Azione 15 del 8 aprile 2024

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Rivella. Una M più gialla. La nuova Rivella è tutta vegana, cioè perfetta, anche senza latte e contiene il 40 % di zucchero in meno. Pagina successiva

Immagine: Alina Birjuk

La particolarità di Rivella Gialla: ORA PRESSO

il gusto leggero e rinfrescante di Rivella tutta vegana, cioè perfetta, anche senza latte 40 % di zucchero in meno

MIGROSVOSTRA
LA

MONDO

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SOCIETÀ Pagina 5

I neuroni specchio sono essenziali per il processo di imitazione, empatia e apprendimento sociale

Le note dei Dr. Chattanooga and the Navarones, band chiassese degli anni 80, su un vinile di oggi

La prodigiosa e inattesa crescita di Bulle tra produzione di formaggio e l’arrivo di Rolex

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Centocinquant’anni tra casa e lavoro

Allo Spazio Officina di Chiasso la prima antologica di Gianni Realini con le sue molteplici mutazioni

CULTURA Pagina 29

Nostrani dentro

«Dove i laghi baciano le montagne e il verde è più intenso nascono sapori genuini e autentici» Questi sono i Nostrani del Ticino, prodotti regionali autentici certificati, in esclusiva da Migros Ticino. La storia narra che Migros Ticino sia stata creata anche per il forte interesse del nostro fondatore Gottlieb Duttweiler per l’agricoltura ticinese, visto il clima favorevole e mite. Nel 1933 veniva fondata Migros Ticino come legame tra il mondo agricolo e il consumatore. Nel 1999 nascevano nella Cooperativa regionale di Lucerna i primi prodotti del marchio nazionale Migros «Aus der Region. Für die Region» rispettivamente «De la région. Pour la région». Nel 2003 Migros Ticino intraprende i primi passi per creare una gamma di articoli regionali forti e soprattutto nostrani. Nel 2005 vede la luce il marchio «i Nostrani del Ticino» caratterizzato dalla coccarda che è rimasta in

uso fino ai giorni nostri, passando per una lieve rivisitazione grafica nel 2012. In questo vasto assortimento di prodotti legati al territorio e soprattutto all’agricoltura ticinese risiede tutto l’interesse e l’amore di Migros per le realtà regionali. Oggi le 10 cooperative regionali Migros sono senza dubbio i dettaglianti con la più vasta offerta di prodotti regionali e tipici: oltre 10’000 articoli. Non fanno difetto Ticino e Moesano con un assortimento di più di 500 articoli (stagionalmente il numero può variare fortemente) e una stretta collaborazione di lunga data con una cinquantina di agricoltori e produttori locali. Vista l’esistenza di un termine specifico per questa tipologia di raffinatezze gastronomiche, si è optato da subito per il nome «Nostrani del Ticino», che rende immediatamente chiara la loro natura e bontà. Negli anni questa gamma ha avuto un crescente successo e gode della fiducia delle no-

stre consumatrici e dei nostri consumatori. Segno tangibile che sempre più clienti desiderano comprare e consumare locale, sostenendo l’economia del nostro territorio. A conferma del loro pregio tutti gli articoli dei Nostrani del Ticino sono certificati con il marchio di qualità «regio.garantie», che ne attesta la territorialità e la tracciabilità. In tempi più recenti l’importanza dell’impatto ambientale delle derrate alimentari è cresciuta e i Nostrani del Ticino dimostrano un elevato grado di sostenibilità (vedi etichetta di sostenibilità M-Check) grazie alla produzione locale, alla produzione rispettosa, a tragitti di trasporto brevi e spesso a materie prime bio. Grazie al valore aggiunto che essi offrono, si rivelano meno suscettibili alla sostituzione con prodotti di più bassa qualità oppure d’oltre confine e garantiscono una remunerazione più interessante per il mondo contadino ticine-

se. Purtroppo, però lo spettro della diminuzione dei consumi interni a favore dell’acquisto in Italia aleggia di questi tempi anche sulla produzione locale e sullo smercio di specialità nostrane, base di vita del nostro mondo contadino. Oggi rilanciamo il marchio Nostrani del Ticino con l’obiettivo di renderlo più riconoscibile, più dinamico, orientato al futuro e lasciando più spazio a emozioni e interpretazione. Questo cosiddetto «rebranding» è una grande gioia perché Migros Ticino crede profondamente nella bontà della produzione locale e nei frutti gustosi del nostro territorio. E vi dirò di più: la nuova veste grafica è, anch’essa, frutto della creatività di uno studio grafico ticinese, che ha saputo imporsi tra le quattro agenzie specializzate in concorso, contro una concorrenza locale, nazionale e internazionale. Tutto ciò a riprova che dall’impegno e dall’unione delle forze nascono i migliori frutti. Buon appetito a tutti!

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 8 aprile 2024 Cooperativa Migros Ticino edizione 15 ◆ ● G.A.A. 6592 San t’Antonino
MIGROS ATTUALITÀ Pagina TEMPO LIBERO Pagina 13
Stefania Hubmann Pagina 9 Mattia Keller Archivio storico della Città di Lugano, Fondo Vincenzo Vicari

Un nuovo logo esprime l’amore per il territorio

Nostrani del Ticino ◆ L’amata linea di prodotti regionali si presenta con una nuova veste Da

Da qualche settimana un bacio rosso e blu ammicca ad automobilisti e passanti dai cartelloni pubblicitari che costeggiano alcune strade del nostro Cantone, e a consumatrici e consumatori dai prodotti in vendita sugli scaffali. Una sorta di ideale e per molti ancora misterioso bacio per premiare la fedeltà della clientela ai prodotti della Linea dei Nostrani del Ticino, cresciuta esponenzialmente in questi anni, e ora reduce da un’operazione di rebranding. E così il vecchio logo dei Nostrani, contraddistinto dalla coccarda in cui si intravvedono campi coltivati, è stato sostituito da un logo organico stilizzato, che sembra mandare un bacio volante a chi la guarda, da una parte ringraziando per la fedeltà di questi anni, dall’altra per invitare chiunque ne abbia voglia, a scoprire le novità sugli scaffali di Migros Ticino. Ne abbiamo parlato con Daniele Bassetti, membro di direzione di Migros Ticino e responsabile del dipartimento Marketing e Sponsoring, e Dario Tondi, responsabile Sales Promotions e Sponsoring. Come sono nati e come sono cresciuti i Nostrani del Ticino e qual è stata la ricezione da parte della clientela?

Daniele Bassetti (DB): La linea Nostrani del Ticino di Migros, con oltre 500 prodotti a chilometro zero, riflette il forte legame della cooperativa con il territorio ticinese e il suo impegno a sostegno di agricoltori, allevatori e produttori locali. Questa collaborazione, che risale al 1933, mira allo sviluppo regionale e alla promozione delle specialità locali. È dal 2005 che questa collaborazione con il territorio, nella fattispecie agricoltori e allevatori, si è resa visibile e tangibile grazie alla creazione di una linea di prodotti con un proprio logo indicante la provenienza ticinese. L’enfasi è stata dunque posta sulla visibilità dei prodotti regionali, arricchendo l’offerta con

specialità innovative. Questi sforzi hanno portato i prodotti Nostrani a rappresentare circa il 7% delle vendite alimentari della cooperativa, sottolineando il successo e l’importanza dell’impegno per la produzione locale.

L’assortimento di generi alimentari locali comprende anche prodotti provenienti da laboratori protetti di fondazioni attive nel campo del sostegno e dell’integrazione di persone con disabilità, ciò significa che anche a livello sociale i Nostrani hanno un impatto positivo. Insieme ai produttori si sviluppano sempre nuove specialità, mantenendo un occhio di riguardo per le richieste e le mutevoli necessità della clientela, con l’intento di rendere dinamica e completa l’offerta nei nostri supermercati, sfruttando al meglio le materie prime presenti nella nostra regione.

Quanti prodotti appartenenti alla linea dei Nostrani del Ticino sono disponibili sul mercato?

DB: I prodotti a chilometro zero della linea dei Nostrani del Ticino presenti nei nostri supermercati so-

no oltre 500, e sono lavorati da oltre 50 produttori locali. La collaborazione con aziende della regione, con l’obiettivo di acquistare prodotti e servizi prioritariamente in Ticino, resta un punto cardine della filosofia della Cooperativa regionale Migros Ticino. Nel 2022, tra salari, acquisti merce, consulenze e installazioni per i suoi investimenti, la Cooperativa ha generato un indotto nell’economia cantonale di oltre 177 milioni di franchi, ciò che corrisponde al 38,9% del suo fatturato.

Nel 2023 i Nostrani del Ticino hanno generato una cifra d’affari di 20 milioni che rappresentano il 7% di quota rispetto alla cifra d’affari totale.

Il restyling grafico dei Nostrani nasce dalla volontà di dare nuovo slancio al marchio? Cosa rappresenta il nuovo logo?

DB: Dopo 19 anni di successo e crescita, abbiamo deciso di dare al nostro marchio una nuova immagine per rimanere al passo con l’evoluzione del settore e le aspettative dei nostri clienti. Il nuovo design del packaging (imballaggio) riflette i no-

Walking Mendrisiotto

stri valori, il nostro impegno verso la sostenibilità e la nostra visione per il futuro. Inoltre, si è deciso di optare su una linea di pack uniformata. Il cambiamento del brand è motivato da diversi fattori, tra cui l’evoluzione delle tendenze di mercato e il desiderio di comunicare meglio i nostri valori aziendali. Vogliamo migliorare l’esperienza dei nostri clienti e mantenere la nostra posizione come marchio innovativo e sostenibile.

Dario Tondi (DT): Abbiamo sottoposto ad alcune agenzie creative il mandato di sviluppare un nuovo logo e l’ha spuntata Variante agenzia creativa di Bellinzona. Il nuovo logo ci ha convinto subito, poiché è di impatto immediato e, attraverso il bacio e il sorriso, suscita sensazioni positive. Oltre a ciò, il nuovo logo evoca le nostre montagne, i nostri laghi e il nostro territorio, esprimendo al contempo l’unione e la passione che collegano produttori, natura e consumatori attraverso il simbolo universale del bacio. L’invito è a scoprire e gustare i sapori autentici del nostro territorio, sottolineando la genuinità e la convivialità nate dalla condivisione dei prodotti della

nostra terra. I colori scelti – il rosso e il blu per l’appartenenza al Ticino, il verde per la genuinità e il legame con la terra – riflettono l’identità del nostro brand e la nostra promessa di offrire esperienze gustative piene di emozioni e autentiche connessioni. Il nostro logo va oltre il concetto di simbolo; è un invito a condividere momenti di gioia e serenità, esplorando i sapori unici che solo la nostra regione sa offrire. Variante agenzia creativa sta ora lavorando a stretto contatto con il poligrafo di Migros Ticino Michele Righettoni per una serie di interventi sul packaging

A quale fascia di clientela si rivolge questa operazione di rebranding?

DT: La nuova identità visiva mira a coinvolgere un ampio pubblico, inclusi i giovani. Uno studio che abbiamo commissionato ha mostrato quanto la nuova grafica sia ben percepita anche dai più giovani, grazie a un’estetica moderna e smart. Queste caratteristiche rendono il logo ideale per il digitale e i social, aumentando così l’engagement, l’impegno, nei confronti di questo target.

I Nostrani del Ticino sono una realtà in costante evoluzione, dopo il rebranding cosa possiamo aspettarci?

DB: I clienti possono aspettarsi un nuovo design del packaging che riflette la nostra identità di marca aggiornata. Continueremo a fornire gli stessi prodotti di qualità conosciuti e amati. Durante il periodo di transizione, nei negozi la clientela potrà ritrovarsi a vedere sia il vecchio sia il nuovo packaging, senza che questo influenzi la qualità dei prodotti. Visti i nuovi trend alimentari, nel prossimo futuro si può ipotizzare lo sviluppo di nuove proposte gastronomiche forse meno legate al passato e alla nostra tradizione culinaria, ma comunque realizzate esclusivamente con materie prime ticinesi sostenibili e di alta qualità. DT: Il potenziale di sviluppo e le declinazioni della nuova linea sono illimitati. Consigliamo dunque alle clienti e ai clienti di Migros di recarsi regolarmente nei nostri negozi e scoprire così le numerose novità che avremo in serbo nei prossimi mesi.

Eventi sportivi ◆ Dopo il grande successo dello scorso anno, domenica 28 aprile 2024 torna l’appuntamento con BancaStato Walking Mendrisiotto al Centro Manifestazioni Mercato Coperto di Mendrisio

Tutto è pronto per l’ottava edizione di BancaStato Walking Mendrisiotto, di cui Migros Ticino è co-sponsor e che è organizzato con il supporto della città di Mendrisio. L’evento e le partenze sono previsti al Centro Manifestazioni Mercato Coperto di Mendrisio, a pochi minuti a piedi dalla stazione. Quella del 28 aprile 2024 sarà un’edizione da non perdere con splendidi percorsi, pranzo offerto a tutti gli iscritti e tante animazioni. I percorsi proposti per l’edizione 2024 sono tre: Famiglia (4.2 km): facile, pianeggiante e accessibile a tutti (anche con carrozzine e passeggini), Besazio (8.7 km): media difficoltà, attraversa nuclei, boschi e terrazzamenti vitati, Meride (14.4 km): il più impegnativo con 450 m di salita e di

discesa, tocca 7 quartieri di Mendrisio e si spinge a ridosso del Monte San Giorgio (patrimonio naturale mondiale dell’UNESCO). Per gli amici a 4 zampe e accompagnatori è previ-

sta la categoria «Walk&Dog» (valida su tutti i percorsi) che, oltre al pacco gara classico, prevede il pettorale con nome di padrone e cane, nonché una ciotola-ricordo.

Un’occasione imperdibile per conoscere il nostro territorio. (Garbani)

Il villaggio dell’evento sarà al Centro Manifestazioni Mercato Coperto di Mendrisio, dove si potrà iscriversi sul posto e ritirare pettorali e pacco gara.

Iscrizioni

È possibile iscriversi su www. walkingmendrisio.ch (entro il 24 aprile) o sul posto. La quota d’iscrizione include: t-shirt in tessuto tecnico, buono pasto zona pranzo evento, pettorale con nome, carta giornaliera Arcobaleno (2a classe,Ticino e Moesano, valida il giorno dell’evento, codice inviato via email), rifornimenti e servizio sanitario lungo il percorso.

Concorso

«Azione» mette in palio 10 iscrizioni per Walking Mendrisiotto di domenica 28 aprile 2024. Per partecipare al concorso mandare entro domenica 14 aprile (estrazione 15 aprile) una e-mail a giochi@azione.ch (oggetto: Walking Mendrisiotto), indicando nome, cognome, indirizzo, data di nascita e percorso – Famiglia (4.2 km), Besazio (8.7 km) o Meride (14.4 km) –cui desiderate essere assegnate/i . Buona fortuna!

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 8 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 4
Michele
Daniele Bassetti
ideatore progetto), Davide Guidotti (dir. Variante agenzia creativa) e Alex Barbey (designer Variante). (G. Barberis)
sin., Dario Tondi (coordinatore progetto),
Righettoni (poligrafo Migros Ticino),
(sponsor e

Anziani e mobilità

Sei associazioni e la Polizia cantonale offrono una serie di incontri di sensibilizzazione su come muoversi in sicurezza al volante o a piedi

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150 anni di storia delle famiglie

L’esposizione fotografica proposta da Pro Familia Svizzera italiana è ora allestita alla Filanda di Mendrisio, molti gli eventi

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Il ritorno in Europa dell’Ibis eremita

A 400 anni dalla sua estinzione, l’uccello migratorio tra i più rari al mondo ha ripreso la rotta europea grazie a delle mamme umane

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Alla base dell’empatia i neuroni specchio

Ricerca medica ◆ Un reticolato di aree e di connessioni compone quello che viene definito il nostro «cervello sociale»

Fare uno sbadiglio dopo aver visto qualcuno sbadigliare; sorridere a chi ci sta sorridendo anche se in quel momento non avremmo un vero motivo per farlo; provare le stesse emozioni che sta provando qualcun altro: situazioni che tutti sperimentiamo, comportandoci «come uno specchio» che ci fa riproporre la stessa azione che stiamo vedendo svolgere dalla persona con cui stiamo interagendo, ponendoci emotivamente nei suoi panni. Per gli antropologi tutto questo è frutto dell’evoluzione per la sopravvivenza della nostra specie che, passando attraverso l’organizzazione sociale in gruppi, ha dovuto sviluppare strutture cerebrali dedicate alla socialità.

Gli studi sui «neuroni mirror» rivoluzionano la nostra comprensione del cervello umano e del comportamento sociale

«Nel nostro cervello esiste un reticolato di aree, neuroni e connessioni che compongono il cosiddetto cervello sociale: quel cervello cablato per riconoscere, gestire e curare le relazioni», il professor Fausto Caruana, primo ricercatore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR di Parma, così esordisce per aiutarci nella comprensione dei meccanismi dell’empatia e delle strutture cerebrali che sottintendono all’imitazione. Parliamo dei neuroni specchio (detti anche neuroni mirror), scoperti negli anni Novanta proprio a Parma dal gruppo di neuroscienziati coordinato dal professor Giacomo Rizzolatti e composto da Vittorio Gallese, Leonardo Fogassi e Luciano Fadiga: «Questa tipologia di neuroni fu scoperta studiando la corteccia motoria delle scimmie; in laboratorio si è osservato che in questi primati esistono neuroni motori che si attivano sia quando l’animale compie un movimento, sia quando lo osserva negli altri». Per l’appunto: una sorta di «meccanismo specchio», che ora sappiamo essere presente anche nell’essere umano: «Riflette la capacità di trasformare le azioni osservate (motorie o emozionali) in rappresentazioni motorie dell’individuo». Quello che fanno le altre persone fa dunque risuonare qualcosa che sappiamo fare anche noi, «consentendo la conoscenza esperienziale».

Gli studi sui neuroni specchio hanno rivoluzionato la nostra comprensione del cervello umano e del comportamento sociale: «Se gli anni Novanta segnano la scoperta dei neuroni specchio correlati al sistema motorio, dagli anni Duemila si è compresa l’implicazione di altri centri emozionali, piuttosto antichi dal profilo filogenetico, che regolano il nostro comportamento emoziona-

le e si attivano quando osserviamo la condotta altrui. Ad esempio, quando guardiamo qualcuno che prova disgusto, felicità o altre emozioni, siamo spinti a sentirle a nostra volta. Si è infatti scoperto che esistono reti di neuroni specchio anche in molte aree emozionali e, per questo, si può parlare di “cervello specchio”».

Oggi sappiamo dunque che «queste reti di neuroni sono essenziali per il processo di imitazione, empatia e apprendimento sociale, e si attivano sia quando osserviamo un’azione sia quando osserviamo qualcun altro farla, favorendo la comprensione delle azioni altrui e la condivisione delle emozioni. Per questo motivo, oltre che al meccanismo di apprendimento per imitazione, i neuroni specchio sono spesso associati all’empatia. Ma empatia e imitazione sono due cose distinte, spiega il nostro interlocutore: «I neuroni specchio spiegano solo un piccolo aspetto dell’empatia a cui sono spesso associati per il loro ruolo di attivazione. L’empatia è più complessa e articolata: è alla base della vita sociale e ci consente di sentire l’altro, ma nel suo funzionamento entrano altri fattori come quelli cogniti-

vi, culturali, educativi e mediatici che si influenzano a vicenda». È oramai noto che più sentiamo gli altri simili a noi, maggiormente saremo in grado di provare empatia, e uno degli aspetti più affascinanti dei neuroni specchio è proprio il loro ruolo in questo meccanismo, che però non si ferma qui e, a ulteriore conferma, il nostro interlocutore porta ad esempio gli studi del professor Marco Iacoboni, uno dei più esperti ricercatori in materia, che ha dimostrato come essi siano i principali agenti nell’esperienza di cogliere anche le sfumature nel porsi nei panni altrui, permettendoci di «leggere» gli stati mentali degli altri e comprendere le loro motivazioni e desideri: «Un’abilità fondamentale per le interazioni sociali che ci consente un’adeguata risposta all’intenzione che cogliamo nell’altro».

Caruana torna sul significato di empatia e invita a non attribuirle un’accezione esclusivamente positiva: «I neuroni specchio possono servire a “sentire” le intenzioni dell’altro, e questo può stare alla base dell’empatia così come di un comportamento deviato: ad esempio, il sadico non prova compassione, ma prova sicuramente

empatia perché comprende cosa prova l’altro». Sempre Iacoboni collega l’esperienza empatica con quella del dolore, riscontrando come quest’ultima abbia un ruolo fondamentale nell’attivazione dei neuroni specchio: «L’esperienza del dolore e della sofferenza connessa all’empatia è fondamentale per la formazione e la costituzione dei legami sociali: dinanzi a una persona sofferente, i nostri neuroni specchio riflettono la sua mimica facciale, innescando i centri dell’attivazione emozionale che, infine, ci permettono di esperire la medesima emozione di colui che sta soffrendo».

E sottolinea: «L’osservazione dei movimenti facciali è alla base delle forme più arcaiche di comportamento empatico situate nella prima infanzia». Dunque, fin dalla nascita siamo concepiti per stare in relazione: «Le funzioni di rispecchiamento e simulazione ci consentono di esperire e condividere il dolore altrui attraverso l’empatia, caratteristica che contraddistingue la specie umana». La ricerca sui neuroni specchio ha pure importanti implicazioni per la comprensione di disturbi legati all’empatia e all’imitazione, e il loro funzio-

namento difettoso è stato associato ai disturbi dello spettro autistico, in cui empatia e imitazione possono risultare limitate. Qualcuno ha addirittura ipotizzato una correlazione fra neuroni specchio «difettosi» e autismo.

Secondo il neuroscienziato Vilayanur Subramanian Ramachandran (fra i più autorevoli nello studio delle neuroscienze e del comportamento) vi è una minore attivazione dei neuroni specchio nei bambini con disturbi dello spettro autistico: «Quando gli altri eseguono azioni, il bambino autistico ha un’attivazione più debole del sistema dei neuroni specchio, ma questo potrebbe anche essere una conseguenza di un malfunzionamento del sistema motorio, sul quale il sistema specchio si appoggia. Il dibattito è ancora aperto».

Infine, Caruano mette in risalto un altro ambito di applicazione che riguarda la riabilitazione basata sull’osservazione: «Se osservare un’azione muove il nostro cervello motorio, allora fargli osservare azioni complesse facilita la riabilitazione dei pazienti che non possono muoversi, come alcuni pazienti neurologici o ortopedici».

SOCIETÀ ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 8 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 5
Freepik.com Maria Grazia Buletti

Sono arrivati i gerani ticinesi!

Attualità ◆ L’azienda familiare Rutishauser produce a Gordola i bellissimi fiori sinonimo dell’estate, disponibili ora nei reparti fiori e Do it + Garden Migros. I consigli della vivaista per ottenere una rigogliosa fioritura a casa propria

lo colore, ma anche tenere lontane le pungenti zanzare, consiglio di cercare i gerani odorosi: hanno la particolarità di avere foglie vellutate ricche di aromi, dalla menta al limone, passando per il sentore di mela, arancio e mandarino.

