Don Carlo, un prete di campagna

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Comunità parrocchiale di S. Andrea d’Agliano

Don Carlo un prete di campagna


Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provicia di Perugia Via Sandro Penna 104/106 Sant’Andrea delle Fratte 06132 Perugia tel. 075.5271976 fax. 075.5287998 Sito Internet: www.pgcesvol.net Visita anche la nostra pagina su

Info e contatti pubblicazioni@pgcesvol.net Con il Patrocinio della Regione Umbria Edizione: Giugno 2011 Progetto grafico e videoimpaginazione: Chiara Gagliano Si ringraziano: Annarita Nardoni, Anna Maria Ercolani, Maria Rita Ercolani e Margherita Goretti per aver promosso l’iniziativa e raccolto gran parte del materiale, Elena Giuliani Nardoni per la revisione dei testi e la cura del volume, Dott. Pierluigi Brustenghi per il prezioso materiale fornito, Luigi Ercolani per le foto degli interni/esterni della chiesa, Mario Minchielli, per parte del materiale iconografico, tutti i parrocchiani, i parenti, i confratelli che hanno qui condiviso i propri ricordi In copertina particolare della facciata della chiesa: una composizione maiolicata rappresentante Sant’Andrea Tutti i diritti sono riservati Ogni riproduzione, anche parziale è vietata

ISBN: 978-88-96649-11-4


Questo piccolo libro è per dire grazie a Don Carlo, che è stato per 48 anni parroco della nostra piccola comunità di S. Andrea d’Agliano e che rimane presente nel cuore di tutti noi. Per questo sono stati raccolti ricordi e testimonianze di parenti, confratelli e parrocchiani.

S. Andrea d’Agliano, Maggio 2011



La chiesa, il paese e le campagne di S. Andrea d’Agliano, tanto amati da Don Carlo‌

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Don Carlo Brustenghi – prete di campagna – certamente non è annoverato statisticamente tra i volontari che in italia donano gratuitamente il proprio tempo per lenire i dolori dei singoli o soddisfare esigenze generali di coesione sociale. A dire il vero anche altri volontari statisticamente non sono computati, pensiamo a tutti i giovani che in comitati o gruppi informali di diversa tipologia raccolgono fondi per iniziative benefiche a favore di popoli del terzo mondo e che con la stessa spontaneità con la quale hanno iniziato, cessano di essere volontari. Don carlo Brustenghi non ha mai cessato di essere volontario per esigenze di vocazione ma certamente per rispondere ai suoi impulsi individuali di vivificare la comunità di campagna che per definizione vive in solitudine e lontana dai rumori di folla delle città. Il Cesvol ritiene che la memoria di personaggi quali Don Carlo Brustenghi non debba disperdersi soltanto nei ricordi personali di chi l’ha conosciuto ma deve essere portata a conoscenza della comunità territoriale che certamente e inconsapevolmente ne ha ricevuto benefici in termini di coesione sociale. L’augurio è che tanti altri come le persone della comunità parroccchiale di Sant’Andrea d’Agliano possano con intelligenza offrire alla storia del territorio esempi di vita di soggetti quali “il prete di campagna Don Carlo”.

Luigi Lanna Presidente Cesvol Perugia

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Saluto volentieri la pubblicazione di questo libro su don Carlo Brustenghi. Un volume di ricordi, documenti e testimonianze che i suoi parrocchiani hanno voluto raccogliere perché non vada persa la memoria di un sacerdote, un uomo di Dio, che per tanti anni ha retto la parrocchia di Sant’Andrea d’Agliano, alle pendici dei colli sui quali sorge la marzia Perugia, non lontano dal corso pigro e sinuoso del fiume Tevere. A distanza di anni dalla conclusione della sua esistenza terrena, oggi che è nella Casa del Padre, don Carlo continua a vivere, attraverso le sue opere caritative e pastorali, non solo nel ricordo ma, soprattutto, nel cuore della sua gente. Quelli che lui ha battezzato o ha preparato per la prima comunione e la cresima sono ormai adulti e con figli grandi. Ma anche i più giovani, che non hanno conosciuto di persona don Carlo, la sua bontà d’animo, il suo zelo pastorale e la sua scrupolosità nell’amministrare i sacramenti, potranno, grazie a questo libro, “vedere” la figura di un prete in tonaca, serio e gioviale allo stesso tempo, che passava per le case di campagna a benedire il suo popolo, ad alleviare qualche sofferenza, a recitare il rosario, ad amministrare il sacramento dell’unzione. Invito la buona gente di Sant’Andrea a ringraziare con me il Signore che ha donato alla Chiesa preti buoni e generosi come don Brustenghi. Egli, dal cielo, ci ottenga da Dio tante e sante vocazioni alla vita consacrata e sacerdotale, perché nelle nostre parrocchie, piccole e grandi, non manchi mai chi spezza la Parola del Signore e il Pane Eucaristico. Ringraziando quanti si sono prodigati perché questo volume vedesse la luce, benedico di vero cuore tutti i parrocchiani di Sant’Andrea d’Agliano. Perugia, 15 maggio 2011 + Gualtiero Bassetti, Arcivescovo

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Don Carlo Brustenghi, parroco di Sant’Andrea D’Agliano

Era nato a San Martino Delfico l’8 novembre 1921, da Luigi e da Piera Chiovini. Compì i suoi studi nel Seminario Arcivescovile di Perugia e in quello Pontificio di Assisi. Venne ordinato sacerdote nella chiesa di San Francesco in Corciano, in pieno periodo di guerra, da S.E. Mons. Mario Vianello, il 6 maggio 1944. Il suo primo ministero sacerdotale lo svolse nella parrocchia di Monteluce, come vicario cooperatore. In data 1 agosto 1945 fu nominato Parroco di Sant’Andrea d’Agliano. Qui ha trascorso tutto il resto della sua vita. La sua riservatezza, la delicatezza della sua anima l’hanno reso affettuosamente vicino e amico di tutti coloro che l’hanno avvicinato. Ha vissuto costantemente per la sua parrocchia, che ha visto crescere e prosperare sotto l’aspetto economico-sociale: solo la morte, avvenuta il 22 maggio 1993, ha potuto allontanarlo per sempre dai suoi parrocchiani. I suoi funerali, presieduti da Mons. Arcivescovo Ennio Antonelli, si sono svolti nella chiesa parrocchiale di Sant’Andrea d’Agliano. Numerosi i sacerdoti e i fedeli accorsi per tributargli l’ultimo saluto. Don Carlo è stato sepolto nel cimitero locale.

Trascrizione di un documento dell’Archivio Diocesano

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Carlo nel giorno della Prima Comunione

Con i genitori ed i nonni

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La Parrocchia di Sant’Andrea d’Agliano nella Chiesa Nel 1945 S. Andrea era un piccolo paese: la chiesa, con 5 case intorno (quelle delle famiglie Ciacci, Nardoni, Cassieri, Schippa e Fioroni), a 200 metri il piccolo cimitero e il resto delle case sparse nelle campagne circostanti, in un territorio che arrivava fino al fiume Tevere. Gli abitanti erano 400, suddivisi in 49 famiglie, con tre agglomerati principali: il vicinato di sopra e il vicinato di sotto, divisi dalla strada Tiberina, e la Contea, vicino al Tevere. Erano tutti contadini, alcuni coltivatori diretti, altri mezzadri; l’unica attività era il mulino Fringuelli, c’era inoltre la Scuola Elementare. Al suo arrivo Don Carlo Brustenghi ha trovato una realtà povera e un po’ sbandata, perché da poco era passata la guerra. I tedeschi in ritirata erano passati per la strada Madonnuccia (che è a 200 metri dalla chiesa) facendo razzia nelle case per mangiare e la gente era spaventata; giunsero poi inglesi e americani riportando un po’ di speranza, ma il tutto aveva lasciato il segno. Quindi la popolazione stava lentamente riprendendo vigore e l’arrivo di un giovane parroco ridava fiducia, perché Don Carlo andava a trovare la gente nelle case, si interessava di tutto, anche delle coltivazioni che cambiavano e dei problemi della campagna. Stare vicino alla gente era un modo per infondere la speranza in Dio. Anche dal punto di vista spirituale la popolazione era stata trascurata, dato che dalla morte di Don Umberto Gallina, avvenuta nell’aprile 1941, fino all’arrivo ufficiale di Don Carlo il 1 ottobre 1945, la parrocchia era rimasta senza prete. Negli anni di vacanza sono stati nominati Economi Spirituali Don Ennio Paltracca (dal ’41 al ’43), Don Didimo Seghetti (dal ’43 al ’44), Don Cesare Barboni (dal ’44 al ’45), tuttavia la Visita Pastorale fatta

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dal Vescovo Mario Vianello nel 1945 trovò la parrocchia in uno stato molto trascurato, sia negli aspetti concreti (l’edificio, i paramenti, non c’era il fonte battesimale, il Tabernacolo con la serratura arrugginita, l’archivio non aggiornato, ecc.) sia soprattutto sotto il profilo delle attività parrocchiali, dato che non esisteva catechismo per i bambini né per gli adulti, non vi erano attività caritative, i bambini facevano la Prima Comunione e la Cresima in altre parrocchie. Nel 1945 con Don Carlo fu ripristinata la Confraternita del SS. Sacramento. Il primo Capo Fraternista fu Alessandro Gallina, l’ultimo in carica Guido Gallina, recentemente scomparso. Nella Parrocchia di S. Andrea vi erano 4 Priorate: 1) il SS. Sacramento 2) S. Eusebio 3) Purgatorio 4) Beata Vergine di Pompei. I Priori venivano nominati dal Parroco e dal Capo Fraternista tra tutti i parrocchiani ed avevano il compito di servizio alla chiesa. Alla morte dei Confratelli il Capo Fraternista fa celebrare le Messe stabilite dal regolamento. Nei 48 anni in cui Don Carlo è stato parroco di S. Andrea, si sono succeduti 6 Vescovi, che fecero le rispettive Visite Pastorali in parrocchia (tranne il Vescovo Pagani, che morì prima di completare il proprio programma di visite, ed il Vescovo Parente): - Mons. Mario Vianello (1943-1955) - Mons. Pietro Parente (1955-1959) - Mons. Raffaele Baratta (1959-1968) - Mons. Ferdinando Lambruschini (1968-1981) - Mons. Cesare Pagani (1982-1988) - Mons. Ennio Antonelli (1988-1993). Essendo una parrocchia molto vicina alla città, S. Andrea partecipava attivamente a tutte le iniziative promosse dal Vescovo, come la grande processione per il Congresso Mariano di Perugia nel 1954, che si snodò per tutte le vie della città.

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Memorabile fu anche, nel 1959, la tappa perugina del pellegrinaggio “Dal cielo di Fatima al cielo d’Italia” in cui la statua della Madonna di Fatima si spostava in elicottero per tutta la penisola ed atterrò allo Stadio S. Giuliana, davanti ad una folla straordinaria, tra cui vi erano i parrocchiani di Don Carlo, che incoraggiava sempre senza stancarsi la loro devozione alla Vergine Maria, raccomandando la partecipazione numerosa a questi eventi ecclesiali. Nel 1962, quando Papa Giovanni XXIII riunì tutti i Vescovi a Roma per il Concilio Vaticano II, Don Carlo distribuì a tutti i parrocchiani il santino realizzato per l’occasione con la preghiera da recitarsi tutti i giorni per tutta la durata del Concilio (che, come è noto, si protrasse per 4 anni). Anche da questi episodi si capisce come Don Carlo fosse un prete molto integrato nella vita della chiesa cittadina ed universale e come non trascurasse alcuna occasione per fare in modo che la sua parrocchia ne fosse sempre parte attiva.

Queste notizie sono state tratte dall’Archivio Diocesano.

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Il Santino con la Preghiera per il Concilio

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La Madonna di Fatima a Perugia nel 1959

Dal cielo di Fatima al cielo d’Italia - l’elicottero allo stadio di S. Giuliana

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“Ho pianto con chi piangeva, ho gioito con chi gioiva…” (S. Paolo) Manoscritto di Don Carlo

25 luglio 1945 [data del timbro sulle marche da bollo]

Prima di dare inizio al mio Apostolico ministero in mezzo a voi, o diletto popolo, io sento il bisogno ed anche il dovere di rivolgervi il mio primo saluto nell’atto stesso che a voi mi presento per la prima volta quale inviato da Dio. E quale saluto più bello, quale augurio più sublime potrò io farvi in questo momento così commovente, di quello che Gesù Cristo stesso rivolgeva ai suoi Apostoli quando, dopo la sua gloriosa Resurrezione, appariva ad essi nel Cenacolo ad annunziare la pace? Io pure oggi, ad imitazione del Divin Maestro, il vero Modello dei Pastori, perché Pastore eterno delle anime, il quale volle affidarmi la cura spirituale di questa parrocchia, io do a voi il medesimo saluto augurale: “La pace sia con voi”. Sì, questa è la pace per cui i miseri mortali tanto si affaticano, ma che non sanno trovare, perché la ricercano tra l’incanto lusinghiero del mondo. Questa è la pace , che nasce dalla tranquillità della coscienza, ed è la sola capace di sollevare il cuore dell’uomo in mezzo alle lotte, al turbinio di una vita tribolata, ed a soddisfare le aspirazioni di questo animo irrequieto, desideroso di bene e di felicità. Nuovamente vi saluto coll’espressione più semplice della vera felicità, della calma e della gioia, che in questo momento circonda il mio cuore, il quale si ripromette di aver incontrato dei figli spi-

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rituali buoni, docili: gioia che certamente sentite voi pure per la grazia specialissima che il Signore vi ha fatto assegnandovi nella mia povera ed indegna persona un Pastore, nel quale il Redentore continua l’opera sua Redentrice, opera di bene, opera di salvezza. Insieme col saluto, o carissimi, io vi offro il programma di azione, ed i mezzi con i quali intendo svolgerlo tra voi, programma che troverete in perfetta armonia con gli insegnamenti dati da Gesù Cristo ai suoi Apostoli: egli infatti dopo avere annunziato loro la pace, li rivestì di un’autorità soprannaturale dicendo loro: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi: andate in mezzo ai popoli, ammaestrateli, illuminateli con la dottrina, rigenerateli alla vita della grazia con le acque battesimali, alimentate, accrescete questa vita con i salubri pascoli delle dottrine evangeliche. Chi vi ascolterà ed apprenderà docilmente quanto voi andrete loro insegnando avrà assicurato il possesso di quella pace, che è pegno di una beata eternità; chi mi disprezzerà avrà la mia eterna disapprovazione. Ecco il programma che il Maestro divino ci ha affidato: io sono in mezzo a voi per dar inizio con i mezzi stessi usati da Gesù Cristo. Quali sono questi mezzi? Saranno la forza, la violenza? No, o cristiani, perché la missione di Gesù è missione di amore e non può insaguinarsi con la spada materiale, ma con quella mistica della carità che ferisce i cuori senza offenderli, li penetra senza farli sanguinare: il suo pastore si fa strada in mezzo alle pecorelle colla pazienza, col sacrificio di se stesso e con la carità di Gesù Cristo che è amore disinteressato, imparziale; ama in Gesù Cristo tutte le pecorelle, pronto ad accogliere nel suo seno le più traviate, verso le quali era tutto il suo compatimento: questo amore non avrà limiti nel cuore del parroco; si deve estendere a tutti: “mi sono fatto tutto a tutti, per salvare tutti, ho pianto con chi piangeva, ho gioito con chi gioiva, ho sofferto con chi soffriva” poteva ripetere il grande apostolo S. Paolo. Le stesse parole ripeto io in questo momento: la mia rete sarà il desiderio di recare a voi la salvezza; perciò fin da questo momento mi sottometto volentieri alle fatiche del mio ministero, ai

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disagi e sacrifici, alle molestie e ai disgusti; alle amarezze e alle contrarietà dell’Apostolato vanno di quando in quando alternate consolazioni indicibili, soddisfazioni che ci fanno lanciare con maggiore zelo in mezzo ai travagli del ministero e lavorare più alacremente per la causa di Dio, per il bene delle anime: fu questa l’allegrezza che invase l’animo mio, quando il mio superiore, l’Arcivescovo, mi affidò la cura spirituale di questo popolo: in quel momento sentii tutto il fervore di apostolo, lo zelo di sacerdote, persuaso che “chi non ha zelo, non ha amici”. E ne ringraziai il cielo, perché vedevo coronato il mio desiderio ardente ed esaudito il voto che feci allorquando giovanetto io entrai nel Seminario per essere educato al Sanutario: servire il Signore con letizia, ad onore e gloria sua ed a salute delle anime. Ora, sebbene ministro di tanto amore, sono stato esaudito dal Signore; fin da questo momento in cui prendo possesso di questa parrocchia, rinnovo la mia promessa di non risparmiarmi e di sottostare a qualunque sacrificio mi verrà imposto per il bene delle anime vostre, diffidando delle mie deboli forze, ma invocando l’aiuto di Dio in ogni azione ministeriale. La mia gioia è andata crescendo nel sapere che veniva affidato alle mie deboli cure un popolo buono, gentile quale siete voi, una quota di tutto questo già me l’avete data e dimostrata questa mattina accorrendo numerosi ad assistere alla cerimonia di quest’oggi, mi avete dimostrato tutto il vostro affetto filiale nella intima e simpatica accoglienza alla mia povera persona: di tutto questo vi ringrazio vivamente, come pure della grande gentilezza e generosità mostratami con i vostri doni: tutti ringrazio. Ma in questo momento il mio pensiero da questa terra passa all’al di là, nel regno della gloria eterna, dove certamente si troverà l’anima dell’indimenticabile Don Umberto Gallina, che per molti anni è stato parroco zelante, amoroso di questa parrocchia: io sento il dovere di ricordarlo per il bene che tante volte mi dimostrò in vita e per il buon esempio che tante volte ho avuto da lui. Giovedì prossimo pertanto sarà celebrata una S. Messa in suffragio dell’anima sua, perché riceva, se ancora... . [si interrompe qui, forse c’era un secondo foglio]

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Manoscritto di Don Carlo: è il discorso di insediamento in parrocchia ed è datato 25 luglio 1945

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L’affettuosa lettera di Don Bruno Paciotti, amico di Don Carlo, scritta a seguito dell’incidente occorso durante il pellegrinaggio a Roma del 1950

Due immagini di Don Carlo, alla fine degli anni ’40 e nei primi anni ’60

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Il giovane Don Carlo alla prima celebrazione della Prima Comunione nella nuova parrocchia, il 15 agosto 1946

Molti anni piÚ tardi, dopo il Concilio, la S. Messa celebrata sul primo altare rivolto verso l’assemblea.

