EDITORIALE
Trasformiamo il mondo!
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di VALENTINO DI CERBO, Vescovo
uando, in occasione della recente Solennità diocesana del Corpus Domini, ho collegato l’Eucaristia con il dovere di pagare le tasse, di non assumere in nero… o quando, in diverse occasioni, ho affermato la necessità del Consultorio familiare diocesano per sostenere il dolore di tanti/e, anche nei nostri paesi “tranquilli”, schiacciati dalle mille violenze familiari, qualcuno probabilmente ha pensato ad un’invasione di campo. A leggere il Vangelo da uomini e non da bigotti, ci si rende conto, invece, che ho affermato cose di cui – come credente – non potevo tacere. Il nostro modo di vivere la fede appare spesso sganciato dalla vita: cristiani in Chiesa e persone che “fuori” vivono senza distinguersi da chi non crede, talora non rispettando neppure le comuni norme etiche. Sembra che i risvolti sociali della fede professata siano un di più, un qualcosa che potrebbe anche non esserci. Non una conseguenza logica dell’essere cristiano, ma la scelta di anime belle (e un po’ sprovvedute e ingenue). Tutto questo forse dipende dal fatto che – nelle nostre chiese - si è molto insistito sulla dimensione liturgica e su una fede individualistica che ci porta ad essere “buoni”, per evitare le punizioni divine e meritare il Paradiso, senza nessuna considerazione dei doveri verso la sorte (terrena) degli altri. Dobbiamo domandarci: ma Gesù ci ha insegnato questo? Cosa chiede ai suoi discepoli? Che siano devoti praticanti, che piangono bene in una “valle di lacrime” creata anche dai loro egoismi che continuano a schiacciare la parte debole della società? Poche volte ricordiamo che al centro della predicazione e delle scelte di Gesù di Nazareth, c’è l’annuncio del Regno di Dio, cioè il progetto e la volontà di Dio di rendere gli uomini (svuotati di umanità dal peccato) più uomini, più uguali, più fratelli, più accoglienti verso le differenze/qualità di ognuno, meno in competizione tra loro e più capaci di farsi carico l’uno dell’altro, soprattutto di chi è più svantaggiato. In una logica di fede autentica, la preghiera e l’ascolto della Parola di Dio (comprese processioni, devozioni e sacramenti) non sono separati da questo progetto, ma funzionali ad esso. Il cristiano ascolta Gesù di Nazareth, frequenta la Chiesa, venera i santi…per capire come si diventa uomo e prega per chiedere il dono dello Spirito perché, anche attraverso la propria conversione e il proprio impegno per gli altri, il Regno di Dio possa giungere, a partire da questa Terra. I cristiani poi sono chiamati a realizzare la volontà di Dio e il progetto di umanità nuova insieme, perché la loro vita fraterna ne testimoni la possibilità e ne sia una prima realizzazione. In questa prospettiva ci domandiamo: cosa devono essere le nostre parrocchie? Luoghi di culto, dove si vanno a presentare a Dio richieste di privilegi, di successi personali, di soluzione di problemi propri, a prescindere dalla sorte degli altri; a istruirsi su concetti dottrinali e morali da osservare per andare in Paradiso ed evitare castighi e guai…? Oppure luoghi dove, a partire dall’Eucarestia, si impara a “dare sé stessi da mangiare” ai propri simili e a vivere nello lo stile di vita di Gesù di Nazareth, per iniziare a trasformare il mondo nel senso del progetto di Dio e moltiplicare occasioni di vita per tutti? Nella logica di Gesù, il cristiano non è un devoto che si garantisce la protezione divina, ma uno che impara da Lui a trasformare il mondo, a rendere la storia più umana nella famiglia, nella politica, nell’economia, nella cultura, nel diritto e nelle mille occasioni di cui è composta la vita… n.6
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primo piano
Artigianato.
Patrimonio di pregio
e r a v l a s da
Pensiamoci su...
di FRANCESCA COSTANTINO
Quando ho letto per la prima volta le seguenti parole di Samuel Yellin, fabbro della prima metà del Novecento, ho immaginato che a pronunciarle fosse un appassionato concittadino: “Ora, mi sembra che se c’è una speranza di rianimare un amore vero per l’artigianato e se vogliamo combattere la letargia, l’indifferenza e l’ignoranza del pubblico generale noi artigiani dobbiamo mettercela tutta per produrre solo il meglio di cui siamo capaci di modo che il profano debba infine, coltivando la mente e l’occhio, imparare a discriminare e ad apprezzare la bellezza”. Senza dubbio il nostro territorio ha una vocazione territoriale fortemente agricola. Attorno al settore primario ruotavano, in passato, numerose attività che oggi, sono notevolmente ridotte. Anche il settore di prodotti caseari, vinicoli e oleari, che rappresentano una lavorazione “naturale” delle risorse del suolo, non attesta mai posizioni di eccellenza, si sofferma su una discreta sopravvivenza, non per la qualità o pregio delle produzioni, ma per un fattore ben più determinante: la progressiva scomparsa di maestranze specializzate. Spostando l’attenzione sulle attività secondarie, ossia sulla realizzazione di manufatti, va addirittura peggio: un inarrestabile crollo degli “antichi mestieri”, quelli considerati oggigiorno obsoleti ed improduttivi, ma che in effetti rappresentano un patrimonio da tutelare. Mi spiego meglio. Le attività artigianali locali sono una miniera di saperi e competenze elaborate nel corso della storia di una comunità. Ciò vuol dire che la loro conoscenza e acquisizione consentono di apprezzare appieno l’identità di una realtà cittadina, l’insieme di valori che quest’ultima ha elaborato, anche con fatica, nel 2
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Famiglie dedite ai lavori artistici che reinventano se stesse pur di stare al passo coi tempi, quelli imposti dalla crisi economica degli ultimi anni. Illusioni, speranze, amarezze, passioni: tutto convive mentre le mani instancabili traggono dalla materia il meglio, il bello, l’incanto di una creazione di GRAZIA BIASI
«I corso di millenni. Sono concetti, questi, non frutto della mia invenzione ma di una definizione ratificata nel 2003 in seno alla Conferenza Generale dell’Unesco dove i saperi artigianali sono considerati “parte integrante del patrimonio culturale immateriale di un popolo nella loro interrelazione con l’ambiante fisico e sociale in quanto valori della costruzione identitaria”. All’artigianato, dunque, spetta il compito, al pari delle consuete attività culturali, di raccontare un territorio, nella sua complessità, nelle sue caratteristiche specifiche, tipiche e familiari. E se ciò manca, se lentamente tutto questo si avvia verso un inesorabile declino, dobbiamo aspettarci serie ripercussioni sul futuro di conoscenze e competenze della comunità alla quale apparteniamo. Per proporre una valida soluzione, dobbiamo dapprima risalire al nostro passato, riscoprire (o scoprire?!!) chi siamo stati. Eravamo fabbri, falegnami, calzolai, cestai, ceramisti, ricamatrici, sarte e soprattutto contadini. Quante di questi saperi “di mani”, di creatività, sono “ri-ideabili”? Bene, altre realtà, europee, ma altresì italiane, dimostrano chiaramente che una riflessione approfondita, mirata e motivata è possibile, e se strutturata su un valido progetto di recupero e ri-valutazione, su criteri definiti da prospettive di innovazione, fornisce un elemento determinante dell’economia cittadina, ma soprattutto rendono viva, diversificata e unica l’identità alla quale apparteniamo. Ci tocca pensarci!