Le ultime estati sono state tra le più calde, non solo per noi, ma anche per le piante che amiamo mettere nelle cassette per decorare parapetti e balconi.

Se molte essenze non resistono al solleone, il geranio, il cui nome botanico è Pelargonium e fa parte della famiglia delle geraniacee, ha invece una notevole resistenza al caldo ed ai raggi solari diretti.

Annuale, dà il meglio di sé da metà aprile fino alla fine di ottobre, fiorendo continuamente e regalandoci boccioli dai colori variopinti.

Originario del Sudafrica, è la pianta ideale per colorare i vasi in terrazza o anche le aiuole se piantato direttamente a terra.

Si presenta come una pianta cascante se la nostra scelta cadrà sul geranio parigino: in poche settimane dal rinvaso avremo una cascata variopinta dai colori che variano dal bianco puro al rosa intenso, fino al rosso sgargiante.

Le foglie, verde chiaro, quasi scompaiono sotto al gran numero di fiori che produce ogni singola pianta e che continuerà a produrre per tutta l’estate a patto che togliate con una certa frequenza i fiori vecchi.

Se invece preferite piante dal portamento eretto, scegliete i gerani zonali: alti fino a 50 cm e dalla chioma tondeggiante, hanno anche loro moltissime sfumature di colori dei fiori, con la particolarità di avere delle foglie grandi e carnose, con il centro color verde scuro.

Per chi desidera portare non so-

Come scritto, amano posizioni al sole, massimo mezz’ombra molto luminosa ed una volta acquistati andranno trapiantati in vasi più capienti.

Alti almeno 20 cm e dal diametro a scelta, necessitano di un fondo di materiale drenante, utilizzando ad esempio dell’argilla espansa o della ghiaia.

Il terriccio ideale dovrà essere soffice, in grado di trattenere l’umidità ed avere una consistenza leggera.

Tra una pianta e l’altra , se poste in cassette, si lasceranno circa 20 cm, poiché la chioma andrà ad allargarsi in poche settimane.

Le bagnature, da eseguirsi ogni 2-3 giorni, andranno effettuate preferibilmente dopo il tramonto, mentre le concimazioni con prodotti liquidi da mischiare all’acqua, andranno somministrate ogni 15-20 giorni.

Una soluzione più comoda consiste nell’usare un concime granulare a lenta cessione, da fornire solo ogni 3 mesi.

Benché siano molto rustici e resistenti, i gerani possono venire attaccati da una farfallina molto piccola, dalle ali marroni.

Si tratta del Licenide del geranio, Cacyreus Marshallii, un lepidottero del Sudafrica le cui larve divorano i germogli e scavano gallerie nei fusti dei gerani.

Insetticidi spray o pastiglie da interrare nel terreno, sono un ottimo rimedio per eliminarli.

Infine, un ultimo consiglio: alternate i gerani con altre piante dalle esigenze simili, come bidens, petunie, surfinie, lantane e dipladenie.

Il risultato sarà splendido.

Voglia di pedalare

Attualità ◆ SportX S. Antonino offre un ampio assortimento di biciclette e accessori per ogni tasca e gusto, senza dimenticare un servizio manutenzione e riparazione per tutte le marche a prezzi concorrenziali

Marchi classici e non solo

L’ampio assortimento annovera alcuni marchi classici affermati da diversi anni, ossia Crosswave – marchio proprio per tutta la famiglia dall’ottimo rapporto qualità-prezzo – Ghost, Haibike e Diamant. Come novità, nei modelli elettrici esistenti sono stati migliorati i motori con una coppia più elevata da 65 Nm (Newton per metro) a 85 Nm. Per l’inizio della stagione è stata allestita un’esposizione accattivante per tutte le categorie di bici, dalle elettrice alle MTB, dalle City Bike alle Trekking Bike fino a quelle per bambino. In quest’ultimo settore, la scelta è arricchita da nuovi modelli in bellissimi colori e pure da bici in legno senza pedali per i primi passi Kinderfeets e tricicli Glober. Una novità particolarmente interessante, disponibile su ordinazione,

è l’introduzione del marchio svizzero Siech Cycles che offre biciclette per adulti e bambini ispirate allo stile urbano e dall’originale design vintage, che garantiscono il massimo in fatto di sicurezza, funzionalità e comodità. Naturalmente non manca nemmeno un’ampia gamma di accessori per ciclisti, dai caschi all’abbigliamento, dai prodotti per la manutenzione alle scarpe, dai lucchetti agli occhiali sportivi e molto altro.

Scelta giusta e montaggio All’acquisto di una bici nuova è importante che il telaio sia adattato alla propria morfologia. Nei negozi SportX viene misurata la statura del cliente, come anche la lunghezza delle braccia e delle gambe, in modo che la bicicletta sia perfetta per ogni utilizzatore. Bisogna anche chiedersi se acquistare un modello tradizionale oppure elettrico. Avere un motore con assistenza elettrica permette di pedalare più facilmente. Bisogna anche considerare l’utilizzo che si fa della bici. Se si utilizza per esempio

solo per fare la spesa o portare i bambini a scuola, la soluzione più indicata è quella di scegliere un modello da città con cestello e seggiolino. Per le gite di qualche giorno, sono ideali i modelli da trekking robusti su cui poter fissare delle borse. Chi ama

le avventure nella natura, su strade non asfaltate, sceglierà delle mountain bike con pneumatici spessi e sospensioni davanti e, eventualmente, anche dietro. Una volta che si è scelta la propria bicicletta, è anche importante che venga montata e regolata

alla perfezione. Questa operazione sarà effettuata dai meccanici specializzati SportX.

Servizio manutenzione e riparazione

SportX offre anche un servizio per biciclette ad un prezzo particolarmente vantaggioso. E questo anche se la bicicletta non è stata acquistata da SportX. Il servizio completo (biciclette Fr. 109.-/e-bike Fr. 139.-) include il controllo e la regolazione di freni, cambio, raggi, centratura delle ruote, gomme, pedaliera, raccordi viti, catena e verifica dell’ammortizzazione. Esso include anche il controllo finale e giro di prova. Per le e-bike è incluso anche il controllo della parte elettronica e del sistema di trazione, l’aggiornamento del software e la ricarica della batteria. Il controllo della sicurezza (bici Fr. 39.–/e-bike Fr. 69.–) prevede la verifica delle funzioni meccaniche come freni, cambio, luci, catarifrangenti, ruote e gomme. Il controllo è gratuito fino a 3 mesi dopo l’acquisto. Sui telai delle biciclette la garanzia è a vita.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 8 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 6
Anita Negretti
Azione 50% Gerani ticinesi (zonali o edera) 10.5 cm Fr. 1.95 invece di 3.95 dal 9.4 al 15.4.2024

Muoversi in sicurezza anche col passare degli anni

Terza e quarta età ◆ Sei associazioni in collaborazione con la Polizia cantonale propongono una serie di incontri di prevenzione e sensibilizzazione per continuare a sentirsi a proprio agio negli spostamenti quotidiani

Che si giri in auto o a piedi, muoversi in sicurezza si traduce vieppiù in una sfida. Se sei in là con gli anni, il primo ostacolo si chiama traffico, sempre più intenso e con mezzi nuovi che si aggiungono all’orizzonte. E così mettersi al volante, come pure affrontare la strada come pedone o a bordo dei mezzi di trasporto pubblici, non rappresenta propriamente una passeggiata. Lo sanno bene le associazioni in aiuto agli anziani che, con la polizia cantonale, hanno inaugurato con successo un utile ciclo di conferenze dedicato alla terza e quarta età, allo scopo di informare, sensibilizzare sui pericoli e al contempo promuovere nuove forme di mobilità in sicurezza. A prodigarsi in questa iniziativa, Pro Senectute Ticino e Moesano, Associazione ticinese della terza età, GenerazionePiù, AILA-OIL, Generazione&Sinergie e Opera Prima. I primi incontri, piuttosto partecipati, sono avvenuti a marzo e altri sono già in agenda nei prossimi mesi, saranno un’occasione di aggiornamento e scambio per affrontare l’importante tematica con persone qualificate (agenti e responsabili delle sei organizzazioni).

Ma in che misura è centrale, per gli anziani, la mobilità in chiave di autonomia? E come affrontano di riflesso questo tema? Lo abbiamo chiesto a Laura Tarchini, responsabile comunicazione e marketing di Pro Senectute Ticino e Moesano. «La mobilità, per anziani e persone più giovani, significa qualità di vita. Per questo motivo per Pro Senectute (ma anche per le altre associazioni coinvolte nel progetto) è importante conservarla anche in età avanzata e sostenere le persone con delle limitazioni in questo ambito. Dei corsi specifici su questo tema, in piccoli gruppi, esistono già sotto il nome “Essere e rimanere mobili”. Gli anziani hanno a cuore la propria indipendenza: muoversi e spostarsi significa anche poter partecipare ad attività di vario genere e poter mantenere i contatti sociali. Muoversi nei centri urbani diventa sempre più difficile. Le persone devono essere rassicurate, occorre fornire loro spiegazioni per raggiungere questo obiettivo. Un incontro con agenti della polizia cantonale competenti su queste tematiche, per le persone anziane è un momento privilegiato per ascoltare ma anche per

uno scambio. Sul tema della guida, vi sono da un lato persone che faticano a rinunciare all’auto in età avanzata, ma ve ne sono anche molte che di loro iniziativa e senza un consiglio specifico del medico curante abbandonano il mezzo privato e optano per quello pubblico. Questo permette di muoversi in sicurezza e in maniera tranquilla, dal momento che, di regola, si ha anche più tempo a disposizione rispetto a chi lavora».

Il nuovo ciclo di incontri appare più di una semplice conferenza e piuttosto un’opportunità di condivisione tra gli anziani, un confronto tra coetanei su un tema che può anche suscitare frustrazioni in relazione a un dilemma cruciale: rinunciare definitivamente alla patente di guida o mantenerla? Come vengono allora percepite dai partecipanti queste occasioni di incontro? Patrick Cruchon, responsabile del servizio comunicazione, media e prevenzione della polizia cantonale: «Questi eventi sono per la polizia dei momenti privilegiati di incontro con una fascia di popolazione particolarmente vulnerabile. I temi trattati sono molteplici e legati alla sicurezza nella terza e quarta età nell’ambito della circolazione stradale. Si passa, ad esempio, dal rendere attento il partecipante al corretto modo di insegnare l’attraversamento delle strada ai più giovani, visto che una persona anziana potrebbe trovarsi confrontata a dover accompagnare i propri nipoti a scuola a piedi, all’importanza di indossare indumenti ad alta visibilità, come pure all’attenzione ai nuovi veicoli di tendenza ( e-bike e monopattini) con i quali spesso bisogna trovare il giusto compromesso nella condivisione della strada. La campagna Meno fatica più attenzione, del progetto Strade sicure ne è un esempio. Altri temi riguardano l’arredo urbano, le zone 20 e 30 km/h e le loro specificità in merito al diritto di precedenza, il giusto comportamento nei percorsi rotatori a più corsie oppure la differenza tra superamento (oggi consentito) e sorpasso in autostrada. Solo una minima parte della conferenza viene riservata a trattare il tema della rinuncia spontanea alla licenza di condurre, ma non in termini di “è ora di consegnare la licenza di condurre” ma piuttosto nel prepararsi a questa possibilità, fornendo ai partecipanti un fascicolo

Un incontro con agenti della polizia cantonale sul tema della mobilità nei centri urbani: per le persone anziane è un momento privilegiato per ascoltare ma anche per confrontarsi e condividere problemi e opinioni (Pro Senectute)

I prossimi appuntamenti

Chiasso, mercoledì 10 aprile

dalle 14.00 alle 15.30,

Istituti sociali, Casa Giardino, via S. Franscini 9

Locarno - Solduno

giovedì 18 aprile

dalle 14.00 alle 16.00,

Centro diurno «Insema»

Via D. Galli 50

Bellinzona, giovedì 25 aprile

dalle 14.00 alle 15.30

Centro abitativo e di cura

Tertianum «Bistrò Turrita», via San Gottardo 99

Melano, giovedì 16 maggio

dalle 15.00 alle 16.30

Sala del Consiglio Comunale, via Cantonale 89

Stabio, martedì 21 maggio

dalle 13.30 alle 15.30

Sala del Municipio, via Ufentina 25

sull’autocertificazione ideato da UPI, oltre ad un catalogo di Strade sicure per la nuova campagna di prevenzione che dà anche il titolo a questa serie di incontri Guidare in tutta sicurezza nella terza e quarta età. Un catalogo nel quale si trova una serie di consigli e indirizzi per chi vuole partecipare a dei corsi pratici, emozionali, teorici e tecnici. Questo con la finalità di evitare che un o una conducente si trovi all’improvviso a dovere abbandonare la licenza di condurre a seguito di una revoca, una situazione che non permetterebbe la necessaria preparazione al cambiamento, e la mancanza dell’auto potrebbe così essere avvertita come debilitante, con tutta una serie di conseguenze negative».

Come valuta, in termini di interesse, l’esito della vostra proposta di scambio e informazione? «I partecipanti, proprio per la trasversalità dei temi trattati – assicura Patrick Cruchon – hanno dimostrato un grande interesse con domande puntuali, anche sulla questione relativa alla rinuncia spontanea della licenza di condurre. Alcuni hanno, ad esempio, ammesso di averci già pensato, mentre altri hanno affermato che per que-

sto aspetto c’è ancora tempo. Per noi l’importante è che vi sia una consapevolezza delle possibilità che la società oggi offre tramite il sostegno della comunità, come pure tutta una serie di offerte mirate con degli sconti specifici legati ad esempio all’acquisto di un abbonamento nel trasporto pubblico». Significativo è il numero di associazioni attive nell’ambito della terza e quarta età che ha aderito al progetto. Quale tipo di collaborazione esiste fra i sodalizi e quali sono stati gli input che vi hanno convinti della necessità di istituire la serie di conferenze-incontri? Ancora Laura Tarchini: «Il sodalizio tra le nostre organizzazioni è nato, su input del Dipartimento della sanità e della socialità, durante la pandemia. A quel tempo si era reso necessario sapere cosa facevamo in questo periodo particolare, in ottica di complementarità. La sinergia è poi continuata con l’obiettivo di collaborare su progetti specifici a favore degli anziani, diversi dai servizi che offriamo sul territorio. Abbiamo così riflettuto su tematiche attuali, affrontando, come primo tema, quello della sicurezza e delle truffe telefoniche, con la collaborazione della Polizia cantonale».

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L’ingestione di batterie a bottone può avere gravi conseguenze, soprattutto per i bambini piccoli. Per una maggiore protezione, Duracell ha sviluppato una batteria che aumenta la sicurezza dei bambini.

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I dispositivi elettronici e le loro batterie sono sempre più piccoli e le batterie a bottone al litio necessarie per questi dispositivi sono sempre più utilizzate. Poiché i bambini piccoli, in particolare, tendono a mettere le cose in bocca, queste batterie comportano un enorme rischio per la sicurezza. Se ingerite, possono rimanere incastrate nella stessa larghezza dell’esofago e provocare una reazione chimica dannosa attraverso la saliva del bambino. Nell’arco di 2 ore, ciò può danneggiare i tessuti o gli organi e avere gravi conseguenze.

L’allarmante realtà in cifre

Secondo un recente studio condotto su 1200 genitori, l’80 % di essi non era a conoscenza del rischio di ingestione delle pile a bottone al litio. Oltre la metà dei genitori, inoltre, non sapeva cosa fare in caso di incidente.1

Come funziona la tecnologia

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Uno sguardo al passato per immaginare il futuro delle famiglie

Esposizione fotografica ◆ Si sposta da Bellinzona alla Filanda di Mendrisio il viaggio in immagini proposto da Pro Familia Svizzera italiana che esplora 150 anni di storia della nostra società

Osservare le famiglie del passato per riflettere sulle sfide che sono chiamate ad affrontare oggi e nel prossimo futuro. Sfide che come dimostra la seconda edizione del Barometro svizzero delle famiglie pubblicato da Pro Familia Svizzera e Pax a metà marzo riguardano in primo luogo le questioni finanziarie. I variegati nuclei familiari di oggi sono il frutto dell’evoluzione della società e, aspetti imprescindibili, dell’emancipazione femminile e dei progressi dello Stato sociale. Ci si può immergere in questo lungo percorso, dal 1860 al 2024, attraverso un viaggio per immagini proposto dalla mostra organizzata da Pro Familia Svizzera italiana in occasione del trentesimo Anno internazionale della famiglia. Cinque le tappe dell’esposizione itinerante che toccherà nel corso del 2024 l’intero territorio cantonale. Al momento è allestita fino al 18 maggio a La Filanda a Mendrisio. Numerose le fotografie, anche curiose, da ammirare, sempre affiancate da testi che permettono di comprendere il contesto sociale svizzero e ticinese nel quale sono state scattate. L’esposizione è stata concepita a livello nazionale per l’80esimo di Pro Familia Svizzera, per il Ticino l’allestimento è stato arricchito con elementi sulla realtà cantonale

Famiglie: esplorando il passato, immaginando il futuro. 150 anni di sfide e conquiste tra ruoli, lavoro e conciliabilità è il titolo della mostra che subito richiama il tema della conciliabilità tra famiglia e lavoro, più che mai di attualità e che funge da filo conduttore all’esposizione. Numerosi però gli argomenti sui quali riflettere attraverso le coinvolgenti storie raccontate da immagini e testi in dialogo fra loro. La direttrice di Pro Familia Svizzera italiana Michela Trisconi e Laura Semini-Fieni, responsabile comunicazione e sviluppo progetti, trasmettono il loro entusiasmo per questo progetto che sta riscuotendo un buon successo di pubblico grazie anche agli eventi che di volta in volta lo accompagnano. Laboratori, conferenze e incontri hanno riunito a Bellinzona, sede inaugurale della mostra, oltre 450 partecipanti.

Già presentata a Berna nel dicembre 2022, l’esposizione è stata concepita a livello nazionale per sottolineare l’80° di fondazione di Pro Familia Svizzera, organizzazione mantello alla quale fanno capo cinque antenne cantonali. Tutte operano a favore di un rafforzamento della posizione delle famiglie nell’interesse di ogni loro componente. L’idea di una mostra è partita proprio da Michela Trisconi che siede nel comitato nazionale. «Per l’edizione che proponiamo in Ticino –spiega la direttrice dell’antenna della Svizzera italiana – abbiamo scelto una nuova veste grafica e arricchito l’allestimento con finestre storiche sulla realtà cantonale. Un cantone, il Ticino, che 150 anni fa risultava più arretrato e povero del resto del Paese con ripercussioni sulle situazioni familiari. Dalle storie proposte emerge però anche il suo ruolo di precursore svolto in seguito in alcuni ambiti quali ad

esempio quello di politica familiare e scolastico».

L’esposizione, suddivisa in quattro periodi storici, parte quindi dagli ultimi decenni dell’Ottocento, quando l’industrializzazione contribuisce a forgiare il modello di famiglia borghese. Una famiglia numerosa al cui sostentamento provvede il padre, mentre la madre si occupa dei figli e delle faccende domestiche. Quindi ruoli ripartiti in un ambiente di vita che di solito riunisce più nuclei fami-

Gli eventi alla Filanda

11 aprile (ore 9.30–12.30 / 14.00–17.00)

Visite guidate gratuite all’esposizione fotografica. Durante il tour si ripercorreranno i principali avvenimenti che hanno segnato la storia delle famiglie in Svizzera e in Ticino, l’evoluzione dei modelli familiari, i bisogni e le sfide che toccano le famiglie moderne.

16 aprile (ore 14.00)

Caffè narrativo moderato da Valentina Pallucca: «La ripartizione dei ruoli all’interno della famiglia», la Rete caffè narrativi promuove lo scambio di idee ed esperienze tra persone diverse per percorsi di vita ed età, è sostenuta anche dal Percento culturale Migros.

24 aprile (ore 15.00)

Tavola rotonda: «Costellazioni familiari: esplorando la realtà e le esperienze delle famiglie arcobaleno».

27 aprile (ore 17.00)

Conferenza: «I bambini nell’armadio. La lunga vicenda dei bambini nascosti in Svizzera nella storiografia e nella letteratura», Francesco Garufo, curatore della mostra al Musée d’histoire di La Chauxde-Fonds da cui l’ampia raccolta di studi Enfants du placard. L’école de la clandestinité (Neu -

liari sotto lo stesso tetto. «La realtà e l’economia ticinesi dell’epoca – chiarisce Laura Semini-Fieni – sono strettamente legate all’apertura della galleria ferroviaria del San Gottardo, che offre nuove possibilità di sviluppo al Ticino. Nel periodo 1860-1940 si verificano numerosi cambiamenti pure a livello sociale, ma si constata che a Sud delle Alpi l’applicazione delle nuove leggi, ad esempio per la protezione dell’infanzia (divieto del lavoro minorile), va piuttosto a rilento».

châtel, Éditions Livreo-Alphil, 2024), dialoga con Vincenzo Todisco, autore del romanzo Il bambino lucertola (Armando Dadò Editore).

30 aprile (ore 13.30)

Conferenza e tavola rotonda: «Dall’evoluzione dei modelli familiari alle politiche familiari», pomeriggio dedicato agli studenti SUPSI ma aperto anche al pubblico, con lectio magistralis della profe.ssa Laura Fruggeri.

4 maggio (ore 17.00)

Spettacolo teatrale per bambini: «Extraterrestre alla pari», con Valeria Nidola.

5 maggio (ore 14.00)

Workshop interattivi: «Famiglie ricostituite e stili educativi a confronto», organizzato in collaborazione con l’Associazione Ticinese Famiglie Monoparentali e Ricostituite.

15 maggio (ore 14.30)

Conferenza e tavola rotonda: «Politica familiare: nuovi bisogni e come soddisfarli. Sinergie tra enti pubblici, servizi di conciliabilità e aziende». Organizzata da Pro Familia Svizzera Italiana in occasione della Giornata Internazionale della Famiglia.

lennio, ossia fra il 1965 e il 2005 nella terza parte della mostra. «Siamo nelle fasi iniziali del lungo cammino verso l’uguaglianza» – precisano Michela Trisconi e Laura Semini-Fieni – evidenziando la nuova struttura nucleare della famiglia, la maternità vissuta come scelta, l’aumento dell’occupazione femminile e della presenza delle ragazze negli studi superiori. Introducendo gli assegni integrativi per le famiglie, il Ticino è fra i primi cantoni a livello nazionale a sostenere in maniera concreta la famiglia. Per diverse leggi il cammino è però assai lungo come dimostra il caso dell’Assicurazione maternità per la quale sono occorsi ben 60 anni!

Dalla pipa, che richiama nella grafica questo periodo, si passa all’immancabile aspirapolvere degli anni Cinquanta del secolo scorso. Allo stesso modo le fotografie ci portano dai bambini che lavorano in fabbrica o dal ritratto di famiglia di stampo patriarcale alla madre casalinga e ai papà alle prese con i biberon. Siamo fra il 1940 e il 1965, quando la Svizzera, come la maggior parte dei Paesi sviluppati, vive un periodo di crescita economica. Grazie ai nuovi mezzi di comunicazione e alla pubblicità il modello della casalinga americana trionfa anche in Europa. Prosegue Laura Semini-Fieni guidandoci nella visita: «Questi primi due periodi storici attirano l’attenzione dei visitatori che ritrovano storie analoghe a quelle delle loro famiglie». Aggiunge da parte sua Michela Trisconi: «L’esposizione è concepita proprio in modo che gli osservatori possano immedesimarsi nelle scene di vita quotidiana fissate nelle immagini».

