Azione 43 del 24 ottobre 2016

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 ottobre 2016 • N. 43

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Cultura e Spettacoli

Un velo per svelare

Mostre Alla De Primi Fine Art di Lugano i progetti delle opere di Christo e Jeanne-Claude

Alessia Brughera Risale al 1920 il primo impacchettamento della storia dell’arte. Si tratta dell’opera L’énigme d’Isidore Ducasse dell’artista americano Man Ray: una macchina da cucire avvolta in una coperta militare, ben legata con dello spago, a farne un involucro inusuale e misterioso da fotografare. Altro impacchettamento degno di nota è Infiltrazione omogenea per pianoforte a coda, datato 1968, dello «sciamano» tedesco Joseph Beuys, in cui lo strumento musicale viene occultato con una grande stoffa di feltro grigio, ridotto al silenzio per farne il simbolo della crisi del sistema comunicativo. Entrambi questi lavori devono aver suscitato grande interesse nel giovane artista di origine bulgara Christo Yavachev, che, nella Parigi degli anni Sessanta, a contatto con gli esponenti del Nouveau Réalisme, incomincia ad avvolgere oggetti ed esseri viventi in tele e plastiche di ogni tipo. Nella capitale francese Christo conosce in quel periodo anche Jeanne-Claude Denat de Guillebon, l’artista con cui farà coppia fissa sia nella vita privata sia nella carriera creativa. Con lei realizzerà la sua prima opera monumentale, innalzando nel 1962 una barriera di barili di olio nelle vicinanze della Senna per protestare contro l’erezione del muro di Berlino. Da quell’azione provocatoria trasformata in performance artistica è nato un ensemble affiatato e inseparabile (spezzato solo dalla morte di Jeanne-Claude, nel 2009) che ha saputo creare progetti di grande respiro, sostenuti dalla filosofia del sorprendere e del riscoprire. Da decenni il duo artistico cela

Christo, The Pont Neuf Wrapped (Project for Paris), Quai du Louvre, Q. De la Messagerie, Île de la Cité, Q. de Conti, Q. des Gds, 1979.

edifici e luoghi naturali sotto drappi colorati con l’intento di conferire loro un nuovo valore estetico. Un’operazione, questa, in cui il soggetto viene nascosto ai nostri occhi, rimosso dal nostro sguardo nel suo aspetto usuale per essere collocato in una diversa dimensione percettiva. La sua

storia e le sue qualità fisiche vengono temporaneamente cancellate per essere ripresentate sotto una veste inedita che lo ammanta di un alone enigmatico. L’effetto è insieme straniante e scenografico. I lavori di Christo e Jeanne-Claude, realizzati con materiali

di riciclo e totalmente autofinanziati con la vendita dei disegni preparatori, uniscono la scultura all’architettura, l’urbanistica all’arte paesaggistica, in una contrapposizione tra la lunga durata dell’elaborazione e dell’esecuzione da una parte e la limitatezza della vita dell’intervento dall’altra. L’interazione con i monumenti o con la natura si trasforma così in una struttura raffinata che nella sua presenza effimera sfida il concetto di opera d’arte immortale e vive del fugace attimo in cui riesce a travestire la realtà. Chi volesse vedere i progetti di alcune delle installazioni più rappresentative di Christo e Jeanne-Claude può visitare l’esposizione allestita in questi giorni alla De Primi Fine Art di Lugano, una mostra che raccoglie una quindicina di lavori a testimonianza del fervido e ambizioso operare della coppia di artisti. Fra i pezzi presenti c’è il progetto di quello che è stato il loro primo grande impacchettamento: l’imballo di 5600 metri cubi di aria durante la rassegna internazionale documenta IV di Kassel del 1968 (lo stesso anno in cui Beuys avvolgeva il suo pianoforte), attraverso un grande involucro di tessuto trattenuto da lunghi cavi d’acciaio. Troviamo ancora alcuni studi relativi all’installazione che nell’estate del 1985 ha coinvolto il Pont Neuf, il più antico ponte di Parigi, facendolo scomparire per quasi un mese sotto un telo di poliestere ocra. È questo uno dei lavori più noti di Christo e Jeanne-Claude, nonché uno dei più sospirati, compiuto dopo quasi dieci anni di contrattazioni con le autorità francesi. Il progetto delle Surrounded Islands, poi, l’intervento che nei pri-