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Lo zio Don Carlo. Uomo della gente, fra la gente, per la gente Da bambino sono cresciuto sapendo bene di essere il nipote del prete di S.Andrea D’Agliano, un paesino in provincia di Perugia, alle pendici di una dolce collina che si raggiungeva dalla statale, non ancora E 45. Si raggiungeva percorrendo una strada rettilinea, lievemente sopraelevata nei campi, stretta e sterrata che la polvere alzata dalle ruote delle poche auto dell’epoca trasformava in una nebulosa scia che si andava a fissare sulle siepi e sugli alberi di gelsi che ne delimitavano il confine e che solo la generosa pioggia poteva rimuovere. Mio zio la percorreva spesso in entrambi i sensi, all’andata per adempiere ai lavori della sua missione e al ritorno per riunirsi alla sua famiglia: il nonno, la nonna e la zia Teresa, sua cugina paterna e perpetua. Questo era il suo nucleo quotidiano ospitato nella casa bianca dalle persiane verdi della canonica, attaccata alla chiesa. Le prime immagini della mia infanzia iniziano a S. Andrea, in quella casa e in quella della Scuola elementare che ho abitato fino al 1960, quando, dopo la morte di mio padre, assieme a mia madre e mia sorella Assunta, ci trasferimmo a S. Martino in Colle. Mio padre Mario e Don Carlo erano fratelli, il maggiore era lo zio nato l’ 8 novembre 1921, papà era più giovane di 3 anni. Di mio padre conservo purtroppo pochi ricordi perché alla sua morte avevo solo 3 anni e la mia mente non era ancora pronta a trattenerne immagini e suoni. Dai racconti che si facevano in casa e dalle testimonianze di altri parenti, ho elaborato il senso di una forte unione fra i due fratelli, ma mai lo zio ebbe la forza di parlarmi e portare a termine il racconto dei ricordi d’infanzia con mio padre: le poche volte che ci provò, sollecitato dalle mie domande di bambino, la voce gli si interrompeva sempre, rotta da un’emozione dirompente ed invincibile seguita sempre da un mutismo di dolore. Erano indubbiamente molto legati.

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Mio padre mi è stato descritto come uomo dotato di energie, carattere, humour, mio zio invece aveva altre finissime qualità, ma non queste. Era un uomo mite, dal passo celere come se il tempo non gli bastasse mai, come mosso da una solerzia innata che gli faceva percorrere le strade a testa bassa, con la sciarpa nera al collo anche d’estate che gli penzolava sul davanti della tonaca nera chiusa da un’infinità di bottoni verticali. Il capo spesso coperto dal berretto a 3 punte che era solito alzare in segno di saluto e rispetto allorquando incontrava le persone e l’amatissimo “collare romano” di color bianco al quale attribuiva funzioni protettive per la gola. Sì perché questa zona corporea era per mio zio il suo tallone di Achille, faceva sempre massima attenzione nello scoprirla temendo la ricaduta di una tracheite di cui aveva sofferto quando era in seminario. Mi raccontava infatti il nonno che di salute, in quell’epoca, era stato cagionevole e suppongo che al tempo, anche per l’inadeguatezza delle terapie, i problemi respiratori che presentò all’epoca e quelli di cui temeva la recrudescenza poi, lo intimorissero al punto da rimanerne per sempre spaventato. Temeva le correnti d’aria al punto che anche d’estate guidava con i finestrini chiusi nella sua storica 500 giardinetta bianca poi evoluta in una Fiat 127, sempre di color bianco. Il suo stile di guida era inconfondibile e chi lo ha conosciuto da vicino, credo ben ricorderà, il proverbiale senso di prudenza e il numero di manovre a cui costringeva la sua vetturetta come per non stressarla troppo nella meccanica. La velocità che le imprimeva non credo abbia mai superato gli 80 Km orari ma quella diciamo, di crociera, si collocava tra i 50 e 60 km/ora, anche nei rettilinei e con ottima visibilità: se all’epoca fossero esistiti gli autovelox di oggi, lo zio Don Carlo, non avrebbe certo rischiato fotografie! Il timore degli incidenti e la sua estrema osservanza al codice stradale avevano però una ben precisa origine. Quando avrò avuto 7-8 anni seppi dalla zia Teresa, donna dì grande carattere e altrettanta sensibilità espressa dal suo impareggiabile sorriso, di un grave incidente occorso in coincidenza di un pellegrinaggio della

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parrocchia, in autobus, a Collevalenza. Quell’episodio credo segnò il cuore dello zio in modo indelebile tanto che non amava rievocarne le dinamiche; le poche volte che si trovò costretto a farlo il suo volto mutava e si riempiva di dolore, poi usciva dalla stanza, oggi ritengo che si ritirasse a pregare. Tra le carte personali di mio zio, in riferimento a questo tragico evento possiedo una lettera datata 30 settembre 1950 e scritta a lui da un sacerdote, Don Bruno Paciotti: “Carissimo Don Carlo, ho appreso solo oggi la sciagura toccata a te e ai tuoi pellegrini, ne ho provato grande dolore per tutti gli infortunati, ma specialmente per te e per il turbamento della tua anima di fratello e di pastore ottimo. Mi sento dire che anche tu sei tra i feriti. È vero? Ciò mi preoccupa molto e desidererei che con un tuo biglietto mi levassi questo pungolo. Ti saluto intanto con tutto l’affetto e ti auguro che un atto di fortezza e di rassegnazione cristiana consumi il tuo dolore e aggiunga una nuova perla alla tua squisita bontà.” Era il 1950, settembre, l’incidente deduco sia avvenuto in quel mese . Lo zio era molto legato ai sacerdoti del suo tempo sia a quelli la cui Parrocchia confinava o era limitrofa con la sua, sia a quelli lontani; la domenica ad esempio, in coincidenza con cerimonie particolari, erano soliti intrattenersi a pranzo nella sala della canonica. Il pranzo era un rito, dapprima l’immancabile preghiera in piedi, poi seduti, con il nonno a capotavola, lo zio alla sua sinistra e la nonna accanto, io gli stavo di fronte ed osservavo ascoltando in silenzio. Lo vedevo felice, come tra amici rimpatriati, cortese , attento, curioso di essere informato sulle cose del tempo: fatti, persone, progetti. Spesso c’erano degli “amarcord”, tuffi di passato, ricordi di amici scomparsi vissuti da lui sempre con emozione pura e disinteressata, come quella di un bambino. Era il modo per tenersi aggiornato sul mondo in un’epoca ove le informazioni erano prevalentemente trasmesse a voce e non con i mezzi multimediali di oggi: ci si vedeva in viso, si potevano cogliere sensazioni, suoni, impressioni dalla viva voce degli interlocutori. Non ricordo mai discorsi d’attrito o di politica, il mondo sembrava scorrere se-

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condo dinamiche diverse da oggi, non so se per un velato senso di nostalgia che mi è rimasto o per l’età che avevo, ma la sensazione che oggi conservo è improntata sulla serenità e sull’autenticità. Certo anche all’epoca esistevano i conflitti politici ma non ho mai sentito mio zio, né altri sacerdoti, abbandonarsi a discorsi che avessero come base il senso dello scontro o della disarmonia sociale. Per lo zio Don Carlo le persone della sua Parrocchia, quelle che lui chiamava “anime” erano ai suoi occhi tutte uguali, le amava per quello che erano, indipendentemente dall’ideologia professata. Di questo il tempo mi ha dato ampia conferma in base ai ricordi e commenti che da più parti mi sono pervenuti, tutti tesi a confermare la sua figura come uomo super partes ed inter pares. Aveva due cugini di primo grado, figli di una sorella e di un fratello della nonna Piera, entrambi sacerdoti: Don Annibale Valigi e Don Mario Chiovini. Inutile dire il particolare affetto che nutriva per loro stante anche il legame parentale e l’emozione che si osservava nel suo comportamento, nella sua voce e nei suoi occhi quando poteva rivederli: a differenza degli altri sacerdoti che chiamava sempre anteponendo il “Don”, a loro due riservava il nome di battesimo diretto. Don Annibale è scomparso da poco lasciando un ricordo indelebile su coloro che ebbero la fortuna di conoscerlo, trattengo di lui in primis la generosità verso il prossimo, la voce elegante e caratteristica per l’“erre moscia” che aveva e che rendeva il suo linguaggio nobile anche perché sostenuto da idee di elevato spessore umano ed etico. Don Mario Chiovini, parroco di Pila, scomparso prematuramente nel mese di gennaio 2011, divenne sacerdote in epoca che coincise con la mia adolescenza vissuta a Montebello, per questo ne conservo il piacevole ricordo degli anni formativi anche perché coincidenti con la frequentazione dell’Istituto Don Guanella, unica sede ove l’handicap psicofisico dell’epoca, trovava dignità, accettazione e cura. La vita dello zio era molto semplice e spartana, non amava lussi e superflui, era un uomo essenziale, semplice nei modi e nello stile di vita, attaccato a tutti ed in particolar modo ai giovani

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ai quali riservava il ruolo di padre educatore, talvolta ammonitore, ma sempre dolce e mai severo o fuori dalle righe. Era un prete di campagna e non di città. Sempre disponibile in qualunque ora del giorno e della notte tanto che il nonno a volte discuteva con lui quando alle ore più impensate lo venivano a cercare, quando il chiavistello nero della porta marrone in fondo alle scale ribatteva il tocco che echeggiava sulla tromba dell’ingresso. Alle rimostranze del nonno lui rispondeva sempre in modo garbato onde tranquillizzarlo difendendo così sempre la sua missione della quale non ebbe mai alcun dubbio. Tutti noi in certi momenti di stanchezza o stress tendiamo a lamentarci dei ritmi a cui talora dobbiamo sottendere, lo zio Don Carlo non lo fece mai. Era nutrito dalla scelta che aveva fatto, ci credeva, la respirava, la coltivava con amore e dedizione totale. Lui si sentiva prete, cosciente che quella e solo quella sarebbe stata la sua giusta scelta di vita. Altro non avrebbe saputo o potuto fare. Del resto il poter cogliere di ogni persona l’elemento migliore senza soffermarsi sui difetti fu per lui l’arma con cui affrontò tutta la sua vita sacerdotale, riconoscendo ad ognuno dignità e ruolo, valorizzandone l’esistenza. Che fosse molto amato dalla gente lo intuii ben presto . Quando ad esempio percorreva con la sua giardinetta le strade della parrocchia ed incontrava i contadini e le contadine nei campi intenti a lavorare sodo, magari piegati su se stessi, madidi di sudore sotto il sole cocente, si assisteva a questa scena: ognuno di loro interrompeva d’incanto la propria opera, da chinati sulla dura terra si erigevano di scatto togliendosi il copricapo e fermando ogni occupazione, per salutarlo. Lui faceva amorevolmente altrettanto alzando verticalmente la mano e spesso si fermava a parlare con loro, ex cathedra, ma con Dio sempre presente. Passava Don Carlo, il Prete di Sant’Andrea, uomo della gente, fra la gente, per la gente. Una parola per tutti da uno che era sempre se stesso, memore del suo passato, vigile sul suo presente, teso verso il futuro che teneramente abitava con la sua indimenticabile frase: “a Dio piacendo”.

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I rapporti con i genitori e la loro perdita Lo zio era figlio di Luigi Brustenghi e Piera Chiovini (il mio nome di battesimo nasce dalla sintesi congiuntiva del loro) e verso i suoi genitori nutrì sempre venerazione e rispetto anche se la trasmissione dell’amore che nutriva verso loro non si tradusse mai in gesti espliciti. Non ricordo infatti mai un bacio o un abbraccio fra loro, l’educazione che avevano dato allo zio, rafforzata dalla dura disciplina del seminario non consentiva tali aperture comunicative. Ma la base del legame era di una solidità granitica. A volte il nonno lo chiamava “Carlino” riferendosi presumibilmente alla sua gracile costituzione da giovane; la sera prima di dormire, lo zio andava a dargli la buona notte e riceveva da loro la “benedizione” aprendo la porta che metteva in comunicazione la sua camera con la loro. Anche questo era un rito. Era molto attento alla loro salute, si preoccupava di fargli fare gli esami del sangue, i controlli medici, la somministrazione dei farmaci e li portava in macchina talora per assecondare le loro esigenze e per venirci a trovare, con il nonno ovviamente sempre sul sedile anteriore e la nonna dietro. Mi sono sempre chiesto come avessero vissuto la malattia e poi il decesso di mio padre ma non osai mai rivolgere loro domande dirette stante la certezza di una ferita molto, molto profonda. Di queste cose potevo parlare solo con mia madre. Il nonno, che lo zio chiamava babbo e non papà, dopo una breve malattia consequenziale ad una caduta, morì nel 1974. Ricordo, perché presente nel momento in cui spirò, che in quell’occasione lo zio Don Carlo si abbandonò ad un pianto disperato, dirotto e prolungato, come mai lo avevo visto. Quel pianto mi fece capire molte cose del suo passato e del legame esistente fra figlio e padre. Dopo un po’ si ricompose ed anch’io cercai di uscire da quell’interminabile momento ricercando legami con la vita sebbene nutrissi per il nonno un affetto molto particolare e avessi anche io accusato pesantemente il colpo.

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Il giorno del funerale lo zio celebrò la Messa assieme ad altri sacerdoti, era pallido, stanco e provato, ma la portò fino in fondo. Tolti i paramenti sacri accompagnò con la tonaca nera di sempre e a piedi il feretro verso il cimitero. Era in prima fila dietro il carro funebre, noi a lui vicini ma leggermente indietro, come in segno di rispetto, pregava ed avanzava solo, avrei voluto essergli più vicino ma sapevo che il suo carattere e il ruolo che aveva non lo avrebbero consentito. Mi venne allora in mente il significato di perdita di un genitore per un prete e ci riflettei a lungo. Da quel momento in poi la vita in quella casa bianca dal terrazzo sulla campagna, divenne a tre. Si sentì la differenza. Lo zio, nonostante tutto, continuò la sua missione come prima. La nonna invece morì nel 1987 a novanta anni. Fu per lo zio lo stesso vissuto che gestì senza mai far pesare a noi e ad altri il suo dolore. Rimase solo con la zia anche lei in età avanzata e con seri problemi cardiaci.