l segreto e l’incanto di questo lavoro si realizza quando dal niente, da poche materie senza forma, le tue mani creano un prodotto finito, originale, diverso che nessun altro – nemmeno tu stesso – sarai in grado di riprodurre». Si chiama Graziella Baroni, da circa venti anni conduce una piccola fabbrica di accessori per abbigliamento: la sua arte sta nella produzione di scarpe in pelle e seta per neonati e bambini destinate a quelle vetrine di “lavori fatti” a mano (che un tempo erano il vanto della nostra Penisola) di Campania, Sicilia e Lombardia. Tre luoghi dove il suo mercato ha messo radici e si è consolidato nel tempo prima di tutto grazie ad amici e conoscenti e soprattutto per merito della professionalità che lei, i suoi operai di un tempo, e la sua famiglia hanno mostrato in questo ambito lavorativo. Graziella è originaria della Lombardia e la sua famiglia viene dal lavoro di fabbrica presso uno dei grandi nomi della produzione italiana come Foppapedretti che oggi ha trasferito all’estero la sua produzione. «La nostra è una passione, un’arte che si trasforma in lavoro, dal quale però economicamente, soprattutto in questo momento in cui la concorrenza straniera pone sul mercato prodotti simili ad un costo decisamente inferiore, non traiamo alcuna ricchezza particolare». Ci spiega che nel tempo ha dovuto licenziare e lavorare da n.5
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sola seguendo i tempi del mercato, i momenti più lenti e quelli che ti obbligano a lavorare anche fino a tarda sera; ritmi – entrambi – non consentiti per un operaio dipendente «il quale – spiega Graziella – non può pagare lo scotto della crisi lavorando per me occasionalmente solo in caso di bisogno, o ancora peggio lavorando in nero quando le cose vanno meglio». La poesia del lavoro artigiano, quello delle scarpine scamosciate che prendono lentamente forma sotto il taglio delle forbici, poi con altrettanti strumenti del mestiere, poi con ago e filo, a volte sembra svanire e tingersi dei tristi colori della realtà, «a cui però bisogna reagire, perché altrimenti non avrebbe alcun senso. Le risorse di noi del Sud – racconta Graziella con accento ancora chiaramente lombardo – sono tante, ma investite male, e interpretate male». Da una delle finestre della sua piccola fabbrica si intravedono lunghi filari di viti e pomodori: «Anche questa è una risorsa e un patrimonio. Basterebbe mettersi insieme per migliorare e farsi carico delle responsabilità per affrontare questo difficile momento». Il suo è un lavoro di fantasia, creatività e continuo aggiornamento e come quella di Graziella non mancano in Alto Casertano esperienze simili in cui cuore, testa e mani generano pregiate creature artistiche: falegnami, ceramisti, decoratori, sarti che affidano alla passione e all’esperienza la materia e gli strumenti che muovono tra le dita con la speranza che qualcuno…se ne accorga. 4
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Risorse e limiti del lavoro artigiano in Alto Casertano, terra – come più volte abbiamo raccontato e denunciato – troppo lontana dai centri del potere commerciale, dalle fondamentali reti di trasporto, dalle piazze dei mercati su cui si affacciano anche gli intenditori stranieri. «Viviamo isolati e rimaniamo sconosciuti. Internet e la conoscenza delle lingue straniere sono un’arma potente in questa enorme Babele. Farsi conoscere fuori dai nostri confini, affidarsi alla rete per entrare in contatto con nuove persone corrisponde quasi ad un altro lavoro perché richiede tempo specifico». Per fortuna l’Italia, presa coscienza del valore del prodotto fatto in casa da mani sapienti e affidabili ha fatto dietro front in merito ad alcune scelte: mediamente si acquista meno ma si sceglie il prodotto migliore fatto con materiali sicuri e duraturi confidando sulle etichette (quelle autentiche) Made in Italy o Prodotto italiano. Gaspare e Serena Morana si occupano di riparazioni e creazioni orafe. Lavoro insolito per il nostro territorio, ma la loro bottega a Piedimonte è in vita da venti anni, da quando lui tornato dagli Stati Uniti dove lavorava affilando diamanti, è tornato a casa e si è specializzato nella lavorazione dell’oro. Ancora una volta è la passione a muovere quelle mani, e non il profitto che se ne trae: «Una creazione comporta anche tre o quattro giorni di lavoro a cui non corrisponde quasi mai un guadagno adeguato». L’artigiano ama la sua arte tanto da volerle imprimere un’anima che sappia altrettanto comunicare il concetto di bellezza e armonia al cliente. Per far fronte alla crisi, che in questo settore è forte da qualche mese, si è stabilito nel tempo una sorta di mutuo soccorso tra artigiano e cliente, «lavorando i “preziosi” che essi non indossano più ma che chiedono di riutilizzare per altre creazioni. In questo modo produciamo qualcosa di speciale e originale con materiale “riciclato” per venire incontro alle esigenze di una spesa contenuta. Mettiamo del nostro meglio perché il prodotto finito
sia unico e originale». La crisi si combatte così, intercettando e fiutando in lontananza i bisogni e le mode e poi catapultandosi nel lavoro con il sogno e la speranza di non deludere. E’ diversa l’esperienza di Angelo Rossolino prima architetto poi artigiano e ora entrambe le cose, che insieme stanno benissimo. La lettura della realtà è precisa, puntuale persino quando si tratta di indicare il momento in cui le cose sono cambiate, in peggio: «E’ dal 2008 che combattiamo contro un crisi che tarda a finire…tanto che il nostro lavoro che è strettamente legato a quello dell’edilizia (Angelo svolge attività di decoratore, ndr), un tempo ci permetteva di programmare, di studiare i tempi della produzione. Ora si procede tendenzialmente con ordini giornalieri o con lavori che talvolta vengono rinviati dai clienti anche quando le nostre giornale lavorative hanno realizzato per loro già buona parte della richiesta». Anche in questo caso la fantasia è d’obbligo, non solo nell’arte in sé, ma nel mercato di quest’arte: «Alla proposta dei clienti affianchiamo consulenze specifiche e dettagliate, studio del lavoro e della sua messa in opera a costo zero, pur di far piacere il nostro servizio e dimostrare le competenze che mettiamo a disposizione». Si lavora per vivere, non per arricchirsi. «Dal mercato estero abbiamo avuto buone risposte; è in quel settore che noi italiani, soprattutto l’artigianato, continuiamo ad avere una strada aperta, fatta però di rapporti e scambi severi che chiedono da parte dell’artigiano precisione, n.6
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puntualità, serietà del lavoro che è ben corrisposto nelle modalità di pagamento. Sono soluzioni che ci incoraggiano ma che in questi momento non trovano continuità». Siti internet in lingua straniera, offerte particolareggiate, studi specifici sui prodotti o lavori “su misura” sono le carte vincenti ancora da giocare, e con esse sfruttare le possibilità di contatto, messe in piedi – come spiega Angelo – dalla Camera di Commercio per l’Industria e l’Artigianato di Caserta «che ci offre delle ottime piazze di scambio e confronto e anche le dovute informazioni di cui abbiamo bisogno, ma accanto a tutto questo è di fondamentale importanza lo spirito di iniziativa di ciascuno di noi». Chiedere aiuto, pretendere informazione e formazione perché in Italia l’artigiano – per decenni bandiera dell’economia e storia di questo paese – sia difeso, tutelato, promosso. «Molte aziende di questo settore hanno chiuso, noi invece la fatica e la difficoltà, così pure il guadagno giornaliero lo dividiamo in famiglia dove si trova la forza e la volontà di condividere, anche i problemi generati dalla crisi». La risposta viene dalla famiglia Questo mese Clarus ha deciso di occuparsi del lavoro artigianale volgendo lo sguardo alle famiglie degli artigiani: figli, mariti, parenti che lentamente entrano a far parte della “produzione” non solo per passione, ma per dare una mano affinchè si riesca a tirare avanti tutti insieme e perchè queste forme di arte non muoiano. Graziella ed Angelo, due lavori diversi, due storie diverse. Entrambi nel tempo hanno dovuto rinunciare alla
manodopera di operai. Per molto tempo si “tira avanti insieme” poi giunge il tempo delle scelte e a malincuore, forse a testa bassa, si dice che non c’è più lavoro per tutti. Chi resta sono quelli di famiglia. Graziella che anche la sera in casa, dopo cena, danno una mano a tagliare, cucire, stirare, come racconta Graziella. Per Serena e Gaspare è stato il momento di avviare al mestiere il figlio ventiduenne perchè questo è il modo di venirsi incontro e sperare di continuare l’arte orafa anche in questo modo; Angelo condivide il lavoro con la sorella. Mentre il lavoro di “divide”, si frazione in parti sempre più piccole, così anche i guadagni. La speranza si moltiplica. Questioni di calcoli che però hanno il comune denominatore che si
Il "lavoro" nella Bibbia
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l lavoro non è al centro dell’annuncio biblico, ma nello stesso tempo si inserisce nella relazione tra Dio e l’uomo. Il testo base per poter cogliere questo profondo legame è il ciclo dei racconti del Libro della Genesi (1-11). L’attività lavorativa emerge in questo contesto in un duplice aspetto, positivo e negativo, di benedizione e di maledizione, di realizzazione e di limite. Da una parte Dio stesso viene presentato nella sua attività creatrice come “a lavoro”, dispiegando armonia e bellezza, secondo una progressione culminante nell’uomo, dall’altra quest’ultimo viene qualificato come colui che, “a immagine di Dio”, riceve quale benedizione il doppio mandato di “prendere possesso della terra” (kabaš) ed insieme “governare il mondo” (radah). Il lavoro dell’uomo è nel segno della benedizione, poiché in qualche modo è continuazione della sua opera creatrice.
