Documento per il Sinodo di Alife-Caiazzo

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e camminava con loro

Diocesi di Alife-Caiazzo

I Sinodo Diocesano 2016/2017

DOCUMENTO PREPARATORIO


Diocesi di Alife-Caiazzo

ÂŤE camminava con loroÂť (Lc 24,15)

I Sinodo Diocesano

Anno Pastorale 2016/2017

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Ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai laici impegnati, ai fedeli tutti.

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I

l primo sinodo diocesano di Alife-Caiazzo si inserisce nell’impegno di portare la nostra Chiesa locale a standard di normalità. Il termine “normale” può suscitare perplessità in quanti operano da tempo in questa diocesi e la servono con passione. Tuttavia, non vuole esprimere giudizi negativi sulle fatiche di quanti hanno lavorato nell’attuale e nelle due precedenti diocesi, da trent’anni confluite nella Chiesa di Alife-Caiazzo, ma esprimere due piccole grandi verità: che la nostra Diocesi ha avuto una nascita travagliata, i cui postumi sono ancora evidenti, e che dobbiamo interrogarci e metterci in cammino verso una forma di chiesa sempre più compiuta per rispondere alla chiamata del Signore ed essere anima e fermento del Regno nel nostro territorio. Il sinodo, pertanto, ci chiede innanzitutto di guardarci allo specchio per scoprire le bellezze antiche e nuove della nostra Chiesa, ma anche le rughe e i segni pesanti del tempo e dell’incuria. Pertanto, ci stimola a non avere paura della verità delle cose, ma di fare con umiltà profondi esami di coscienza, riconoscendo pigrizie e peccati, senza dimenticare le cose positive e alcune realizzazioni di nicchia che hanno caratterizzato la vita di questa comunità (il Convegno ecclesiale degli anni ’80, l’Istituto di Scienze religiose, l’Istituto diocesano per il sostentamento del Clero…), ma che non sempre hanno garantito una crescita ed una definizione omogenea del tessuto diocesano. Come è emerso dalla Visita pastorale, molte sono ancora le ferite e i ritardi che appesantiscono il cammino della nostra Chiesa. Emergono fra tutti, la mancanza di una pastorale vocazionale diocesana e scarsità di vocazioni al ministero sacro; un senso di appartenenza debole e fragile alla Chiesa diocesana; poca continuità delle proposte pastorali; l’in3


dividualismo e la mancanza di interconnessioni forti con il Vescovo e la curia e delle parrocchie tra loro; una presenza del laicato organizzato poco omogenea e articolata; forme di competizione tra soggetti e comunità che rallentano la comunione; una pastorale orientata più alla conservazione che alla missione e al recupero di nuove risorse ecclesiali. Negli ultimi anni, il Signore ci ha donato molte occasioni per comminare verso gli standard di normalità diocesana: la Celebrazione del XXV di Istituzione della nostra Diocesi, la Visita pastorale all’intera Comunità diocesana; le Ordinazioni di 5 sacerdoti diocesani, a scadenza quasi regolare, dopo ben 8 anni di vuoto (2003-2011); nuove norme e iniziative per suscitare una rinnovata consapevolezza della centralità della Parola di Dio e del valore dei Sacramenti e per strutturare il cammino di Iniziazione cristiana per ragazzi e adulti; una maggiore attenzione alla formazione dei giovani anche con l’esperienza del Catecumenato crismale; un rinnovato dinamismo della Caritas diocesana attraverso ripetute e più stabili iniziative sul territorio e della pastorale familiare con il Centro diocesano per la famiglia "Mons. Angelo Campagna"; il recupero, la riqualificazione degli Archivi e della Biblioteca diocesani e una maggiore fruibilità di tutto il patrimonio ivi custodito; il restauro di molti edifici sacri e opere d’arte; una sempre maggiore trasparenza e corresponsabilità nell’Amministrazione dei beni della Diocesi e delle Parrocchie, una nuova capillarità di informazione sul territorio anche attraverso il sito clarusonline.it. In questo contesto, la celebrazione del I sinodo della nostra Diocesi, che giunge a 194 anni dall’ultimo sinodo dell’antica diocesi di Alife e a 78 dal corrispettivo di quella di Caiazzo, rappresenta un'ulteriore grazia che il Signore 4


fa alla nostra Comunità diocesana, per ridonarle bellezza e stimolarla ad una sempre maggiore comunione ed una rinnovata fedeltà alla sua missione. Accogliamo questo dono con atteggiamento di ascolto, di umiltà e di servizio e invochiamo con fede lo Spirito Santo. Ci accompagnino la Madre di Gesù e i nostri Santi patroni Sisto e Stefano. Vi benedico di cuore. + Valentino, vescovo

Piedimonte Matese, 4 ottobre 2016 Festa di San Francesco d'Assisi

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Che cos’è il Sinodo diocesano?

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Dopo la Visita pastorale, esperienza ricca dal punto di vista umano e spirituale, capace di aiutare a leggere con gli occhi della grazia le risorse e le fragilità, i punti-forza e quelli deboli della nostra realtà ecclesiale, appare del tutto opportuno passare dall’osservare al giudicare, dalla rilevazione dello status della nostra realtà ecclesiale al discernimento circa il cammino futuro da compiere insieme nei prossimi anni. Di qui la proposta del sinodo diocesano che impegnarà la nostra Diocesi per tutto l'anno 2016/2017.

In aiuto del Vescovo, per il bene della Comunità Il can. 460 del Codice di Diritto Canonico così si esprime: «Il sinodo diocesano è l’assemblea dei sacerdoti e degli altri fedeli della Chiesa particolare, scelti per prestare aiuto al Vescovo diocesano in ordine al bene di tutta la comunità diocesana…». La sua finalità è quella di dare le linee del progetto pastorale rispondente alla natura e alle caratteristiche di una Chiesa locale. Il termine “sinodo” ha una sua ricchezza, che va al di là della definizione del Codice di Diritto Canonico, in quanto pur non avendo una ricorrenza biblica, ne ha tutta la risonanza. Da una parte, la istanza del “convenire insieme” (syn), in un "unico percorso" (hodos), da strade diverse. La prima particella è indicativa del radunarsi di più persone in uno stesso luogo. Dall’altra, non si tratta solo di un convergere, ma di un ritrovarsi per un “camminare insieme”, in un senso più pieno, di un coinvolgimento di tutti quelli che «con-vengono» in una tensione comune verso lo stesso

