Azione 14 del 3 aprile 2018

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2018 • N. 14

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi I patriarchi della nostra economia È certamente raro che un libro che si occupi di problemi, o persone, legati all’economia scali le classifiche dei bestseller. In queste settimane, però, nella Svizzera tedesca, è avvenuto

Lo scrittore svizzero Alex Capus.

proprio questo con il nuovo libro che lo scrittore Alex Capus ha dedicato ai patriarchi dell’economia svizzera. Alex Capus è un cinquantenne che divide il suo tempo tra Olten e Parigi. La sua specialità si può dire sia la biografia letteraria. Lo ha dimostrato in uno dei suoi primi romanzi Munzinger Pascha, che è la storia di uno svizzero che raggiunse, nell’Egitto della seconda metà dell’Ottocento, posti molto importanti nell’amministrazione di quel regno. Anche in opere successive Capus ha fatto della biografia di vari personaggi il centro dei suoi interessi letterari. In questo nuovo libro riprende la sua formula per disegnare i ritratti biografici di 11 pionieri dell’industria e della banca svizzere. Sono, nell’ordine con cui le loro storie sono presentate nel libro, Rudolf Lindt, Carl Franz Bally, Julius Maggi, Antoine le Coultre, Henri Nestlé, Johann-Jacob Leu, Fritz Hoffmann-La Roche, Charles Brown und Walter Boveri, Walter Gerber e Emil Bührle. Con il suo cioccolato fondente, Lindt rivoluzionò la pro-

duzione della cioccolata; Bally mise in piedi la maggior fabbrica di scarpe del mondo; Maggi inventò il dado che cambiò il modo di cucinare, non solo degli svizzeri. A Le Coultre si deve la precisione della nostra orologeria; Nestlé, con il suo latte in polvere, fondò un’azienda che, oggi, è probabilmente la maggiore multinazionale del mondo nel campo dell’alimentazione; Brown e Boveri (con il fattivo sostegno – questo lo aggiungiamo noi – di Agostino Nizzola) crearono l’azienda svizzera più importante nel settore dell’elettrotecnica. Anche gli ultimi due patriarchi sono stati all’origine di aziende importanti: Gerber nel ramo del formaggio e Bührle in quello dell’industria degli armamenti. Nella presentazione del suo libro Capus precisa che queste dieci storie (Brown e Boveri sono trattati assieme, come si deve) di pionieri dell’economia elvetica non sono per niente rappresentative. Al posto degli industriali e del banchiere, che figurano nel suo libro, avrebbe potuto scegliere dieci altre biografie

di rappresentanti del periodo in cui è nata e ha cominciato a svilupparsi la nostra economia, vale a dire gli anni tra il 1830 e il 1930. Come dire che in quel periodo, nella nascente economia svizzera, i patriarchi non mancavano. Quando poi si indaga sulle caratteristiche di questa popolazione, ci si accorge che, di fatto, i membri della stessa hanno quattro caratteristiche in comune. La prima è il sesso: sono tutti, senza distinzione, uomini. La seconda è il carattere: tutti questi pionieri sono veri e propri patriarchi. Nella loro azienda la fanno da padrone e non tollerano di essere contraddetti. Qualche volta la loro testardaggine li porta addirittura a mettere in pericolo il loro progetto. La terza è un’esperienza migratoria. Molti di questi capitani dell’economia sono immigrati o figli di immigrati. La quarta caratteristica che è loro comune è che sono stati in grado di spendere una vita nel perseguimento di un unico progetto, non sempre solo per scopi di guadagno. C’è chi, come Nestlé, pensava,

con il latte in polvere, di mettere a disposizione dei bambini gracili un nutrimento rinforzante o chi, come Lindt, voleva assolutamente trovare una nuova formula di fabbricazione per offrire ai consumatori un cioccolato migliore di quello che si trovava allora sul mercato. Che poi la ricerca si sia conclusa felicemente lo si deve, in molti casi, non solo alla perizia e al lavoro applicato del pioniere, ma anche… al caso. Uno aveva dimenticato di arrestare l’impastatrice durante il fine-settimana trovando così, il lunedì mattina il cioccolato fondente già fatto; l’altro voleva portare da Parigi a sua moglie un paio di stivaletti, ma, non sapendo il suo numero di scarpe, decideva di acquistarne dodici paia, il che gli accese una lampadina: perché non fabbricare scarpe nel Canton Argovia? Più di una volta, la storia delle grandi iniziative imprenditoriali è più incredibile di quella che lo scrittore potrebbe raccontare attingendo unicamente alla sua inventiva. Forse è anche per questo che il libro di Capus sta in cima alle classifiche.

