle minuscole comunità cristiane in Libia, all’esigua minoranza pakistana ferita dall’assassinio del ministro cattolico che la difendeva, alle ostilità che patiscono molte comunità in Cina e in Vietnam, alle violenze sociali che non risparmiano i cristiani in Costa d’Avorio e in Nigeria, o ancora ai discepoli di Cristo in Iraq, minacciati e tentati all’esilio, o a quei pochi presenti in Giappone, accanto ai loro SILVIO CONSADORI, Emmaus concittadini provati dalla morte e dalla distruzione. Ma ci sono anche comunità che oggi trovano nella Pasqua il fondamento di fede alla loro attesa di riscatto umano e sociale, come i cristiani del Sud-Sudan che affrontano l’inedita sfida di costruire da zero uno stato dopo decenni di guerra. Proprio la gioia genuina di quei cristiani che vivono nella prova la loro fede ci aiuta a comprendere come Pasqua resti una celebrazione difficile da assumere come “festa” da chi cristiano non è: con i suoi tragici eventi di passione e di morte, questa memoria è aliena agli schemi mentali più consolidati. Eppure questa è la festa propria della fede cristiana e se questa risurrezione di Cristo non fosse realtà – ricorda san Paolo – allora la fede sarebbe “vana”, vuota, incapace di dare consistenza alla vita del credente. Davvero i cristiani si sentirebbero come i più miserabili di tutta l’umanità, degli autoillusi da compiangersi… Sì, perché al cuore della fede cristiana vi è questo credere a un “incredibile”: come credere che quel cadavere è risorto? E che quella risurrezione di Gesù di Nazaret possa manifestare i suoi effetti vivificanti su altri esseri umani e ancora oggi? I Vangeli, ben consapevoli di questa difficoltà, testimoniano concordemente la fatica di quanti avevano seguito Gesù sulle strade di Galilea e di Giudea, fino a Gerusalemme, a pervenire alla fede nella risurrezione. Scandalosa era già la morte violenta, ignominiosa di un Messia, ma ancor più scandalosa è la risurrezione del Messia morto in croce. Non solo, ma questo paradosso della fede cristiana suona ancor più incomprensibile per il fatto che la fede nella risurrezione è altra cosa dalla convinzione dell’immortalità. Credere alla risurrezione, infatti, implica il credere alla morte, il prendere sul serio la concretezza del cadavere di Gesù deposto nel sepolcro, ma anche l’assumere la propria morte, la morte di ciascuno e leggerla non come ultima, bensì come penultima parola su cui si erge vittorioso l’amore, cioè il Cristo risorto. Quale elementi della fede cristiana possono interessare il non cristiano, chi non ha la fede in Dio e in Gesù Cristo? Il cristiano infatti crede che Gesù è stata risuscitato da Dio, ma perché? Perché Gesù era suo figlio, certo, ma più in profondità ancora perché Gesù ha saputo come uomo, in una condizione umanissima, vivere l’amore fino all’estremo, fino a “raccontare il Dio che è amore”. Quell’amore vissuto concretamente e quotidianamente da Gesù con tutti quelli che incontrava – amici e nemici, giusti e peccatori, intelligenti e insipienti – quell’amore che è rimasto intatto anche nella sofferenza, nella persecuzione, nella prova, quell’amore che non si fermava davanti all’avversario e all’omicida, quell’amore non poteva andare perduto. Il duello, sempre presente nelle nostre vite, tra morte e amore, nella vita di Gesù è stato un duello in cui l’amore ha vinto la morte e il male. Per questo Gesù è risorto, perché neanche l’oceano del male e della morte può spegnere l’amore vissuto. Un messaggio così, come può non interessare anche chi non crede in Gesù? L’amore riguarda tutti gli esseri umani! Ma questo messaggio così forte e liberante è affidato alla povertà dei cristiani. Vi è un passaggio nel racconto della passione fatto dall’evangelista Giovanni che ci rimanda alla responsabilità decisiva che i discepoli di Gesù hanno nell’annunciare la “buona notizia” dell’amore più forte dell’odio. Di fronte al sommo sacerdote che lo interroga “riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina”, Gesù risponde di aver sempre “parlato al mondo apertamente” e conclude: “Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno ascoltato ciò che ho detto loro. Ecco, essi sanno le cose che ho detto”. Ancora oggi quanti non condividono la fede cristiana hanno una via maestra per conoscerla: interrogare i discepoli di Gesù. E questi ultimi hanno la responsabilità di una testimonianza credibile di quanto hanno visto e udito nelle proprie vite. Per il cristiano allora, soprattutto nel momento in cui celebra la Pasqua del suo Signore, non vi è spazio per fughe, evasioni o spiritualismi, ma l’esigenza di vivere la risurrezione nell’esistenza, nell’oggi della storia, facendo sì che la fede pasquale diventi manifesta ed efficace già ora e qui. Sì, i credenti devono mostrare che la vita è più forte della morte, e devono farlo nel costruire comunità in cui il “noi” si fa carico di ciascuno e


l’“io” rinuncia a prevaricare, nel perdonare senza chiedere il contraccambio, nella gioia profonda che permane anche nelle situazioni di sofferenza e di persecuzione, nella compassione per ogni creatura, soprattutto per gli ultimi e i sofferenti, nella giustizia che porta a operare la liberazione dalle situazioni di morte in cui giacciono tanti esseri umani, nell’accettare di spendere la propria vita per gli altri, nel dare la vita liberamente e per amore, fino a pregare per gli stessi assassini, come tanti testimoni hanno fatto, ancora ai nostri giorni. Paradosso, certo, la risurrezione. Ma, proprio per questo, può essere narrato in modo credibile solo da altri paradossi, da quell’amore folle che arriva ad abbracciare perfino il nemico. Il cuore della fede cristiana è esattamente questo: credere l’incredibile, amare chi non è amabile, sperare contro ogni speranza. Sì, fede, speranza e carità sono possibili in ogni condizione, anche la più sofferta, se si crede alla risurrezione. Enzo Bianchi


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