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fine, nello studio degli stessi problemi e nella ricerca, compiuta insieme, delle soluzioni più adeguate. La storia delle diocesi di Alife e Caiazzo ha memoria di alcuni sinodi antichi. Per la prima si ricordano tra i più sicuri dal punto di vista storico quello del 1432, convocato da Mons. Angelo Sanfelice, a Pentecoste, in Cattedrale, in un contesto di particolare disorientamento nel clero; quello indetto da Mons. Domenico Caracciolo il 9 aprile 1663; quello convocato da Mons. Giuseppe de Lazara, il 12 Ottobre 1679; i due celebrati da Mons. Angelo Maria Porfirio, nel 1704 e nel 1728; e i due voluti da Mons. Emilio Gentile (vescovo di Alife dal 1776 al 1822). Per la ex-diocesi di Caiazzo vi è analogo discorso. In particolare vanno ricordati i due sinodi in tempi recenti celebrati da Mons. Nicola Maria Di Girolamo nel 1928 e nel 1938. Tra quelli più antichi, di cui si ha notizia anche attraverso attraverso l'archivio vescovile si ricorda quello convocato dal vescovo Fabio Mirto nel 1550; e nel 1607 da Mons. Paolo Filomarino. La storia dimostra che la “sinodalità” è stata intesa e vissuta con toni e accenti diversi, ma non è mai mancata alla tradizione ecclesiale locale. In tempi recenti, dopo il Vaticano II, in seguito anche alle note vicende della prolungata amministrazione apostolica, di fatto è mancata, pur in una continua e rinnovata forma di corresponsabilità ecclesiale, una simile esperienza. I Convegni e le varie proposte di piano pastorale, pur lodevoli nella loro ricca e coraggiosa proposta, non si sono tradotti per ragioni contingenti in una forma canonica compiuta, causando spesso un’identità diocesana debole o parziale. Il sinodo che ci apprestiamo a celebrare ha due caratteristiche sul piano storico: è il primo dopo l’unificazione della 8


Diocesi, ed è anche il primo dopo il Concilio Vaticano II, raccogliendo in tal modo a 50 anni dalla sua conclusione, il dettato conciliare che nella sua sostanza ecclesiologica si può ben riassumere nella sinodalità come “condizione permanente” e non solo eccezionale della vita della Chiesa.

Una “sinodalità diffusa” La sinodalità appare uno degli aspetti centrali dell’ecclesiologia del Vaticano II. Innanzitutto essa si colloca a livello fontale. La Chiesa è “creatura della Trinità” e quindi come richiama la Lumen gentium nel suo celebre attacco, riprendendo San Cipriano, è «De unitate Patris et Filii et Spiritui Sancti plebs adunata» Un popolo che deriva la sua uinità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Cipriano, De oratione dominica, 23). Da tale origine essa porta impressa il DNA della comunione, di una “via comune” che viene dall’alto, attraversa la terra, di cui noi possiamo solo intravvedere la meta, camminando in mezzo alle desolazioni della cronaca e le consolazioni della storia. Essa, dunque, porta le stigmate dell’unità, che deve manifestarsi al mondo dentro e fuori la comunità cristiana. L’immagine del popolo di Dio e quella del corpo evocano tali dimensioni. La Chiesa è un popolo che cammina insieme nella storia, per essere segno del Regno di Dio offerto a tutta l’umanità; è un corpo ben compaginato, in cui ogni membro ha la sua dignità e funzione, di qui la ricchezza di carismi e ministeri, animata da un solo Spirito. L’istituzione del Sinodo dei Vescovi, voluta dai Papi, in tal senso, ha voluto coniugare la sinodalità in termini universali tra il Papa (e la chiesa di Roma) e i 9


Vescovi (e le chiese particolari), ma ciò non deve indurre a pensare che si tratti di qualcosa di clericale o meramente gerarchico. Infatti la radice della sinodalità è nel battesimo. Nella Lumen Gentium, costituzione conciliare sulla chiesa, si legge: «Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini (cfr. Eb 5, 1-5), fece del nuovo popolo “un regno e sacerdoti per il Dio e il Padre suo” (Ap 1, 6; cfr. 5, 9-10)». Così afferma Papa Francesco nella Commemorazione del 50° del Sinodo dei Vescovi (17 ottobre 2015): «Il cammino sinodale inizia ascoltando il Popolo, che "pure partecipa alla funzione profetica di Cristo", secondo un principio caro alla Chiesa del primo millennio: “Quod omnes tangit ab omnibus tractari debet” (Ciò che tocca tutti, da tutti deve essere

trattato). Il cammino del sinodo prosegue ascoltando i Pastori. Attraverso i Padri sinodali, i Vescovi agiscono come autentici custodi, interpreti e testimoni della fede di tutta la Chiesa, che devono saper attentamente distinguere dai flussi spesso mutevoli dell’opinione pubblica. (…) Infine, il cammino sinodale culmina nell’ascolto del Vescovo di Roma, chiamato a pronunciarsi come «Pastore e Dottore di tutti i cristiani»: non a partire dalle sue personali convinzioni, ma come supremo testimone della fides totius Ec10


clesiae, "garante dell’ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa"». Anche la Chiesa italiana in particolare, nel V Convegno ecclesiale svoltosi nel novembre 2015 a Firenze, ha sancito, sia nella sua preparazione che nella sua celebrazione, un forte invito alla sinodalità. Nel sussidio finale, che nel mese di marzo 2016 è stato predisposto dalla CEI, Sognate anche voi questa Chiesa, si ipotizza proprio come traccia per gli anni futuri una pratica di sinodalità in cui il sogno ideale si sposi con la concretezza di un serio metodo di lavoro per discernere la volontà di Dio e leggere le esigenze del momento presente. Il sinodo diocesano, pertanto, non deve stilare solo decreti, ma deve suscitare una nuova visione della Chiesa di Alife-Caiazzo, anche a livello di parrocchie, ove la corresponsabilità si esprime in modo evidente attraverso una riattivazione e un reale sviluppo degli organismi di partecipazione (Consiglio Pastorale e Consiglio per gli Affari economici) così da passare da una “chiesa clericale” ad una “chiesa di tutti”.