La messa e la sua trasformazione come persona, il 25° del sacerdozio La mia memoria ha trattenuto di lui molti ricordi, ma alla base degli stessi di fatto sussiste ancora oggi una dicotomia improntata sulle potenti trasformazioni che lo caratterizzavano quando indossava i paramenti sacri e celebrava la Messa. In tale veste si trasformava radicalmente e la sua persona si collocava in ambiti profondamente diversi da quelli esperiti nella vita di tutti i giorni. La sottile, tenera fragilità che contraddistingueva i suoi gesti, scompariva radicalmente quando era intento al rito. Una forte energia lo invadeva all’improvviso, mutava il suo guardo, il tono della voce e la fluenza verbale, i gesti nel loro complesso. Molte volte dentro di me mi interrogavo su questo fenomeno che constatavo io, ma che anche gli altri credo abbiano notato. Da nipote ero orgoglioso di vederlo in quella veste. Ricordo il giorno del suo XXV anno di sacerdozio: fu vera festa in parrocchia. Assieme alla zia Teresa e alla nonna Piera assistemmo alla cerimonia dal “coretto”, una sorta di terrazza chiusa da grate

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e da un velo nero che metteva in comunicazione la cucina della canonica con la Chiesa. La commozione ci prese nel vederlo radioso, pieno di luce, padre, mentre seduto su una poltrona posizionata davanti all’altare riceveva il saluto dei suoi parrocchiani che si avvicinavano a lui in fila per baciargli la mano.

La malattia e la morte Fu mia madre al telefono nel mese di maggio del 1993, ad avvisarmi che lo zio si era sentito male mentre si trovava a casa. Capii subito che il disturbo meritava la massima attenzione e per questo inviai un’ambulanza a prelevarlo per condurlo in ospedale. Quando arrivò, sebbene parzialmente cosciente, mi riconobbe e mi sorrise: era pallido con segni neurologici di un ictus cerebrale grave. Fatti gli esami di rito in emergenza lo ricoverai in una camera da solo. Le poche e confuse parole che riusciva ad emettere comunicavano uno stato di serenità e la consapevolezza verso la morte che sentiva imminente, ricordo mi disse: “Gigi è arrivata la mia ora”. L’evoluzione fu rapida verso una condizione di irreversibilità tanto che entrò in un coma profondo. Al suo funerale molte persone commosse e generose di bellissime espressioni per l’impronta che questo prete di campagna aveva in loro lasciato, come testimoniato tuttora dalla presenza di fiori freschi e bianchi in ogni giorno dell’anno, davanti alla sua tomba. Scelsi di apporre nel suo ricordino la seguente frase di Francesco Palau y Quer: “Muoio d’amore per la Chiesa... Sono al suo servizio... Sull’altare della Croce offro in sacrificio per lei La mia vita, il mio riposo e quanto ho di più caro”. Questa fu la vita dello zio Don Carlo. Pierluigi Brustenghi

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Don Carlo unisce in matrimonio il fratello Mario con Giulia

Gruppo di alunni della Scuola Elementare di S. Andrea, con Don Carlo ed il maestro Mario Brustenghi, suo fratello.

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Il cugino Don Carlo. La mia guida spirituale verso il sacerdozio A ridosso dell’Anno Sacerdotale trascorso, è positivo presentare un Prete Diocesano, come esemplare nell’esercizio della sua missione sacerdotale. Un modello di sacerdote anche per l’oggi, ancora ammirato e apprezzato. È stato un prete vero, punto di riferimento sia per ciò che riguarda la spiritualità che per i problemi personali di tanta gente. Una indimenticabile figura, “pastore e pescatore di uomini”. Non è stato famoso e non è andato sui giornali. È stato uno dei tanti sacerdoti italiani che ogni giorno fanno silenziosamente ed efficacemente il loro dovere. Per me, che sono suo cugino, è stato fondamentale. Ho avvicinato Don Carlo nel momento della mia chiamata al Sacerdozio; Don Carlo mi ha praticamente preso per mano ed è diventato il mio “compagno di viaggio” verso il Sacerdozio, la mia vera “guida spirituale”, ho imparato tanto da lui. Trovare una guida spirituale in un momento della tua vita è così importante! Ti aiuta a vedere la vita da una visuale differente, che è poi quella della trascendenza. Auguro a tutti di trovare il proprio “Don Carlo”. Chi ha avuto modo di conoscerlo ed avvicinarlo apprezzava la facilità con cui instaurava con tutti una ricca corrispondenza di stima e di sincera amicizia. La sua poliedrica cultura, l’immensa umanità, alimentata da una Fede vissuta intimamente ed intensamente, avrebbe bisogno di una penna più significativa. La sua amicizia, il suo consiglio costituivano un dono prezioso, la sua presenza accanto ai confratelli sacerdoti e alle persone, un privilegio ricercato. Il suo sacerdozio ha investito il quotidiano della vita. Un uomo, un cristiano, una persona consacrata che sapeva portare pace negli animi, frutto di speranza teologale, basata sulla Fede. 31


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In lui operosità normale e l’unione con Dio si fondevano. Questo atteggiamento interiore lo rendeva meraviglioso nei suoi impegni, nella sua espressione di interessamento per ogni forma di bene. Ha accettato la legge del tempo, nel graduale distacco dalle cose care. Sorella Morte lo ha chiamato nel silenzio di una cameretta di ospedale, a Foligno. Un grazie alla famiglia che lo ha donato alla Parrocchia di S. Andrea D’Agliano, dove ha trascorso tutta la sua vita terrena, dal 1 agosto 1945, e un grazie alla Chiesa di Dio in Perugia.

Don Mario Chiovini Parroco di Pila

S. Andrea D’Agliano Nel grande giorno della tua Messa novella con la più grande gioia mi unisco a te e prego il Signore che ti conservi per tutta la vita questo grande entusiasmo e desiderio di “farti tutto a tutti per tutti guadagnare a Cristo”. Questo è il più sincero augurio che ti rivolge, con la più alta stima unita a un semplice pensiero, il tuo carissimo cugino Don Carlo Trascrizione del biglietto che Don Carlo inviò al cugino Don Mario il 2 ottobre 1971, come augurio per la Prima Messa.

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Una vita sacerdotale piena ed esemplare Io entrai in Seminario nel lontano 1931 e, se ricordo bene, Don Carlo venne dopo di me. Non ci conoscevamo, anche se avevamo dei parenti in comune. Ricordo che era molto intelligente, riflessivo e con un modo di fare cortese ed educato. Siamo vissuti poco insieme, anche se nello stesso ambiente, a causa di incarichi diversi. Gli anni della teologia Don Carlo li passò tutti ad Assisi e si amalgamò molto bene con quelli di altre diocesi; io un anno soltanto, gli altri tre li passai a Perugia e a Corciano con Don I. Castellini e Don G. Tintori. Erano gli anni della 2° Guerra Mondiale. Dopo l’ordinazione, avvenuta a Corciano il 6 maggio 1944 in piena guerra, Don Carlo fu Cappellano presso la Parrocchia di Monteluce, io ebbi incarichi in Cattedrale e in Curia. In seguito Don Carlo fu nominato Parroco di S. Andrea D’Agliano. E quando, nel 1950, io fui nominato Parroco di S. Maria Rossa ci trovammo più vicini e ci fu una certa collaborazione pastorale secondo le abitudini del tempo. Ho saputo, forse in occasione della sua morte, dell’aggressione subita in casa. Il fatto lo aveva molto provato. I funerali furono una testimonianza, un riconoscimento della fedeltà generosa alla sua missione, da parte dei fedeli, dei molti preti e dell’Arcivescovo. Ancora oggi il ricordo di Don Carlo è legato all’esempio che ci ha lasciato di una vita sacerdotale esemplare.

Don Rino Valigi Parroco emerito Parrocchia dei SS. Proto e Giacinto

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Il mio predecessore la cui memoria non si spegnerà mai Oggi più che di commemorazioni c’è bisogno di ordinazioni sacerdotali! Mancano sacerdoti e questo ricordare Don Carlo vuol essere allora una richiesta al Cielo di mandarci Sante vocazioni! Dopo aver retto l’interim dal maggio ’93, di Don Carlo Brustenghi sono stato il successore, parroco di S. Andrea D’Agliano dal 15 febbraio 1994 al 30 novembre 2004. Ho conosciuto Don Carlo fin dall’infanzia quando con il suo Mosquito veniva a celebrare a S. Nicolò in tantissime occasioni. Sacerdote umile, schivo, semplice, disponibile, sapeva accattivare le simpatie con il suo caratteristico “Voi” rivolto anche ai più piccoli di lui, me compreso. Arrivato a S. Andrea ho vissuto nei 10 anni del mio servizio sacerdotale, oserei dire, quasi all’ombra di questo prete. Ho potuto constatare quanto la popolazione lo abbia venerato e amato. Intitolare a lui la piazza e provvedere la chiesa di una immagine grande del Santissimo Crocifisso per ricordare Don Carlo ha trovato subito tutti d’accordo e ricordo la commozione di tutta quella gente intervenuta per l’occasione! Durante la mia permanenza a S. Andrea è stata risistemata, oltre la chiesa parrocchiale, la casa canonica e in quella circostanza ho potuto vedere anche la potenza di quel Santo prete e non mi è stato difficile paragonarlo in qualche modo al Curato d’Ars (S. Giovanni Maria Vianney). Don Carlo faceva parte di quel gruppo di preti (Don Ivo Mastroforti, Don Pietro Tebaldi, Don Giovanni Penna, Don Sergio Rossi, Don Guido Giommi, ecc. ecc.) che hanno segnato la nostra storia e noi preti di questa zona che siamo cresciuti con loro ci sentiamo veramente loro eredi e con gioia cerchiamo di vivere gli esempi da loro lasciatici. Sono sicuro che i cristiani di S. Andrea D’Agliano che hanno avuto come parroco Don Carlo non solo seguiteranno a ricordarlo

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nelle loro preghiere, ma sicuramente tramanderanno ai posteri la sua memoria. Plaudo a questa iniziativa presa di raccogliere testimonianze da chi lo ha conosciuto. Questo permetterà ai giovani di apprezzare un uomo che si è donato e speso tutto per il bene del suo popolo. Sia un vero esempio per tutti.

Don Gino Ciacci Parroco emerito di S. Andrea D’Agliano

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La chiesa parrocchiale di Sant’Andrea d’Agliano e la canonica, come sono oggi

. La piazza della chiesa è stata dedicata a Don Carlo.

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L’interno della chiesa di S. Andrea dopo i recenti restauri

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Il dipinto del Crocifisso, di cui Don Carlo aveva grande cura, e l’immagine della Madonna di Pompei venerata nella chiesa di S. Andrea d’Agliano.

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La chiesa di S. Andrea D’Agliano, con la croce, un tempo posta in mezzo alla piazza e oggi spostata sul lato est. Il basamento è quello della croce orginale del 1881, mentre quella attuale (realizzata da A. Gorreri) è stata consacrata il 3 maggio 1966, nel giorno della Festa della Santa Croce. Nella vita della parrocchia si tratta di una festa importante, in occasione della quale i contadini portano a benedire le croci fatte di canne, che poi vengono messe nei campi coltiv

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Foto di gruppo dei seminaristi del Seminario di Assisi, alla fine degli anni ’30. Il giovane Carlo Brustenghi è il 4° da sinistra nella fila centrale.

Don Carlo con i confratelli ordinati nel 1944, durante una riunione nel 1977

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La parrocchia era il suo “regno”, la comunità la sua famiglia Don Carlo, una tipica figura di “prete di campagna”. La definizione non ha assolutamente alcun aspetto negativo, anzi… Essa sta ad indicare una spontanea semplicità di modi, un linguaggio confidenziale, accompagnato da un sorriso che esprime partecipazione e interesse. Il suo “porsi” con modi schivi e semplici non nascondeva la sua preparazione culturale, a volte evidenziata con interventi precisi e con linguaggio appropriato, che lasciava trasparire la solida base di conoscenze e capacità di giudizio equilibrato e non superficiale. La parrocchia era il suo regno, ma egli non si sentiva assolutamente un re pronto a dare ordini o a porsi sul piedistallo. Tutta la comunità era la sua famiglia ed egli ne conosceva, attraverso la costante frequentazione, le esigenze e le abitudini. I lunghi anni trascorsi tra la sua gente lo avevano “inserito” positivamente nella quotidiana realtà e gli avevano fatto assumere il ritmo tipico e paziente di chi non conosce la fretta ma è sempre in grado di essere presente là dove c’è bisogno di intervento “ministeriale” o di una parola che rassereni e conforti. Attento e discreto, niente gli sfuggiva di quanto avrebbe potuto far crescere il suo popolo, che stava vivendo anni di una trasformazione sociale e culturale. E non c’è nessuno, tra coloro che lo hanno conosciuto e stimato, che non ne conservi il ricordo con gratitudine e ammirazione. Potremmo immaginarlo, rivestito della sua “tonaca” mai dismessa, aggirarsi tra gli spazi del Cielo, come osservatore sereno, attento a quanto gli sta intorno, ormai felice e pienamente soddisfatto in una visione gratificante, sempre disponibile a un colloquio costruttivo.

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Un tratto curiosamente caratteristico del suo rapporto con gli altri era il prevalente uso del “voi”, piuttosto che del “lei”. La naturale spontaneità e semplicità dei modi ne distinguevano gli atteggiamenti e gli interventi, alla base dei quali c’era una più che notevole preparazione culturale in vari campi.

Don Marino Ricceri Vice-Parroco di Ponte San Giovanni

Don Carlo con un gruppo della Prima Comunione, negli anni ’50

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Un sacerdote confessore, che infondeva speranza e coraggio Fa piacere fermarsi, alla mia età, a rimeditare i fatti che hanno guidato la mia vita, a ricordare persone che hanno portato in me un contributo di umanità e di fede. Devo ringraziare Dio di avermi donato nei primi anni della mia vita in seminario la possibilità di incontrare tante persone importanti per la mia crescita, non solo in seminario, ma soprattutto nel periodo delle vacanze dove ho avuto modo di incontrare, in particolare, dei sacerdoti che mi hanno saputo dare la gioia della vocazione sacerdotale e con il loro entusiasmo aiutato a superare le tante difficoltà che incontravo. Cinque sacerdoti, Don Pietro, Don Ivo, Don Carlo, Don Guido, Don Elio che mi hanno sostenuto ognuno con i loro Doni, le loro capacità pastorali e soprattutto con un affetto grande. Don Pietro con la sua grande apertura culturale mi ha insegnato ad aprirmi senza confini alla Verità. Don Guido e Don Elio all’azione pastorale verso i giovani. Don Ivo era il mio punto di riferimento per approfondire le mie letture. Don Carlo l’avevo scelto come mio padre spirituale, non perché come dicevano i miei amici era “di manica larga”, ma perché intravvedevo in lui quello che anch’ io avrei voluto essere da prete. Era un sacerdote-confessore che molte volte ho paragonato al Santo Curato d’Ars per l’amore che metteva nell’accogliere i peccatori, per avere sempre una parola dì speranza e di incoraggiamento per chi era davanti a lui e quando ti alzavi dall’inginocchiatoio sentivi che la Grazia di Dio era scesa su di te. Lo cercavano tutti non solo nella sua parrocchia ma anche nei paesi vicini e quando andava per gli “uffici” davanti al suo confessionale c’era sempre una fila lunghissima di persone che aspettavano il loro turno per confessarsi. Ho un ricordo personalissimo di quando sono andato recentemente a Lourdes con un pellegrinaggio parrocchiale, avevo de43


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ciso che non mi sarei confessato, avevo il mio padre spirituale a Perugia, ma mentre aprivo la porta della grande penitenzieria per cercare i miei compagni di viaggio che erano andati a confessarsi, mi ritornò in mente Don Carlo e la sua voce che mi parlava della misericordia di Dio e vedendo un giovane sacerdote che stava uscendo da uno dei tanti confessionali gli chiesi di confessarmi. Ed ebbi il permesso di poter confessare e davanti a colui che cercava la Misericordia di Dio mi comportai come mi aveva insegnato Don Carlo ed ebbi la gioia di vedere gente che con le lacrime agli occhi mi ringraziava del Dono ricevuto, cosa che molte volte ho fatto anch’io con Don Carlo. Un sacerdote che è vissuto ed è morto poveramente, che era sempre pronto a venirti incontro, per lui non c’era mai fretta, sembrava sempre dirti: eccomi sono qui per te e devo dire che questa è una delle tante doti del confessore. Grazie Don Carlo per l’affetto che mi hai dimostrato, ancora sento il calore delle tue mani che si posarono su di me il giorno della mia ordinazione per chiedere lo Spirito Santo. Grazie per il tanto bene che hai saputo spargere nella tua vita sacerdotale ed in particolare nel confessionale dove hai ricordato sempre che Dio è misericordioso e che condanna il peccato ma mai il peccatore. Grazie perché insieme a tanti altri devo tanto al tuo esempio di vita sacerdotale. Don Giuseppe Piccioni Parroco di Torgiano