La mostra rende conto anche di episodi cupi come le misure coercitive che hanno allontanato bambini e giovani dalle loro famiglie

A proposito di questa prima metà dell’esposizione, le due rappresentanti di Pro Familia sottolineano la fluttuante presenza delle donne nel mondo del lavoro, massiccia in caso di bisogno sociale, poi di nuovo ridotta quando prevale il ruolo della casalinga. Un altro pregio della mostra è quello di non sottacere episodi cupi come il fenomeno delle misure coercitive a scopo assistenziale che hanno allontanato in tutta la Svizzera numerose persone, soprattutto bambini e giovani, dalle loro famiglie. Per donne e bambini maggiore protezione e nuovi diritti intervengono in maniera considerevole nel quarantennio che porta al nuovo Mil-

Nel frattempo la società evolve a passo più spedito. I primi decenni del nuovo Millennio segnano l’avvento di nuovi modelli familiari. L’aumento delle famiglie monoparentali e l’introduzione del matrimonio per tutti modificano la tipologia delle famiglie e i ruoli al suo interno. I diritti dei padri progrediscono e la famiglia si confronta pure con l’invecchiamento della popolazione. Quali le principali sfide che deve affrontare oggi? Stando al Barometro svizzero delle famiglie 2024, la questione finanziaria ha assunto maggior peso rispetto all’anno scorso, tanto da trasformarsi in alcuni casi in fattore che inibisce la crescita della famiglia. Di conseguenza emergono l’intenzione di aumentare la percentuale lavorativa e la necessità di migliorare la conciliabilità tra lavoro e vita familiare, in particolare riducendo le tariffe dei servizi di assistenza all’infanzia. Al tema della conciliabilità l’esposizione dedica anche la postazione finale, un tavolo multicolore con altrettanti spunti di riflessione. Questa sfida rappresenta d’altronde il motivo per cui nel 2018 il Cantone Ticino ha sollecitato la nascita dell’antenna Pro Familia Svizzera italiana, che affronta la questione sensibilizzando tutte le parti in causa. Uno degli strumenti a disposizione è il Family Score, un sondaggio destinato ad aziende ed enti pubblici che rappresenta una valutazione costi-benefici delle misure di conciliabilità implementate. Family Score è nel contempo un marchio di qualità nazionale istituito per distinguere le organizzazioni amiche delle famiglie. Ogni due anni viene assegnato un premio alle aziende più «family-friendly» della Svizzera; premio che dal prossimo settembre Pro Familia Svizzera italiana introdurrà anche sul piano regionale.

La mostra, promossa dapprima quale evento celebrativo, si rivela quindi essere nella nuova concezione un’occasione per riflettere, discutere e approfondire i bisogni dei modelli familiari contemporanei. Pro Familia, a livello nazionale come pure cantonale, li conosce bene e opera affinché opinione pubblica, aziende, politici e istituzioni siano sensibilizzati al riguardo. Un’azione che quest’anno in Ticino coinvolge direttamente la popolazione attraverso l’esposizione fotografica il cui tour proseguirà a Lugano (1128 luglio), Manno (16-28 settembre) e Locarno (11-28 novembre).

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Informazioni www.storiadellefamiglie.ch www.profamiliasvizzeraitaliana.ch www.profamilia.ch/it
Famiglia che ascolta i dischi nel 1969, fotografia di Max A. Wyss (©Fotostiftung ETH Zürich)

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Il viaggio migratorio dell’ibis eremita

Animali ◆ La reintroduzione di questi volatili in Europa è avvenuta grazie al progetto LIFE20 e alle loro «mamme umane»

Chiara Di Giorgio

Come in ogni fiaba a lieto fine, questa storia inizia con un tragico evento: la progressiva scomparsa di uno degli uccelli migratori più rari al mondo, l’ibis eremita. Quattrocento anni or sono, l’ibis eremita si estinse in Europa; le cause sono molteplici: il bracconaggio, la distruzione dell’habitat naturale e l’eccessiva antropizzazione. Delle tante colonie ne restano solo due popolazioni riproduttive, una in Africa settentrionale, tra Marocco e Algeria e una in Medio Oriente, tra Turchia e Siria.

Una tratta giornaliera media durante il periodo di migrazione è di circa 180 km con una velocità media di volo attivo di 45 km/h

Dal manto nero e le piume color verde petrolio, l’ibis non passa di certo inosservato. Il suo becco lungo è rosso e ricurvo, le zampe, anch’esse rosse, sono robuste, ma la cosa che più lo caratterizza è il ciuffo a mo’ di cresta sul capo. La sua importanza in natura è nota sin dall’antico Egitto, dove veniva adorato come reincarnazione di Thoth, lo scriba degli dei: la stessa parola akh, dal significato «risplendere», veniva espressa nei geroglifici con un ibis eremita stilizzato, probabilmente in virtù dei riflessi metallici del piumaggio di questo uccello.

Tra leggende e verità, il ruolo dell’ibis, prezioso per la biodiversità terrestre e acquatica, è riconosciuto da sempre. Proprio per questa ragione, nel 2002 un’associazione di ricercatori austriaci, Förderverein Waldrappteam, guidata da Johannes Fritz, ha avviato uno studio di fattibilità per consentire l’insediamento di colonie migratorie dell’Ibis eremita in Europa.

Dopo più di vent’anni di ricerche e progetti, sono state ripristinate alcune delle antiche rotte migratorie dai luoghi di riproduzione (Austria, Germania e Svizzera) alle aree di svernamento (Italia e Spagna). L’impossibile è diventato realtà.

Per la prima volta, lo scorso ottobre, la migrazione si è conclusa in Spagna, nella regione dell’Andalusia, nuova tappa per lo svernamento degli ibis eremita in Europa. Grazie al progetto LIFE20 Ibis Eremita, i ricercatori del Waldrappteam sono riusciti a guidare gli uccelli in una nuova rotta che, il prossimo anno, dovranno compiere in autonomia, senza l’aiuto umano. Ed è qui che arriva il bello, è proprio grazie a un raro e magico fenomeno relazionale, l’imprinting, che i pulcini di ibis eremita si legano, per sempre, a delle mamme umane.

isolamento, dove l’uccello si considera un umano e non crea legami con i suoi simili, l’allevamento a mano in gruppo, messo in atto nel progetto Life, permette agli ibis di avere interesse solo per la propria specie riproducendosi e allevando la prole senza problemi.

Al contrario dell’allevamento in

L’ibis eremita in Svizzera

Lo zoo di Goldau è partner del secondo progetto LIFE. La prima colonia di ibis eremita migratori della Svizzera verrà istituita vicino all’area dello zoo. A questo scopo, durante il periodo del progetto è prevista anche la liberazione di giovani uccelli da diversi zoo svizzeri.

Affinché possa essere stabilita la colonia in Svizzera, sono ancora necessari i permessi dalle autorità di conservazione della natura e da quelle che regolano il traffico aereo, solo successivamente potrà essere avviata la reintroduzione. Nel 2023, tuttavia, una coppia della colonia di Überlingen si è riprodotta per la prima volta in modo indipendente e inaspettato nel Cantone di Zurigo, dando così inizio al ritorno della specie come uccello nidificante in Svizzera.

Quello che succede è quasi inspiegabile a parole e va oltre ogni studio biologico: pensare che un uccello possa riconoscere in un essere umano la propria mamma dovrebbe insegnarci che non c’è diversità più grande di quella che vede l’occhio umano. Il bisogno di amare ed essere amati va oltre il colore della pelle, l’odore del corpo, la forma del volto, la parola. Tre sono le fasi del progetto. Durante la prima, i giovani uccelli vengono prelevati dai nidi delle colonie negli zoo quando hanno dai due agli otto giorni di vita e accuditi dalle mamme adottive, Laura e Barbara per il progetto del 2023. Vestite di giallo, le mamme saranno le uniche a poter entrare in contatto con gli ibis che riconosceranno come la propria famiglia, dal primo istante. Questo legame è esclusivo, perché non si tratta di una fissazione di genere sugli esseri umani, ma esattamente sui due genitori adottivi, che vengono riconosciuti dagli uccelli anche dopo anni.

All’allevamento a mano segue la seconda fase, quella dell’addestramento. A circa cinque settimane di età, i pulcini e i genitori adottivi si trasferiscono in un campo di addestramento mobile. Qui imparano a seguire l’aereo ultraleggero motorizzato con paracadute che li condurrà nella migrazione. Gli Ibis si abituano così al rumore del motore, alla grande vela gialla e ad associare la mamma adottiva all’aereo.

I voli di addestramento si svolgono tre o quattro volte alla settimana, vento permettendo. Solo quando gli ibis sono pronti e gli addestramenti risultano sufficienti per imparare a spiccare il volo, si passa alla fase successiva: la «migrazione guidata dall’uomo».

Durante la terza fase gli ibis seguono i due aerei ultraleggeri, ciascuno guidato da un pilota con la presenza di una mamma adottiva, per oltre duemila chilometri. Una tratta giornaliera media durante la migrazione è di circa 180 km con una velocità media di volo attivo di 45 km/h. Dopo l’arrivo nell’area di riposo, gli uccelli vengono messi in una voliera per ambientarsi. Gli ibis, in questa fase, volano a giorni alterni, meteo e vento permettendo, fino ad arrivare alla tappa finale che, lo scorso anno, è stata Cadice (Spagna).

Dal 2022 al 2028, il 60 per cento del budget del progetto proverrà dall’Ue, mentre il restante 40 per cento da partner e co-finanziato-

ri. L’obiettivo è quello di sviluppare ulteriormente la popolazione fino a renderla autosufficiente. LIFE20

Ibis Eremita è implementato da dieci partner di quattro Paesi, sotto la direzione dello Zoo di Schönbrunn a Vienna e con la partecipazione del

Waldrappteam Förderverein, che lo ha promosso in passato. Vi parteciperanno Austria, Germania, Italia e Spagna. Entro la fine del progetto, nel 2028, si prevede che più di 260 Ibis eremita migrino nel centro Europa.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 11 SOCIETÀ
Valerio Bellavia
azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Abbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31 lu–ve 9.00–11.00 / 14.00–16.00 registro.soci@migrosticino.ch Redazione Carlo Silini (redattore responsabile) Simona Sala Barbara Manzoni Manuela Mazzi Romina Borla Natascha Fioretti Ivan Leoni Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Telefono tel + 41 91 922 77 40 fax + 41 91 923 18 89 Indirizzo postale Redazione Azione CP 1055 CH-6901 Lugano Posta elettronica info@azione.ch societa@azione.ch tempolibero@azione.ch attualita@azione.ch cultura@azione.ch Pubblicità Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino tel +41 91 850 82 91 fax +41 91 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino tel +41 91 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria – 6933 Muzzano Tiratura 97’925 copie ●

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Spunti per un turismo cimiteriale

Nell’ultimo libro di Claudio Visentin

Passeggiate nei piccoli cimiteri ritroviamo il piacere accreditato di andar per tombe

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Le uova, all’origine dell’esistenza È Hekkane, il gioco che in Iraq coinvolge tutti gli Yazidi per festeggiare il loro Capodanno, giorno che cade il primo mercoledì di aprile

Crea con noi

I medaglioni di pasta di sale fatti con i timbri saranno delle decorazioni per biglietti o piccole scatole con un tocco vintage

Il ritorno del vinile made in Chiasso

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Passioni d’altri tempi ◆ Laura e Luca Costanzo hanno fondato un’etichetta per ridare splendore al vinile: si inizia con la pubblicazione di un disco dei Dr. Chattanooga and the Navarones

È un vero incontro intergenerazionale quello fra Laura e Luca Costanzo e Franco Ghielmetti.

In comune, pur senza saperlo fino a poco tempo fa, una passione smisurata per la musica, che per Luca Costanzo si traduceva nella promozione e produzione di hip hop (ha scritto anche per «Azione» insieme al suo collettivo Big Bang Family), per la moglie Laura in un’«educazione musicale» consapevole del grande cantautorato soprattutto italiano, e per Franco Ghielmetti in ciò che gli è da sempre più congeniale, ossia la sperimentazione.

Quando la vita chiama però, laddove è necessario potere contare su un lavoro stabile, anche le più grandi passioni possono ritrovarsi relegate in seconda posizione, trasformandosi in un hobby. E così è successo anche a Laura e Luca Costanzo, attivi entrambi nella ristorazione, seppur in ambiti diversi, e a Franco Ghielmetti, per molti anni educatore, oltre che impegnato nell’organizzazione di eventi culturali, oggi in pensione. La band chiassese dei Dr. Chattanooga and the Navarones si distingueva per atmosfere surreali e sound esotico

Poiché Luca Costanzo spesso si esibisce anche come dj, e quindi si appoggia da sempre al vinile, supporto mai tramontato tra i professionisti del settore, ha pensato bene, con la collaborazione della moglie, di dare vita a un’etichetta discografica: «Siamo da sempre alla ricerca di suoni e melodie alternativi, da potere inserire nei miei dj set», racconta, «e quindi è ovvio che dobbiamo appoggiarci al supporto su vinile. La nostra intenzione, però, è anche di produrli, i vinili, recuperando o, meglio, trasponendo su vinile dei vecchi nastri, anche di nicchia, che altrimenti nessuno avrebbe modo di conoscere e magari con il tempo finirebbero per andare perduti».

È così che nasce dunque la Ancora Records, in cui l’ambito tecnico (appannaggio di Luca) è separato da quello amministrativo (curato da Laura), pur poggiando entrambi saldamente sul terreno condiviso della musica.

Sono molti gli aspetti da tenere in considerazione nella creazione di un’etichetta: occorre reperire i nastri, confrontandosi costantemente con altri attori del settore, indagare, cercare nuovi materiali; a quel punto è il momento di occuparsi dei diritti, di contratti e accordi. C’è poi il momento della vera e propria realizzazione fisica

del vinile, che sarà prodotto dal Vinilificio di Bologna, fra le poche aziende ancora in grado di farlo, e dunque da prenotarsi con mesi di anticipo. Al disco vanno accompagnati dei testi, che saranno poi «assemblati» in un prodotto più ampio, realizzato da un grafico (in questo caso Paolo Cavalli), e infine – ai nostri giorni forse l’aspetto più delicato e importante di tutta l’operazione – ci si dovrà occupare di comunicazione e promozione: la musica è infatti un elemento vivo solo nella misura in cui circola.

Per il debutto della Ancora Records però, Laura e Luca Costanzo hanno voluto fare un’operazione leggermente diversa: il primo vinile sarà il frutto della trasposizione da compact disc. Affascinati dall’esperienza di un gruppo musicale chiassese che aveva fatto parlare di sé negli anni Ottanta, hanno infatti deciso di riproporre l’album The Rare Caruana Style dei Dr. Chattanooga and the Navarones «nel formato che in realtà più si addice al sound della band», spiega Laura Costanzo. La formazione musicale di quattro elementi era nata a Chiasso e, dopo diverse fortunate esibizioni, fra gli altri luoghi a Locarno, Milano e Basilea, sembrava apprestarsi a conquistare la Francia con una tournée già programmata, per poi dissolversi quasi in sordina e da un giorno all’altro. Franco Ghielmetti, che di quell’esperienza è una specie di cantore, volentieri racconta gli esordi: «Abbiamo cominciato a suonare nel 1980, oltre a me c’erano Charlie Butti, Francesco Vella e Nicola Marinoni. Butti lavorava in banca, noi tre eravamo tutti un poco artisti». Che fosse così lo diceva già il loro nome: divertente, surreale e difficile da ricordare, ma che in qualche modo incarnava lo spirito del gruppo, quel non prendersi sul serio fino in fondo pur dedicando anima e corpo a ciò che si stava realizzando. Continua Ghielmetti: «All’epoca c’erano diverse formazioni musicali che si chiamavano “Dr qualcosa”, e ci piaceva. Vi abbiamo aggiunto “Chattanooga” in omaggio a Chattanooga Choo Choo di Glenn Miller, e infine “Navarones”, per un pezzo ska degli Skatalites, Guns of Navarone». Il debutto del gruppo aveva avuto luogo niente meno che in Piazza Grande a Locarno nel 1981, ed era stato più il risultato della buona fede degli organizzatori che non della struttura all’interno della band, «A dirla tutta, partimmo con un piccolo imbroglio – dico “piccolo” perché per me gli imbrogli grandi sono quelli à la Sid Vicious e il suo punk! –; visto che volevamo partecipare a un concerto in Piazza Grande ci inventammo un gruppo, un nome e mandammo la nostra foto agli organizzatori, assicuran-

do che sarebbe seguita una cassetta con i nostri brani – tra parentesi, non la inviammo mai! Giorgio Fieschi, che conoscevamo, si fidò, e così ebbe inizio la nostra avventura».

Un’avventura a tratti turbolenta, aggiungeremmo, poiché gli Hell’s Angels presenti al concerto locarnese non apprezzarono lo stile surreale e ironico (forse anche un po’ provocatorio, vista e considerata la presenza, ai loro concerti, del ballerino Giorgio Rossi della Sosta Palmizi, che non lesinava insulti al pubblico, quando ritenuto necessario) dei quattro chiassesi, che invece incantò Sandro Pedrazzetti, al punto da invitarli in televisione.

Poiché spesso le cose non avvengono da sole, i Dr. Chattanooga & The Navarones non sono stati riscoperti unicamente da Luca e Laura Costanzo, che in maggio li riproporranno con un vinile bianco nuovo di zecca, ma, quasi per caso, sono finiti anche

in una compilation curata dal dj berlinese nato a Basilea Mehmet Aslan, a riprova del fatto che si trattasse di un genere di musica che non aveva perso smalto negli anni ma, anzi, aveva acquistato anche una patina vintage, aggiuntasi a quella squisitamente dadaista già presente. «In un mercatino delle pulci berlinese, Mehmet Aslan ha scovato il 33 giri Ticino Musica 3, edito da RSI –spiega Ghielmetti –; il disco si apriva con noi, la terza traccia era il nostro brano Kabyl Marabù. Gli è subito piaciuto e lo ha scelto per il suo disco Senza decoro Liebe + Anarchia in Switzerland 1980 – 1990, su cui stava già lavorando. Alla fine la riscoperta dei Dr. Chattanooga è stata il frutto di due fortunate coincidenze, ma fa piacere, soprattutto ora, che passano la nostra canzone anche su Rete Uno e Rete Tre e sulla romanda Couleur 3».

I Dr. Chattanooga sono stati invi-

tati a esibirsi a Zurigo e a Londra («un sogno», ammette Ghielmetti con un sorriso), ma «ormai sono passati quarant’anni, e abbiamo tutti degli impegni e qualche problema di salute, quindi, seppure un po’ a malincuore, abbiamo deciso di lasciare perdere. Inoltre, Charlie Butti, che qualche tempo fa è andato a vedere i Deep Purple, mi ha detto di avere paura di chi “da vecchio vuole fare finta di essere giovane”, e quindi risultare patetico».

Una riscoperta comunque sufficiente per fare parlare dell’unica formazione dadaista a sud del Gottardo, di una giovane coppia che si prende cura della sua eredità artistica, e della terza protagonista di quest’avventura, ossia quella Chiasso grigia cittadina di confine che, però, a intervalli regolari è capace di sorprendere anche chi si muove al di fuori del suo perimetro, grazie ai suoi guizzi di creatività e di coraggio.

TEMPO
● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 13
LIBERO
Da sinistra, Luca e Laura Costanzo della Ancora Records insieme a Franco Ghielmetti, uno dei quattro componenti dei Dr. Chattanooga and the Navarones. Simona Sala Pagina 15 Pagina Pagina

A spasso tra le case dei morti

Itinerari ◆ Spunti per escursioni e per un turismo cimiteriale, tra ricordo dei congiunti, incontro con le comunità e opportunità di riflessione nell’ultimo libro Passeggiate nei piccoli cimiteri di Claudio Visentin

Il ricordo delle persone che non ci sono più inventa continuamente forme e costumi imprevisti. Per esempio, basterà fare caso a come, a un certo punto e improvvisamente, sia spuntata l’abitudine delle fotografie a colori dei nostri cari nei necrologi dei quotidiani, in risposta a una domanda che forse non è troppo lontana da certe consuetudini fotografiche (e autofotografiche) che tanto segnano la nostra modernità. Ma il modo di ricordare un congiunto, una persona cara o figure di piccole e grandi notorietà pubbliche occupa anche i territori e assume forme di valore architettonico e insediativo attraverso la pratica storica del cimitero.

Così, può anche non risultare strano che sia cresciuto negli anni una sorta di turismo dei cimiteri, passatempo tanto accreditato da ricevere una propria etichetta lessicale: in italiano si dice (o si tende a dire) cimiturismo, oppure, con scelta più accademica tanatoturismo (perché in greco antico thanatos significa morte). Il genere ha addirittura sue specializzazioni e categorie, se è vero che un tale Scott Stanton si sarebbe specializzato nell’indagine delle tombe di musicisti illustri del secolo scorso, fondando concretamente una disciplina e allargando il lessico del turismo cimiteriale a parole come The Tombstone Tourist, Taphophile, Cementery Enthusiast, Grave Hunter eccetera.

Ritroviamo il piacere accreditato di visitare i cimiteri in questo Passeggiate nei piccoli cimiteri dello studioso di cose turistiche, di stili alternativi di frequentare l’altrove e della storia di tutto ciò Claudio Visentin, (ndr. che per «Azione» firma la rubrica Viaggiatori d’Occidente). Diremo subito che, se-

guendo la via scelta da Visentin, gli elementi di apprezzamento di un cimitero visitato da questi nuovi pionieri del tempo libero sono almeno tre: la collocazione relativa rispetto alla comunità (ai margini del villaggio, sopra un’altura, dimenticato tra la vegetazione…), la disposizione delle tombe e i modi di affidarvi i nostri cari (i cimiteri militari con quelle tipiche tombe tutte allineate a mo’ di sacrario; le tombe dei poveri cimiteri di campagna, dove si adagiavano i cadaveri lasciandovi quelli dei precedenti ospiti), immagini e scritte. La morte e i suoi rituali, solitari e individuali oppure di una intera comunità che partecipa al lutto e alle sue forme, ha poi relative strutture: così i tipi di cimitero passati in breve rassegna saranno via via monumentali, «degli inglesi», protestanti, ebraici, ortodossi, «di guerra», senza classificazione, oppure ancora un po’ speciali, come quello di Barracas,

a sud di Buenos Aires, «l’unico camposanto al mondo dove sono sepolti solo ruffiani e prostitute». Meritano attenzione gli epitaffi, le scritte; e non è un caso che esista una tradizione di raccolte e inventari classici o informali di quello che parenti sopravvissuti al commemorato decidono di scrivere di lui. Si tratta il più delle volte di condensare una vita, di regola dimenticandone aspetti e fatti negativi e da un lato celebrando le imprese positive o dall’altro richiamando le avversità nonostante le quali il congiunto ha tirato dritto disegnando una vita rispettabile e memorabile su una pietra eterna. Di Caterina la scritta dice, con doppio avversativo, che «benché casalinga, tuttavia meritò l’ammirazione e il plauso di quanti la conobbero»; di Maria invece è sancito che fu «vergine, fra le virtuose dell’età sua virtuosissima».