A che punto del cammino ecclesiale di Alife-Caiazzo? Il sinodo si pone dopo un cammino fatto dalla chiesa locale in questi anni recenti. La prima tappa è stato il giubileo (2011) per il XXV dell’unificazione delle diocesi (27 settembre 1986), volto ad approfondire la coscienza di essere una sola realtà ecclesiale dal Monte Maggiore al Matese. In quella occasione così S. E. Mons. Valentino Di

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Cerbo si rivolgeva ai fedeli presenti in Cattedrale (14 ottobre 2011): «Per la nostra Chiesa, esso vuole essere, pertanto, occasione speciale di rendimento di grazie a Dio per i doni ricevuti in questo primo tratto del proprio cammino; ma anche di rinnovata consapevolezza di essere Popolo santo, chiamato a recare la speranza del Vangelo a questo territorio e ad annunciare con entusiasmo sempre nuovo Gesù Cristo; come pure di intenso impegno a liberarsi dalla stanchezza spirituale, dai peccati e dalle ferite, per mostrarsi nuovamente Sposa di Cristo senza rughe e senza macchia, splendente di bellezza, testimone credibile della Vita nuova sgorgata dalla Pasqua». La seconda è stata la Visita pastorale (durata due anni e mezzo: 20132016), durante la quale «ho avuto l’occasione di conoscere le singole comunità e la cura che normalmente viene posta per garantire il decoro delle Chiese, e soprattutto per scoprire le tante attività, iniziative, proposte che si realizzano nelle nostre parrocchie, dove numerose persone animate da fede autentica, da passione evangelica e da grande generosità, collaborano con i sacerdoti, portando avanti la missione della Chiesa nel nostro territorio. Ho potuto, però anche constatare in diverse parrocchie la carenza di strutture pastorali, che incide non poco sulla qualità della vita ecclesiale e induce a privilegiare la sacramentalizzazione rispetto all’Annuncio della Parola e alla costruzione di una Comunità cristiana in uscita, e le persone anziane rispetto ai giovani e ai nuclei familiari. La Visita pastorale è stata anche l’occasione per cogliere ritardi e carenze, dovuti in gran parte a motivi storici e circostanze particolari, che hanno privato la nostra Diocesi di quel necessario carattere di normalità e di unità, indispensabile per annunciare il Vangelo nel mondo di oggi». (Valentino Di Cerbo. 12


Ecco, io sto alla porta e busso. Riflessione al termine della Visita Pastorale 2013-2016). Il Sinodo, pertanto, è la naturale conclusione di questo cammino. Per usare un’immagine tipica del nostro mondo, ancora fortemente radicato nei valori della cultura contadina, il sinodo appare come il “tempo

dell’aratura”. Dopo aver osservato il terreno (durante la Visita pastorale), le sue caratteristiche, le sue risorse, ora è il tempo dell’aratura, per una semina futura. Si tratta, come dicono gli anziani, di “tracciare un solco”, ossia di indicare come e dove seminare in questi tempi così difficili e complessi. Per tracciarlo insieme, tra gli uomini e con il Signore, la diocesi di Alife-Caiazzo si affida alla Parola di Dio, come avvenuto anche nell’anno celebrato nel 2014-15. Il Sussidio per i Centri di Ascolto, divenuti una realtà viva nelle comunità, seguirà un percorso ecclesiologico sul vangelo di Matteo, per supportare e animare la coscienza sinodale dentro e fuori le parrocchie. In tal modo tutto il popolo di Dio parteciperà di questo evento, volto a far cadere impalcature posticce di fede (devozioni che a volte somigliano più a superstizioni), a rimettere in moto energie sopite (vocazionali e ministeriali) e ad additare a tutti una meta comune con nuovi entusiasmo, speranza e progettualità. 13


Icona biblica

L'apparizione ai discepoli di Emmaus 14


Il brano (Lc 24,13-35)

Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

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L’icona dell’evento sinodale Dal confronto tra il Vescovo e il Consiglio presbiterale, la scelta dell’icona biblica del Sinodo di Alife-Caiazzo è ricaduta su una pagina di Vangelo, unica nella sua bellezza e completa per la sua ricchezza cristologica ed ecclesiologica: il racconto dell’apparizione del Risorto ai discepoli di Emmaus dell'evangelista Luca (24,13-35). Tale episodio, per la sua elevata qualità letteraria e la sua densità teologica, è aperto ad una serie infinita di approfondimenti e di riletture. Esso si presenta come un complesso processo narrativo, attivato da Luca in funzione catechetica per il suo lettore. Il racconto dei discepoli di Emmaus nelle sue diverse fasi ci offre l’opportunità sia di cogliere le istanze tematiche, sia le fasi in cui si intende articolare il Sinodo diocesano. L’incontro è narrato solo dal terzo evangelista, anche se nella conclusione si accenna ad un’apparizione a Pietro (v.34, accennata anche in 1Cor 15,5) e una sintesi, presumibilmente posteriore, si ritrova nella cosiddetta finale lunga del vangelo di Marco (16,12s). È il primo giorno dopo il sabato (v.24,1a), il giorno del pellegrinaggio delle donne alla tomba vuota, della visita di Pietro, “lo stesso giorno”, nella seconda parte della giornata, nel pomeriggio. In tale contesto temporale si colloca l’evento narrato, che non avviene in un luogo fisso, ma lungo un itinerario («…Erano in cammino verso un villaggio che dista sessanta stadi da Gerusalemme, di nome Emmaus», v.13a). Gerusalemme è il luogo da cui partono e arrivano i personaggi; ma è anche il punto di arrivo di Gesù, in tutto il vangelo di Luca (a partire dal verso 9,51 l’intera narrazione è scandita da questa direzione di marcia sino 16


al compimento di quella che è definita “assunzione”, il compimento di tutta l’azione di Gesù). Gerusalemme è, insieme, punto di partenza dell’esperienza del Risorto, ma anche dell’annuncio pasquale, della testimonianza della chiesa. Emmaus è un villaggio distante circa 11 km da Gerusalemme. Nel mezzo del cammino si svolge l’azione. Il racconto di Emmaus presenta un incontro e un dialogo tra due discepoli in cammino e Gesù, che resta volutamente in incognito durante il vivace scambio di battute. Luca si rivela abile nel presentare la trasformazione degli stati d’animo dei due discepoli. Si possono identificare tre tappe di questo processo: prima dell’incontro con lo sconosciuto (vv. 13-14), durante l’incontro (vv.15-30), dopo l’incontro (vv. 32-35). Il cammino dei discepoli con Gesù, l’incontro e il dialogo, costituisce già di per sé un’icona della sinodalità. La vita è un syn – odos ossia un cammino fatto insieme, ancor di più per i cristiani che si radunano nel nome di Gesù per condividere e ritrovare le ragioni del cammino in mezzo alle vicende del mondo, in particolare quelle di un preciso territorio. La sinodalità prima di essere una forma ecclesiale è uno stile di vita ossia un cammino fatto di ascolto delle amarezze e delle disillusioni, ma anche di illuminazione della mente e riattivazione del cuore. Il sinodo avrà la funzione di far ritrovare insieme la comunità di Alife-Caiazzo per una riflessione non occasionale, ma sistematica, volta a definire tutti gli aspetti della presenza della famiglia diocesana sul territorio altocasertano, ma soprattutto sarà l’occasione per crescere in uno stile comunionale e dialogico, sotto la guida dello Spirito Santo.