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L’arrivo di Don Carlo a S. Andrea d’Agliano fu un giorno memorabile A quell’epoca ero una bambina e frequentavo la scuola di Madonna del Piano, la nostra insegnante si chiamava Concetta Buonfiglioli; per dare il benvenuto al sacerdote essa scrisse una lettera che poi mi fece imparare a memoria, per recitarla al momento dell’arrivo. Da quel giorno sono passati tanti anni, ma ancora rammento le parole della lettera: “Reverendo parroco di S. Andrea d’Agliano, sono stata incaricata di farle gli auguri, ma le parole di una bambina non possono essere belle e di valore come ci vogliono per rivolgere a lei. Gran fortuna che mi hanno dato questi fiori, essi davvero saranno eloquenti; la bellezza, la freschezza, la grazia, la fragranza sono tutte a significare le belle cose che le donerà il Signore nel tempo infinito in cui lei sarà il nostro pastore, e dimostrano un’altra cosa: il nostro affetto che sarà sempre più grande, accompagnato dalla riconoscenza che ci fa il grande bene di tenerci in grazia di Dio. Signor parroco, gradisca il mio augurio gioioso, che ho fatto a nome di tutta la scolaresca di S. Andrea d’Agliano.” Don Carlo era orgoglioso della sua parrocchia; in quegli anni si celebravano le S. Quarant’ore, che si svolgevano in tre giorni (domenica, lunedì e martedì) in cui il sacerdote esponeva il SS. Sacramento, dalla mattina fino a sera, tanta gente partecipava, comprese noi ragazze che cantavamo e pregavamo. Tante cose belle vorrei dire di questo sacerdote. Era umile e buono, a chi ha avuto la fortuna di frequentarlo imprimeva nella mente e nel cuore la fede cristiana. In parrocchia frequentavamo l’Azione Cattolica, che era composta da ragazze e bambine e della quale Don Carlo mi aveva scelto come presidente; la domenica mattina si facevano adunanze in cui si spiegava la dottrina cristiana. 45


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Sempre in quegli anni si fece una rappresentazione teatrale, nella quale noi ragazze recitavamo e vi partecipò tanta gente; andavamo a provare la nostra parte di attori da Giulia, la cognata di Don Carlo. Tante altre cose proponeva questo sacerdote, andavamo in gita con il postale, siamo state a Roma, a Nettuno, a La Verna, a Madonna della Stella, etc. Per me era come un padre; per l’anniversario della morte faccio sempre celebrare una messa di suffragio. Anna Romani

Processione solenne nel 50° anniversario del Sacro Cuore

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Gruppo dei personaggi della recita parrocchiale, in costume di scena

Foto di gruppo sulle scale di S. Pietro in Vaticano, settembre 1957

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S. S. Pio XII ripreso alla sua finestra e annuncio del ricevimento del gruppo parrocchiale di S. Andrea in udienza dal Santo Padre nel settembre 1957

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L’uomo dalla lunga sciarpa nera cui devo la forza della mia fede Avevo 5 anni quando sul sagrato della chiesa di S. Andrea ho visto per la prima volta Don Carlo. Ricordo lo stupore nel vedere un uomo tutto vestito di nero fino ai piedi, con la sua lunga fila di bottoni e – lo avrei scoperto successivamente – l’immancabile sciarpa al collo, perchè era delicato di salute. Per 20 anni sono stata molto vicina a Don Carlo ed educata con i suoi insegnamenti, che mi hanno fatto crescere spiritualmente con una fede forte; e se è ancora tale, a distanza di molti anni e pur attraverso varie difficoltà e dure prove, lo devo alla Grazia di Dio e agli insegnamenti di Don Carlo, oltre che della mia famiglia che è sempre stata molto cristiana. Con Don Carlo c’era Teresa, una sua cugina che, rimasta vedova e senza figli, si prese cura di lui e della sua chiesa, come una casa da tenere sempre pulita ed accogliente e lo aiutava in tutto, anche nel catechismo. Teresa era una donna molto simpatica, sempre allegra, molto materna con tutti. Ho passato tanto tempo con lei, da piccola perchè mi insegnava il catechismo, da grande perché la aiutavo nei lavoretti con ago e filo per la biancheria della chiesa. Appena arrivato, Don Carlo radunò tutti i bambini grandi e piccoli per il catechismo, io ancora non andavo a scuola, ma Teresa con molta pazienza ci insegnava le formulette che all’epoca si imparavano a memoria. Ho fatto la Cresima in prima elementare (allora si faceva prima della Comunione) dal Vescovo Mario Vianello e la Prima Comunione a 7 anni, con bambini e bambine più grandi, perchè allora non si era ancora divisi per classi e i Sacramenti si prendevano quando si era pronti con il catechismo. Era da poco passata la guerra e la parrocchia era senza prete perchè era morto il parroco Don Umberto Gallina, ormai anziano, 49


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e nel frattempo faceva le veci Don Cesare, parroco di San Fortunato. In quel particolare momento, con difficoltà, ma anche con l’aiuto di tutti, la parrocchia riprese vigore. Fin dall’inizio si intuì che Don Carlo, così timido e riservato, era un uomo di preghiera e dedizione totale alla Chiesa, ma anche un uomo di azione, perché prese tante inziative, soprattutto per noi bambini e giovani. Per i bambini faceva gare di catechismo con premi finali consistenti in giocattoli (allora molto ambiti perché rari) e libri. Don Carlo teneva molto alla formazione spirituale ed umana di noi giovani. Quando c’erano gli Esercizi Spirituali a Casa del Sacro Cuore insisteva molto che partecipassimo; bastava che noi trovassimo il tempo dei 3 giorni necessari, al resto pensava lui (specialmente alla retta, dato che le nostre risorse in quegli anni erano davvero misere). Dopo qualche anno dal suo arrivo, Don Carlo istituì anche una biblioteca circolante, una vera novità per l’epoca, che fu molto apprezzata perchè ci appassionò alla lettura. C’erano libri di avventure, di natura, di vita dei Santi, tutti molto interessanti - ancora ne ricordo alcuni titoli. Inoltre, a noi giovani donne Don Carlo regalava l’abbonamento alla rivista “Alba” dei Periodici San Paolo, perchè diceva che quello era un giornale da leggere e non le riviste che in quel tempo andavano per la maggiore. Negli ultimi anni ’40 si andava diffondendo la presenza sul territorio dell’Azione Cattolica ed anche a S. Andrea Don Carlo, aiutato da Rita Gallina, cominciò con le prime iscritte le attività di questa associazione nuova ed importante per le realtà parrocchiali. Incominciò con le Beniamine, Aspiranti e Giovani, più tardi arrivarono le Donne di Azione Cattolica ed il ramo maschile con i Giovani. Eravamo poche, ma inserite fortemente nell’ambito diocesano, perché alle riunioni in Diocesi non mancavano mai i responsabili della Parrocchia di S. Andrea, che Don Carlo accompagnava personalmente con l’automobile o pagava il biglietto dell’autobus. E non era sempre tutto piacere: ricordo che il giorno in cui la

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mia cara amica Maria Fatigoni si sposò, volevo esser presente alla Messa, ma in Diocesi c’era una importante riunione ed io, che ero allora responsabile dei giovani della parrocchia, avrei dovuto partecipare; chiesi così a Don Carlo di essere dispensata dall’incontro, ma lui mi rispose che prima di tutto veniva il dovere, così dovetti andare alla riunione in Diocesi e solo col pensiero potei essere accanto alla mia amica... Una cosa era chiara ed importante per Don Carlo: appartenere come parrocchia al tessuto diocesano. Negli anni ‘50 ricordo che ci fu una festa per il 50° del Sacro Cuore che attirò tanta gente anche dai dintorni. Per mesi tutti i parrocchiani prepararono i festoni infilando cartine colorate per abbellire la piazza e lo stradone che portava alla chiesa. Bella e grandiosa fu la processione, come dimostrano le foto che ancora ci sono... La preparazione fu una “Missione Popolare” (come si diceva allora), tenuta da frati francescani e ricordo con quanta enfasi il predicatore parlava alla gente che gremiva la chiesa; mai vista tanta gente come in quella occasione e tante confessioni. Nelle feste, per le confessioni e le liturgie, venivano in aiuto a Don Carlo gli altri preti del Vicariato, nonché i suoi amici Don Rino e Don Annibale Valigi, che era anche suo cugino. L’aiuto di Don Annibale e di altri preti era importante anche per i canti: in parrocchia c’era un bel coro, nonostante Don Carlo fosse stonato e non sapesse suonare l’armonium, e tutti cantavano. Durante l’Anno Santo del 1950 un tragico fatto aveva profondamente rattristato Don Carlo, una sofferenza che traspariva dal suo viso. Il pullman che aveva portato a Roma per l’Anno Santo 50 parrocchiani, durante il viaggio di ritorno ebbe un grave incidente, precipitando per una scarpata e provocando la morte di due persone ed il ferimento di molte altre. Chissà anche in questo caso quanto aiuto avrà chiesto nelle sue preghiere... Dopo qualche anno, però, sempre consapevole dell’importanza di proporre iniziative per tenere uniti i giovani della parroc-

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chia, ricominciò ad organizzare le gite, aiutato dal signor Pensi (che suonava la chitarra), da P. Candido, da P. Giacomo e da P. Eugenio che facevano da animatori. La prima gita fu a Cascia, nei luoghi di S. Rita, e Piediluco; una seconda ebbe per meta Roma, per visitare San Pietro, ma anche l’aeroporto di Ciampino (l’unico all’epoca) per vedere gli aerei che partivano, e Nettuno, con il Santuario di S. Maria Goretti. Altre gite si fecero ad Orvieto e dintorni, nonchè a Firenze e Pisa; insomma ci sono bei ricordi di queste gite, che per l’epoca erano delle vere evasioni. Un evento che fu molto importante per tenere impegnata tutta la parrocchia fu certamente una famosa recita, di cui non ricordo né titolo né trama, ma che fu molto bella e venne tanta gente a vedere, addirittura con delle repliche. Ci preparò con molto impegno Giulia, la cognata di Don Carlo, Rita Gallina si occupò dei costumi e Netilio Nardoni dell’allestimento del palco e dei fondali; Guido Gallina mise a disposizione un grande magazzino che, insieme agli altri della famiglia, attrezzò con sedie e panche: fu un vero spettacolo... Un giorno andai da Teresa per aiutarla in un lavoro e la trovai che rammendava dei vecchi pantaloni di Don Carlo e, molto arrabbiata, mi disse che doveva fare anche delle toppe perchè Don Carlo aveva dato ad un bisognoso i pantaloni buoni. Questo era Don Carlo.

Anna Maria Ercolani

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Le attivitĂ della parrocchia: i gruppi di Azione Cattolica Alcune tessere 1959-65

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Le attivitĂ della parrocchia: le gite e i pellegrinaggi. Sopra, gita al Lago di Piediluco. Sotto, pellegrinaggio a Loreto.

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Sapeva farsi amare anche dai bambini Il mio primo ricordo di Don Carlo risale ai tempi del catechismo. Negli anni ‘50 erano poche le cose da fare per noi bambini e andare al catechismo non era, come oggi, qualcosa che viene solo dopo i mille altri impegni, era invece una vera festa, perché oltre ad imparare a vivere la fede da cristiani ci si divertiva molto. Ricordo che si giocava con la corda, le piastrelle ed altri semplici giochi che a casa non avevamo. Soprattutto era molto piacevole quando Don Carlo ci lanciava sul piazzale una manciata di caramelle, che i più svelti raccoglievano, anche se poi non ne faceva mancare anche agli altri. Il più delle volte ci trovavamo le ginocchia graffiate dalla ghiaia nella lotta per accaparrarci le caramelle, visto che all’epoca il piazzale della chiesa non era ancora asfaltato. Quando eravamo più grandicelli lo aiutavamo a distribuire “Famiglia Cristiana”. In bicicletta andavamo tutte le settimane a vendere la rivista, perché Don Carlo teneva molto a diffondere la stampa cattolica nelle famiglie, compreso il giornale diocesano “La Voce”, che non mancava mai nelle case della parrocchia. Nel ’59 a Montebello fu inaugurato l’Istituto Opera Don Guanella e Don Carlo da subito lo ha sentito come una presenza che, trovandosi nella nostra zona, apparteneva a tutti noi. I sacerdoti guanelliani, infatti, invitavano le parrocchie ad integrarsi con la loro realtà e Don Carlo, con i parrocchiani più volenterosi, organizzava pacchi regalo da portare per la festa dell’Istituto, a Natale e in altre occasioni, ai “nostri amici”, come amava chiamarli. Con la bella stagione erano poi i ragazzi dell’Istituto a ricambiare la visita ed andavano a trovare Don Carlo in parrocchia, scendendo giù dalla strada del bosco di Villa Spinola insieme ai loro accompagnatori. Era così stretto il rapporto con il Don Guanella che io stessa, quando nel 1996 sono entrata a lavorare nel-

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l’Istituto, mi sono resa conto che conoscevo prefettamente la casa per il fatto di esserci stata tante volte da ragazzina con Don Carlo ed altri compagni. Infine un ricordo a me molto caro: è stato proprio Don Carlo che mi ha unito in matrimonio con Giuliano.

Margherita Goretti

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L’Istituto Don Guanella negli anni ’50, al tempo delle prime visite con Don Carlo.

Il gruppo delle giovani e delle ragazze della parrocchia saluta gli sposi con la lettura di un messaggio, nel salottino della canonica

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Grazie Don Carlo, sostegno e conforto nel dolore Ricordando Don Carlo il pensiero va a quanto è stata preziosa la sua costante presenza nella mia famiglia. Nel 1974 Fosca, la sorella di mio marito, di appena 12 anni, subì un grave incidente stradale, che la rese completamente invalida, un evento che ha sconvolto la nostra famiglia. Nella disperazione e nel dolore ricordo che Don Carlo non faceva mai mancare la sua parola di conforto e di speranza. Si informava continuamente delle condizioni di Fosca e molto spesso veniva a farle visita. Ricordo quanto il papà e la mamma di mio marito fossero sereni e sollevati nel parlare con Don Carlo, che nella sua semplicità era diventato un amico; soprattutto parlava di speranza, una cosa di cui avevamo grande bisogno, perché sono stati anni molto duri ed impegnativi, in cui i genitori e i fratelli di Fosca si sono completamente dedicati a lei con amore, assistendola ed accudendola in tutto. Don Carlo veniva tante volte insieme a Don Ivo, parroco di San Martino in Campo, rimanevano a lungo con noi infondendoci coraggio. Solo chi è stato così duramente provato come noi può capire quanto sia importante la presenza di persone buone e comprensive come Don Carlo. Ora, dopo 36 anni di dura lotta, Fosca ha raggiunto Don Carlo. Si saranno ritrovati – così immaginiamo che sia – e non mancheranno di pregare per noi in attesa di ritrovarci tutti. È questo che crediamo. Grazie Don Carlo.

