Vita Parallela - anteprima

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AlESSANDRO DemAriA

VitA PArAllelA

© tutti i diritti riservati all’autore.

Dedico questo libro a chi nel bene e nel male lo ha reso possibile.

E a voi che non ci siete piú!

Prefazione

Ho conosciuto un ragazzo. Gay come me. Ci siamo conosciuti solo amichevolmente, casualmente al Pronto Soccorso. A Francoforte. lui la classica bellezza partenopea: capelli neri, occhi neri, un abbronzatura invidiabile, un corpo leggermente tondeggiante, ma non eccessivamente, come ogni classico italiano che ami la buona tavola.

e un sorriso da sturbo. teoricamente avrebbe potuto avere chiunque col suo fascino. ma con un problema. Completamente sordo. il che influiva anche sulla sua parlata. mentre attendeva di poter entrare per essere visitato, mi spiegava, come poteva, che avrebbe voluto trasferirsi a Francoforte.

Gli chiesi se col labiale riuscisse a comprendere anche altre lingue, oltre all’italiano. “NO” rispose. lo guardavo senza riuscire a non meravigliarmi. lo guardavo rivedendo me, quando ero molto piú giovane dei suoi 33 anni. lo guardavo pensando che la gente dibatteva se fosse giusto chiamarlo o meno “Frocio”, se potesse sposarsi legalmente, se potesse affidargli una cifra come genitore. lui aveva bisogno di altro, molto piú concreto. indipendentemente dal suo orientamento sessuale.

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lui aveva bisogno di un aiuto nell’entrare nella societ́a e nel mondo del lavoro.

lui aveva bisogno di essere accettato non come gay, ma come portatore di un handicap non indifferente. in una citt́a dove anche i gay sono omofobi tra di loro. Perch́e diciamoci la verit́a, noi gay che facciamo pride, manifestazioni e chiediamo rispetto, tra di noi non siamo molto tolleranti. e parlo per esperienza. Frequentando chat dove se fai anche solo un complimento ad uno che trovi affascinante, il 75% delle volte vieni aggredito di insulti se non rientri nei gusti dell’altra per-sona.

ed ho pensato ai tempi in cui ho iniziato a vivere la mia omoses-sualit́a. A cavallo tra gli anni 80 e 90. Quando non solo era im-pensabile confidarlo a qualcuno, ma dovevi nasconderlo anche a casa. Quando non c’era internet, il sesso facile, o quando ancora credevo che avrei incontrato qualcuno di speciale e sarebbe stato il mio “vissero felici e contenti”.

Sorrisi pensando che ora vogliono sconvolgere le nostre fiabe, il modo di vivere, il modo di chiamarci perch́e pensano che “accettare un gay” sia quello .

Forse sono una voce controcorrente nel mondo gay, ma non sento la necessit́a di essere accettato come gay. Perch́e io sono gay solo nel mio letto, col mio partner. io voglio essere accettato come essere umano. .

Da qui questo libro. la mia testimonianza, che vuole solo far ca-pire di cosa ha bisogno un gay, già dalla sua adolescenza. Che la gente, la famiglia, i genitori capiscano che prima di essere omosessuale, un ragazzo ́ e una persona che vorrebbe confidare i propri batticuori. Che vorrebbe far conoscere l’amico ai genitori

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e portarlo a cena. Vorrebbe che i propri cari si preoccupassero che il partner possa essere quello che lo rende felice.

Oggi non so se è così, ai miei tempi no. . in fondo la nostra vita è parallela a qualsiasi altra. Ci innamoriamo, ci lasciamo, lavoriamo, studiamo, a volte abbiamo anche problemi di coppia, nelle nostre convivenze, píu o meno problematiche.

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Prologo

Quel giorno con la scuola saremmo andati a visitare il centro storico di Genova. ero contentissimo per quello, un po’ meno in quanto la megera aveva deciso di accompagnarmi a scuola perché voleva parlare coi professori, dal momento che aveva messo in testa al Cobra che io marinassi la scuola. Non avevo nulla da nascondere, effettivamente non marinavo, ma l’idea di farmi vedere dai miei compagni con quella donna mi mortificava.