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Le tappe dell’evento sinodale

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Fase antepreparatoria (settembre - ottobre 2016) ◦ Presentazione del tema ◦ Presentazione del percorso (14-16 ottobre) ◦ Stesura del Regolamento

«Si fermarono col volto triste» Un territorio ricco di tradizioni e povero di speranza Dal testo

Il narratore presenta i due personaggi, fornendo numerose informazioni a loro riguardo: la loro identità di discepoli (“due di loro”); il nome di uno dei due, Cleopa, il viandante che risponde alla domanda dello sconosciuto; l’altro, l’anonimo, resta difficile da identificare; la conversazione in cui sono impegnati (alla lettera «si facevano l’omelia l’un l’altro») che si fa investigazione, tentativo di esaminare per capire; il contenuto della loro conversazione («tutto quello

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che era successo») ossia i fatti “ultimi”. La caratterizzazione di Luca è chiara. Essi parlano delle loro cose, sono immersi nella discussione sulla tragica fine del Maestro. È il ripensare fatti avvenuti da poco e riesaminare la sequenza degli eventi. Essi sono accecati dalle tenebre della cronaca e non riescono a cogliere il senso della storia. Nella morte di Gesù non riescono a vedere che una fine prematura, una sciagura e una battuta di arresto, la fine di progetti umani, troppo umani. I discepoli, incalzati dalla richiesta dello sconosciuto, prima si fermano con il “volto triste”. Luca, come fanno i grandi narratori della tradizione letteraria classica, fa trapelare dall’esterno la loro condizione interiore. Poi Cleopa manifesta con le parole stupore per il fatto che l’uomo sia all’oscuro degli avvenimenti degli ultimi giorni di cui tanto si parla a Gerusalemme; e ne confeziona una sintesi dalla quale emerge la sua comprensione del Maestro: «Ciò che riguarda Gesù di Nazaret», un «Profeta potente in parole e in opere, davanti a Dio e davanti a tutto il popolo» (cf 4,36; 6,19; 7,16). Ma, naturalmente, vi aggiunge anche gli avvenimenti della consegna per la condanna a morte da parte dei capi del popolo e dei sommi sacerdoti. Dopo il resoconto dei fatti, vi è la considerazione personale: «Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele …con tutto ciò…son passati tre giorni…», che lascia trasparire tutta la delusione, cui seguono anche le sconvolgenti notizie recate dalle donne, la visione degli angeli che dicono che egli è vivo; e la verifica fatta da altri discepoli che hanno constato l’assenza del corpo e il sepolcro vuoto.

…alla nostra realtà

In quei discepoli possiamo indentificarci come chiesa locale. Siamo in cammino, ma con un atteggiamento a volte 20


triste e sconsolato. Le vicende della nostra storia diocesana precedente (amministrazione apostolica prolungata; morte prematura di alcuni vescovi, problematiche relative al rinnovamento dell’azione pastorale non sempre giunte a buon fine, scarsità di vocazioni, poca attenzione alla programmazione pastorale, debole identità diocesana) e quelle del nostro territorio (dimensione periferica, retaggio contadino, scarsa industrializzazione), a volte considerato marginale nelle progettazioni nazionali e regionali rispetto alle zone del napoletano e del basso casertano, hanno spesso acuito elementi connaturati al nostro sostrato antropologico (attenzione alla famiglia, alla piccola proprietà, mancanza di attenzione alle dimensioni comunitarie in tutte le diverse articolazioni). Di qui anche i fenomeni di un’alta disoccupazione, dell’emigrazione dei cervelli, dell’invecchiamento della popolazione, di una conservazione ostinata delle radici senza la corrispettiva salvaguardia e valorizzazione del patrimonio artistico, culturale e sociale. In tale quadro spesso si è corso il rischio (e tuttora lo si corre) di fare propria una cultura rinunciataria, di apparire come una terra disillusa ed insieme nostalgica. Quell’espressione dei discepoli “Noi speravamo che…. “ potrebbe ben fotografare la lunga catena di occasioni perdute per il rinnovamento ecclesiale e sociale. Ma vivere con lo sguardo rivolto al passato non è del discepolo di Gesù. Di qui, sì alla necessità di una ricognizione dello status quo, ricco di memoria e segnato da uno sguardo sapienziale, ma anche una lettura che costituisca un sano “bagno nella realtà” per cogliere contraddizioni e problemi del presente in vista del cammino futuro da compiere per il bene della nostra Diocesi e del nostro territorio. Tutto questo lo vivremo nella fase ante-preparatoria durante 21


il Convegno diocesano nella Chiesa Cattedrale secondo il calendario seguente: 14 ottobre 2016, ore 18.00

Una Chiesa sinodale La Chiesa dal Concilio a Papa Francesco.

Interviene il professore Carmelo Torcivia, pastoralista. 15 ottobre 2016, ore 18.00

Chiesa di Alife-Caiazzo, chi sei? Da dove vieni?

Lettura della realtà storico-culturale del nostro territorio. Interviene il professore Federico D’Agostino, sociologo 16 ottobre 2016, ore 18.00 Celebrazione diocesana presieduta dal Vescovo Valentino.