Maria Ercolani

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Angioletti per la processione del Sacro Cuore, nel 50째 anniversario (1951, sopra) e nel 75째 aniversario (1976, sotto)

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Com’era magica con Don Carlo la notte di Natale Sono tanti i ricordi dei momenti belli vissuti con Don Carlo . Mi è venuto subito alla mente come era magica la notte di Natale per noi bambini. La Messa di mezzanotte era molto lunga e poi si era tutti a casa a dormire aspettando i doni di Gesù Bambino (perché allora era lui a portare i doni, non Babbo Natale). Durante la S. Messa al momento del Gloria cantato, un gruppo di bambini (fra i quali c’ero anche io) partiva dalla casa del prete. Attraverso il vialetto e la piazza entravamo dalla porta grande della chiesa portando il Gesù Bambino, che deponevamo nella grotta del presepe, allestito in una delle rientranze della chiesa. Ricordo che era molto emozionante e noi bimbi eravamo felicissimi. Finita la S. Messa c’era immancabilmente tutti gli anni la recita delle poesie, cui seguivano gli affascinanti racconti della nascita di Gesù, fatti a più voci come una rappresentazione teatrale. Sono quasi commossa ricordando la spontaneità e la genuinità di quei riti che Don Carlo preparava con molto impegno, aiutato dalla cugina Teresa e da Teresa Nardoni, che erano tra le persone di cui Don Carlo più si fidava. Don Carlo, insieme a Netilio Nardoni, Mario Schippa e qualcun altro, allestiva un bellissimo presepio che la gente veniva a vedere anche da fuori parrocchia.

Antonietta Ficara

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Don Carlo con Rita Gallina, prima presidente del gruppo di Azione Cattolica della parrocchia, e con Teresa, sua cugina e catechista, insieme al gruppo dei bambini della Prima Comunione, durante il piccolo rinfresco in canonica.

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“Me lo immagino vicino a Gesù che intercede per tutti noi…” Non mi ricordo quando fu la prima volta che incontrai Don Carlo, non mi ricordo forse perché è sempre stato nella mia vita avendomi battezzato. Ma il momento in cui ho incominciato a conoscerlo veramente è stato quando ho iniziato il catechismo. Ai miei tempi, negli anni 70, il catechismo veniva fatto d’estate: da luglio fino all’ultima settimana di agosto. Il catechismo non era tenuto dalle catechiste ma direttamente dal sacerdote. Mi ricordo che mio padre il primo giorno caricò la mia bicicletta sull’Ape e mi accompagnò a Sant’Andrea d’Agliano facendomi vedere la strada, ammonendomi su ogni punto dove dovevo stare attenta. Avevo otto anni, e con la bicicletta non ero mai andata oltre la scuola elementare. Quel giorno per me si aprì un nuovo mondo, cominciavo ad essere indipendente e soprattutto cominciai ad incontrare Gesù. Don Carlo, a me, bambina di otto anni, sembrava enorme, era altissimo, portava la tonaca nera con milioni di bottoni, anche d’estate portava la sciarpa intorno al collo ed aveva un cappello bellissimo, che mi faceva sognare. Ci fece accomodare in chiesa, seduti sulle panche, ci diede i libretti del catechismo e incominciò a parlarci di Gesù. Era buonissimo, ci portava rispetto più di quanto gliene portavamo noi. Dopo i primi giorni cominciò a tirare fuori un bacchetta che adoperava qualche volta sbattendola sulle panche, ma il solo rumore induceva i maschi a stare un po’ all’erta. Il catechismo era un po’ diverso da quello di oggi, si imparavano a memoria le preghiere, così come i comandamenti, ma la cosa che più mi è rimasta impressa sono gli esempi che Don Carlo ci faceva per farci conoscere Gesù. Avevo recitato per tante volte il Padre Nostro, ma Don Carlo fu il primo che mi spiegò cosa volessero dire quelle parole, come questa preghiera, sapendo quello che si diceva, avrebbe cambiato la mia vita. Fu così, mi innamorai di Gesù e del catechismo, era

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un momento di libertà, era un ambiente magico, la chiesa con noi bambini, il profumo della cera delle candele accese, la voce di Don Carlo che risuonava nella chiesa, i dispetti che a volte gli combinavamo. Lui faceva finta di non accorgersene, anche se capiva benissimo che a volte lo prendevamo in giro. Rifacevamo la sua risata inconfondibile, o la sua camminata. O prendevamo in giro la sua mamma che si affacciava in chiesa. Lui faceva finta di niente. Le lezioni passavano veloci, e poi tutti a giocare! La cosa che più mi è rimasta impressa di quel periodo è che Don Carlo mi ha insegnato che è bene conoscere Cristo, la sua Parola, ma soprattutto che il cristiano si deve far riconoscere dall’esempio, dalla comunione con gli altri, con tutti non solo con i cristiani. Questo è il più grande insegnamento, quello a cui teneva più di ogni altra cosa: il prossimo prima di tutto, e quando dico prossimo, dico tutti indistintamente. Mi ha insegnato il rispetto per l’altro anche per quello che non la pensa come me. Quando noi bambini ci accostammo alla prima confessione mi ricordo che mi fece capire che il peccato più grave non era in quello che avevo fatto ma il peccato più grosso era in quello che non avevo fatto. L’ultima settimana di agosto facemmo, come tutti gli anni, la comunione. E da lì cominciò il mio cammino con Don Carlo. Entrai subito dopo nel coro parrocchiale, seguendo mia sorella più grande. Con loro più grandi Don Carlo aveva intrapreso un altro cammino, avevano fatto la Cresima ed avevano fondato il coro parrocchiale. La sera, una volta a settimana, dopo cena c’erano le prove di canto e Don Carlo passava con la sua Bianchina Giardinetta, mi pare, a prendere ognuno di noi. Veniva ad insegnarci a cantare Don Elio, la domenica si stonava qualche volta, ma Don Carlo aveva creato un gruppo solido, di persone che si volevano bene e che forse anche non capendolo, crescevano nel Signore. Più volte all’anno portava questo gruppo a Monte Malbe in ritiro presso i frati cappuccini, ci portavano a vedere l’orto, a raccogliere le castagne nel loro bosco, intanto pregavamo e conoscevamo sempre più Gesù. Era bellissimo, andavamo con il pullman tutti insieme, mangiavamo con i frati, pregavamo con loro, conosce-

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vamo le loro attività. Lì conoscemmo Padre Angelico che dipingeva, ci faceva vedere le varie fasi, dalla creazione del quadro alla realizzazione, era affascinante osservare come dal nulla nascesse un quadro. D’estate poi Padre Angelico ci ricambiava la visita e noi ragazze nel giardinetto davanti a casa di Don Carlo infilavamo le corone. Una o due volte all’anno ci portava a cena alle Querce, non riuscite a immaginarvi che cosa poteva essere per quei tempi, non per “il rinfresco” come diceva Don Carlo, ma perché per questo avvenimento oltre al coro invitava anche i ragazzi della parrocchia. Era una festa bellissima. Più tardi Don Carlo trovò un nuovo maestro per il coro, Ferruccio Platoni, di San Martino in Colle. Ferruccio era bravissimo, ma non aveva ancora la patente, allora la Bianchina Giardinetta di Don Carlo allungava il giro e passava anche per San Martino in Colle. Quanti sacrifici per poter far sì che i giovani stessero insieme, che sorridessero, che si scambiassero esperienze nel nome di Cristo? Chi si metteva in gioco in prima persona come lui? Eppure era etichettato come semplice, a volte era deriso, preso in giro per la sua semplicità, per la sua bontà, eppure per me è stata la persona più importante di tutti, quella che, dopo i miei genitori, ha segnato di più la mia vita. Dopo la Cresima, che feci in quinta elementare, non mi diede più del tu. Per lui ormai ero una cristiana adulta e da adulta cominciò a trattarmi. Il gruppo del coro era cambiato, le ragazze più grandi negli anni ottanta si erano sposate, ed erano entrate nel nuovo coro le sorelle minori, le cugine, era cambiato anche il maestro. Ferruccio non aveva più tempo, si era avvicinato a nuove esperienze lavorative, Don Carlo si era rivolto ad un parrocchiano con cui non sempre era facile capirsi e fare gruppo. Don Carlo quindi presidiava le prove di canto e cercava di instaurare quel bel rapporto del primo gruppo. Da qui nasce un episodio indelebile per me. Mi pare nel 1990 a Sant’Andrea nel mese di agosto, c’era in programma il matrimonio di Paola Palazzetti, che chiese al coro se potessimo cantare al suo matrimonio. Naturalmente accettammo con gioia. Provammo con largo anticipo le canzoni per-

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ché il maestro del coro doveva andare in ferie. Ci accordammo per fare una prova il giorno prima del matrimonio, il maestro ci disse che per quel giorno sarebbe tornato. Telefonammo a Don Carlo il giorno delle prove e lo stesso ci disse che il maestro non era tornato, ma che sarebbe tornato la mattina seguente, quindi avremmo fatto le prove alle 9, prima del matrimonio. Arrivammo tutte puntuali, ma il maestro non c’era. Cercammo disperatamente un suo sostituto ma in due ore non riuscimmo a trovare nessuno. Paola si sposò e noi non potemmo cantare. Ero arrrabbiatissima, facemmo una figura pessima con lei e con la sua famiglia. Promisi a Don Carlo che se fosse rimasto quel maestro io non avrei più fatto parte del coro, con me si schierò anche Anna e tutte le altre del coro. La domenica dopo il maestro si presentò, nessuno andò a cantare e dopo la messa, fuori dalla chiesa lo aggredii verbalmente dicendogliene di tutti i colori. Ero arrabbiata, mi aveva fatto fare una figuraccia, non ero riuscita a mantenere il mio impegno con Paola, per me il nostro rapporto era chiuso. Due giorni dopo vidi Don Carlo con la sua 127 bianca (la Bianchina Giardinetta aveva tirato le cuoia) davanti casa che voleva parlarmi. Mi chiese di perdonare il maestro, io dissi scocciata di no! Lui insisteva, mi parlava delle difficoltà che poteva avere avuto il maestro, ai miei occhi sembrava giustificarlo, in me montava ancora di più la rabbia, ribadii che doveva scegliere fra me e lui. Vidi che il suo volto era sempre più triste, pensavo che era per il maestro, ma ad un certo punto mi disse: “Io sono sacerdote ed ho già perdonato. Tu sei cristiana, e devi essere tu a perdonare”. Erano anni che non mi dava del tu, scoppiai in un pianto, come ora che ricordo quel momento. La mia rabbia non mi aveva fatto capire che lui era triste per me e non per il maestro. Era triste perché credeva che io sapessi perdonare, ed in quel momento si trovava davanti ad un muro di gomma, un muro che non pensava di trovare. La domenica dopo, tornammo a cantare, e Don Carlo tornò a darmi del voi. In sé l’episodio è irrilevante ma quelle parole per me sono state fondamentali. Se vuoi essere cristiano devi essere tu per primo a perdonare, devi essere il primo a capire gli altri.

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L’anno dopo chiese a me ed ad Anna di diventare catechiste, i tempi erano cambiati, il catechismo nelle altre parrocchie veniva organizzato diversamente, non piu’ finalizzato al solo ricevimento del sacramento, ma diveniva un vero percorso, non poteva più farcela da solo ed allora chiese aiuto. Ci fece partecipare ad un corso che si teneva a Torgiano, conoscemmo delle vere catechiste e ci rendemmo subito conto che per noi sarebbe stato difficile. Fu l’esperienza più bella della mia vita! Lavorare con i ragazzi è bellissimo, Don Carlo stava in sacrestia e secondo me origliava, non si fidava ciecamente di noi, e faceva bene. Però ci ha sempre incoraggiato, ogni volta che gli chiedevo consiglio era disponibile in tutto, quando poi i bambini facevano la prima comunione o la cresima cominciavamo a preparare le cerimonie ed i canti, per la prima comunione faceva cantare esclusivamente i bambini. Il bello poi era quando veniva il Vescovo, non vi era nessun sacerdote che nutrisse il timore che nutriva Don Carlo per la venuta del Vescovo. Scriveva il messaggio di suo pugno, lo leggeva e rileggeva, poi lo portava in copisteria per batterlo a macchina e fotocopiarlo, era bellissimo il suo rispetto, si agitava tantissimo, tanto è vero che è stato colpito da ictus proprio alla vigilia di una visita pastorale che coincideva con il suo trasferimento in un’altra abitazione per poter avviare i lavori di ristrutturazione della sua casa. Ancora oggi quando penso alla sua morte rivivo quel dolore, quella sensazione (reale) che senza di lui nulla sarebbe stato come prima. E così è stato, nulla per me e per la nostra parrocchia è più stato come prima. Oggi so più cose, sono forse una cristiana più adulta e matura, ma quando sento di aver bisogno di qualcosa continuo a rivolgermi sempre a lui chiedendo che mi aiuti ad avere la forza di portare la mia croce. Me lo immagino vicino a Gesù che intercede per tutti noi, giustificandoci per le nostre miserie e i nostri errori.

Tiziana Bambagioni

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Don Carlo con il Vescovo Mons. Baratta e Don Rino Valigi, negli anni ‘60.

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Immagini dalla Processione del Sacro Cuore dell’agosto 1951

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Immerso per ore nel silenzio della preghiera Il giorno dell’ingresso solenne in parrocchia Don Carlo è arrivato in calesse con Francesco Fatigoni , che era andato a prenderlo per portarlo a S. Andrea D’Agliano. Con Francesco era cominciata una lunga amicizia, tanto che Don Carlo si consigliava sempre con lui nelle decisioni più importanti. Tanta era l’amicizia che li univa che andavano insieme anche a fare le cure termali a Porretta Terme – ricorda Giuliana, che li accompagnava al treno. Raccontava Francesco che anche se era in vacanza, Don Carlo ne approfittava per stare lunghe ore in preghiera, leggeva molto e rimaneva a lungo in silenzio. Anche nel mangiare era sempre moderato.

Mario e Giuliana Fatigoni

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Due immagini del terrazzo della canonica, con la famiglia di Don Carlo, nell’ottobre 1967

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Una persona che viveva per gli altri Ricordo di Don Carlo la sua prima messa in parrocchia a S. Martino Delfico, in piena guerra, perchÊ tornando a casa dove la zia Piera aveva preparato il pranzo, si sentÏ il bombardamento terrificante di Ponte S. Giovanni, durante il quale ci furono anche dei morti. Con Don Carlo ho avuto un rapporto di stima ed affetto, stavo molto a casa sua e posso testimoniare che era una persona che viveva per gli altri, generoso, tutto quello che aveva lo dava a chi chiedeva, non lasciava mai nessuno senza il suo aiuto. Viveva insieme alla zia Teresa facendo una vita molto semplice, non per avarizia, ma per vivere veramente la povertà evangelica. Sono tanti gli atti di vera elemosina che faceva, privandosi di tutto; per lui serviva solo il minimo indispensabile. Ha assistito zia Teresa fino all’ultimo come fosse una sorella perchÊ sapeva quanto era stata preziosa nella sua vita sacerdotale essendo stata ben 46 anni con lui a servizio di tutta la Chiesa. Don Carlo mi ha lasciato un ricordo luminoso e bellissimo.

Miranda Brustenghi

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Gruppo della Prima Comunione, intorno al 1955.

Don Carlo, pur essendo un prete “all’antica” riconosceva l’importanza della modernità: durante il pellegrinaggio parrocchiale a Roma del 1957, si fece tappa anche a Ciampino, per una visita all’allora principale aeroporto di Roma.