Difatti arrivammo all’entrata della scuola poco prima che suonasse la campanella, e milena e Simona, due mie compagne con cui chiaccheravo sempre prima dell’entrata, mi guardarono con aria interrogativa, vedendo che mi tenevo in disparte. milena mi chiese sottovoce “Ma è tua madre?” io la guardai e le risposi, sempre sottovoce “Ma chi... questa...? Spero che stai scherzando!”

Suonò la campana e arrivammo all’atrio della scuola, e la megera disse che voleva parlare coi miei professori. io li guardavo mentre discutevano sulle mie presunte assenze, senza intromettermi, perché intuivo che da quel loro colloquio sarebbe cambiata la mia vita, in quello stesso giorno. Difatti, anzichè riportare al

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Cobra (colui che un destino beffardo mi ha assegnato come padre) di una sola assenza, peraltro dovuta ad una visita medica a cui lei stessa mi aveva accompagnato, lei ne riportò addirittura tre. Senza nemmeno farmi mangiare venni caricato su un treno e spedito da mia madre. Questo fu il motivo per cui non parlai quel mattino...! era il 1 febbraio 1989. in quelle due ore di treno qualcosa cambiò.

Non avevo nemmeno 13 anni. ed a quell’età decisi che il Cobra non sarebbe mai più stato mio padre. e nonostante i vari scaricamenti da una parte all’altra, come ogni figlio di genitori divorziati, nonostante i vari “È mio figlio deve stare con me... No, meglio se sta con te perché è ingestibile...” sia da una parte che dall’altra, a differenza di mia madre, lui non fu mai più mio padre! e tutto diventò parallelo alla realtà per me.

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mi sembra di risentire la voce di mia madre al telefono. “Ho letto il tuo diario... ormai so tutto! Te ne vai da tuo padre!”. la mia risposta fu la più stupida possibile in quella circostanza. “Ma come ti sei permessa di intrometterti nei fatti miei?”. mia madre aveva appena scoperto che ero gay, aveva letto le mie fantasie nel mio diario (giusto fantasie, perché nella mondovì del 1991 non è che si facesse parecchia pratica!). Aveva letto dei miei attriti con mio patrigno... e io mi incazzai perché aveva letto il mio diario. . ero in vacanza dalla Angela, una ex compagna del Cobra, da cui aveva avuto roberto.Avevamo passato 2 settimane paradisiache. tutti i giorni al mare, la Angela mi copriva di regali e la sua famiglia mi trattava come se fossi il loro nipotino, roberto. Dopo qualche discussione, in cui subentrò anche la Angela, che non capiva come mia madre potesse scaricarmi così, terminammo la telefonata. io mi girai piangendo verso di lei, e le dissi “Inquellacasano...Nonpossostarequaconte?” lei addolorata rispose “Non possiamo, se i tuoi genitori hanno deciso in maniera differente”, “...i miei genitori...” risposi con ironia.