simo a Trump, continua anche a far intendere di avere delle prove decisive, del materiale fotografico o video si presume, che spazzerebbe via dal nostro immaginario la cura con cui si è custodito, tanti tanti anni fa, un vestito con le prove dei rapporti sessuali presidenziali. Non si sa se queste prove esistano davvero, Avenatti fa molto il bullo sul tema (non sfidatemi), ma intanto procede come un bulldozer sulla via legale: ha chiesto presso un tribunale californiano che Trump e il suo avvocato, Michael Cohen, il più esposto su questo versante, testimonino sotto giuramento sulla relazione con Stormy Daniels, che al momento Trump nega. Trump non entra nel merito delle confessioni di Stormy per una serie di ragioni abbastanza chiare: ha una moglie, Melania, ce l’aveva anche quando i fatti sono accaduti, questi e altri che continuano a emergere, e la tensione in

casa non dev’essere poca (ci ritroviamo a controllare quante volte la first lady si fa vedere, che cosa dice, se stringe la mano al presidente, se lo ignora: dei matrimoni si capisce sempre poco, figurarsi quando ci si deve accontentare della finzione pubblica). Poi ci sono gli aspetti legali, che sono complicati ma che si stanno intrecciando, tutti insieme, nell’ultima stagione del Trump Show, che riguarda il team di avvocati della Casa Bianca. L’avvicendamento di questi giorni di avvocati più o meno credibili, simpatici, competenti non rientra soltanto nell’ormai consolidata volubilità di Trump, che cambia collaboratori come noi cambiamo la canottiera, ma anche nella questione più grande: i guai giudiziari del presidente. Finanziamenti, Russiagate, conflitti di interesse, rapporti extramatrimoniali: ci sarebbe da dar lavoro a centinaia di persone. Poi ci sono le donne, o meglio: il

rapporto di Trump con le donne. La sensibilità su questo tema è molto alta: è acuita dal #metoo e dalle sue evoluzioni (c’è chi le chiama isterie) ma era grande anche prima. Poiché la candidata rivale del presidente nel 2016 era una donna, la prima donna ad ambire alla Casa Bianca della storia americana, il «femminismo» di Trump è già stato scandagliato, e scandito da quegli episodi celebri sulle chiacchiere da spogliatoio e dall’ossessione perversa che lui ha per sua figlia Ivanka (non c’è complimento migliore per una donna, secondo Trump, della somiglianza con sua figlia, si moltiplicano le dichiarazioni: «Mi ha detto che sono come Ivanka!»). L’immagine che ne esce non è particolarmente rassicurante, come è ovvio, ma ancora una volta stiamo parlando del presidente degli Stati Uniti: ci sono le debolezze umane, ma contano soltanto quelle che hanno una rilevanza legale comprovata.

la tessitura di una rete di relazioni, mentali più che materiali. Ma diamo la parola ai promotori, una commissione di studio istituita dalle dieci municipalità: «L’Expo del futuro non è destinata a diventare un parco tematico di consumo, né un laboratorio scientifico per esperti della società. La mission di NEXPO è avviare un movimento culturale che si concentri sul futuro della Svizzera. Mira ad incoraggiare la partecipazione, promuovere interazioni visionarie tra persone e territorio, presentare idee innovative e trasmetterle in modo popolare e accattivante». Anche qui sono tre i princìpi-guida: «innovazione, partecipazione e spazio vitale». L’idea di ripensare e riprogettare la Confederazione a partire dal reticolo urbano, agendo dal basso e non calando dall’alto contenitori già pronti all’uso, non è nuovissima. L’avevano formulata negli scorsi decenni l’asso-

ciazione «Metropoli Svizzera» e ancor prima il gruppo ticinese che aveva proposto l’expo «Le nuove frontiere», da tenersi nel 1998 sui tre laghi Lemano, Bodano e Verbano nonché sul grigionese Piz Lunghin. I temi-chiave erano allora la Vita, il Sapere, la Pace e la Libertà. Non se ne fece nulla, ma intanto il gruppo aveva indicato una via e un metodo. Adesso tocca alle città, ovvero alla Svizzera urbana. Sono quegli agglomerati che negli ultimi decenni hanno attirato e metabolizzato la famiglia dei nuovi saperi e le attività del terziario, dal settore finanziario ai centri di ricerca, dalle alte scuole all’industria culturale in tutte le sue numerose articolazioni. È qui che, nel corso dei decenni, è confluita l’energia creativa della società post-industriale, favorendo la gemmazione di lavori e servizi legati alle tecnologie dell’informazione, della robotica e delle scienze

