Kobane Calling Oggi Preview

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Testi e disegni Zerocalcare Cover design e impaginazione Officine Bolzoni con Cosimo Torsoli Supervisione Michele Foschini e Leonardo Favia Proofreading Francesco Savino Colori della copertina Alberto Madrigal

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Via Leopardi 8 – 20123 Milano chiedi@baopublishing.it – www.baopublishing.it Il logo di BAO Publishing è stato creato da Cliff Chiang. Kobane Calling Oggi è © 2020 Michele Rech Per l’edizione italiana: © 2020 BAO Publishing. Tutti i diritti riservati. ISBN: 978-88-3273-459-1 PRIMA EDIZIONE


INTRODUZIONE ALLA NUOVA EDIZIONE L’introduzione scritta di un libro a fumetti rischia di essere una mattonata di tufo in faccia, lo so. Eppure mi tocca. Anzi, è già strano che abbiamo aspettato quattro anni – tanti ne sono passati dall’uscita della prima edizione di Kobane Calling – perché a dire il vero saranno state decine le volte in cui ho pensato che dovevamo scrivere qualcosa di più, aggiungere un pezzo, aggiornare questo malloppo con quanto continuava a succedere nel nord della Siria. Questo perché, quando è uscito Kobane Calling, io ero soddisfattissimo (non è vero, piagnucolavo tutto il giorno dicendo “oddio, è una merda, lo troveranno tutti noiosissimo, sarà il libro che metterà fine alla mia carriera”) di consegnare alle librerie un volume che raccontava a un pubblico ampio e non specializzato in conflitti mediorientali ciò che stava accadendo in quella porzione di terra chiamata Rojava, di cui quasi nessuno parlava nel racconto mainstream di quella guerra. Ovviamente il racconto era di parte – d’altronde eravamo andati in Siria per sostenere la resistenza curda contro l’ISIS, non per fare gli arbitri di una partita a bocce – ma mi sembrava di fotografare nella maniera più onesta e dettagliata di cui ero capace la situazione che avevamo incontrato sul campo nel 2015 e nel 2016. Poi però, siccome la vita non rimane fissa come le pagine di un fumetto, tutti quegli scenari hanno continuato a evolvere: l’intervento maggiore degli americani, la caduta di Raqqa, le vittorie delle forze democratiche del nord della Siria che si espandevano sempre di più mostrando al mondo l’esistenza di un modello, quello del Confederalismo Democratico, che non solo era alternativo – antitetico – al governo terroristico dell’ISIS, ma rappresentava anche una speranza e un esempio di convivenza per tutta quella regione. E ogni volta io mi figuravo il nuovo lettore che comprava Kobane Calling in libreria e mi si attorcigliava lo stomaco a pensare “vabbe’, ma questo si compra un libro che finisce al 2016, e quindi non saprà che poi intanto è successo X? E che poi è successo Y?!” Poi però chi mi sta intorno e mi sopporta mi ripeteva con pazienza che è nella natura stessa dei libri fotografare solo un dato momento della realtà, e che questo fumetto alla fine riportava (o provava a farlo, che sennò sembra che mi sento stocazzo) quello che ci stava di più importante: ovvero che esiste un pezzo di terra, nel nord della Siria al confine con la Turchia, in cui un mosaico

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di popoli diversi si organizza e lotta per una società fondata sull’uguaglianza degli uomini e delle donne, sulla convivenza e sul rispetto delle diversità culturali e religiose, sulla giustizia sociale e sull’ecologia. Su questa base sta combattendo e sconfiggendo il fondamentalismo jihadista, e in ogni zona che strappa all’islamismo poi amministra effettivamente il territorio seguendo questi principi tramite delle forme di democrazia diretta e radicale. Lo fa pagando un tributo di sangue altissimo, e lo fa praticamente da solo, al netto di un generico sostegno a parole di tutto l’occidente e di un supporto strategico degli Stati Uniti tanto timido quanto limitato ai momenti e alle zone in cui gli obiettivi dei due schieramenti coincidono. Cos’è cambiato, allora? Perché adesso insieme alla Casa editrice abbiamo sentito il bisogno di aggiungere questo siluro a mo’ di prefazione? È cambiato molto, al punto che forse il Rojava sta attraversando la sua ora più drammatica, e ci sarebbe bisogno di un altro libro, ma siccome è molto difficile tornare in quelle zone e prendersi i mesi necessari alla scrittura di un altro fumetto ex novo, proviamo a raccontarlo qua. Dopo una serie di vittorie riportate sul campo e la sconfitta quasi totale di Daesh (almeno nella sua forma parastatale), il 20 gennaio 2018 l’esercito turco, preoccupato dal consolidamento dell’amministrazione curda lungo il confine turco-siriano, invade il nord della Siria e attacca il cantone di Afrin. Afrin è un cantone del Rojava che nel corso della guerra era rimasto relativamente più al riparo dai combattimenti, ed era diventato quindi rifugio di numerosi profughi provenienti da tutta la Siria, che lì avevano trovato una zona di pace in cui sperimentare l’amministrazione del Confederalismo Democratico. L’invasione turca si fa con tutta la forza di quella che è l’aviazione del secondo esercito della NATO, dotato di aerei ed elicotteri da guerra, mentre sulla terraferma si appoggia a bande jihadiste, talvolta provenienti dallo stesso Daesh, talvolta da formazioni concorrenti legate per esempio ad Al Qaeda. Dopo quasi due mesi di resistenza, la città di Afrin cade e viene occupata dai jihadisti filo-turchi, che compiono una serie di crimini di guerra e di violenze contro civili e oppositori e riportano in quel territorio il terrore islamista che stava perdendo presa in tutta la Siria. Nei mesi che seguono, la situazione precipita ulteriormente: il 6 ottobre 2019 il presidente USA Trump annuncia il ritiro delle truppe americane dal nord della Siria. Questa dichiarazione viene vista come una luce verde alla Turchia per completare l’invasione del Rojava: il presidente turco Erdogan sostiene di voler creare una zona cuscinetto controllata dalla Turchia lungo tutto il confine, profonda trentacinque chilometri, che di fatto comprenderebbe tutte le

