Speciale San Sisto / Clarus - parte 2

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300anni

dal ritrovamento delle reliquie di San Sisto

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300anni

dal ritrovamento delle reliquie di San Sisto

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AlifeSanSistoAlifani La memoria storica

dai Normanni al Rinascimento di ANGELO GAMBELLA Direttore Agensu, Presidente Medioevo Italiano

L

e fonti storiche di Alife al tempo della traslazione di San Sisto, come abbiamo visto nel precedente numero, sono essenzialmente due: la cronaca beneventana del giudice Falcone e la storia di Ruggero II dell’abate Alessandro di Telese, quest’ultimo autore della memoria storica della traslazione del settimo papa da Roma ad Alife. Mentre queste prime due opere sono giunte a noi attraverso copie manoscritte posteriori, la storia sistina, sfortunatamente, è andata perduta, lasciando a noi le tessere di un mosaico che si è potuto comunque ricostruire con sicurezza nelle sue linee principali. Quando nel 1557 lo spagnolo Antonio Agustin, letterato e studioso del suo tempo, come vescovo della diocesi prende possesso della cattedrale di Alife, quale amante delle antichità, si mette alla ricerca nell’archivio della cattedrale di vecchi documenti utili ai suoi studi. Gli vengono mostrate pergamene che originavano dalla fine dell’età longobarda, mentre altre erano sicuramente normanne ovvero coeve alla traslazione di S. Sisto. Al vescovo capita fra le mani un codice manoscritto - il cui autore, un tale abate di Telese, è per lui sconosciuto -, dove si legge che le reliquie di San Sisto da Roma arrivano ad Alife nel 1131 per iniziativa del conte Rainulfo. Così il 6 aprile 1559 (S. Sisto) spedisce al suo amico Panvinio una missiva in cui riferisce delle carte da lui trovate e chiede piuttosto se sapesse qualcosa di questa storia vecchia di 400 anni. Se il vescovo umanista vuole toccare con mano la verità, gli alifani sanno


Alla prima pubblicazione (Clarus n. 4- 2016) dal titolo Un legame indissolubile, segue uno studio sui periodi storici successivi all'arrivo delle reliquie di San Sisto ad Alife (1132). Ad occuparsene è ancora Angelo Gambella, alifano, esperto di storia medievale, che ci ha consentito di fare sintesi e indagare la fede, le tradizioni, la cultura dell'antica città romana che ancora oggi venera con devozione forte il Santo che fu Papa. Sul prossimo numero di Clarus, un'altra pubblicazione chiuderà il ciclo di studi proposto.

benissimo che da tempo immemorabile, nella cripta della cattedrale, c’è il sepolcro di Sisto. La festa di S. Sisto si celebra l’11 agosto come oggi, e per disposizione degli Statuti di fine Quattrocento, rifatti al principio del Cinquecento, durante la messa è fatto divieto di vendere vino. A molti nascituri è imposto il nome Sisto. Il primicerio Luigi Cilio stampa un libro liturgico in cui inserisce la narrazione della traslazione. Il popolo, che non sa leggere, può riconoscere la storia negli affreschi consumati dal tempo che, nella chiesetta di S. Sisto fuori le mura, ricordano che in quel luogo furono depositati i resti del papa prima di essere portati in cattedrale. E questo per molti anni ancora: solo con il terribile sisma del 1688, la vecchia cappella crolla al suolo, ma le testimonianze di anziani sacerdoti riprese in una memoria davanti ad un notaio, assicurano che gli antichi affreschi corrispondono alla riproduzione (per la verità anacronistica) che viene eseguita da un pittore su due tele destinate alla cattedrale. Le tele sono tuttora esistenti e raffigurano la prima Rainulfo nell’atto di portare la sua petizione ad Anacleto II, e la seconda la solenne processione del santo, con in secondo piano il conte in compagnia del giovane figlio. Gli affreschi ci riconducono indietro ai tumultuosi anni ’30 del XII secolo. Dopo la battaglia del Sarno, Rainulfo si ritrova vincitore, ma senza possibilità di conseguire il risultato desiderato: rovesciare il regno di Ruggero e riprendersi moglie e figlio prigionieri. Neppure Ruggero è