biomediche. La città come concentrato «smart», laboratorio intelligente nel campo dell’ambiente, della mobilità, dell’energia, dell’amministrazione amica dei cittadini. Rimarrà comunque da definire la relazione tra i centri urbani e le periferie, in particolare con le regioni di montagna, dato che non è scontato che la prosperità dei primi ricada automaticamente sulle seconde. Anzi, storicamente si è piuttosto avvenuto al contrario: spopolamento, spoliazione delle risorse naturali, abbandono. Inoltre, nei documenti che abbiamo consultato, non appare mai la parola «Europa». Come se tutto si esaurisse in un circuito chiuso, senza aperture verso i paesi confinanti. Ma siamo ancora allo stadio embrionale (l’avvio è previsto nel 2023); diamo tempo ai volenterosi sindaci e anche fiducia. Un paese che smettesse di riflettere cesserebbe di vivere.

Affari Esteri di Paola Peduzzi Debolezze umane comprovate Da quando c’è Stormy, Donald Trump è diventato un pochino più taciturno, non prende il megafono di Twitter per urlarci dentro qualche denuncia della caccia alle streghe che lo ossessiona, commenta ma senza andare troppo nel merito. Stormy Daniels è una attrice, regista, sceneggiatrice di film porno, bionda e prosperosa, che ha avuto un rapporto sessuale con l’allora tycoon Trump, nel 2006, e che poi avrebbe preso dei soldi per tacere sull’accaduto. Il «Wall Street Journal» ha rivelato qualche mese fa l’esistenza di questo assegno da 130 mila dollari, e da quel momento Stormy ha deciso di parlare e spiegare e definire bene i dettagli – ha anche restituito i soldi presi, dice, perché in quell’accordo c’era un errore formale (mancava la firma del diretto interessato: Trump), e perché evidentemente non sta affatto tacendo sull’accaduto. Anzi, Stormy ha fatto un’intervista lunga alla Cbs,

la settimana scorsa, in cui ha ripetuto cose che già aveva detto, i dettagli del suo incontro con Trump, appunto: lo sculacciamento con un magazine in cui in copertina c’erano i Trump, il sesso non protetto e nemmeno molto entusiasmante (ma non imposto), il futuro presidente in pigiama che guarda una trasmissione sugli squali (che lui odia e vorrebbe far scomparire dai mari di tutto il globo), le promesse di fare televisione, le telefonate successive all’unico incontro, i complimenti. Stormy ha però aggiunto un particolare che legalmente ha un rilievo decisivo: si è sentita minacciata, assieme alla figlia che allora era piccina, ha preso i soldi (pochi rispetto a quelli che avrebbe potuto negoziare o incassare vendendo la propria storia ai media) e si è molto spaventata. Il suo avvocato, Michael Avenatti, che è un animale televisivo di quelli che, paradosso assoluto, piacciono tantis-

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Next Stop: NEXPO Si sa, i mega-eventi non hanno vita facile. Esposizioni nazionali, campionati mondiali, olimpiadi macinano milioni, senza che emerga una chiara contropartita, ovvero il rilancio economico della regione organizzatrice. È quindi comprensibile che la popolazione si mostri guardinga: il santo vale la candela? Alla fine chi tapperà la voragine che fatalmente si aprirà nei conti pubblici? Gli esempi, interni ed esteri, per non dire gli scandali, non mancano. Nell’opinione pubblica brucia ancora il ricordo di Expo.02, il laborioso avvicinamento, il rinvio, gli strascichi polemici, i buchi nel bilancio. Molti, al termine di quel tortuoso cammino, dissero «mai più». Mai più un simile inutile dinosauro nell’orizzonte elvetico. Eppure di tanto in tanto il sogno rinasce. Dopo Expo.02 si sono fatti avanti i cantoni nord-occidentali, con epicentro Argovia. Il progetto –

intitolato «Svizra27» – si proponeva di allestire per il 2027 una serie di manifestazioni incentrate sulla triade «uomo-lavoro-coesione». All’ideazione e al finanziamento avrebbero dovuto partecipare altri cantoni della fascia, come San Gallo, Turgovia, i due Basilea. L’iniziativa è stata tuttavia affossata già dopo i primi passi in due consultazioni popolari. Ora ci riprovano le città, i dieci comuni urbani più popolosi: Basilea, Berna, Bienne, Ginevra, Losanna, Lugano, Lucerna, San Gallo, Winterthur e Zurigo. La nuova Expo in fase di elaborazione si chiama NEXPO e assicura di non voler ripetere gli errori del passato. Promette di configurarsi dal basso e in modo decentrato, attraverso la partecipazione attiva degli abitanti, e soprattutto di mobilitare i giovani, i cittadini della Svizzera di domani. Nessun gigantismo, nessuna infrastruttura fine a se stessa, ma


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