mi anni Ottanta ha interessato le isole della baia di Biscayne, vicino a Miami, circondate con 60 ettari di polipropilene rosa che si estendeva per decine di metri sulla superficie dell’acqua, ci dà l’idea delle proporzioni dei lavori dei due land artist. Lavori titanici che spesso diventano eventi anche durante le fasi della loro preparazione. Lo abbiamo potuto vedere di recente, a poca distanza da noi, con The Floating Piers, la piattaforma galleggiante ricoperta di tessuto arancione che permetteva di attraversare a piedi un lungo tratto del lago d’Iseo. In mostra sono esposti anche gli studi di opere che ancora non hanno visto la luce. Tra queste c’è la scultura composta da migliaia di barili di petrolio che Christo spera di far sorgere a breve nel deserto di Al Gharbia, in un’area poco distante dalla città di Abu Dhabi. Si chiama Mastaba, a rievocare le tombe delle prime dinastie egizie, e, se venisse realizzata, diventerebbe non solo la scultura più grande al mondo ma anche il primo lavoro permanente dell’artista. Dopo una carriera di grandiose e poetiche opere transitorie, pare che a ottantuno anni Christo abbia deciso di lasciare un segno indelebile della sua arte, un «disturbo gentile», come lui stesso definisce i suoi interventi, che per una volta non sia solo uno spettacolo momentaneo. Dove e quando

Christo e Jeanne-Claude. Ri-velare. De Primi Fine Art, Lugano. Fino al 28 ottobre 2016. Orari: da lunedì a venerdì 9.00-13.00/14.00-18.00, sabato su appuntamento. www.deprimi.ch

L’invisibile parla astratto

Arte La genesi dell’arte astratta risente in molti casi delle diverse correnti dello spiritualismo

che attraversano l’Europa fra Otto e Novecento Emanuela Burgazzoli «L’artista è la mano che toccando questo o quel tasto (cioè la forma) fa vibrare l’anima. È chiaro che l’armonia delle forme è fondata solo su un principio: l’efficace contatto con l’anima. Abbiamo definito questo principio il principio della necessità interiore»: spiritualità e interiorità sono due termini che in Vassily Kandinsky coincidono. Nel suo singolare saggio Lo spirituale nell’arte apparso nel 1912 il pittore russo emigrato in Germania annunciava una nuova epoca e teorizzava un’arte moderna, che superasse l’estetismo, libera da ogni impressionismo, dal

materialismo della rappresentazione dell’oggetto; un’arte che potesse esprimere in definitiva il mondo interiore dell’artista. Ed ecco quindi l’importanza attribuita all’effetto psichico di colore e forma, ritenuti capaci di far vibrare l’anima secondo un pioniere dell’astrattismo. Non a caso la genesi dell’arte astratta si intreccia con lo sviluppo dei movimenti spirituali che hanno attraversato l’Europa fra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento: teosofia, antroposofia, misticismo, spiritualismo, occultismo. Il termine «astrazione» associato all’arte senza significato (o meglio senza un refe-