nelle condizioni di poter sconfiggere il rivale, così fa ritorno in Sicilia per riprendere la sua campagna l’anno successivo: prima sottomette la Puglia, poi inizia ad asservire i primi castelli di Rainulfo, mentre il conte osserva i movimenti del re su una piccola imbarcazione lungo il Volturno, senza poter intervenire. Alla fine Rainulfo è costretto a chiedere la pace. E così, se il Vescovo Roberto di Alife aveva chiesto ad Alessandro di Telese di scrivere una memoria della traslazione di S. Sisto, è ora la contessa Matilde ad invitare lo stesso colto abate a scrivere le gesta di Ruggero. Il ritratto che Alessandro disegna della pace stretta fra i due grandi condottieri normanni è commovente: Rainulfo, sconfitto, fa per inginocchiarsi


8 aprile 2016. Mons. Valentino Di Cerbo indice il Giubileo straordinario nell'anno del III centenario del ritrovamento delle reliquie di San Sisto. Al termine della messa il Vescovo incensa l'urna che viene portata in processione per le strade della città

ai piedi di Ruggero, che lo blocca abbracciandolo come un fratello, tra le copiose lacrime dei presenti. E così, nei perduti affreschi della cappella di S. Sisto, Rainulfo può farsi ritrarre fianco a fianco con il giovanissimo erede Roberto. Se qualcuno volesse ri-datare al 1134 l’ingresso delle reliquie in cattedrale, a pace fatta, la storia certo non cambierebbe. E non cambierebbe la storia di Alife che assume tratti drammatici: nel 1135 Ruggero è creduto morto a Palermo e il principe di Capua e il conte di Alife riprendono la lotta, ma Ruggero è vivo e bellicoso come non mai. Rainulfo non può difendere Alife e gli alifani sono costretti ad aprire le porte della città al re. Questi si compiace della bellezza del luogo; secondo i toni entusiastici di Alessandro di Telese, il re può fa-

cilmente sfruttare il Torano per irrigare per suo diletto un giardino. Possiamo immaginare la comunità alifana riunita nella cattedrale a pregare, per la pace, il nuovo patronus celeste della diocesi. Rainulfo, e con lui il giovane Roberto, che già si dimostra valoroso, si rifugia a Napoli e resiste ad un lungo assedio che termina solo due anni dopo, nel 1137, con la discesa imperiale, quando a lui, conte di Alife e capo della rivolta, Papa Innocenzo II e Lotario di Supplimburgo, conferiscono il governo della Puglia con il titolo di duca. Rainulfo libera la sua città e possiamo immaginarlo in preghiera nel tempio di S. Sisto. Ma nulla può il conte-duca, quando la soldataglia e le milizie islamiche di Ruggero prendono con la forza Alife, mentre lui insegue ad un giorno di marcia. Ed è Falcone, stavolta, a descrivere il dolore di Rainulfo davanti alle mura di Alife che ancora brucia, dopo che tanti cittadini sono stati massacrati, le case rapinate e le chiese violate. «Dal tempo dei pagani non si è mai vista una cosa simile», riferisce quasi in lacrime Falcone. La cattedrale annerita dal fumo, però, è ancora in piedi, e nella cripta il sepolcro di S. Sisto è al sicuro. La città viene presto ricostruita e proseguirà il suo cammino nei secoli con S. Sisto, come vedremo nel prossimo articolo, quando la devozione degli alifani nel suo patrono raggiungerà uno dei momenti più intensi, grazie al Vescovo Porfirio, che più insistente dell’Augustin, legherà il suo nome al ritrovamento delle reliquie del Santo.