Un genere di indiscussa tenerezza

riguarda il ricordo scritto dei defunti bambini e l’attestazione di talune abitudini onomastiche; una famiglia Serra di un camposanto visitato da Visentin attribuisce in sequenza e ostinatamente il nome a un Giovanni morto a diciotto mesi, a un successivo Giovanni che sopravvisse undici mesi e a un terzo Giovanni, perduto a tredici mesi; una fila di figli omonimi, tutti morti tranne forse un quarto e meno sfortunato destinatario dell’attribuzione, a patto che i genitori non abbiano nel frattempo abbandonato esausti la speranza di crescere un loro Giovanni oltre quella manciata di mesi di vita.

Insomma, il libro di Visentin promuove al centro dell’interesse turistico un aspetto di solito laterale e secondario. Capita di visitare cimiteri quando si è in un luogo per altro; qui li si sceglie con intenzione deliberata e prioritaria, per un loro interesse specifico. E in questo senso, tra le immagi-

Limone caviale e altre stranezze

Le illustrazioni di Elena Bonini sono tratte dal libro Passeggiate nei piccoli cimiteri di Claudio Visentin. A sinistra, cimitero degli inglesi a Cefaloni; a destra, il camposanto di Santa Marina Salina, nell’arcipelago delle Eolie.

ni affascinanti evocate in questa guida ci sono anche cimiteri là dove non c’è più un villaggio di riferimento; in quei luoghi «gli abitanti di un tempo ancora aspettano i viaggiatori per raccontare la loro storia».

Non stona, infine, il continuo riferimento alla letteratura del ricordo e del rimpianto delle persone che non ci sono più, piacere che può accompagnare l’originale visitatore. Una poesia di Andrea Cohen fa così: «Racconto a mia madre che ho vinto il premio Nobel. Di nuovo? Mi dice lei. E in quale disciplina questa volta? È un piccolo gioco tra noi: io fingo di essere una persona importante, lei di non essere morta».

Bibliografia

Claudio Visentin, Passeggiate nei piccoli cimiteri, con disegni di Elena Bonini, Portogruaro, Ediciclo Editore, 2024.

Mondoverde ◆ Tra i vari agrumi, ne esistono alcuni particolarmente bizzarri, come per esempio la «mano di Buddha»

Se non lo avete ancora assaggiato, vi consiglio di mettervi alla ricerca del frutto di un Citrus Australasica, chiamato anche limone caviale o finger lime

Si tratta di un agrume recentemente entrato in commercio, sia come pianta sia come frutto: raggiunge i cinque metri di altezza nei luoghi d’origine, ovvero in Australia, mentre da noi non supera i 150-200 centimetri. Ha foglie piccole e appuntite, rami con spine molto acuminate e frutti cilindrici, lunghi 5-10 centimetri. La buccia di questo frutto varia dal verde al rosso, mentre al suo interno si trova una polpa composta da tante vescicole che una volta in bocca si rompono rilasciando un frizzante sapore di limone.

La pianta è senza dubbio molto decorativa, poiché produce frutti annualmente, maturando durante le estati, mentre, dall’inverno fino all’inizio della primavera, si ammanta di piccoli fiorellini bianchi, molto profumati. Ricercatissimi dagli chef per guarnire le pietanze e per il loro gusto aspro e aromatico (ideale con il pesce), questi frutticini sono venduti a ben duecento euro al kg.

La pianta è da coltivare come il più noto limone: al riparo in inverno (con temperature intorno ai 10-15 °C) e all’esterno durante tutta la stagio-

ne calda, posizionandolo in zone molto soleggiate. Gli agrumi, alla nostre latitudini vanno bagnati spesso, fino a quattro volte alla settimana, questo per compensare la perdita d’acqua dovuta alla traspirazione degli stomi delle foglie. Nei loro luoghi d’origine, come ad esempio sulle sponde del Mediterraneo, le temperature sono alte e l’umidità è bassa, quindi gli stomi posti nella pagina inferiore delle foglie rimangono chiusi. Al contrario, da noi, l’umidità è alta, gli stomi sono

quasi costantemente aperti e la perdita d’acqua è notevole: oltre a bagnarli con frequenza, per rimediare sarà anche necessario concimarle spesso.

Un altro limone particolare è Citrus medica var. sarcodactylus, più conosciuto come «mano di Buddha».

Dalle origini molto antiche, già usato dai Persiani che lo portarono dall’Asia all’Europa, si caratterizza per il frutto che ha delle lunghe escrescenze a forma di dita, che ricordano per l’appunto una mano (quella di Buddha) in preghiera. Siccome questa pianta viene considerata un vero portafortuna, negli ultimi anni è spesso regalata per augurare prosperità a chi la riceve.

La buccia di questi frutti, che tendono a maturare in inverno, è gialla, leggermente bitorzoluta, con polpa zuccherina ma quasi priva di succo; in compenso è ricca di vitamina C e sali minerali.

Anche in questo caso, le cure per la pianta sono uguali a quelle di tutti gli altri agrumi, facendo attenzione alle concimazioni: potete scegliere prodotti chimici oppure, se desiderate, rimanere sul biologico; a tal proposito, vi consiglio l’impiego dei lupini macinati, che sono un ottimo prodotto organico, naturale, vegetale e con un effetto a lunga cessione.

Un esemplare di Citrus medica var. sarcodactylus, più conosciuto come «mano di Buddha». (Burkhard Mücke)

E se la vostra collezione di agrumi dovesse permettervi un’ulteriore new entry, allora non perdetevi il kafir lime o combava, il cui nome scientifico è Citrus hystrix, ispirandosi proprio all’animale istrice, per via delle numerosissime spine presenti sulla pianta. Quest’ultima si presenta con foglie molto lunghe, fino a dodici centimetri, pungenti e con un’evidente strozzatura al centro; i frutti, leggermente ovali, sono lunghi non più di tre centimetri con buccia verde scuro, mentre il succo è estremamente acido. Questa sua caratteristica non gli

permette di essere utilizzato fresco in cucina, ma dopo varie lavorazioni, trova largo uso nella preparazione di liquori; mentre la buccia viene molto utilizzata per la creazione di salse. Infine, sempre in tema di piante che producono frutta strana, non ci si può scordare della Carambola averrhoa, dalla bizzarra forma a stella. Originario del Bangladesh e Sri Lanka, è un alberello difficile da reperire, mentre i frutti sono venduti ormai da qualche anno: la buccia è liscia con polpa succosa, che richiama i gusti di ananas, papaya e prugna.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 8 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 14
Anita Negretti
Esemplare di Citrus Australasica varietà sanguinea.
(cskk)

Gli Yazidi e le uova di Capodanno

Reportage ◆ A dieci anni dal genocidio del popolo di lingua Kurmanji per mano dell’ISIS, assistiamo al primo giorno del nuovo anno in Iraq secondo la tradizione del calendario gregoriano celebrato il primo mercoledì di aprile

Sguardo concentrato, piede destro in posizione di battaglia, nove o dieci anni al massimo: inizia la sfida. Fra loro, due uova sode. È Hekkane, il gioco che in Iraq coinvolge tutti gli Yazidi, bambini e adulti, il primo giorno del nuovo anno.

A circa sessanta chilometri da Mosul si trova Lalish, tempio sacro degli Yazidi, che da secoli si radunano al suo interno, ogni anno ad aprile, per celebrare un nuovo inizio – o Sere Sal, come è chiamato in lingua Kurmanji l’anno nuovo. Sono ormai cinque anni che le celebrazioni hanno ripreso a tenersi con regolarità. Erano cessate bruscamente quando i miliziani dell’auto-proclamatosi Stato Islamico hanno occupato Sinjar, il cuore della comunità Yazidi, nel 2014.

Amira: «Mi sembra ieri, che portai mia figlia a Lalish per la prima volta», mi dice con voce nostalgica. «Aveva quattro anni e un vestito lilla che le stava troppo grande»

Secondo il calendario Yazidi, gregoriano, Sere Sal viene celebrato il primo mercoledì di aprile. La mitologia narra che il «mercoledì rosso» rappresenta il giorno della fine della creazione terrestre, quando i raggi del sole hanno raggiunto il nostro pianeta per la prima volta e il firmamento si è colorato di rosso. I credenti della fede monoteista commemorano l’anno in cui Melek Tā’us, l’angelo «pavone» e capo dei sette arcangeli capostipiti dei principali clan Yazidi, è sceso dal paradiso per trasformare la Terra dallo stato liquido allo stato solido e benedirla. Mediatore fra Xwedê, l’unico Dio in cui credono, e gli uomini sulla terra, Melek Tā’us avrebbe spiegato la coda per tingere la Terra di sfumature brillanti. Sulle terrazze che circondano il tempio, i colori dell’arcobaleno riempiono le mani dei credenti e le uova si tingono di rosso, giallo, verde e blu – i colori sparsi dalle piume del pavone sul nostro pianeta. Bollite, le uova simboleggiano l’inizio dell’esistenza e la solidificazione della Terra. Sandali e scarpe si fermano all’entrata del tempio, e centinaia di piedi accarezzano il pavimento di quella che per la

comunità Yazida è meta del pellegrinaggio di una vita.

Minoranza etno-religiosa endogamica, indigena della regione storica dell’alta Mesopotamia, la maggioranza degli Yazidi ora risiede nella parte settentrionale del Kurdistan iracheno. Nel corso della storia, è stata oggetto di continue discriminazioni, atrocità e massacri. Gli Yazidi sono sopravvissuti a diversi tentativi di eradicazione culturale e religiosa. Quando le truppe dello Stato Islamico hanno preso il controllo della maggior parte del nord iracheno, nel 2014, gli Yazidi sono diventati ancora una volta bersaglio di abusi, islamizzazione forzata e crimini contro l’umanità. La minorità Yazida è stata oggetto di una sistematica campagna genocidaria: donne e bambine sono state deportate e rese schiave, mentre gli uomini venivano giustiziati in massa.

A lato del tempio, uno specchio passa di mano in mano. Le ragazze si prendono in giro, vedendosi riflesse: una si sistema fiori color porpora nei capelli, mentre le altre due controllano che il loro candido vestito non si sia sporcato di cenere durante la notte. Amira le guarda sorridendo. «Mi sembra ieri, che portai mia figlia a Lalish per la prima volta», mi dice con voce nostalgica. «Aveva quattro anni e un vestito lilla che le stava troppo grande. Inciampava sempre e io avevo il terrore che l’orlo potesse prendere fuoco, strisciando sul suolo illuminato del tempio. Le ho mostrato come scegliere le pietre migliori, quelle piatte, per poterci appoggiare i fili di lana di pecora e accenderli senza bruciarsi le dita. Con l’ingenuità di chi ancora crede tutto possibile, mi ha chiesto se i miei desideri, in passato, si sono avverati. Ho abbassato gli occhi, il coraggio chiuso in qualche lacrima che non volevo mostrare».

È l’alba, le candele ancora accese sono poche; eppure, è l’ora del ricordo. Hazim mi mostra il luogo ancora caldo di preghiera. «Aprile è un mese particolarmente sacro per gli Yazidi», dice, lo sguardo solenne appoggiato all’orizzonte. «Il matrimonio è proibito, durante il mese di aprile, quando la Terra riprende vita: crediamo porti sfortuna. Allo stesso modo è proibito tagliare alberi e arare la terra, poiché questo distorce la bellezza

della natura. Anche il perdono prende vita ad aprile: quelli che sono stati nemici cercano la mediazione tramite l’aiuto di un prete, o di un amico, per il bene di un nuovo inizio».

Fa scorrere le dita sulle venature della pietra, quasi cerchi la traccia di una mappa invisibile: «Quest’anno sono dieci anni. Dieci anni da quando i fondamentalisti del nuovo Ca-

liffato ci hanno sottratto più di 5mila anime. È un mese di aprile particolare, questo. La memoria arde e celebriamo la vita con ancora più forza». Più di mille uliveti accerchiano Lalish. Si respira pace. Qualche ora prima la valle sfavillava: fiamme danzanti illuminavano ogni angolo di un cremisi acceso, c’era odore di olio e papaveri, e ombre di preghiere adornavano i muri del tempio. Ora tutto è tornato bianco. I colori dell’arcobaleno li indossano le donne, che portano dolci e frutta al cimitero più vicino. Le tombe si trasformano in banchetti. Le ragazze più giovani cantano e ballano al suono di dohol (tradizionali tamburi con due lati in pelle) e zurna (strumenti a fiato, simili all’oboe), mentre viene servito il tashreeb, una miscela speziata di agnello, cipolle, aglio, lime essiccato e ceci, nella quale sono intinti pezzi di pane arabo intrisi di brodo.

Le porte delle case sono decorate con gusci, fango e fiori, così che l’angelo creatore possa riconoscerle ed esaudire i desideri espressi durante la notte. Si finisce di giocare a Hekkane: le uova si sono rotte e sono emersi sole, terra e stelle. È l’inizio di un nuovo anno, di una nuova primavera, di un nuovo ciclo di vita.

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Vittoria Groh, testo e foto

I medaglioni di pasta di sale

Crea con noi ◆ Per delle decorazioni con un tocco vintage bastano timbri, inchiostro, qualche pagina di libro e un po’ di... caffè

Un’interpretazione creativa della classica pasta di sale. In questo progetto, stesa in un velo sottile, si trasforma in una base per imprimere piccole stampe con timbri e inchiostro. Una volta asciutti, questi medaglioni diventeranno fantastici elementi decorativi, perfetti per arricchire biglietti d’auguri e piccole scatole con un tocco vintage.

Procedimento

Per la pasta di sale:

Ingredienti:

100gr di farina bianca

50gr di sale fino

50ml di acqua tiepida

Un paio di cucchiai di olio di semi (facoltativo, ma la rende più elastica)

Mescolate prima il sale che avrete passato nel mixer in modo tale da renderlo finissimo con la farina, quindi aggiungete gli ingredienti liquidi. Modellate qualche minuto con le mani fino a ottenere un panetto liscio e compatto.

Aiutandovi con un mattarello, stendete la pasta di sale tra due fogli di carta da forno fino a ottenere una sfoglia spessa qualche millimetro. Questo vi consentirà di trasferire le vostre decorazioni per seccarle senza rovinarne la forma.

Giochi e passatempi

Il Davide di Michelangelo ha la mano destra più grande in proporzione al corpo, infatti veniva chiamato…. E cosa simboleggia questo soprannome? Scoprilo leggendo, a soluzione ultimata, le lettere evidenziate.

(Frase: 4, 6 – 7, 1, 14)

Una volta ottenuta una sfoglia sottile, utilizzate i timbri e il tampone di inchiostro nero per imprimere le immagini, mantenendo sufficiente distanza tra di esse e prestando molta attenzione ad applicare l’inchiostro solo sulla figura da trasferire. Se necessario, pulite l’eccesso di inchiostro con un po’ di carta da cucina dal contorno del timbro.

Con le formine quadrate e rotonde (se non ne possedete, potete utilizzare un piccolo bicchiere, un tappo o tagliare le forme direttamente con un coltello a lama liscia) ritagliate le immagini. Mettete i medaglioni così ottenuti ad asciugare. Essendo di dimensioni molto ridotte, se è una giornata di sole potete semplicemente metterli al sole e, quando la superficie sarà asciutta, girarli per far asciugare anche il lato opposto. Altrimenti potete cuocerli a 100°C in forno statico fino a quando saranno completamente asciutti da ambedue i lati.

Nel frattempo, ritagliate dei quadrati 6x6cm dalle pagine di un vecchio libro. Per questa operazione potete utilizzare delle forbici oppure un righello per avere un taglio meno definito. Invecchiate la carta passandoci sopra con un pennello del caffè così che assuma un aspetto vintage, quindi lasciate asciugare. Ricavate dai fogli di cartoncino craft A4 delle cartoline. Applica-

Materiale

• Farina e sale

• Timbri a scelta e tampone d’inchiostro nero

• Formine quadrate o rotonde

• Cartoncini craft o piccole scatole da decorare

• Qualche pagina di libro

• Taglierino, forbici, bastoncino di colla

(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)

te sul fronte di ognuna il quadratino di carta invecchiato e al suo centro il medaglione stampato. Con la stessa tecnica potete decorare piccole scatoline, mini quaderni o delle etichette chiudipacco.

Buon divertimento!

Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi

20. 49 romani

22. Antico prefisso nobiliare

23. Dinastie, discendenze

25. Temporale in Francia

27. Isole del Tirreno

29. Un Jean pittore

32. Ci… seguono in cucina

35. Simbolo chimico dello zinco

Soluzione della settimana precedente

DAL MONDO – Il faraglione più alto del mondo si chiama:

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi.

risiedono in Svizzera.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 8 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 16
ORIZZONTALI
nella
Morelli
VERTICALI
1. Così viene chiamato l’attore Damon 5. Persone dalla bianca chioma 10. Centro archeologico romano 12. Mi… seguono in comitiva 13. Le iniziali di Pellico 15. Stimolatore utilizzato
terapia del dolore (Sigla) 17. Due lettere di Tiziano 19. Niente a Parigi 21. Saluto spagnolo 24. Il suo simbolo chimico è «Ho» 26. Pubblicate 28. Le iniziali dello psicologo
30. Ozio in spagnolo 31. Fiume della Francia 33. Sigla di otorinolaringoiatria 34. Città dell’Austria e… un po’ di grazia 36. Lettera dell’alfabeto greco 37. Due vocali 38. Fastidi, seccature
2. Le iniziali dell’attrice Finocchiaro 3. Feticcio di antiche tribù 4. Sono sempre in partenza 6. Le iniziali della cantante Tatangelo
7. Limpido, terso
8. Le iniziali dell’attore Sperandeo 9. Un accumulo d’adipe 11. Rendono idonee le idee 14. Quello nero è liquido 16. Le iniziali dell’attrice Autieri 18. Suffisso di parole che hanno a che fare con gli animali
I
saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a
che
Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate. P IANU R A AR MI AR IMO O D E LA STIA L D ITO B A LI ESITO L I ND A T UTA SURE F TO T RICOTTE E A L ICE O AT 7 9 6 83 51 9 42 2 3 5 1 6 3 7 4 2 8 9 3 8 2371 649 58 4695 287 31 1857 396 42 3 2 4 9 8 5 1 7 6 8763 124 95 9514 768 23 5 4 2 8 9 1 3 6 7 6132 475 89 7986 532 14
vincitori
lettori
Cruciverba
PIRAMIDE
CURIOSITÀ
DI BALL e si trova: IN AUSTRALIA
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Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku

Viaggiatori d’Occidente

Domande sotto la pioggia

«È Pasqua, piove. Che cosa ne pensa?» mi hanno chiesto qualche giorno fa. Di primo acchito non ho saputo rispondere. La pioggia è un fatto: se piove, piove e non c’è molto da dire. Il mio interlocutore allora ha precisato meglio: cosa comporta questa Pasqua piovosa per il turismo e gli alberghi? Questa volta sapevo la risposta, ma mi sembrava abbastanza ovvia: un danno. E infatti le cancellazioni sono arrivate puntuali, con un tasso d’occupazione medio in netto calo (indicativamente di un terzo rispetto ai due anni precedenti secondo l’Osservatorio del turismo USI). Peccato, naturalmente, ma sono gli inconvenienti del mestiere, più probabili quando la Pasqua è precoce. E pazienza se il «Blick», con poca eleganza, ci ha ricamato sopra. Certo, il nostro turismo dipende molto dal bel tempo, ma del resto l’immagine tradizionale del cantone da almeno un

secolo è quella del «salotto soleggiato» (Sonnenstube) della Confederazione. E se con la direzione di Marco Solari a Ticino Turismo (1972) la dimensione culturale ha preso un nuovo rilievo («Ticino terra d’artisti»), nessuno si è mai sognato di mettere veramente in discussione l’attrattiva del clima. Quindi la nostra dipendenza dalle previsioni meteo non dovrebbe stupire. Non siamo neanche un’eccezione; da tempo sulla riviera romagnola (per fare solo un esempio) i turisti prenotano il fine settimana con poco anticipo e solo se le previsioni sono favorevoli.

Poi la prospettiva è ancora cambiata, quando file interminabili di auto sono comparse al portale nord del Gottardo. Dunque un poco di maltempo non era bastato a raffreddare l’amore dei nostri connazionali di lingua tedesca? Ma il sollievo è durato poco, il tempo di veder scivola-

Passeggiate svizzere

re sulla nostra autostrada lunghe colonne dirette verso Como e l’Italia. Delusione. Anche a Como pioveva parecchio, dunque perché mai i turisti in quel caso avevano invece confermato i loro progetti? Chiaro, il costo della vita in Italia è minore, ma Como non è certo una meta economica. E così la domanda iniziale è stata riformulata: cosa ci manca, rispetto all’Italia?

Un giornalista del nostro «Corriere» ha stilato un elenco di attività per i giorni di pioggia, con punte di involontaria poesia – «Una passeggiata alla Swissminiatur di Melide è un’esperienza emozionante anche con l’ombrello» – per poi consigliare, quasi inevitabilmente, terme, spazi giochi per bambini, ristoranti, shopping e naturalmente i musei, che in Ticino non mancano. Ma l’idea che i turisti viaggino per visitare i musei appartiene al passato. Secondo la maggior

Il monumento Brunswick a Ginevra

La pietra ammonitica veronese di un rosa slavato, nella luce primaverile pomeridiana ai primi di aprile, domina il mausoleo neogotico sul lungolago per il duca di Brunswick (18041873). Tra l’hotel de la Paix e il Beau Rivage, sorti entrambi nel 1865 sul Quai du Mont-Blanc, i vari elementi di questo mausoleo fuorimisura come la balaustrata, i leoni, le chimere, la panchina, la base del sepolcro, sono scolpiti tutti in questa curiosa pietra nodulare che sembra affetta da psoriasi. «Inclassificabile» secondo Henri-Charles Tauxe in Lieux et histoires secrètes de Suisse (1980) e definito «ciofecata» da un architetto irrazionalista all’alba, secoli fa, dopo una notte brava, per il momento mi limito a osservarne i due enormi leoni nubiani guardare il lago.