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Quel prete di campagna che volle sempre vivere con Sorella Povertà Nostra madre ama ancora raccontare, ogni qual volta se ne presenta l’occasione, di quando per la prima volta, giovane sposa, giunse a Sant’Andrea d’Agliano, proveniente da Foligno dove aveva vissuto fino ad allora. L’impressione fu gradevolissima, la reazione un po’ stupita. A colpirla piacevolmente fu soprattutto la vasta distesa di campi di grano pieni di papaveri rossi, il suono delle campane i cui rintocchi accompagnavano i vari momenti del vivere quotidiano e della fatica umana, le poche case strette attorno all’antica chiesetta. Ma fu subito la figura del parroco Don Carlo a destare la sua curiosità, in un primo momento, e la sua ammirazione, da lì a poco e per sempre. Non aveva mai conosciuto, prima di allora, un prete di campagna e men che meno un prete di campagna come lui. La sorprese la sua tonaca logora, la sua casa che definire povera le sembrò un eufemismo. Per non parlare del carattere: umile, schivo, pudìco, con quel pizzico di testardaggine nel non volersi “modernizzare” che glielo rese subito simpatico, ma sempre pronto a farsi in quattro per gli altri a costo di qualsiasi sacrificio personale. C’erano poi tanti altri aspetti della sua personalità in genere poco considerati, ma che tutti noi abbiamo sempre intuito ed apprezzato: la sua profonda cultura mai ostentata, per esempio. Ma non solo. “Il coraggio – scrive il Manzoni nei “Promessi Sposi” riferendosi a Don Abbondio – se uno non ce l’ha, non se lo può dare”. Eppure un prete vero sa tirarlo fuori al momento opportuno. Come fece Don Carlo che senza esitazioni accolse nella sua casa in piena notte chi aveva chiesto aiuto, e che lo ripagò rapinandolo di quel poco che aveva. Per quanto riguarda i nostri rapporti con questo sacerdote davvero speciale, sono molti i ricordi personali, ma ancor più

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quelli che abbiamo in comune con tanti altri parrocchiani. La quotidianità del bene da lui esercitato non ha mai avuto bisogno di tamburi e fanfare per farne risaltare la specificità, perché era rivolto con assoluta semplicità e tanto amore a tutti senza distinzioni. Ci piace soltanto sottolineare la stretta vicinanza ed il profondo affetto che legava Don Carlo alla nostra famiglia, soprattutto a nonno Netilio e a nonna Teresa, come pure alla zia Annarita e a papà Elvio. Verso di noi, i più piccoli, allora bambini e poi adolescenti, mostrò sempre grande attenzione e molta tenerezza. Frugando nella memoria vengono alla luce piccoli particolari dimenticati: la pulizia della chiesa, la raccolta di fiori, l’aiuto che non è mai mancato per organizzare feste ed eventi, il conforto dato e ricevuto, e tanti altri episodi di cui siamo stati protagonisti o testimoni. Papà ne rammenta soprattutto due, che possono dare un’idea del temperamento di Don Carlo e del legame speciale che lo univa ai genitori. I quali, quando ancora abitavano per lavoro a Villa Spinola, avevano affidato a un cane il delicato compito di intermediario per commissioni varie o scambio di notizie tra loro ed il figlio parroco, e che per questo motivo faceva la spola, ogni giorno, tra la villa e Sant’Andrea. Munito di una borsa intorno al collo, l’intelligente animale assolveva mirabilmente allo scopo, girando alla larga dalle abitazioni ogni volta che scorgeva qualcuno fuori dalla porta o nelle immediate vicinanze per paura che gli rubassero quanto da lui custodito. Nostro padre che all’epoca frequentava la Villa essendo molto amico di Damiano, il figlio del marchese Spinola, ricorda anche che nei vialetti del parco incontravano spesso Don Carlo così intento a leggere il Breviario, da non accorgersi nemmeno della pur rumorosa presenza dei due bambini. C’è sempre stata comunque tra noi e la parrocchia di Sant’Andrea – e tanto più lo fu ai tempi di Don Carlo, molto più “longevo” nel suo incarico dei parroci che si sono via via succeduti – la consuetudine di una sorta di passaggio del testimone di generazione in generazione. La funzione di “campanaro” – appannaggio del trisavolo Luigi e dei nonni Liberato e Netilio fino all’elettrificazione delle campane – come quella di “chierichetto” durante la

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celebrazione della S. Messa e di “angioletto” in occasione delle processioni solenni, hanno visto impegnati rispettivamente tutti i maschi e le femmine della famiglia. Ora, però, che si è andato via via sbiadendo il trionfo dei papaveri in fiore, che le campane hanno un suono diverso, che la chiesa è stata restaurata e la casa parrocchiale ha cambiato aspetto e così in parte anche il paese; ora, soprattutto, che Don Carlo non c’è più, pur se ormai da tanti anni, sentiamo, insieme al rammarico del tempo che passa, la nostalgia delle persone che ci hanno lasciato per sempre e perfino delle cose che le circondavano e facevano parte della loro esistenza. Lo stesso senso di vuoto che assale molte famiglie patriarcali, abituate da sempre a condividere gioie e dolori, quando i suoi componenti si dividono per formare nuovi nuclei familiari, colpisce pure la nostra famiglia parrocchiale da quando ha perduto quella irripetibile stagione. Usanze e costumi cambiano, molti legami si sciolgono, numerose persone sono andate per la loro strada. La vita, oggi, continua anche senza Don Carlo. Ma non è più la stessa.

Melania e Danilo Nardoni

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Don Carlo celebra il matrimonio tra Rolando Trequattrini e Giannina Nardoni, alla fine degli anni ’40.

Pellegrinaggio a Roccaporena e Cascia, 27 settembre 1958

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Un “Corpus Domini”…indimenticabile Quando il Corpus Domini era ancora di giovedì, si festeggiava solennemente in processione con il S.S. Sacramento, fino a casa Fatigoni (la mia casa), che era addobbata con stendardi e fiori alle finestre e un altare sul quale si celebrava la Messa solenne, con le ragazze del coro che accompagnavano il canto di tutta la gente. Il S.S. Sacramento era preceduto dai bambini della Prima Comunione vestiti di bianco che spargevano petali di rose; c’erano tutti gli stendardi e il quadro della Madonna di Pompei portato dalla ragazza che si sarebbe sposata durante l’anno. Mentre si svolgeva la processione, nella piazza della chiesa Netilio e Teresa Nardoni, aiutati da Teresa Brustenghi, facevano l’ “infiorata”, un grande cerchio che rappresentava il tema eucaristico; era ogni anno più bello e ricco di colori, poteva gareggiare con l’infiorata di Spello: un vero capolavoro e Netilio un vero artista. C’era una grande partecipazione di tutta la parrocchia. Ricordo con affetto il mio babbo Alessandro, quando accompagnava Don Carlo con il calesse per le benedizioni pasquali in tutte le case, che a quel tempo si benedicevano ambiente per ambiente; all’ora di pranzo si fermavano presso la famiglia dove si trovavano e mangiavano insieme. Ricordo infine il nonno Davide che non mancava mai alle funzioni del mese di maggio e a tutti i tridui e novene. Qualsiasi lavoro stesse facendo nei campi, lasciava tutto e andava in chiesa; è un insegnamento che mi è rimasto come regola di vita ancora oggi.

Maria Fatigoni

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Traino del carro del Sacro Cuore durante la processione nel 75째 anniversario

La chiesa di S. Andrea illuminata a festa, nel 1976

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Attento alle necessità della Chiesa e del suo popolo Intorno alla metà degli anni ’50 Don Carlo aveva incaricato alcune signore della parrocchia, tra cui la mia mamma, di raccogliere offerte per il Seminario: si chiamavano le “Zelatrici del Seminario”. Al tempo della mietitura le Zelatrici andavano dai contadini, i quali donavano loro sacchetti di grano che venivano poi portati al Mulino di Fringuelli, per essere scambiati con farina o denaro, che Vittore, il proprietario, arrotondava sempre abbondantemente per eccesso. Il giorno dell’inaugurazione del nuovo Seminario diocesano di Monte Morcino (ora la struttura Mater Gratiae), un bel gruppo di persone della parrocchia andò insieme a Don Carlo alla festa, prendendo un autobus fino a Piazza Partigiani e poi a piedi fino a Monte Morcino. Don Carlo teneva molto al fatto che la parrocchia fosse partecipe della vita della Diocesi e della Chiesa tutta. Quando c’era un problema, radunava la gente della parrocchia in preghiera, faceva un triduo, cioè tre serate di preghiera, per affidare a Dio la richiesta. Adriana Maiarelli Nel 1976 a S. Andrea è nato il Circolo Acli e nel 1989 è iniziata la “Sagra della Rucola”, fissata in coincidenza con la festa della Madonna di Pompei, l’ultima domenica di agosto. Agli inizi la festa durava tre giorni e prima di aprire gli stand si celebrava la S. Messa. Don Carlo era attento a tutto, ma per il suo modo schivo e riservato non stava in mezzo alla gente. Si interessava, voleva sapere se tutto andava bene, ma rimaneva fuori dalla confusione. All’ora di cena gli portavano un po’ di quelle cose buone da mangiare ed era tanto contento che non finiva mai di ringraziare. Adriano Brozzi e Roberto Cenci

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Sopra, la gita a Livorno, nel 1958. Sotto, gli animatori delle gite parrocchiali, Padre Eugenio e Gino Pensi

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Sempre pronto all’ascolto Che gioia poter raccontare il lungo periodo trascorso accanto a Don Carlo. Posso dire che ho passato più tempo in chiesa che a casa, come dicevano per scherzo i miei nepoti. Non mancavo mai ad una funzione o Messa. Come sentivo suonare le campane, partivo con la mia bicicletta Legnano (abitavo un po’ lontano dalla chiesa) e correvo a pregare. Per me la preghiera è stato il motore che ha dato forza alla mia vita. Ho vissuto in famiglia con le mie sorelle, i miei fratelli, le cognate e i nepoti, eravamo una famiglia numerosa e non è mancato un grande dolore: la perdita di Alfredo, 19 anni, in un incidente stradale. È stato in coma molti giorni e tutta la parrocchia con Don Carlo si è riunita in preghiera per tre sere, ma la Madonna lo ha voluto con sé. Don Carlo è stato sempre presente, soffriva insieme a noi, perché era molto sensibile e per lui i parrocchiani erano la sua grande famiglia. Don Carlo era il mio confessore e direttore spirituale, con lui potevo parlare a cuore aperto, perché trovavo sempre il suo pronto ad ascoltare. Qualche volta era lui a chiedermi consigli, ad esempio su come fare la celebrazione, su come aggiustare i fiori, chiedeva il mio parere. Quando c’era da dire il Rosario e capitava che dovesse assentarsi per qualche necessità dei parrocchiani, Don Carlo lo faceva recitare a me; erano sempre assenze ben motivate, come accorrere al capezzale di un malato grave per portare l’olio degli infermi (perché una volta il prete si chiamava quando il malato era cosciente, non come oggi, che si chiama il prete quando il malato è già morto). In Quaresima si faceva la Via Crucis due volte la settimana, il venerdì e la domenica. Al venerdì, negli ultimi tempi – quando ormai la gente andava a lavorare fuori nei giorni feriali – c’erano solo 2 o 3 persone, io, Annetta Schippa, Teresa e raramente qualcun altro, così chiedevo a Don Carlo: “Facciamo la Via Crucis lo

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stesso?” e lui rispondeva: “Certo, non ci lasciamo scoraggiare, anzi preghiamo ancora più intensamente anche per quelli che non sono potuti o non sono voluti venire”. Sono tante le cose che potrei raccontare di Don Carlo, per esempio dei bei pellegrinaggi che abbiamo fatto o dei bravi predicatori che faceva venire in occasione delle feste e che attiravano in chiesa tanta gente. Ringrazio Dio che mi ha messo vicino un prete buono e comprensivo, con una forte carica spirituale e una totale devozione alla Madonna. Con il suo esempio, anche io non ho mai trascurato il Rosario e le devozioni mariane, tanto che alla mia tarda età sono stata a Lourdes, che è un luogo che attira in modo straordinario e per questo – anche se sono quasi del tutto cieca – ci sono stata tre volte. Grazie, Don Carlo. Maria Ciribifera

Santino dell’immagine della Madonna del Rosario venerata nella chiesa di S. Andrea, 1952

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Apprezzato anche dai non parrocchiani Con molta lealtà e stima posso parlare di Don Carlo, una persona molto amata e apprezzata non solo da quelli della sua parrocchia, ma da tutti quelli che hanno avuto la fortuna di avvicinarlo. Nella mia parrocchia di S. Angelo di Celle Don Carlo era quasi di casa, perché grande amico del parroco Don Sergio Rossi. Don Sergio e Don Carlo erano come fratelli, si volevano molto bene e quasi si completavano a vicenda, tanto era espansivo, comunicativo, intraprendente l’uno e mite, semplice, umile – ma con una grande forza interiore che comunicava anche solo con lo sguardo – l’altro: Don Sergio diceva: “Io devo stare sempre vicino a te, così mi santifichi” ed era vero, perché trasmetteva energia spirituale in tutto. Don Carlo veniva spesso a S. Angelo per le cerimonie importanti, le Quarant’ore (che allora erano di 4 giorni e lui, se poteva, rimaneva anche a dormire) e per tutte le feste, per le Comunioni e le Cresime. Rimaneva in confessionale intere mattinate (allora ai confessionali c’era la fila, non come oggi che ci si comunica sempre, mentre la confessione si fa di rado). Come confessore Don Carlo era infatti molto apprezzato da tutti, anche le comunità delle Suore Pastorelle di S. Angelo e di S. Martino in Campo lo avevano come confessore. Ho sentito tante volte Don Sergio raccomandare a sua sorella Wandina di fare attenzione che Don Carlo mangiasse, perché lui era capace di saltare la colazione quando era in confessionale. Erano preoccupati perché in effetti Don Carlo mangiava pochissimo – sicuramente per disciplina corporale – non solo in Quaresima con i digiuni, ma sempre rispettava una certa sobrietà. Anna Vannoni Lucarini

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Gruppo Aspiranti di Azione Cattolica davanti alla chiesa, 23 febbraio 1958

Gruppo di Delegate donne di Azione Cattolica, 30 maggio 1954

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Una scelta di amore e sofferenza Nel 1991 dopo un brutto incidente nostro figlio rimase in coma per 24 ore. Nella disperazione di noi genitori c’era sempre presente Don Carlo, sia fisicamente che nella preghiera. Lo ricordo in ospedale, appoggiato in fondo al letto con la testa tra le mani, che piangeva e pregava; non c’era giorno in cui non venisse a trascorrere qualche ora in nostra compagnia e questo era per noi di grande consolazione. Quando il caso, per Grazia di Dio, si è risolto e il ragazzo è tornato a casa, Don Carlo non mancava mai di interessarsi e veniva continuamente a trovarlo. I medici ci dicevano che dovevamo ringraziare Dio, se avevamo fede, perché il caso si era miracolosamente risolto senza lasciare conseguenze. Con tutto l’impeto che può avere una madre in questi casi, acquistai un fascio di fiori da portare alla Madonna di Pompei e pregai Don Carlo di ringraziare il Signore insieme a noi. Era una sera di gennaio, molto fredda, e appena entrata in casa di Don Carlo ho avuto subito l’impressione di trovarmi davanti a San Francesco; era un periodo difficile per Don Carlo, perché non c’era più la cugina Teresa e lui era solo in casa, il fuoco spento, l’ambiente scarsamente illuminato, faceva tanto freddo e lui aveva le mani piene di geloni. Ma era chiaro che era una scelta consapevole di povertà e sofferenza: chiesi se dovevo accendergli il fuoco o il riscaldamento, ma lui mi rispose che anche Gesù aveva sofferto il freddo. Non potrò mai dimenticare questo sacerdote così disponibile e buono. Rita e Angiolino Fatigoni

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Giovani immortalati durante la gita parrocchiale a Firenze, Pisa e Livorno, 1958

La cugina di Don Carlo, Teresa, con la nipote Rina, 1962

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A chi bussava alla sua porta veniva sempre aperto Parlare di Don Carlo Brustenghi non è cosa facile. Uomo di forte fede, di grande carità cristiana, umile, altruista, caritatevole al massimo, anche sopra le sue possibilità finanziarie. Viveva a Villa Spinola (proprietà dei marchesi Spinola). Luigi il papà, la mamma Piera e un fratello, Mario, più piccolo, maestro elementare. Qui Don Carlo trascorre la sua fanciullezza. Studiare, passeggiare, qualche volta infastidire i nidi degli uccelli sugli alberi e prendere le lepri con qualche colpo di fucile. Voleva studiare, l’unico modo comodo era il Seminario ad Assisi. Erano tempi brutti, movimenti di guerra e pane razionato. Ma quando arrivava papà Luigi c’era sempre un po’ di più, ma lui ne faceva parte anche ai suoi compagni. In Seminario decide di farsi sacerdote e gli viene assegnata una piccola parrocchia, S. Andrea D’Agliano, a pochi chilometri da Perugia. Con lui si trasferisce la cugina Teresa (maggiore di 14 anni). Essendo rimasta vedova molto giovane trova in casa del cugino sacerdote il rifiorire di una nuova famiglia. Essa, molto attiva, era ben voluta da tutti, ma era anche autoritaria. Per Don carlo andava tutto bene, sia per la casa, quanto per l’ordine in chiesa. In questa parrocchia molti bussano alla porta, per consigli o per chiedere opere di carità. Un fatto per conoscere bene Don Carlo è questo. Un uomo chiede aiuto ma soprattutto ha bisogno di un paio di pantaloni. Senza esitare Don Carlo si toglie quelli che porta (erano i migliori) e ne fa dono all’interessato. Sale poi in casa e chiede alla cugina Teresa, se poteva rammendare alla meglio i pantaloni rimasti (rotti e scartati); al che Teresa, con tono di rimprovero (perché era facile nell’esprimersi): “Ma Don Carlo, come posso che sono tutti rotti?”. E lui, con il suo dolce sorriso le risponde: “Non importa, tanto sopra ho la tonaca, non si vedono”.