Ebrei d'Alife

al tempo di Sisto

N

on saprei dire quando i primi ebrei si stabilirono nel territorio della Diocesi di Alife, anche se il Giannone ha scritto di migrazioni avvenute nel ‘200 nel Regno di Napoli (Marrocco, D., 1963, p. 4) e favorite dal filosemitismo di Federico II, sovrano delle Due Sicilie (Cfr. Costituzioni Melfitane, 1231, pass.). Si sa, invece, che nel febbraio del 1223, Federico e Giovanni re di Gerusalemme, recandosi a colloquio da Papa Onorio III, avevano soggiornato nel cenobio della Ferrara, a confine con la Diocesi di Alife; sempre in quell’anno – sarà stata un caso? – alcuni pellegrini di ritorno da Terrasanta, sostando nel medesimo monastero, avevano riferito ai monaci – con fini reconditi? – di aver visto il leggendario Ebreo errante e, in tal modo, avevano contribuito a diffonderne la nomea anche tra la gente comune del luogo (Ignoto Monaco Cistercense, XIII sec. Di Lello, R., 1989, p. 7). Se non in quell’anno, almeno a metà del secolo, un considerevole nucleo di israeliti dimorava in Alife, infatti, essendovi diminuita la comunità giudaica, così come in altre città del regno, re Carlo d’Angiò, dando prova di benevolenza, vi aveva ridotto le tasse. Nondimeno, quando si rese del tutto necessario, come accadde nel 1276, anche gli ebrei dell’Alifano dovettero pagarle; insomma la comunità assolveva pur essa i doveri fiscali e lo faceva in una con la popolazione cristiana e sotto l’unica voce di “Alifia cum Iudeis”. Col passar del tempo, la politica favorevole di Stato e Chiesa diede impulso alle conversioni, tanto è vero che nel 1294 vennero registrati 19 neofiti di Alife tra i circa 1300 in Puglia e Campania (Ferorelli, N., 1915, pp. 55, 61-62; Artom, E., 1949, pp. 80-84. Esposito, L., 2010, pp. 170, 172, 173). Nel 1316, si conteggiava ancora “Alifia cum Judeis” (Marrocco, D. B., 1997, p. 290). Dopo altro tempo, mentre lo Stato, per ragioni in prevalenza economiche, non favorì più come una volta l’apostasia e la Chiesa, per motivi religiosi, stabilì di non forzare più le conversioni, non pochi neofiti, un po’ dovunque, o ritornarono alla fede originaria o convincevano i correligionari a non abbandonarla. Le cose migliorarono, per gli Ebrei, con re Roberto (Artom, E., pp. 82-83). Appunto in questo periodo, qualche anno prima del 1343, l’Ormina, artista napoletano, miniaturizzò per incarico del re o dell’alifano Nicola Alunno, notaio, segretario regio e familiare del monarca – destinatario l’Alunno o il sovrano – un prezioso codice conosciuto come la Bibbia di Malines o di Nicola di Alife. L’opera, in caratteri gotici, riproduce tra l’altro il quadro genealogico di Casa d’Angiò, la glorificazione di re Roberto il Saggio e l’effige di Nicola Alunno (Cfr. Maietti, M., 2010).

La comunità, dapprima popolosa, in 100 anni si riduce nei numeri. Gruppi di famiglie anche a Piedimonte di Rosario Di Lello

Agli albori dell’Età Moderna, nel 1492, marrani e giudei, cacciati di Spagna, giunsero a Napoli (Notar Giacomo, in Garzilli, P., 1845, p. 177); l’anno dopo, poiché una pestilenza vi mieteva vittime e gli israeliti erano considerati – di solito e a torto– “causa di moria” (Tommaso di Catania, pp. 57-58 in De Renzi, S., 1857, p. XCV) l’autorità ordinò che i non contagiati “se n’habbiano ad andare fuor di Napoli in altre Terre del Regno ad istanziare” e che “siano recettati”. (Prammatica CXXXVII, in De Renzi, S., pp. XCIVXCV). Forse per questo e perché favorite dalla norma statutaria di esenzione quinquennale dalle imposte per qualunque immigrato (Cfr. Capitula, n. 20, in Fappiano, G., 1989, pp. 61-62), almeno tre famiglie ebraiche stanziavano, nel 1508, in località San Simeone di Alife e vi bonificavano e dissodavano terre (Cfr. Marrocco, D., 1963 pp. 5-8 . Patroni-Griffi, F., 1996, pp. 260-261), Per quanto concerne la presenza di una comunità di ebrei in Piedimonte, cenni rinvenuti sono quelli riportati dagli Statuti, nel 1481, e dal Trutta, nel XVIII secolo; essi lasciano intendere che gli Judei non ancora integrati vivevano, isolati e controllati, in una zona ben delimitata, tra il Migliarulo – dietro la