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In seguito alla rottura della relazione tra l’uomo e il suo Creatore, cala su di lui il segno della restrizione, per cui la terra maledetta produce cardi e spine. Si crea tra l’uomo e la terra una dipendenza, che perde la sua originaria natura, per assumere i connotati di una lotta, i cui esiti incerti e precari. Ad illustrare questo si pone la figura di Caino, l’agricoltore, e dei suoi discendenti alle prese con una terra che non dà i suoi frutti, e fondatore della città di Enoch, Iubal l’inventore di strumenti musicali e Tubalkain, il lavoratore di metalli. La nascita della tecnica appare posta nel segno dell’ambiguità, un progresso che rivela i suoi limiti, che rende l’uomo sempre più capace di piegare la natura ai suoi fini, ma lo spinge anche all’arroganza e alla violenza nei confronti del creato. Il culmine di questo conflitto si ha nell’episodio della Torre di Babele. Ma Dio fa fallire questo disegno
di EMILIO SALVATORE esattamente opposto al suo, per rilanciare l’umanità che lavora nella scia della benedizione. La testimonianza di Genesi è chiara: vi è la necessità di sottrarre il lavoro ad una logica di sopraffazione e il modo per farlo è relativizzarlo evitando la sua assolutizzazione, con il riposo settimanale. Anche i profeti, non faranno altro che rimandare al tema del lavoro oppressivo e “fuori dalle logiche” del Creatore: Isaia contro il lavoro idolatrico; Amos contro lo sfruttamento dei poveri; Michea contro coloro che adorano il dio-denaro; Abacuc contro la violenza sottostante le occupazioni umane. Il Nuovo Testamento continua su questa scia. Gesù, definito “figlio del carpentiere”, fa un’esperienza prolungata anche nel tempo di lavoro manuale; allo stesso modo i suoi discepoli di professione sono pescatori. Paolo dal canto suo parla molto spesso di lavoro. Pur potendosi avvalere del
diritto di essere sostenuto dalla sua comunità, egli, in quanto “tessitore di tende” si vanta, di poter provvedere a se stesso con le proprie mani (cf
L’immagine più bella è quella che ci offre Luca nel congedo di Paolo dagli anziani di Efeso. L’apostolo esalta le opere delle sue mani, per le
ingranaggi, si è chiamati a scoprire la vocazione autentica dell’uomo, per il quale, secondo la parola di Gesù, “La sua vita non dipende dai suoi beni”
1Cor 4,12; At 18,3). Il lavoro è un dovere e un attestazione di libertà e di dignità personale. Dall’altra egli lo addita al cristiano come segno di una vita ordinata, onde evitare comportamenti chiassosi e sconsiderati, anzi incoraggiando atteggiamenti di lealtà.
sue necessità e per l’aiuto che si può dare ai più piccoli e ai più poveri. Il lavoro nella Bibbia dice la somiglianza dell’uomo con Dio, ma anche con la terra. Il lavoro è una realtà penultima (“Non si vive per lavorare, ma si lavora per vivere”) ed entrando nelle dinamiche del lavoro e nei suoi
(Lc 12,15). Il lavoro è in tal modo liberato dall’amore, sottratto alle sue ambigue tentazioni di potenza e riportato alla sua originaria ed armonica relazione con il Creatore, il creato e i fratelli, diventando così “profezia di un mondo nuovo”.
La guida
i t t o d n Cpoer mano Una Chiesa CHE PENSA
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ILIO S u ra d i E M
ca, che incontrai sco, Quela Vecc hiettaspce ersi in mezzo ar bo la notte che me str ada nu’ la sai, me disse : - Se lao io, chè la conosco. te ciaccompagn venimme appresso, Se ciai la forza dete darò una voce de tanto in tantodove c’è un cipresso, fino là in fonno, ve c’è la Croce... fino là in cima, do ma trovo strano ... Io risposi: - Sarà...idà chi nun ce vede che me possa gu me pijò la mano La Ceca, allora, ina! e sospirò: - Camm
Era la Fede.
RE ALVATO
L’Anno della Fede
va avanti con una sterzata tutta nuova dello Spirito, che, tramite la testimonianza semplice ed efficace di Papa Francesco, che l’ha in qualche modo resa viva e palpabile agli occhi del mondo. Non sarà allora irriverente non cercare tanto una definizione di un teologo, ma il sensus fidei nascosto anche dietro l’opera apparentemente scanzonata ed irriverente di un poeta come Carlo Alberto Salustri noto come Trilussa. La sua fama crebbe, e tra il 1920 e il 1930 la sua notorietà raggiunse il culmine. La poesia è costruita a chiave, con una certa suspense narrativa. La prima strofa presenta la situazione drammatica di un giovane uomo. L’immagine evoca, naturalmente la selva oscura dantesca, o comunque un luogo intricato in cui è facile perdersi. Sembra l’immagine della vita nella quale bisogna sapersi orientare, per trovare la strada, la via della vita. Qui compare una vecchietta (segno di maturità e quindi di sapienza) che però è fisicamente cieca. La cecità è malanno dell’anziano. Una cieca anziana è del tutto naturale, ma il paradosso è che ella si propone come guida: ella sa, ella conosce, ella può accompagnare l’uomo smarrito. La proposta si specifica come una compagnia per l’uomo viator. E’ una compagnia lungo tutto il cammino dell’uomo, che va verso (fino là in fonno) il cipresso, segnale insieme della fine della vita, nella tomba, che vede il riposo custodito dall’ombra di tale sempreverde. Nella Bibbia è detto: “Io sono come un cipresso sempre verde, grazie a me tu porti frutto” (Os. 14,9). E’ una compagnia lungo il cammino del credente(fino là in cima), che ha il suo culmine nella Croce (scritta con la lettera maiuscola, è la croce di Cristo), come nell’esperienza di Cristo, dono totale della propria vita sino all’ultima goccia di sangue. La fede avanza innanzi, mostra la strada, fa sentire la sua voce (è la testimonianza della fede). Le parole sembrano echeggiare anche l’immagine di Gesù “come può un cieco guidare un altro cieco” (Mt 15,14). L’uomo non riesce a trovare il senso della sua vita con le sole armi razionali, e la fede che appare irrazionale, agli occhi della ragione umana, appare la guida meno adatta. Ma qui sta il paradosso: cieca agli occhi della ragione, appare invece esistenzialmente vedente. Anche qui sembra evidente un richiamo al testo della Lettera agli ebrei, CHE ripropone l’esempio di Mosè: “Per fede lasciò l’Egitto, senza temere l’ira del re; rimase infatti saldo, come se vedesn.6
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se l’invisibile” (Eb 11,27). La fede è restare saldi, avere un punto di riferimento, un senso che dà fondamento ed orientamento esistenziale. La fede prende per mano il vero cieco, l’uomo smarrito e confuso, nonostante le sue pretese conoscitive, scientiste e razionaliste. Poi gli rivolge una parola chiara, lo invita a camminare: “Io sono Dio onnipotente: cammina davanti a me e sii integro.” (Gen 17,1). Sono le parole che Dio rivolge ad Abramo, nostro padre nella fede, che Papa Francesco ha ripreso nella messa dopo l’elezione nella cappella Sistina. Camminare vuol dire progredire nella via della vita sotto lo sguardo di Dio nella luce della fede. A questo punto il poeta scioglie la tensione narrativa e rivela che si tratta della personificazione della fede. “Nella Bibbia, come nella vita - scrive Kierkegaard - si cammina in avanti e si comprende all’indietro”. Molte sono state le osservazioni rivolte a Trilussa anche da autorevoli critici, come Giovanni Paolo I, che riferì questa poesia nell’Udienza Generale del 13 settembre 1978 e commentò dicendo che quella di Trilussa era graziosa come poesia, ma che come teologia era difettosa. Una spiegazione l’aveva data lo stesso Albino Luciani in una delle sue “lettere” inserite nella raccolta intitolata Illustrissimi, dove chiariva che la fede è una buona guida solo quando “ha ormai messo radici come convinzione nella mente e di là pilota e dirige le azioni della vita”. Certo! Ma la suggestione che il poeta lascia a noi è che la fede, pur nella sua fragilità argomentativa agli occhi degli uomini, ha una forza vitale per la qualità della vita di ogni uomo.
di GRAZIA BIASI
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Dedicato a voi...