Un entusiasta del monumento Brunswick (376 m) sui cui scalini – oltrepassata l’inferriata dei fratelli Mo-

reau con fiammelle in cima – salgo adagio, se non ricordo male, era il professor Vaisse di storia dell’arte. Inaugurato nell’ottobre del 1879 in contrasto assoluto con l’austerità calvinista, se non altro, ogni volta, mi diverto a cercare sulle sue superfici, le ammoniti. Molluschi cefalopodi estinti, apparsi nel Devoniano inferiore che sulla lunga panchina circolare intorno alla statua equestre del duca dove mi siedo, se guardate calibrando l’occhio alle forme a spirale, ne trovate diversi, fossilizzati. Anche il duca di Brunswick, immortalato a cavallo, barbuto, e in divisa militare, sognava la stessa fine per il suo corpo: la pietrificazione. Farsi monumento. Forse come rivalsa a una vita non gloriosissima. Prima troppo giovane per salire al trono e poi detronizzato a favore del fratello, paranoico, afflitto da manie di persecuzione, preso in giro a Parigi per le sue ridi-

Sport in Azione

cole apparizioni imbellettato all’eccesso, Karl II di Brunswick dai piedi minuscoli, gli occhi storti, obeso gli ultimi anni, muore di un colpo apoplettico qui accanto, nella suite al primo piano dell’hotel Beau-Rivage dove si era rifugiato a vivere recluso. Ginevra eredita ventiquattro milioni di franchi: l’unica condizione è erigere, in un posto degno, questo sepolcro-circo: imitazione, ingrandita di un terzo, della tomba degli Scaligeri a Verona. Orchestrato da Jean Franel, dopo i progetti scartati di Viollet-le-Duc e Vincenzo Vela, il monumento funebre in origine era ancora più esuberante: la statua equestre qui davanti era in cima. L’hanno dovuta levare perché rischiava di crollare tutto. Almeno, al duca, gli fanno compagnia una serie di disagiati abituali spiaggiati qui al suo cospetto. Mentre qui sopra fanno capolino i rami di due vecchi ippocastani che

Lara Gut-Behrami, sedici stagioni e non sentirle

L’estate scorsa Lara Gut-Behrami meditava di porre fine alla sua gloriosa carriera. Sarà stato probabilmente il pensiero di pochi attimi, poiché si è ripresentata motivatissima al cancelletto di partenza dell’appuntamento inaugurale sul ghiacciaio di Sölden (Austria). Ha rivinto il gigante a distanza di dieci anni dal suo primo trionfo su quelle nevi. Nessuno meglio di lei. La sua stagione è ancora qui davanti ai nostri occhi, tutta da assaporare. Otto vittorie, una sequenza impressionante di presenze sul podio, una regolarità di risultati al top, degna di uno studio sulla robotica. Infine l’onore di alzare al cielo la grande sfera di cristallo, otto anni dopo aver conquistato la prima. Come lei, solo l’austriaca Annemarie Moser-Pröll. Quale contorno, Lara ha baciato la sua quinta Coppetta di Super Gigante, dieci anni dopo la prima, e la prima di Gigante, quella che

le ha regalato le emozioni più profonde, poiché conquistata nella disciplina da tutti considerata come il fondamento dello sci alpino. Quest’ultima stagione stellare ha sospinto i successi di Lara a quota quarantacinque, permettendole di aggiudicarsi il sesto posto nella classifica delle sciatrici più vittoriose di sempre,

parte degli esperti, i turisti culturali in senso stretto, cioè i tradizionali visitatori di monumenti e musei, sono soltanto il 10-15 per cento del totale. Molti altri cercano, sì, cultura, ma in forme più moderne e coinvolgenti. Inoltre il turismo è fatto anche di aspetti intangibili – cordialità, informalità, allegria – e senza dubbio l’Italia ne è meglio provvista. Senza contare che molti aspetti della vita quotidiana anche poco graditi ai residenti – animazione, improvvisazione, ritardi – possono risultare un divertente diversivo per chi soggiorna solo per un lungo fine di settimana. I pensieri dei giorni di pioggia sembrano indicare un diverso futuro turistico per le città ticinesi (per le valli è un altro discorso). Potrebbero essere, e in parte già sono, la meta perfetta per un turismo di pensionati, distribuito lungo tutto l’anno, sul modello di Paesi come Portogallo, Grecia,

guidata da Mikaela Shiffrin. L’austriaca Renate Götschl, quinta, vanta un trionfo in più, e la migliore rossocrociata, Vreni Schneider, quarta, è a più dieci. Quindi: forza Lara! Lo scorso autunno ho temuto di non più vederla al via. Quest’anno le sue dichiarazioni sono invece state più incoraggianti. Ha lasciato intendere che un’ulteriore stagione sarebbe ipotizzabile. Da goloso mi dico: perché non due, visto che nel 2026 ci sono all’orizzonte delle Olimpiadi quasi a chilometro zero? Lara sta bene. Che dico, molto bene. Non è logora fisicamente, nonostante gli incidenti, due dei quali piuttosto gravi, che le hanno pregiudicato i Giochi Olimpici di Vancouver del 2010 e i Mondiali di St. Moritz del 2017. A proposito, nello sci si vince perché si è più veloci degli avversari, ma anche perché, a volte, qualche rivale si ferisce. Fa parte del gioco. In quest’ottica, Lara ha

Tunisia. Nel 2050 oltre due miliardi di persone avranno più di sessant’anni e i candidati non mancheranno. Qui abbiamo già tutto quel che serve: il clima mite (quando non piove…), la bellezza dei luoghi, i servizi sociali e sanitari, la sicurezza.

Naturalmente la forza del franco ci rende attraenti solo per la parte più benestante di questo mercato, che tuttavia è anche la più ambita. Del resto, con una vita media di oltre 85 anni, il Canton Ticino è già la regione più longeva d’Europa. E non a caso pochi giorni fa, quando ancora il cielo era sereno, Lugano, prima città svizzera a farlo, ha aderito alla piattaforma internazionale delle Città della longevità.

Questo futuro ci piace? E, anche volendo, siamo in tempo per cambiare rotta? Sono tutte domande decisamente più interessanti di quella dalla quale siamo partiti.

mostrano magnifiche gemme, diverse delle quali sul punto dischiudersi. Due esseri alati da bestiario fantastico, opera di Auguste Cain come i leoni dei quali è specialista, vigilano le vasche vuote: una ha la testa d’aquila come i grifoni mitologici e l’altra da pantera infuriata come le chimere. Le vasche, come il resto del monumento – con le guglie e le statue di vari personaggi tipo Ottone Orseolo – al quale mi avvicino adesso per buttarci un occhio, sono in marmo di Carrara. Il sarcofago è sorretto da colonne in marmo di Baveno. Il cielo a mosaico che lo sovrasta, opera del mastro vetraio veneto Antonio Salviati, cade un po’ a pezzi: per terra minuscoli pezzettini di cielo blu. Non certo preziosi come il blu di Brunswick, misterioso diamante inestimabile venduto all’asta qui a Ginevra alla morte del duca e del quale poi si sono perse le tracce. Forse anche

la sua passione per le pietre preziose partorisce l’insano desiderio inesaudito della pietrificazione del corpo. Doveva essere eseguita dal professor Paolo Gorini, inventore di un procedimento rimasto segreto fino a oggi. Eppure il matematico e scienziato italiano venuto qui con questo compito, come da volontà testamentaria, è ripartito con le pive nel sacco. A quanto pare, un corpo sottoposto ad autopsia – altra volontà testamentaria – non può essere pietrificato. La paranoia ha dunque privato il duca della sua pietrificazione.

Ritorno alla panchina ammonitica di questo mausoleo-imitazione divenuta attrazione turistica enigmatica, trasformata nel secolo scorso in souvenir attraverso mini chimere-bijoux. Non mi resta che errare con lo sguardo a caccia di belemniti, ricerca sottile, dovete mirare alla forma dei proiettili.

ricevuto, ma ha anche pagato. I conti tornano.

Dal profilo mentale, la sciatrice di Comano è cresciuta anno dopo anno. Ha retto l’urto dell’onda mediatica, quando a sedici anni era una ragazzina prodigio con microfoni, taccuini e telecamere che la assalivano. Ha beneficiato della protezione di un team privato formato-famiglia, ma le è pure stata negata la possibilità di stemperare le tensioni condividendole con le altre rossocrociate che crescevano in un contesto più comunitario. Non posso dire di conoscerla, ma posso immaginare che la sua maturazione sia figlia anche di sensibilità e intelligenza. Non è da tutti studiare mentre si è alle prese con un’estenuante stagione di allenamenti e di competizioni. Non è da tutti, a ogni trasferta, riempire la valigia di amici e consiglieri preziosi come lo possono essere i libri. Qualcuno ricorda

le prime apparizioni televisive di suo marito Valon Behrami? Io sì. E posso serenamente affermare che l’ex calciatore che seguo oggi sui teleschermi, è un uomo che dispone di una notevole capacità di lettura della realtà, frutto di una maturazione costante. Credo che i due sposi si siano alimentati a vicenda, e che siano cresciuti, migliorando, come il buon vino. Non so se i brindisi di Lara siano alcolici. Immagino di no, poiché una carriera come la sua implica anche un rigore monastico. Io però, dopo aver inviato questo articolo in redazione, un buon bicchiere me lo berrò. Alla sua salute. Con l’auspicio di rivederla a Sölden il prossimo anno, e magari anche quello successivo. Perché, piaccia o no, Lara è un nostro patrimonio, e dopo sedici anni trascorsi davanti ai teleschermi a stupirci per il suo stile, non più poterla ammirare lascerebbe un vuoto non facile da colmare.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 8 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 17 TEMPO LIBERO / RUBRICHE ◆ ●
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di Giancarlo Dionisio Stefan Brending
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L’utopia della pace perpetua

Immanuel Kant, filosofo illuminista nato trecento anni fa, indica le condizioni per ottenerla. Ma purtroppo il suo progetto rimane inascoltato

Tra chi ricompone cadaveri

I membri ultraortodossi dell’associazione Zaka intervengono in caso di morti violente in territorio israeliano. Il senso del loro operato

La tumultuosa crescita di Bulle

Canton Friburgo ◆ Il capoluogo di La Gruyère – multietnico, con terreni a buon mercato e parecchi posti di lavoro – è una sorta di laboratorio per tutto ciò che ruota attorno allo sviluppo demografico nel nostro Paese

Roberto Porta

Per arrivarci bisogna spingersi (quasi) «au bout du monde», come del resto si può leggere anche sul sito turistico del Canton Friburgo. Eh sì, la Certosa della Valsainte, l’unica ancora abitata in territorio svizzero, non è proprio a portata di mano, visto che si trova in fondo a una remota valle lungo la strada che conduce allo Jaunpass, e da lì scollinando al Canton Berna. Un luogo isolato e silenzioso, come del resto prevede la millenaria regola dei Certosini. Questo convento si trova nel distretto friburghese della Gruyère e la sua valle è di certo una delle poche zone di questa regione a non risentire del grande tumulto demografico e immobiliare che da qualche anno ha investito questo territorio del Canton Friburgo.

Verso i 40mila abitanti

La Gruyère è una delle regioni più dinamiche del nostro Paese e Bulle, che ne è il capoluogo, la città svizzera che in proporzione è cresciuta più di tutte le altre. Lo dicono i dati statistici relativi alla crescita della sua popolazione: negli anni Ottanta del secolo scorso vi abitavano 8000 persone mentre oggi la popolazione di Bulle ha ormai superato le 27mila unità, ciò che equivale a un incremento pari a oltre il 330 per cento. Una corsa che non è ancora finita, come ha confermato di recente alla stampa romanda la demografa Anne-Catherine Wanders, autrice di uno studio sul futuro di questa città e del suo agglomerato. «Questa crescita è impressionante e non sembra volersi fermare – ha affermato la ricercatrice – nei prossimi dieci o quindici anni ci si può immaginare che Bulle potrà persino superare la soglia dei 40mila abitanti». Benvenuti dunque nel distretto e nella città che molti osservatori vedono come una sorta di laboratorio per tutto ciò che ruota attorno allo sviluppo demografico nel nostro Paese.

L’importanza dell’autostrada

Eppure, nel recente passato molto lasciava pensare che Bulle e il distretto della Gruyère sarebbero rimasti ancorati alla loro storia, fatta essenzialmente di agricoltura, di parecchio formaggio (e come potrebbe essere altrimenti!) e del commercio di legname, molto pregiato da quelle parti per le tante foreste che ricoprono questo territorio. Una regione isolata e destinata a rimanere tale, anche perché sul finire dell’800 aveva perso la battaglia per il percorso della li-

nea ferroviaria tra Friburgo, Losanna e Ginevra. A Bulle venne allora preferita la città di Romont, ancora oggi uno degli snodi intermedi principali sulla linea ferroviaria che porta all’arco lemanico. La regione della Gruyère dovette così aspettare su per giù altri cento anni e la costruzione dell’autostrada, con Bulle che nel 1981 veniva collegata direttamente a Losanna, verso sud, e a Friburgo e Berna verso nord. Quella fu la carta che le permise di giocare la partita della crescita, anche se nessuno allora si sarebbe aspettato uno sviluppo così dirompente, tra risvolti economici positivi e diversi grattacapi da affrontare per la gestione del territorio e delle infrastrutture.

Ben 129 nazionalità diverse

Una volta realizzato il collegamento autostradale, a fare da detonatore di questa evoluzione fu una chiara scelta politica visto che le autorità locali decisero senza indugio di trasformare una buona parte dei terre-

ni agricoli in zona edificabile, e così iniziò la corsa alla costruzione di nuove abitazioni. Bulle ha potuto far leva su un chiaro vantaggio concorrenziale, il costo dei terreni era e rimane ancora oggi generalmente più a buon mercato rispetto a Friburgo o a Losanna, che si trovano soltanto a 30 e rispettivamente a 50 chilometri di distanza. Trasferirsi e abitare nel capoluogo della Gruyère può dunque essere conveniente anche per chi lavora altrove. L’apertura dell’autostrada ha d’altra parte portato nella regione anche nuove aziende, con la creazione di parecchi posti di lavoro, per esempio nel settore farmaceutico o in quello delle tecnologie digitali. La spinta innovativa del politecnico di Losanna si sta facendo sentire anche da quelle parti. Una metamorfosi quasi epocale non senza conseguenze sugli equilibri di questa realtà e che sollecita le autorità locali su più fronti: per la costruzione di nuove strade e canalizzazioni, per l’estensione della rete dei trasporti pubblici, per le cure sanitarie o, ancora, per l’apertura di nuove scuole, basti di-

re che il numero di allievi potrebbe aumentare nei prossimi quindici anni di oltre mille unità. Senza contare gli sforzi intrapresi per favorire l’integrazione dei nuovi arrivati, visto che il 43% della popolazione è oggi di origine straniera e che a Bulle abitano persone che appartengono a ben 129 nazionalità diverse. Su tutti spiccano i cittadini portoghesi, pari al 17% degli abitanti. Riuscire a gestire questa variegata multiculturalità e al tempo stesso a mantenere le proprie tradizioni, anche questa è una delle tante sfide che le autorità comunali si dicono pronte ad affrontare.

Rolex e il suo nuovo quartiere

Con all’orizzonte un ulteriore cambio di marcia. A Bulle è atteso l’approdo di un prestigioso marchio elvetico, quello di Rolex. Questa società ginevrina è intenzionata a investire a Bulle qualcosa come un miliardo di franchi e a creare nei prossimi anni ben duemila nuovi posti di lavoro. I primi orologi di questo nuovo stabi-

limento saranno prodotti nel 2029. Dai formaggi alle lancette di lusso, la trasformazione di questa regione si misura anche così, con la realizzazione di quello che sarà a tutti gli effetti un nuovo quartiere, in una città che in questi anni non ha mai smesso di crescere. Non tutti i duemila nuovi dipendenti di Rolex sceglieranno di abitare a Bulle, ma sta di fatto che anche in questo agglomerato occorrerà iniziare a costruire verso l’alto – con stabili che superano gli abituali limiti di altezza – per frenare il consumo eccessivo del suolo e in nome di quella densificazione delle edificazioni prevista dalla legge federale sulla pianificazione del territorio, accettata in votazione popolare nel 2013. Tutto lascia dunque pensare che anche il profilo di questa città attorniata dalle Alpi sia destinato a cambiare. Lo impone la corsa demografica di questo capoluogo, lanciato a pieni giri verso il futuro. E così, per staccare da questa frenesia, per chi lo vorrà rimarrà pur sempre il silenzio secolare della Certosa della Valsainte.

ATTUALITÀ ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 8 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 19
Una veduta della zona dove è atteso l’approdo di Rolex, a sud dell'autostrada A12, nel territorio di Bulle. (Keystone) Pagina 23 Pagina 21
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L’utopia della pace perpetua

Prospettive ◆ Immanuel Kant, filosofo nato trecento anni fa, indica le condizioni per ottenerla. Ma il suo progetto resta inascoltato

I venti tempestosi che si sono levati nel vicino e medio Oriente, come pure nell’area euro-orientale, rappresentano micce accese che per taluni ricordano la corsa verso il baratro della guerra mondiale nell’estate del 1914, e per altri l’ingenua autosoddisfazione del premier inglese Chamberlain all’indomani dell’incontro con Hitler alla conferenza di Monaco nel 1938. I paralleli storici sono utili se non sono forzati: contribuiscono a risvegliare ed allertare le coscienze, come ben sapevano autori come Machiavelli e Guicciardini allorché in epoca rinascimentale richiamavano nei loro scritti la lezione degli autori greci e latini. Questo approccio deve valere anche per noi, spettatori in ansia dei conflitti in corso in Ucraina e in Palestina.

Sei divieti assoluti

In questa fase di ripresa del «disordine mondiale» vale la pena di bussare alla porta di un pensatore nato a Königsberg (Prussia) trecento anni fa, il 22 aprile del 1724: Immanuel Kant, filosofo illuminista universalmente noto per le sue tre Critiche (della ragion pura, della ragion pratica, del giudizio), come pure di un trattatello pubblicato nel 1795 sotto il titolo Per la pace perpetua. Non era la prima volta che l’intellighenzia europea volgeva le sue attenzioni alla guerra e al modo migliore per evitarla. Riflessioni in tal senso erano già presenti negli scritti di Erasmo, dell’Abate di Saint-Pierre e di Rousseau. Kant riconosce i suoi debiti intellettuali, ma nel contempo precisa la sua proposta elencando dapprima le strade che non bisogna assolutamente imboccare. Sono sei punti, detti «articoli preliminari», che contemplano una proibizione:

1. Nessun trattato di pace deve essere ritenuto tale se stipulato con la tacita riserva di argomenti per una guerra futura.

2. Nessuno Stato indipendente deve poter essere acquistato da un altro mediante eredità, scambio, compera o donazione.

3. Col tempo gli eserciti permanenti devono essere aboliti.

4. Non si devono contrarre debiti pubblici in vista di conflitti esterni dello Stato.

5. Nessuno Stato si deve intromettere con la forza nella costituzione di un altro Stato.

6. Nessuno stato di guerra deve permettersi atti di ostilità tali da rendere impossibile la reciproca fiducia nella pace futura.

Unirsi per non combattersi

A questa sezione composta di divieti, Kant faceva seguire una serie di «articoli definitivi» intesi a stabilire le condizioni giuridiche e costituzionali su cui fondare il progetto di pace. Il primo passo consisteva nella formazione di una lega di tutti gli Stati (Bund ) o di una federazione (Föderation) permanente, all’interno di una cornice che, sottolinea Kant, «dev’essere repubblicana». In assenza di questa premessa, ossia di un ordinamento repubblicano implicante la separazione dei poteri, la guerra è sempre possibile, dato che i cittadini-sudditi sono alla mercé di un Governo assolutistico e dispotico, il quale agisce in base ai suoi capricci e alle sue brame di conquista.

Nel secondo articolo definitivo, Kant poneva l’accento sul diritto internazionale come espressione di un federalismo di liberi Stati. Solo l’idea federalistica, ossia la creazione di una lega della pace ( foedus pacificum), avrebbe permesso di estendere a tutti gli Stati la pace perpetua in conformità al diritto internazionale.

Nel terzo articolo Kant si soffermava infine sul diritto cosmopolitico come base dell’universale ospitalità. «Qui – precisa subito l’autore – non si tratta di filantropia ma di diritto, e ospitalità significa quindi il diritto di uno straniero, che arriva sul territorio altrui, di non essere trattato ostilmente. Può venirne allontanato, se ciò è possibile senza suo danno, ma fino a che dal canto suo si comporta pacificamente, l’altro non deve agire ostilmente contro di lui». Qui Kant si riagganciava alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, adottata dall’Assemblea costituente francese nel 1789, e più in generale ai princìpi costituzionali espressi in quel giro d’anni in Francia e in America.

Un potere sovranazionale

Kant redasse questo conciso trattato sullo scorcio del Settecento, il secolo dei lumi, dell’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert, di Montesquieu, dei fratelli Verri, di Cesare Beccaria, di Gaetano Filangeri. Gli echi del rinnovamento giunsero anche nella vecchia Confederazione elvetica, un’architettura oligarchica che di lì a poco sarebbe crollata per opera dei protettori di sempre, ossia i francesi, che nel 1798 imposero agli svizzeri una «Repubblica una e indivisibile». Ma intanto i semi repubblicani avevano iniziato a germinare nelle prime, ancora incerte carte federali e cantonali, traducendo in paragrafi di legge quanto Kant aveva proposto nel suo progetto filosofico (nello spirito, se non nella lettera). Viene naturale pensare a concetti quali «Repubblica» e «federalismo».

I paradossi dell’Ue

L’analisi ◆ L’Unione è una democrazia senza scopo e mascherata che contraddice se stessa

Le prossime elezioni europee sono un’occasione per riportare la nostra attenzione sui paradossi della costruzione comunitaria. A partire da due motti, l’uno di Jean Monnet, eminente padre fondatore, l’altra di un suo autorevole successore, Jacques Delors, da poco scomparso. Monnet diceva che non è importante sapere dove andare, l’importante è andare. Delors soggiungeva: «L’Europa avanza mascherata». Senza scopo e in maschera: questo doppio carattere originario è tuttora dominante nell’Unione europea. E ci ricorda un dato di fondo: l’Ue non è una democrazia. Per certi versi è anzi una costruzione incompiuta che rende ancora più critica e precaria la tenuta democratica dei ventisette Paesi che ne fanno parte – fra l’altro di diverso sviluppo democratico. In parole povere: una democrazia senza scopo e mascherata contraddice se stessa.

pronunciando un coraggioso discorso intitolato «Sulla finalità dell’Unione europea». Per compiacere i francesi, al posto del tedesco Zweck ricorse al franco-tedesco Finalität (a proposito di maschere semantiche), azzardando qualche vaga idea di sistemazione istituzionale interna all’Ue per darle un tono più democratico, almeno nell’indirizzo generale. Fu accolto da mezzi sorrisi di compassione e dal freddo dei suoi omologhi, a cominciare dal francese (fors’anche perché a Parigi non si ama veder storpiata la lingua di Corneille).