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Andava spesso a Perugia per commissioni, ma spesso capitava che rientrando trovava un suo parrocchiano che lo informava che aveva bisogno urgente di medicine (perché in quel periodo solo il prete aveva la macchina). Anche se era già pronto il pranzo, il bravo prete girava la macchina e via ad aiutare chi aveva bisogno, mentre Teresa sbuffando diceva: “Sei un bravo prete, ma anche un c…..” e lui ne rideva divertito. Gli anni passano e non mancano dispiaceri. Il fratello Mario si ammala di male incurabile, lasciando due nepoti, Tina e Pier Luigi, dallo zio tanto amati. Poi mamma e papà, oramai anziani lasciano Villa Spinola e si ritirano in parrocchia. Dopo poco anche il papà muore. In casa con la mamma Piera e la cugina Teresa prosegue la vita. Ma gli anni pesano e passano e Don Carlo resta solo, la mamma e la cugina sono rimaste solo nelle sue preghiere. Con forza affronta la vita, ma ancora una brutta esperienza lo attende. Bussano alla porta, è solo, due uomini e una donna chiedono di parlargli, era notte. Sorpresa: sono esseri in cerca di danari. Don Carlo estrae dalla tasca il suo povero portafogli; contiene circa 180 mila lire (oggi 9o euro). Non sono sicuri di quanto dice questo prete di campagna. La donna come un’arpia apre cassetti e incomincia a rovesciare tutto, lenzuola, federe, salviette, ecc. Ma i soldi non ci sono. Delusi partono e al povero Don Carlo non resta, oltre alla paura, che riordinare il tutto. Perché è solo. “La paura è stata grande ma Dio era con me”. Questa la sua semplice conclusione.

Rina Burattini

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Insieme ai giovani la timidezza si scioglieva come neve al sole Nei primi anni ’70 avevamo formato un bel coro di giovani. Eravamo aiutate da Angelo Rosso, un laico impegnato, originario di Padova e che aveva a Perugia un negozio di articoli sacri; in quanto musicista amatoriale e buon organista, aiutava diversi sacerdoti con l’animazione musicale e stava spesso a S. Andrea. Angelo Rosso suonava l’organo della parrocchia, quello che si trovava sopra la porta della chiesa e che veniva usato molto raramente (noi stesse lo sentimmo suonare per la prima volta proprio da Angelo). Il coro era anche un’occasione per stare insieme. La domenica pomeriggio, ad esempio, ci ritrovavamo in parrocchia per stare insieme e Don Carlo era molto contento, era un momento di divertimento, di scherzi, di risate alle quali lo stesso Don Carlo non si sottraeva, anzi mostrava spirito e partecipazione; qualche volta, alle più grandi di noi offriva addirittura le sigarette, mentre non è dato sapere se anche lui fumasse o meno, nessuna di noi lo ha mai visto farlo. Eravamo un gruppo molto attivo, qualsiasi lavoro ci fosse da fare eravamo contente di impegnarci: il presepe, la preparazione delle feste, etc. Don Carlo era gelosissimo di tutto, era testardo, ma noi, alla fine, riuscivamo a convincerlo a fare come volevamo noi. Almeno una volta all’anno ci portava a mangiare la pizza a “Le Querce” e sembrava una persona diversa, allegro e gioioso, non riservato e timido come appariva. Le ragazze del coro: Doriana, Fiorella, Simonetta

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Le ragazze del coro parrocchiale, negli anni ‘70, insieme al Maestro Angelo Rosso

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Don Carlo, il “mio” prete Don Carlo è stato il parroco della mia infanzia e il ricordo che ne ho è quello di una persona semplice e genuina, che parlava con tutti, anche con chi non era proprio filo-clericale. Si può dire che era il classico prete di campagna, sempre vestito con la sua tonaca fino alle caviglie, con il berretto “d’ordinanza” e, quando serviva, il cappotto con la sciarpa al collo; tutto rigorosamente nero, tanto che ancora adesso mi domando come facesse a sopravvivere durante l’estate. Era un prete molto attaccato alle regole del suo Esercizio Sacerdotale; cercava sempre di rispettare gli impegni con i parrocchiani, gli orari delle funzioni e delle messe, usava fare visita agli anziani e ai malati. Ma quello che rammento maggiormente era il rapporto che aveva con i ragazzi e i bambini. Non ricordo episodi particolari, anche perché lo stare con lui era sempre all’insegna della pace e della serenità, ma ricordo bene quando, la domenica, io e i miei coetanei andavamo in chiesa e lui ci veniva a cercare per farci servire la Messa e leggere le Letture. Magari noi cercavamo di nasconderci, ma era difficile sfuggirgli, così ci toccava obbedire. Però, dopo la celebrazione non mancava mai di farci un regalino, sotto forma di una moneta da 50 lire, che diventavano 100 in occasione di cerimonie come matrimoni, cresime o funerali. Qualche altra volta ci portava con la sua mitica Giardinetta bianca (con la quale usava trasportare di tutto) in qualche breve gita a Monte Morcino o Monte Malbe. Ricordo anche quando si andava a fare le benedizioni pasquali e si macinavano chilometri girando a piedi casa per casa, oppure il catechismo, durante il quale un nostro compagno un po’ più ribelle degli altri cercava spesso di fargli perdere la pazienza; io penso però che Don Carlo facesse solo finta di arrabbiarsi, ci voleva troppo perché potesse accadere veramente. Ricordo di aver passato giornate intere con lui, soprattutto

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quando era estate e le scuole erano chiuse, e per me erano sempre momenti lieti; poi sono cresciuto e la vita mi ha portato un po’ lontano da lui. Ma io lo ricorderò sempre come il “mio prete”.

Stefano Ercolani

Don Carlo con la sua inseparabile sciarpa nera al collo, nella foto di una Prima Comunione alla fine degli anni ‘60

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Una guida nelle devozioni e nella carità Il ricordo di Don Carlo è a me ancora molto vicino perchè è stato il parroco che ha accompagnato e guidato me e la mia famiglia per un lungo tratto delle nostre vite. La sua figura era discreta e umile e con umiltà si rivolgeva sempre a noi parrocchiani. Parlava con semplicità e aveva sempre una parola di conforto per chi andava da lui a chiedergli un consiglio. Era una persona benevola e caritatevole e sollecitava spesso i fedeli ad adoperarsi nelle opere pie; diceva infatti che sarebbe stato nella grazia di Dio chi avesse rinunciato alle cose superflue per aiutare le persone più bisognose e in difficoltà. Un ricordo legato a Don Carlo è quello della celebrazione della S. Messa del primo venerdì del mese; questa pia pratica, infatti, da seguire per nove mesi consecutivi per ottenere il perdono e la salvezza dell’anima, è stata introdotta nella nostra parrocchia di Sant’Andrea d’Agliano proprio da lui. Don Carlo celebrava l’Eucaristia ogni primo venerdì del mese per tutti i parrocchiani che intendevano seguire questa devozione, la quale era particolarmente sentita, considerata la partecipazione di molti fedeli.

Teresa Goretti

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L’altare della chiesa di S. Andrea D’Agliano negli anni ’60 prima delle modifiche post-conciliari

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Un amore speciale per le feste liturgiche Don Carlo è stato il primo parroco che ho conosciuto. Aveva una grande fede. Nella sua riservatezza e rispetto per gli altri si percepiva l’amore per Dio e per la Chiesa. Ricordo che quando incontrava i parrocchiani alzava sempre la mano in segno di saluto, anche quando era in macchina. Fin da bambina mi ha insegnato il catechismo e mi ha indirizzato alle adunanze dell’Azione Cattolica sin da quando avevo sette anni. Don Carlo aveva una particolare attenzione per tutte le feste liturgiche, che di solito faceva precedere da un triduo di preparazione. Le feste più importanti erano sentite da tutte le famiglie della Parrocchia e Don Carlo le celebrava con solennità e le accompagnava con processioni, contribuendo così a mantenere salde le tradizioni della nostra fede, come in occasione del Corpus Domini, della festa del patrono S. Eusebio o della festa della Madonna del Rosario di Pompei. Tra le feste più sentite dai parrochiani c’erano le Quarant’ore, che si celebravano nel mese di febbraio. Don Carlo esponeva il S.S. Sacramento ininterrottamente per tre giorni e tutte le famiglie della parrocchia si recavano a turno in Chiesa per l’adorazione. Ricordo anche le celebrazioni durante il periodo della Quaresima, che culminavano con la Via Crucis e con il Triduo Pasquale. Un ricordo molto vivo della mia infanzia è legato alle celebrazioni della Quaresima: nel 1960, mentre tornavo a casa con le zie dalla funzione delle Ceneri celebrata da Don Carlo, c’è stata l’eclissi solare, un fatto, per me ancora bambina, insolito e straordinario. Ricordo poi che prima dell’Ascensione Don Carlo celebrava le cosiddette Rogazioni, tre giorni di preghiera e processioni nelle strade delle nostre campagne, che terminavano con una lunghis-

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sima processione per tutto il paese il giorno dell’Ascensione. Per questa occasione tutte le famiglie preparavano ghirlande di fiori e le esponevano fuori dalle proprie case per accogliere i fedeli in preghiera che sfilavano. Nel mese di maggio, dedicato alla Madonna, Don Carlo celebrava quotidianamente il Rosario in chiesa con i parrocchiani, che erano sempre numerosi e partecipavano con devozione. La Madonna era particolarmente venerata anche in occasione della festa della Madonna del Rosario di Pompei, ricorrenza che richiamava davvero tutti i parrocchiani e che, seppure nel calendario si festeggia in un altro periodo dell’anno, a Sant’Andrea d’Agliano veniva tradizionalmente celebrata l’ultima domenica di agosto, in occasione dell’anniversario dell’arrivo in parrocchia del quadro a Lei dedicato. L’immagine della Madonna del Rosario di Pompei, che si trova ancora in una delle nicchie laterali nella nostra chiesa, veniva adorata e portata in processione. La domenica successiva a quella della festa della Madonna del Rosario si adorava, sempre con una processione solenne, il Sacro Cuore di Gesù, la bellissima statua ora collocata nella cappellina dietro l’altare della chiesa. Oltre a quelle appena ricordate, molte altre sono le celebrazioni liturgiche che mi riportano alla mente la figura di Don Carlo e che riaccendono in me la memoria di tradizioni religiose che oggi stanno scomparendo.

Maria Rita Ercolani

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Consacrato al servizio degli uomini, a immagine di Dio Di Don Carlo Brustenghi, parroco molto amato da tutti i suoi parrocchiani, persona molto colta ed umile, ricordo due episodi. Durante il catechismo di mia figlia, nel lontano 1982, lui ripeteva molto spesso: “Studiate figlioli, perché alla fine di questo ciclo di catechismo, a Dio piacendo, sarete giudicati dalla bilancia di San Michele e non si sa da quale parte penderà”. Il secondo episodio avvenne nell’aprile 1986, in occasione delle nozze d’oro dei miei suoceri Sante e Giuseppa Romani. Essi vollero regalare alla chiesa una tovaglia per l’altare, che viene usata tuttora per celebrare la S. Messa. Io e Don Carlo andammo in centro a Perugia per scegliere un bordo da applicare alla tovaglia e lui, per paura di farmi spendere troppo, scelse quello più economico che il negozio aveva, ma io non fui d’accordo e ne comprai uno molto più pregiato, con rifiniture in oro. Don Carlo rimase sbigottito e non smetteva di ringraziarmi: questo può far capire quanto fosse parsimonioso e com’era profonda la sua umiltà e semplicità. Con la sua grazia, il suo modo dolce di parlare e presentarsi dava proprio l’idea che portasse con sé Dio e che lo amasse veramente in ogni cosa che faceva. Insomma ricordiamo Don Carlo come un uomo di vera fede, consacrato al servizio degli uomini e, quindi, immagine di Dio. L’unico rammarico dei parrocchiani è stato quello di vederlo andarsene troppo presto. Don Carlo è arrivato al suo traguardo nonostante la sua corsa non fosse ancora finita… . Ma Dio aveva certamente tanto bisogno di lui e della sua bontà.

Rita Romani

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Don Carlo e la sua immancabile tonaca nera, anche in piena estate. Porto di Livorno, 1958

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Ma quanto ci metterà la mattina ad allacciarli tutti? Ricordo che quando frequentavo le scuole elementari Don Carlo veniva una volta la settimana a farci un’ora di religione. Entrava con il Breviario nella mano, sempre piena di cerotti per coprire i geloni, appoggiata al petto e, mentre attraversava l’aula dal fondo fino alla cattedra, faceva il segno della croce e recitava il Padre Nostro. Percorreva quei pochi metri a passo svelto e da sotto la lunga tonaca nera spuntavano le scarpe ed i calzini scuri e io, nella mia mente di bambina, mi domandavo sempre: “Ma visto che non ha i pantaloni, porterà le mutande o i mutandoni?!?”. E, ragionando sulla lunga fila di bottoni ricoperti di stoffa nera che scorrevano sulla sua veste dal collarino bianco fino ai piedi mi chiedevo: “Ma quanto ci metterà tutte le mattine ad allacciarli e tutte le sere a sbottonarli?!?”. Ricordo, poi, che ogni anno veniva a casa per la benedizione pasquale, con la veste nera, la mantellina bianca sulle spalle, la sciarpa di lana nera al collo e la berretta copricapo a tre angoli. Entrava, ci salutava dandoci la mano in quel suo modo curioso, lasciandola scivolare senza stringerla e, dopo la benedizione, si metteva a parlare con mio nonno dei tempi passati e di qualunque argomento si parlasse ripeteva la sua celebre frase “V’ricordate Don Didimo?”… “A Dio piacendo”.

Alessia Romani

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Ingresso solenne in chiesa: si noti, a sinistra, il coro delle ragazze della parrocchia, con il Maestro Angelo Rosso all’armonium.

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Grazie per il grande dono della preghiera e dell’accettazione Ho conosciuto Don Carlo dopo che mi sono sposata, venivo da un’altra parrocchia ma subito mi è entrato nel cuore, rivedevo in lui il mio vecchio sacerdote di quando ero ragazzina, con il quale avevo fatto i sacramenti, solo che ora ero grande e Don Carlo a volte mi spiazzava. Mi ricordo che portavo in chiesa dei fiori, soprattutto garofani, perché erano i fiori che Don Carlo preferiva forse perchè era più facile disporli nei vasi o forse perchè gli piacevano i fiori semplici, semplici come lui. Una volta mi offrii di aiutarlo ad aggiustarli, ma lui mi rispose subito di no, che li avrebbe aggiustati da solo. Lì per lì ci rimasi un po’ male, ma come, gli avevo donato dei fiori, volevo donargli il mio tempo e lui diceva di no? In seguito riflettendoci su e conoscendolo meglio mi resi conto che lui era geloso della chiesa, voleva fare tutto lui, aveva sempre paura che se qualcuno toccava le sue cose, gli si potessero rompere, e poi era innamorato della sua Chiesa, voleva sempre essere lui a sistemarla, ma non per egoismo perché lui si era totalmente donato ad essa. La domenica, quando avevo bisogno di confessarmi, partivo presto da casa e spesso lo trovavo a disporre i fiori nei vasi, a quel punto mi chiedeva per piacere di guardare se i fiori erano ben sistemati. Era uno spettacolo vederlo affaccendarsi prima di una messa, era un tipo molto meticoloso e teneva molto anche alla forma! Oggi non sempre è così. Accadde una volta che un mio nipote si ammalò e venni avvertita che lo avrebbero operato, ero preoccupatissima, erano le prime operazioni al midollo che il Prof. Martelli faceva a Perugia, quando venne il giorno dell’operazione non riuscii a stare da sola in casa, uscii subito ed andai in chiesa. Don Carlo mi accolse, mi tranquillizzò, accesi delle candele alla Madonna e Don Carlo si sedette a fianco a me e cominciammo a pregare. In effetti era l’unica

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cosa che si poteva fare: chiedere a una Madre di intercedere per un figlio e Don Carlo mi aiutò subito. Nel 1991 si ammalò, invece, un mio carissimo cugino, eravamo cresciuti insieme, avevamo condiviso la nostra gioventù, gli volevo bene. Un bruttissimo giorno mi chiamarono dall’ospedale avvertendomi del fatto che ormai non c’era più nulla da sperare. Ero disperata, chiamai subito Don Carlo e sfogandomi gli chiesi di dire una messa affinchè Dio ci desse la forza della consolazione, lui mi rispose di sì, ricordandomi che però saremmo stati solo noi due, non avendolo ricordato in chiesa, mi chiese se ero convinta di ciò, ma poi vedendo la mia disperazione e il mio dolore disse: “La preghiera sicuramente darà forza e coraggio, chiedere con fede non è mai sbagliato”. Don Carlo aveva il grande dono di stare vicino alle persone con discrezione, con semplicità e con grande fede, ho tanti bei ricordi di lui, ripenso spesso a lui, sento che ha lasciato qualcosa nella mia vita, soprattutto mi ha lasciato il grande dono della preghiera e dell’accettazione.