enitori, promotori della vita e di quei percorsi che da essa prendono il largo alla volta di nuove scoperte, relazioni, emozioni, scelte. Famiglie, case di confidenze e di silenzi, di dialoghi e di scontri. Mamme e papà educatori dei propri figli, che accompagnano al Battesimo e alla prima Comunione con una fede che attende di crescere ancora, di essere educata. Perchè non basta essere adulti nell'età per essere adulti nella fede. L'esperienza comune a più parrocchie rimane ancora quella di famiglie vicine alla chiesa durante la preparazione ai sacramenti dei propri figli. Presenze spesso sporadiche, occasionali, d'obbligo, ma anche in attesa dell’ "appello", di qualcuno che li inviti a fare di quell’esperienza straordinaria l’occasione di nuovi e ordinari modi di vivere e di pensare e di una partecipazione più consapevole e responsabile alla vita della parrocchia. E’ una lettura breve e veloce, ma non superficiale dello stato di numerosi adulti del nostro territorio e forse di tanti altri. La fede cristiana non è un contratto a termine. E’ un dono, ma anche una scelta appassionata del modello di vita di Gesù di Nazareth, che la Chiesa annuncia e che attende di essere incarnato nella vita quotidiana per trasformare la storia verso le prospettive del Regno, il grande progetto di Dio sull’uomo. Una proposta sta nascendo in Diocesi e riguarda la formazione dei genitori che accompagnano i figli alla prima Comunione, con l’obiettivo di condurli da una fede sociologica ad una fede matura e ad una partecipazione attiva e consapevole alla vita della propria comunità cristiana. Il Vescovo ha affidato a don Luciano Meddi, catecheta e docente di Catechetica missionaria presso la Pontificia Università Urbaniana, la formazione di un gruppo di sacerdoti e laici (circa dieci tra educatori, catechisti, operatori caritas, insegnanti e sacerdoti responsabili di diversi ambiti pastorali) da cui verrà un progetto modulare di formazione per la catechesi degli adulti. L’idea è quella di individuare per il momento delle parrocchie-campione di cui seguire il cammino secondo la proposta di Nuova evangelizzazione che sarà formulata. Il progetto non è solo il frutto di idee condivise e di letture interpretative della fede degli adulti del nostro territorio, bensì anche il risultato di un cammino formativo che i membri dell’Equipe stanno compiendo con il prof. Meddi e Mons. Di Cerbo, attraverso una serie di incontri quindicinali. Scrive don Meddi: “L’adulto che le comunità incontrano è frutto delle socializzazioni ricevute, dell’insieme delle esperienze che li hanno visti protagonisti, dell’ambiente sociale e culturale in cui viviamo. Gli adulti a cui ci rivolgiamo in modo privilegiato (30-50 anni) sono cresciuti immediatamente dopo il ’68. (…) Hanno visto l’immobilità delle parrocchie e la marginalizzazione di coloro che tentavano vie nuove…” (Barghiglioni E. e M. – Meddi
Una Chiesa CHE VIVE
Genitoridi oggi
L., Adulti nella comunità cristiana. Guida alla preparazione di itinerari per l’evangelizzazione, la crescita nella fede e la mistagogia della vita cristiana, Milano, Paoline 2008). Ecco il mondo da cui partire, quello che ha attraversato diverse crisi economiche, è approdato all’uso del telecomando e poi di internet e si è abbandonato al mercato globale portando con sé i propri figli. Il mondo di tante nuove certezze, ma altrettante speranze illusorie dettate da una cultura che ha mostrato come il “mestiere di vivere”, scrive ancora Meddi, non è cosa semplice. La libertà ha assunto un peso e un valore diverso rispetto alla libertà del Vangelo, quella che è dono e sacrificio, condivisione e accoglienza, dialogo e soprattutto rispetto. Il cammino a cui sta lavorando l’équipe prevede una traccia di base su cui lavorare e cioè il passaggio dalla religione alla fede, alla confidenza con il Gesù della quotidianità evangelica. Il percorso formativo potrebbe avere una durata di due anni, ma, essendo organizzato per moduli, lascerà ai parroci e ai Consigli pastorali parrocchiali la scelta di organizzazioni diverse, più adeguate alla realtà delle singole comunità cristiane. L’équipe avrà il compito di aiutare le parrocchie, le scuole cattoliche, gli oratori, le associazioni e i movimenti ad incontrare i genitori, quindi sostenere il loro compito educativo, riqualificare il tessuto religioso delle persone e in ultimo, suscitare piccole comunità missionarie, interessate ai bisogni degli altri, ad uno stile fraterno quotidiano e non occasionale, ad un impegno d’amore, modellato sull’esperienza e sulle scelte di Gesù di Nazareth. n.6
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Una Chiesa CHE VIVE
Il vescovo Di Girolamo a cinqunat'anni dalla morte di SERGIO TANZARELLA, docente di Storia della Chiesa, Pontificia Università Gregoriana
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episcopato di mons. Di Girolamo (1922-1963) è singolare innanzitutto per la sua durata. Quarantuno anni non rappresentavano la media degli episcopati del tempo anche se allora non vi era il limite per i vescovi dei 75 anni che vi è oggi, infatti la diocesi di Alife ha, quasi negli stessi anni, ben cinque vescovi. Si tratta di un quarantennio che comprende esattamente ben tre pontificati: Pio XI, Pio XII e Giovanni XXIII ed è già solo questo un dato di grande interesse cui si accompagnano per la storia civile problemi aperti come: l’avvento del fascismo, la sua affermazione e la fine della questione romana del 1929, la crisi del maggio 1931, la guerra di Abissinia, quella di Spagna, la II guerra mondiale e la tragedia dell’occupazione nazista che tocca direttamente anche la città di Caiazzo, il lungo dopo guerra teso tra ricostruzione e guerra fredda, l’avvio della Repubblica, la Costituente del ‘46 e le elezioni politiche del ‘48 con i primi voti concessi alle donne, il collateralismo e l’effimero boom economico. Di quel lungo tempo Di Girolamo fu testimone e protagonista e così la storia nazionale può essere riletta attraverso le scelte pastorali e le riflessioni di un vescovo di una piccola diocesi meridionale. Tuttavia, un lavoro storico compiuto su questo episcopato è ancora tutto da farsi, nonostante la sua memoria – una positiva memoria – permanga forte nella diocesi e una serie di fortunate circostanze abbia permesso ad una parte considerevole del suo archivio di salvarsi dalla distruzione e dall’incuria. Resta però oggi grave la responsabilità di avviare al più presto la catalogazione dell’archivio per permettere agli storici di poter studiare le carte. Queste ultime, ad un primo carotaggio, mostrano materiali di grande varietà ed interesse, dai documenti ufficiali (tra cui lettere pastorali e bollettini diocesani) ai carteggi, dai diari di lavoro a quelli personali. Già però le prime letture mostrano un impegno e
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A Caiazzo, in occasione dei festeggiamenti in onore di Santo Stefano Menecillo, patrono della città, è stata organizzata una giornata di studio sulla figura del vescovo Nicola Maria Di Girolamo di cui ricorre il cinquantesimo della morte. Per l'occasione, in una solenne celebrazione eucaristica in programma il 6 luglio, verrà fatta memoria delle figura di questo vescovo padre
un’ansia pastorale assidua, unita ad una spiritualità ispirata ai modelli tradizionali dell’epoca ma attenta a prendere le distanze da forme religiose effimere o dalla giustificazione del privilegio: «Come potrei permettermi certe comodità…quando vedo che ai miei sacerdoti manca il necessario?». Su questo aspetto Di Girolamo diede prova di una esemplare sensibilità nei confronti di tutti coloro che erano nel bisogno realizzando per sé una vita di esemplare povertà. Ciò si può verificare se si rilegge il testamento olografo che Di Girolamo scrisse nel gennaio del 1963 quasi presago della propria morte che sarebbe avvenuta pochi mesi dopo a causa della rottura del femore ancora, in quegli anni, causa di morte per le persone anziane. Si tratta di appena tredici righe in cui è contenuto il senso della ispirazione di tutta una vita: “Vescovo di Caiazzo – Jesus Caiazzo lì 8 Gen. 1963. Nel pieno possesso delle mie facoltà
spirituali lascio quanto comunque mi appartiene nell’ora della morte alla diocesi che la divina Provvidenza si degnò di affidarmi e governare per oltre quarant’anni […]. + N.M. Di Girolamo, Vescovo di Caiazzo”. Mi appare come queste poche parole restituiscano l’uomo, il prete e il vescovo nella sua reale grandezza. Realmente povero ed esclusivamente impegnato per la Chiesa senza alcun tornaconto personale, lasciò tutto quello di cui aveva fruito nella vita, come pellegrino di passaggio, alla diocesi che fu il centro della sua esistenza e delle proprie cure. E’ poi certo sorprendente leggere nei Vota – presentati per il Concilio Vaticano II – che il Di Girolamo ormai quasi ottantenne mostri una attenzione al dialogo interreligioso che allo stesso Concilio troverà forti resistenze per affermarsi: «Al Concilio Ecumenico siano invitati come “spettatori” e uditori le guide spirituali dei maomettani. I seguaci di Maometto, come ritengono famosissimi scrittori cattolici, sono molto più vicini alla fede cattolica di quanto la gente possa credere». Basterebbe già quanto qui richiamato per comprendere l’urgenza di cominciare a studiare la figura di Di Girolamo e il suo episcopato mentre alle comunità civili occorre chiedere un gesto di riparazione alla disattenzione di questi decenni: tutti i comuni dell’antica diocesi di Caiazzo dovrebbero sentirsi impegnati in occasione di questo cinquantenario dalla morte a dedicare da subito una strada alla memoria di questo vescovo così lontano dal modello di vescovo principe e così umilmente compreso nel ministero di vescovo pastore: padre, maestro e fratello del popolo della Piana di Caiazzo.