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maggiori città del Rojava. Anche qui, come nel caso di Afrin, l’aviazione turca copre l’avanzata delle truppe di terra filo-jihadiste. I curdi accettano così il rientro in alcune zone delle truppe del regime di Assad, cacciate anni prima, con lo scopo di collaborare per respingere l’occupazione. Al dramma di quelle popolazioni e del sangue versato da civili e combattenti, fa da specchio lo spettacolo pietoso dei giocatori di Risiko nostrani: da quelli che comodamente da casa loro spiegavano su Facebook che i curdi se l’erano cercata perché si erano fidati degli americani che poi li hanno traditi (“fidati”, poi: un detto curdo recita che i curdi hanno un solo amico, le montagne.) Ma, in guerra, le alleanze e le geometrie variano anche a seconda delle condizioni, dei rapporti di forza e di sopravvivenza. Ma vallo a spiegare a chi deve rendere conto solo dei like che colleziona sui social network e non della vita o della morte di centinaia di persone, fino ai nazisti che gongolavano (sempre su internet, ça va sans dire) perché l’accordo con Assad avrebbe dovuto essere secondo loro fonte di imbarazzo per i sostenitori dei curdi (accordo spiegato in maniera molto limpida da un generale delle YPG che dichiarava senza tanti fronzoli che, tra il compromesso e il genocidio, si trovava a dover scegliere il compromesso, quantomeno per responsabilità verso la popolazione). Questi sono i fatti, la Storia con la esse maiuscola, vista da lontano. Avvicinando la lente, poi, ci si accorge che la sua trama è composta da innumerevoli storie di sacrifici che hanno scandito questi mesi, da quelli di cui non sentiremo mai parlare fino a quelli la cui eco è arrivata fino a noi, come la morte di Lorenzo Orsetti, il combattente italiano partito da Firenze e caduto cercando di strappare l’ultima roccaforte all’ISIS il 18 marzo 2019 (a cui è dedicata la storia che sta in coda a questo libro, pubblicata su Internazionale nel luglio 2019, assente nella prima edizione), a Hevrin Khalaf, la segretaria del Partito Futuro Siriano, che aveva dedicato la vita alla lotta delle donne, barbaramente uccisa per strada dai jihadisti filo-turchi il 12 ottobre 2019. Tutto questo non si legge purtroppo in Kobane Calling. Come non si legge il cinismo di tutto l’occidente, Italia compresa, che dopo aver tifato tanto per i curdi quando combattevano l’ISIS adesso non muove un dito per interrompere il massacro, né osa mettere in discussione nessuno dei rapporti (economici, commerciali, culturali, sportivi, ecc.) che ci legano allo stato turco, mentre Erdogan minaccia di aprire le frontiere ai migranti che cercano di arrivare in Europa ogni qual volta una voce critica si leva contro le sue politiche di aggressione.

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Ora, di fronte a tutto questo, la reazione mia sarebbe di dire: “Lo capite perché bisognava scrivere questa cosa prima di Kobane Calling? ” Perché tutto quello che leggete in questo libro rischia di essere spazzato via: tutto quel progresso, tutti quei sacrifici, tutto vano. Tutto riconsegnato a quella barbarie che con tanta fatica era stata debellata. Però ci sono due cose, che non sono proprio due cazzate, che mi sono state fatte notare quando ho berciato le mie previsioni disfattiste. Una è che i curdi resistono da 40 anni, e che ne hanno passate tante ma nessuno è riuscito mai a spazzarli via. E quindi probabilmente passeranno pure questa. L’altra, che mi convince anche di più, è che l’esperienza del Rojava e del Confederalismo Democratico si è costituita nel 2012, ovvero 8 anni fa. Ci sono bambini che ci sono nati dentro, adolescenti che sono cresciuti insieme a quel modello, uomini e donne che hanno visto cosa significa vivere insieme, con pari diritti, partecipando direttamente alle sorti e alle decisioni che riguardano il proprio destino. Persone che hanno conosciuto la libertà. E che potranno anche avere delle battute d’arresto, trovarsi a vivere un’involuzione o un peggioramento delle loro condizioni, ma non potranno mai dimenticare quella libertà. Per questo, per quanto tutto intorno possa precipitare, nulla tornerà mai veramente come prima. Quel bagaglio farà sempre parte di loro. E rimarrà sempre il punto da cui ripartire. Alla fine è questo che uno dovrebbe tenere presente oggi, mentre finisce di leggere questo libro, anche se racconta un viaggio di quattro anni fa.

Zerocalcare, Rebibbia, marzo 2020

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