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Fase preparatoria / 1 (novembre-dicembre 2016) ◦ Costituzione delle Commissioni ◦ Messa a punto per ogni singola Commissione dei nodi nevralgici (con intervento di esperti) e della traccia per la discussione

«E camminava con loro ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo» In dialogo tra noi e con gli altri

Dal testo

La parte centrale dell’evento è l’incontro tra i due e un viandante a loro ignoto. Il narratore ci dice subito che si tratta di Gesù in persona che si accosta e si mette a “camminare con loro”. 23


È proprio questo sconosciuto il protagonista del racconto. Gesù, sia pure in incognito, è l’oggetto del riconoscimento e, insieme, colui che lo provoca e lo rende possibile, guidando i discepoli nella comprensione del suo svelamento. È il vero motore della storia: in quanto agisce come compagno del loro cammino; come educatore delle domande dei discepoli; come ri-animatore della memoria circa la sua persona, come messia, in relazione all’Antico Testamento (Legge e Profeti), spiegando il piano di Dio che si esprime nella necessità della sua passione e della sua morte nella prospettiva dell’ingresso nella gloria (la risurrezione). Ci riesce difficile comprendere perché Gesù non si faccia riconoscere subito, in modo da dissipare ogni dubbio e mettere in fuga la tristezza dei due. Il mancato riconoscimento del Maestro ha, evidentemente, qualcosa di paradossale. Il narratore commenta: «I loro occhi erano impediti dal riconoscerlo». Il lettore si chiede: «Com’è possibile che non lo riconoscano? Dove sta la difficoltà?». Naturalmente intervengono due fattori. Da una parte sembra si tratti di un’ennesima azione educativa del Maestro, una sorta di “parabola in azione”, con la quale provoca i discepoli e li spinge ad uscire allo scoperto, a sciogliere le durezze del proprio cuore. Dall’altra sono proprio queste ultime una sorta di ostacolo all’accoglienza del Risorto. Sul piano narrativo, del resto, se Gesù si fosse fatto conoscere subito sarebbe stata un’apparizione gloriosa e fondante la testimonianza dei due, ma non avrebbe sortito altro effetto sul lettore. Luca dosa il processo di riconoscimento tra i personaggi del racconto e il lettore. Quest’ultimo, infatti, che vede Gesù agire in modo tale da ritardare il suo riconoscimento, comprende 24


che non è in gioco solo la sua manifestazione, evidente nei racconti che incorniciano la storia di Emmaus, ma la questione della presenza viva nel tempo oltre il racconto, il tempo della Chiesa.

...alla nostra realtà

L’esperienza della visita pastorale ha fatto comprendere che il Signore è vivo e presente nelle nostre comunità, nelle domande e nelle attese dei giovani e degli anziani, dei bambini e degli adulti, degli uomini e delle donne. Ha mostrato quanto sia bello condividere la vita degli uomini e delle donne del nostro tempo: le famiglie ferite, gli anziani soli, i bambini distratti, i giovani spaventati per il futuro, gli adulti alle prese con le fatiche del vivere quotidiano ma anche gioie dei traguardi, condividere progetti di vita, manifestare interesse per i sogni dei fratelli. “Camminare insieme” significa ascoltare le domande degli uomini e delle donne, entrare in dialogo profondo, essere accanto, prendersi cura della ricerca di ciascuno, delle sue domande e dei suoi silenzi. Ascoltando e curando il lontano e il povero, uscendo a volte dai recinti dei soliti noti, che assiepano e fanno da schermo agli altri, incontriamo il Signore. Egli cammina accanto a noi e a volte noi non ne cogliamo la presenza e l’opera nascosta, ma incessante. Siamo chiamati ad aprire gli occhi, a disporre mente e cuore all’accoglienza della sua azione nella nostra vita e in quella della nostra chiesa locale. Il Sinodo, attraverso la costituzione di apposite commissioni che toccheranno i nodi nevralgici della nostra attività pastorale ci permetterà di mettere a fuoco inadempienze colpevoli, ma anche possibilità inespresse. Da esse si dovrà ripartire riflettendo con serenità, chiarezza, ma 25


anche fiducia nell’azione dello Spirito Santo. In questa fase è centrale il lavoro preparatorio delle commissioni e delle tracce nelle singole commissioni, a cui abbiamo indicato le cinque priorità della nostra azione pastorale: • il servizio della Parola di salvezza (Evangelizzazione e catechesi); • il servizio della Celebrazione dei misteri della salvezza (Liturgia e sacramenti); • il servizio della testimonianza nella carità (Carità e testimonianza cristiana); • le forme di partecipazione e corresponsabilità ecclesiale (Presbiterio, Consigli pastorali, Consigli affari economici, Foranie...); • le risorse per il servizio pastorale (Amministrazione e tutela dei beni).

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Fase preparatoria / ◦ Coinvolgimento delle Foranie ◦ Tempo di riflessione sulle tracce ◦ Tempo di preghiera

2 (gennaio - febbraio 2017)

«E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» In ascolto della Parola che legge la vita

Dal testo

Lo sconosciuto da parte sua, comincia già a rivelarsi attraverso le sue parole. Con un attacco deciso rimprovera i discepoli. Li apostrofa come “stolti” e "tardi di cuore". I fatti sono incomprensibili in quanto i discepoli, secondo Gesù, 27


non si lasciano illuminare dalla parola dei profeti. Il viandante anonimo, che sembrava non conoscere i dettagli della cronaca recente, può ben aiutare i due discepoli a comprenderli alla luce del piano divino: «Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». La formula dei si ritrova spesso in Luca per indicare il piano di Dio (2,49; 4,43; 13,14.33; 21,9; 22,37). L’evangelista presenta in tal modo sulla bocca di Gesù l’affermazione che il Messia doveva soffrire, secondo quanto previsto nella Scrittura, con probabile riferimento alla figura del servo sofferente di Isaia (52-53) e del giusto sofferente, riportata nei testi sapienziali e nei Salmi. Se per i due discepoli Gesù è un profeta come Mosè; per Gesù, sia pure in incognito, è il Cristo, messia sofferente e glorioso. E a sostegno di questa auto-rivelazione nascosta, interpreta le Scritture, «cominciando da Mosè e da tutti i Profeti, che si riferiscono a Lui». Gesù-Risorto offre lo schema di matrice biblica (rifiuto/accettazione) con cui interpretare il suo mistero, consegna idealmente alla sua chiesa la chiave cristologica per aprire il senso delle Scritture.

