Azione 19 del 6 maggio 2024

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edizione 19

MONDO MIGROS

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SOCIETÀ Pagina 3

Vademecum su pressione alta, importanza del medico di famiglia, accoglienza e cura del paziente

Al via la nuova serie dedicata a chi ha fatto la storia della comicità; si inizia col mitico Marty Feldman

TEMPO LIBERO Pagina 15

In guerra si finisce vittime della disinformazione con conseguenze disastrose anche per la democrazia

ATTUALITÀ Pagina 27

I giovani scuotono l’America

La mostra A propos Hodler al Kunsthaus di Zurigo riflette sulla complessità della contemporaneità

CULTURA Pagina 39

Si

può fare satira senza offendere?

Osservo su Google l’immagine iconica di Igor, l’aiutante del dottor Frankenstein, interpretato da Marty Feldman – attore a cui dedichiamo, a pag. 15, il primo di dieci approfondimenti sul mondo dei comici – e mi chiedo se oggi uno humor del genere sarebbe tollerato. Igor, nella scena del film Frankenstein Junior di Mel Brooks uscito nel 1974, sorride, la testa avvolta nel cappuccio nero e gli occhi a palla da biliardo, sporgenti e strabici. L’effetto comico è dovuto a una patologia oculare cronica data dall’ipertiroidismo di cui soffriva e a un incidente avuto da bambino. È consentito ridere di una caratteristica fisica legata a un incidente e a una patologia, senza incorrere nella censura del politicamente corretto? Non si può ridere delle disabilità, delle malattie, delle etnie o delle preferenze sessuali. Lo si può fare per gli imbarazzi universali che accomunano tutti indistintamente, neri e bianchi, gay ed ete-

ro, portatori di handicap e normodotati. In Tutti pazzi per Mary, del 1998, si ride praticamente solo per scene scurrili e grossolane, come quella dell’ hair gel (chi la ricorda sa di cosa parlo), dei genitali incastrati nella patta, dei rumori corporei al gabinetto. Si fa leva sui bassi istinti. Ma chi ne è al riparo? Del resto, la trivialità muove al riso proprio perché sottolinea una risposta gretta e inadeguata alle aspettative dell’ambiente sociale. Ma si può ridere anche per divertissement più raffinati. Come le battute di Ennio Flaiano («Oggi il cretino è pieno di idee»), o i pamphlet sarcastici di Voltaire, come il Candido. In ogni caso la satira va maneggiata con attenzione al contesto e senso della realtà. E in certi momenti va evitata. Per esempio, se scatena ondate di violenza, come le vignette su Maometto che hanno innescato allucinanti attentati terroristici. Ma, al di là di casi estremi come quello citato, l’umori-

smo, di grana grossa o fine che sia, non può conformarsi ai dettami della buona educazione. Aveva ragione Mariangela Mianiti che, firmando sul «Manifesto» un articolo su Checco Zalone – un altro campione della battuta pubblicamente imbarazzante – ha scritto che «un comico è un buffone, è colui che dice l’indicibile, che per mestiere è scorretto. Se anche lui deve rispettare il balletto delle cortesie, se si deve censurare per non offendere, allora non è più un comico». Del resto, l’irriverenza dei pagliacci non sempre coincide col disimpegno e la vacuità, anzi. Abbondano i comici militanti che fanno il contropelo alle loro società, finendo col diventare seguitissimi leader politici. Lo si può apprezzare o meno, ma in Italia Beppe Grillo ha creato un movimento d’opinione e di critica strutturale a partire dal non proprio elegante slogan di piazza «vaffan…». E Volodymyr Zelensky è passato in

un amen dal fare commedia in tv a gestire la tragedia di una guerra come capo di Stato. In tempi di censura automatica come i nostri, si può ancora ridere di tutto? Dieci anni fa il comico di origini africane Charles Nguela, vincitore di due Swiss Comedy Awards nel 2014 e nel 2022, sosteneva di sì, «ma dipende da chi lo dice, come e dove. Trovo offensive le battute sulla schiavitù quando provengono da persone bianche. Solo chi ha sofferto dovrebbe scherzare sulla sofferenza. Questo può essere un processo di elaborazione». Insomma, per essere accettabile, l’umorismo deve fare un bagno di autoironia, dote di cui anche il già citato Feldman, grottesco aiutante di Frankenstein, disponeva in abbondanza, quando affermava di essere «la sola persona mai apparsa in un film horror che non ha bisogno del trucco».

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 6 maggio 2024 Cooperativa Migros Ticino
◆ ● G.A.A. 6592 San t’Antonino
Keystone
Federico Rampini Pagina 25

Pronti, partenza, Medioevo!

Eventi ◆ Bellinzona Castles & GO è la corsa/camminata più medievale della Terra; quest’anno, sull’arco di due giornate, saranno proposte attività che vanno dal podismo alla storia, passando per cultura, gastronomia, musica e animazioni

Tutto è pronto per la terza edizione, domenica 26 maggio 2024, di Bellinzona Castles & GO, la Corsa podistica e la Camminata Walking che permettono di scoprire le bellezze naturali, paesaggistiche e architettoniche della Capitale del Cantone Ticino, nonché il suo patrimonio storico e culturale. Due spettacolari percorsi di 11 Km di lunghezza che passano attraverso tutti e tre i castelli della Fortezza UNESCO di Bellinzona, i rioni di Artore e Daro, boschi e colline, i pregiati quartieri S. Giovanni e Vela e lo splendido centro storico.

Durante lo svolgimento, le e i partecipanti potranno ammirare la rievocazione medievale de’ La Spada nella Rocca , e informarsi tramite apposite indicazioni (con rimando per approfondimenti al sito inter-

Concorso

«Azione» mette in palio 5 biglietti per domenica 26 maggio 2024. Per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione.ch, oggetto «Castles 2024» con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, no. di telefono) e indicando se volete partecipare alla Gara podistica (11km) o a Walking/Nordic Walking (11km) entro domenica 19 maggio alle 24.00. Buona fortuna!

net www.castlesandgo.com) sui fatti storici legati alla Città della Turrita, godere della musica proposta da ben dieci gruppi locali rappresentanti dei più diversi generi (classica, corale, rock, folk, blues…) e strettamente legati al punto del percorso in cui si ritroveranno a suonare, e approfittare dei simpatici aperitivi musicali offerti nei nuclei di Daro e Artore. A seguire, nel villaggio «Castles & GO» in Piazza del Sole sarà proposto un conviviale gnocchi-party aperto a tutti e a prezzi popolari (gratuito per gli iscritti).

Molte le novità che caratterizzeranno questa terza attesa edizione: quest’anno, l’evento (peraltro inserito per la prima volta nel Calendario della Coppa ASTi Podismo) si svilupperà sull’arco di due giorni. Sabato 25 maggio 2024, infatti, in Piazza del Sole saranno presentate, nel contesto della rassegna «Move & GO», le esibizioni di società sportive della Regione, un conviviale risotto-party aperto alla popolazione, una gara benefica dedicata ai bambini (il cui ricavato sarà devoluto a favore della ristrutturazione della Culla S. Marco di Ravecchia), un aperitivo in musica con Sanook Showgirls Band e, in serata, pizzoccheri e arrosticini-party. Ecco perché – insieme a molto altro ancora e con lo scopo di fare vivere a tutti un’autentica esperienza bellinzonese a 360° – Bellinzona Castles & GO rappresenta un modo davvero innovativo di valorizzare il territorio

Un omaggio al Ticino

Arte – 1 ◆ È stata inaugurata al Fiore di Pietra in Vetta al Monte Generoso la mostra della giovane artista Alejandra Abad

«Ho utilizzato dei vecchi flyer del Monte Generoso riciclati, da una parte per sottolineare il desiderio di sostenibilità, dall’altra perché attraverso il passato si possono creare nuove forme di presente». Una «mostra sull’appartenenza», così la gio-

vane artista Alejandra Abad – formazione nel settore alberghiero (la passione per l’arte in lei è riuscita a esprimersi con tutto il vigore necessario solo a partire dal periodo pandemico) – ha definito la personale inaugurata lo scorso 27 aprile in Vet-

ta al Monte Generoso, negli spazi al pianterreno del Fiore di Pietra. Abad gioca sapientemente con i colori, che attribuisce alla sua terra di crescita, il Ticino, ma che immancabilmente richiamano anche le tonalità calde e accese della sua terra d’origine, l’Ecuador, in una commistione realizzata in modo competente, ma anche avvincente, tanto da riuscire a suscitare tutta una serie di emozioni.

La giovane artista Alejandra Abad ha deciso che una parte del ricavato delle vendite delle opere sarà devoluto a un progetto di educazione nell’ambito della gastronomia nell’Amazzonia – Ecuador – sostenuto dall’Associazione Cuisine Sans Frontières.

Dove e quando Alejandra Abad, Colori del Ticino, Monte Generoso, Fiore di Pietra. Fino al 27 ottobre 2024. Ingresso gratuito.

e di concepire il turismo culturale. Questo è anche il motivo per cui Migros Ticino sostiene questa originale corsa… indietro nel tempo!

Dove e quando Bellinzona Castles&Go, 25-26 maggio 2024 Iscrizioni & Info www.castlesandgo.com Social Instagram: www.instagram.com castlesandgo; Facebook: facebook.com bellinzonacastlesandgo

Noi nell’opera

Arte – 2 ◆ Due filoni di indagine in mostra al Migros Museum für Gegenwartskunst di Zurigo

Se c’è una cosa che fa parte del DNA del Migros Museum für Gegenwartskunst, i cui spazi espositivi (situati nell’ex birrificio Lowenbräu a Zurigo) già valgono una visita, è la capacità di stupire. Attraverso forme d’arte che sfidano le convenzioni, di lettura non sempre immediata, si viene stimolate/i alla riflessione, a rimettere sul tavolo delle discussioni tutto quanto abbia a che fare con l’arte.

Non poteva scostarsi da questa «filosofia espositiva» nemmeno la mostra attuale, suddivisa in due sezioni, la prima dedicata alla materia, la seconda all’artista e poeta francese Tarek Lakhrissi.

E così, se al piano terra ci si può confrontare in modo franco e senza dubbio ironico con opere legate alla materia e al concetto della creazione fisica (e per l’occasione il museo si è appoggiato alla sua ricca collezione), al primo piano, grazie a un percorso che si snoda attraverso elementi sognanti suddivisi in tre atti, avvolti da una patina quasi chic, si viene chiamate/i a confrontarsi con la diversità, sia essa di genere, di classe o di appartenenza identitaria. I colori, l’ambientazione delle opere invitano all’indugio in «momenti sognanti in mezzo al caos». Dove e quando Material Memories, Sammlung Museum; Tarek Lakhrissi, BLISS. Zurigo, Migros Museum für Gegenwartskunst (Limmatstr. 270), info@migrosmuseum.ch, migrosmuseum.ch. Fino al 20 maggio 2024.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 6 maggio 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 2 azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Abbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31 lu–ve 9.00 –11.00 / 14.00 –16.00 registro.soci@migrosticino.ch Redazione Carlo Silini (redattore responsabile) Simona Sala Barbara Manzoni Manuela Mazzi Romina Borla Natascha Fioretti Ivan Leoni Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Telefono tel + 41 91 922 77 40 fax + 41 91 923 18 89 Indirizzo postale Redazione Azione CP 1055 CH-6901 Lugano Posta elettronica info@azione.ch societa@azione.ch tempolibero@azione.ch attualita@azione.ch cultura@azione.ch Pubblicità Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino tel +41 91 850 82 91 fax +41 91 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino tel +41 91 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria – 6933 Muzzano Tiratura 97’925 copie ●
Editore
Alejandra Abad, Piovono raggi di sole, 2023. T. Lakhrissi, Shaping Loss/Glamorous BB, 2024, (Court. the artist and Galerie Allen, Paris). (Studio Stucky © ProLitteris, Zürich) Un’occasione unica per vivere fino in fondo la città di Bellinzona.

SOCIETÀ

Incontro con Giuseppe Crivelli

Nel 1951 fondò la Clichés Color con lui riviviamo la storia della stampa tipografica in Ticino

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Tutti in gioco col sorriso

Quando la diversità è un punto di forza: storia della squadra di calcio inclusiva del Raggruppamento San Bernardo

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Progettare il futuro

Oggi le tecnologie digitali guidano il cambiamento edilizio, che deve tenere conto anche di sostenibilità, risanamenti e spazi pubblici

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Ipertensione? Teniamola controllata

Medicina ◆ Un sano stile di vita contribuisce a mantenere la pressione arteriosa nella normalità

Secondo la Fondazione svizzera di cardiologia, nel nostro Paese sono in molti ad avere la pressione arteriosa troppo alta; stando alle statistiche circa il 30% della popolazione, pari a oltre un milione e mezzo di persone. Più in generale, in Occidente, la statistica si sbilancia appesantendo la parte degli uomini, con una percentuale che si aggira al 33% contro il 31% delle donne. Tra questi, il 19% degli uomini e il 14% delle donne si trovano in una grave situazione di ipertensione. Problema di cui «spesso non ci si accorge: non causa disturbi e ciononostante può avere effetti fatali. Non a caso si dice che sia un “killer silenzioso” che fa sempre più vittime». A parlare è il dottor Franco Denti, medico di famiglia, oltre che presidente dell’Ordine dei Medici del canton Ticino, che prosegue spiegando come funziona la circolazione sanguigna per rapporto alla pressione necessaria a permettere al sangue di circolare in tutto il corpo: «Ogni battito cardiaco provoca una cosiddetta onda di pressione che viene trasmessa alle arterie. La sua regolazione è data dall’interazione fra diametro delle arterie, forza del cuore e volume del sangue».

La condizione di ipertensione è caratterizzata dall’elevata pressione del sangue nelle arterie, che è determinata dalla quantità che viene pompata dal cuore e dalla resistenza delle arterie al suo flusso: «Se la pressione arteriosa è di 140 su 90 millimetri di mercurio (mmHg) o superiore, si parla di ipertensione arteriosa che è un importante fattore di rischio normalmente non avvertito dal paziente, come già anticipato; ecco perché circa un terzo degli ipertesi non sa di esserlo, e questa è una caratteristica che rende l’ipertensione una condizione rischiosa che potrebbe portare a patologie cardiovascolari anche gravi come ictus, angina o infarto».

Importante è pure la differenza di pressione arteriosa tra la massima e la minima (pressione arteriosa differenziale) che, quando è maggiore di 70 mmHg, può diventare di per sé un altro fattore di rischio. La pressione arteriosa ottimale è 120 su 80 mmHg.

Secondo il medico «in generale le persone che soffrono maggiormente di ipertensione sono quelle a partire da un’età media e avanzata, e le donne in menopausa (a causa della diminuzione degli estrogeni che fungevano da fattore protettivo). Quest’ultima, può pure determinare un disturbo funzionale della tiroide (altra causa di ipertensione)».

A questo punto, bisogna distinguere la cosiddetta ipertensione primaria (di cui soffre circa il 90% di coloro che hanno la pressione alta) da quella secondaria: «Nella forma primaria non si possono identificare cause dirette e si manifesta più fre-

quentemente con l’aumento dell’età». L’ipertensione secondaria colpisce invece il restante 10%: «In questo caso, è il risultato di una malattia, di alcune sostanze o di altri fattori scatenanti».

Bisogna distinguere l’ipertensione primaria (di cui soffre circa il 90% di chi ha la pressione alta) da quella secondaria

I fattori predisponenti per la pressione alta sono facilmente individuabili, e il medico di famiglia gioca un ruolo chiave e di «alleato», in quanto conosce molto bene il proprio paziente e detiene gli elementi per un’anamnesi accuratissima che ne permette la contestualizzazione: «Nella storia del paziente, è doveroso tenere conto della famigliarità, di età, sovrappeso, fumo, alcol, diabete (che danneggiano l’elasticità dei vasi sanguigni), eccesso di sale negli alimenti, stress e sedentarietà (bastano 150 minuti alla settimana di attività fisica costante per mantenere attivo l’organismo e bassi i valori pressori)».

Il dottor Denti rende pure attenti sul fatto che ci sono poi sostanze in grado di aumentare la pressione arteriosa, come la liquirizia, gli spray na-

sali, il cortisone e la pillola anticoncezionale. A ogni modo, il medico saprà considerare anche alcuni sintomi che, quando si manifestano, sono riconducibili a: «Mal di testa frequente, palpitazioni, battito del polso accelerato, aumento del peso corporeo non giustificato ma determinato da un aumento di ritenzione dei liquidi, e ancora: vertigini, sangue dal naso, ronzio nelle orecchie».

I segni di un danno d’organo già avvenuto sono invece così riconoscibili: «Respiro corto, dolore e tensione toracica (ndr: angina pectoris), disturbi visivi o sensoriali, fino a infarto o ictus, come abbiamo già indicato». Prevenire tutto questo si può, a partire dallo stile di vita sano: «Movimento regolare, dieta sana a base di frutta e verdura (ma anche 5 gr al giorno di cioccolato fondente), mantenere un peso corporeo normale, imparare a gestire lo stress e dormire bene con un sonno regolare e sufficiente. E non dimenticare di misurare la pressione almeno una volta ogni 15 giorni se si è in buona salute».

Il nostro interlocutore sottolinea quest’ultimo aspetto: «È importante imparare a misurare la pressione anche a domicilio, secondo le proprie condizioni, da una volta al mese fino a una a settimana, se necessario: se si al-

za di colpo, e il polso risulta accelerato, significa che c’è un problema che potrò discutere col medico, il quale, con l’aiuto del diario di misurazioni, potrà valutare la situazione. La pressione arteriosa si misura da seduti, meglio con un manicotto al braccio e senza incrociare le gambe e per tre volte di seguito, tenendo il terzo parametro come quello più preciso». Nel caso di registrazioni fuori norma, occorrerà dunque capire da cosa sia determinata l’ipertensione, per poi procedere al suo trattamento: «Nella valutazione di un paziente con sospetta ipertensione, secondo le linee guida dovrei procedere a effettuare diversi esami, a partire dalla raccolta delle urine delle 24 ore, misurazione pressoria continua sempre per 24 ore, controllo di alcune funzioni interne come quella renale, tiroidea, della glicemia, bilancio ematologico, elettrocardiogramma per valutare i disturbi del ritmo. Vi sono inoltre altri possibili esami ancora più specifici come l’eco-doppler alle arterie renali. Ma un depistaggio completo non è sempre necessario e potrebbe causare un notevole dispiego di energie e relativi costi».

A questo punto, subentra la figura chiave del medico di famiglia: «Egli conosce il suo paziente e avrà un approccio più pragmatico e meno inve-

stigativo, a partire dall’anamnesi (ndr: storia clinica del paziente) molto accurata e supportata da un attento esame clinico e dalla sua profonda relazione con il paziente. Allora, il medico di famiglia proporrà, in prima battuta, una terapia farmacologica con farmaci antipertensivi, e se a quel punto non si trovasse una risoluzione, opterebbe per procedere con indagini più specifiche e/o un approfondimento cardiologico».

Denti indica un procedere adatto per quei pazienti «in buone condizioni generali, che presentano solo un’ipertensione primaria e che non hanno una storia di famigliarità. Chi invece ha pregressi in famiglia merita controlli più ravvicinati, sempre concordati con il proprio medico». Il trattamento adeguato e precoce della pressione alta è essenziale per prevenire danni agli organi interni e malattie secondarie come infarti e ictus: «L’obiettivo è quello di ridurre i valori a un livello inferiore a 140 / 90 a riposo. Per questo, di norma i farmaci antipertensivi dovrebbero essere usati solo al di sopra di questa soglia». Senza dimenticare, giova sempre ribadirlo, le linee guida europee che indicano lo stile di vita sano come la migliore prevenzione per ogni malattia del sistema cardiovascolare.

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 6 maggio 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 3
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Maria Grazia Buletti

Tanti auguri cara mamma!

Attualità ◆ Ogni anno, la seconda domenica di maggio, si celebra la festa della mamma. Alcune curiosità e piccole idee regalo per un giorno davvero speciale!

Avete già pensato a come sorprendere la mamma in occasione della sua festa, che quest’anno cade il 12 maggio? Che si tratti di un pranzetto cucinato con le proprie mani, di una giornata relax in un centro benessere, di una gita a sorpresa fuori porta con tutta la famiglia, oppure di un piccolo pensierino floreale accompagnato da un bigliettino… in quel giorno speciale – per una volta – sono i figli a coccolarla, viziarla e ringraziarla nel modo giusto. La festa della mamma moderna è nata negli Stati Uniti agli inizi del ’900, per iniziativa di una certa Anna Jarvis, che volle onorare la memoria della madre defunta, attivista per la pace, dedicandole una giornata. Non in tutti paesi la festa cade la seconda domenica di maggio: nel Regno Unito e Irlanda, per esempio, la ricorrenza si celebra tre settimane prima della domenica di Pasqua. In Norvegia cade invece la seconda domenica di febbraio. I fiori più gettonati per l’occasione sono le rose rosse e rosa. Inoltre, è uno dei giorni dell’anno più trafficati per quanto attiene le telefonate. In questa pagina vi proponiamo qualche piccola idea regalo che sicuramente non mancherà di essere apprezzata da tutte le mamme.

Impossibile resistere ai nostri bellissimi bouquet creati appositamente per la festa della mamma.

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Le orchidee sono tra i fiori più amati e apprezzati per la loro raffinatezza… proprio come la mamma!

Orchidea

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Treccine gratuite per tutti i bimbi!

Attualità ◆ Tutti i mercoledì pomeriggio di maggio alla Migros di S. Antonino ti regaliamo un simpatico e gustosissimo animaletto di pasta treccia

Per la gioia e la golosità di tutti i bambini, durante il mese di maggio, tutti i mercoledì pomeriggio dalle 13.00 alle 16.00, la panetteria della casa di Migros S. Antonino regalerà ai piccoli visitatori una treccia a forma di animaletto.

Come molte altre specialità di pane ottenibili nel negozio, anche le treccine vengono prodotte fresche quotidianamente all’interno del panificio a vista situato al pianterreno del

punto vendita di S. Antonino. Qui, esperti panettieri, ogni giorno lavo rano artigianalmente grandi quanti tà di farina per trasformarli in croc canti e deliziosi pani di vari formati e varietà in modo da poter garanti re la loro disponibilità fino alla chiu sura del negozio. La clientela ha la possibilità vedere le varie tappe del la lavorazione e rendersi conto perso nalmente di quanto impegno e savo ir-faire richiede la produzione di un buon pane.

Un accessorio indispensabile per avere sempre a portata di mano la giusta idratazione.

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Mercoledì 8, 15, 22 e 29 maggio

Settimanale di informazione e cultura azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 4
Croccanti confetti alle mandorle ricoperti di cioccolato bianco colorato. Confetti Frey Coaties 150 g Fr. 4.50
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*Solo alla Migros di S. Antonino Dolcetto alla pasta frolla con glassa di zucchero, purea di lamponi e cioccolato bianco. Raffinati cioccolatini dal cuore di mandorla bianca e irresistibile guscio croccante al cocco.

«La tecnologia non è nemica del lavoro»

Incontri ◆ Viaggio nel mondo che cambia con Giuseppe Crivelli, fondatore della Clichés Color che, nata nel 1951 come ditta all’avanguardia, ha percorso tutte le fasi dell’evoluzione della stampa tipografica

Matilde Casasopra

«Sono un uomo fortunato. Sa perché? Perché ci sono loro. Li vede? Sono gli allievi e le allieve delle scuole di Massagno. Mi tengono tanta compagnia e riescono a farmi ancora vedere la parte bella del mondo, un mondo nel quale non mi ritrovo più perché ormai, quando esco, non conosco più nessuno. I miei amici, piano piano, uno dopo l’altro, se ne sono andati quasi tutti. Se non ci fossero questi ragazzini mi sentirei troppo solo». Sorride Giuseppe Crivelli accogliendoci nella sua casa che si affaccia sul cortile delle scuole. Sorride mentre ci fa accomodare su una delle poltroncine disposte attorno al tavolo rotondo sul quale ha già preparato le tazzine per il caffè che gusteremo insieme mentre ci racconterà la sua storia che è un lungo viaggio attraverso quel Ticino che in questi ultimi 70 anni è stato percorso da cambiamenti epocali. Sì, avete letto bene: 70 anni perché lui, «papà Crivelli», il prossimo 19 luglio compirà 95 anni. Ne aveva 22 quando nel 1951 aprì, con lo zio Luigi, la Clichés Color in via Zurigo/via Vanoni a Lugano che divenne, negli anni, una vera impresa famigliare.