Tuttavia la «pace perpetua» non fece breccia nelle corti d’Europa e nei loro Stati maggiori. Le campagne napoleoniche misero il vecchio Continente a ferro e fuoco sotto la regia del Bonaparte, che proprio nel 1804, anno della morte di Kant, si autoproclamò imperatore. Ma non per questo la sua utopia razionale cadde nell’oblio. Rimase sotto traccia come possibile via d’uscita da situazioni di belligeranza incancrenite, come quella che si era instaurata tra la Francia e la Germania. Fu così che nel 1920 vide la luce la Società delle Nazioni dietro proposta del presidente americano Woodrow Wilson, a partire dai 14 punti formulati mentre ancora infuriava la grande guerra iniziata nel 1914. Fallita questa prima esperienza di fronte all’ascesa dei movimenti nazifascisti, l’idea rinacque nel 1945 con la fondazione delle Nazioni Unite, organizzazione che tuttora cerca di comporre i conflitti attraverso lo strumento del dialogo e della diplomazia, con risultati alterni, spesso insoddisfacenti. Ciò nonostante, il pacifismo giuridico kantiano continua a dare frutti. Uno degli ultimi è opera del giurista italiano Luigi Ferrajoli, estensore di una Costituzione della Terra che annovera proprio Kant tra i suoi principali ispiratori (Feltrinelli). Oggi la città in cui il filosofo ha trascorso tutta la sua vita porta il nome di Kaliningrad e fa parte, come exclave, del territorio russo. Con la russificazione della provincia, la Federazione russa ha cercato anche di appropriarsi di questo illustre cittadino, dedicandogli monumenti e intitolandogli la locale università. Nel 2002, nell’ambito dei dialoghi di San Pietroburgo tra Russia e Germania, Vladimir Putin ricordò che Kant era «categoricamente contrario a risolvere le divergenze d’opinione tra Stati attraverso la guerra. Noi dobbiamo tradurre in pratica il suo insegnamento relativo alla composizione dei dissidi internazionali ricorrendo a mezzi pacifici». Lettura corretta, ma purtroppo presto dimenticata…

Partiamo dai dati contingenti. Il voto per il Parlamento europeo non è un voto europeo. Si tratta di un momento elettorale tipicamente nazionale, che in comune ha solo il calendario. Si eleggono cittadini dei propri Paesi, dopo un dibattito quasi totalmente centrato su fattori e temi interni a ciascuno dei Ventisette. Non è possibile votare candidati di altri Paesi europei. Contrasto abbastanza clamoroso fra il nome e la cosa. Passiamo ai fattori strutturali. Il Parlamento europeo non risponde ai criteri minimi cui un’assemblea eletta a suffragio universale e segreto corrisponde di norma nelle democrazie. Non ha vera capacità legislativa e non ha potere di controllo su un relativo Governo. Un eccellente esempio di esercizio mascherato, tipico di un sistema che evoca l’Europa ma non è prodotto dagli europei, bensì per gli europei (citazione da un altro eminente dirigente comunitario, anche lui francese, Jacques Barnier). Questo iato fra retorica e fatti impregna il modo di essere dell’avventura comunitaria fin dalla nascita. E veniamo appunto alla mancanza di scopo. Si discetta spesso di progetto europeo. Saremmo davvero felici di conoscerne il testo. Non possiamo perché non esiste un progetto. Al meglio, alcune linee abbastanza vaghe della direzione verso cui questo ormai anziano agglomerato, avviato da quasi ottant’anni, dovrebbe tendere: federazione, confederazione, nulla di tutto questo. Nel 2000 l’allora ministro tedesco degli Esteri, Joschka Fischer, si presentò davanti agli studenti dell’Università Humboldt a Berlino

Nessun politico di nessun Paese europeo sembra oggi intenzionato a rispondere alla Gretchenfrage di Fischer. Perché sa bene che nella migliore ipotesi scatenerebbe un putiferio fra i suoi elettori, nella peggiore un silenzio di piombo. Attenzione, però. Questo gioco degli equivoci e delle maschere non lascia le cose come stanno. Contribuisce anzi alla delegittimazione dello spazio pubblico, che nelle società europee sta diventando sempre più striminzito. La para-democrazia europea logora le democrazie nazionali. Le devia verso orizzonti assai poco democratici. Le classi politiche dei diversi Paesi europei si indirizzano in questo clima verso la più stretta interpretazione degli interessi nazionali. Fino alle derive ipernazionaliste in alcuni Paesi, non solo dell’Est. Di qui a esiti schiettamente autoritari il passo non è necessariamente lungo.

Finché vivevamo in pace, entro un orizzonte di tranquillità e sicurezza invidiabili, questo «europeismo reale» fondato sull’irrealtà poteva anche essere tollerabile. Ma una costruzione eretta per il bel tempo permanente mal sopporta la sfida della cupezza e delle incertezze dell’oggi. Il piano inclinato che stiamo percorrendo non promette nulla di buono. La diffusione e la popolarità dei nazionalismi risponde al principio «nessuno per tutti». Dunque orienta verso la disgregazione del tessuto comunitario mentre contribuisce a delegittimare gli Stati democratici che, come apprendisti stregoni, ne hanno tessuto i fili e le trame sempre più arzigogolate. Alla fine, il destino dell’Unione europea ci riporta all’impossibilità di far coesistere in modo costruttivo delle democrazie liberali incardinate nei rispettivi Stati nazionali entro un involucro comunitario opaco, che occlude il dibattito e scoraggia la cittadinanza attiva. Possono esistere Stati senza democrazia, non possono esistere democrazie senza Stato.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 8 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 21
Il monumento a Kant nella città di Kaliningrad. (Wikimedia)
Keystone
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La missione di ricomporre i cadaveri

Medio Oriente ◆ I membri ultraortodossi dell’associazione Zaka intervengono in caso di morti violente in territorio israeliano. Il senso del loro operato e il loro ruolo all’interno di una società in profonda crisi

Già prima dei massacri del 7 ottobre, insieme a quella delle cinture di esplosivo dei kamikaze, una delle icone che gli spettatori di tutto il mondo associavano alle tragiche immagini delle morti violente in territorio israeliano è quella dei membri ultraortodossi dell’associazione Zaka. Con indosso il giubbottino giallo, accomunati da barba e cernecchi, i circa 3000 volontari dell’organizzazione sono infatti

Riprovazione internazionale

Turbolenze in questi giorni si sono verificate all’interno dell’Esecutivo israeliano, ma anche – e non meno significative – al suo esterno, da parte di chi lo contesta in patria e fuori. Ha creato un certo clamore la dichiarazione nella quale il leader centrista e ministro del Gabinetto di Guerra Benny Gantz ha chiesto di stabilire una data per le elezioni a settembre per riguadagnare la fiducia dei cittadini e garantire così la prosecuzione dei combattimenti nella Striscia. Inevitabile e scontata la replica del Likud, il partito conservatore del premier Benjamin Netanyahu, secondo il quale «Gantz deve smetterla di occuparsi di “piccola politica”, il Governo andrà avanti fino a che non raggiungerà tutti gli obiettivi della guerra». Una riprova che a sei mesi dai brutali attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, la posizione di Israele si complica ogni giorno di più. Complice anche lo scivolone dell’esercito con la stella di Davide con l’attacco involontario al convoglio umanitario a Deir Al-Balah, che ha provocato la morte di sette dei membri dell’ONG di aiuti alimentari World Central Kitchen. La vicenda ha provocato una generale riprova -

tra i primi a giungere sul luogo delle esplosioni a bordo delle loro motociclette dal 1995, anno in cui è stata fondata Zaka, acronimo ebraico di «identificazione delle vittime del disastro». Quello di onorare la morte è uno dei precetti fondamentali dell’ebraismo al quale la tradizione attribuisce grande importanza proprio perché si tratta di un atto di generosità fine a se stesso e senza alcun possibile tor-

zione internazionale per la condotta di Israele (che va a sommarsi a quella per la drammatica situazione dei palestinesi). La tensione è rapidamente salita alle stelle e le manifestazioni interne contro il Governo Netanyahu si sono fatte sempre più corpose e violente così come le dimostrazioni delle famiglie disperate degli ostaggi che chiedono di mettere in cima alle priorità di Israele la messa in salvo dei propri cari e non l’operazione bellica per distruggere Hamas.

Dopo l’attacco dello Stato ebraico all’Ambasciata iraniana in Siria (con la morte di almeno sei persone e di un importante capo dei Pasdaran, il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana), cresce poi il pericolo di un allargamento del conflitto su base regionale. Benché Israele continui ad affermare di voler evitare una nuova guerra con il Libano, al nord sembra che non si tornerà a scuola nemmeno il prossimo anno e gli sfollati rimangono lontani dalle loro case. In questo clima «i negoziati con Israele sono a un punto morto», come ha confermato venerdì scorso il rappresentante di Hamas a Beirut Osama Hamdan./ Red.

naconto, dal momento che il defunto non potrà ovviamente ricambiare il gesto. È così che dalla Seconda Intifada Zaka è diventata una vera e propria istituzione che si è conquistata un posto d’onore, anche nella letteratura e nel cinema, a fianco delle unità di emergenza e delle forze dell’ordine. Il suo compito è quello di ricomporre i cadaveri e prepararli per una degna sepoltura secondo le rigorose norme rituali. Ma l’ingresso nell’arena di questa sorta di casta autonoma, che gode di rispetto e consenso, è denso di significati di natura sociale e teologica che gettano ulteriore luce tanto sul conflitto israelo-palestinese e la resistenza armata, quanto sui complessi rapporti tra gli ultraortodossi e il resto della società ebraica. Gideon Aran, professore emerito di sociologia e antropologia all’Università ebraica di Gerusalemme è uno dei maggiori esperti di Zaka, allo studio della quale ha dedicato anche il suo ultimo libro intitolato The cult of dismembered limbs (Oxford University Presa 2023), in italiano Il culto degli arti smembrati. Secondo Aran, attraverso il loro operato a contatto con il sangue delle vittime, i membri di Zaka intenderebbero conferire al disumano una dimensione di sacralità che richiama quella delle mansioni sacerdotali intorno ai sacrifici all’epoca del Santuario. Accanto agli aspetti teologici e mistici connessi al culto del sangue e della morte, Aran spiega inoltre come le scrupolose procedure di Zaka, rispetto alla raccolta e ricomposizione di resti umani, abbiano contagiato l’esercito e penetrato la società divenendo parte dell’ethos nazionale al punto da venir sfruttate anche dai nemici di Israele quale merce di scambio nelle trattative.

Infine potremmo dire che sino ad oggi, proprio il contributo di Zaka alla società allargata ha fornito una sor-

Gaza delle genti, Cristiano Raniero La Valle, Bordeaux, 2024. Esiste la possibilità di una reazione a catena. Questo è lo scenario paventato da Cristiano Raniero La Valle (già direttore del quotidiano cattolico italiano «Avvenire»). Il quale, per anticipare ai lettori fin dalla copertina questo potenziale effetto domino, ha sottotitolato il suo libro Israele contro Israele. Perché? Perché crede che i problemi (o rischi) in gioco nell’attuale conflitto israelo-palestinese siano tre.

Primo: il genocidio degli arabi nella Striscia di Gaza. Secondo: il diffuso stato di angoscia dell’opinione pubblica mondiale, inorridita dal massacro di Gaza (visto come intollerabile ed esecrabile) potrebbe travolgere Israele. Quindi l’efferata reazione israeliana ai brutali attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre è un errore epocale anche sotto un altro punto di vista: quello strategico e politico.

Terzo: l’autore teme che l’immagine dello Stato di Israele si proietti sulla religione ebraica nella sua totalità (cioè sugli ebrei pacificamente residenti nei vari Paesi del mondo, che potrebbero essere a loro volta travolti da una nuova esplosione di antisemitismo).

Come cristiano interessato al dialogo interconfessionale, l’autore sembra particolarmente angosciato da quest’ultimo aspetto dell’incombente triplice disastro (in varie occasioni, Cristiano Raniero La Valle ha infatti definito gli ebrei come «fratelli maggiori»).

ta di alibi agli ultraortodossi rispetto alla tanto contestata esenzione dal servizio di leva obbligatoria di cui godono da decenni con la protezione dei Governi di turno. Tuttavia le cose potrebbero cambiare dopo che, con un’Ordinanza provvisoria, la Corte suprema israeliana ha stabilito che da lunedì primo aprile Israele cessa di finanziare lo studio presso le Accademie talmudiche per gli studenti di età compresa tra i 18 e i 26 anni, ovvero eleggibili per la leva. Si tratta di una decisione drammatica che sconvolge uno status quo che, tra le altre cose, ha garantito sino ad ora al Governo Netanyahu l’appoggio dei partiti ultraortodossi attualmente furibondi per essere caduti in una trappola tesa dai giudici liberali nella speranza di far cadere il Governo più disgraziato della storia del Paese.

Israele ha cessato di finanziare lo studio presso le Accademie talmudiche per gli studenti tra i 18 e i 26 anni, ovvero eleggibili per la leva

Benché non vengano ancora presi provvedimenti effettivi contro chi non risponde all’invito della cartolina, i rabbini più conservatori gridano allo scandalo. La società ultraortodossa, in particolare quella ashkenazita di traduzione lituana, continua infatti a vedere nello studio della Torà l’unica occupazione degna per gli uomini e fonte di garanzia dell’incolumità dell’intero popolo ebraico. I giochi non sono affatto conclusi, ma dal 7 ottobre molti degli equilibri che hanno caratterizzato la società ebraica israeliana negli scorsi decenni sembrano destinati a modificarsi se il Paese vuole superare la tremenda crisi che sta attraversando.

Passando dall’attualità all’analisi storica, l’autore spiega come l’ultimo anello della potenziale reazione a catena si colleghi ai precedenti anelli. Israele, si legge, si definisce uno Stato ebraico che rivendica un’identità ebraica. Esso ha infatti cambiato natura nel 2018, quando Benjamin Netanyahu ha stretto un’alleanza con i partiti più estremisti del Paese, definendo, con la Legge fondamentale, una nuova natura dello Stato. Il quale è diventato lo Stato-Nazione del popolo ebraico, con un diritto esclusivo all’autodeterminazione (sovranità e diritti politici) per gli ebrei. Lo stato è etnico, è quindi espressione della terra di Israele, non viceversa. In realtà, nota l’autore, dentro lo Stato di Israele ci sono anche altre etnie, ora ridotte all’inesistenza politica, non riconosciute. Da qui l’idea del Governo che i palestinesi non solo debbano essere sottomessi, ma che non debbano nemmeno esistere, né politicamente né fisicamente. Quindi gli insediamenti illegali ebraici nei territori occupati della Cisgiordania sono difesi e favoriti dallo Stato. (Lo stanziamento di 700’000 coloni israeliani rende il tessuto palestinese una pelle a macchia di leopardo, determinando l’impossibilità di una vita autonoma araba e della soluzione politica nota come «due popoli per due Stati»). Tutto questo, insiste l’autore, rende la formula «Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente» qualcosa di stanco e di abusato. Infine c’è la pretesa che lo Stato ebraico avrebbe una sua competenza su tutto l’ebraismo mondiale. Questo è, secondo l’autore, un fatto unico: un Paese che rivendica una propria competenza su una parte della popolazione di altri Stati del mondo è un fatto inedito. L’unica via d’uscita? La riconciliazione. Naturalmente l’augurio è che moderazione e ragionevolezza prevalgano, ma i due fronti non sembrano essere attualmente guidati da gente disposta a un simile passo.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 8 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 23
di Paolo A. Dossena
Fra i Libri
Membri di Zaka e delle forze di sicurezza israeliane trasportano il corpo di un attentatore palestinese nel pressi dell’insediamento cisgiordano di Ma’ale Adumim, alla fine di febbraio 2024. (Keystone)

1

Taglieri e cucchiai di legno

Tutti gli utensili in legno sopportano male la lavastoviglie. L’acqua calda li deforma e può anche generare crepe.

2

Caraffe e tazze termiche

Questi contenitori tengono ben calde bevande e zuppe perché sono dotati di doppia parete e chiusura sottovuoto. Gli acidi e gli alcali contenuti nel detersivo corrodono però le guarnizioni di gomma con conseguente malfunzionamento della chiusura.

3

Padelle con rivestimento antiaderente

Con il tempo nella lavastoviglie il rivestimento può staccarsi e il cibo da cuocere o friggere si attaccherà sul fondo della padella.

4

Coltelli affilati

I coltelli costosi con la lama affilata come una spada da samurai sono spesso l’orgoglio di cuoche e cuochi provetti. Gli acidi e gli alcali del detersivo nonché le minuscole particelle di ruggine presenti nell’acqua calda li smussano.

Cosa non devi assolutamente mettere nella lavastoviglie

La lavastoviglie ci sostituisce nella fastidiosa incombenza di lavare i piatti, ma può anche rovinare preziosi utensili da cucina. Ti mostriamo cosa dovresti lavare a mano

Testo: Michael West

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Bicchieri di cristallo

Con i bicchieri di cristallo è meglio andare cauti. I forti getti d’acqua della lavastoviglie possono rompere gli steli spesso molto sottili di questi calici.

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Posate d’argento della nonna

Anche le forchette e i cucchiai in argento massiccio non vanno lavati nella lavastoviglie. Altrimenti il prezioso servizio di posate ereditato potrebbe annerirsi. Lo stesso vale per gli oggetti in alluminio, rame e stagno, che appunto tendono ad assumere una colorazione scura o a macchiarsi. La lavastoviglie è tutt’altro che delicata anche con i piatti di porcellana e terracotta dipinti a mano.

E per tutto il resto...

La maggior parte delle stoviglie si possono lavare senza problemi nella lavastoviglie. E questo anche in modo sostenibile: questo detersivo della Migros non contiene microplastiche né ingredienti di origine animale ed è biodegradabile al 97%.

Sotto la marca Nature Clean Migros offre prodotti per la pulizia sostenibili per ogni esigenza.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 8 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 24
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Il Mercato e la Piazza

Il perché delle differenze salariali

La pubblicazione della statistica sulla struttura dei salari per il 2022 ha sollevato quest’anno un interesse particolare. In ritardo rispetto all’evoluzione effettiva, non può dirci niente sull’andamento del potere di acquisto dei lavoratori durante l’ultimo biennio che, come si sa, è stato caratterizzato da un’impennata dei prezzi. Per avere queste informazioni dovremo aspettare ancora due anni. I dati appena pubblicati sono interessanti però perché ci consentono di conoscere l’evoluzione della struttura dei salari nel corso del periodo del Covid. Come i lettori ricorderanno, allora molte aziende furono obbligate a chiudere i battenti. Quali sono stati gli effetti di questo lockout (blocco) sui salari? La statistica citata ci informa che per l’insieme della Svizzera i salari bassi sono cresciuti nella stessa misura dei salari alti, mentre a perdere velocità sono stati, tra il 2020 e il 2022, i salari medi.

Affari Esteri

Altra costatazione: la differenza tra i salari degli uomini e quelli delle donne si è ridotta senza per questo sparire. Infine la statistica salariale indica che i lavoratori stranieri che non hanno competenze direttive si ritrovano nei livelli salariali più bassi. Sembrerebbe quindi che il modello «pane e cioccolata», dal titolo del film che Franco Brusati dedicò nel 1973 all’emigrazione degli stagionali, continui ancora a reggere, almeno in parte, i rapporti salariali tra lavoratori svizzeri e stranieri. Il Covid infine ha accentuato le differenze salariali tra le cinque grandi regioni del Paese, in particolare quelle tra il salario mediano ticinese e quello mediano nazionale. Nel 2018 e nel 2020, infatti, la differenza tra il salario mensile mediano del Ticino e quello nazionale era pari al 17,3 e 17,8%. Con il Covid questo divario è rapidamente aumentato e, nel 2022, è salito al 24,5%. Per quel che riguarda la crescita del sala-

rio, la pandemia di Covid ha dunque penalizzato di più i lavoratori occupati in Ticino rispetto a quelli attivi nelle economie degli altri Cantoni. Vedremo tra due anni se questo scarto verso l’alto del divario salariale è stato corretto verso il basso, o se invece rimarrà come eredità negativa del periodo pandemico. Così è molto probabile che il Ticino resti, anche nel futuro, la regione con i salari più bassi. Lo era in ogni caso nel 2022. Allora, mentre il salario mensile mediano della Svizzera toccava i 6788 franchi, in Ticino il salario mediano era di 5590 franchi: una differenza dunque di 1198 franchi. Tanti lavoratori occupati nell’economia ticinese considerano il divario salariale con il resto della Svizzera come una vera e propria ingiustizia. È come se, per il medesimo tipo di lavoro, a Baden o a Lucerna, per non parlare di Zurigo o Basilea, un lavoratore ricevesse un 20

Il futuro incerto di Ursula von der Leyen

Ursula von der Leyen è la presidente della Commissione europea ed è determinata a continuare a esserlo fino al 2029. Ma il suo futuro non sarà deciso dagli elettori che voteranno dal 6 al 9 giugno, bensì dai leader dell’Ue, i premier e i presidenti degli Stati membri, e dal Parlamento europeo. Un paio di mesi fa sembravano allineati, ora procedono in ordine sparso. E sparsissimi sono anche i suoi compagni di partito (Partito popolare europeo). All’inizio di marzo il congresso di Bucarest, che doveva essere l’incoronazione della Spitzenkandidatin, è stato tutto un mugugno. Su 737 delegati che avevano diritto di voto al Congresso del Ppe, solo 400 hanno votato per lei. Quasi la metà (il 46%) ha messo la croce sul «no» alla riconferma, si è astenuto o ha deciso di non votare. È stato Manfred Weber, conservatore tedesco e capogruppo del Ppe al Parlamento europeo, a insistere perché si votasse

Zig-Zag

al Congresso. La «conta» è stata deprimente per von der Leyen. Weber gongolava, perché nel 2019 doveva essere lui il presidente della Commissione europea, ma i leader scelsero al suo posto von der Leyen, appunto. Lo rifaranno? La risposta certa ci sarà dopo le elezioni, al primo Consiglio europeo di metà giugno: l’esito del voto, che sembra dominato dalle destre, condizionerà il resto. Ma alcuni meccanismi di fondo restano immutati, e uno è che francesi e tedeschi prendono le decisioni sulle nomine. Olaf Scholz, il cancelliere tedesco, ha detto che voterà von der Leyen: è una scelta di continuità e tutta tedesca, ma Scholz è un socialdemocratico, appartiene al gruppo politico europeo dei socialisti, che sì governano assieme ai conservatori, ma che hanno un loro Spitzenkandidat, Nicolas Schmit. Per di più la preferenza è stata formulata quando la strada di von der Leyen pareva liscia, cosa

Noi e i sentieri dei social

Credo che i lettori siano ormai abituati a seguirmi ogni tanto in quelle che sono state definite divagazioni, dedotte dai social (e dintorni) a conferma di un libero «modus operandi», cioè dello zigzagare immaginato per la rubrica. Partiamo.

ORWELL IN AGGUATO – Mio genero cambia auto: ne rottama una vecchia e ne compera un’altra di seconda mano. Chiedo lumi sull’acquisto e apprendo che è ibrida. Genero soddisfatto anche perché consuma meno e può ricaricare la batteria a casa. A questo punto, ricordando che sul tetto di casa ha un impianto fotovoltaico e visti i poco edificanti giochini che i gestori dell’elettricità stanno portando avanti sulla pelle di millanta cittadini (corrente in esubero pagata una «cialada», alla faccia di incentivi e sussidi sventolati), gli chiedo se può far capo anche alla sua produzio-

ne di elettricità. Risposta affermativa, con una precisazione: bisognerebbe pensare ad un accumulatore per lo stoccaggio delle eccedenze prodotte dal fotovoltaico. La cronaca sarebbe finita, ma poche ore dopo il colloquio riferito, arriva una aggiunta: Instagram mi recapita la pubblicità di un modernissimo accumulatore di energia elettrica con offerte che spaziano su vari modelli, ovviamente mirati alle esigenze dei potenziali interessati. Subito realizzo che in tanti anni di scrutamenti del flusso dei social mai mi era capitato di vedere offerte relative ad accumulatori di energia elettrica. Così invio una mail a mio genero per informarlo sia di queste offerte, sia del fatto che sto rivivendo una storia già collaudata a più riprese, riconducibile a un sempre meno casuale e surreale riferimento agli ascolti che le piattaforme social consentirebbero. Tempo mezz’ora e su Instagram

e rotti per cento di più di salario che non in Ticino.