Opera no. 168 dell’artista svizzera Emma Kunz, 1942. (Keystone)

rente) deriva da un saggio del 1908 di Wilhelm Worringer (intitolato Astrazione ed empatia), Apollinaire dal canto suo parlava di «arte pura» e «pittura pura» e Mondrian nel 1913-1914 annotava che: «Si passa da un mondo di forme ascendendo dalla realtà all’astrazione; in questo modo si avvicina lo Spirito, o la purezza in sé stessa». In pittura i «cavalieri» dell’arte astratta – Kandinsky, Kupka, Mondrian e Malevic – sono stati influenzati dallo spiritualismo, dagli scritti di Helena Blavatsky e di Rudolf Steiner. Per il boemo Kupka, come per i teosofi che incontra a Vienna, la natura si manifesta come una forza geometrica ritmica. L’olandese Mondrian entra a far parte della società teosofica di Amsterdam nel 1909, ma i suoi interessi risalgono già a qualche anno prima. A differenza di Kandinsky, Mondrian non prende in prestito proiezioni visive dai testi teosofici, ma inventa piuttosto un linguaggio visivo astratto per rappresentare questi concetti, basato sulle opposizioni binarie (femminile-maschile, luce-oscurità, mente-materia) e rappresentato da un sistema di linee verticali e orizzontali e dai colori primari più il bianco e nero. Anche le scoperte in ambito scientifico – dalla psicanalisi alla fisica, dalla chimica alla matematica – hanno influito sulle Avanguardie, rivelando nuove dimensioni della realtà fisica, indagandone gli aspetti invisibili: la scoperta dell’esistenza di altre dimen-

sioni rispetto alla realtà tridimensionale per esempio ha influenzato il movimento del Futurismo russo e l’arte di Malevic. Il pittore russo fondatore del suprematismo e di un’arte totalmente astratta coltivava anche interessi per l’occulto e per le nozioni numerologiche e matematiche che condivideva con il poeta Khlebnikov. Fondamentale anche l’influenza del Simbolismo; le opere del francese Odilon Redon e del belga Jan Toorop sono esempi di quanto ci si possa allontanare dalla descrizione naturalista per poter esprimere valori spirituali. Influenzata dalle nuove scoperte e dallo spiritualismo teosofico e in seguito antroposofico, con soggiorni a Dornach, è la pittrice svedese Hilma af Klint (1862-1944) che aveva cominciato a dipingere quadri astratti già nel 1906, quattro anni prima del «primo acquarello astratto» di Kandinsky. Ma la pittrice non espone mai i suoi lavori più «moderni»; gli oltre mille dipinti che lascia saranno riscoperti soltanto dopo la sua morte, negli anni Ottanta. A questa «Emily Dickinson dell’arte astratta» che rivela una grande capacità compositiva e originalità inventiva che passa nei suoi quadri da un astrattismo geometrico a uno più «organico», la Tate Gallery e la Serpentine Gallery hanno dedicato ampie rassegne recentemente. Esposte per la prima volta negli anni Settanta al Kunsthaus di Aarau e successivamente anche al Kuns-

thaus di Zurigo le composizioni geometriche della svizzera Emma Kunz (1892-1963). La naturopata e artista, scopritrice della roccia curativa Aion A, definiva i suoi disegni «creazione e forma espresse come misura, ritmo, simbolo e trasformazione del numero e del principio». Più complessa invece e artisticamente rilevante la parabola artistica del pittore e filosofo argoviese Karl Ballmer, che dopo un posto d’onore nella Secessione amburghese fra le due guerre, rientra in Svizzera, stabilendosi a Lamone. Nel caso di Ballmer, a cui il Kunsthaus di Aarau dedica una grande retrospettiva proprio in queste settimane, l’approfondimento del pensiero antroposofico di Steiner, del quale è stato allievo e collaboratore diretto, lo porta a sviluppare una pittura «ibrida», che innesta l’astrattismo su referenti reali; dai paesaggi sempre più rarefatti, le sue tele si popolano ben presto di figure che hanno perso la loro connotazione fisica e si fondono intimamente con lo sfondo: presenze che sembrano affiorare da quella dimensione dei mondi sovrasensibili teorizzata da Steiner. Un’opera che influenza fortemente quella del discepolo e artista Hans Gessner, che lo segue in Ticino trasferendosi con la famiglia a Besazio. Del resto secondo Steiner i due peccati fondamentali che può commettere un pittore sono copiare la natura e sostenere che si può rappresentare direttamente il mondo spirituale.


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