All’inizio degli anni

Sessanta gli stampati passarono dal bianco e nero al colore, tra questi c’erano anche i giornali

La seconda guerra mondiale però, nel 1951, era finita solo da sei anni…

È vero e io, quando nel 1945 finì la guerra, avevo appena finito la scuola di commercio che avevo frequentato all’Istituto Elvetico. Mio padre decise che valeva la pena imparassi il tedesco e così mi mandò a Vaduz. Allora, per arrivarci, era necessaria la carta d’identità. Ho solo un ricordo chiaro e nitido di quell’esperienza. Quando arrivai nel collegio dove sarei rimasto per un anno – tornai a casa solo a Natale e a Pasqua – scoprii che nella palestra della scuola c’erano parecchi prigionieri russi giunti al confine austriaco con l’esercito tedesco in ritirata dai Paesi dell’Est europeo. Era il mese di settembre. Qualche mese dopo i prigionieri furono prelevati dai militari russi di stanza in Austria, ma non so dirle cosa ne fu di loro. So che, di ritorno a casa nel giugno del ’46, mio padre mi disse che, per imparare il francese, sarei andato a La Chaux-de-Fonds. Fu lì che con lo zio Luigi ho incominciato la mia attività di «tireur des épreuves» e è in definitiva in questo modo che mi sono avvicinato al «cliché» che, come spiegano i dizionari, è la matrice zincografica – lastra di zinco incisa con l’acido nitrico – per le illustrazioni da inserire col testo nelle forme di stampa tipografiche.

E lei resta a La Chaux-de-Fonds fino al 1951?

No, no. Torno in Ticino nel 1948. Il mio primo lavoro lo trovo come impiegato da Cometta/Radio Columbia dove gestisco la contabilità, ma… mi fermo poco. Mi pagavano davvero pochissimo (180 franchi al mese). Pensi che anche il fiduciario che curava per la ditta la dichiarazione delle imposte aveva suggerito loro di darmi un aumento, ma…

non servì a nulla e così me ne andai a lavorare per la Perazzi confetti. Mio zio Luigi, quello che viveva a La Chaux-de-Fonds e lavorava per la Cliché Lux di Alexandre Courvoisier, nel frattempo decise di trasferirsi in Ticino. È lui che, avendo acquisito dimestichezza con i clichés, sia quelli grafici sia quelli a mezzatinta – in quegli anni i clienti più importanti della Cliché Lux erano le varie case orologiere – apre la Clichés Color. Io lascio Perazzi e vado a lavorare con lui che però, dopo pochi mesi, per ragioni di salute torna nel canton Neuchâtel. Mi ritrovo così, a 22 anni, a guidare questa nuova impresa. Sono anni incredibili. Noi, all’inizio, producevamo unicamente clichés in bianco e nero, sia da disegni sia da fotografie. Il mondo della stampa, però, in quegli anni era in fermento e progrediva al seguito dello sviluppo economico generale. Ovviamente io ero ben contento di potermi adattare alle esigenze della clientela e, grazie anche al fatto che due ditte – la Kodak e l’Agfa – stavano perfezionando prodotti per la separazione dei quattro colori fondamentali (blu, magenta, giallo e nero per le ombre), decisi che era giunto il momento, anche per noi, di iniziare esperimenti in quel settore per essere pronti a un cambiamento che… sì, si sentiva nell’aria che stava per arrivare. È all’inizio degli anni Sessanta che il colore entra ufficialmente tra i prodotti della nostra ditta.

Perché era importante per voi proporre clichés a colori?

Perché gli stampati stavano pian piano passando dal bianco e nero al colore e tra questi stampati c’erano anche i giornali. Detta così sembra una cosa di poco conto, ma non lo era affatto. Ricorderà che gli avvenimenti sportivi – allora fortunatamente solo calcio e ciclismo – si svolgevano di domenica e che, il lunedì mattina in edicola, i giornali facevano la differenza anche attraverso le foto proposte per illustrare lo sport. I giornali, in que-

gli anni, erano tra i nostri principali clienti e lei pensi cosa comportava per una ditta come la nostra, che lavorava per sei giorni su sette per riviste, prospetti, libri e imballaggi, dover essere operativa anche la domenica o tardi la sera. Tutto questo non durò molto tempo, ma durò fin quando nelle tipografie si fece largo il sistema di stampa offset, ovvero il sistema di stampa indiretta: immagini copiate su lastre d’alluminio dalle pellicole appositamente allestite dai fotolitografi e quindi trasferite sui cilindri di stampa. In pochi anni, come Clichés Color, abbiamo visto diminuire la produzione dei classici clichés di zinco e siamo stati obbligati a potenziare l’esecuzione di fotolito. A tutto ciò va aggiunto che a partire dalla metà degli anni Sessanta, i principali giornali si dotarono di macchinari che li resero indipendenti da noi. Seppure con un po’ di malinconia per le avventure e le emozioni che quel sistema di suddivisione dei compiti ci aveva regalato, per me e i miei collaboratori avere la domenica libera fu un gran regalo.

Signor Crivelli, se le chiedessi di raccontarmi una di quelle avventure che, ancor oggi, le provocano emozione e malinconia cosa mi racconterebbe?

Senza dubbio le racconterei la giornata del 30 agosto del 1953. Il giorno in cui Fausto Coppi, a Lugano, vinse il campionato del mondo di ciclismo dando oltre sei minuti al secondo classificato e vestendo la maglia iridata davanti a centinaia di migliaia di persone giunte soprattutto dall’Italia nella speranza – o nella certezza? – di assistere al trionfo del Campionissimo. È stata una giornata straordinaria. Ricordo che sulla Crespera – dove Coppi fece la differenza – c’erano i tifosi italiani che con il fazzoletto pulivano la strada per evitare vi fossero sassolini o qualsiasi altro tipo d’ostacolo. Ma… non è che io avessi il tempo per stare a guardare la gara. Quel pomeriggio, per le 16.00, i clichés

dovevano essere pronti perché è per quell’ora che nella redazione dello «Sport Ticinese» si attendeva dalla radio il risultato finale. Il tempo di comporre il titolone e l’ordine d’arrivo, inserire i clichés e poi andare in stampa con l’edizione straordinaria da dare agli strilloni dislocati in vari punti della città. Fu una corsa contro il tempo ben riuscita. Era però necessario raggiungere tutto il pubblico. Io avevo la Lambretta. Romeo Zali mi affidò un pacco di copie dicendomi: «Tu vai alla stazione e consegnale al tale che le venderà sul treno verso Chiasso». Quando vi arrivai trovai una vera e propria muraglia umana. Io con il mio pacco di giornali da consegnare allo strillone ho cominciato a chiedere di farmi passare. Un signore si volta e mi chiede: «Perché vuoi passare?». Gli spiego che devo consegnare le copie dell’edizione straordinaria della vittoria di Coppi. A quel punto è scoppiato il caos: dovetti mettere il pacco sotto un piede e distribuire le copie a 50 lire l’una. In pochi minuti si formò una selva di braccia alzate e di facce rivolte all’insù che inseguivano il movimento delle copie. Quando lo strillone assegnato al treno per Chiasso mi ha raggiunto ho potuto consegnargli solo un mucchietto di copie e svuotargli le mie tasche piene di lire. Fu in quell’occasione che capii l’importanza del nostro lavoro.

Un lavoro che, se ho ben capito, ha continuato a modificarsi con il passare degli anni. Eh sì che si è modificato e, con il lavoro, sono mutati anche i clienti. Non più le redazioni dei giornali, ma grafici molto esigenti – Kiki Berta, Romano Chicherio, Orio Galli, Emilio Gilardi, Armando Losa, Sergio Michels, Francesco Milani, Emilio Rissone, Fulvio Roth – e professori quali Bruno Monguzzi, Mario Agliati, Giorgio Orelli, Piero e Giovanni Bianconi; ingegneri, architetti e nuove imprese che avevano in casa i loro uffici pubblicitari. Ma così come il cambiamento dal bianco e nero al colore era nell’aria a metà degli anni Cinquanta, a metà anni Ottanta nell’aria si è cominciato a percepire il cambiamento indotto dalla tecnologia, un cambiamento che prima della fine del millennio ci ha portato via tutto il lavoro. A inizio anni Novanta alla Clichés Color lavoravamo in 26 (c’erano anche i miei due figli: Stefano, che aveva studiato in una scuola grafica di Verona e che, sulla base di quanto appreso, ha saputo garantire il successo tecnologico dell’azienda, e Francesco per la parte amministrativa). Prima del 2000 fui costretto a licenziare una parte del personale, mentre un’altra parte, i due figli compresi, avevano già scelto altre occupazioni. È vero, io avevo già 71 anni, ma dover salutare persone che avevano condiviso con me 30-40 anni di lavoro molto impegnativo è stato ugualmente duro. Molto duro.

La tecnologia è dunque nemica del lavoro? Glielo chiedo perché adesso, nell’aria, c’è il cambiamento indotto dall’intelligenza artificiale… No, la tecnologia non è nemica del lavoro. Mentirei se lo affermassi e sa perché? Perché la tecnologia ha migliorato il prodotto. La composizione a video ha permesso di curare i dettagli e soddisfare le esigenze di ogni singolo professionista in modo impeccabile. Non di rado, nei primi tempi, quando la tecnologia era ancora poco diffusa, alcuni clienti venivano da noi e, insieme, costruivamo al monitor il prodotto desiderato: una scritta ombreggiata e colorata su un’immagine non troppo nitida e, magari, con un pizzico di magenta in più… Ma è durato poco. Quando ho dovuto licenziare, diversi miei collaboratori sono stati però assunti da clienti che avevano scelto la via dell’home-made.

E che cosa ne è stato della Clichés Color?

L’hanno rilevata quattro ex-collaboratori. Nei primi anni sono riusciti a stare a galla, ma poi le cose si sono fatte sempre più difficili. Uno di loro ha cambiato professione. Adesso fa il giardiniere. Altri due sono andati in pensione e ora c’è una sola persona che porta avanti nome e attività. Insomma, la storia della Clichés Color sta per finire.

Il vociare allegro di allievi e allieve entra in casa dalla finestra aperta sul cortile mentre stiamo ancora parlando. Papà Crivelli sorride. «Tra poco suoneranno le campane della chiesa. È quasi mezzogiorno. Torni a trovarmi» dice stringendomi la mano. Lo saluto e lo ringrazio. So che… sì, tornerò.

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Un ricordo emozionante: la vittoria di Fausto Coppi ai campionati mondiali di ciclismo il 30 agosto del 1953 a Lugano, nell’immagine è davanti al belga Germain Derycke sulla salita della Crespera (Keystone); qui sotto, Giuseppe Crivelli.

L’inclusione e quella sana voglia di vincere

Sport ◆ La squadra di calcio Tutti in gioco del Raggruppamento San Bernardo dove la diversità è un punto di forza

La voglia di vincere è la medesima di quella delle altre squadre di calcio, l’impegno e la serietà pure. Gli «arancioni» luganesi però, forse, si divertono e apprezzano di essere parte di un gruppo sportivo più di altre formazioni. Sono una ventina di giovani atleti con disabilità fisiche e sensoriali che formano la squadra Tutti in gioco della società sportiva Raggruppamento San Bernardo con sede a Canobbio. Anima del progetto integrato, avviato quattro anni fa, è Simona Gennari, figura di rilievo del calcio femminile ticinese con una lunga esperienza nell’allenamento dei giovani calciatori. Basata sul valore etico e sociale dello sport, Tutti in gioco è in realtà un’inclusione nei due sensi, perché coinvolge anche giocatori senza disabilità e figure centrali del calcio, come quella dell’arbitro, chiamati ad adattare i loro principi alle caratteristiche di un gruppo che mette in luce il potere della diversità. Oltre ai nuovi tornei ai quali partecipa quest’anno, Tutti in gioco cresce per numero di atleti, entusiasmo dei protagonisti e delle loro famiglie. Ogni venerdì dalle 18 alle 19 la squadra di calcio si allena al campo Tavesio di Porza. Un appuntamento che nessuno dei giovani calciatori desidera mancare, coinvolgendo anche i genitori. Ne seguiamo uno a inizio aprile, condividendo lo spirito allegro e la soddisfazione che animano i presenti. I giocatori sono puntuali, motivati, organizzati. Analogo l’approccio dello staff tecnico e delle famiglie, siano esse quelle degli atleti con disabilità o dei «supporter», i giocatori di altre squadre del Raggruppamento che danno man forte a Tutti in gioco. Grazie alla loro presenza è stato possibile disporre all’inizio del progetto di un numero sufficiente di giocatori per formare due squadre e disputare una partita.

Simona Gennari, che incontriamo a bordo campo prima dell’allenamento, ricorda come il primo ostacolo da superare sia stato quello della pandemia. «Nel marzo 2020 al momento del lockdown – racconta l’allenatrice – eravamo pronti a partire con quattro bambini. Abbiamo perseverato con lezioni online fino a quando abbiamo potuto trovarci in presenza per poi assistere a un progressivo crescendo del numero di giocatori. Questi ultimi sono ora 18 (compresa una ragazza), di età fra gli 8 e i 18 anni. I “supporter” hanno pure fatto un gran balzo in avanti, tanto che ora sono una trentina e li devo convocare a turno. La loro presenza è una forma di inclusione al contrario, perché è indispensabile che si adattino al modo di essere, di comunicare e quindi anche di giocare della squadra». Questo aspetto è per Simona Gennari della massima importanza e riflette il suo percorso di appassionata allenatrice. Spiega al riguardo: «Dopo l’attività di giocatrice a livello Elite, sono diventata allenatrice, svolgendo per diversi anni la funzione di direttrice sportiva del Raggruppamento San Bernardo, società sportiva di calcio giovanile che riunisce i sodalizi di Canobbio, Origlio, Ponte Capriasca, Porza e Comano. Al suo interno ho fondato la Berny School con lezioni di calcio e didattiche basate sul valore dello sport, scuola che integrava bambini del Raggruppamento San Bernardo allievi E e che nel 2015 ha ottenuto il Premio etico». È poi stata la Fondazione Special Olympics Switzerland a proporle di dar vita a una squadra formata da giocatori con disabilità. L’organizzazione nazionale ha conferito al Raggruppamento San

Bernardo anche per l’anno 2023/2024 il label Unified che certifica la qualità di un’offerta inclusiva.

Tutti in gioco ha la sua divisa – casacche arancioni, rispettivamente azzurre per le partite in trasferta – e fa fronte ai diritti e ai doveri che accomunano tutte le squadre del Raggruppamento. «È questo il senso di una vera inclusione, nel nostro caso realizzata attraverso lo sport», spiega Simona Gennari. «Abbiamo introdotto i rituali del calcio rispettando tempi e modi dei nostri atleti. Il grido collettivo “Hip hip urrà” a inizio e fine allenamento è diventato un’abitudine, così come mettersi le scarpe sul posto o ancora ritrovarsi nello spogliatoio a fine partita; il prossimo passo sarà quello di utilizzare lo spogliatoio anche per cambiarsi». Lavorando a tappe si è permesso ai ragazzi non solo di ritrovarsi sorridenti per un’attività di gruppo all’aperto, ma pure di acquisire una certa autonomia. Per raggiungere questo obiettivo, l’allenatrice può contare su uno staff tecnico motivato composto da giovani neodiplomati o in formazione e da adulti con esperienza nelle attività di inclusione. Oggi sono l’allenatore principale Det (come Simona con una formazione G+S andicap), Luca, Moreno, Ambra e Gaia a seguire i ragazzi negli allenamenti e nelle partite. La presenza di un team di sei persone permette, come abbiamo visto durante l’allenamento, di aiutare chi ha qualche difficoltà motoria a svolgere le diverse fasi dell’esercitazione. «Riceviamo un grande sostegno – afferma l’allenatrice – sia da ex membri dello staff come Franco che si è trasferito in Italia, sia dai nostri sponsor».

L’apprezzamento maggiore viene però dalle famiglie degli atleti, come testimoniano due mamme. Entrambe sottolineano come la possibilità di svolgere un’attività di gruppo, creandosi amici con i quali condividere anche altri momenti spensierati (un film al cinema, una pizza) sia particolarmente importante per i giovani con disabilità che crescendo faticano a trovare simili occasioni di svago. I benefici dell’attività calcistica concernono anche altri aspetti della vita. L’allenamento funge da stimolo per una maggiore indipendenza nel preparare il proprio materiale e nel recarsi al campo. Cristina, madre del portiere Mattia, afferma che grazie al calcio giocato suo figlio ha «imparato a perdere». Benché l’obiettivo del gioco sia quello

di vincere, non bisogna infatti dimenticare il fair play e il divertimento che devono avere la precedenza sulla prestazione. Anche Aline, madre di Elia (attaccante), insiste sull’aspetto ludico che «permette a tutti di giocare, di divertirsi e di sentirsi parte del gruppo». Elia è cresciuto osservando sui campi da calcio il fratello maggiore e Tutti in gioco permette anche a lui di pra-

Tutti gli aggiornamenti della stagione della squadra luganese sono pubblicati sul blog www. glamilla.ch/tuttiin-gioco

gruppo di Tutti in gioco è apprezzato anche dalle famiglie dei «supporter». Mentre Patrizio entra in campo, la madre Maura ci dice che «tutti vengono per divertirsi e stare in amicizia. I bambini non hanno pregiudizi; sono semplicemente felici di giocare insieme».

ticare il suo sport preferito. La madre aggiunge che «grazie a questa attività i nostri figli acquisiscono un tipo di autonomia che serve per la vita». Per alcuni, aggiunge l’allenatrice, questa formazione può persino rappresentare un trampolino di lancio per l’inserimento in un’altra squadra del Raggruppamento, come è avvenuto per un giovane talento ipovedente. Il bel

Altro aspetto che emerge a bordo campo è la determinazione a conseguire buoni risultati. Certo, conservare il sorriso in ogni caso è l’atteggiamento di fondo, ma la squadra punta giustamente a vincere. Le partite che gioca ogni due o tre settimane un po’ in tutto il Ticino sono quindi sentite e ancora di più lo sono appuntamenti importanti come i due tornei di questo mese, uno dei quali ha portato per la prima volta i giocatori oltre San Gottardo. La trasferta è avvenuta lo scorso weekend nel canton Berna per un torneo organizzato da Special Olympics. Fra due settimane sarà invece la volta del 21esimo Torneo di Pentecoste del Settore giovanile del Footbal Club Mendrisio, sodalizio che pure conta una squadra riconosciuta da Special Olympics con la quale esiste un’ottima collaborazione. «Ritengo che le nostre partite – conclude l’allenatrice – siano molto più di un incontro calcistico perché, promuovendo valori universali di rispetto, accettazione e solidarietà, dimostrano il potere dello sport nel valorizzare la diversità, ispirando cambiamenti positivi nella società».

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Leggere l’esistente per progettare il futuro

Baukultur ◆ L’edilizia sostenibile porta vantaggi a tutti, ma l’attenzione va puntata anche su risanamenti e spazi pubblici

Parlando di Baukultur, nello scorso articolo apparso su «Azione» del 15 aprile avevamo detto che la trasformazione nell’ambito delle costruzioni concerne l’integrazione di tecnologie digitali avanzate nel ciclo di vita del territorio costruito. Tutto ciò richiederà un profondo cambiamento culturale, socioeconomico e gestionale, rivoluzionando l’intero settore. Le nuove opportunità comprendono progettazioni con simulazioni avanzate, con rilievi di dati geospaziali, con immagini 3D e relative mappe. Poi – e sembra fantascienza –c’è la sensoristica applicata agli edifi-

Sabato 11 maggio alle 17.00 l’i2a inaugurerà presso la Limonaia di Villa Saroli a Lugano la mostra Anatomy of Change. Ticino Trilogy a cura della prof. Elli Mosayebi (ETH Zürich). I progetti degli studenti esposti sono il risultato di un’esplorazione, durata tre semestri, del potenziale di diverse cornici temporali: permanente, circolare e temporanea in relazione alla produzione architettonica nel contesto ticinese. La giornata inaugurale sarà l’occasione per partecipare a tre tavole rotonde dedicate ai temi trattati nei progetti degli studenti. Informazioni: www.i2a.ch

ci nuovi e di grandi dimensioni, con le costruzioni intelligenti e l’internet delle cose. Nel mondo delle costruzioni pare che tutto si muova all’insegna del BIM (Building Information Modeling), che sta a indicare un metodo di lavoro che sfrutta il sistema digitale ed è composto dal modello 3D, integrato con i dati fisici e funzionali della struttura e delle sue informazioni sul ciclo di vita previsto. Inoltre, con la realtà aumentata applicata all’industria delle costruzioni è possibile, per esempio, inserire virtualmente un oggetto o un fabbricato in un contesto reale, per simulare il suo impatto sull’ambiente circostante.

Disponiamo ormai di molti strumenti, da usare secondo le esigenze. La metodologia potrà essere quella di portare avanti più varianti da mettere a confronto, per poi scegliere quella che soddisfa maggiormente. Tutto ciò per quel che riguarda la tecnica. Ma nel nostro Ticino, come sarà? Nella giornata di studio della SUPSI intitolata Ticino 2050: scenari Timothy Delcò, esperto nell’ingegneria del costruito e Portfolio Manager per la gestione strategica del patrimonio immobiliare dello Stato del Cantone Ticino, ha voluto smorzare qualche entusiasmo e fare un esame di realtà. «Con l’occhio dell’imprenditore immobiliare non mi preoccupano gli edifici del futuro, ma come gestiamo gli edifici di oggi e come arriveremo al 2050. Il settore sa-

prà affrontare le sfide che incombono? Dobbiamo guardare con attenzione all’economia circolare e occuparci soprattutto del costruito esistente». Per Delcò cinque sono le parole chiave per un grande proprietario immobiliare: innovazione, che non può esistere se non è accompagnata dai valori di sostenibilità e dai principi dell’economia; digitalizzazione, il cambiamento edilizio oggi è guidato dal digitale (e sottolineo è), ma c’è molta strada da fare; mercato, che deve essere un buon alleato della transizione per attuare le soluzioni («Le competenze e le tecnologie oggi ci sono, ma vanno usate per quello che sono e bisogna integrarle. La formazione è fondamentale»); comunità, dobbiamo costruire un pubblico composta da privati e

istituzioni, che siano capaci di condividere gli stessi valori. «Non cambierai mai le cose combattendo contro la realtà esistente» diceva il grande architetto americano Richard Buckminster Fuller, il padre delle cupole geodetiche (quelle del radar del Monte Lema, per intenderci) e delle tensostrutture, che invitava a fare di più con meno. L’ultima parola è novità: per cambiare davvero bisogna creare nuovi paradigmi che rendano obsoleti i vecchi modelli, ancora in uso. Occorre creatività e puntare sulla proposta di soluzioni più convenienti – per tutti gli attori della filiera – e sulla gestione introducendo le competenze digitali. «L’equazione è questa: tecnologie digitali + economia circolare = edilizia sostenibile». La sostenibilità paga e aumenta la redditivi-

tà di una proprietà immobiliare. Delcò infine ha ricordato che non c’è futuro senza risanamento, che porta vantaggi ambientali (riduzione del CO2, consumi minori), sociali (attenta pianificazione abitativa e qualità della stessa) ed economici (meno deprezzamento, lungo ciclo di vita).

La realtà della Svizzera italiana è piccola e tutto il nostro territorio è sempre combattuto nel dualismo conservazione e trasformazione, con la paura di guastare quello che per noi è stato un valore culturale. Pensiamo a molti villaggi delle nostre valli, costruiti per rispondere alle necessità di una società che fondamentalmente non esiste più, ma che vengono in un certo senso congelati in una forma ideale o idealizzata. Attorno a questa questione è importante capire oggi come pianificare gli interventi e in che misura si può trasformare adattandosi ai tempi. Ludovica Molo, architetta, direttrice dell’i2a, Istituto Internazionale di Architettura, e presidente centrale della Fas (Federazione architette e architetti svizzeri) invita a cercare semplicità e inclusione, uno spazio accessibile per tutti: «L’architettura degli spazi pubblici spero che sia soprattutto un’architettura di ripristino. Quando parliamo di cultura della costruzione non parliamo soltanto di costruzioni ma anche dello spazio che sta tra gli edifici: è quel tessuto connettivo che avvicina i cittadini, un luogo di incontro che fa vivere in società».