La realtà è un’altra: anche se non si può escludere, specie nell’insegnamento e nella pubblica amministrazione, che per il medesimo tipo di lavoro si paghi, in Ticino, un salario mensile inferiore, la maggior causa del divario salariale è da ricercarsi nella diversa struttura di produzione dell’economia ticinese nei confronti dell’economia svizzera. Il problema delle differenze salariali tra le regioni è analogo a quello delle differenze salariali tra i sessi. Gran parte della differenza è dovuta alle differenze nella struttura dell’occupazione per rami. La statistica ci dice che, mentre nel ramo dei servizi finanziari in Svizzera nel 2022, il salario mensile mediano era superiore ai 10’000 franchi, nel ramo della ristorazione restava inferiore ai 5000. Vi sono quindi forti differenze nel salario mensile mediano da un ramo di produzione all’altro.

che ora non è più. Al contrario Emmanuel Macron, il presidente francese, non ha fatto dichiarazioni pubbliche, ma a metà febbraio aveva invitato von der Leyen all’Eliseo e l’incontro era stato interpretato come un patto: Macron avrebbe dato il suo consenso a riconfermare von der Leyen e le avrebbe chiesto di puntare la sua campagna elettorale sulla difesa europea, che è quello che stanno facendo anche i macroniani in Francia (non sta andando bene, i lepenisti hanno quasi il doppio dei consensi). Detto fatto: von der Leyen ha messo la difesa europea come priorità, scalzando il grande obiettivo del suo primo mandato, cioè il Green deal, ma appropriandosi di idee e piani che erano stati preparati dall’altro potente francese a Bruxelles, Thierry Breton, commissario per il Digitale, lo ha indispettito. È iniziata così una querelle a mezzo X (ex Twitter) non proprio edificante. Macron è ben

contento di giocare il ruolo del kingmaker, ma proprio come nel 2019 ha iniziato a dire che il meccanismo dello Spitzenkandidat è obsoleto, che la scelta deve essere coraggiosa e via dicendo. Anche Giorgia Meloni, premier italiana che ha costruito una buona intesa con la presidente della Commissione e che soprattutto fa parte di quelle destre che von der Leyen ha deciso di corteggiare, si muove fredda: non decidiamo oggi, si fa tutto dopo il voto. Intanto continuano a scoppiare piccoli scandali attorno a von der Leyen. I messaggi sms con i capi di Pfizer durante la commessa per i vaccini anti-Coronavirus sono oggetto di indagine; le nomine e i cosiddetti «piazzamenti» dentro l’apparato brussellese, pratica comune, vengono intercettati e denunciati con una certa insistenza; e via così. C’è anche una questione politica: il primo mandato verrà ricordato per la gestione del-

compare uno di quei meme che ho imparato a selezionare e ad archiviare. È in inglese e non potendo riprodurlo provo a tradurlo: «Mia moglie mi ha chiesto perché parlo a bassa voce in casa. Le rispondo di temere che Mark Zuckerberg possa essere all’ascolto. Lei ha riso, io ho riso, Alexa ha riso, Siri ha riso». Partendo da queste coincidenze, e confidando nell’editoriale dell’edizione del 26 febbraio del caporedattore Carlo Silini («Non ditelo alle macchine, ma siamo meglio noi»), mi chiedo se per me non sia giunto il momento di un corso accelerato sul neoluddismo.

L’ALTRO SENTIERO – C’è un gran struggimento per l’intelligenza artificiale. Molti sperano di capire cosa sia; più o meno tutti si chiedono se potranno trarne beneficio grazie a nuovi sviluppi. Nel contempo segnali ed esempi negativi continuano

Di conseguenza la regione nella quale la quota nell’occupazione dei rami di produzione con salari mediani bassi è elevata sarà anche una regione con un salario mensile mediano inferiore alla media.

Il Ticino ha una quota più alta di occupati nei rami di produzione con salari mediani bassi (sanità, edilizia, commercio al dettaglio, albergheria e ristorazione) rispetto alla media nazionale. Inoltre negli ultimi anni ha conosciuto, in seguito alla ristrutturazione del settore bancario, una riduzione significativa della quota di lavoratori nei settori ad alto salario. Nel prossimo futuro, purtroppo, queste caratteristiche della struttura dell’occupazione si rafforzeranno per la crescita dell’occupazione nel ramo della sanità, che è un ramo a bassi salari, e per la probabile ulteriore diminuzione dell’occupazione in quello dei servizi finanziari, che è un ramo a salari elevati.

la pandemia, l’unità trovata sulla difesa dell’Ucraina e il Green deal. Sulle ultime due strategie ha adottato, da ultimo, una dose di cautela. Ha diluito il processo di adesione dell’Ucraina all’Ue, rallentandolo, perché questa adesione è contestata con forza dagli agricoltori e dai partiti, come la Lega, che li sostengono dicendo: meno soldi per i carri armati e più per i trattori. Il Green deal invece è stato rimosso dalle priorità, nel manifesto del Ppe molte misure previste per la transizione ecologica sono state rimandate e tolte, comprese quelle sulle auto ecologiche entro il 2035. Von der Leyen ha quindi deciso di rimangiarsi un po’ di quello che è sembrato per lei cruciale negli ultimi 5 anni, ma così si è sfaldata la coalizione che l’aveva eletta nel 2019: i verdi non la voteranno, i liberali continuano a prendere le distanze da lei. Restano le destre: non tutte, chissà in che assetto, e con quali compromessi.

ad alimentare timori e dubbi di fondo che toccano soprattutto il futuro del mondo dell’editoria e del giornalismo. Leggendo di come i progressi nella ricerca per l’intelligenza artificiale si siano un po’ arenati ho ritrovato questo passaggio, tolto da Le vespe di Aristofane, vivo e utile anche dopo oltre due millenni: «Sostenete quelli che cercano di farvi sentire qualcosa di diverso e conservate i loro pensieri: riponeteli in cassapanca come le mele cotogne, così i vostri panni odoreranno di intelligenza tutto l’anno». Ecco, ho pensato, forse anche l’intelligenza artificiale deve cercare cassapanca e mele cotogne per acquisire anche una memoria artificiale e «odorare di intelligenza».

ARTE MODERNA – Mi trovo alle prese con due pareri riguardanti l’arte. Il primo è comparso in una discussione concernente il limite dei

tweet ai famosi 140 caratteri (si sosteneva che quando c’era il limite, cioè prima che arrivasse Musk con la sua X truffaldina e losca, il carattere colloquiale fosse prevalente e tenesse alla larga hater e acrobati dei fakes). Un partecipante poneva la seguente domanda: anche i tweet possono essere arte? Lapidaria la risposta di uno dei primi interlocutori: «Ah, certo: anche con gli stuzzicadenti si può fare arte». La seconda definizione è invece firmata dal critico d’arte ed editorialista Jerry Saltz, e mi arriva come una carezza al cuore: « Making art is like trying to photograph perfume » (ovvero fare arte è come cercare di fotografare un profumo). Mi domando se un giorno i cervelloni di X – o per loro gli sciamani degli algoritmi – capiranno che sono questi i post da privilegiare e non quelli pilotati da interessi commerciali o complotti politici.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 8 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 25 ATTUALITÀ / RUBRICHE ◆ ●
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Crostini con asparagi e fragole

Aperitivo per ca. 12 pezzi

12 fette di pane di ca. 10 g ciascuna , ad es. baguette del forno di pietra

300 g d’asparagi verdi

1 cucchiaio d’olio di girasole

250 g di fragole

150 g di formaggio fresco al pepe, ad es. Cantadou ai 4 pepi

3 cucchiai d’aceto di vino bianco

3 cucchiaini di miele liquido fleur de sel pepe dal macinapepe

1. Tostate le fette di pane in una padella, senza aggiungere grassi, ca. 2 minuti per lato, finché si dorano, poi toglietele dalla padella e lasciatele raffreddare.

2. Pelate gli asparagi nel terzo inferiore del gambo e spuntateli. Dimezzateli per il lungo e tagliateli a tocchetti di 4 cm. Scaldate l’olio e rosolateli a fuoco medio, finché risultano morbidi ma ancora croccanti.

3. Tagliate le fragole a metà. Spalmate il formaggio sulle fette di pane tostate. Distribuite le fragole e gli asparagi sul formaggio. Irrorate con l’aceto e il miele e condite con fleur de sel e pepe.

Un’accoppiata acre e fruttata

Asparagi e fragole non potrebbero essere più diversi, ma le bacche dal sapore dolce e fruttato si sposano perfettamente con i lunghi gambi

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 8 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 26
Ricetta
SAPORI DI STAGIONE Asparagi

Asparagi in insalata con dressing alle fragole

Gli asparagi verdi incontrano le fragole e il formaggio di capra caramellato e danno vita a un piatto ricco di sapori primaverili. Qualche fetta di pane e la cena è servita.

Perché asparagi e fragole si sposano così bene?

L’abbinamento di asparagi e fragole è un ottimo esempio di come due ingredienti apparentemente diversi si sposino perfettamente. Cinque motivi a favore di questo accostamento primaverile.

La stagione

Fortunatamente, entrambi raggiungono il loro apice in primavera, portando finalmente più freschezza nel piatto dopo i lunghi mesi invernali.

2 Il sapore

Il gusto delicato e leggermente terroso degli asparagi si abbina molto bene con la dolcezza aspra della fragola. Aggiungi un po’ di sale e pepe e la combinazione creerà un’esplosione di sapore in bocca.

3 La struttura

Il morbido ama il croccante. Ecco perché la fragola morbida si sposa così bene con gli asparagi croccanti.

Insalata verde con asparagi, fragole e biglie di formaggio di capra

Nastri di asparagi, fragole e biglie di formaggio di capra avvolte in un trito pistacchi e fiori su un letto di lattuga creano una gustosa composizione.

4 La versatilità

Entrambi gli ingredienti sono ottimi crudi, grigliati, arrostiti o cotti al vapore. Sono ugualmente adatti per antipasti, piatti principali e dessert.

Last but not least Il colore. Quello che c’è nel piatto deve essere un piacere anche per gli occhi. E il verde brillante degli asparagi e il rosso succoso delle fragole vincono su tutta la linea!

Infine, ma non per questo meno importante, resta da chiedersi cos’altro si possa servire insieme a questi ingredienti. Se non ti accontenti di sale, pepe e un buon olio d’oliva, accompagna gli asparagi e le fragole con un formaggio cremoso come la burrata, la mozzarella o la feta. Servito con cracker croccanti o grissini, l’insieme assicura tutto il gusto della primavera.

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Come si finanziano i podcast?

Il loro ascolto è in crescita ma spesso i contenuti audio sono gratuiti. Sorge spontanea la domanda: come si finanzia la produzione?

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Con Steps la danza torna protagonista

Il 28 aprile con la compagnia Kidd Pivot apre al LAC la tappa ticinese del Festival di danza contemporanea del Percento culturale Migros

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L’eredità musicale di Kurt Cobain

L’8 aprile del 1994 il frontman dei Nirvana veniva ritrovato in casa senza vita. Un ricordo del personaggio, dei suoi eccessi e della sua musica

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La potenza del segno di Gianni Realini

Mostre ◆ Lo Spazio Officina di Chiasso ospita la prima antologica dell’artista ticinese con le sue molteplici mutazioni

Il percorso artistico di Gianni Realini non si può certo definire semplice e lineare. Anzi, quello dell’artista ticinese è stato un tragitto articolato, espressione di un’attitudine alla ricerca continua e alla costante messa in discussione dei risultati raggiunti. Realini, classe 1943, appartiene infatti a quella categoria di pittori che non si adagia su una cifra stilistica comodamente fissata in un’identità stabile e invariata. È un artista che sin dagli esordi ha sempre cercato il raffronto con tutto ciò che avveniva intorno a lui, per poter cogliere, nel fitto intreccio di possibilità, ciò che gli era più affine e che gli poteva fornire una spinta al cambiamento.

La formazione in Ticino nel solco del figurativismo, l’esperienza parigina segnata dall'interesse per Picasso e Giacometti, la curiosità nei confronti della Pop Art, l’avvicinamento all’Espressionismo astratto e all’Action Painting sono le tappe di un tracciato contraddistinto dalla volontà, e dal bisogno, di spaziare con lo sguardo verso differenti scenari artistici locali e internazionali per relazionarsi con loro e lasciarsi suggestionare senza pregiudizi.

Il suo cammino ci restituisce l’immagine di un artista che ha sempre avvertito l'esigenza di scrutare la natura e l'uomo

A confermare l’indole curiosa e sperimentatrice di Realini sono altresì le diverse tecniche a cui egli si è dedicato, la pittura in primis, declinata anche nell’arte ambientale, la grafica e, in tempi recenti, la scultura: un universo variegato attraverso cui l’artista riesce a mettere a punto un linguaggio che, seppur alimentato da molteplici stimoli, è riuscito a trovare il suo sbocco personale, la sua dimensione autonoma, scaturita dalla capacità di Realini di filtrare intellettualmente ogni cosa per avvicinarla al proprio modo peculiare di interpretare la realtà.

Il suo cammino ci restituisce dunque l’immagine di un artista che ha sempre avvertito l’esigenza di scrutare la natura e l’uomo. Perché ciò che contraddistingue il lavoro di Realini è proprio l’idea di armonizzare, quasi di fondere insieme, l’elemento oggettuale e quello umano, guardando dentro l’uno e l’altro senza fermarsi alle apparenze. È così che l’artista intesse racconti pittorici dove figura e paesaggio non sono mai assenti, seppur spesso quasi completamente dissolti nello slancio del segno e nel magma del colore. Nell’energia gestuale e cromatica delle sue opere Realini racchiude il suo intento di trasformare il tan-

gibile in un sentimento poetico. Natura e spazio diventano un tutt’uno con l’uomo dando vita a composizioni in divenire animate da forze, pesi e tinte contrastanti che vivificano la superficie della tela. E proprio da questa dialettica l’artista riesce a generare narrazioni dall’atmosfera sospesa, dove i conflitti e le tensioni tra i diversi elementi si placano e vengono ricondotti a unità ed equilibrio. È come se i suoi lavori sfidassero il caos per poi riuscire a domarlo. E difatti quando, dopo aver osservato i dipinti, leggiamo i loro titoli, troviamo la conferma di come Realini abbia innescato una sorta di passaggio dal tumulto alla quiete, dove termini come «silenzio», «attesa», «pausa» o «presenza discreta» ci parlano di una pace inseguita e raggiunta.

Il mezzo secolo di ricerca e di attività creativa di Gianni Realini viene testimoniato allo Spazio Officina di Chiasso da una rassegna che raccoglie oltre cento opere tra grafiche, dipinti, sculture e gouache e che si presenta come la prima antologica dedicata all'artista ticinese. La particolarità della mostra, sviluppata secondo un criterio tematico e cronologico insieme, è l'aver proposto al pubblico la produzione grafica di Realini, finora mai esposta.

Proprio con la sezione grafica si apre il percorso chiassese, documentando uno strumento espressivo che Realini affronta a partire dagli anni Novanta, quando è giunto già alla sua maturità artistica, e a cui si affida per sviluppare nuove riflessioni sulla pittura e per conquistare quella gestualità che gli permette poi di risolvere un quadro. Dall'incisione diretta, come la xilografia su legno e il bulimo su rame, Realini passa alla litografia, all'acquaforte, all'acquatinta e soprattutto alla puntasecca, quest'ultima la sua prediletta.

Grazie alle preziose collaborazioni con Gianstefano Galli e il suo laboratorio di stampe d’arte a Novazzano, con Egiziano Piersantini a Urbino e con Manlio Monti a Locarno e poi a Vattagne, Realini utilizza le tecniche incisorie sempre più di frequente raggiungendo esiti di grande raffinatezza.

Nell’opera grafica si ritrovano le medesime sperimentazioni estetiche attuate dall’artista in ambito pittorico, cosicché incisione e pittura diventano per Realini due modalità espressive che si influenzano a vicenda, due mondi uniti tra loro da una comunanza d'intenti. Il dinamismo, la gestualità astratta e l’indagine della luce caratterizzano difatti questi lavori, avvicinandoli ai dipinti anche nell’esplorazione formale tesa alla rappresentazione dell’uomo, sebbene, come sempre, la figura umana venga solo abbozzata affinché possa

essere avvertita, più che rintracciata. Dopo questo incipit ci si avventura nella produzione pittorica di Realini, dove la tempra del segno e il magnetismo cromatico diventano i protagonisti assoluti: il segno traccia linee e forme nello spazio che sembrano fluttuare liberamente ma che in realtà seguono una trama ben precisa, mentre il colore affiora gradualmente fino a erompere in tutta la sua intensità, partendo dal bianco e dal nero per poi arricchirsi delle tinte primarie.  Incontriamo così le prime opere degli anni Sessanta ancora legate al figurativismo, le tele del periodo parigino in cui l’artista saggia gli stimoli scaturiti dall'incontro con la contemporaneità e i lavori che tradiscono l’attrazione, seppur breve, per la Pop Art, di cui Realini propone una versione edulcorata e adattata al clima europeo (basti guardare Exit, del 1972).

Ecco poi i dipinti che documentano l’adesione dell’artista all’Espressionismo astratto e che vedono Realini, in un primo momento, debitore della pittura di stampo informale di Emilio Vedova. In questo periodo nascono tele, spesso di grande formato, caratterizzate dall’affrancamento da ogni residuo figurativo: il segno è immediato, le pennellate vigorose e i colori vitali. Interessante in questo senso è l’opera Figura in scorcio, datata 1985, esposta in mostra a indicare una sorta di linea di demarcazione nell’attività dell’artista. Quando sul finire degli anni Novanta, complici i soggiorni a Minneapolis e a New York, Realini entra in contatto con l’Action Painting di Jackson Pollock e soprattutto di Willem de Kooning, la sua pittura subisce un nuovo cambiamento. Le pennellate si fanno ancora più libere e l’utilizzo del giallo,

del rosso e del blu risulta prevalente. Anche i lavori degli anni più recenti testimoniano la passione tenace di Realini per la sperimentazione. Del 2021 sono i suoi Menhir, sculture in legno che vedono l’artista confrontarsi con la terza dimensione, e del 2023 sono i suoi dipinti eseguiti con tempera acrilica. Esodo (nella foto) è uno di questi: una tela lunga più di sette metri con cui Realini, a ottant’anni, riesce ancora ad avvincere con la forza del gesto e del colore. E a dare un approdo alle tensioni che si agitano dentro e fuori dall’uomo.

Dove e quando Gianni Realini. Fra arte e grafica. Spazio Officina, Chiasso. Fino al 28 aprile 2024. Orari: martedì - domenica

CULTURA ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 8 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 29
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Chi finanzia i podcast?

Analisi ◆ Boom di ascolti ma pochi finanziamenti per la realtà dell’audio

Nuovi progetti, un pubblico sempre più numeroso ed entusiasta, un crescente interesse da parte di scuole, festival e appuntamenti specifici: il podcast e la narrazione audio vivono un momento di grande vivacità. Eppure non abbiamo l’abitudine di pagare per fruire di questi prodotti. Resta quindi aperta una grande questione: come finanziare tutto questo?

Attualmente sono rari i fondi specifici destinati all’audio e anche nel nuovo Messaggio sulla cultura, che definisce l’orientamento strategico della politica culturale della Confederazione per il periodo 2025-2028, non si fa menzione del finanziamento a questo settore. Nonostante le richieste avanzate dalle associazioni di categoria, sembra che il sostegno al mondo della cultura audio non sia stato preso in considerazione.

Le radio pubbliche e private, sottoposte alla necessità di limitare le spese, si trasformano in radio di flusso, con sempre meno risorse per produrre contenuti elaborati

Un problema che Pascal Nater, pluripremiato autore di podcast, radiodrammi, nonché giornalista e cabarettista svizzero, conosce bene: «Per il mio ultimo progetto ho ricevuto soltanto il supporto di una radio locale e qualche piccolo sostegno da alcune fondazioni, che mi hanno permesso di coprire le spese vive e di retribuire il compositore»

Pascal, classe 1984, opera come freelance nel suo studio situato a Suhr, nel Canton Argovia. Tra le sue opere più interessanti spicca il podcast intitolato Die Giftmörderin von Suhr, in cui racconta la misteriosa storia di una veggente argoviese condannata all’ergastolo nel 1929 per aver avvelenato alcuni anziani del paese. Il podcast è frutto di un’attenta ricerca e di numerose interviste condotte con i discendenti delle persone coinvolte, rintracciati sul territorio. «Tuttavia –aggiunge l’autore – gran parte del mio lavoro è stato realizzato a titolo gratuito; sono riuscito a remunerarmi soltanto per due dei nove mesi impiegati per questo progetto».

Le radio pubbliche e private, sottoposte alla necessità di limitare le spese, si trasformano in radio di flusso, con sempre meno risorse per produrre contenuti elaborati e complessi che necessitano di grande impegno per ricerca, registrazione e postproduzione: anche la SSR produce limitatamente prodotti di questo tipo. D’altra parte, le piattaforme commerciali non sono particolarmente incentivate a investire in un mercato relativamente piccolo e eterogeneo come quello svizzero: il trilinguismo e la dimensione limitata dell’utenza non giocano a favore della produzione locale su queste piattaforme: «In Francia e in Belgio esistono programmi di finanziamento statali per opere audio prodotte in modo indipendente» afferma Pascal «ed è un bene, perché l’audio fa parte della cultura e contribuisce alla coesione di un Paese. Può anche far riscoprire alle giovani generazioni aspetti dimenticati della nostra cultura e della nostra comunità».