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Formicolato e presente
Origine e sviluppi, tra passa
Formicola
uno Storia, geografia e ricordi di
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l’Alto Casertano
degli angoli piÙ suggestivi del
Tra le varie interpretazioni relative all’origine del nome “Formicola” la più accreditata sembra essere quella dello storico Padula, per la quale esso deriverebbe da “For Micol” che in lingua ebraica significa “bollente ruscello”, ad indicare la presenza sul terriCap 81040 torio di sorgenti di acqua calda. Altri storici, invece, Abitanti 1580 tendono a ricondurre il nome Formicola al termine Superficie 17 kmq latino “formicula”, ossia piccola formica, in riferiDensità demografica 92 ab/kmq mento alla natura particolarmente laboriosa dei suoi Altitudine centro 196 m s.l.m. abitanti. La genesi storica e demografica di FormicoLat 41° 30′ 0″ N la è avvenuta nell’XI secolo a partire da un villaggio Long 14° 14′ 0″ E denominato “Majorano”, cellula primaria del paese e ancora oggi la parte più antica di esso (via Maiorano). Nel territorio di Formicola rientrano anche le frazioni di Cavallari, Fondola, Lautoni e Medici. Fu la famiglia dei Carafa a dare avvio ad un lungo periodo di crescita socio – culturale che interessò Formicola dal 1465, quando il feudo fu assegnato a Diomede I Carafa, fino al 1806, anno in cui Giuseppe Bonaparte procedette all’abolizione del feudo e di cui sono testimonianza alcuni palazzi edificati in epoca baronale, come la Chiesa dello Spirito Santo o il Convento dei Verginiani, che attualmente ospita la struttura municipale. A Francesco II Carafa, invece, risale la creazione dell’Accademia Arcadica chiamata “il Caprario”, dal monte sul quale nasceva, luogo d’incontro per i poeti aderenti, all’insegna dell’empatia artistica. Oggi Formicola gode di una natura fiorente e incontaminata, nonché di un livello culturale piuttosto elevato.
Quel luogo fuori dal mon
do...
Ogni popolo ha il proprio “luogo sacro”, un angolo di quiete, un po’ fuori dal mondo, in cui ab bandonarsi a momenti di raccoglimento interiore. Da tempi imme mori, per Formicola e i su oi abitanti, questa funzione viene svolta dal Santuario di Santa Maria a Castello, dimora della Madonna dal viso ca ndido, che si erge sulla pa rte più alta del paese. Il primo documento nel quale si fa menzione di Santa Maria a Castello sono le “Rationes decimarum Italiae” per l’a nno 1326, un testo che tratta dei tributi spett anti alle varie chiese della zona. Pertanto, l’incidenza di Santa Maria a Castello sulla vita religi osa della gente del posto è già netta nel XIV sec. Anche se il no me del possibile fondatore de l santuario rimane avvolto nella leggenda, è invece provato da diverse fonti che un certo Riccardo Anglico fu il primo ad essere nominato “eremita”, “rettore”, e quindi “priore” dell’erem o. Dal punto di vista archit ettonico la struttura si compone di due cappell e intercomunicanti, ma non perfettamente in asse tra loro, il che lascia pensare a due tempi distinti di edificazione. Assolutame nte da non perdere la sottostante chiesetta ori ginaria, contenente affreschi di pregevole fattura di scuola cassinese e benedettina ch e raffigurano, tra l’altro, San Benedetto e San Gugli Pantocreatore, San Nicola elmo, il Cristo e “il miracolo delle fanciu lle”. Il Santuario di Maria è meta cara a fedeli formi S.S. del Castello colani e non.
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Formicola, cinto dai monti dell’Alto Casertano, è caratterizzato da tradizioni e costumi secolari che vengono custoditi gelosamente dai suoi abitanti. Un paese piccolo, ma ricco di “talenti” ed “eccellenze” che decantano la sua storia donandole l’immortalità. Abbiamo considerato due aspetti tipici della cultura formicolana, in particolare, la banda e la produzione delle ciliegie, passioni tramandate di generazione in generazione.
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prodotti della cultura formicolana “sempre verdi” La banda musicale di Formicola fu istituita negli anni ‘20 e, dopo un periodo di stasi, negli anni ‘80 si ricostituì sotto l’egida della Comunità Montana del Montemaggiore. Oggi questa tradizione rivive grazie ai “Talenti formicolani”, dotata di un vasto repertorio e composta perlopiù da giovani.
La parola a Salvatore Perrone uno dei principali commercianti di ciliegia del posto. Grazie per le preziosie informazioni che ci ha fornito su questo straordinario frutto di cui sono ricche le nostre terre.
Quante varietà di ciliegia offre il territorio di Formicola? La ciliegia è un prodotto importato ed è grazie ai nostri antenati che oggi noi possiamo conoscerla. Vi sono varietà estinte, ma in passato vere e proprie “chicche” della produzione di livello industriale, la “Corvina di Somma” e la “Stoppa” (nome dialettale). Oggi, oltre all’“Imperiale”, troviamo la “Bigareau” (di origine francese), la “Ferrovia” (di origine pugliese) e infine la “Vanna”, incrocio tra Bigareau e Ferrovia. Come si esplica il processo di lavorazione della ciliegia? Si comincia a dicembre con la cura del ciliegio, “a vegetazione ferma”. A seguire s’interviene durante la “prefioritura” e la “fioritura” con 5/6 processi in totale. Vi sono trattamenti specifici per preservare la ciliegia da eventuali insidie e quali condizioni ne permettono una crescita ottimale? I trattamenti praticati sono contro la “monilia”, contro lo spacco e contro la cosiddetta “mosca della ciliegia”. Per una crescita ottimale occorre un terreno asciutto e permeabile, nonché un clima sereno. Quali cambiamenti ha subito il mercato della ciliegia? Negli anni, lo scarso interesse per l’agricoltura ha causato la sottovalutazione di questo prodotto, che, invece, un tempo era una “perla” del nostro territorio e del mercato internazionale.
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Da vedere... in paese e non perdere
stello - Sec. XII a Maria del Ca Santuario Sant - I fondatori degli rimitiva cappella” i Particolare della “p elmo. Gli affresch detto e San Gugli Ordini: San Bene a. inese e benedettin sono di scuola cass
Chiesa dello Spirito Santo. Fu edificata nel 1571 per volere della duchessa Roberta Carafa e fatta demolire nel 1760 dall'a bate Pascasio Anicio nell'intento di sostituirla con un'altra di dimensioni più grandi. Al suo interno la chiesa ospi ta, tra le altre cose, la tomba di Giuseppe Carafa, vittima della rivolta di Masaniello, le tele verginiane presenti in alcu ne cappelle laterali, l'altare maggiore costruito con marm i pregiati. Oggi la Chiesa dello Spirito Santo è “monum ento nazionale”.
Chiesa di Santa Cristina Fu costruita intorno all'anno mille e abbattuta nel 1700. L'edificio odierno cons ta di tre navate di stile neoclassico.
Chiostro d el Conven to dei Verginiani XIV sec. La struttura, edificata ne l 1450, oggi è sede del Comune.