…alla nostra realtà

Nel cammino condiviso non siamo soli, abbiamo la luce della Parola che rischiara i nostri passi. La comunità cristiana, aprendo il vangelo, legge la storia, quella fondante, il kerygma della morte e risurrezione di Gesù, nucleo generativo ed essenziale della nostra identità, per scorgere in essa il progetto di Dio attestato nelle Scritture, ma anche la nostra storia di Chiesa, la storia personale e comunitaria di tutti noi. La nostra vita si illumina con il mistero del Crocifisso-Risorto. La morte non è l’ultima parola, le ferite della 28


storia possono concorrere a farci risorgere, possono diventare da tristi cicatrici, feritoie di luce. Lo sconosciuto della notte di quel primo giorno della settimana, ci insegna a lasciarci guidare dalla Parola. Per fare questo occorre ripensare tutta la nostra formazione cristiana, come abbiamo già avviato nel ripensamento dell’Iniziazione Cristiana e la proposta del Catecumenato permanente: dagli itinerari dei fidanzati ai percorsi familiari, via via a tutti i percorsi non tanto legati all’acquisizione di un sacramento, ma alle tappe autentiche di un cammino di crescita umana e cristiana, capace di tradursi in scelte vocazionali a servizio della comunità (catechisti, animatori della liturgia e della caritas; ministri ordinati ecc.) e del mondo (operatori sociali, nel mondo della cultura, cristiani impegnati in politica ecc.). In questa fase siamo chiamati a coinvolgere le foranie in una riflessione orante (momenti di preghiera, assemblee foraniali), che colga con cuore sereno e libero i problemi e li guardi in faccia non con la paura di chi si sente solo ed impotente, ma con la sapienza di chi sa che Egli non ci lascia mai soli, ma è sempre con noi.

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Fase celebrativa / 1 (2 - 4 marzo 2017) ◦ Giornate bibliche per tutto il popolo di Dio

«Resta con noi Signore, perché si fa sera!» Oltre la paura con la forza della preghiera Dal testo

Il viaggio giunge alla meta. Il pellegrino mostra di voler proseguire il cammino, ma con gesto ordinario di ospitalità, i due discepoli lo invitano a restare perché la notte è vicina «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». In questa richiesta vi sono due piani di lettura. Un primo è del tutto logico. L’ambientazione temporale e spaziale, lascia emergere delle difficoltà pratiche. Camminare in una 30


strada della Palestina nella stagione in cui fa subito notte è rischioso. Di qui la richiesta dei due al terzo pellegrino di fermarsi. Un secondo, più teologico, coglie in un certo senso il vertice psicologico e antropologico, con una delle più belle e intense invocazioni che si possano rivolgere al Signore, anche se ancora non sanno che è lui. La sera, in tutta la letteratura antica e moderna, è luogo della solitudine e dello smarrimento dell’uomo. In tal modo, per un discepolo deluso e confuso, è arduo affrontare la sera e la notte con la tristezza nel cuore. L’invocazione dei due è rivolta ad uno sconosciuto, ma il lettore coglie in trasparenza la supplica della comunità dei discepoli che chiede al suo Signore di non abbandonarla nella notte del mondo. Il commento più bello lo offre il grande scrittore francese, Francois Mauriac (18851970) nella sua Vita di Gesù (1936): «A chi di noi, dunque, la casa di Emmaus non è familiare? Chi non ha camminato su quella strada, una sera che tutto pareva perduto? Il Cristo era morto in noi. Ce l’avevano preso il mondo, i filosofi e gli scienziati, nostra passione. Non esisteva più nessun Gesù per noi sulla terra. Seguivamo una strada, e qualcuno ci veniva a lato. Eravamo soli e non soli. Era la sera. Ecco una porta aperta, l’oscurità d’una sala ove la fiamma del caminetto non rischiara che il suolo e fa tremolare delle ombre. O pane spezzato! O porzione del pane consumata malgrado tanta miseria! Rimani con noi, perché il giorno declina...! Il giorno declina, la vita finisce. L’infanzia sembra più lontana che il principio del mondo, e della giovinezza perduta non sentiamo più altro che l’ultimo mormorio degli alberi morti nel parco irriconoscibile...».

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...alla nostra realtà

Il Sinodo dovrà riattivare in noi la certezza di una presenza, continuamente invocata, continuamente ritrovata, continuamente capace di riempire di luce anche il viaggio della sera. È necessario pertanto che esso sia un evento di grazia, richiesta nella preghiera, e sperimentata nella comunione tra di noi. Dobbiamo dunque tornare ad invocare di fronte al buio del presente la presenza incessante, mai perduta, ma forse in qualche modo lasciata cadere in oblio, non percepita nell’attualità. Solo la forza dello Spirito Santo che dimora nel cuore dei credenti e fa della comunità un cuor solo ed un’anima sola, ci permetterà di non avere di fronte alle tante difficoltà. Non possiamo negare le luci ma anche le ombre che scendono su di noi, in questo momento della storia del mondo, della nostra storia. Le incertezze per il futuro sono tante, tante le paure di fronte alla violenza dilagante. Di fronte a tanti profeti di sventura, non abbiamo paura di rinnovare la nostra fede in Gesù, Signore e maestro. Per questo lo invochiamo: “Resta con noi, Signore! Ci basta sapere che tu sei con noi, nella nostra barca, quella che sul lago del Matese o lungo il Volturno fa fatica a navigare serena. Ci basta sapere, però, che tu sei con noi, perché possiamo sciogliere le vele per prendere il largo”. Questa fase del lavoro sinodale vedrà coinvolta la Diocesi nella riflessione sulla Parola di Dio e in momenti di preghiera.

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Fase celebrativa / 2 ◦ Discussione nelle Commissioni

«Lo riconobbero nello spezzare del pane» Nello stile del dono che conquista

Dal testo

Nel racconto Gesù, non ancora riconosciuto, accoglie l’invito e il narratore commenta con evidente allusione: «Egli entrò per rimanere con loro» e si mette a tavola. Come nella tradizione ebraica introduce il pranzo: «…prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo dava loro». La successione delle parole è stilizzata eucaristicamente, si ritrova infatti sia nella moltiplicazione dei pani; che nell’ultima cena (Lc 2,19). Il narratore lavora su due piani: quello in33


terno alla storia e quello del dialogo con il lettore. Il gesto dello spezzare il pane (di per sé ordinario), l’accuratezza dei termini usati e il ritmo scandito delle azioni, infine l’espressione "prese il pane...lo spezzò" tipica della descrizione della celebrazione eucaristica, la collocazione al termine del giorno riescono a trasmettere la natura eucaristica dell’evento. Luca vuole comunicare al lettore che si tratta di una presenza del Risorto connessa con il pasto eucaristico. Non a caso in concomitanza con il gesto dello spezzare il pane si aprono gli occhi di Cleopa e dell’altro discepolo (alla lettera «furono aperti a loro gli occhi», è chiaramente un passivo teologico), per indicare che viene da Dio questa possibilità di riconoscimento del Risorto, così come quella della rivelazione ai piccoli del mistero di Dio di cui si parla altrove nel vangelo di Luca (cf 8,10; 10,21). E l’evangelista aggiunge «…lo riconobbero». Non si tratta solo di vedere, ma di riconoscere. Non è il gesto eucaristico che ha reso possibile il riconoscimento per i due discepoli di Gesù Risorto: è un intervento divino. Il Risorto, caratterizzato dalla condizione propria di un essere celeste, «divenne invisibile per loro» (v. 31b). Non viene detto, in tal modo, che scompare come un fantasma, ma da presente visibile, anche se nascosto, si trasforma in in-visibile. Egli continua in altro modo ad essere accanto ai suoi. …alla nostra realtà Tutto il cammino dei discepoli trova il suo culmine nello spezzare il pane. In questo gesto usuale si condensa la sapienza della vita cristiana. Spezzare il pane diventa per i cristiani quasi una metonìmia della morte di Gesù, 34