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TEMPO LIBERO

Stradario sentimentale di Milano

Tra i toponimi passati in rassegna da Kerbaker la serie di curiosità, nozioni storiche e storie bislacche è infinita e continuamente arricchita

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Heuchere, erbacee perenni e colorate

Anche dette campane di corallo, sono piante americane conosciute per essere robuste e resistenti alle temperature molto basse

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Ecco come realizzare una bacheca di sughero con un grande cuore da regalare il prossimo 12 maggio per la festa della mamma

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Lo sguardo obliquo di un genio della comicità

Vite da ridere (o quasi) ◆ Ci sono maschere talmente iconiche da rimanere impresse in quanto tali, facendo dimenticare tutto il resto, nome compreso. Il caso di Marty Feldman

Carlo Amatetti

Bombetta e bastone. Impermeabile e ombrello. Sigaro e occhiali (e naso finto…). Questi sono solo alcuni degli elementi costitutivi di tre maschere comiche per eccellenza: Charlot, Monsieur Hulot e Groucho Marx. Il bello di queste maschere era la loro praticità. Bastava riporle in un armadio a fine giornata e tornarsene a casa. Ma se, come ad esempio per Oliver Hardy (in arte Ollio), la tua maschera sono i chili in più, beh quei chili tornavano a casa con te. E non sono mai un bel compagno di viaggio. Peggio ancora se la tua maschera comica dipende da un tratto fisico che neppure una dieta ferrea può mettere a posto, come due occhi strabici da competizione! E proprio questi ultimi fecero la fortuna – e furono la condanna – di un comico che tutti conoscono, ma proprio tutti, e mai – e sottolineo di nuovo mai – per il suo nome vero: Marty Feldman. Eppure ha avuto un ruolo cruciale sia nel rivoluzionare la comicità britannica degli anni Sessanta, sia tutta quella occidentale a seguire. Ciononostante, il contributo più duraturo non lo diede con le interpretazioni, ma con la penna. Del resto, citando un suo noto adagio, «la penna è più potente della spada… e decisamente più comoda per scrivere». Per capirne di più, facciamo allora qualche passo indietro. Londra, East End, 8 luglio 1934. Un’immigrata da Kiev dà alla luce un vero cherubino, che dirà: «Assomigliavo a Shirley Temple, una specie di Shirley Temple gotica… una Shirley Temple ebrea». Dopo un’infanzia tanto povera quanto felice, le cose per lui si complicano proprio quando, finita la guerra, la sartoria del padre comincia a ingranare. Viene mandato in scuole sempre più prestigiose. Ma il risultato è sempre lo stesso: espulsione. Da tredici scuole consecutive.

A Feldman non interessano né i soldi né la posizione sociale, ma solo il jazz, tanto che ha una folgorazione: è certo di poter sbarcare il lunario come jazzista a Parigi. La sua sicumera gli deriva dal fatto che delle due caratteristiche principali del jazzista, ne possiede almeno una: ama le droghe. Quanto a suonare… ci sarà tempo per imparare. Dopo sei mesi, però, la strategia si mostra stranamente fallimentare e viene rimpatriato.

A Londra prova a fare il fotografo, lo sguattero, il commesso, lo «spacciatore» di libri usati, il pugile, l’assistente di un fachiro, tutto sempre senza successo. Comincia allora a esibirsi nei peggiori teatri inglesi – sistematicamente ubriaco – con il trio «Morris, Marty e Mitch», ma proprio quando cominciano a ingranare, molla tutto. Nel mettere mano

(in altre parole, rubando) al materiale altrui per gli sketch del trio, infatti, a poco a poco ci aveva preso gusto e aveva cominciato a scrivere materiale originale. Quando scopre che c’è chi pagherebbe per averlo, decide che il suo futuro è nella scrittura. Scelta azzeccata: da solo o scrivendo in coppia con Barry Took, diventerà una delle penne più importanti di radio e tv inglesi. Ed è proprio come autore che cambierà per sempre la comicità britannica, spostandola definitivamente sul piano della follia e della surrealtà, istruendo su questo fronte, come loro capoautore, quelli che completeranno per lui questa rivoluzione: i Monty Python. I ritmi frenetici di quegli anni – poteva scrivere fino a trentanove episodi televisivi all’anno, più due spettacoli radiofonici a settimana –conditi da sigarette e caffè a volontà, lo fanno ammalare di una grave forma di morbo di Basedow-Graves. Per curarlo gli somministrano una dose

eccessiva di un medicinale per il trattamento tiroideo e la sua faccia reagisce malamente. L’occhio strabico, che si era procurato con un incidente d’infanzia, a un tratto si gonfia. Inizialmente gli dicono che è una condizione reversibile ma come dirà anni dopo: «sto ancora aspettando». È la nascita di Marty Feldman come lo conosciamo. Il suo debutto davanti alla macchina da presa avviene nel febbraio del 1967 nella trasmissione seminale At Last the 1948 Show: John Cleese e Graham Chapman devono sudare le proverbiali sette camicie per convincere il produttore David Frost a mostrare ai telespettatori inglesi i lineamenti grotteschi di Marty: la scelta è un successo clamoroso. Quella faccia, ammaccata dalla boxe, devastata dalla tiroide iperattiva, martoriata da incidenti d’auto, cadute e risse, diviene all’istante un’icona. In Inghilterra viene subito accolto come una star e ben presto il suo show sbarca an-

che in America. Proprio comparendo sulla TV d’Oltreoceano ispira Gene Wilder a costruire su di lui il personaggio di Aigor in Young Frankenstein (1974), il ruolo che lo consacrerà per sempre e dal quale non riuscirà più a distinguersi. Seguono altri ruoli, diretto ancora da Mel Brooks e da Gene Wilder, inoltre compare anche in un assurdo film a episodi di Sergio Martino. In un delirio di onnipotenza accetta la sfida della «triple threat », ovvero la tripla minaccia: girare film di cui contemporaneamente è protagonista, sceneggiatore e regista. Sarà un errore fatale. Il primo tentativo, Io, Beau Geste e la legione straniera (1977), è un successo. Completamente saturo di alcolici, droghe e megalomania, allora ci riprova con Frate Ambrogio (1980), ma stavolta è un disastro tale che la Universal straccia il suo contratto. Cade in depressione. Nel novembre del 1980 gira voce che sia scampa-

to per poco a un tentativo di suicidio, ingerendo un’overdose di sonniferi. Nel 1982 decide così di tornare in patria e in televisione. Ma, prima, accetta di fare un ultimo film per un senso di lealtà verso i vecchi amici che a loro volta gli sono sempre stati vicino. Il film è Barbagialla, il Terrore dei Sette Mari e Mezzo con un cast che sembra la sintesi della sua intera carriera: dalla confraternita di Mel Brooks con Madeline Kahn, Kenneth Mars e Peter Boyle ai vecchi compagni di Marty, da Spike Milligan a Peter Cook, passando per Graham Chapman, Eric Idle e John Cleese. Le riprese si svolgono a Città del Messico. Stremato dalla fatica, dal caldo e dai suoi canonici tre pacchetti di sigarette al giorno, la sera del 2 dicembre viene stroncato da un infarto. Il giorno dopo sui giornali di tutto il mondo compare il suo volto. Tutti hanno il suo nome sulla punta della lingua. Ma sì, certo, poverino, è morto il povero… Aigor.

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Il bizzarro tesoro della toponomastica meneghina

Bussole ◆ Viaggio tra i nomi delle strade che raccontano vicende e figure della città nel recente Stradario sentimentale di Milano di Andrea Kerbaker

La toponomastica cittadina, che chi se ne occupa scientificamente chiama odonomastica, è la consuetudine di dare un nome alle aree di circolazione nelle città e può essere ritenuta tra le pratiche amministrative più esposte a una sorta di paradosso: da una parte taluni hanno la tentazione di ridimensionarne l’importanza, accompagnandola con benevolenza nel calderone delle inutilità per le quali non si ha tempo da perdere, essendo come è ormai uso dire ben altri i problemi della gente e dei comuni. D’altro canto, poco cede più facilmente all’accapigliarsi tra fazioni tanto quanto scegliere questo o quel nome, questa o quella causa, questo o quel genere di persona cui dedicare una via o una piazza. Il costume di scegliere bene un nome da dare alle parti delle città non è acquisizione universale, tanto è che in certe regioni del mondo, anche di non seconda fila come gli Stati Uniti, si usa dare numeri o lettere, o tutt’al più si cede a nomenclature comode, nomi di piante, di musicisti, di poeti, scelti un po’ a caso e raggruppati tutti insieme nello stesso settore della città. Chi si occupi dello studio dei nomi propri sa che un nome di una via o di una piazza risponde a numerose esigenze, alcune amministrative e altre di tipo più culturale e simbolico: di sicuro l’individuazione dei luoghi del comune, l’orientamento spaziale, il controllo amministrativo; ma poi anche una sorta di messaggio di ordine culturale dell’autorità, un indirizzo politico, la condivisione di comuni valori e personalità.

Le vie, le piazze, i vicoli, i larghi ecc. della città di Milano che hanno un nome sono circa quattromila. Sono tanti, e quindi hai voglia a raccontarne le genesi, quella del luogo ma soprattutto quelle delle varie attribuzioni di un nome! Lo fa, bene, lo scrittore e facilitatore di cose culturali e librarie Andrea Kerbaker in questo Stradario sentimentale di Milano Storie dalla città che cambia. Prima di tutto, tra i molti pregi della sua rassegna c’è l’avere capito e fatto proprio un meccanismo particolare: quello secondo cui la città cambia e anche di tanto ma per una sorta di diavoleria linguistica-onomastica i nomi rimangono intatti, e sopravvivono come fossili a testimoniare realtà nel frattempo irriconoscibili.

In uno dei non molto frequenti nomi di via che in Italia non richiami personalità, luoghi simbolici o avvenimenti storici, Largo La Foppa, non si deve leggere – che so? – «un ipotetico Erminio La Foppa, poeta dialettale e martire del Risorgimento» ma una oggi altamente irrintraccia-

bile depressione del terreno, una fossa, come l’Alpe Foppa qui, vicino al Monte Ceneri. Gli originari e ipotetici denominatori della zona certo non avrebbero immaginato il futuro di quel molto cementificato e poco tranquillo luogo odierno; e qui sta un po’ lo scarto logico-semantico che regge qualche divertissement sui toponimi cittadini.

In uno stradario come quello passato in rassegna da Kerbaker la serie è ovviamente infinita e continuamente arricchita da questo o quell’avvenimento, da questa o quella figura che abitò case al numero x di quel viale o di quella piazza. Dunque, il libro è tutto un intrecciarsi di geografie, di storie e di biografie; un repertorio potenzialmente pieno di direzioni e spunti, il che rappresenta un po’ sempre il disordinato tesoro della toponomastica. Un possibile modo di leggerlo è quello che indaga le circostanze, talora veramente un po’ bislacche, delle attribuzioni dei nomi.

Così, un po’ all’insegna della casualità che conferisce virtù a queste incursioni, ci si chiede che cosa deve essere passato per la testa del funzionario, della comunità di cittadini, dello storico locale o della commissione che a un certo punto abbia deciso di chiamare Via Fetonte un vialone accanto all’ippodromo di San Siro. Perché si dà il caso che venga in questo modo celebrato il disgraziato figlio di Apollo che, ottenendo di guidare un po’ in giro il carro del padre, scatenò orribili apocalissi, avvicinando incautamente in quella sua scorribanda il sole alla terra. Oppure in base a quale tipo di interpretazione il menzionare la Via Melchiorre Gioia richieda sempre il prenome mentre per richiamare la celentaniana Via Gluck ci si accontenti del cognome: sarà forse un improprio e sognante richiamo al buonumore da una parte e l’onomatopea canzoniera dall’altra?

Chissà! Si può chiamarla rimotivazione ed è considerata tutto sommato una ricchezza del repertorio. Accanto ai nomi ci sono i luoghi, nei quali questo libro fa venire voglia di andare, per la prima volta o con più nuovi occhi, riprendendo un meccanismo della memoria molto simile alle evocazioni onomastiche. Incuriosiscono per esempio quelle «sponde del Naviglio della Martesana» (il miglior

naviglio, lontano da quelli della belle vie del Naviglio Grande) «sovrastate da un magnifico ponte in pietra che ti fa sentire ancora nell’Ottocento». Oppure quell’anticipo un po’ timido e appartato di consapevole comunità gay che deve avere animato la Via Ro-

sellini (Ippolito Rosellini, fondatore degli studi sull’antico Egitto in Italia, esattamente a metà tra Garibaldi e Centrale), dalle parti dell’Isola, correndo gli anni Sessanta della San Francisco di Castro Street. Tra i quattromila nomi, la serie di

spunti, storie e persone è ovviamente infinita e impraticabile nella misura di un resoconto: andate a vedere in apposite pagine la residenza dello scultore supremo Arturo Martini, le vie delle ricostruzioni postbelliche, le numerosissime sale cinematografiche che animavano la città, l’Asilo Mariuccia, la storia del Monte Stella e del suo architetto, i ricordi struggenti di poeti, giornalisti, amici, molto e molto altro. Enfin, mai come in questo caso, abbiamo tra le mani un libro che va letto e forse anche portato fisicamente in giro per la città, con le sue curiosità e anche, diciamolo forte, per la grafica e i disegni incontrati ogni tot pagine e improntati alla gaiezza (ma chi li ha fatti? Ditecelo, colophon o qualcuno, perché per esempio le pagine 150 e 151 e la pagina 30 sono sopraffine).

Insomma, un libro ricco, lieto e pieno di passione, che si legge nella più classica modalità del «tutto d’un fiato» e senza interruzioni. Quasi a chiedere, alla fine, di potere sentire ancora tante e tante storie come queste.

Bibliografia

Andrea Kerbaker, Stradario sentimentale di Milano. Storie dalla città che cambia, Milano, Rizzoli, 2024.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 6 maggio 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 17
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Le calde tinte delle campane di corallo

Mondoverde ◆ Scientificamente chiamata Heuchere, è un’erbacea robusta, perenne e molto colorata a seconda delle varietà che si desiderano mettere a dimora nei nostri giardini

Basse erbacee perenni, le Heuchere vengono utilizzate in giardino o nei vasi per valorizzare le colorazioni delle sue foglie perenni: color caramello, rosso porpora, rosa brillante, verde prato, con bordature in contrasto o nervature in rilievo, creano sempre un punto di interesse.

Alte tra i 20 e i 60 cm, appartengono alla famiglia delle Saxifragaceae , e amano i suoli di medio impasto, fertili e ben drenati

Anche dette Campane di corallo, sono piante americane che si caratterizzano anche per la loro robustezza e resistenza alle temperature molto basse. Non sono però coltivate solo per il loro lato puramente estetico, queste piante hanno infatti anche virtù medicamentose tanto da legare il loro nome a quello di Johann Heinrich von Heucher, medico e botanico tedesco vissuto a cavallo tra il 1600 ed il 1700.

Vi è un’unica accortezza da prestare al momento della progettazione di una nuova aiuola con delle Heuchere, e ha a che fare con l’esposizione. Di origine montana, infatti, questa pianta predilige zone a mezz’ombra e fresche, poiché se posizionata in pie-

no sole rischia di ritrovarsi le foglie, specie le più giovani, abbrustolite dai cocenti raggi estivi. Ci vuole dunque attenzione e pazienza, per trovar loro una buona sistemazione in zone ombrose; cura che viene sempre ripagata con una ricca e apprezzabile fioritura alla fine della primavera.

I suoi fiori sono piccoli ma molto numerosi, campanulati e portati da lunghi racemi pieni di boccioli bianchi, crema, rosa e rosso acceso.

Il genere Heuchera si compone di ben settanta specie e moltissimi ibridi, ottenuti soprattutto negli ultimi

decenni del 1900 dal vivaista inglese Allan Bloom che ha dato origine a un mix di Heuchere incrociandole dopo aver selezionato i caratteri più forti e apprezzabili delle differenti specie. Si sono così ottenute le Bressingham Hybrids (Heuchera x brizoides) dal nome del vivaio dove lavorava Bloom. Dalle foglie fortemente variopinte persino nei mesi freddi, questi ibridi sono stati selezionati anche per la maggior resistenza al sole, benché l’esperienza consigli di continuare a prediligere collocazioni a mezz’ombra, se si vuole ottenere colori delle foglie più marcati.

Tra le tante varietà spicca la «Fire Alarm», alta quaranta centimetri dalle foglie rosso corallo, l’«Electric Lime» della stessa altezza ma con tonalità verde acido molto simile alla «Lime Marmelade» che si distingue per via delle foglie più lobate, molto simili a quelle dei gerani. Mentre per mettere a dimora un colore ancora più fluo bisognerà optare per una «Lime Rickey». I colori più caldi sono invece di «World Caffè Americano», «Little Cutie Frost» e «Fire Chief»; tutte piante sui toni del marrone cioccolato o «Autumn Leaves» e «Amber Waser» con foglie arancione brillante per l’intero anno.

Alte tra i venti e i sessanta centimetri, appartengono alla famiglia

delle Saxifragaceae, e prediligono suoli di medio impasto, fertili e ben drenati. Crescono lentamente e, per raggiungere le dimensioni definitive in altezza, occorrono anche cinque anni, mentre in larghezza continuano a espandersi. Per ottenere nuove piante si possono seminare o dividere i cespi tagliandoli in tante porzioni a patto di lasciare un ciuffetto di foglie e un

mazzolino di radici per ognuna. L’attecchimento è garantito in poche settimane e per mantenerle sempre in forma si deve procedere con una pulizia degli steli fiorali secchi e delle foglie rovinate o vecchie. Un trattamento preventivo contro l’oziorinco, un insetto notturno, terrà infine questa pianta erbacea al sicuro, garantendo salvezza alle sue belle e decorative foglie.

Alla scoperta della Corea del Sud

Un paese particolare, ricco e vivace, ma al tempo stesso storico e austero. Fuori dai circuiti del turismo di massa la Corea si distingue per i suoi forti contrasti: la tecnologia che avanza e le tradizioni che mantengono il loro forte radicamento ad un passato millenario. Vi innamorerete delle sue belle città e della simpatica popolazione locale.

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Le nostre prossime partenze 2025

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• Marzo: Giappone, la Terra del Sol Levante

• Aprile: Puglia, non solo barocco e buona cucina

• Maggio: Belgio, la magia della Fiandre

• Maggio: Turchia, un paese dai mille colori • Giugno: Crociera sul Reno • Luglio: Scozia con le Isole Orcadi e di Skye

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Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 6 maggio 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 19
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Un cuore per la festa della mamma

Crea con noi ◆ Con pochi materiali potete realizzare una piccola romantica bacheca di sughero da regalare il 12 maggio

Un sottopiatto in sughero, delle puntine e del filo di cotone sono tutto ciò che vi serve per realizzare questa mini bacheca dai toni romantici, ispirata alla freschezza della primavera.

La realizzazione è davvero semplice e con l’aggiunta di un bigliettino diventa un perfetto regalo per celebrare la festa della mamma, rendendo omaggio al suo amore.

Procedimento

Stampate il cartamodello (che

trovate su www.azione.ch) e ritagliate il cuore. Fissatelo con il nastro adesivo al centro del sottopiatto in sughero. Posizionate lungo tutto il perimetro le puntine da disegno, distanziate tra loro di circa 2 cm. Rimuovete il cuore di carta e con un pennellino piatto e il colore acrilico rosa pitturate la testa delle puntine. Lasciate asciugare.

Se saranno dei bambini a tirare i fili, fissate ogni puntina con un po’ di colla universale trasparente, in modo che non si stacchino durante

Giochi e passatempi

Cruciverba

In quale noto romanzo si trova il personaggio Pierre Bezuchov?

Qual è l’autore del romanzo? Scoprilo a soluzione ultimata leggendo le lettere evidenziate.

l’operazione. Tirate il filo di cotone, potete farlo in maniera casuale o, come nell’esempio in fotografia, in modo regolare avvolgendo una puntina e in seguito quella posizionata nella direzione opposta, procedendo in senso orario. Tagliate dal cartamodello le piccole farfalle.

Rivestite della gomma crepla, con i resti di stoffa. Per farlo dovete stendere un velo di colla vinilica sulla gomma, posizionate la stoffa e stendetela bene aiutandovi con una spatola o in alternativa un pezzo di cartone in modo da togliere la colla in eccesso.

Una volta asciutta, riportate sulla gomma così preparata il disegno delle farfalle e ritagliatele. Fissate le farfalle su di una mollettina in legno e posizionatele all’interno del cuore, affrancandole ai fili. Ora, se desiderate regalarla,

• Sottopiatto in sughero (circonferenza 22,5 cm)

• Puntine da disegno

• Colla universale trasparente

• Qualche molletta di legno

• Resti di stoffe e gomma crepla in tinta

• Filo di cotone rosa

• Pittura acrilica rosa (bianco+ rosso), pennello

• Forbici

• Stampante per cartamodello

(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)

non vi resta che aggiungere il vostro biglietto d’auguri. Auguri a tutte le mamme!

Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi

(Frase: 6, 1, 4, – 7) Soluzione della settimana precedente PER SAPERNE DI PIÚ – Mascarene è: UN ARCIPELAGO DELL’OCEANO INDIANO

ORIZZONTALI

1. Nome del fondatore dell’Impero

romano

7. Misere, meschine

8. Tre romani

9. Termine da tennista

11. Le iniziali del noto

Arbore

12. Oscuri, tenebrosi

13. Accorciano o allungano

la spiaggia

17. Avverbio di tempo

18. Nome maschile

19. Porzioni di un intero

20. Commonwealth of Independent States

21. Bollettino climatico in breve

23. Sorrisi inglesi

25. Le iniziali dell’attore Orlando

26. Università

27. Socchiuso in inglese

VERTICALI

1. Operare

2. Uccello marino

3. Tutt’altro che mesti

4. Sono sempre in mezzo al fumo

5. Percepito, fiutato

6. Pane sacro

10. Solitari, isolati

12. Sottomessa al nemico

13. La città di Maometto

14. Le batte anche l’oca

15. Violenti liti

16. Due vocali

17. Pasticcio di carne

19. Qualcuno lo cerca nell’uovo

21. Aggettivo possessivo

22. Pronome davanti a signori

24. Simbolo chimico del magnesio

25. Le iniziali dell’attore Accorsi

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell ’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano».

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 6 maggio 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 21
Non si
legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie
L U N A RI C INI AGO P ET L AS G O DIO E LMO O LMI O A C E L I A N AD ORNA I NO AVE DO TR IS E S A N S ADIPOS O ’ 3 2 9 1 5 3 1 7 32 9 5 1 4 6 4 9 3 285 6 5 7 4 3419 678 52 6572 381 94 9821 453 67 7 3 6 5 1 9 4 2 8 4258 769 13 8194 236 75 1 9 3 7 5 4 2 8 6 2746 815 39 5683 927 41
Sudoku Scoprite i
3
numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
12 3 45 6 7 8 910 11 12 13 1415 16 17 18 19 20 21 22 2324 25 26 27
Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku Materiale
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Viaggiatori d’Occidente

Care vecchie e nostalgiche vacanze di un tempo

Le vacanze di una volta erano migliori? Una ricerca promossa da Crystal Ski Holidays, una società inglese di turismo invernale, sembrerebbe confermarlo. Di certo le risposte degli intervistati sono poesia pura. Al primo posto tra i ricordi c’è il permesso di rimanere alzati fino a tardi. Segue l’acquisto di cartoline da spedire ad amici e parenti. Al terzo posto, a sorpresa, la partita a carte quando fuori piove. E poi ancora l’aereo che decolla all’inizio della vacanza, viaggiare in grandi gruppi con gli amici e le loro famiglie, un’enorme pila di libri da leggere, le difficoltà nel montare la tenda, arrivare presto in piscina per accaparrarsi i posti migliori, il segno dell’abbronzatura, le foto con la macchina fotografica usa e getta, sentire il primo scricchiolio della neve sotto i piedi… Il cibo ovviamente ha un posto di rilievo: la memoria conserva il piacevole ricordo di cene

a tarda sera, di strane pietanze dei ristoranti locali e di memorabili buffet della colazione in hotel. Alcune notazioni poi sono quasi proustiane, come i croissant freschi alla mattina, una cioccolata calda ai bordi della pista da sci, un assaggio dal bicchiere di vino dei genitori. Nel tempo di Google, quando mappe e traduttori sono sempre a portata di mano, è invece difficile capire cosa volesse dire un tempo perdersi in macchina a causa di indicazioni mancanti o incomprensibili, così come ridere dei propri genitori che cercano goffamente di parlare la lingua del posto.