Bruna Nicoletti

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Nozze Alunni-Proietti (21 ottobre 1973) Grazie di aver organizzato questo libro. Don Carlo merita di essere ricordato perchĂŠ era molto umile, sempre assieme alla gente che lavora e aperto a tutti senza distinzioni, amava i suoi parrocchiani ed il suo impegno di sacerdote. Un affettuoso ricordo da Stefano Alunni, qui nel giorno del suo matrimonio con Luciana Proietti, purtroppo prematuramente scomparsa.

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I ricordi dell’infanzia non si cancellano Il mio ricordo di Don Carlo Brustenghi risale a circa 60 anni fa. Frequentavo la quarta elementare nella scuola di Madonna del Piano insieme al mio amico e compagno di giochi Elvio Nardoni, che abitava con la famiglia a Sant’Andrea d’Agliano, di cui Don Carlo era parroco. Tutte le mattine scendevo da San Martinello ed incontravo Elvio a Sant’Andrea per proseguire per la scuola. La strada era a quel tempo poco più di un viottolo che si allargava all’altezza della piazza che fungeva da sagrato della piccola chiesa, e dove nei giorni di festa passava una processione. La domenica facevo il chierichetto insieme ad Elvio durante la S.Messa celebrata da Don Carlo, di cui rammento con nostalgia ed affetto le grandi qualità, tra cui la profonda umanità, l’umiltà e la serenità che mai l’abbandonava, anche nei momenti più difficili. Con lui il mio pensiero va a tutta la famiglia Brustenghi che fu per un lungo periodo molto vicina alla mia. In particolare al fratello di Don Carlo, Mario, prematuramente scomparso. Tanti anni sono trascorsi da allora, da quando, ancora bambino, ho lasciato quei luoghi, ma la figura di questo sacerdote ha sempre rappresentato per me un solido punto di riferimento. Tanto che quando tornavo in Italia, proveniente da Paesi molto lontani, ogni tanto venivo appositamente da quelle parti per la gioia di poterlo salutare e rivivere insieme a lui tanti bei momenti mai dimenticati. Con Elvio ci sentiamo ancora e ci siamo anche rivisti a Sant’Andrea. Il tempo è passato per tutti, ma certi ricordi della nostra infanzia non si cancellano. Sono ricordi legati all’età della spensieratezza, e quindi sicuramente più autentici, quelli che ho di questa terra in cui i miei genitori riposano per sempre, e perciò a me ancora più cara. Damiano Spinola

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Fonte Battesimale donato alla chiesa di Sant’Andrea intorno al 1950 dal marchese Luigi Spinola, in memoria del figlio Gianluca morto in guerra.

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Con la sua fede siamo diventati una Comunità Anche dopo tanti anni, ricordare il proprio parroco dell’infanzia e della giovinezza suscita un sentimento di gioia e riconoscenza, se pur misto a nostalgia. Tutto questo ho provato quando mi è stato chiesto di scrivere qualche ricordo di Don Carlo. Prima di tutto sento di dover riconoscere che lui è stata la persona che, dopo i miei genitori e altri della mia famiglia, ha più profondamente inciso nella mia formazione cristiana ed umana. E questo credo possano dirlo anche tutte le persone che, nella piccola parrocchia di S. Andrea sono nate, cresciute ed hanno vissuto, seguendo gli insegnamenti e soprattutto l’esempio di Don Carlo. Soffermandomi nel ricordo, appare però anche un’altra persona che ha contribuito a dare una salda impronta formativa a noi giovani di quell’epoca: il maestro elementare Mario Brustenghi, fratello di Don Carlo, che, assieme alla maestra Bonfiglioli, ha retto la scuola elementare di S.Andrea per molti anni. Due insegnanti che si sono presi cura dei loro alunni sotto tutti gli aspetti: l’insegnamento delle materie scolastiche era importante, ma lo era altrettanto insegnarci le norme fondamentali del vivere civile, cosa che essi hanno fatto con passione, nel convincimento che i ragazzi che uscivano da quella scuola dovevano soprattutto essere persone oneste, corrette, educate e pronte per affrontare nuove scuole (pochi) o il mondo dell’apprendistato e del lavoro. Ancora oggi sono vive nella mia memoria queste figure ed in particolare quella di Don Carlo, umile e semplice parroco di campagna, ma saldamente radicato nella Fede e nell’Amore per la sua vocazione di sacerdote e pastore. Vocazione vissuta ed esercitata fino in fondo e che lo ha reso capace di fare, di una piccola parrocchia di campagna, una comunità cristiana viva ed attiva. Negli anni ’50 e ’60, quando ancora pochi erano i mezzi di comunicazione, la vita nelle famiglie era scandita, per la parte pra-

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tica, dal susseguirsi delle stagioni con tutti gli aspetti onerosi e piacevoli ad esse legati, per la parte spirituale e religiosa da tanti momenti di aggregazione nella parrocchia, dove i riti religiosi non erano semplici tradizioni, ma vive liturgie ricche di segni. Nel rispetto delle antiche tradizioni sapeva anche portare elementi di modernità. Ci faceva vivere l’anno liturgico, dall’Avvento alla Festa della Madonna in agosto, senza nulla trascurare e sempre con la festosità che ogni celebrazione richiedeva: quanti ricordi della chiesa inondata dalle luci delle candele, dal profumo dell’incenso e dal suono dell’organo! Don Carlo ha saputo farci amare la preghiera comunitaria, il rosario nel mese mariano, la Via Crucis in Quaresima, l’Adorazione Eucaristica durante le Quarant’ore, le novene, le Messe domenicali sempre animate dal canto che lui (stonato come una campana) amava molto e curava con passione – ci ripeteva infatti di continuo la frase di S. Agostino: ”chi canta prega due volte”. Formò anche un piccolo coro a più voci, curato da Don Sergio (ma gli spartiti e i canti li procurava Don Carlo stesso), lanciandoci anche nell’impresa della Messa a Due Voci di Haller e noi ragazze, una volta riuscite ad impararla alla perfezione alla scuola severa di Don Sergio, eravamo molto orgogliose di esibirci nelle Messe più solenni e credo che Don Carlo provasse molta gioia nel suo cuore ascoltando la nostra melodia mentre celebrava. Un fiore all’occhiello della sua attività Pastorale è stata la formazione dei gruppi di Azione Cattolica. C’erano tutte le sezioni, dalle Beniamine alle Aspiranti, le giovani e i giovani fino alla sezione delle donne e degli uomini. Don Carlo aveva molto a cuore la formazione di tutti, faceva venire in Parrocchia i responsabili diocesani per le adunanze, portava le giovani a partecipare ai ritiri a Casa del Sacro Cuore e organizzava incontri anche in parrocchia, facendosi aiutare dalla fervida oratoria di Don Sergio. Quante altre cose ci sarebbero ancora da ricordare e raccontare e quanti aneddoti. Ne ricordo uno in particolare, sulla sua semplicità: nel periodo in cui mi trovavo a studiare presso le Suore Pastorelle ad Albano Laziale, Don Carlo veniva di quando in quando a trovarmi assieme a Don Sergio e, ospite delle suore,

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durante la cena aggiungeva sempre dei pezzetti di pane nella minestra, spiegando alla suora che lo serviva, che non poteva distaccarsi da questa abitudine acquisita ai tempi del seminario quando la fame era tanta e la minestra quasi solo acqua calda. Ma quello che è più caro ricordare è la disponibilità di Don Carlo verso tutti, la sua carità e il grande rispetto verso i suoi confratelli delle parrocchie vicine, che questi ricambiavano con sinceri sentimenti di stima fraterna, anche se a volte accompagnata da benevola ironia. Don Sergio in particolare lo stimava profondamente e tanto era conquistato dalle sue virtù che spesso gli ripeteva: “stammi vicino così anch’io mi santifico accanto a te”. Anche noi parrocchiani abbiamo ammirato l’umiltà e la fede di Don Carlo, aspetti che ce lo hanno fatto avvicinare molto alla figura del Santo Curato d’Ars, che lui ci ha fatto conoscere assieme ad altre figure di Santi.

Clara Ercolani

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Due tra le ultime immagini di Don Carlo, in occasione del battesimo dei piccoli Federico Gallina (sopra) e Federica Pallotta (sotto).

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Una famiglia che molto ha dato alla Chiesa

Piera, Concetta e Vittorio Chiovini hanno dato alla Chiesa di Perugia tre sacerdoti: Don Carlo Brustenghi, Don Annibale Valigi e Don Mario Chiovini. Ricordiamo qui i tre figli, che hanno onorato questa famiglia cristiana.

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Mons. Annibale Valigi

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Memoria di Mons. Annibale Valigi (1927 – 2009) Don Annibale Valigi ha partecipato attivamente alla crescita e alla trasformazione di Ponte San Giovanni a partire dal dopoguerra fino ai primi anni del secondo millennio. Nato il 4 dicembre 1927, fu ordinato sacerdote nel 1950. Arrivò per la prima volta nel 1951, in aiuto di don David Cancellotti allora parroco di Pieve di Campo e responsabile anche della vacante parrocchia di Ponte San Giovanni. Dopo alcuni anni in cui fu alla guida di Piscille, ritornò nel 1959, per divenire ufficialmente parroco in San Bartolomeo nel 1961 e rimanere tale fino al 2007. Durante questo lungo periodo il suo contributo alla nostra comunità (che nel frattempo cresceva da duemila a oltre diecimila persone) lo ha visto impegnarsi nella costruzione della nuova chiesa parrocchiale inaugurata nel 1965, ampliata nel 1982 ed arricchita nel 1990 del campanile; nella realizzazione di un grande centro giovanile parrocchiale nel 1996 e nelle ristrutturazioni dell’ex asilo infantile ‘Regina Elena’, della chiesina di Sant’Anna e della chiesa parrocchiale di Pieve di Campo, di cui dal 2002 era diventato parroco. Don Annibale, però, non è stato solo un “muratore” come spesso si definiva, ma soprattutto un pastore premuroso a servizio della Comunità cristiana e un sacerdote attento al territorio e alle necessità dei suoi abitanti indipendentemente dalla razza o dalla religione professata. Egli ha vissuto e testimoniato una fede che non si è mai chiusa in se stessa; una fede capace di dialogo con tutti, credenti e non; una fede capace di incarnarsi nel quotidiano senza timore di “contaminarsi”, aperta alle istanze che giovani diversi in tempi diversi gli hanno rappresentato, ai quali ha sempre ritenuto fondamentale offrire reali occasioni di crescita umana e spirituale. Questa fede, operosa ed attenta, è la preziosa eredità che Don Annibale ha lasciato, il 4 aprile 2009, alla comunità cristiana e civile di Ponte San Giovanni. (Testo riportato sulla lapide commemorativa posta in Piazza Mons. Annibale Valigi a Ponte San Giovanni)

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Memoria di Don Mario Chiovini (1947 – 2011) Don Mario Chiovini è stato nominato parroco il 2 ottobre 1971, all’età di 24 anni; il 10 ottobre 1971 ha detto la sua prima messa. Dal 1972 al 1975 è stato nella Parrocchia di S. Raffaele Arcangelo di Madonna Alta, collaborando con Don Luigi Stella. Il 9 novembre 1975 è arrivato a Pila, nella Parrocchia di San Giovanni Battista come vice parroco con Don Mario Tiacci fino al 1982. Dopo la morte di quest’ultimo è stato nominato titolare della Parrocchia di Pila, dove è rimasto fino alla morte (4 gennaio 2011). Diceva in un suo scritto Don Mario: “È stato stupendo e al tempo stesso di grande responsabilità, vedere le persone aprire la propria vita al Sacerdote, confidandogli le proprie preoccupazioni, le proprie sofferenze, i dolori e anche le gioie, le incertezze, i dubbi; talora mi sono trovato in posizione privilegiata per dare anche consigli di vita o conforto, quando ce n’era necessità. In questi anni ho scoperto da Sacerdote, sempre di più, l’immensa opportunità di un vero contatto umano e non è mancata la gratitudine della maggioranza delle persone che ho avuto la fortuna di accostare”.

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Don Mario Chiovini

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Articolo del settimanale diocesano La Voce, con una commemorazione di Don Carlo, apparso sul numero del 4 giugno 1993

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Don Carlo sorridente, durante la gita del settembre 1958 a Cascia.

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Indice

Prefazione Luigi Lanna, Presidente Cesvol Perugia

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Prefazione Arcivescovo di Perugia - Città della Pieve Monsignor Gualtiero Bassetti

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Don Carlo Brustenghi, Parroco di Sant’Andrea d’Agliano

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La Parrocchia di Sant’Andrea d’Agliano nella Chiesa

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“Ho pianto con chi piangeva, ho gioito con chi gioiva...” Manoscritto di Don Carlo

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Lo zio Don Carlo. Uomo della gente, fra la gente, per la gente Pierluigi Brustenghi 22 Il cugino Don Carlo. La mia guida spirituale verso il sacerdozio Don Mario Chiovini 31 Una vita sacerdotale piena ed esemplare Don Rino Valigi

33

Il mio predecessore la cui memoria non si spegnerà mai Don Gino Ciacci

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La parrocchia era il suo “regno”, la comunità la sua famiglia Don Marino Ricceri 41 Un sacerdote confessore, che infondeva speranza e coraggio Don Giuseppe Piccioni 43

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L’arrivo di Don Carlo a S. Andrea d’Agliano fu un giorno memorabile Anna Romani 45 L’uomo dalla lunga sciarpa nera cui devo la forza della mia fede Anna Maria Ercolani 49 Sapeva farsi amare anche dai bambini Margherita Goretti

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Grazie Don Carlo, sostegno e conforto nel dolore Maria Ercolani

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Com’era magica con Don Carlo la notte di Natale Antonietta Ficara

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“Me lo immagino vicino a Gesù che intercede per tutti noi…” Tiziana Bambagioni 63 Immerso per ore nel silenzio della preghiera Mario e Giuliana Fatigoni

70

Una persona che viveva per gli altri Miranda Brustenghi

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Quel prete di campagna che volle sempre vivere con Sorella Povertà Melania e Danilo Nardoni 74 Un “Corpus Domini”… indimenticabile Maria Fatigoni

78

Attento alle necessità della Chiesa e del suo popolo Adriana Maiarelli, Adriano Brozzi, Roberto Cenci

80

122


Don Carlo - un prete di campagna

Sempre pronto all’ascolto Maria Ciribifera

82

Apprezzato anche dai non parrocchiani Anna Vannoni Lucarini

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Una scelta di amore e sofferenza Rita e Angiolino Fatigoni

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A chi bussava alla sua porta veniva sempre aperto Rina Burattini

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Insieme ai giovani la timidezza si scioglieva come neve al sole Doriana, Fiorella, Simonetta 90 Don Carlo, il “mio” prete Stefano Ercolani

92

Una guida nelle devozioni e nella carità Teresa Goretti

94

Un amore speciale per le feste liturgiche Maria Rita Ercolani

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Consacrato al servizio degli uomini, a immagine di Dio Rita Romani

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Ma quanto ci metterà la mattina ad allacciarli tutti? Alessia Romani

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Grazie per il grande dono della preghiera e dell’accettazione Bruna Nicoletti 102 Nozze Alunni-Proietti (21 ottobre 1973)

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Don Carlo - un prete di campagna

I ricordi dell’infanzia non si cancellano Damiano Spinola

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Con la sua fede ci ha fatti diventare una Comunità Clara Ercolani

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Una famiglia che molto ha dato alla Chiesa

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Memoria di Mons. Annibale Valigi (1927 – 2009)

114

Memoria di Don Mario Chiovini (1947 – 2011)

115

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