del dono appassionato di sé ai suoi, prima nella cena e poi sulla croce. Spezzare il pane è la sintesi della celebrazione dell’eucaristia come ricordato negli Atti degli Apostoli. Spezzare il pane è anche l’immagine di una Chiesa che non pensa solo a sé, a tenere posizioni (una Chiesa “risparmiosa”), ma offre la sua testimonianza nella ferialità, nella vicinanza ai poveri, nella scelta delle periferie, nell’attenzione agli ultimi. La liturgia nella sua bellezza, sobria e suggestiva, deve poter esprimere il culmine di questo progetto che il Signore ci ha affidato: “spezzare il pane e spezzarci come il pane”. Ripensare l’Eucaristia al centro della vita delle nostre comunità significa riproporre un modello alto di vita cristiana, all’insegna dell’amore fraterno, dell’unità, dell’inclusione. La nostra credibilità ecclesiale non starà tanto e solo nell’organizzazione, che pure è necessaria e chiede una sua efficienza, ma anche e soprattutto nello stile con cui sapremo orientare e convertire strutture in servizi, uffici e iniziative da intraprendere in semi di vangelo da piantare nelle nostre terre e nei nostri cuori. Non possiamo dimenticare le parole di Gesù…: ”da questo vi riconosceranno”. La discussione nelle commissioni rappresenta dunque il momento in cui ci orientiamo con decisione verso i punti-fermi, le priorità nelle nostre azioni, la convergenza su ciò che è essenziale per il bene della nostra Chiesa locale, le scelte condivise per un cammino da fare insieme: un solo pane per un solo corpo; una sola speranza alla quale siamo chiamati (Ef 4,6s) a tendere nella corresponsabilità dei singoli doni e ministeri.

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Fase celebrativa / 3 (Pasqua - Pentecoste 2017) ◦ Presentazione del Documento e votazione in Assemblea

«Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via» Nella testimonianza gioiosa che contagia Dal testo

L’atteggiamento dei discepoli, dopo l’esperienza singolare dell’apparizione, è espresso attraverso le loro stesse parole nella forma della domanda retorica: «Non ardeva forse il nostro cuore dentro di noi quando ci spiegava le Scritture?». Il termine “ardere”, nonostante alcuni manoscritti latini preferiscano versioni diverse, vuole indicare, come 36


nella tradizione greca, un’emozione forte come quella connessa con l’amore. Il verbo usato per la spiegazione esplicita proprio l’apertura dei testi, che fa da pendant a quella degli occhi del v. 31. Il messaggio è chiaro: le Scritture si aprono, si comprendono quando si leggono messianicamente in relazione con Gesù; gli occhi si aprono quando, illuminati dalla Parola, possono riconoscerlo nello spezzare del Pane. La reazione a questa esperienza del Risorto da parte dei due viandanti è la corsa verso la comunicazione della medesima alla comunità tutta radunata con Pietro (vv.33-35). Essi arrivano trafelati a Gerusalemme e confessano che «Davvero il Signore è risorto!». La risurrezione, che era stata dai due messa in dubbio, considerata un vaneggiamento delle donne (24,11) o una semplice diceria (24,23), viene ora attestata come vera da parte della comunità ecclesiale (24,34) e si fa racconto testimoniale. Alla mancanza di dialogo (al mero “sfogo”) che aveva caratterizzato il cammino con il viandante, fa seguito, invece, la capacità di saper dialogare, di confessare insieme, senza reticenze, e senza paura ciò che hanno ascoltato, veduto e sperimentato.

…alla nostra realtà

Come i discepoli che dopo aver incontrato il Risorto, non hanno paura di avventurarsi nella notte di Nisan, ma rifanno il cammino all’indietro per andare verso Gerusalemme con una corsa ricca di gioia e di speranza, anche noi, risorti “dentro” dalle nostre paure e dalle nostre ansie, mentre saremo in cammino verso la Gerusalemme celeste, narreremo ai fratelli e alle sorelle, come si può vivere da cristiani qui e ora, riscoprendo o scoprendo la propria vocazione, e assumendo il nostro ruolo nella chiesa e nel 37


mondo. L’entusiasmo che a volte ci manca è la conseguenza di un ripiegamento su noi stessi. Siamo, invece, invitati dal Sinodo ad un dinamismo ecclesiale all’insegna della rinascita. La chiesa altro non è che “la narrazione vivente” di quanto ha sperimentato del suo Signore nel cammino comune lungo i secoli, fatto di ombre e di speranze. Ciò vale anche per le nostre antiche diocesi di Alife e Caiazzo, diventate una cosa sola, come abbiamo ricordato nel Giubileo vissuto insieme negli anni scorsi. Tale cammino, però, a volte rischia di diventare un camminare da soli, anche se fisicamente vicini ad altri. L’esperienza del sinodo deve amalgamare, non annullando, ma tenendo insieme le singole personalità, i diversi valori, in una tensione verso l’unità a partire dalla pluralità. Non si tratta, pertanto nella fase assembleare, di votare delle norme fredde e puramente disciplinari, in senso quasi astratto, si tratta di stabilire una tabella di marcia per il cammino futuro. Nessuna barbosità, ma coraggio e creatività, passione e pazienza sono le doti richieste per questo lavoro che può sembrare burocratico ed invece rappresenta un “servizio d’amore”. Per camminare insieme occorre sapere da dove si viene, ma soprattutto dove si va. Per poter dire anche ad altri di unirsi a noi, nel fare l’esperienza del Risorto. Si tratta di una narrazione di quanto abbiamo sperimentato in passato per poter comprendere il nostro presente, alla luce della parola di Dio, e narrare ai fratelli quanto Dio fa e cosa chiede per la nostra storia futura. Questo fanno i discepoli di Emmaus giunti a Gerusalemme, questo dobbiamo fare anche noi. Come i discepoli di allora, giunti a Gerusalemme, non dicono con le loro parole, ma con quelle della coralità la fede nella risurrezione a partire da Pietro, così anche noi dobbiamo confessare: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”. 38