I ricordi di viaggio sono più vividi e duraturi. È un fenomeno ben noto agli psicologi, confermato anche da una ricerca commissionata da Swiss all’Università di Zurigo qualche anno fa. Circa il dieci per cento di tutti i nostri ricordi è legato alle vacanze,

Passeggiate svizzere

Il tiglio di Linn

Prime impressioni, guardando fuori dal finestrino della posta che corre nella campagna argoviese: una campagna vera, senza tante casette spesso tutte atroci e il sapore del perdersi ritrovato di colpo. Mi lascio andare vagando con lo sguardo tra boschi, prati, campi. Anche il mio inconscio si mette in moto, facendo ordine tra ricordi sepolti e liberando l’affettività per il mondo, nonostante tutto. La percezione è di un grande verde ringiovanente, contrappuntismo gioviale dei campi di colza a parte. Colgo così, a fine aprile all’ora di pranzo, il verdino delle foglie a cuore che compongono la maestosa chioma del tiglio di Linn (581 m). Celebre tiglio nostrano (Tilia Platyphyllos) di età stimata tra i cinquecento e gli ottocento anni che fa la guardia a un paesino di centoventinove anime il cui toponimo ne contiene un riflesso (Linde è il tiglio in tedesco). Avvici-

nandomi, impressiona il tronco nodoso con una circonferenza di undici metri: ci vorrebbe una classe intera di bambini per abbracciarlo tutto. Nel folclore locale, una filastrocca-indovinello profetizza che quando l’ombra del tiglio non cadrà più sul castello di Habsburg, il mondo finirà. Questo castello che ha dato il nome alla dinastia degli Asburgo, da qui dista diversi chilometri in linea d’aria ed è oltre l’Aar, impossibile perciò che l’ombra del tiglio sia mai caduta sopra le sue mura. Il significato credo sia tra le righe: è più importante il tiglio del castello. Le sorti del mondo sono più legate a questo monumentale tiglio che non alla dinastia asburgica. Del resto, la caduta degli Asburgo è nota mentre il tiglio ultracentenario è ancora qui, vivo e vegeto. Eppure, tra le pagine di Schweizersagen aus dem Aargau (1856) di Ernst Ludwig Rochholz,

Sport in Azione

anche se naturalmente la percentuale di tempo della nostra vita trascorso in viaggio è di solito molto inferiore. Tirando le somme, oltre nove britannici su dieci provano nostalgia quando ripensano alle vacanze del tempo andato. Saranno l’intensità e la freschezza speciale dei ricordi d’infanzia, si capisce, insieme alla nostalgia che avvolge tutto di un’aura soffusa. Ma la domanda iniziale resta sul tappeto: oggi siamo ancora capaci di divertirci così?

Certo, rispetto al passato le possibilità si sono moltiplicate. I nostri genitori conoscevano e praticavano l’agosto in riva al mare, i più agiati anche la settimana bianca e qualche viaggio europeo. Adesso ogni settimana i giornali propongono nuovi stili di viaggio. Per esempio, solo in questi ultimi giorni, si parla molto di Gig-Tripping, ovvero assistere al concerto del proprio artista preferito in un’altra città;

lo si pratica per essere certi di trovare i biglietti, per risparmiare o semplicemente per combinare la passione della musica con quella dei viaggi. Ancora si discute di Hush Trips, ovvero come lavorare da una località di vacanza, evitando accuratamente di menzionare dove ci troviamo durante le riunioni online con clienti e capi (sarà corretto, ci si chiede?). Forse proprio questa sovrabbondanza è il problema. Bisogna sempre riflettere, valutare, scegliere, sino a quando una certa ansia si fa strada. È la sindrome FOMO (Fear Of Missing Out). Il nuovo termine ha fatto la sua comparsa nel 2010 e tre anni dopo è stato registrato nei dizionari. FOMO è il timore di perdersi qualcosa, la sensazione che gli altri vivano esperienze più interessanti e gratificanti delle nostre. È uno stato d’animo legato a una eccessiva dipendenza dai social, dove

le vite degli altri sono continuamente inscenate in forme apparentemente perfette. Anche nei viaggi vorremmo sempre essere all’avanguardia, ma non è facile cogliere le nuove tendenze nel loro stato nascente. Quando si parla di una nuova meta alla cena tra amici e si cerca di imitare i viaggiatori più influenti è già troppo tardi. Dovevamo pensarci prima. Ma prima quando?

Un altro esempio? Chi oggi andrebbe a sciare con un’attrezzatura di fortuna, con giacca a vento e scarponi in prestito? Eppure era comune un tempo. O ancora, molte spiagge sono diventate decisamente esigenti e chi non ha un fisico scolpito gira alla larga, timoroso dei confronti, mentre le foto d’epoca ci mostrano corpi imperfetti esibiti senza troppe remore in giochi chiassosi, complice quella semplice allegria, condivisa con gli altri, che forse abbiamo perduto.

professore bavarese di letteratura tedesca espulso per motivi politici e rifugiatosi da queste parti a insegnare alla scuola cantonale di Aarau, spunta una variante a intorbidare le acque e infittire il mistero dell’indovinello già ombroso di suo. La fine del mondo sarebbe quando l’ombra cadrà sul castello di Habsburg. Un altro professore della scuola cantonale di Aarau, il professor di matematica Matter, con la sua classe, si è messo, nel 1925, tra angolo di inclinazione e calcoli trigonometrici, a studiare il tutto e trova due giorni all’anno in cui l’ombra potrebbe cadere sul castello: il diciassette aprile e il ventisei agosto. Trascurando agosto, Karl Matter, in un articolo apparso nel 1945 sull’«Aargauer Tagblatt», ai suoi calcoli di vent’anni prima, fornisce un’interpretazione storica. Il diciotto aprile del 1415, il giorno dopo l’ombra caduta sul castello dunque, i

bernesi incominciano a sovvertire il potere asburgico. In realtà sono convinto della prima versione, più antica, dell’indovinello in dialetto argoviese in cui le sorti del mondo sono legate all’ombra del tiglio. Dove ora, su una delle cinque panchine, una coppia di pellegrini del tiglio, mangiano cracker e carote. Per il mio pranzo al sacco prediligo l’erba del prato – in compagnia di umili e intrepide pratoline intirizzite – in modo da poter abbracciare il meraviglioso tiglio: carpaccio di finocchi, arance, olive taggiasche, pepe nepalese. Nella mitologia slava del tiglio, secondo sempre un indovinello, è possibile giungere al centro del mondo tramite un tiglio. A Lubiana si racconta di un tiglio secolare, cavo all’interno: lì c’è il centro del mondo. Fine del mondo, centro del mondo, un grande tiglio a Nierstein, nell’Assia, secondo l’etnologo-folclo-

Sci alpino: Marcel Hirscher «rischia» di far discutere

Marcel Hirscher, asso austriaco dello sci, torna a vestire i panni del Grande Chef. Si scomoda dalla sua pensione dorata per movimentare la scena sciistica da tre anni ostaggio dello strapotere di Marco Odermatt. Così pare dalle dichiarazioni rilasciate in un recente comunicato stampa. Quello che – cifre alla mano, e in attesa di ulteriori sviluppi della carriera di Odi – è considerato il più forte sciatore di tutti i tempi si starebbe preparando al clamoroso comeback, cinque anni dopo aver fatto la riverenza, con otto sfere di cristallo in bacheca e una miriade di scrigni che rigurgitano metallo prezioso. Lo farebbe semplicemente per passione. Per poter tornare a percepire le vibrazioni di un’attività agonistica che è stata l’ossigeno di tutta la sua esistenza. Pare che gareggerà sotto le insegne dell’Olanda, paese d’origine di sua madre, per non togliere spazio

agli sciatori delle giovani generazioni austriache, nazione notoriamente prolifica nella produzione di campioni. Una scelta che ha il sapore della dichiarazione di guerra nei confronti dell’attuale re del circo bianco: se teme di rubare il palcoscenico ai suoi connazionali, significa che si sente perfettamente in grado di tornare ai vertici. Sempre stando alle dichiarazioni pubblicate una decina di giorni fa, Marcel Hirscher non punterebbe alla conquista di una nona Coppa del Mondo, ma solo ad alcuni traguardi parziali.

La sua operazione non mi convince appieno. Nel senso che temo che non ce la stia raccontando tutta, nonostante l’ammissione di essere spinto anche dal desiderio di promuovere il suo marchio. In effetti, faccio fatica a immaginare che un atleta della sua caratura torni sui suoi passi senza che dietro ci siano delle allettanti gra-

tificazioni finanziarie. La storia dello sport insegna. Pensiamo in particolare al pugilato, ad alcuni suoi campioni dal passato glorioso che sono tornati sul ring alla soglia dei cinquant’anni, a combattere per vil denaro, mettendo (forse) a rischio la loro pelle, contro pugili più freschi e più reattivi. Oppure al tennis, disciplina logorante sia per il fisico, sia per la mente, ma dai montepremi faraonici, anche nelle sfide di esibizione. Che bello che Roger Federer non sia tornato sui suoi passi! Che dire, ad esempio, di Michael Jordan o Lance Armstrong? Hanno raccontato, ognuno a suo modo, storie controverse, nelle quali, in sottofondo, si percepiva chiaramente il canto delle sirene. Operazioni legittime, se considerate secondo le logiche di mercato. Chi ha della merce da vendere, lo fa senza remore o reticenze. Personalmente mi auguro però che i media non vi si

tuffino a capofitto. L’ho fatto ora, ma mi metto sul chi va là e prometto di fermarmi qui. Credo che le storie di chi torna da lontano vadano raccontate con prudenza e con pudore. Senza superlativi, senza eccessi di stupore o meraviglia, ma soprattutto senza cascare nella tentazione delle lodi iperboliche, a prescindere. Ad ogni modo, egoisticamente, dico grazie a Marcel Hirscher per la sua pensata. Il mondo degli appassionati di sci, nelle ultime stagioni si stava dividendo in due: da una parte i fan di Marco Odermatt, i quali, godendo come ricci, pallottoliere alla mano, tenevano i conti dei suoi record, confrontandoli con quelli dell’asso austriaco. Dall’altra, tutti gli altri, smaniosi di vedere il campione nidvaldese finire a gambe all’aria, possibilmente senza gravi conseguenze, perché il suo dominio è oramai imbarazzante. Passaporti alla mano, andando a ra-

rista Edwin Sidney Hartland, forniva bambini a tutta la regione. Anche il tiglio di Linn è tutto cavo, non è di certo fuori luogo l’idea materna di un grembo cosmico. Tra l’altro il primo tiglio è la ninfa Filira: spaventata per aver partorito un centauro, prega il padre Oceano di levarla di torno e lui la trasforma in tiglio. Simbolo di femminilità, fertilità, fiducia, lenisce le inquietudini attraverso i suoi fiori infusi, scaccia i demoni, esorcizza la morte. Il tiglio di Linn in particolar modo, è un tiglio legato alla peste, piantato qui, pare, dopo l’ondata di peste del 1348. Questa possibile datazione la trovo anche riportata da Zora Del Buono in Vite di alberi straordinari (2015). Ora appoggio il pollice sulla parte, potata tempo fa, all’estremità di un suo ramo lunghissimo che ondeggia nel vento e infonde forza e coraggio.

vanare anche in Coppa Europa o nelle categorie giovanili, si fa fatica a trovare, in tempi brevi, il nome del suo erede. Quindi, via con l’usato sicuro. Nello Slalom, privo di un suo autentico sovrano, in Gigante e in SuperG, Marcel Hirscher non sarà una semplice comparsa. Ci guadagnerebbe lo spettacolo. Ne beneficerebbe lo sci. Nel tennis abbiamo vissuto un intenso ed emozionante ventennio dominato da tre guru della racchetta. Nel ciclismo, da quattro o cinque anni gira una giovane generazione di mostri. Sappiamo che sovente sarà uno di loro a vincere la corsa, ma ci beiamo del fatto che per lo meno siano quattro o cinque, i fenomeni che si mettono ai fornelli con spezie ed erbe aromatiche. Se il peperoncino di Hirscher produrrà il suo effetto, lo sapremo probabilmente fra sei mesi sul ghiacciaio del Rettenbach di Sölden, alla riapertura della Coppa del Mondo.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 6 maggio 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 23 TEMPO LIBERO / RUBRICHE ◆ ●
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ATTUALITÀ

L’arma della propaganda

In guerra si finisce vittime della disinformazione, altrui e propria, con conseguenze disastrose anche per la democrazia

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Taiwan di fronte ai pericoli I sismi sono frequenti sull’isola nel Pacifico che si è attrezzata dopo la tragedia del 1999. Ma la minaccia principale resta la Cina

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Più piacere e meno fatica

Secondo alcuni analisti in Svizzera si sta diffondendo una mentalità che mette in discussione la tradizionale etica del lavoro

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Proteste degli studenti come nel Sessantotto?

Stati Uniti ◆ L’agitazione giovanile in corso da settimane rafforza l’influenza che la politica estera può avere nell’elezione del 5 novembre. Le ragioni e i torti dei manifestanti pro-Palestina, le analogie con l’opposizione alla guerra in Vietnam

Quando accendo la tv a New York, dove abito, tutti i notiziari «aprono» sulle agitazioni nei campus universitari, gli interventi della polizia per sgomberare gli atenei occupati in questa e in altre città americane. È meno visibile il processo a Donald Trump che si tiene nella mia stessa città. E questo a prescindere se il network sia di sinistra come la Cnn o di destra come la Fox. Non solo New York, l’America intera s’interroga sul significato di quest’agitazione giovanile, le sue ragioni o i suoi torti, l’impatto e le conseguenze che potrà avere in varie direzioni. Politica interna, politica estera, battaglia delle idee, egemonia culturale: tutto s’intreccia. Oltre ovviamente alla tragedia in corso in Medio Oriente.

Era cominciata in alcuni bastioni dell’accademia più elitaria come Harvard, Columbia e Yale, luoghi dove si formano soprattutto i figli della classe dirigente, con rette da novantamila dollari annui. Poi le manifestazioni, le occupazioni, gli scontri con la polizia si sono estesi ben oltre. A New York è entrato in agitazione anche il City College, che costa poco ed è frequentato dai figli dei ceti medio-bassi inclusi molti immigrati. Se i focolai iniziali erano concentrati nell’America delle due coste dove domina la sinistra, ora si segnalano proteste in Stati del Sud che votano repubblicano. Gli studenti filo-palestinesi accusano i presidenti/rettori di limitare la libertà di espressione se sgomberano i campus per garantire l’agibilità delle aule. Fino a ieri le stesse autorità accademiche erano accusate di aver consentito un clima di censura e intimidazione imposto dalla sinistra radicale, l’esclusione di voci conservatrici, e dal 7 ottobre 2023 avevano tollerato un’escalation di aggressioni antisemite. Se chiamano la polizia, le autorità accademiche sono descritte come repressive, se non la chiamano, sono succubi di frange estremiste e violente. Nei sei mesi da qui alle elezioni l’uso politico di queste proteste è destinato a crescere. A metà strada (agosto) c’è un appuntamento come la convention democratica di Chicago che evoca inquietanti analogie con quella convention che nella stessa città si tenne nel 1968, in un crescendo di scontri fra la polizia e i manifestanti contro la guerra del Vietnam.

L’agitazione studentesca rafforza l’influenza che la politica estera può avere nell’elezione del 5 novembre. Gli scontri (anche tra gruppi filo-palestinesi e filo-israeliani) rilanciano pure temi più domestici come la sicurezza e l’ordine pubblico. Qui ricordo che il Sessantotto originario fa vincere le elezioni americane al conservatore Richard Nixon e quelle francesi al con-

servatore Charles De Gaulle: allora si parlava di una rivincita della «maggioranza silenziosa» contro la minoranza che occupava le piazze.

La politica estera americana è un bersaglio proclamato di questo movimento studentesco. Non l’Ucraina, che lascia indifferenti i giovani, ma la Palestina. Sorvolo qui sui segnali di ignoranza o disinformazione tra i ragazzi di questa generazione (onestamente non erano meglio istruiti i ragazzi del ’68). Invece seleziono due questioni serie e ineludibili.

Joe Biden critica duramente Netanyahu ma continua a fornire aiuti militari decisivi alle forze armate israeliane

La prima va al cuore di una contraddizione di Joe Biden. Questo presidente eredita decenni di una politica di sostegno «incondizionato» a Israele (dal 1967). Quell’aggettivo messo tra virgolette è stato contestato a lungo e da più parti: l’America ha continuato a fornire aiuti militari ed economici a Israele anche quando i governi di Tel Aviv ignoravano le pressanti richieste di Washington e facevano scelte contrarie agli interessi veri degli Stati Uniti. Oggi quella contraddizione è

esplosa più che mai. Pur difendendo il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele, Biden è in forte contrasto con Netanyahu, sulla questione dello Stato palestinese, sugli aiuti umanitari, sulla condotta della guerra contro Hamas e sugli insediamenti di coloni in Cisgiordania.

Però Biden non osa cancellare nei fatti l’aggettivo «incondizionato»: da una parte critica duramente Netanyahu, dall’altra continua a fornire aiuti militari decisivi alle forze armate israeliane. Gli studenti vorrebbero farli cessare subito. I contestatori considerano Biden corresponsabile di quello che definiscono il genocidio dei civili a Gaza. Comunque si veda la questione, è un dato oggettivo che Gaza sta diventando «la guerra di Biden» come il Vietnam fu «la guerra di Lyndon Johnson». Con le dovute e significative differenze: dal Vietnam ogni giorno tornavano delle bare con salme di giovani americani caduti al fronte. Nel 2024 l’America non combatte direttamente, o almeno non a Gaza, anche se alcune sue basi militari e le sue flotte sono intervenute: contro i missili e droni iraniani, contro gli Hezbollah, contro gli Houthi nel Mar Rosso.

In parallelo alle accuse a Biden, c’è un’altra campagna portata avanti dal movimento studentesco, quella sui

«disinvestimenti»: i manifestanti esigono dalle loro ricchissime istituzioni universitarie (e in prospettiva dall’America tutta intera, aziende, banche) che chiudano ogni investimento suscettibile di aiutare gli insediamenti illegali di coloni israeliani in Cisgiordania o altre forme di sfruttamento della popolazione palestinese. Si ispirano alla campagna di disinvestimento che colpì il Sudafrica ai tempi del dominio razzista della minoranza bianca. Quel movimento di boicottaggio economico contribuì alla vittoria di Nelson Mandela e dunque alla fine dell’apartheid (anche se non fu così decisivo come si tende a credere).

A ispirare la Generazione 2024 o Generazione Gaza c’è una visione etica della politica estera: l’America dovrebbe comportarsi nel mondo intero in conformità con i valori a cui dice di ispirarsi nella sua Costituzione. Questo movimento si iscrive in una tradizione radicata soprattutto nel partito democratico.

All’interno di questa ispirazione apprezzabile, il movimento studentesco però si è macchiato di un peccato originale. Fin dalle prime ore successive al massacro di Hamas, il 7 ottobre, una miriade di associazioni studentesche approvarono subito il massacro di civili israeliani, lo stupro in massa di donne, il rapimento di

bambini. Molto prima che arrivasse la controffensiva israeliana a fare strage a Gaza, tutto fu assolto in quanto giusta vendetta per i torti subiti dai palestinesi. Quell’usare due pesi e due misure – la violenza israeliana è orribile, quella di Hamas è sacrosanta – continua tuttora e perseguita il movimento. Lo espone alle accuse di antisemitismo, che sono giustificate da innumerevoli atti di aggressione avvenuti nei campus, molti dei quali sono diventati dei luoghi non solo inospitali ma perfino insicuri per studenti di origini ebraiche o di nazionalità israeliana.

Questa macchia si collega a un altro peccato originale, che non si riferisce solo a Gaza ma all’ideologia prevalente nei campus. Interpreta l’intera storia delle civiltà e l’universo mondo attraverso il trittico potere-oppressione-privilegio; divide l’umanità in oppressi e oppressori, sfruttati e sfruttatori; schiaccia la complessità dentro categorie manichee (buoni-cattivi, bianco-nero); riduce quindi il mondo contemporaneo a una massa di vittime (il Grande sud globale, gli ex-colonizzati, le minoranze etniche dei nostri Paesi) e un unico carnefice che è la razza bianca, dominatrice, aggressiva. Fanatismo, intolleranza, perfino l’apologia della violenza derivano da questa visione del mondo.

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 6 maggio 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 25
Tensione nei pressi di un cancello della Columbia University a New York. (Keystone) Federico Rampini Pagina

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L’arma a doppio taglio della propaganda

L’analisi ◆ In tempo di guerra la verità diventa relativa, anche in Occidente, e si pongono due problemi: di sicurezza e democrazia

Fu Winston Churchill, che per una buona battuta avrebbe ucciso, a stabilire: «In guerra la verità è un bene talmente prezioso che va sempre accompagnato da una scorta di bugie». Nel vortice di guerre da cui siamo avvolti, l’accompagnamento è talmente stretto che sembra di non poter più scorgere la verità, o qualcosa che le assomigli. Sarà effetto della ipermediatizzazione in tempo reale di cui ogni forma di comunicazione ormai soffre. Ma c’è qualcosa di più, insieme grave e paradossale. Alla fine gli stessi comunicatori ufficiali o ufficiosi non sanno più se stanno mentendo o aderendo alla realtà. La narrazione confonde i narratori.

La propaganda è inerente alla guerra, come a qualsiasi competizione. È anzi strumento sempre più rilevante per tenere insieme il fronte interno e demoralizzare l’avversario. Negli Stati chiusi, ipercontrollati, proviene da una fonte unica. Si presume che questa – Vladimir Putin o Xi Jinping, tanto per non fare nomi – sappia distinguerla dai fatti. Non sempre è così, perché più un sistema è controllato più gli inevitabili conflitti di potere fra gruppi e potentati diversi producono masse di disinformazione ed erigono cortine fumogene che possono oscurare la vista al leader massimo e ai suoi pretoriani. Ma questo è scontato: le autocrazie si autoraccontano.

Per nulla scontato dovrebbe essere questo dato in società aperte, più o meno liberali e democratiche. Insomma, quelle che noi privilegiati abitiamo. Uno scrutinio severo della comunicazione non solo ufficiale rivela che questo principio teorico viene costantemente violato. Al punto che non ci poniamo nemmeno più la domanda se la nostra rappresentazione della guerra sia abbastanza realistica o meno. Ciò pone un problema immediato, di sicurezza, e uno di prospettiva, intorno alla qualità della nostra democrazia. I due aspetti sono intrecciati.

A forza di ripetere concetti per rassicurare l’opinione pubblica – o terrorizzarla –la scorta di bugie può sommergere la verità

La questione di sicurezza consiste nel disporre o meno, da parte di chi combatte direttamente o indirettamente la guerra, di informazioni non troppo viziate dalla propaganda. Non tanto quella altrui, che si dovrebbe poter filtrare, quanto dalla propria. È umano infatti dover credere a ciò che si dice, entro certi limiti. Si può mentire, talvolta si deve, ma non sempre, né con tutti. Se a forza di ripetere concetti utili a rassicurare le nostre opinioni pubbliche –o a terrorizzarle per tenerle all’erta –la scorta di bugie sommerge la verità, si finisce in una realtà virtuale autocostruita. O dritti addosso al muro. E si rischia di perdere la guerra. La questione democratica è più profonda. Una società libera e aperta – concetti ovviamente relativi –è la condizione necessaria anche se non sufficiente per allestire istituzioni democratiche. E viceversa, in una fecondazione reciproca. Renan diceva che la nazione è plebiscito di ogni giorno. Lo stesso vale, moltiplicato, per la democrazia. Per questo nelle democrazie europee siamo cultural-

mente ostili all’idea stessa di guerra: sappiamo che se si perde si perde anche la libertà. Ma una volta coinvolti in un conflitto, il ricorso alla propaganda – vulgo: allo scudo delle bugie – è inevitabile.

È l’equivalente mediatico della mimetizzazione delle truppe e dei mezzi di combattimento. Saper sempre distinguere la necessità tattica dalla priorità strategica – restare democratici anche durante un conflitto, malgrado tutto – diventa impresa abbastanza ardua. Viene alla mente quanto un autorevole esponente dell’amministrazione Bush figlio spiegò a un giornalista del «New York Times», nell’ottobre 2004, quando l’impresa irachena, basata su false informazioni distillate dalle intelligence americana e britannica, stava già sprofondando verso il disastro: «La gente come lei vive in quella che noi chiamiamo la comunità basata sulla realtà», dove ci si illude «che le soluzioni emergano dal giudizioso studio di una realtà comprensibile. Oggi il mondo non funziona più così. Adesso noi siamo un impero. E mentre agiamo, creiamo la nostra realtà. E mentre voi giudiziosamente studiate quella realtà, noi agiamo di nuovo, producendo nuove realtà, che voi potrete studiare. È così che si sistemano le cose. Noi siamo gli attori della storia. E a voi, a tutti voi, resta di studiarla» (vedi R. Suskind, Without a Doubt, «The New York Times», 17 ottobre 2004).