Esperienza molto simile anche quella di This Wachter, classe 1966, professionista dell’audio con un passato di giornalista nei media cartacei e nella radio SRF. Oggi di casa a Berna, realizza opere audio, spesso con un taglio documentaristico, che stanno al confine fra arte e giornalismo e che più volte sono state premiate negli Swiss Press Award. Uno dei suoi ultimi lavori è 8424 Züri West la storia quarantennale della rivoluzionaria rock band bernese raccontata in un podcast musicale in sei episodi. Nonostante il buon successo di pubblico e di critica, anche questo podcast non è stato un successo dal profilo economico: in parte finanziato dal management della band, ha richiesto un grande investimento da parte dell’autore: «Il finanziamento è molto imprevedibile, a volte si riesce a convincere una fondazione a sostenere un podcast, ma questo avviene principalmente su progetti interdisciplinari. Per esempio quando l’audio è legato ad uno spettacolo teatrale o accompagna un’esposizione d’arte. Per l’audio “puro” non c’è quasi nulla». Senza adeguati finanziamenti, c’è il rischio concreto che gli autori e le autrici siano costretti all’auto-sfruttamento. E se questa può essere una soluzione transitoria, nel lungo periodo l’effetto collaterale è il deterioramento

La forza dei racconti

Pubblicazioni ◆ Nella raccolta di Adelphi c’è tutta la scrittura elusiva e perfetta della Mansfield

Grosso modo fino al Romanticismo, il racconto è stato la misura «naturale» della prosa narrativa. Che i confini di questa modalità primigenia di affabulazione siano da sempre sfumati lo dicono i non pochi sinonimi: narrazione, fiaba, novella, apologo, parabola, storia, aneddoto… Quanto alla sua lunghezza, se si volessero fissare i confini il primato della brevità (tanto estrema da consentire di trascrivere integralmente i testi) potrebbe andare a Il dinosauro del guatemalteco Augusto Monterroso («Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì.») e al cosiddetto Annuncio economico di Hemingway («Vendesi scarpe per bebè. Mai usate.»). Casi limite, si dirà. Al polo opposto invece…non c’è limite. Tra i maggiori non si possono non citare Boule de suif di Maupassant e I morti di Joyce. L’uso invalso nella scuola media, invece, prescrive razioni di non meno di due pagine e non più di quattro, misura idonea per infliggere agli allievi i relativi apparati didattici sull’arco di due ore.

della qualità delle produzioni. Perché anche nel settore audio, la creazione di contenuti di qualità richiede risorse significative: è essenziale compensare adeguatamente la professionalità e l’esperienza necessarie per svolgere questo lavoro in modo efficace. «La cultura della gratuità ci rende la vita difficile – afferma This. Anche se è bello per gli ascoltatori poter accedere gratuitamente alle opere audio, per i professionisti del settore questo è un problema: non ci sono guadagni, nemmeno se qualcuno ha sottoscritto un abbonamento. Non riceviamo denaro dalle piattaforme, i numeri in Svizzera restano troppo bassi». Tutti questi motivi hanno spinto This, Pascal e molti altri professionisti dell’audio in Svizzera a consorziarsi in un gruppo battezzato con l’evocativo nome di eCHo – rete per la cultura sonora. L’associazione, che mette in rete persone che si occupano della tecnica, autori e autrici, ha lanciato l’ambiziosa campagna 1 milione per la creazione sonora. Si vuole chiedere alla Confederazione di riconoscere a pieno titolo l’audio come disciplina artistica e quindi di provvedere a fornire degli adeguati strumenti di finanziamento. Nonostante gli annunciati tagli a livello nazionale sulla cultura, secondo This Wachter questa cifra non è fuori scala: «Un milione di franchi rappresenterebbe solo lo 0,4% di quanto la Confederazione spende ogni anno per la cultura: è una richiesta modesta considerando che viviamo in un Paese plurilingue. Sarebbe però un primo passo significativo per promuovere in modo sostenibile le creazioni audio. È anacronistico non considerare anche la narrazione audio fra le opere culturali da sostenere».

È dello stesso avviso Pascal: «Con un milione di franchi potremmo sostenere almeno trenta opere l’anno, consentire agli autori di fare ricerca, trascorrere il tempo necessario in studio e seguire una formazione continua, incoraggiare lo scambio attraverso i confini linguistici svizzeri e rafforzare la scena con la creazione di un’associazione professionale ben strutturata».

Autori e autrici audio provano a far rumore per far sentire la loro voce: e se attraverso i podcast sempre più persone li stanno a sentire, chissà se saranno ascoltati anche dalla politica.

so volle che scoprisse i racconti di Čechov, opera-spartiacque per chiunque si accinga all’impresa di scrivere racconti. E di Čechov divenne l’unica erede riconosciuta.

Il valore di un racconto deve spiccare fin dalle prime righe, perché non c’è tempo di tergiversare come fa – per altro magistralmente – Musil nell’Uomo senza qualità. In ciò la Mansfield è maestra poiché vari suoi racconti iniziano in medias res e con ellissi, sottraendo cioè un necessario dato informativo al lettore, che così viene catturato all’istante: «E poi il tempo era ideale» (Garden-party); «La settimana successiva fu una delle più indaffarate della loro vita» (Le figlie del defunto colonnello); «Il mattino dopo scesero a colazione esattamente come fossero gli stessi di sempre» (Vedova).

In area italiana, dopo gli esempi memorabili del Sacchetti, del Bandello e soprattutto del Boccaccio, la forma-racconto non ha avuto grande successo. Verga è annoverato tra le poche luminose eccezioni, mentre il quasi ignoto Amore e ginnastica di De Amicis era prediletto da Calvino, che lo considerava il più bel racconto italiano dell’Ottocento. Per contro la produzione torrentizia di Moravia (La Capria lo chiamava «impiegato della scrittura») all’epoca poteva contare su un presenzialismo editoriale asfissiante, mentre oggi è fin troppo dimenticata.

A ogni modo, sul perché si scrivano racconti c’è una gustosa testimonianza di Raymond Carver. Nella caserma in cui svolgeva servizio militare aveva notato una stanzetta inutilizzata attigua al comando. All’interno vi erano solo un tavolo, una sedia e una macchia per scrivere. Un giorno, per vincere la noia delle lunghe ore di inattività entrò nella stanza, infilò un foglio nel carrello e si mise a pigiare i tasti. Di certo il timore di veder interrotto quell’illecito passatempo dovette indurlo a preferire la misura breve. Fu l’inizio della sua carriera, raro esempio di scrittore sprovvisto di un lungo apprendistato come lettore.

Diverso il caso della Mansfield. I viaggi in Europa dalla natia Nuova Zelanda e la necessità di cure per la tisi la portarono a ripetuti soggiorni nelle stazioni termali del continente, istituzioni allora ben fornite di libri e dove non mancavano mai un salone per la lettura e uno per la musica. In una di queste (a Wörishofen, in Baviera) il ca-

Il racconto che dà il titolo alla raccolta è uno dei più notevoli ed è desunto da una poesia di Coleridge. Vi si ammira la capacità della scrittrice di penetrare la psicologia dei protagonisti maschili, dei loro pensieri, facendoli agire con grande verosimiglianza, compresi gesti, posture ed espressioni tipicamente virili. Ma se c’è qualcosa di irriducibilmente femminile in questi racconti è l’«educazione sentimentale» che nobilita l’animo dei personaggi. Pagine abitate da uomini che amano le donne, ma che insieme conoscono l’arte del corteggiamento.

Giorgio Manganelli con la sua penetrante e un po’ esoterica leggerezza ci spiega che Mansfield «scrive avendo in mente una sorta di perfezione; una scrittura elusiva e perfetta, così illusionistica da apparire spietata». Anche badando alle date (la prima pubblicazione in volume dei racconti è del 1911), Manganelli vuole dirci che a quell’epoca lo scrutinio dei sentimenti non era ancora scaduto a sentimentalismo, che la descrizione dell’inizio di un amore è un motivo degno degli scrittori più raffinati. Pochi come la Mansfield hanno infatti raccontato con tale intensità e spessore quel crogiolo dove si fondono esistenza e sentimento.

Ma questi racconti si possono anche leggere inseguendo la miriade di riferimenti botanici (nella foto un giardino inglese) sparsi nelle pagine dalla scrittrice neozelandese. Una sensibilità che riflette un clima culturale raffinato, testimoniato anche dall’opera di Gertrude Jekyll, la creatrice di giardini che impose al mondo il design floreale inglese.

Bibliografia

Katherine Mansfield, Qualcosa di infantile ma di molto naturale. Tutti i racconti, Adelphi, Milano, 2023.

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«Vogliamo portare la danza in tutta la Svizzera»

Spettacoli ◆ Steps, il Festival di danza contemporanea del Percento culturale Migros, arriva in Ticino il 28 aprile

Natascha Fioretti

Crystal Pite, coreografa e ballerina canadese che con le sue opere incarna lo spirito del nostro tempo, definita sul «Guardian» da Lyndsey Winship «il genio della danza che mette in scena l’impossibile», sarà presto sul palcoscenico del LAC con il nuovo spettacolo Assembly Hall, fresco del debutto londinese il 23 marzo scorso, firmato dalla sua compagnia di teatro-danza contemporanea Kidd Pivot che vede protagonista anche l’attore Jonathon Young.

L’occasione eccezionale di averli in Ticino è data da Steps, il Festival di danza contemporanea creato e promosso dal Percento culturale Migros che tra qualche settimana tornerà ad animare i teatri di tutta la Svizzera con la sua programmazione di respiro internazionale. Si parte il prossimo 24 aprile al Kurtheater di Baden nel canton Argovia con lo spettacolo Story, story, die del coreografo norvegese Alan Lucien Øyen e della sua compagnia winter guests, poi il viaggio continua in tutto il Paese fino al 19 maggio. Diverse anche le tappe importanti nella Svizzera italiana che vedranno protagonisti i palcoscenici del LAC, del Teatro Sociale di Bellinzona, del Cinema Teatro di Chiasso e delle palestre comunali di Poschiavo.

Per entrare nel vivo della manifestazione abbiamo chiesto a chi vi ha dedicato lavoro e attenzione studiando sin dall’inizio tutti i vari aspetti della programmazione. Selina Beghetto, drammaturga di formazione, è co-curatrice del Festival insieme ai colleghi e ballerini Marine Besnard e Frank Fannar Pedersen, lei ginevrina, lui di origine islandese. «Vogliamo portare la danza in tutta la Svizzera» mi dice subito Selina mettendo in luce i punti cardine che animano il lavoro dietro le quinte. «Siamo tutti e tre intorno ai 35 anni, abbiamo background differenti e questa è la prima edizione alla quale abbiamo lavorato insieme. Il confronto e la discussione

sono state alla base delle nostre scelte nate in risposta a domande come: cosa ci piace? Cosa riteniamo importante? Chi vorremmo ascoltare, quale voce? Quali storie hanno qualcosa da dire?».

Così, nella Svizzera italiana avremmo il piacere di vedere la compagnia canadese Kidd Pivot (il 28 aprile al LAC) che con Assemby Hall – tra movimento e linguaggio, umorismo e creatività – esplora il bisogno umano di comunità e appartenenza; il duo giapponese formato da Saburo Teshigawara e la sua musa Rihoko Sato che reinterpretano a modo loro la tragedia wagneriana di Tristano e Isotta (il 12 maggio al Cinema Teatro di Chiasso); la compagnia belga Anton Lachky (il 10 e 11 maggio nelle palestre comunali di Poschiavo, il 15 maggio al Teatro Sociale di Bellinzona) con lo spettacolo Gli altri in cui quattro personaggi vivono in uno strano mondo isolato dalla realtà (nella foto uno dei danzatori in scena); infine la compagnia elvetica Arts Mouvementés for Families con Yasmine Hugonnet che per l’occasione ha rielaborato la sua pièce Les Porte-Voix –Cabaret Ventriloque mettendo in scena un cabaret danzante in cui esplora la misteriosa arte del ventriloquio.

Se dovessimo pensare a delle caratteristiche che immediatamente ci danno la misura e il polso dell’edizione di Steps di quest’anno, potremmo pensare alla qualità, all’alto profilo delle compagnie coinvolte, al coinvolgimento dei giovani e delle famiglie nel programma, e al respiro internazionale. Selina aggiunge altre tre parole che stanno particolarmente a cuore a Steps e al Percento culturale Migros e sono: «sostenibilità», «diversità» e «inclusione». «L’attenzione e la salvaguardia dell’ambiente sono alla base della programmazione. Facciamo in modo che le compagnie provenienti da lontano non arrivino esclusivamente per noi. Invitiamo e suggeriamo chi si muove su suolo

Con «Azione» a Steps

«Azione» e Steps mettono in palio alcuni biglietti per i seguenti spettacoli in programma in Ticino: 28.04

Assembly Hall al LAC, 12.05 Tristan&Isotta al Cinema Teatro di Chiasso, 14.05 Les Porte-Voix – Cabaret Ventriloque al LAC e il 16.05

Gli altri al Teatro Sociale di Bellinzona. Per partecipare al concorso basta scansionare il codice QR in basso e compilare il form che si aprirà online indicando la vostra preferenza entro il 15 aprile 2024.

Codice QR

Per il programma completo: www.steps.ch

Nella testa di Rocco Siffredi

europeo a spostarsi in treno» dice la co-curatrice. In effetti la compagnia di Crystal Pite è impegnata nel suo tour europeo mentre Saburo Teshigawara e Rihoko Sato hanno diverse date anche in Italia. Leone d’Oro alla Biennale Danza 2022 di Venezia, una carriera animata da decenni di innovazioni, coreografo e ballerino di fama mondiale, Saburo Teshigawara ha reinventato il linguaggio della danza e, soprattutto, all’alba dei suoi settant’anni non ha intenzione di fermarsi. «Per noi era importante mostrare come un artista alla sua età continui a danzare e a calcare la scena» dice Selina. E se la diversità è un concetto importante, lo stesso vale per l’inclusione. Sin dal 2006 Steps si impegna per un’idea di danza inclusiva coinvolgendo artisti con disabilità come Marc Brew che con Sidi Larbi Cherkaoui – entrambi sono coreo-

Netflix ◆ Sta facendo parlare Supersex, serie dedicata alla carriera del pornoattore italiano

Ida Moresco

Poco meno di sette ore per raccontare la vita di un uomo che fondamentalmente nella vita ha fatto una sola cosa, e non si vergogna di ammetterlo. Anzi, negli anni, e soprattutto negli ultimi tempi, grazie a L’Isola dei famosi (dove si è sentito «nudo» davvero e ha deciso di cambiare vita), al Grande Fratello, all’intervista-verità con la sempre brava Francesca Fagnani, ma anche alle parole contro la violenza sulle donne riprese dalla ministra per la famiglia Eugenia Roccella, a Rocco Siffredi è riuscito di trasformare la pornografia come contenuto esistenziale in qualcosa di accettabile, se non addirittura cui ambire. Lo status non è ancora quello del maître à penser, ma per visibilità mediatica poco ci manca.

La vita di Rocco Siffredi nato Tano (cognome mutuato all’Alain Delon-Roch Siffredi di Borsalino), abruzzese di Ortona di umili origini e dal legame viscerale con madre e parenti, viene ora raccontata in sette puntate in Supersex, serie Netflix (nella foto la locandina) diretta da

Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni, presentata in anteprima in occasione dell’ultima Berlinale.

La saga che ripercorre le gesta del cosiddetto «Italian stallion» si apre con il plateale annuncio di Siffredi di volere lasciare la scena. L’ennesimo, come si scoprirà nel corso della serie, sconfessato come i precedenti dal demone interno che a intervalli regolari lo riporta sul set, costringendolo a dedicare gran parte della propria vita alla fornicazione professionale. Se la prima puntata indugia nel racconto delle contorte dinamiche della famiglia Tano, contrassegnata da silenzi devoti e tanto dolore, in una modalità che ne fa una quasi-fiaba, (grazie alla bella recitazione e al filtro dorato), facendo ben sperare spettatrici e spettatori, ciò che segue è un esercizio a ripetere. Siffredi, infatti, una volta individuato con fermezza il proprio talento nei club per scambisti a Parigi, dove conosce anche importanti produttori, vi ci si dedica con disciplina e coraggio, muovendosi con

agio in un mondo (difficile come quello pornografico) che viene restituito ammantato di una patina erotica e quasi chic. A poco vale la viscerale interpretazio-

ne di un Alessandro Borghi (ma lui è così, basta ricordare Sulla mia pelle) che in alcuni frame diventa quasi indistinguibile dal vero Siffredi, così come risulta oltremodo greve lo spa-

grafi – nello spettacolo an Accident / a Life racconta cosa vuol dire, dopo un incidente, continuare a vivere con una paraplegia. Lo spettacolo riflette sulle domande: cosa fare se il nostro percorso cambia all’improvviso? Quanta determinazione risiede in noi per trovare altre vie? Di cosa ha bisogno la nostra società perché ognuno di noi si avvicini all’altro? Loro non saranno in Ticino ma al Théâtre Les Halles a Sierre (4 e 5 maggio) e alla Kaserne di Basilea (16 e 17 maggio).

Ad aprire le danze di Steps in Ticino sarà Assembly Hall di cui il «Guardian» alla prima londinese ha scritto: «Una bellissima coreografia e una sceneggiatura intelligente creano un mondo mutevole e inconoscibile». Non ci resta che andare a vedere.

zio dedicato al tormentato rapporto tra Rocco e suo fratello Tommaso (interpretato da un Adriano Giannini così preso dal personaggio da diventare quasi ingombrante).

A risultare meno sopportabili ancora dei minuti di silenzio, dello sguardo siffrediano (micidiale mix tra inspiegabile incredulità, spacconeria e tristezza), dei cliché giustapposti uno in fila all’altro (facendoci sorgere il dubbio che esistano davvero vite così), sono però le numerose riflessioni attribuite ai diversi personaggi che paiono copiate paro paro da un libro di auto aiuto; meccanismo per cui, ad esempio a Moana Pozzi vengono attribuite frasi come: «Vivi come se dovessi morire domani, pensa come se non dovessi morire mai, perché noi siamo dei pagani e gli dei hanno sempre forme animali». Più che sfidare un tabù o, meglio ancora, puntare i riflettori sui peccati legati al sesso, Supersex ne mette involontariamente in luce uno ancora più grande, che li supera tutti: la noia, peccato capitale nel mondo dell’arte.

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Kurt Cobain e l’esplosione dell’underground

Anniversari ◆ Il 5 aprile 1994 moriva Kurt Cobain, leader dei Nirvana, che scriveva con il cuore e non si curava delle regole

Guido Mariani

Il 25 febbraio di 30 anni fa, i Nirvana si esibirono a Milano in quello che all’epoca si chiamava PalaTrussardi, un palazzetto dello sport in zona Lampugnano che oggi è un relitto urbano in attesa da anni di essere demolito. La band di Kurt Cobain (nella foto) era all’apice della popolarità, da pochi mesi era uscito il loro terzo album, In Utero, che ne aveva confermato lo stato di grazia creativo e il successo. Erano nel pieno di un tour europeo tutto sold-out.

Cobain si presentò sul palco con una camicia da supermercato e un cappello di lana calcato fin quasi sugli occhi da cui spuntavano i suoi capelli biondi. Era pallido, magrissimo. I Nirvana (con Cobain c’erano Pat Smear e Dave Grohl, oggi nei Foo Fighters, e Krist Novoselic) travolsero gli spettatori con un sound che univa potenza e melodia, distorsioni e assoli, sofferenza e redenzione. L’essenza più pura della scena grunge che all’epoca aveva marcato un punto di svolta nella musica. Nel ricordo del pubblico che era presente e che pagò l’ingresso 32mila lire (16 euro), quel giorno è rimasto memorabile, ma doloroso da rievocare. Alla fine del concerto milanese, Cobain salutò, appoggiò diligentemente la chitarra a una cassa e uscì di scena.

Nei giorni seguenti la sua salute iniziò a deteriorarsi per un mal di gola, i Nirvana tennero un concerto a Lubiana e uno a Monaco, ma qualco-

sa sembrava essersi rotto, l’energia era diminuita, l’alchimia appariva compromessa. Gli show successivi vennero cancellati. Il tour europeo fu interrotto. I Nirvana non saliranno mai più su un palco. Kurt Cobain aveva compiuto da pochi giorni 27 anni, ma si sentiva a pezzi. Volò a Roma dove prese una stanza all’Hotel Excelsior di via Veneto. Solo pochi giorni prima a Roma, il 23 febbraio, aveva registrato la sua ultima esibizione in tv, ospite di Rai3 Tunnel, condotto da Serena Dandini e Corrado Guzzanti. I Nirvana avevano suonato tre brani e preso parte a uno sketch con Guzzanti che interpretava nello spettacolo la macchietta di un giovane studente romano non esattamente furbo, ma patito del grunge. Il siparietto non andò in onda anche perché Cobain che avrebbe dovuto solo abbozzare alle battute del comico, decise di improvvisare e si mise a tirare con violenza la parrucca di Guzzanti che però era fissata al cuoio capelluto con le mollette. Si disse poi, ma qui la storia sa un po’ di leggenda, che il comico svenne addirittura dal dolore.

Alle quattro del mattino del 4 marzo Courtney Love trovò il marito nella stanza dell’hotel romano disteso a terra, incosciente, cianotico. Venne portato in coma all’ospedale Umberto I. Aveva assunto un cocktail letale di sonniferi e alcol. Un atto volontario. Il fisico di Cobain si ristabilì dalle

conseguenze di quel gesto tragico, ma quando la rockstar tornò negli Stati Uniti era un uomo annientato. Le sue fragilità erano esplose tutte d’un tratto, tutte insieme. Il rapporto con Courtney Love era sempre più conflittuale e sfociò in un litigio interrotto solo dalla polizia, l’eroina (vizio che condivideva con la moglie) aveva preso il sopravvento su tutto, i Nirvana erano ormai un’esperienza da archiviare: scelte di vita autodistruttive e incoerenti segno di un’inesorabile spirale verso l’abisso. A fine marzo Cobain e la Love, decisero di intraprendere percorsi diversi di disintossicazione. Kurt si fece ricoverare presso l’Exodus Center di Marina del Rey in California, ma il giorno prima a Seattle aveva chiesto a un amico, il chitarrista Dylan Carlson, di prestargli un fucile per ragioni di sicurezza personale. Rimase in clinica solo due giorni e poi scomparve. Nessuno riuscì a rintracciarlo. Venne ritrovato senza vita da un elettricista la mattina di venerdì 8 aprile 1994 nella sua villa di Lake Washington Boulevard a Seattle. Accanto al cadavere c’erano il fucile Remington calibro 20 che gli aveva dato Carlson e una lettera di addio.

A trent’anni esatti da quel gesto fatale ancora oggi siamo costretti a chiederci se quella tragedia poteva essere evitata e che cosa è rimasto dell’artista Kurt Cobain. Al contrario di quanto molti pensarono all’epo-

ca, Kurt non venne lasciato solo. Dal suo ritorno da Roma, amici e colleghi si erano già messi a sua disposizione per aiutarlo a uscire da quel momento buio. La sua fragilità esistenziale, emersa poi chiarissima dalla lettura dei suoi diari e dei suoi scritti, fu la sua disgrazia, ma era stata anche la fonte principale della sua ispirazione. Quando all’inizio degli anni ’90 il grunge esplose sulla scena, la musica era in un’epoca di grande riflusso. Il decennio precedente si era concluso all’insegna di un pop banale e di una scena rock mainstream diventata più apparenza che sostanza. Le band di Seattle come Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden, Alice in Chains erano alla ricerca di una vocazione più au-

tentica per l’espressione musicale. Ha scritto Everett True, uno dei pochi giornalisti che Kurt chiamava amico: «I Nirvana capirono la prima regola del rock: la spontaneità è al cuore di tutta la grande musica». Fu un cambiamento epocale, la scena che fino a pochi mesi prima era definita «underground», quasi clandestina, emerse alla luce dei riflettori.

Alla notizia del suicidio di Cobain, David Fricke, firma di «Rolling Stone» disse: «Aveva ancora così tanto da dare. È stata la cosa più simile a John Lennon che questa generazione ha avuto. Scriveva con il cuore e non seguiva le regole. Qualcuno si chiede qual era il messaggio verso il pubblico. Lui “era” il suo pubblico»

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