Chiesa S. Maria della Pietà Eretta in “contrada” Teglia, si caratterizza per la sua struttura a croce greca sormontata da una cupola maestosa. Molto cara ai Carafa, la chiesetta fu da loro denominata “Santa Maria del Ponte”, dopo aver costruito il ponte sul fossato che circondava il palazzo baronale.
o Scorcio di via Maioran inaria di ForSi tratta della cellula orig abitato, da cui micola, primitivo nucleo sviluppo sivo ces suc il ha preso avvio se. pae del iale soc demografico e
Semaforo rosso 1. Parcheggio selvaggio nelle aree riservate a soste brevi (il paese offre un’ampia area parcheggio ben collegato con la piazza centrale del paese). 2. Linea ferroviaria distante (a 8 km di distanza, in compenso i bus viaggiano vuoti). 3. Molte associazioni presenti sul territorio ma poche le persone che si mettono veramente in gioco.
Semaforo verde 1. Raccolta differenziata controllata e ben avviata. 2. Vita sana improntata su valori genuini trasmessi nel sociale. 3. Attaccamento alla tradizione della propria terra, tradizioni religiose e artistiche e impegno per la rivalutazione del territorio. 4. Spazi verdi utili alla riscoperta della natura. 5. Attivismo parrocchiale a cura dell’Azione Cattolica. 6. Attivismo nel sociale da parte delle associazioni regolarmente iscritte agli albi di competenza.
L’indagine è stata condotta su un campione di sessanta cittadini di età compresa tra i sedici e gli ottant’anni Hanno lavorato a Comunicando per la pagina di Formicola: Giovanna Corsale, Angelo Fusco, Teresa Golino, Rossella Palmieri e Maria Perrone.
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Diocesi
Alife - Caiazzo
Nell’Anno della Fede
Pellegrinaggio Diocesano a Roma guidato dal nostro Vescovo S.E. Mons. Valentino Di Cerbo
“Pensiamo che bello è essere santi, ma anche che bello è essere perdonati„ Papa Francesco
Udienza del Santo Padre Solenne Celebrazione Eucaristica in S. Paolo Fuori le Mura
Presto tutte le news
di piccoli successi
STORIE
La Scuola Media Statale Nicola Ventriglia offre ai suoi studenti un eccellente percorso musicale. Tra le mura dell’antico convento del Celestini che ospita l’Istituto si rincorrono voci e note giovani e con esse il sogno di diventare musicisti
di MICHELE MENDITTO
Fiato agli strumenti e ai
sogni
A
sentirli suonare si resta rapiti e colpiti dalla serietà dell’esibizione, e prima ancora dalle capacità musicali, quelle fondamentali alla perfetta riuscita di un lavoro di squadra. Perché, come spesso accade, è il saper “fare gruppo” la chiave di volta di ogni successo, quel successo che i giovani studenti dell’orchestra della scuola media Nicola Ventriglia non mancano di raccogliere in ogni spettacolo, dai concerti in città sino ai concorsi studenteschi cui prendono parte, tanto da essere divenuti piccole celebrità. E del resto, come loro stessi raccontano, «suonare insieme è la cosa che ci piace di più». E’ dal 2006 che la Ventriglia ha arricchito l’offerta formativa ai ragazzi con un indirizzo
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musicale, seguendo la tendenza diffusasi tra le scuole italiane a partire dal 2000, proponendo un laboratorio di musica obbligatorio che coniuga teoria e pratica mediante l’uso di uno strumento, da scegliere tra clarinetto, piano, percussioni e fagotto, strumento che accompagna la crescita dell’apprendista musicista nell’arco dei tre anni di studi, e poi sulla base delle capacità personali, a ciascuno viene assegnata una parte. Una novità per la città di Piedimonte Matese, ancora poco abituata all’idea del-
Il concerto della Scuola Media Nicola Ventriglia in una recente esibizione presso la chiesa del Carmine in via Scorciarini Coppola a Piedimonte Matese.
le orchestre scolastiche, e altrettanto lo è per l’intero quartiere Vallata, dove ha sede la scuola media (oggi in una sede temporanea in attesa di interventi di adeguamento), più coinvolto rispetto al resto della città visto che gran parte degli alunni della scuola vi è residente. «Si è creato un entusiasmo particolare», spiega senza esitare il docente Antonio Di Cerbo, che assieme ai colleghi Andreana Pilotti, Antonello Capone e Domenico De Marco, segue e prepara con criterio gli studenti alternando il rigore e lo studio a momenti più leggeri. «I ragazzi lo sanno – continua Di Cerbo – possiamo anche scherzare, ma quando c’è bisogno di concentrarsi vanno seguiti ordine e disciplina, poi i frutti di questo impegno si vedono». E i ragazzi ne sono ben consapevoli, lo fanno volentieri e con un pizzico di responsabilità che a tratti stupisce, motivati dalla consapevolezza che «sì, siamo diventati più impegnati ma poi nei concerti vediamo i risultati di tanto studio». Basta assistere a una delle loro esibizioni, notare l’abilità di sapersi coordinare su ogni battuta, per rendersi conto della preparazione su cui si regge tanta bravura, che magari neanche ci si immaginava. Si ascoltano con piacere tutti i pezzi del ricco e variegato repertorio dell’orchestra, dai classici di Mozart o Händel fino a brani di musica leggera, Beatles e colonne sonore cinematografiche. Ce n’è per tutti i gusti. Molti sono stati anche gli apprezzanti alle competizioni studentesche nazionali, l’ultimo a Vallo della Lucania dov’è è stato raggiunto il secondo posto. Un vero e proprio percorso di crescita questa esperienza musicale, soprattutto nel backstage scolastico, che qualcuno dei ragazzi decide di continuare anche dopo
il terzo anno, sino ad iscriversi al conservatorio. «Questo però non è il nostro obiettivo – spiega ancora Di Cerbo – siamo contenti se qualcuno di loro sceglie di continuare, ma secondo noi questi anni vanno semplicemente vissuti in maniera molto piacevole». In ogni caso, studiare musica aiuta a crescere e migliorarsi, i docenti lo confermano: stimola le capacità intellettive migliorando la memoria, la coordinazione, il senso estetico, la socializzazione. Il rapporto con i maestri e i compagni resta la base del laboratorio musicale, «si instaura un legame di complicità, si diventa una squadra e ti arricchisci di amicizia e affetto», racconta Andreana Pilotti riferendosi al rapporto umano che nasce tra le aule dell’istituto. Ogni concerto diventa così un’emozione diversa condivisa con un pubblico che regala sempre applausi scroscianti e sinceri. L’impegno e la tenacia pagano, e questa con ogni certezza è la vera lezione che si fa propria facendo musica alla Nicola Ventriglia.
«Suonare insieme è la cosa che ci piace di più»
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CULTURA e territorio
Il Museo Civico Raffaele Marrocco
Aiutiamolo a crescere
vive.