Con quella disfatta l’impero americano entrò in sofferenza. Oggi ne viviamo la fase acuta. L’eccesso di teatralizzazione, sovrapponendo realtà inventate ai fatti, provoca le dure repliche della storia. Qualche conferma dall’attualità. Pensiamo all’invasione russa dell’Ucraina. Dopo pochi giorni dall’inizio dell’«operazione militare speciale», e per molti mesi, i media occidentali erano quasi unanimi nel segnalare il disastro dell’esercito russo, che aspettava di essere accolto trionfalmente a Kiev dalle folle plaudenti. Descritta come uno strumento di cartapesta, corrotto e indisciplinato, l’armata di Putin era destinata alla sconfitta. Poi, nell’ultimo anno, le narrazioni si sono rovesciate. Adesso quelle stesse truppe sono dipinte in grado non solo di prendersi tutta l’U-

craina, ma di minacciare i paesi della Nato, dalla Lituania alla Polonia, dalla Finlandia alla Romania. Una delle due verità assolute era o è evidentemente molto più relativa e sfumata di come ce la siamo raccontata.

Risultato: Emmanuel Macron dice e ripete di essere pronto a schierare sue truppe in Ucraina, equivalente logico dell’elevazione del conflitto a guerra mondiale fra potenze nucleari. Quasi fosse normale. Finire prigionieri del-

le proprie narrazioni è una scelta, non un destino. Sarebbe troppo sperare in un soprassalto di sobrietà, di senso del limite? Parrebbe di sì. Purtroppo in guerra non ci sono gli esami di riparazione.

Prima di dormire

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 6 maggio 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 27
Il premier britannico Winston Churchill sosteneva:
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Taiwan di fronte ai pericoli, naturali e no

Prospettive ◆ I sismi sono frequenti sull’isola nel Pacifico che si è egregiamente attrezzata dopo la tragedia del 1999 Ma la minaccia principale resta la Repubblica popolare cinese che la rivendica come proprio territorio

Sull’isola di Taiwan la terra continua a tremare. Secondo gli esperti si tratta di scosse di assestamento, alcune anche molto forti, che potrebbero proseguire per molti mesi, fino a un anno. Il sisma più forte, che ha dato il via allo sciame, è stato quello del  aprile scorso, con epicentro nella contea di Hualien. Quel giorno, poco prima delle otto di mattina, una scossa di magnitudo , ha fatto tremare le case e i palazzi, facendo crollare almeno  edifici e danneggiandone . Alla fine, le autorità hanno dichiarato morte  persone. Nonostante le vittime e lo shock iniziale per la popolazione, il disastro naturale è però servito per fare una valutazione di tutto quello che è cambiato a Taiwan dopo l’ultimo terremoto di simile intensità, quello del  che aveva avuto come epicentro la contea di Nantou, proprio al centro dell’isola.

Allora i morti erano stati , e interi villaggi erano stati rasi al suolo. Il Governo di Taipei decise, dopo quella tragedia, di rivoluzionare il suo piano antisismico, che prima era pressoché inesistente. Si mise in atto da subito un piano regolatore per rendere gli edifici sicuri, e si cominciò a studiare una nuova catena di comando più efficace per portare aiuto alla popolazione, nuovi protocolli, oltre a un sistema rinnovato di addestramento delle squadre di soccorso e salvataggio ur-

bane – oggi, quelle taiwanesi, sono tra le più richieste al mondo. Venticinque anni fa è iniziata anche una campagna intensiva di comunicazione alla popolazione: educazione ed esercitazioni, che secondo i protocolli già adottati dal Giappone servono ad automatizzare la reazione dei cittadini, che devono essere pronti anche al peggio. La tecnologia poi è servita a massimizzare lo studio e la capacità del Governo centrale di capire dove e quando intervenire, anche in maniera preventiva. Anche adesso, che lo sciame sismico continua a farsi sentire persino nella capitale Taipei, la popolazione subisce lo stress delle periodiche evacuazioni (come durante l’ultima scossa forte, di magnitudo ,) ma convive con il rischio minimizzando le criticità e attenendosi ai protocolli.

Del resto, per l’isola di Taiwan, che la Repubblica popolare cinese rivendica come proprio territorio e non ha mai escluso l’uso della forza per annetterla, il sistema istituzionale di difesa della popolazione è parte della propria identità democratica. Un aspetto importante della frequente contrapposizione fra Taiwan e Cina riguarda infatti il modello: Pechino sostiene che il partito unico, cioè il potere nelle mani della leadership del Partito comunista cinese, sia di fatto garanzia di protezione della popolazione. È una teoria che

per la Festa della Mamma

Centro di evacuazione a Hualien, nella parte orientale di Taiwan, dopo il terremoto del 3 aprile. (Keystone)

contribuisce all’immagine della Cina anche fuori dai confini nazionali, convincente per diversi Paesi soprattutto del sud globale. Da tempo però Taipei prova a dimostrare il contrario: il sistema democratico, anche se imperfetto, è quello che ci aiuta a cambiare le cose nel miglior modo possibile, per i cittadini ma anche nel contributo al resto del mondo. Durante la pandemia da Covid-, mentre la Cina applicava il suo draconiano sistema della politica «zero Covid» e silenziava chi criticava la gestione dei contagi, Taiwan è stato un caso di successo e uno dei Paesi con il modello di contenimento del virus più copiato in Occidente, fatto di co-

municazione istituzionale, prevenzione, e poche misure di limitazione delle libertà personali.

È anche per questo che l’obiettivo della leadership cinese di Xi Jinping di annettere l’isola di Taiwan funziona soltanto combinando la minaccia e la pressione militare con il lavoro diplomatico di Pechino, che da anni spinge per l’isolamento internazionale di Taipei. Perché in realtà, sull’isola, anche i più aperti alla collaborazione con la Cina non hanno più nessuna intenzione di farsi inglobare nel modello sempre più autoritario di Pechino.

Anche la tragedia del terremoto di Hualien del  aprile è stata usata dal-

la Cina per fare politica: i media statali hanno parlato del terremoto «nella provincia cinese di Taiwan», e Zhu Fenglian, portavoce dell’Ufficio cinese per gli Affari di Taiwan, aveva fatto sapere che il Governo di Pechino era «pronto a fornire assistenza per i soccorsi», in una formula tipica di quando le tragedie avvengono sul territorio cinese. Subito dopo il ministero degli Esteri della Bolivia aveva rilasciato una dichiarazione in cui esprimeva «la sua solidarietà alla sorella Repubblica popolare cinese, di fronte alla perdita di vite umane e ai gravi danni materiali causati da un forte terremoto che si è verificato al largo delle coste di Taiwan». Il ministro degli Esteri di Taiwan, Joseph Wu, aveva condannato la dichiarazione che seguiva «il Governo autoritario cinese nel diffondere a livello internazionale osservazioni false che sminuiscono la sovranità del nostro Paese». Il governo di Taipei ha poi rifiutato gli aiuti dalla Cina, che sono arrivati però da molti Paesi come Giappone, Corea del sud, dalla Lituania e dal Regno Unito, e naturalmente dall’America. Ma Washington non si occupa solo degli aiuti in caso di disastri naturali: di recente il Congresso americano ha approvato una legge per fornire otto miliardi di dollari di aiuti militari a Taiwan, per difendersi da una possibile aggressione cinese.

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Meno fatica e più tempo libero

Svizzera ◆ Secondo alcuni analisti si sta diffondendo una mentalità che mette in discussione la nostra tradizionale etica del lavoro

Ignazio Bonoli

Tra gli economisti, ma anche tra chi si occupa di sociologia o di cultura, c’è chi sottolinea lo sgretolarsi a poco a poco dell’etica del lavoro, di quella lasciata in Svizzera dal protestantesimo. Qualcuno fa risalire l’accentuarsi di questa evoluzione al periodo della pandemia da Coronavirus, che in parecchi casi ha spinto verso l’organizzazione del lavoro da casa – modalità la quale favorisce la conciliazione vita-lavoro ma pone anche nuove problematiche – e verso l’idea di godere maggiormente della singola giornata. Ma c’è anche chi ha scoperto, o riscoperto, i piaceri del «dolce far niente» e oggi porta parte di questo piacere (o dispiacere) tornando sul posto di lavoro. Si può forse far risalire a queste situazioni la tendenza in atto a chiedere più giorni di vacanza o ad approfittare fino in fondo dei giorni di libero per varie attività.

Su un altro fronte, in diversi sono giunti a considerare seriamente – magari approfittando delle molte possibilità offerte dall’informatica – un maggior uso del «lavoro a domicilio». Al punto che certe aziende, o anche certi enti pubblici, hanno dovuto limitare la concessione dei necessari permessi. Alcune di queste tendenze sono state riassunte in un articolo della «NZZ am Sonntag» del 14 aprile scorso, poi completate da considerazioni sul ruolo della scuola, in particolare a Zurigo, di cui non ci occupiamo in questa sede.

La messa in pratica del desiderio di «emanciparsi» dal lavoro è ancora limitata in un Paese abituato a rispettare gli impegni presi e gli orari imposti. Tuttavia, su un piano globale, si possono già verificare tendenze precise: per esempio il fatto che circa il 40% dei lavoratori svizzeri chiedano il pensionamento prima dell’età ufficiale di ritiro dal lavoro. Oppure che sono sempre più numerosi coloro che – a partire dai 55 anni d’età – chiedono una riduzione dei tempi di lavoro. Sintomi di un contrasto evidente con l’esigenza contraria, vuoi per un aumento della durata di vita, vuoi per una necessità di aumento dell’età di pensionamento, che il finanziamento di opere previdenziali come l’AVS sta già oggi chiedendo.

D’altro canto, sia il livello salariale generale sia un mercato del lavoro piuttosto teso, con piena occupazione e mancanza di personale specializzato, lo possono permettere con il risultato che oggi, rispetto ai dati del 2010, il lavoratore in Svizzera lavora quattordici giorni di meno all’anno. In qualche caso si è anche potuto costatare come il calcolo dello stipendio da percepire tenga conto anche dei possibili aiuti pubblici in vari ambiti, per esempio per i premi di cassa malati. Un’evoluzione che potrebbe costringere a lavorare a pieno tempo solo chi ha compiti dirigenziali o chi ha un salario troppo basso.

Secondo alcuni commentatori ci si sta quindi avviando verso una mentalità della ricerca del massimo tempo libero possibile e del «prendi tutto quello che puoi» al di fuori del salario. Una mentalità nuova per la Svizzera (soprattutto quella svizzero-tedesca e appunto protestante) che potrebbe mettere in discussione le basi del modello sociale attuale.

Modello che ha potuto contare su un benessere generalizzato, ovviamente favorito da un’economia efficiente e dinamica, nonché da un sensibile aumento della produttività del lavoro. Ma le analisi dovrebbero forse anche considerare che gli stessi progressi delle tecnologie utilizzate richiedono magari meno presenza sul posto di lavoro. E non è escluso a priori che la tendenza possa continuare e perfino accentuarsi, proprio grazie al più recente progresso tecnico, senza il quale si rischierebbe però di tornare indietro di un paio di secoli. Ma anche questa evoluzione ha precisi limiti e costi elevati, nonché un crescente ricorso a forza lavoro da importare, soprattutto per i lavori che gli svizzeri non vogliono fare. Ma non solo, come rivela il crescente impiego di mano d’opera estera in lavori altamente specializzati e anche nel settore terziario. Per ora stiamo però anche utilizzando le ricchezze prodotte dai nostri predecessori. Infatti il 40% degli svizzeri gode di un’eredità, la cui somma

raggiunge i 95 miliardi di franchi, percepita anche in età abbastanza giovane. Le statistiche dicono che quasi la metà della ricchezza globale attuale è dovuta a eredità, che solitamente è però mal distribuita: i già ricchi ereditano di più dei meno ricchi. Ma questa è forse l’unica eccezione (fino a quando?) rispetto a un generale appiattimento di una società che vuole sopprimere tutte le diversità, comprese alcune che si direbbero create ad arte.

E gli svizzeri sembrano non preoccuparsi di un mondo in equilibrio precario, ma che sta profondamente cambiando. Lo fanno con un aumento talora sconsiderato dei consumi di ogni tipo e abbandonano le tradizionali virtù di previdenza e risparmio.

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Oggi si dà più importanza alla conciliabilità vita-lavoro. Il telelavoro la favorisce. (Keystone)

Ma questo è dovuto anche ai molti costi dello Stato tramite l’AVS, la cassa pensione e il terzo pilastro, che lasciano poca cosa al risparmio privato, che dal 2020 è in netta diminuzione. E anche il principio sano secondo cui prima di spendere bisogna avere è stato praticamente rovesciato. L’esempio classico è quello dell’automobile: il 49% è finanziato da terzi (leasing) nella Svizzera tedesca, ma in Romandia siamo al 66% e in Ticino perfino al 79%. Ma non si tratta solo dell’auto e la tendenza comincia a essere quella di pagare un debito con un altro debito. Forse perché la casa propria è ormai diventata un sogno irraggiungibile e il maggior tempo libero a disposizione chiede pure finanziamenti?

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Il Mercato e la Piazza

La lotta contro il turismo di massa

Le cronache delle ultime settimane hanno dato molto rilievo alle manifestazioni di protesta contro il turismo di massa nelle isole Canarie, nonché all’introduzione di una tassa di 5 euro che avrebbe lo scopo di ridurre il numero dei visitatori giornalieri di Venezia. Nelle grandi città europee e nelle destinazioni turistiche del Mediterraneo queste dimostrazioni di malanimo contro i turisti sono andate infittendosi nel corso degli ultimi anni. In più d’una meta ambita sembra che autorità e popolazioni locali ne abbiano abbastanza dei turisti. E questo nonostante il turismo rappresenti, nella maggioranza dei casi, il settore più importante delle economie locali. Le proteste contro il turismo di massa non sono, almeno in Europa, un fenomeno isolato. Per arginare il turismo di massa sono già state introdotte – come dimostra anche il caso di Venezia – più di una misura di controllo. Restrizioni d’uso, tasse partico-

Affari Esteri

lari e divieti stanno diffondendosi un po’ dappertutto laddove, nelle stagioni turistiche, il numero giornaliero dei visitatori sorpassa – e di molto – quello della popolazione residente. Se Venezia con i suoi 56 mila abitanti e i suoi 30 milioni di ospiti annuali rappresenta, in Europa, il caso estremo, situazioni di intasamento straordinarie si riscontrano oggi in tutti i nuclei storici delle città portuali del Mediterraneo che si trovano sull’itinerario delle crociere. Provate a muovervi nelle strette strade del centro storico di Dubrovnik, Malaga, Barcellona o di Cadice i giorni della settimana in cui arrivano 10 mila crocieristi che hanno solo mezza giornata a disposizione per visitare la città. È un po’ come la biblica invasione delle cavallette. Il turismo di massa si chiama così perché fa muovere moltitudini di persone. A livello mondiale, nel corso degli ultimi settant’anni, i flussi di visitatori si sono moltiplicati per sessanta. Men-

tre nel 1950 gli arrivi di turisti erano 25 milioni, nel 2019 – prima del colpo di freno della pandemia da Covid – il loro numero era salito a 1 miliardo e mezzo. A intensificare gli effetti negativi del turismo di massa è poi venuta la tendenza marcata alla diminuzione della lunghezza media del soggiorno. Per effetto della stessa, il numero di visitatori delle destinazioni turistiche e i pericoli di intasamento sono aumentati molto più rapidamente del numero dei pernottamenti.

Per fare un esempio: a Lugano, tra il 1912 e oggi, il numero dei pernottamenti in albergo è rimasto costante: si tratta di circa mezzo milione all’anno. In seguito alla drastica riduzione del periodo di soggiorno medio, il numero degli arrivi in strutture alberghiere si è invece moltiplicato per dieci: da circa 30 mila a circa 300 mila. Aggiungete ai clienti degli alberghi quelli delle altre infrastrutture ricettive (case e appartamenti di vacanza,

L’Ucraina e la determinazione britannica

Il presidente americano, Joe Biden, ha firmato la legge con cui sono stati stanziati gli aiuti all’Ucraina: 60 miliardi di dollari in sostegno militare. La prima richiesta di Biden era più alta – 68 miliardi – e soprattutto era molto tempo fa, ottobre 2023. Ci sono voluti molti mesi affinché il Partito repubblicano, che ha la maggioranza al Congresso dove gli aiuti si sono arenati, si convincesse non tanto a votare la legge ma a discuterla. Il sollievo è stato grande ma questo tempo ha avuto un costo enorme per l’Ucraina, in termini di morti tra civili e soldati, di territori perduti e di morale. È cambiato tanto in Ucraina da quando Vladimir Putin ha iniziato l’invasione su larga scala, il 24 febbraio 2022, ma la risorsa cruciale degli ucraini è proprio il loro morale, la determinazione a non sottomettersi al regime russo. L’attendismo dell’America – accompagnato da quello europeo, ben più radicato –

ha avuto un impatto enorme su Kiev, perché il presidente russo ha approfittato dei ritardi: i dittatori, quando sentono l’odore del sangue, ne vogliono di più. Questi mesi sono stati tragici per l’Ucraina. La situazione al fronte è diventata insostenibile; le perdite tra i soldati hanno costretto il Governo ad adottare una nuova legge per la coscrizione che è drammatica già di suo e lo è di più se si pensa che fin dal primo giorno gli ucraini hanno detto: abbiamo bisogno delle vostre armi; gli uomini e le donne per la difesa li mettiamo noi. Ecco, ne hanno dovuti sacrificare molti di più, perché abbiamo smesso di mandare le armi. In questi mesi di stallo c’è stata una grande offensiva diplomatica da parte del Regno Unito nei confronti dell’America, in particolare dell’America più riluttante, cioè quella conservatrice. Il Regno Unito è dal punto di vista del sostegno all’Ucraina un Paese

Google come il vaso di Pandora

Il 23 aprile è la giornata mondiale del libro e dei diritti d’autore. Ho incontrato Joël Dicker, Henri-Frédéric Amiel, William Shakespeare, la Treccani e alla fine anche Google. Quella di Dicker è la quarta visita. Nelle precedenti ha raccontato la saga dei Quelebet. Ora, da quel che dicono annunci e interviste, nel suo nuovo lavoro (un po’ meno… voluminoso, ma pur sempre oltre le 400 pagine) cambia «location» ma non registro. Guardando la copertina del suo Un animale selvaggio mi chiedo: quanti altri scrittori la città di Ginevra ha avuto prima di questo fenomeno della letteratura francese? Dubito fortemente che nei prossimi giorni i media ricorderanno l’anniversario (11 maggio 1881) della morte di Henri-Frédéric Amiel, il primo scrittore che mi si presenta (grazie a Google) come conterraneo di Dicker. Non avevo mai letto niente

di lui, nemmeno indirettamente. Anzi: prima di trovarlo come conterraneo dello scrittore svizzero del momento ne ignoravo l’esistenza. Ho però subito intuito di poter condividere la scoperta con i lettori grazie a una moltitudine di elementi e spunti che sarebbe riduttivo definire solo interessanti. Il nome nuovo e la mia ignoranza mi hanno infatti costretto a tornare da Google per un collegamento con l’enciclopedia online della Treccani dove (a firma Diego Valeri) ho così potuto fare conoscenza con l’autore «d’uno dei libri che meglio documentano il travaglio spirituale e lo scompiglio morale delle generazioni venute a maturità dopo il primo periodo romantico, con la rivoluzione del 1848». Alla faccia di Marx e compagni mi sono detto, soprattutto dopo aver appreso che Amiel è nel dimenticatoio dalla metà del secolo scorso e ancora oggi

inclusi gli appartamenti Airbnb, in costante aumento, camping, pensioni, ostelli ecc.) e, soprattutto, i flussi del turismo giornaliero e vi accorgerete che gli arrivi di turisti a Lugano durante i sei mesi della stagione turistica sfiorano il milione. L’intasamento che questo aumento passeggero della popolazione di Lugano può provocare non è ancora quello che, quasi giornalmente, si riscontra a Venezia. Ma siamo già a un bel livello. Tuttavia l’ostruzione delle strade – soprattutto delle zone pedonali – non è il solo effetto negativo del turismo di massa nelle destinazioni privilegiate. La popolazione di queste città protesta anche per la sovraoccupazione di ristoranti e negozi, per il rumore che provocano e per le montagne di rifiuti che i turisti, in particolare quelli a giornata, si lasciano dietro. Inoltre Il turismo di massa e lo sviluppo di nuove forme ricettive come Airbnb fanno lievitare i prezzi dei be-

ni di consumo e, soprattutto, gli affitti e i prezzi delle case senza avere effetti positivi importanti sull’occupazione locale. Per esempio nelle città portuali spagnole gli appartamenti affittati ai turisti stanno a poco a poco espellendo la popolazione autoctona dai centri storici. È vero che lo sviluppo di questa forma ricettiva ha fatto crescere gli investimenti per riattare le abitazioni del centro. Quartiere dopo quartiere, i vecchi palazzi vengono rinnovati. Nello stesso tempo, però, gli affitti e i prezzi salgono rapidamente, obbligando gli inquilini con redditi bassi, i negozianti al minuto e gli artigiani che prima occupavano queste case a lasciare il centro storico. Il piccolo ristorante tipico di prima viene rimpiazzato da una pizzeria. Gli appartamenti sono tutti in regime Airbnb. Queste abitazioni hanno pochi effetti positivi sull’impiego locale perché vengono in generale amministrate da studenti o da lavoratori immigrati.

quasi unico: i due partiti principali, i Tory al Governo e il Labour all’opposizione, quest’anno si sfideranno alle elezioni che, secondo i sondaggi, riporteranno dopo 14 anni la sinistra al potere. È quindi un periodo di grande trasformazione e di grandi attese, ma sull’Ucraina c’è un sostegno compatto, anzi sembra quasi che il premier conservatore Rishi Sunak e il leader laburista Keir Starmer facciano a gara a chi sarà più deciso nell’aiutare Kiev. Le fratture che si vedono nell’Ue e negli Usa lì non ci sono, non nei partiti principali perlomeno. Fin da prima dell’invasione su larga scala di Putin, il Regno Unito, che allora era guidato dall’ex premier Boris Johnson, aveva iniziato a mandare armi all’Ucraina. In questi anni il ruolo diplomatico che Londra si è ritagliato nei confronti dell’alleato indispensabile, cioè gli Stati Uniti, è stato quello di aiutare a superare i tabù che il

fronte occidentale si era autoimposto. È accaduto con l’invio dei carri armati, nell’inverno del 2023, quando il Regno Unito è riuscito a spezzare la cautela di Washington a inviare gli Abrams, ed è poi accaduto di nuovo quando, su iniziativa britannica, si è creata la «Coalizione degli F16», nell’estate dello scorso anno. Da dicembre, quando il fronte repubblicano al Congresso americano ha cominciato la marcia indietro non discutendo mai in aula gli aiuti militari all’Ucraina, il ministro degli Esteri britannico, l’ex premier David Cameron, ha organizzato la sua prima visita a Washington per cercare di convincere il partito gemello d’America a non interrompere il flusso di armi a Kiev. Non andò bene, Cameron fu redarguito dai trumpiani che gli dissero di non aver bisogno delle sue lezioncine liberali e democratiche. Cameron è tornato all’inizio della primavera, an-

dando anche a Mar-a-Lago da Donald Trump in persona, per ribadire la necessità di uscire dal suo conclamato isolazionismo. Anche questa visita non ha avuto l’effetto sperato. A convincere lo speaker del Congresso, il trumpiano Mike Johnson, sono state in gran parte le informazioni di intelligence che l’Amministrazione Biden ha iniziato a propinargli con costanza. Erano inappellabili: senza gli aiuti americani gli ucraini venivano decimati dalla brutalità russa. Comunque l’affinità tra la destra britannica e la sinistra americana su questo fronte è molto più forte ed evidente di quella esistente tra le destre anglo-americane. Ma il fatto che il Regno Unito sia così compatto politicamente nella volontà di aiutare le democrazie contro l’aggressione dei regimi autoritari continua a essere indispensabile per spingere il fronte occidentale a non perdersi nelle sue divisioni interne.

ha l’etichetta di pensatore di destra, più che altro per ciò che gli dettava la sua stretta osservanza calvinista. Docente universitario, autore solo di alcuni libretti di poesie e di qualche saggio letterario, Amiel scrittore è ricordato oggi solo per un diario lasciato a una cara amica come «droits de veuve», poco prima di morire: 174 quaderni con oltre 17 mila pagine zeppe di aforismi e riflessioni, «uno specchio in cui l’autore si osserva, si scruta, s’interroga con insaziabile curiosità, e spesso con ansia morbosa e con insistenza maniaca» spiega Diego Valeri sulla Treccani.