chiesa di Santa Maria Maggiore – e il vico Fasocchi – Vico 4° San Giovanni – Le restrizioni avrebbero avuto termine per colui il quale si fosse convertito e quindi amalgamato coi cristiani. Le conversioni ebbero inizio se non nel detto anno, perlomeno alla fine del secolo o agli inizi del successivo e, nel 6-‘700, nomi ebraici comparivano tra appartenenti al primo ceto, proprietari, governatori e sindaci, uomini illustri. L’ultimo battezzato fu un vecchio, tra il 1849 e il ‘72 (Cfr. De bucceriis, in Marrocco, D., 1964, pp. 21-22. Marrocco, R., 1926, pp. 164-165 e pass. Catasto Onciario 1754, pass.).

Il quartiere di San Giovanni a Piedimonte Matese dove abitarono famiglie di ebrei. L'immagine è tratta da Vedute del Matese. J. Philipp Hackert e R. Colt Hoare a Piedimonte (1790 - 1805) di Francesco Comparone. Edizioni fuori commercio di Banca Capasso Antonio S.p.A., 2014

Catasto Onciario, 1754, Piedimonte Matese, Biblioteca Comunale. Chronica. Ab.an.781 ad an. 1228. Ignoto Monacho Cistercensi. Chronique Antiquissime di Tommaso di Catania, Ed. Napoli, 1780. Constitutionum Regni Siciliarum Federici II, Neapoli, MDCCLXXIII A. Cervone. Cronica di Napoli di Notar Giacomo ( ms. nel 1511) Pubblicata per cura di Paolo Garzilli, Napoli, Stamperia Reale, MDCCCXLV. Emanuele Artom, Gli Ebrei in Italia sotto il dominio degli Angioini e dei Durazzeschi, in “La Rassegna Mensile di Israele”, Torino, n. 2 (1994). Massimo Cubellis, a c.d., I Registri della Cancelleria Angioina, Napoli, D’Auria, XLVI, 2002. Salvatore De Renzi, Storia documentata della Scuola Medica di Salerno, Napoli, Gaetano Nobile, 1657. Rosario Di Lello, La leggenda dell’Ebreo Errante nella storia del Medio Volturno, in “Il Matese”, Piedimonte Matese, Comunità Montana, I, 2 (1989) p. 7. Luisa Esposito, A c.d. Documenti per la Storia della diocesi e contea di Caiazzo, V, Napoli, Arte tipografica, MMX. Giovanni Fappiano, Modifiche statutarie in Alife nel secolo XVI, Ed. Centro Studi . A. Sacharof, 1989. Nicola Ferorelli, Gli Ebrei nell’Italia meridionale dall’età romana al XVII secolo, Torino, Il Vessillo Israelitico, 1915. Michele Maietti, L’Effigie di Nicola d’Alife e la Bibbia di Malines, Alife, Banca Capasso, 2010. Dante Marrocco, Una colonia di Albanesi e di Ebrei in Alife nel secolo XVI, Ariello, Napoli, 1963. Dante Marrocco, Gli Statuti di Piedimonte, Ariello, Napoli, 1964. Dante B. Marrocco, Il Vescovato Alifano nel Medio Volturno, Piedimonte Matese, ASMV, 1997. Raffaele Marrocco, Memorie storiche di Piedimonte d’Alife, Ivi, La bodoniana, 1926, pp. 64-65. Filena Patroni-Griffi, Campania e Lazio Meridionale, in AA.VV., L’ebraismo dell’Italia Meridionale peninsulare dalle origini al 1541, Galatina, Congedo Editore, 1996.


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