di GRAZIA BIASI
L
a tanto attesa inaugurazione ha portato tra le mura dell’antico chiostro di San Domenico, dove sono allestite le sale espositive, decine di persone e non solo cittadini piedimontesi, perché – come ha raccontato a Clarus il Direttore del complesso, Raffaella Martino, «esso racchiude la storia di un più vaso territorio che abbraccia tutta la piana alifana e giunge fino alla valle telesina». Sono proprio i secoli sanniti ad aver lasciato sul territorio un gran numero di reperti. L’attenzione da mesi è stata soprattutto per il piccolo bronzo ormai noto come Corridore del Cila, una statuetta alta circa 11 centimetri risalente alla metà del V secolo a.C. Ma la vita di un museo è ben altro e va oltre la curiosità di quel nome (Corridore del monte Cila) che fa pensare ad eroiche e appassionate imprese. In questo caso l’impresa è un’altra: quella di far vivere il museo non solo negli occhi di chi lo visita, ma nelle coscienze di chi lo sente patrimonio comune da condividere. La dottoressa Martino, docente di Catalogazione dei reperti archeologici presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, già consulente del Comune di Piedimonte negli anni passati in occasione dei primi progetti di allestimento del Museo, guarda al futuro, o meglio all’immediato futuro: «Le idee in cantiere sono tante, ma procediamo con la dovuta cautela al fine di garantire prima l’adeguata collocazione e fruizione di quello che c’è, poi cercando di integrare alcune novità». Non sono stati pochi i problemi di carattere burocratico, economico e logistico che hanno accompagnato l’organizzazione e l’allestimento delle sale: «La cultura di museo, come luogo vivo e vivibile non ha ancora attecchito nei nostri territori dove esperienze di luoghi simili da visitare sono poche e rare, ma uno degli obiettivi a cui puntare è proprio questo: fare di questi spazi espositivi un laboratorio per pensare, capire, comprendere, imparare». L’esperienza di archeologa che scopre e tocca con mano la storia che la terra restituisce all’uomo è una componente positiva del progetto scientifico che il direttore Martino propone per l’interessante raccolta custodita a San Domenico, sia quella archeologica del piano terra (il titolo della mostra è Gens fortissima Italiae), sia quella del primo piano custode di importanti reperti e documenti di storia patria più strettamente legati alle vicende piedimontesi. «Il sogno è quello di dare vita ad un laboratorio didattico fruibile a tutti, in particolare ai bambini e agli studenti
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del territorio (previa preparazione in classe, di concerto con gli insegnanti) perché la storia possa essere ricostruita attraverso un ideale scavo, un ideale restauro. Gioco, ricerca e approfondimento a seconda delle età. Questa vicinanza tra l’utente e il reperto permette all’uomo di riconquistare non solo parte della sua identità, quindi le origini, ma riconoscere
"Daremo lentamente respiro al Museo attingendo novità e confrontandoci anche con esperienze come la nostra in corso presso altri Enti locali"
Visite al MUCIRAMA
Dal Martedì al Venerdì, ore 9.00 - 13.00 Sabato, 9.00 - 12,00 Martedì e Giovedì, ore 15.00 - 18.00 Domenica e Lunedì CHIUSO Prenotazioni extra orario e giorni di chiusura museo@comune.piedimonte-matese.ce.it
il valore della storia grazie alla conservazione attraverso i secoli che siamo in grado di garantire ad essa». L’iter burocratico necessario per giungere a questo traguardo ha visto quale fase fondamentale del suo percorso il riconoscimento regionale che consente oggi alla struttura di accedere a fondi della Regione Campania, forse gli unici reperibili. In casi come questi a dare un ulteriore impulso alla cultura e ai progetti che ruotano intorno ad essa non potrebbero mancare fondi privati, investimenti sul sapere ad opera di benemeriti imprenditori locali. Perché no? Le grandi opere di restauro e numerose iniziative culturali in tutta Italia sono ormai affidate anche a tali sensibilità. L’inaugurazione ha portato con sé molto entusiasmo ma anche un serio contatto con la realtà dei fatti. Le ispezioni della Regione effettuate in passato (l’ultima circa un anno fa) hanno rischiato di mettere in discussione lo status regionale del museo a causa della chiusura (in passato) della struttura e della cartellonistica assente: «Una struttura “regionale” come la nostra deve garantire un’apertura settimanale pari a 25 ore, un organico preciso, dotato anche di opportune competenze. E’ con molto piacere che ho accolto da più parti del territorio la proposta di giovani collaboratori esperti del settore che a titolo volontario si sono messi a nostra disposizione; ad essi si affianca il ruolo fondamentale che hanno avuto in questi mesi i 20 volontari delle associazioni cittadine che hanno di recente seguito un corso come guide turistiche locali bandito dal Comune». Val bene il proverbio che a camminare da soli si va più veloci, ma a camminare insieme si va più lontano. E’ questo un augurio perché non manchino mani e menti pronte a collaborare perché il museo cresca. Non solo, Raffaella Martino spiega che per rendere fruibile anche la collezione del primo piano ha coinvolto gli studenti del Suor Orsola Benincasa attraverso alcune ore di laboratorio: «Grazie alle loro competenze e ricerche abbiamo dotato di didascalie le opere esposte nelle sale al primo piano. Un lavoro scontato, ma non ancora, per il Museo Raffaele Marrocco. Il visitatore deve sentirsi a proprio agio, deve poter comprendere e andare via sapendo di aver scoperto e imparato qualcosa di nuovo».
di EMILIA PARISI
Un ex-voto propiziatorio per la gioventù sannita Nel 1928 alle falde del Monte Cila fu ritrovata una statuina alta circa 11 centimetri raffigurante un giovinetto sannita che compie un'antichissima danza di saltelli. Con la mano sinistra si sostiene il fianco, con la destra ostenta, elevandolo, il cinturone, trofeo conquistato per aver vinto la gara della “corsa in armi” svoltasi lungo le muraglie ciclopiche. Probabilmente, presso il luogo del ritrovamento, esisteva un santuario di un Dio, Eracle o Mamerte, preposto alla sfera giovanile e guerriera, cui fu donato il bronzetto in qualità di ex-voto. La statuina del Corridore del Cila, attribuibile a officine magno-greche o campane, risale alla metà del V secolo a. C.; la rappresentazione del corpo rivela una scioltezza plastica e un naturalismo delle forme che fanno dimenticare la rigidità anatomica del cosiddetto “stile severo” (490 – 477 a. C.), prima fase dell'età classica. Rituale magico, propiziatorio e religioso, la danza fu praticata dai Sanniti, alla presenza di tutti i componenti della tribù, presso le aree sacralizzate, le ocar, circoscritte dalle imponenti murazioni ciclopiche sulle cime impervie dei loro monti. I rituali che venivano celebrati per mezzo della “danza armata” erano molteplici: quelli della pubertà con i suoi passaggi di età, quelli della selezione matrimoniale, quelli della guerra, della prolificità e della iniziazione. La statuina del Corridore del Cila rappresenta forse uno di questi rituali. I Sanniti, che dicevano di discendere dagli Spartani, mutuarono le danze armate dai Greci. Il mitico spartano Pirrycos ideò le danze armate che furono chiamate in suo onore “Pirryche” ed erano eseguite al suono del flauto dai danzatori in armi che simulavano le varie fasi di un combattimento. Parimenti le “corse in armi”, derivate dalle armature pesanti degli “opliti” dell'esercito spartano, vennero chiamate “oplitodromie” allorché gli atleti, coperti dalle armature pesanti, gareggiavano in corse veloci. Una danza armata, ideata dal professore Alessandro Parisi di Alife, è stata eseguita da un mimo, recante in volto la maschera del Corridore del Cila, nel suggestivo Chiostro di S. Domenico durante una recente manifestazione artistica (Illuminarti) a Piedimonte Matese. n.6
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Santa Maria di Compulteria Recenti scoperte archeologiche gettano nuova luce sulla basilica paleocristiana di Alvignano
di EMILIA PARISI Le origini e le indagini archeologiche La chiesa di S. Maria di Compulteria fu costruita in età tardo-antica, intorno al V secolo, parallelamente all'incremento numerico delle sedi vescovili campano – sannitiche. A partire dal VI secolo l'edificio religioso è attestato come chiesa cattedrale della diocesi di Compulteria. Fulcro di un contesto insediativo, si distinse per la presenza di nuclei produttivi agrari collegati ad interessi patrimoniali della Chiesa di Roma e di ambienti aristocratici. La basilica, sita nel comune di Alvignano, sorgerebbe sull'antica città romana di Cubulteria. In realtà, recenti scoperte archeologiche sottolineano un carattere rurale, anziché urbano, delle strutture rinvenute nei pressi dell'edificio religioso. Gli scavi hanno portato alla luce una capanna protostorica, un ambiente con strutture in opera reticolata di I a. C. - III d. C., un santuario arcaico, una casa colonica tra la fine del III e la metà del II secolo a. C., le struttu-
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re di una villa con muri in opera reticolata di I secolo a. C., un'area sepolcrale di età primo imperiale ed un complesso residenziale frequentato fino al III secolo d. C..
non è stata ancora definita con certezza. Sette finestre per ogni lato e tre aperture presenti sulla facciata principale garantiscono l'illuminazione naturale dell'edificio. Un tetto a capriate a doppio spiovente, completamente restaurato e simile all'originale, caratterizza la copertura della struttura.