La singolare opera di Amiel oggi circola come Journal intime, diario pubblicato postumo e con saltuarie scelte editoriali. Ne propongo un bombastico frammento, a testimonianza di ciò che il pensatore ginevrino prevedeva oltre 150 anni fa e della sua for-

za nel presagire il futuro: «Le masse saranno sempre al di sotto della media. La maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà, e la democrazia arriverà all’assurdo rimettendo la decisione intorno alle cose più grandi ai più incapaci. Sarà la punizione del suo principio astratto dell’Uguaglianza, che dispensa l’ignorante di istruirsi, l’imbecille di giudicarsi, il bambino di essere uomo e il delinquente di correggersi. Il diritto pubblico fondato sull’uguaglianza andrà in pezzi a causa delle sue conoscenze. Perché non riconosce la disuguaglianza di valore, di merito, di esperienza, cioè la fatica individuale: culminerà nel trionfo della feccia e dell’appiattimento. L’adorazione delle apparenze si paga». Non ho spazio, e men che meno competenza, per mettere a confronto l’Amiel dell’Ottocento con il ginevrino «bestseller» di questi anni. Inoltre in-

combe l’anniversario di Shakespeare. L’omaggio lo ricavo non da un libro ma dai social: su Twitter/X viene ricordato da Judi Dench (la novantenne «madre» di James Bond), nota agli inglesi anche come «“juke-box” di Shakespeare» per la sua maestria nel recitare opere del Bardo. Così il mio 23 aprile si chiude con il Sonetto 29: «Quando in disgrazia con la fortuna ed agli occhi degli uomini, tutto solo nella mia condizione di emarginato, ed invoco le sorde orecchie del cielo con i miei inutili lamenti…». Ancora poche righe per dire quanto facile sia oggi incontrare e «sentire» autori scomparsi da secoli, Shakespeare, Amiel, l’enciclopedia Treccani… Bastano poche carezze su un display e il vaso di Pandora/Google diventa un corrimano per la mente. E pensare che chi governa lo cerca, e pensa di usarlo, solo per ricavarne nuove tasse.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 6 maggio 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 33 ATTUALITÀ / RUBRICHE ◆ ●
Zig-Zag
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di Ovidio Biffi di Angelo Rossi
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di Paola Peduzzi
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CONSIGLI

Festa della mamma

Un dolce ringraziamento per la Festa della Mamma

Questi cupcake e muffin sono amati da tutti. Realizzabili dalla A alla Z, con una miscela pronta e finemente decorati per catturare l’occhio: alcune ricette per esperti e principianti

Muffin gufo

Per 8 pezzi

1 confezione di miscela per muffin

2 uova

50 g di burro

16 biscotti con ripieno di crema vaniglia , ad es. Lotus farciti alla vaniglia

16 Smarties blu

1 busta di glassa per dolci scura

8 Smarties gialli

Scalda il forno a 170 °C. Prepara e cuoci i muffin secondo le indicazioni sulla confezione con il burro, le uova e l’acqua. Sforna e lascia raffreddare. Con l’ausilio di un coltello, stacca delicatamente un biscotto dallo strato di crema in modo che questa rimanga intatta sull’altro biscotto poi infila uno smartie blu nella crema. Prepara la glassa come indicato sulla confezione. Per un gufo, spennella un po’ di glassa su 1 muffin e incollaci velocemente 2 biscotti con la crema al posto degli occhi, poi tra i due biscotti infila nella glassa uno smarties giallo in piedi al posto del becco. Procedi allo stesso modo per tutti gli altri muffin e lascia asciugare la glassa.

Alternative

Puoi anche preparare i muffin seguendo la tua ricetta personale, ricopri la superficie con una glassa di cioccolato e decorali come indicato. Servi la parte dei biscotti senza crema con un caffè o tè.

Muffin al cioccolato

Il muffin al cioccolato è quello che piace di più dei vari muffin. Il cacao conferisce colore e sapore di cioccolato, il cioccolato a dadini la nota croccante.

Muffin al rabarbaro

Un dessert subito pronto che ha tutto il gusto della primavera. Ideale anche per i brunch domenicali o come dolce regalo da portare a una festa.

Muffin con ciuffo cremoso e cuore

Per i cuori della decorazione, forma la glassa mescolando 50 g di zucchero a velo con ca. 1 cucchiaino di succo di limone e un po’ di colorante alimentare rosa. Spennella la glassa su 6 biscotti prussiani alla spelta, poi lasciala asciugare. Mescola 40 g di margarina morbida con 60 g di zucchero a velo con la frusta fino a ottenere una consistenza bella cremosa. Incorpora velocemente 150 g di formaggio cremoso al naturale. Trasfe-

Muffin Red Velvet

In America il cake tinto di rosso chiamato «Red Velvet» è ben noto. Qui invece parliamo di muffin, serviti con un topping di formaggio fresco e limetta.

risci in una tasca da pasticciere con beccuccio a stella e metti in frigo fino al momento dell’uso. Spruzza il frosting al formaggio cremoso su 6 muffin alle nocciole e guarniscili con i biscotti prussiani a forma di cuore e qualche nonpareilles colorata. Servi subito.

Consiglio: al posto dei biscotti prussiani alla spelta usa un cuoricino di cioccolato al latte.

Altre idee e ricette per la Festa della Mamma: famigros.ch/ festa-della-mamma

Muffin al cocco e limone

La dolcezza del latte di cocco e del cocco grattugiato e la delicata freschezza della scorza di limone conferiscono a questi muffin un gusto fantastico.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 6 maggio 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 35
Ricetta Alla ricetta Alla ricetta Alla ricetta Alla ricetta
Testo, ricette, immagini e styling: Migusto
Più ricette di muffin su migusto.ch Ricetta

90 ANNI MELITTA SVIZZERA

Da un’idea semplice ad un successo mondiale: questa è Melitta. Con i tre forti marchi Melitta, Toppits e Swirl, popolari e apprezzati nelle case svizzere.

Toppits all’esterno – gusto all’interno: I prodotti Toppits proteggono gli alimenti. Testo: Christian Iten

Melitta è nota per i suoi leggendari filtri per caffè e, negli ultimi anni, per le sue moderne macchine del caffè automatiche. La gamma dell’azienda comprende anche i noti marchi Toppits (Toppits all’esterno – gusto all’interno) e Swirl.

Swirl – nessuna possibilità di sporcare

Swirl è diventato sinonimo di prodotti di alta qualità nei settori dell’aspirazione, della decalcificazione, della pulizia e dello smaltimento dei rifiuti. Essi rendono la vita quotidiana più facile, piacevole e pulita. L’ampia gamma di prodotti comprende sacchetti per l‘aspirapolvere e accessori per l’aspirapolvere, sacchi per la spazzatura, decalcificanti e panni per la pulizia degli occhiali. I sacchetti per l’aspirapolvere sono disponibili presso Migros.

Melitta – oggi con le moderne macchine da caffè completamente automatiche Naturalmente, tutto è iniziato con il caffè di Melitta. L’invenzione del filtro per caffè di Melitta Bentz, nel 1908, ha portato alla fondazione dell’azienda a Dresda. Nei decenni successivi, l’avanzata trionfale del filtro

per caffè non è stata solo a livello europeo, ma a livello mondiale. Melitta sorprende continuamente con campagne pubblicitarie di successo. Nel 1989, ad esempio, è stato trasmesso in televisione il primo spot con Egon Wellenbrink («L’uomo Melitta»), diretto dal comico di culto Emil.

a livello locale fino al 1986), per poi lasciare nuovamente Egerkingen nel 2021 e trasferirsi in un altro edificio a Zofingen insieme alla consociata Melitta Cafina. Un nuovo showroom rappresenta la nuova sede svizzera Toppits all’esterno – gusto all’interno.

«Melitta è nota per le sue innovative macchine da caffè automatiche, ma anche per i

Melitta è leader nello sviluppo di macchine da caffè automatiche ed è stata nominata «Miglior marchio dell’anno» nel 2020 e nel 2022. Da molti anni l’azienda è strettamente legata allo sport. Nel 2017, Melitta è diventata caffè partner ufficiale del Manchester United, occupandosi dell’intera fornitura di caffè nel leggendario stadio Old Trafford. Dal 2019, Melitta è anche il caffè partner ufficiale del club tedesco Borussia Dortmund. Questo dimostra ancora una volta l’importanza internazionale del marchio. Nel 2022, Melitta ha lanciato un’azienda di riciclaggio della plastica nella città indiana di Bangalore.

Esattamente 90 anni fa, nel 1934, l’azienda ha fondato la sua prima filiale estera con sede a Zurigo. In Svizzera, Melitta si è trasferita da Zurigo a Egerkingen nel 1966 (producendo carta da filtro

e su www.melectronics.ch.

La storia del successo di Melitta, nel settore della conservazione degli alimenti per uso domestico, inizia con l’introduzione della carta per sandwich nel 1937. Nei decenni successivi, si sono aggiunti tutti i tipi di prodotti per la casa, come fogli d’alluminio, pellicole trasparenti e carta da forno. Dal 1988, i prodotti per la conservazione degli alimenti sono stati commercializzati con il marchio Toppits.

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CULTURA

Auguri Goliarda Sapienza

A cento anni dalla nascita ricordiamo la scrittrice italiana con l’artista Ruggiero Di Lollo

Pagina 41

Lo scrittore scelto dal destino

Martedì scorso nella sua casa di Brooklyn è morto Paul Auster, cantore delle assenze e del caso

Pagina 41

Una storia di famiglia

Enrica Ferrara racconta il destino del padre, esponente della DC nell’Italia degli anni 80

Pagina 43

Hodler, sguardi attuali su un’icona

Due musiciste al LAC

Intervista a Patricia Kopatchinskaja e Sol Gabetta in occasione del concerto dell’OSI il 17 e 18 maggio

Pagina 45

Mostre ◆ Partendo dall’artista svizzero il Kunsthaus di Zurigo ha allestito una riflessione sulla contemporaneità

Diciamolo subito, Apropos Hodler al Kunsthaus di Zurigo non è, come ci si potrebbe aspettare, una classica mostra di taglio storico sull’artista svizzero più celebre, quello per intenderci delle teatrali coreografie simboliste in cui le figure sono distribuite sulla tela secondo i principi della ripetizione e della simmetria; quello dei possenti e fieri picchieri confederati che, pur sconfitti, abbandonano con virile compostezza il campo di battaglia a Marignano; quello dei lancinanti ritratti dell’amante Valentine Gode-Darel malata di cancro, osservata con imperturbabile ossessione fino all’esalazione dell’ultimo respiro; quello dei laghi e dei paesaggi alpini intagliati ruvidamente nel colore che con il passare degli anni si fanno sempre più scarni e metafisici.

Che Hodler sia stato un personaggio contraddittorio, in cui a un lato progressista e aperto alle novità si affianca una dimensione più conservatrice, è indubbio

Non che tutto questo non ci sia, a dire il vero, ma la selezione di opere di Hodler presenti in questa mostra, alcune delle quali notevoli e poco viste, serve più che altro a imbastire un discorso sulla contemporaneità attraverso il confronto con le opere di una trentina di artisti che sono state scelte e affiancate a quelle di Hodler da un team curatoriale che comprende, oltre alle due curatrici del Kunsthaus Sandra Gianfreda e Cathérine Hug, gli artisti Sabian Baumann, Ishita Charaborty, Nicolas Party e il collettivo artistico RELAX, fondato nel 1983 da Marie-Antoinette Chiarenza e Daniel Hauser. E qui sta probabilmente il primo problema di questa mostra, perché al di là delle intenzioni, in astratto sicuramente apprezzabili, la scelta di affrontare, «un mondo diventato sempre più complesso», come lo definisce la direttrice del Kunsthaus nella sua introduzione al catalogo, con un progetto basato su un autorialità collettiva non sembra aver prodotto gli esiti sperati (tra l’altro, detto per inciso, l’idea di una crescente complessità del mondo è un luogo comune così ricorrente nel discorso pubblico che prima o poi andrebbe sottoposta a verifica).

La mostra trasmette così fin dall’ingresso un’impressione di confusione e si avverte la mancanza di una visione unitaria già a partire dall’articolazione spaziale del percorso espositivo. Impressione che viene ribadita dalla suddivisione tematica in quattro sezioni piuttosto vaghe e dai confini incerti: paesaggi, corpo-

reità, appartenenze e enigmaticità/ trascendenza. Anche la ridondanza con cui alcuni artisti ricorrono in più punti del percorso espositivo, in alcuni casi, finendo per essere sovrarappresentati, non contribuisce alla chiarezza dell’insieme e appare totalmente superflua rispetto all’economia della mostra. Più in generale, a parte qualche rara eccezione, appare piuttosto labile il rapporto tra le opere degli artisti e quelle di Hodler, limitandosi in molti casi a una semplice analogia di soggetto.

Per alcune generazioni di svizzeri, i dipinti di Hodler, molti dei quali realizzati su commissione, hanno dato corpo ai miti fondativi della patria

Inevitabile, almeno per chi frequenta le mostre d’arte, il confronto tra questa mostra e quella curata lo scorso anno dall’artista svizzero Ugo Rondinone al Musée d’art et d’histoire di Ginevra su invito del suo direttore, Marc Olivier Wahler, impegnato da alcuni anni a svecchiare la compassata istituzione ginevrina. Una mostra,

lodata da tutti, in cui Rondinone ha messo in dialogo alcune sue opere con quelle di Hodler e Vallotton oltre che con altri oggetti presenti nella collezione del museo. Del resto è la stessa direttrice del Kunsthaus a ricordare il ruolo di stimolo che questo precedente innovativo nella presentazione di una collezione museale ha avuto per l’elaborazione del progetto zurighese. Tuttavia, mentre la mostra ginevrina era improntata della sensibilità poetica di un artista che nel rileggere l’opera e il contesto in cui hanno operato i suoi due illustri predecessori ha operato con originalità e parsimonia di mezzi, quella di Zurigo, al contrario, appare contrassegnata da un’accumulazione dispersiva e in alcuni casi da una certa sguaiatezza visiva frutto di un’inutile volontà di spettacolarizzazione e di una malintesa idea di riattualizzazione. Valga su tutti l’esempio dei due quadri di Hodler che l’artista Nicolas Party ha deciso di appendere sopra due suoi enormi dipinti murali realizzati a pastello, che come due scenografiche tappezzerie finiscono per annullare la forza evocativa del rarefatto simbolismo hodleriano. Ma è in qualche modo tutta la mostra a dare

l’impressione di essere vittima di una certa ambiguità di fondo: da un lato si propone di decostruire la figura Hodler, di mostrarne anche il lato «oscuro», ma dall’altro ha bisogno di lui per garantirsi una qualità e un richiamo popolare che molti degli altri artisti che lo affiancano non hanno.

Detto questo, va aggiunto che la scelta di non accontentarsi di una tranquilla mostra «storica» sul grande padre dell’arte svizzera è indubbiamente coraggiosa e testimonia la volontà di rinnovamento della principale istituzione museale svizzera di cui si sta facendo carico la nuova direttrice Ann Deemester, soprattutto dopo le recenti polemiche legate al caso della collezione Bührle.

Che Hodler sia stato un personaggio contraddittorio, in cui a un lato progressista e aperto alle novità si affianca una dimensione più conservatrice, è indubbio. Non a caso è da sempre il pittore preferito dall’ex leader dell’UDC Christoph Blocher che ne è anche uno dei principali collezionisti. Per alcune generazioni di svizzeri, i dipinti di Hodler, molti dei quali realizzati su commissione, hanno dato corpo ai miti fondativi della patria e alla sua volontà di fa-

re di questo Paese frammentato una nazione, con tutto il carico di enfasi retorica che questa operazione comporta. Non si può inoltre non riconoscere che nei suoi quadri trovasse incarnazione la visione di una società patriarcale in cui le donne avevano un ruolo subalterno. Del resto, Hodler, non aveva grande considerazione per le donne artiste e si opponeva alla loro piena ammissione all’interno della Società dei pittori e degli scultori svizzeri.

Quell’Hodler lì, però, l’aveva già messo al suo posto, ovvero in un deposito museale, Marie Antoinette Chiarenza negli anni Novanta, mentre lei si incamminava fiera e decisa con un’ascia appoggiata sulle spalle, in una posa che richiamava La rivoluzione siamo noi di Joseph Beuys. Una delle poche opere in mostra che fa davvero i conti e con fermezza con il lato «oscuro» di Hodler.

Dove e quando A propos Hodler. Aktuelle Blicke auf eine Ikone, Zurigo, Kunsthaus. Fino al 30 giugno 2024. Ma-me, ve-do 10.00-18.00; gio 10.00-20.00. www.kunsthaus.ch

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 6 maggio 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 39
Ai circa 60 pezzi di Hodler si aggiungono le opere di 30 artisti contemporanei provenienti da diverse regioni culturali, come il britannico David Hockney, con questo Felled Trees on Woldgate, 2008, collezione Würth/Würth. (Foto: Richard Schmidt, © 2024, David Hockney) Elio Schenini
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La Gaeta di Goliarda Sapienza

Anniversario ◆ Il 10 maggio 1924 nasceva la scrittrice italiana

Ogni centimetro del Serapo, la più grande spiaggia di Gaeta, è tappezzata di stabilimenti con file di ombrelloni e lettini, famiglie e giovani napoletani e romani che si accalcano al sole di questo litorale fra la capitale e Napoli. È in questa cittadina a 165 km da Roma, con il suo maestoso Castello Angioino e le scogliere a strapiombo sul mare che Goliarda Sapienza (nella foto, dettaglio di copertina di Lettera aperta, Einaudi, 2017) ha finito di scrivere il suo capolavoro: L’arte della gioia. La storia di Modesta, una ragazza, o meglio di una «carusa» tosta, curiosa e determinata che nasce – poverissima, in un capanna in mezzo alle campagne e al fango – il primo gennaio del 1900. E che con le sue mille traversie, fallimenti e conquiste ci consente di attraversare l’intero Novecento. Un secolo di storia italiana rivisto con gli occhi voraci di Modesta, attraverso la pelle di una donna forte, dura, e sempre più emancipata. «Ci ha messo più di 10 anni Goliarda a scrivere questo suo capolavoro; la ricordo ancora la sera in cui venne a trovarmi qui nel mio atelier e con voce commossa mi disse: “Ruggiero, ho finito il mio romanzo!”».

Ruggiero Di Lollo, simpaticissimo pittore e scultore ci riceve nel suo studio sulle colline di Gaeta, e ne ha tanti di ricordi della sua più cara amica. Ricorda anche la sera in cui per la prima volta si conobbero: «era il 1975, Angelo Pellegrino si presentò qui a cena a Gaeta con Goliarda e noi brindammo con una bottiglia di bianco, che poi è diventato il simbolo della nostra amicizia». L’arte della gioia però non ebbe, all’inizio, fortuna. Nessuno dei grandi editori – né Einaudi né Rizzoli – se la sentì di pubblicare un romanzo così cruento, fortemente intimo, a tratti anche incestuoso come questo. Dobbiamo solo alla tenacia di Angelo Pellegrino, l’uomo che dopo i primi 18 anni passati da Goliarda con Citto Maselli, visse con lei dai primi anni 70, se alla fine il suo romanzo venne pubblicato da Stampa alternativa, nel 1998, almeno in parte e in pochi esemplari.

Fu proprio tra le spiagge, i bar e i vicoli di Gaeta che Goliarda si tuffò anima e corpo nella letteratura

«I primi tempi andavo in libreria, ricorda Angelo Pellegrino, ma quelle poche copie del romanzo di Goliarda erano ancora lì, nessuno le acquistava». D’altronde, nel 1998, Goliarda aveva già lasciato questa terra da due anni, senza la gioia quindi d’aver mai visto una copia del suo colossale epos così impregnato di vita in Sicilia, così politico, e così femminista (ma senza mai suonare però ideologico, tantomeno dogmatico). Fu proprio tra le spiagge, i bar e i vicoli di Gaeta che Goliarda – dopo i primi anni del dopoguerra passati a Roma lavorando nel cinema e nel teatro (recitò anche con Visconti, in Senso ad esempio) –scoprì e si tuffò anima e corpo nella letteratura, nella scrittura intensa, arzigogolata e sempre autobiografica dei suoi libri.

«Quando lei ed Angelo venivano qui a Gaeta, continua Ruggiero, vivevano davvero di poco, per non dire in estrema povertà. Sono stato io a trovargli quel suo primo appartamentino a via Indipendenza, un qua-

dratino di 4 metri per quattro, ma con un terrazzino sui tetti». Pazzesco che in uno spazio così minuscolo, nei vicoli di Gaeta, con un esercizio quotidiano ostinato, quasi monacale e al limite dell’assurdo – Goliarda scriveva con la una penna Bic su fogli che piegava e riempiva sino all’ultimo della sua scrittura minuta – possa nascere tanta grande letteratura. Accompagnata per giunta dall’immancabile vizio a cui lei non rinunciò mai, e che vediamo in ogni sua foto (o anche in certi video): le sue immancabili sigarette Muratti. «Si è dovuta vendere persino i suoi quadri, anche dei Vespignani, confessa Ruggiero, per poter andare avanti a scrivere la sua storia, cioè quella di Modesta e del suo grande romanzo».

«Non amo la musica, i romanzi o i quadri per poi fare bella figura in società, ma per viverli solamente senza impegno»

Il manoscritto originale de L’arte della gioia arrivava quasi a mille pagine; la redazione finale curata da Angelo Pellegrino ne comprende, nell’ultima edizione del 2017 per i Supercoralli Einaudi, la metà. Figlia di Maria Giudice, la famosa sindacalista di Torino (una socialista che cucinò anche per Gramsci e Terracini) e dell’avvocato siciliano Giuseppe Sapienza, Goliarda mostrò sin da bambina il suo carattere forte, impulsivo, da maschiaccio. Famosi quei dieci giorni, nel 1980, in cui fu arrestata e che passò al carcere di Rebibbia. Una brutta storia che si deve alla sua estrema indigenza, e a un furto di gioielli a spese di una sua amica napoletana. «Ma era talmente ricca quell’amica che nemmeno se ne accorse del furto dei gioielli», commenta oggi Ruggiero. Per fortuna che di quell’episodio così cruento nella vita di Goliarda ci è rimasta una stupenda testimonianza: L’università di Rebibbia, il racconto del 1983 in cui Goliarda, con la sua solita e spietata sincerità, racconta la sua «esperienza» nelle carceri romane. A Gaeta in ogni caso, nei bar dove lei ogni mattina andava a scrivere – ai tavoli del bar Triestina o Hermes – qualcuno ancora la ricorda «la Signora», come gli abitanti del posto l’avevano ribattezzata. Impossibile d’altronde dimenticarsi quella donna dallo sguardo e sorriso così gentili, che «girava sempre con il suo ufficio rosso dietro», come Ruggero chiama la sacca di lana rossa in cui Goliarda, oltre ai pacchetti di sigarette, metteva i suoi fogli e la penna.

«Non appena in una gita, nella mia casa a Palmarola o per Gaeta trovava

una bella pietra, lei si stendeva usando la sacca rossa come cuscino», come vediamo in certe foto in cui Ruggero l’ha immortalata. E come sentiamo anche nelle tante pagine dell ’Arte della Gioia in cui Modesta, cioè Goliarda racconta il suo rapporto quasi carnale con il mare, l’amore viscerale per la terra, la campagna. «L’hanno trovata morta nel suo appartamento, sulle scale di casa a via Indipendenza, erano quattro giorni che era morta», ci dice Tonino Lieto, il direttore della Pinacoteca comunale di Gaeta. «La nostra Associazione Novecento, ricorda lui, ha fatto di tutto per organizzare alla scrittrice, che pochi allora conoscevano, un funerale e darle una degna sepoltura». E organizzare anche le prime conferenze, sempre a Gaeta, ad esempio con Giovanna Providenti, per ricordarla e iniziare a far conoscere l’opera di questa originale voce del Novecento.

Certo, oggi la sua opera – dal primo romanzo Lettera aperta del 1967 ai vari racconti postumi sino alle poesie di Ancestrale (pubblicate nel 2013) sono tutte pubblicate da Einaudi. E Angelo Pellegrino ha pubblicato l’anno scorso Goliarda, i suoi ricordi della moglie.