Conclusione Solenne veglia di Pentecoste 3 giugno 2017 Tutte le esperienze e le sensibilità, in quanto animate dallo stesso Spirito della Pasqua, lo Spirito del Risorto, convergono naturalmente e necessariamente intorno al Vescovo, successore degli Apostoli, segno di unità nella diocesi e autentico testimone della fede pasquale. Di qui l’ultimo atto prima della consegna del Libro del Sinodo (14 ottobre 2017), l’ultimo appello allo Spirito Santo nella veglia conclusiva, lì dove le nostre lingue saranno animate da un unico linguaggio: quello dell’amore. Solo se le nostre lingue, a volte così pronte a dividersi, pur nella differenza dell’accento e dell’intonazione, sapranno farsi messaggio d’amore, il Sinodo ci restituirà quella grammatica della fede che ci fa parlare in opere e in parole anche ai ragazzi, ai giovani, alle famiglie, ai poveri, ai semplici delle nostre terre.

Con quale spirito vivere il Sinodo? Ancora una volta ci è di aiuto Papa Francesco: «Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare “è più che sentire”. È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo “Spirito della verità” (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli “dice alle

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Chiese” (Ap 2,7)». Occorre dunque a livello diocesano e parrocchiale (nei diversi Consigli), innanzitutto mettersi in atteggiamento di ascolto, che presuppone l’accoglienza reciproca e la forza dello Spirito Santo che parla attraverso la bocca di tutti, anche dei piccoli e dei poveri. Solo un clima di preghiera, “spirituale” nel senso forte del termine, può evitare derive burocratiche o parlamentariste. Si tratta di discernere ciò che è secondo Dio, non secondo visioni unilaterali e parziali. Il secondo atteggiamento è lo spirito di servizio. Servizio è l’autorità episcopale e servizio è la collaborazione che si presta a chi esercita l’autorità: «La finalità del sinodo è quella di prestare aiuto al Vescovo nell’esercizio della funzione, che gli è propria, di guidare la comunità cristiana. Tale scopo determina il particolare ruolo da attribuire nel sinodo ai presbiteri, in quanto “saggi collaboratori dell’ordine episcopale e suo aiuto e strumento, chiamati al servizio del popolo di Dio”. Ma il sinodo offre anche al Vescovo l’occasione di chiamare a cooperare con lui, insieme ai sacerdoti, alcuni laici e religiosi scelti, come un modo peculiare di esercizio della responsabilità, che concerne tutti i fedeli, nell’edificazione del Corpo di Cristo» (Congregazione Per i Vescovi - Congregazione per L’evangelizzazione Dei Popoli, Istruzione sui Sinodi Diocesani, Città del Vaticano 1997, n.1). Il servire implica una serie di atteggiamenti: saper comprendere, saper condividere, saper collaborare. In altre parole è “la prova del nove” della nostra maturità ecclesiale. Lapidaria e illuminante, in tal senso, è l’espressione di San Giovanni Crisostomo: «Chiesa e Sinodo sono sinonimi» (San Giovanni Crisostomo, Explicatio in Ps. 149: PG 40


55, 493). Naturalmente siamo consapevoli delle difficoltà, come ben nota Papa Francesco: «Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola “Sinodo”. Camminare insieme – Laici, Pastori, Vescovo di Roma – è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica» (ib.). Nondimeno, nell’avviarci verso tale assise, in tutte le sue fasi ed articolazioni, siamo fiduciosi, come nell’icona di Emmaus, nella presenza del Signore che cammina con noi.

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Preghiera per il Sinodo O Santa Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, guarda alla Chiesa radunata nel tuo nome in questa Terra di Alife-Caiazzo. In occasione del primo Sinodo diocesano, ti chiediamo di illuminare il nostro cuore e le nostre menti e di aprire i nostri occhi, come ai discepoli di Emmaus, perché possiamo scorgere la tua presenza tra noi, giudicare quanto nella nostra Chiesa corrisponde al progetto divino di salvezza ed impegnarci a realizzarlo per rendere sempre più la nostra Diocesi tua icona vivente. Ti affidiamo quanti saranno impegnati nella preparazione e nella celebrazione del Sinodo: fa’ che siano animati da atteggiamenti di fede autentica, di umiltà sincera, di entusiasmo e di coraggio. Suscita in loro la gioia di operare al servizio della comunione, in piena sintonia con il Papa e i Vescovi. Fa’ che la grazia del Sinodo coinvolga tutti i cristiani della nostra Terra per costruire insieme una Chiesa in uscita, capace di essere messaggera di liete notizie e luogo di fraternità e di umanità per gli uomini e le donne del nostro territorio, soprattutto per i poveri e gli emarginati, e in tutte le periferie esistenziali. La Vergine Maria ci educhi a meditare e conservare nel cuore quanto lo Spirito ci suggerisce. I nostri Santi Patroni, Sisto e Stefano, continuino ad accompagnarci per incarnare con rinnovata fedeltà il Vangelo nella nostra storia. O Santa Trinità, nel cammino sinodale sii tu il nostro modello, la nostra forza e la nostra meta. Amen

+ Valentino, vescovo 43


Nota iconografica (su gentile concessione del Centro Aletti - Roma)

Mosaici del Centro Aletti I discepoli di Emmaus e la guarigione del cieco nato (part.) Santuario nazionale di San Giovanni Paolo II - Cappella della Reliquia. Washington (USA), Agosto - Settembre 2015. Pagina 14 Cristo con i discepoli di Emmaus (part.) Cappella del Seminario. Reggio Emilia (Italia), Aprile 2003. Pagine 19, 23, 27 Il pane spezzato a Emmaus (part.) Sacrestia della Cattedrale di Santa Maria Reale dell’Almudena. Madrid (Spagna), Settembre 2005. Pagina 30 Cristo e i discepoli di Emmaus (part.) Cappella di Santa Monica nel Collegio Internazionale dei Padri Agostiniani. Roma (Italia), Febbraio 2007. Pagina 33 La Madre di Dio che indica il pane spezzato sul costato di Cristo (part.) Chiesa della Nostra Signora del SS. Sacramento e SS. Martiri Canadesi. Roma (Italia), Dicembre 2007. Pagina 36

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