La struttura dell'edificio religioso La chiesa di S. Maria di Compulteria è caratterizzata da un edificio a tre navate con abside occidentata. Due file di 6 pilastri tripartiscono lo spazio interno e sorreggono 7 archi a tutto sesto realizzati in laterizi. Un gradino in lastre di calcare permette di accedere al piano di calpestio leggermente sopraelevato dell'abside, evidenziato da un imponente arco in laterizi. Tracce della pavimentazione originale, come lacerti di mosaici (a tessere bianche e nere o a motivo floreale) o resti di un piano di calpestio in mattoncini, sono state rinvenute all'interno dell'edificio a seguito di indagini stratigrafiche. Un nartece, conservato solo parzialmente, collega le tre navate con l'esterno della Chiesa. Il muro perimetrale, all'estremità ovest della navata sinistra, si apre in una piccola abside laterale la cui funzione
Le fasi di occupazione del sito I recenti scavi archeologici hanno permesso di ricostruire una sequenza cronologica delle diverse fasi di occupazione del sito. Nella prima fase edilizia, S. Maria di Compulteria si presentava come un edificio basilicale, con interno suddiviso da pilastri, cui si accedeva tramite un ingresso sormontato da un arco in laterizi. La struttura era preceduta da un nartece con volta a botte. Nella seconda fase edilizia, a seguito di catastrofi naturali come terremoti e cedimenti di suolo, il nartece subisce una profonda trasformazione perdendo la sua funzione originaria e diventando una torre campanaria addossata alla facciata. Nella terza fase edilizia, dopo la demolizione delle murature laterali del nartece, il suo corpo centrale è oggetto di una nuova trasformazione. Viene realizzato l'arco più esterno con rivestimento in opera listata con blocchi di tufo e laterizi. Nella quarta ed ultima fase edilizia, intorno al VII secolo, l'insediamento rurale si rinnova sfruttando i materiali della villa di età imperiale. A ridosso dell'edificio religioso, sorge anche un'area cimiteriale connessa ad un villaggio che sopravviverà fino agli inizi dell'XI secolo. (fonte: Alessia Frisetti in Annuario ASMV 2010)
Alvignano (CE) · Piazza Mercato, 1 · Tel. 0823-865620 Caiazzo (CE) · Via Cattabeni, 26 · Tel. 0823-868907 Alife (CE) · Via Roma, 86 · Tel. 0823-783394
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o n o v i r c s i c i r o t I let info@redazioneclarus.it
Gli uomini dell’equilibrio
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l punto di equilibrio per un’economista rappresenta un fatto quasi sacro. L’equilibrio, in generale, in un momento di crisi economica è cosa difficile da raggiungere; allo stesso modo, l’equilibrio politico, sembra essere cosa altrettanto difficile da raggiungere; uomini che cercano di avvicinare il Paese al punto di equilibrio, sembrano essere il Presidente Napolitano e Papa Francesco, almeno questo è il mio modo di lettura degli eventi; considerato il fatto che le parole di papa Francesco sono abusate in quest’ultimo periodo, talvolta anche in modo opportunistico, vorrei invece condividere qualche passo del discorso del presidente Giorgio Napolitano fatto ad Assisi, non a caso nella città di Francesco, il 5 ottobre 2012. «E’ da lungo tempo che Assisi è divenuta anche per me luogo-simbolo del dialogo e della pace, offrendomi occasioni d’incontro che ho sempre accolto ed accolgo quasi per rispondere a un intimo bisogno di raccoglimento, sfuggendo alla pressione incessante di doveri e di assilli da cui si rischia di non riuscire a sollevare lo sguardo e la mente. Pace tra i popoli, pace come coesione solidale in seno alla società, dialogo interreligioso, dialogo tra credenti e non credenti. In questo spirito, nella Assisi di Francesco, di poter dare il mio contributo…». Napolitano ripercorre il suo impegno nell’Assemblea Costituente, e dice «l’obiettivo che ci ponemmo fu del pieno sviluppo della persona umana per questo è nei i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità che si
ancorò l’edificio della Costituzione repubblicana. Eloquente sintesi di quell’evoluzione convergente di cui ho detto, resta questa pagina di Leopoldo Elia: “Si ritiene” (il riferimento è alla posizione che emerge nell’Assemblea Costituente) di poter sostituire all’homo oeconomicus dell’economia liberale una figura di uomo, la persona umana appunto, qualificata dalla sua disponibilità a solidarizzare con le altre persone per il bene della comunità e, soprattutto, della comunità nazionale. A questo fine è abbastanza indifferente che all’atteggiamento personalista si pervenga partendo da basi dottrinali cattoliche, dal liberal-socialismo o da una cultura liberal-democratica più matura o dal ripensamento delle esperienze del New Deal e del movimento laburista nordeuropeo : ciò che conta è l’affermarsi di una ideologia costituente in nuce, che trova maggiori consensi nella cultura cattolica ed in alcuni ambienti della cultura laica, ma che si presenta con formulazioni tali da valorizzare punti di convergenza, e non di antitesi, con la cultura della sinistra marxista». Indagando meglio, quello che è il rapporto tra credenti e non credenti, Napolitano cita Benedetto Croce e riporta una frase che il filosofo scrisse nel 1949 in una lettera indirizzata ad Alcide De Gasperi, «Che Dio ti aiuti (perché anch’io credo, a modo mio, a quel che a tutti è Giove, come diceva Torquato Tasso): che Dio ti aiuti nella buona volontà di servire l’Italia e di proteggere la sorte pericolante della civiltà, laica o non laica che sia». Nell’ultima parte del suo discorso dedica spazio alla situazione attuale e dice: «Quel che rischia di perdersi è proprio il senso del “bene comune”, dell’“interesse generale”, che dovrebbe spingere a una larghissima assunzione di responsabilità, ad ogni livello della società, in funzione dei cambiamenti divenuti indispensabili non solo nel modo di essere delle istituzioni ma nei comportamenti individuali e collettivi, nei modi di concepire benessere e progresso e di cooperare all’avvio di un nuovo sviluppo del paese (...) Tutto ciò richiede una straordinaria concentrazione e convergenza di sforzi volgere soprattutto a rianimare senso dell’etica e del dovere, a diffondere una nuova consapevolezza dei valori spirituali, dei doni della cultura, dei benefizi della solidarietà, che soli possono elevare la condizione umana (...) Abbiamo bisogno in tutti i campi di apertura, di reciproco ascolto e comprensione, di dialogo, di avvicinamento e unità nella diversità. Abbiamo bisogno, cioè, dello spirito di Assisi». Adriana Bruno
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In collaborazione con
Clarus
DIOCESI DI ALIFE - CAIAZZO EROGAZIONE DELLE SOMME DERIVANTI DALL’OTTO PER MILLE DELL’IRPEF PER L’ESERCIZIO 2012
1 ESIGENZE DI CULTO E PASTORALE A. ESIGENZE DEL CULTO 1. Nuovi complessi 1 parrocchiali 15.000,00 2. Conservazione o restauro edifici di culto già esistenti o altri beni culturali eccl. 100.000,00 3. Arredi sacri delle nuove parrocchie 0,00 4. Sussidi liturgici 5.000,00 5. Studio, formazione e rinnovamento delle forme di pietà popolare 0,00 6. Formazione di operatori liturgici 8.000,00 7. Restauro e arredi paramenti sacri 0,00 128.000,00 B. ESERCIZIO CURA DELLE ANIME 1. Attività pastorali straordinarie ... 25.000,00 2. Curia diocesana e centri pastorali diocesani 100.000,00 3. Tribunale ecclesiastico diocesano 2.000,00 4. Mezzi di comunicazione sociale a finalità pastorale 20.000,00 5. Istituto di scienze religiose 0,00 6. Contributo alla facoltà teologica 0,00 7. Archivi e biblioteche di enti ecclesiastici 0,00 8. Manutenzione straordinaria di case canoniche e/o locali di ministero pastorale 80.000,00 9. Consultorio familiare diocesano 0,00 10. Parrocchie in condizioni di straordinaria necessità 0,00 11. Enti ecclesiastici per il sostentamento dei sacerdoti addetti 0,00 12. Clero anziano e malato 0,00 13. Istituti di vita consacrata in straordinaria necessità 2.000,00 14. Ristrutturazione e arredo nuovi uffici 0,00 229.000,00 C. FORMAZIONE DEL CLERO 1. Seminario diocesano, interdiocesano, regionale 5.000,00 2. Rette di seminaristi e sacerdoti studenti a Roma o presso altre facoltà ecclesiatiche 40.000,00 3. Borse di studio seminaristi 5.000,00 4. Formazione permanente del clero 10.000,00 5. Formazione al diaconato permanente 0,00 6. Pastorale vocazionale 2.000,00 62.000,00 D. SCOPI MISSIONARI 1. Centro missionario diocesano e animazione 1.000,00 2. Volontari Missionari Laici 0,00 3. Cura pastorale degli immigrati presenti in diocesi 883,68 4. Sacerdoti Fidei Donum 0,00 1.883,68 E. CATECHESI ED EDUC. CRISTIANA 1. Oratori e patronati per ragazzi e giovani 12.000,00 2. Associazioni ecclesiali(per la formazione dei membri 0,00 3. Iniziative di cultura religiosa nell`ambito della diocesi 2.498,90 14.498,90 F. CONTRIBUTO SERVIZIO DIOCESANO 1. Contributo al servizio diocesano per la promozione del sostegno ec. della diocesi 1.000,00 1.000,00 G. ALTRE ASSEGNAZIONI/EROGAZIONI 0,00 a) TOTALE DELLE EROGAZIONI EFFETTUATE NEL 2011 436.382,58
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n.6
Giugno 2013