Quando morì però, nell’estate del ’96, Goliarda era sola a Gaeta, si sentiva abbandonata, come testimonia Ruggiero. Altri tempi. Oggi sulla piazzetta che porta il suo nome, nei vicoli pieni di vita (e turisti) a Gaeta, vicino alla sua via Indipendenza, ammiriamo il busto, il volto della scrittrice con lo sguardo lievemente melanconico che Ruggiero Di Lollo le ha dedicato. «Goliarda Sapienza», leggiamo in caratteri dorati sopra una base di tre libri in marmo. Sulla parete accanto al busto tanti fogli con frasi di Goliarda e degli scrittori da lei più amati. Sulla saracinesca di un garage ecco una delle sue frasi taglienti, e profonde sul senso della letteratura e dell’arte: «Non amo la musica, i romanzi o i quadri per poi fare bella figura in società, ma per viverli solamente senza impegno». Parliamo di lei con la fruttivendola, che ci offre dei fichi dolcissimi, per recuperare qualche traccia della grande scrittrice. Ne parliamo con la figlia del proprietario del bar Hermes, che ricorda l’orgoglio di suo padre quando Goliarda gli regalò, firmandola, una copia della Università di Rebibbia «Ho scritto un articolo su di lei qui a Gaeta sulla “Gazzetta di Gaeta”, ci dice orgogliosa Claudia, per noi giovani lei è un mito». Suono al campanello del B&B Casetta Sapienza. «No, risponde la proprietaria, lei non ha vissuto qui, ma nella casa di fronte. Tutti gli anziani però ricordano quella donna che passava le mattine ai bar a fumare e a scrivere». «Piazza Goliarda Sapienza (scrittrice)»: questa la targa sulla piazza che Gaeta le ha dedicato, ed è la prima piazza col nome di donna nella cittadina. Al cimitero della cittadina un’altra targa in marmo con lo stemma rosso e bianco, i colori di Gaeta, ne omaggia la memoria: «Goliarda Sapienza (Catania 1924 – Gaeta 1996), scrittrice, attrice, voce libera innamorata di Gaeta». Nella cappella, la tomba che ne custodisce le spoglie è l’unico loculo, fra tanti gaetani, che non ha bisogno di foto alcuna. Perché Goliarda Sapienza, scrittrice, ci ha lasciato un’opera immensa che non ha certo bisogno di foto. Ma che vale la pena di esser letta dalla prima all’ultima pagina.

L’assenza di Auster

In ricordo ◆ Addio al grande scrittore americano

Paolo Di Stefano

C’è poco da dire, ciò che fa di uno scrittore un grande scrittore è lo stile, o meglio il rapporto unico tra la forma e il contenuto dei suoi libri. Ed è questo preciso motivo che ogni volta ci fa rimanere ammirati di fronte a un romanzo di Paul Auster (nella foto). Viene da sospettare che questo stile, un miscuglio miracoloso di disincanto e partecipazione, provenisse a Auster, morto martedì scorso nella sua casa di Brooklin a 77 anni, da una confidenza precoce e persistente con la morte o almeno con la tragedia. Nella sua scrittura, anche laddove si tratta di libri di finzione, non si avverte mai la finzione, tutto scorre incredibilmente naturale: prendete la sequenza iniziale dell’ultimo romanzo, Baumgartner, e sentirete un flusso lieve della prosa che conduce nella quotidianità stralunata e divagante del protagonista, un vecchio professore di filosofia vedovo da dieci anni ma non ancora abbastanza distante dal dolore di quell’assenza. È un libro intimo e bellissimo, in cui Auster riflette su ciò che resta dopo la morte e sulla memoria che ci lega ai defunti: tra questi la moglie Anna che appare in sogno al marito per dirgli di liberarla dalla sua nostalgia. E così che il protagonista si libera a sua volta imbastendo una nuova relazione sentimentale piena di incognite (e di nuovo dolore).

L’assenza è uno dei motivi ricorrenti nei libri di Auster. Nato nel New Jersey a Newark, la stessa città di Philip Roth, nel 1947, da genitori ebrei di origine est-europea, la prima assenza che vive è quella che sperimenta a otto anni, quando si trova di fronte al suo beniamino del baseball, Willie Mays, gli chiede l’autografo ma non ha con sé una penna e dopo un attimo di imbarazzo e di disperazione deve rinunciare (è lì che diventò scrittore, disse); la seconda è quella della sorellina, che per gravi problemi psicologici sarà costretta a un lungo ricovero lontano da casa; la terza è quella della famiglia, che ben presto va in frantumi per la separazione traumatica dei genitori. Lo choc più profondo continuamente evocato dallo scrittore avviene a 14 anni in un campus estivo, quando durante un’escursione Paul assiste alla morte di un ragazzino folgorato da un fulmine. Altre assenze lo assedieranno, fino a quella del figlio David, morto per overdose a 44 anni dopo essere stato accusato di essere responsabile della morte della figlia, che a dieci mesi aveva ingerito una dose di fentanyl ed eroina mentre lui dormiva al suo fianco. L’ultima assenza fu quella di Paul da Paul quando lo scrittore, saggista, poeta, sceneggiatore, regista, attore e produttore cinematografico (tra i «suoi» film, si ricorderà almeno Smoke) scoprì di essere malato di un cancro ai polmoni. È stato lo stesso Auster a imporre, in un libro intervista sulla sua opera, la separazione netta tra i libri-memoir, scopertamente autobiografici, e quelli di finzione. Ma non mancano anche in questi ultimi le inserzioni di esperienze che riguardano in prima persona l’autore e che nella narrazione diventano parte integrante della fiction. Sicché l’opera di Auster, nel suo complesso, si trasforma in un organismo ambiguo e sempre diverso, capace di giocare su più piani in modo anche spericolato (giustamente o no, il nome di Auster viene associato al postmodernismo, e per questo avvicinato a quelli di Pynchon e di DeLillo, suoi maestri e amici).

Ma intanto, dopo l’esordio in poesia, il primo romanzo, L’invenzione della solitudine (1982), si colloca nel solco della letteratura sul padre, altra figura dell’assenza. È il «ritratto di un uomo invisibile» ricostruito attraverso ciò che ne rimane, oggetti e carte, da cui emerge la scoperta di un antico delitto consumato in famiglia. Nello stesso filone autobiografico si inserisce, con altri titoli non trascurabili, anche Sbarcare il lunario (1997), centrato sulle vicende del futuro artista da bambino e poi da giovane, quando finisce su una petroliera, fa il centralinista nella sede parigina del «New York Times» e il ghost writer per una ricca americana in Messico, sempre alle prese con la necessità di racimolare un po’ di denaro per sopravvivere. La «cronaca di un iniziale fallimento» per chi è stato scelto dalla letteratura: l’idea di Auster è che non sei tu a scegliere di diventare uno scrittore, ma il destino o il caso. Ed è il caso un altro dei motivi forti ricorrenti nella sua opera, soprattutto in quella di finzione, corpus unitario (una ventina di romanzi) e insieme divagante, con riferimenti interni e altrettante traiettorie centrifughe più sperimentali in una mescolanza continua di realismo, reportage, fiaba, distopia, mito, detective story, Bildungsroman, meta-

narrazione, saggismo via via sociologico, cinematografico, letterario, politico: mai dimenticare che Auster, autore tutt’altro che ideologico, non ha esitato ad esporsi pubblicamente a favore dei democratici e contro i repubblicani (in particolare manifestando la sua ostilità verso Trump). Rimane almeno lo spazio per soffermarsi brevemente sulla Trilogia di New York, l’opera che ha consacrato lo scrittore sul piano internazionale (in Italia tutti i suoi titoli si trovano pubblicati da Einaudi, dopo un primo passaggio in Guanda con due libri straordinari: Musica del caso e Leviatano). La Trilogia è composta da tre storie (Città di vetro, Fantasmi, La stanza chiusa) uscite separatamente tra il 1985 e il 1987 e poi raccolte in un unico volume: basta dire che sono vicende di detective e vicende di fantasmi dalla eccezionale originalità combinatoria, vicende vere e vicende di altissima invenzione, tutte concentrate in una New York surreale e allucinata. Storie di follia, di mistero, di sparizione (di nuovo l’assenza!), di occasioni mancate, di destini imprevedibili e clamorosi, di forze occulte, di scambi di identità. Tutti motivi inquietanti che prefigurano l’avvento di una società immateriale, quella del web, cui Auster avrebbe sempre pubblicamente dichiarato la propria radicale e allarmata ostilità. Keystone

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 6 maggio 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 41

Programma estivo corsi di sport

Per rimanere in movimento anche durante l’estate, proponiamo diversi corsi di sport e movimento dolce. Il periodo d’attività dei diversi gruppi sul territorio cantonale va da fine giugno a fine agosto in diverse località e discipline: ginnastica, nordic walking, acqua gym al lago, Pilates, yoga, rinforzo muscolare e balli di gruppo!

Tutti i corsi sono consultabili sul nostro sito internet www.prosenectute.org o sul volantino cartaceo.

Le attività, anche quest’anno saranno finanziate tramite il Programma d’azione Cantonale del Servizio di promozione e di valutazione sanitaria del DSS e Promozione Salute Svizzera.

Il costo è di CHF 20.- per ogni iscrizione.

Contatto

Pro Senectute Ticino e Moesano

Via Chiosso 17, 6948 Porza Tel. 091 912 17 17 – info@prosenectute.org

www.prosenectute.org

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Tanti appuntamenti danzanti

Spettacoli ◆ Steps e altre iniziative legate alla Giornata internazionale della danza hanno promosso l’arte performativa in Ticino

Giorgio Thoeni

Quando uno spettacolo si basa sull’affiatamento, su un gioco di squadra perfettamente oliato e calibrato, i confronti sono sempre difficili. Tanto più se si conoscono le condizioni che permettono una certa qualità. Ci vogliono infatti molti mezzi per realizzare una prestazione artistica di livello internazionale e spesso la conferma ci arriva da oltreoceano.

Come nel caso della rinomata compagnia canadese Kidd Pivot che domenica 28 aprile ha occupato la grande scena del Teatro LAC di Lugano con Assembly Hall, uno spettacolo inserito nell’ambito di Steps, il Festival della danza contemporanea promosso dal Percento culturale Migros e giunto alla sua 19esima edizione (avevamo lanciato il Festival e il suo programma sul numero 15 di «Azione» dell’8 aprile).

Assembly Hall è il nuovo lavoro creato dal connubio fra la coreografa Crystal Pite e l’attore Jonathan Young per otto straordinari performer attorno al senso della comunità e dell’appartenenza, tra movimento e linguaggio, umorismo e creatività, un tema su cui viene costruita una trama dove l’abilità compositiva della regia si muove lungo i codici della pantomima, del cartone animato, dei videogame, dei tableaux vivants. Una lunga narrazione dove la danza e il movimento si sposano con parole che scandiscono il ritmo dei movimenti.

Il risultato è un mix spettacolare di generi con la particolarità di rendere una sorta di doppiaggio sulle azioni mimate dalla bravura e dalla perfezione (molto all’americana) misurate al millimetro e ritmate dal suono delle parole. Una muta gestualità in sincronia con una partitura testuale espressivamente articolata e recitata che risuona dagli altoparlanti come colonna sonora.

La scena si apre sull’interno di una sala multiuso comunale di periferia, quasi in stile parrocchiale, con un piccolo palco centrale al di sopra del quale è appeso un canestro: uno spazio che può dunque trasformarsi in luogo d’allenamento sportivo o di creazione teatrale. Ma è anche dove si riunisce l’assemblea di un’associazione amatoriale che organizza ogni anno una Quest Fest che propone ricostruzioni di scene medievali. Il gruppo sta attraversando un periodo di difficoltà che mette a rischio la sua esistenza. Ne discutono e, a poco a poco, il gruppo viene come invaso da forze ancestra-

li che trasformano l’incontro in un sipario di scene medioevali, fra cavalieri erranti e principessa triste. Una giostra di emozioni in cui prevale la vena umoristica e il gusto del paradosso con un gioco eclettico sulla fantasia storica dove il motore è un linguaggio fra movimenti, danza e parola. Un esempio di teatro-danza che esce dalle consuetudini estetiche sebbene permane la tentazione (anche questa tutta americana) dello show ad effetto dove l’ultima parte dello spettacolo procede con poche accelerazioni, una retorica «sommaminuti» che potrebbe essere corretta. Forse questo è l’unico aspetto discutibile di uno spettacolo che tuttavia ha portato sul palco luganese una straordinaria capacità inventiva, soluzioni sceniche perfette, frequenti cambi di situazione, pause misurate e soluzioni sorprendenti.

Come l’insospettabile segnale di fine rappresentazione con la chiusura del sipario su una scena che sembra sul punto di riprender vita. Una grande lezione sui tempi teatrali. Una platea entusiasta ha accolto gli otto interpreti che meritano di essere citati: Brandon Alley, Livona Ellis, Rakeem Hardy, Gregory Lau, Doug Letheren, Rena Narumi, Ella Rothschild e Renée Sigouin (ritratta nella foto durante un momento dello spettacolo).

Con Assembly Hall si è inaugurato l’arrivo di Steps nella nostra regione che prosegue con molti altri appuntamenti e qui ricordiamo i prossimi spettacoli per i quali sono ancora disponibili dei biglietti (prenotabili sul sito www.steps.ch): Gli altri con la compagnia Anton Lachky che il 10 e 11 maggio sarà nelle palestre delle scuole comunali di Poschiavo e il 16 maggio al Teatro Sociale di Bellinzona; Tristan and Isolde del coreografo giapponese Saburo Teshigawara che il 12 maggio sarà al Cinema Teatro di Chiasso.

Giornata internazionale della danza

Assembly Hall in un certo senso è stato anche il preambolo alla Giornata internazionale della danza celebrata il giorno successivo, il 29 aprile, con Cross Corpo Memory, un progetto di mediazione culturale di Ariella Vidach con Claudio Prati di AiEP–Avventure in Elicottero Prodotti e Urban

Experience di Carlo Infante in collaborazione con Isadora Piattaforma Danza di Tiziana Conte. L’iniziativa, oltre che onorare l’appuntamento creato dall’UNESCO, è stata l’occasione per sostituire la Festa Danzante che avrebbe dovuto svolgersi in Ticino come ogni anno ma che si è tenuta solo a Poschiavo (il 5 maggio) interamente dedicata alla Cultura del contrabbando transfrontaliero tra Valposchiavo e Valtellina. Se la penuria di fondi ha colpito ancora non ha certo ostacolato gli organizzatori di Cross Corpo Memory, una giornata seguita da un pubblico numeroso con un piccolo ma sostanzioso viaggio esperienziale nella mattinata fra la Scuola per l’infanzia di Lugano Sud e la Casa Serena. Un esperimento proattivo che si è articolato fra Mendrisio e Lugano e che ha generato «un effetto potente con i bambini e gli anziani», come ha commentato la stessa Vidach, evidenziando una memoria del corpo su generazioni così distanti anagraficamente e mostrando come la danza può agitare il movimento anche solo a contatto con la realtà.

Nel pomeriggio il progetto è proseguito allo Studio Foce di Lugano con ciò che è stato definito come un approccio antropologico alla trasmissione per generazioni, ovvero una ricognizione teorica su ciò che riguarda la «memoria» partendo da un paradosso: ciò che prima era esclusivamente parte della «tradizione» oggi accoglie anche l’avanguardia e l’innovazione. In sostanza si è trattato dapprima di un incontro moderato dall’esperto in Performing Media e progettista culturale Carlo Infante con due docenti: Susanne Franco (Discipline dello Spettacolo, Università Ca’ Foscari di Venezia) e Cristiana Natali (Antropologia della danza, Università di Bologna). Si sono così distinti gli approcci fra il valore teorico dello studio della danza tra ricordi, memorie del corpo e trasmissione tra generazioni ma anche i limiti dettati da un eurocentrismo che ancora condiziona conoscenza e scoperta con i suoi parametri, le sue gerarchie. Dopo una simpatica parentesi all’insegna del baratto gastronomico curata da Agnese Z’graggen, alla ricerca di nuove dinamiche partecipative, la giornata si è conclusa trasformando lo Studio Foce in un riuscito happening di danza, musica e poesia all’insegna dell’improvvisazione e con l’aiuto del web.

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© Michael Slobodian

«Con fatica ho lasciato alle spalle la vita precedente»

Intervista ◆ Enrica Ferrara racconta la sua storia di famiglia segnata dal destino del padre, esponente DC nell’Italia degli anni 80

«Mia madre aveva una 500 gialla … mio padre un’altrettanta blu. Nell’Alfetta di papà si poteva arrivare alla quinta. Nella 500 gialla ce n’erano solo 4 di marce. A volte papà scherzava e diceva a mamma che era piccola, gialla e aveva una marcia in meno. Mamma, non la macchina». Si può leggere quasi come una favola la storia di Gina: dieci anni, una fantasia sfrenata, una famiglia qualsiasi fino a quando suo padre, il suo idolo, non si dà alla fuga inseguito da una balena bianca e sparisce. Allegorie? Non proprio, Enrica Ferrara nel suo romanzo di esordio Mia madre aveva una Cinquecento gialla rievoca la propria infanzia gioiosa e poi lacerata da quel fatto traumatico che cambiò la sua esistenza, perché Gina è lei, che con la sua famiglia fu travolta da uno di quegl’ingarbugliati scandali politici e finanziari che martoriarono l’Italia a cavallo degli anni 80. Come Gina, dovette abbandonare i sogni dell’infanzia e confrontarsi con parole nuove: «brigatista», «camorrista», «latitante», «capro espiatorio», ma quale di esse celava la vera identità di suo padre? Il vocabolario non l’aiutava a capire la politica e la società dell’epoca: chi erano «i rossi»? E la «balena bianca», ossia la Democrazia Cristiana, il partito politico italiano più potente dell’epoca? Il romanzo inizia come un’avventura infantile, ma poi il tono leggero, pieno di humour, assume il ritmo serrato di un thriller, emergono episodi inquietanti, personaggi ambigui e minacciosi, la realtà e la finzione s’intrecciano e la ricerca della verità per Gina diventa qualcosa di più di un’esigenza sentimentale come, ci ha raccontato la stessa Enrica Ferrara.

Cosa l’ha spinta a scrivere al contempo una favola, un giallo e un romanzo di formazione a 40 anni dai fatti ai quali s’ispira? Volevo fare chiarezza, prima di tutto dentro di me. All’inizio avevo scritto un romanzo su tre donne che sopravvivevano alla fuga di un uomo misterioso. Era una storia di emancipazione femminile che piaceva molto a mia madre, a mia sorella e anche a me, perché ci raccontava bene, senza mio padre. Ma quel «buco nero» m’impediva di affrontare il nodo della questione: il trauma dell’abbandono che mi porto dietro dal giorno della sua fuga. E poi volevo fare i conti con la verità storica di quella vicenda: i fatti che lui mi aveva raccontato, quanto era apparso sui giornali e poi era emerso nelle varie inchieste.

Chi era suo padre e cosa l’aveva indotto a lasciarvi e a fuggire?

Mio padre era giovane, era un politico che aveva fatto una carriera folgorante nella Democrazia Cristiana a Napoli, ed era a parte di alcuni segreti che i suoi compagni di partito non avrebbero voluto condividere. Quando alcuni di questi personaggi pensarono che lui potesse minacciare i loro schemi di potere, decisero di «silurarlo». Era il 1980, lui era direttore del Banco di Napoli e si occupava della propaganda elettorale, e venne accusato di avere creato dei «fondi neri». Per evitare l’arresto lasciò la famiglia e si dette alla latitanza.

Lei cosa sapeva di tutto questo?

Niente. Mia sorella era più grande di me ed era la confidente di mia madre che, impaurita e amareggia-

ta, riteneva che lui dovesse proteggere noi prima di sé stesso. Io ero la bambina «piccola» che, come si dice spesso, «a quell’età tanto non capisce»; io invece capivo tutto. Mio padre mi mancava terribilmente, così sprofondata nella solitudine e nelle fantasie, un po’ spia e un po’ detective, costruivo la mia verità con quello che vedevo e che sentivo. Quando un pomeriggio al telegiornale riconobbi la foto di mio padre sorridente, ero felice, convinta che fosse diventato famoso! Nei giorni successivi a scuola le mie compagne presero a ignorarmi e io piansi disperata. Non sapevo che mia madre non avesse più rapporti sociali. Ci avevano fatto terra bruciata intorno.

È Gina, bambinetta di dieci anni innamorata di papà, la voce narrante del libro: perché?

Perché nelle mie fantasticherie di quel periodo c’era la chiave di tutto, anche di un’avventura alla Mark Twain che mi permetteva di raccontare quelle vicende vere, come un romanzo. Quando un bambino subisce un trauma così profondo è difficile che la ferita si rimargini. Io vivo in Irlanda dove mi sono costruita una famiglia e una carriera accademica e, attraverso la letteratura e la scrittura, anche un’identità diversa. Con fatica mi sono lasciata alle spalle la vita precedente per poi riappropriarmene pian piano. Salvo mio marito e un po’ i miei figli, il resto della famiglia ignora la mia storia.

Nel libro racconta un incontro con suo padre sette anni dopo la sua fuga, è avvenuto davvero? Sì, anche se non abbiamo mai avuto una giornata intera per noi. Papà era in latitanza e per incontrarlo bisognava proteggerlo e proteggersi. Perciò quello del libro, in realtà, è il frutto di alcuni appuntamenti rocamboleschi, durante i quali mi raccontò molte cose perché voleva che capissi che era innocente e che sapessi che avrebbe fatto di tutto per farci risarcire di tante sofferenze.

Suo padre riuscì a tornare a una esistenza normale? Mentre era in fuga si era costruito

Dettaglio di copertina del romanzo

Mia madre aveva una Cinquecento gialla

una nuova famiglia con una donna meravigliosa che aveva accettato di nascondersi con lui e che gli ha dato due figli. Come mio padre mi ha detto varie volte: nel 1978 tutti

nella DC sapevano dove i brigatisti tenevano prigioniero Aldo Moro. Quindi anche nel caso di mio padre, i suoi nemici nella Democrazia Cristiana, sapevano bene dove lui si

nascondeva, ma per loro era meglio che restasse «latitante», così la verità non veniva a galla. Dopo l’assoluzione al processo di Pescara si tranquillizzò un po’, ma c’erano ancora delle vicende giudiziarie in sospeso a Napoli. Mio padre è morto a sessantun anni per un attacco di cuore.

Lei fa un elenco dei casi eclatanti di quegli anni, a corollario di quanto successo a suo padre: dall’omicidio Moro, a quello Ambrosoli, alle vicende del Banco Ambrosiano. Suo padre fuggì per salvarsi la vita, o per paura? Nel libro rifletto molto su quegli anni, sulla società italiana, la politica, sui rapporti tra uomini e donne che fanno da sfondo alle avventure di Gina. Io ho perdonato mio padre, ma non perdonerò mai i politici coinvolti in questa storia per quello che ci è stato fatto. Non faccio i veri nomi e so che non hanno distrutto solo la mia famiglia. Ma io almeno sono riuscita a trasporre la mia storia in un libro, mentre altri che sono stati cinicamente «tolti di mezzo», non hanno potuto lenire in alcun modo la paura, il trauma e il dolore di quanto hanno subito.

Bibliografia

Enrica Ferrari, Mia madre aveva una cinquecento gialla Fazi Editore, Roma, 2024.

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«Tra noi una connessione che va oltre la musica»

«Ci dicono che sembriamo sorelle, anzi sorelle gemelle, più che colleghe. È vero: tra noi c’è una connessione profonda che va oltre la musica e che continua dietro il palcoscenico: forse fuori è quasi ancora meglio. Siamo due amiche».

Era inevitabile che Sol Gabetta (nella foto sul palco con Poschner) invitasse Patricia Kopatchinskaja a Presenza, il progetto che per la terza volta la talentuosa ed estrosa violoncellista argentina firma con Markus Poschner e l’Orchestra della Svizzera Italiana, il 17 e 18 maggio al LAC: «Un minifestival dove cerchiamo di uscire dai canoni inveterati della tradizione concertistica e pensare a nuovi modi per coinvolgere il pubblico: il tentativo è quello di ampliare le prospettive, ad esempio anche pensando a colori di-

«Azione» mette in palio alcuni biglietti per il concerto dell’OSI Presenza del Festival di Pentecoste sabato 18 maggio alle 20.30 alla Sala Teatro del LAC. Per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione.ch, oggetto «Sol» con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, no. di telefono) entro domenica 12 maggio alle 24.00.

versi per l’illuminazione della sala». Sala da concerto che «è stato il luogo dove io e Patricia ci siamo incontrate per la prima volta; ricordo che scattò immediatamente una sintonia particolare: ebbi proprio l’impressione di un fiore che sbocciasse».