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Passai quell’ultima sera da lei a cercare di capire perché tra tutti quelli che mi volevano bene, proprio i miei genitori si stavano astenendo. Ok, il Cobra non lo ritenevo più mio padre da anni, ormai, la cosa era reciproca comunque. io per lui son sempre stato “ una cosa che è successa”. Ciò era quello che intuivo dal suo modo di trattarmi. ma con mia madre era diverso. Per me mia madre è sempre stata il mio idolo, nel bene e nel male. tra alti e bassi. Avevamo passato i miei primi otto anni di vita as-sieme, io e lei. Avevo visto i suoi pianti, le sue difficoltà, avevo gioito delle sue coccole... negli anni in cui un bambino forma i propri affetti. A distanza di anni credo che le cose che confidai a quel diario avrei preferito confidarle a lei. magari nei tempi nostri, perché nel 1991 l’omosessualità era ancora un tabù, specialmente in una famiglia di destra come la nostra. Specialmente, immagino, in un ragazzino di 15 anni che faceva le stagioni negli alberghi, quindi non pernottava a casa e non era controllabile. Col senno di poi tante cose si cambierebbero, ma la realtà di quella sera era quella poc'anzi descritta. roberto, il mio fratellino, che mi guardava sconsolato, perché a otto anni non capiva perché le nostre vacanze fossero state così bruscamente rovinate, perché dovevo andare da quelle persone che facevano soffrire tutti, perché continuavo a piangere... D’altra parte io cercavo di capire perché ero sempre io quello sbagliato, perché io dovessi sempre pagare per i compromessi dei miei genitori, perché non potevo essere un ragazzino con una vita normale come tutti i miei amici... ad ogni età ci furono i propri perché quella sera.

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Dopo sei mesi da quel giorno dissi tremando dal nervosismo alle assistenti sociali “O mi tirate fuori da quella casa o mi butto giù dal quarto piano!”

le cose andarono ben oltre le mie peggiori previsioni. la megera si rivelò essere la sorella stronza di Crudelia De mon, il Cobra accettava passivamente tutto ciò, ritenendo sottinteso che lo dovessi accettare pure io, mia nonna luigina (sua madre) assisteva impotente, e quando vedeva che i miei nervi erano al limite mi faceva dormire da lei. ma diversamente le mie uscite erano limitate a quando facevo la spesa, dal momento che sua signoria aveva scaricato su di me i lavori di casa. e botte, maltrattamenti ed umiliazioni erano all’ordine del giorno. e quel giorno il vaso traboccò.

Dopo l’ennesima lite uscii di corsa e mi recai nella panetteria dove lavorava il Cobra. mentre stava per uscire gli dissi che volevo andare dalle assistenti sociali, che così non si poteva andare avanti. Ovviamente fu ben felice di liberarsi di ciò che credeva fosse la causa dei problemi, cioè io. l’unica cosa che commentò fu “Occhio alle minchiate che dici, perché poi ci parlo io”, “Non II

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penso di aver bisogno di dire poi tanto... ti conoscono già!” risposi io con sarcasmo.

Difatti quando io minacciai di gettarmi dalla finestra alle due assistenti sociali attonite, quella che mi seguiva da pitempo comment “Si, conosco che persona suo padre!” e cerc immediatamente una comunità di pronta accoglienza. effettivamente si riferiva anche al passato ben oltre la linea di confine tra legalità ed illegalità del Cobra, e non nascose la sua perplessità nei confronti di chi, pochi mesi prima, mi avesse nuovamente affidato a quell’individuo e alla sua compagna, che in quanto al passato era alla sua altezza... se non peggio. in pi con evidenti segni di schizofrenia. Decisamente un clima famigliare non adatto ad un ragazzino di quasi 16 anni.

A distanza di anni sono certo che le cose le avrei potute modificare molto prima, senza vivere quell’inferno. Ci sarebbero stati parecchi modi. Andare dalle assistenti sociali sei mesi prima, quando la Angela mi dovette accompagnare l, ad esempio. ripeto, col senno di poi si cambierebbe tutta la propria vita, un dato di fatto. e tutto avrebbe acquisito una dimensione parallela a quella che stavo vivendo.

Comunque quel giorno fui fortunato. Già con la prima comunità, “La Spiga”. Prima che arrivasse il Cobra, che doveva avvisare la megera di quanto stava succedendo, ci accordammo con la comunità che sarebbero venuti a prendermi lo stesso pomeriggio verso le 14,30. Quando lui arriv si limitarono a spiegargli approssimativamente che sarebbe stato meglio per tutti che io potessi uscire da quel nucleo famigliare e gli descrissero brevemente questa comunità e la sua funzione.

Approfittammo tutti del fatto che lui era stanco, essendo appena

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