Era il 2021, e Gabetta coglie la particolarità, quasi l’unicità del rapporto instauratosi con la fantasiosa e virtuosa violinista moldava: «L’aspetto particolare era che nel momento stesso in cui si stava creando un forte legame, una forte sintonia tra noi, capivamo di poter mostrare l’una all’altra le proprie fragilità. Normalmente un concertista, quando sale sul palco, vuol dare il meglio di sé e quindi vuole anche dimostrarsi forte e sicuro; noi sì, volevamo dare il meglio di noi, ma al tempo stesso non dovevamo inturgidire la nostra fisionomia per sostenere una parte; mostrare le fragilità significa essere più disponibili ad aiutarsi l’una con l’altra e legarci in modo ancor più profondo e potente».

La traduzione musicale di questa sintonia umana si declina, per la Gabetta, «nel fatto che quando suoniamo assieme percepiamo l’esigenza di intrecciare le caratteristiche dei nostri strumenti, come se le corde e la cassa del mio violoncello dovessero unirsi al suo violino; sono come due voci che devono fondersi, e infatti uno degli esiti interessanti di questo connubio è che migliora la cantabilità, la possibilità di

trattare il violoncello o per lei il violino come se fosse una voce umana. Ad esempio, spesso quando si fanno vibrati diversi è un disturbo che impedisce di andare assieme; noi non abbiamo mai avuto questo problema». Kopatchinskaja ama immagini e metafora, e ne usa due per spiegare il suo modo di far musica con Gabetta e il suo modo di intendere la musica: «Suonare è come tenere una conversazione; siccome io e Sol ci conosciamo così bene, non dobbiamo quasi parlare o spiegarci, viene naturale trovarsi sulla stessa linea. Mi sento totalmente libera di essere me stessa nello stesso momento in cui devo “accordarmi” con lei». Per quanto riguarda la sua concezione della musica, sostiene di non considerarsi «una schiava del-

lo spartito. Io e Sol siamo come due uccelli che si trovano a raccontare una storia scritta su un foglio, ma che devono trovare il loro modo, la loro via per raccontarla. Per non annoiarsi, per non essere tumulati in un sepolcro di pietra, la musica deve rimanere viva, ed è viva se cambia continuamente, come le nuvole, che scorrono nel cielo e anche impercettibilmente cambiamo contorno ogni secondo. Quindi è anche una sorta di rischio, perché suonare un brano, raccontare una storia, è come lanciarsi in volo; se si è in due si è come due acrobati che fanno le loro evoluzioni a tanti metri da terra: bisogna fidarsi l’una dell’altra, pronte a prendersi. Quindi anche la filologia, il conoscere tanto di un autore serve, ma quando suoniamo non stiamo tenendo

una conferenza o spiegando qualcosa, il suono è una magia che accade nell’istante». Concetto ripreso da Gabetta, che confermando la parole dell’amica («Anche per questo mi trovo così bene con Patricia: abbiamo la stessa visione del rapporto che ci dovrebbe essere col pubblico, del modo di comunicare, anche parlando»), aggiunge il ruolo di orchestra e direttore: «Ci si dimentica spesso che l’esito non dipende solo da come il solista pensa e suona un brano, perché c’è il direttore, con la sua visione e la sua sensibilità – magari più romantica o più classicheggiante – e l’orchestra, con la sua personalità e il suo suono. E quindi solo dopo che c’è un’intesa tra solista, direttore e orchestra può iniziare la comunicazione verso il pubblico. Alla fine, si deve formare una comunità». Comunità che attecchisce e matura durante le prove: «In questo progetto abbiamo la possibilità di provare a lungo, per giorni e giorni, privilegio ormai più unico che raro nei ritmi vorticosi del concertismo». L’esito sono due programmi accomunati da un brano composto appositamente dalla stessa Kopatchinskaja, A play per violino, violoncello e orchestra, e da Sibelius, di cui saranno eseguite la prima (il 17) e la settima (il 18) sinfonia. Venerdì sarà Kopatchinskaja a suonare il primo Concerto di Prokof’ev, mentre sabato si ascolterà Gabetta nel secondo Concerto per violoncello di Shostakovich.

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A Ginevra il San Francesco di Messiaen

Opera ◆ Al Grand Théâtre una nuova produzione del Saint François d’Assise con la direzione di Jonathan Nott Francesco Hoch

Il compositore svizzero Rolf Liebermann, direttore del Teatro di Parigi dal 1973 al 1980, non si era sbagliato nel voler insistere presso Olivier Messiaen, che aveva dapprima rifiutato, di invitarlo a comporre un’opera, che per il compositore francese sarebbe stata in realtà anche la sua prima in assoluto. Non solo, in quell’epoca, a metà Novecento, quando il genere operistico era sicuramente in un momento di crisi, cioè in piena e ricca sperimentazione, e Messiaen stesso non si sentiva ancora a suo agio nell’affrontare un genere che richiedeva essenzialmente una narrazione, una storia da raccontare. Alla fine accettò, scegliendo un tema a lui molto caro, la fede tutta particolare come quella di un santo come San Francesco d’Assisi, in cui poteva trattare e articolare il suo discorso rifacendosi all’espressione teatrale dei Misteri medievali.

Così nasce il suo Saint François d’Assise che abbiamo visto al Grand Théâtre di Ginevra in una nuova produzione che ha dovuto affrontare una partitura di notevole dimensione che il bravissimo direttore Jonathan Nott ha voluto far notare precisando le sue dimensioni: quaranta centimetri di spessore, diciotto chilogrammi di peso e la durata di quasi cinque ore.

Anche l’indicazione scritta in partitura di voler avere l’orchestra e i cori tutti sul palco e non nella fossa, ha messo in difficoltà molti teatri che

hanno spesso desistito dal rappresentare quest’opera dopo la prima a Parigi del 1983. La messa in scena di Adel Abdessemed è così dovuta avvenire davanti ai musicisti stessi, trovando interessanti accorgimenti teatrali, come le proiezioni su schermi circolari che venivano calati dall’alto.

Un raro colloquio visivo così ravvicinato, tra musica e scena, l’avevamo potuto apprezzare di recente al LAC nella stupenda proiezione di Nosferatu di Murnau, dove l’Orchestra e il direttore, sul palco dal vivo, sembravano pure proiettati nel film stesso.

Il colloquio tra musica e scena

In Saint François d’Assise a Ginevra questo strettissimo colloquio è avvenuto in particolare nel sesto quadro, la Predica agli uccelli, dove l’orchestra e i cori erano ben visibili perché la musica qui non possedeva più solo la funzione di narrare i contenuti di un discorso, ma era essa stessa il contenuto, proprio per l’uso del canto degli uccelli che Messiaen aveva a lungo studiato e messo creativamente in musica in molti dei suoi lavori.

Questo valore della musica in sé viene anche proposto nel colloquio tra San Francesco che si rivolge a Dio attraverso l’Angelo e ottiene una risposta in musica. La musica, quindi, per Messiaen acquisisce un’espressione su-

periore alle parole, un’arte che arriva dove le altre arti non arrivano, cioè, romanticamente, può «esprimere l’inesprimibile». Ma la musica di Messiaen è tutt’altro che romantica e quest’opera rappresenta una sorta di «summa» di tutta la sua esperienza compositiva. Più noto e apprezzato è il suo aspetto religioso o mistico, – Messiaen è un cattolico fervente – mentre i lavori strutturali di base, meno noti o quasi sconosciuti, basti citare Les modes de valeurs e d’intensités per pianoforte del 1949-50, sperimentano le strutture astratte che produrranno i fondamenti per tutta la sua produzione che gli permetteranno di mescolare avanguardie e tradizioni tonali o modali.

Nell’uso del canto degli uccelli, la musica si sviluppa in intrecci fantasticamente informali, mentre nei primi Tableau dell’opera sentiamo monodie e monoritmie provenienti da mondi più tradizionali. Spesso succede anche che una sezione con numerose dissonanze termini con una consonanza quasi a indicare la fine risolutiva di un pensiero. San Francesco, basso, canta sempre con una forza e una certezza proveniente dal suo «credere» e dalle risposte che può trovare solo in Dio. Il canto espanso è la base di tutto il discorso musicale che immette, nelle voci dei numerosi Fratelli, le domande a San Francesco, chiamato Padre, basato su un testo scritto interamente dal compositore stesso. Il Padre San

Francesco si identifica con Gesù stesso: chiede di ricevere il dolore delle stigmate e di poter soffrire come Gesù sulla croce.

«La Croce» è proprio il primo degli otto Quadri dell’opera raggruppata simbolicamente in tre Atti. Le simbologie numeriche sono molte, ci fanno ricordare quelle delle Cantate o delle Passioni di Johann Sebastian Bach suddivise in Quadri con sottotitoli precisi, quasi didattici, sottolineati ogni volta da una interruzione della rappresentazione, frutto di quel desiderio antioperistico dichiarato. Il finale, comunque, con la morte di San Francesco tanto drammatica e così

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I cori del Grand Théâtre e Le Motet di Ginevra hanno sostenuto magnificamente la loro parte in contrappunto con una sempre brillante e trasparente Orchestra della Suisse Romande anche nei passaggi più virtuosistici. Dei solisti vocali, accanto ai bravi sei Frati e al Lebbroso, spiccano il baritono Robin Adams nella parte di San Francesco e il soprano Claire de Sévigné nella parte dell’Angelo, unica parte solistica femminile dell’opera.

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4.95

invece di 6.60

Formaggella Ticinese 1/2 grassa per 100 g 15%

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Formaggio fresco Cantadou aglio ed erbe aromatiche, rafano o mix di pepe, 2 x 140 g, (100 g = 1.77)

10 Migros Ticino
Formaggi e latticini
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partire da 4 pezzi 20%

...per la colazione a letto

La creatina aumenta le prestazioni del corpo durante gli sforzi fisici intensi e di breve durata, favorendo così anche lo sviluppo e il mantenimento della massa muscolare. La creatina garantisce inoltre un aumento delle riserve energetiche nelle cellule dei muscoli.

Scorta 11 Offerte valide dal 7.5 al 13.5.2024, fino a esaurimento dello stock. Tutto il meglio per i più piccini Tutti i tipi di caffè istantaneo Nescafé Gold disponibili in diverse varietà, in busta da 180 g, per es. Finesse, 7.50 invece di 12.45, (100 g = 4.15) a partire da 2 pezzi 40% 8.80 invece di 13.20 Noci miste Sun Queen 3 x 200 g, (100 g = 1.47) conf. da 3 33% Tutto l'assortimento di bustine morbide Organix per es. albicocca-banana-cereali, 100 g, 1.50 invece di 2.–a partire da 2 pezzi 25% 16.80 invece di 19.80 Tutte le capsule Delizio, 48 pezzi per es. Lungo Crema a partire da 2 pezzi 3.–di riduzione Spicchi di mango Sun Queen secchi, 200 g, 3.55 invece di 4.40, (100 g = 1.78) a partire da 2 pezzi 20% LO SAPEVI?
24.95 Sponser Creatine Monohydrate 300 g, (100 g = 8.32) 20x CUMULUS
Succhi freschi Andros 75 cl e 1 l, disponibili in diverse varietà, per es. succo d'arancia, 1 l, 4.40 invece di 5.50 20%
Novità

A lunga conservabilità:

le decisioni dell’ultimo minuto Scorta 12 A base di semola di grano duro extra fine Nel reparto frigo 2.–invece di 2.50 Lenticchie M-Classic 500 g, (100 g = 0.40) 20% 6.95 Mezzelune Anna's Best ricotta e spinaci o alla carne di manzo, in conf. speciale, 800 g, (100 g = 0.87) Hit 5.90 invece di 8.85 Sugo di pomodoro al basilico Agnesi 3 x 400 g, (100 g = 0.49) conf. da 3 33% 2.90 Farina per pasta M-Classic 1 kg 20x CUMULUS Novità Pizze dal forno a legna Anna's Best prosciutto e mascarpone o mini al prosciutto, in confezioni multiple, per es. prosciutto e mascarpone, 2 x 420 g, 9.95 invece di 13.90, (100 g = 1.18) conf. da 2 28% 1.95 Miscela per pane bigio M-Classic 500 g, (100 g = 0.39) 20x CUMULUS Novità
per

Tutte le salse olandesi non refrigerato, (confezioni multiple escluse), per es. Thomy, 250 ml, 3.10 invece di 3.90, (100 ml = 1.24) 20%

da 2 20%

Senape dolce, maionese, Thomynaise o concentrato di pomodoro, Thomy per es. senape dolce, 2 x 200 g, 3.65 invece di 4.60, (100 g = 0.91)

Tutti i funghi secchi in bustina per es. funghi porcini M-Classic, 30 g, 3.– invece di 3.80, (10 g = 1.00) 20% 7.–invece di 9.–

da 2 20%

di cocco Thai Kitchen in confezioni multiple, bio o normale, per es. normale, 2 x 500 ml, 6.85 invece di 8.60, (100 ml = 0.69)

da 6 22%

Fleischkäse Malbuner disponibile in diverse varietà, 6 x 115 g, (100 g = 1.01)

da 2 30%

Involtini primavera J. Bank's prodotto surgelato, con pollo o verdure, per es. con pollo, 2 x 6 pezzi, 740 g, 9.80 invece di 14.–, (100 g = 1.32)

13 Offerte valide dal 7.5 al 13.5.2024, fino a esaurimento dello stock. In azione pureamaionese,anche di pomodoro e Thomynaise
conf. conf. Latte conf. conf.

Festa della mamma

Regali selezionati che vengono dal

LO SAPEVI?

Festa della mamma: auguri ai circa 2,2 miliardi di mamme nel mondo! La Festa della mamma è la festa più celebrata al mondo dopo Natale e Pasqua. I regali fatti a mano dai bambini sono particolarmente graditi.

Ad esempio un cuore in decoupage o un disegno.

Le idee regalo classiche includono fiori, cioccolato, una cena insieme o un buono wellness.

14 TEXT
IM
13.95 invece di 23.50 Pralinés du Confiseur Frey Love Edition, 503 g, (100 g = 2.77) 40% Tutti i truffes Frey (confezioni multiple escluse), per es. fondente, 230 g, 6.80 invece di 8.50, (100 g = 2.96) 20%
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WFS60

20%

Palline Lindt Lindor disponibili in diverse varietà, 200 g e 500 g, per es. al latte, 200 g, 8.80 invece di 10.95, (100 g = 4.40)

19.95

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Mazzo di fiori per la Festa della mamma il mazzo 20%

17.95 invece di 19.95

Rose nobili Fairtrade disponibili in diversi colori, mazzo da 9, lunghezza

20%

19.95

invece di 24.95

Phalaenopsis Cascade, 2 steli disponibile in diversi colori, in vaso di ceramica, Ø 12 cm, il vaso

15 Offerte valide dal 7.5 al 13.5.2024, fino a esaurimento dello stock.
a partire da 2 pezzi dello stelo 60 cm, il mazzo
10%

Dolci e cioccolato

Dolcetti da mordicchiare...

Tavolette di cioccolato

Excellence o Les Grandes, Lindt disponibili in diverse varietà, per es. Excellence 85% cacao, 3 x 100 g, 8.40 invece di 10.50, (100 g = 2.80)

Biscotti al caramello Lotus in conf. speciale, 1 kg 33%

7.90

invece di 11.80

5.40

Knoppers Big Spender in conf. speciale, 15 pezzi, 375 g, (100 g = 1.44)

Branches Frey Milk, White o Dark, per es. Milk, 30 x 27 g, 9.95 invece di 14.85, (100 g = 1.23)

Tutti i biscotti Créa d'Or per es. florentin, 100 g, 2.80 invece di 3.40 –.60 di riduzione

7.30

MegaStar Coconut Passionfruit prodotto

4 x 90 ml, (100 ml = 2.03)

16
Hit
20x
Novità
surgelato, CUMULUS conf. da 30
33%
conf. da 3
20%

Biscotti doppi avena Alnatura

invece di 6.60 Pringles Paprika, Sour Cream od Original, 2 x 185 g, (100 g = 1.42)

Salatini da aperitivo Gran Pavesi

Cracker Salato, Sfoglie Classiche o Sfoglie Olive, in confezioni speciali o multiple, per es. Cracker Salato, 540 g, 3.90 invece di 4.90, (100 g = 0.72)

Snack
17 Offerte valide dal 7.5 al 13.5.2024, fino a esaurimento dello stock. Consostenibiliingredienti da commercio equo e solidale Novità con aroma di aneto 3.95 Farm Chips Wave Dill Pickle 175 g, (100 g = 2.26) 20x CUMULUS Novità 3.60 Biscotti all'avena Migros Bio, Fairtrade 125 g, (100 g = 2.88) 20x CUMULUS Novità 3.95 Vaya Roots Zweifel 80 g, (100 g = 4.94) 20x CUMULUS Novità 3.30
20x CUMULUS Novità
per es.
295
a partire da 2 pezzi –.60 di riduzione 5.25
conf.
20%
...e salatini da piluccare
e aperitivi
bio, 330 g, (100 g = 1.00)
Tutto l'assortimento Blévita
al sesamo,
g, 2.95 invece di 3.55, (100 g = 1.00)
da 2
20%

Tante cose nuove da assaggiare

Bevanda alla birra senz'alcol con mate e gusto di rabarbaro

Fatta con scorze di limone e arancia schiacciate

2.80

Novità

Novità 1.80

Senza zucchero né edulcoranti

2.80

Bevande 18
Panaché Non senz'alcol, 6 x 500 ml e 500 ml, per es. 6 x 500 ml, 11.40, (100 ml = 0.38) 20x CUMULUS Novità
Prime Cherry Freeze 500 ml, (100 ml = 0.56) 20x CUMULUS
Lager Non senz'alcol, 6 x 500 ml e 500 ml, per es. 6 x 500 ml, 10.95, (100 ml = 0.37) 20x CUMULUS Novità Non Minty Berry senz'alcol, 6 x 330 ml e 330 ml, per es. 6 x 330 ml, 8.70, (100 ml = 0.44) 20x CUMULUS Novità
Novità
Citrus Blonde Lowlander senz'alcol, 330 ml, (100 ml = 0.85) 20x CUMULUS
Dash Water Limes 330 ml, (100 ml = 0.55) 20x CUMULUS
Non Fruity Mate senz'alcol, 6 x 330 ml e 330 ml, per es. 6 x 330 ml, 8.70, (100 ml = 0.44) 20x CUMULUS Novità

30%

Tutto l'assortimento di acqua minerale Valais (bottiglie di vetro e Botanical escluse), per es. senza anidride carbonica, 6 x 1,5 litro, 4.45 invece di 6.40, (100 ml = 0.05)

20x

2.30

20x CUMULUS

LevlUp Shiny Fox anelli di pesca acidi, limette, 500 ml, (100 ml = 0.46)

1.95 Evil Juice Rude Raspberry o Manic Mango, 500 ml, (100 ml = 0.39)

20x CUMULUS Novità

Focus Water disponibile in diverse varietà, 6 x 500 ml, (100 ml = 0.32) conf. da 6 20%

9.60 invece di 12.–

8.95, (100 ml = 0.30)

Orangina Original, Zero o Rouge, 6 x 1,5 l, 6 x 500 ml e 6 x 250 ml, per es. Original, 6 x 1,5 l, 8.25 invece di 13.80, (100 ml = 0.09) conf. da 6 40% Fanta Exotic 6

Bevanda rinfrescante acidula gusto fragola Naturalmente dolce, senza conservanti

20x

2.40 Sour Fizzy Candy Drink Brain Licker Strawberry o Blue Raspberry, 500 ml, (100 ml = 0.48)

20x CUMULUS

2.30 Pure Coconut Water Pineapple o Mango 325 ml, per es. Pineapple, (100 ml = 0.71)

19 Offerte valide dal 7.5 al 13.5.2024, fino a esaurimento dello stock.
CUMULUS Novità
500 ml
500
per es.
x 500 ml,
x
o
ml,
6
Novità
CUMULUS
Novità
Novità

Per darti bellezza e allegria

1.95 Soft Cream M-Classic 250 ml, (100 ml = 0.78)

Prodotto testato da organi indipendenti

4.40 Crema nutriente I am 300 ml, (100 ml = 1.47)

(100 g = 7.46)

Prodotti per la cura del viso e del corpo Nivea e Nivea Men (prodotti Sun, confezioni da viaggio e confezioni multiple esclusi), per es. siero antimacchie Luminous 630 Nivea, 30 ml, 24.75 invece di 32.95, (10 ml = 10.98)

Prodotti per la cura del viso o del corpo Nivea (prodotti per le mani esclusi), per es. struccante per occhi per trucco resistente all'acqua, 2 x 125 ml, 8.70 invece di 11.60, (100 ml = 3.48)

Con principi attivi da erbe aromatiche selezionate Magnesio ad alto dosaggio per la notte

Magnesio Tetesept 335 deposito per la notte 30 compresse, (10 pezzi = 2.65)

Tutti i prodotti per la cura dei capelli Rausch per es. shampoo al ginseng e alla caffeina, 200 ml, 13.50 invece di 17.95, (100 ml = 6.73) a partire da 2 pezzi 25% Carta igienica o salviettine umide Soft in confezioni multiple o speciali, per es. Deluxe Ultra, FSC®, 24 rotoli, 17.50 invece di 25.–

del corpo 20
Bellezza e cura
20x CUMULUS Novità
7.95
30%
a partire
pezzi
Health-iX 120
20x CUMULUS Novità
da 2
25% 8.95 Energy Gummies
g,
conf.
25%
da 2

conf. da 2 25%

conf. da 3 33%

Prodotti per la doccia I am in confezioni multiple, per es. Milk & Honey, 3 x 250 ml, 3.60 invece di 5.40, (100 ml = 0.48)

Prodotti per l'igiene orale Candida in confezioni multiple, per es. collutorio Parodin, 2 x 400 ml, 6.75 invece di 9.–, (100 ml = 0.85)

conf. da 3 33%

Dentifricio Candida per es. Peppermint, 3 x 125 ml, 5.90 invece di 8.85, (100 ml = 1.58)

conf. da 6

Spazzolini soft Candida Sky (1 pz. = 1.66)

azione diversi

conf. da 2 20%

Prodotti per la doccia pH Balance per es. gel doccia, 2 x 250 ml, 5.60 invece di 7.–, (100 ml = 1.12)

conf. da 2 23%

Rasoio da donna BiC in confezioni multiple o speciali, per es. rasoio usa e getta Twin Lady, 2 x 10 pezzi, 4.95 invece di 6.50, (1 pz. = 0.25)

conf. da 2 25%

in conf. da 2 7.40 invece di 9.90

Tutto l'assortimento per la depilazione Veet e I am (confezioni multiple escluse), per es. strisce depilatorie di cera a freddo con aloe vera, 20 pezzi, 8.– invece di 9.95, (1 pz. = 0.40) a partire da 2 pezzi 20% 9.95

Dentifricio Candida per es. Professional Sensitive, 2 x 75 ml, (100 ml = 4.94)

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dentifrici
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Cose pratiche per la casa, i gatti e la barba

Ammorbidente Lenor per es. freschezza d'aprile, 2 x 1,7 litri, 10.95 invece di 17.50, (1 l = 3.22)

Detersivi Total in confezioni speciali XXL, per es. White, 6,36 kg, 23.45 invece di 46.95, (1 kg = 3.69) 50%

Tutto l'assortimento di lettiere per gatti Fatto per es. Fatto Plus, 10 l, 6.– invece di 7.50, (1 l = 0.60)

Tutto l'assortimento Handymatic Supreme (sale rigeneratore escluso), per es. All in 1 in polvere, 800 g, 5.– invece di 9.95, (100 g = 0.62)

Tutto l'assortimento di borse e valigie nonché di accessori da viaggio (prodotti Hit esclusi), per es. trolley Glider nero, taglia S, il pezzo, 55.95 invece di 69.95

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Tutti i rasoi Mio Star per es. Mio Star Shave 320, 47.95 invece di 69.95

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a partire da 2 pezzi 50%
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Tutto l'assortimento di occhiali da sole e da lettura per es. occhiali da sole da donna, il pezzo, 41.95 invece di 59.95

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3 x 1 kg,
g = 0.73), offerta valida dal
al 12.5.2024 33% 12.95 Tazze da caffè Kitchen & Co. 250 ml conf. da 4 Hit 24.95 Macchina per caffè espresso Bialetti Rainbow disponibile in azzurro o rosa, il pezzo Hit
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