Azione 35 del 28 agosto 2017

Page 23

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 agosto 2017 • N. 35

23

Politica e Economia

Guerra di confine sull’Himalaya Fra India e Cina La questione della strada

di Doklam, nell’ambito di una disputa territoriale con il Bhutan, è solo l’ultimo episodio dell’aggressività di Pechino

Francesca Marino «Da settimane ormai la Cina minaccia l’India di terribili conseguenze per ciò che definisce “l’intrusione nel plateau di Doklam”. E sono in parecchi in India a essere sinceramente preoccupati dall’aggressività cinese, parte di un disegno intimidatorio che va avanti da molti anni. Un disegno che ha portato, tra le altre cose, i giapponesi ad allertare i propri militari più spesso che durante la Guerra Fredda e a spedire il Vietnam dritto fra le braccia degli ex arcinemici americani»: Praveen Swami, rispettato analista militare indiano, commenta così l’empasse diplomatica tra India, Cina e Bhutan che da quasi due mesi mantiene con il fiato sospeso tutta la regione. I fatti, anzitutto. Il 16 giugno scorso la Cina ha cominciato a costruire una strada nell’area himalayana di Doklam, in una striscia di territorio che confina con l’India e che è oggetto di una annosa disputa territoriale tra la Cina e il Bhutan. Due giorni dopo, su richiesta del Bhutan che considera proprio quel territorio, i soldati indiani sono intervenuti per fermare la costruzione della strada. Da allora, circa trecento soldati indiani e cinesi si fronteggiano a Doklam giocando a tirarsi sassi e facendo sfoggio di metaforici muscoli. Secondo la Cina, l’India ha violato un confine internazionale e ha occupato un pezzo di territorio cinese. Secondo New Delhi, le truppe indiane si trovano in territorio bhutanese

e Thimpu ha espressamente richiesto l’aiuto indiano per fermare i cinesi che cercavano di costruire una strada occupando quel pezzo di terra. In realtà il triplice confine tra India, Cina e Bhutan in quella particolare zona è oggetto di disputa da lungo tempo e la questione non è mai stata risolta. Esiste però un trattato «privato» del 2012 tra Cina e India secondo il quale Pechino si sarebbe impegnata a non effettuare azione alcuna in quella zona senza prima discutere la faccenda con New Delhi visto che spostare il confine a sud di Doklam renderebbe vulnerabile il cosiddetto Siliguri Corridor che connette il resto dell’India ai travagliati Stati del nordest indiano. Il confronto tra le due superpotenze nucleari, il più lungo e il più aspro dalla guerra combattuta nel 1962, non accenna a scemare: i cinesi vogliono che l’India ritiri immediatamente le sue truppe, New Delhi chiede invece un ritiro simultaneo prima di sedersi a un eventuale tavolo delle trattative. Intanto, Pechino minaccia di terribili ritorsioni e i generali indiani lucidano armi e divise. A complicare il tutto, la Cina accusa gli Stati Uniti di voler provocare una guerra indocinese visto il supporto più o meno aperto della Casa Bianca alle posizioni indiane. In realtà, come sostiene ancora Praveen Swami, «la faccenda di Doklam non riguarda soltanto una strada». È soltanto l’ultimo episodio di una guerra più o meno fredda tra New Delhi e Pechino in atto da almeno due

Un soldato cinese e uno indiano al confine di Nathu La fra India a Cina. (AFP)

anni. Ci sono state altre scaramucce territoriali, una nel 2013 e l’altra nel 2014. Qualche mese fa, tanto per distendere l’atmosfera, la Cina aveva rinominato una serie di aree della regione indiana dell’Arunachal Pradesh che per Pechino è il South Tibet. Dimenticando che il «North Tibet» è stato occupato con la forza e che storicamente non è mai stato parte della Cina. Al G20 Narendra Modi e Xi Jinping non si sono degnati di uno sguardo. Ma soprattutto, la Cina supporta ormai apertamente il Pakistan, legato economicamente mani e piedi a Pechino: il CPEC, il China-Pakistan Economic Corridor che attraversa territori disputati, è stato vissuto da New Delhi come un vero e proprio attentato alla sovranità territo-

riale e l’Obor, la cosiddetta «Nuova Via della Seta» viene considerato dall’India soltanto un mezzo per occupare anche militarmente i territori coinvolti. Altra materia del contendere tra i due avversari, la politica aggressiva della Cina nel South Cina Sea: che non è vista di buon occhio non soltanto da New Delhi ma viene osteggiata sia da Tokyo che da Washington. Il tentativo di avere controllo e accesso privilegiato all’Oceano Indiano, al Pacifico o al mare Arabico pone non pochi problemi di ordine politico e geopolitico alle parti coinvolte e rischia di stravolgere alleanze e giochi di potere. La posta in gioco è alta, molto più alta di un semplice pezzetto di terra sperduto tra le montagne o dell’importanza strategica

Fugge la pm chavista nemica di Maduro Paso doble Il presidente venezuelano ha annunciato un mandato di cattura internazionale

contro l’ex procuratrice generale, Luisa Ortega Diaz, fuggita in Colombia

Un motoscafo l’ha portata in gran fretta lontano dalla costa venezuelana, da lì un volo privato l’ha presa e depositata in Colombia. Prima che Maduro ne ordinasse l’arresto per chissà quale accusa penale, prima che qualcuno le sparasse sotto casa. La destituita procuratrice della repubblica venezuelana Luisa Ortega (nella foto), è scappata da Caracas con il marito, ex guerrigliero ed anche lui ex chavista. Si è data alla fuga la ex donna di ferro del regime, la dirigente chavista che più autorevolmente ha per anni coperto di un manto di formale rispettabilità giuridica le più basse vendet-

te della cupola chavista verso i suoi oppositori. Prima seguace fedele di Hugo Chávez. Poi, senza batter ciglio, pedina obbediente di Maduro. Fino al voltafaccia in mondovisione del 31 marzo scorso, fino alla denuncia pubblica degli strappi alla Costituzione e alla sua nuova vita da bandiera della resistenza civile al regime. Quel giorno annullò a sorpresa le due sentenze del Tribunale supremo (in mano a Maduro) che esautoravano il Parlamento. Il Tribunale non si aspettava questa mossa, fino a quel giorno aveva contato sulla copertura della procuratrice, un ruolo delicato nella impalcatura istituzionale chavista: allo stesso tempo capo

Keystone

Angela Nocioni

dei pm e dei giudici, ma anche espressione del Parlamento che infatti l’aveva eletta in quel ruolo ai tempi in cui era ancora a maggioranza chavista. Il procuratore generale in Venezuela non fa parte né del potere esecutivo né del potere giudiziario, ma rappresenta un autonomo «potere cittadino». In quanto garante dei diritti dei cittadini, chi è eletto a quel ruolo è inamovibile per sette anni. Per cacciarla Maduro ha dovuto infatti compiere un ennesimo strappo alla legalità. Vistosi bloccata la strada per esautorare il Parlamento, il successore di Chávez si è convinto a convocare elezioni per un’assemblea costituente (senza passare per il referendum popolare come prevede la Costituzione) per conseguire lo stesso obiettivo: mettere a tacere il parlamento in mano all’opposizione. Da quel giorno la nuova identità da antichavista della Ortega è andata avanti a passo deciso. Non si è più fermata. Prima ha dichiarato incostituzionale la convocazione della Costituente. Poi ha ordinato la scarcerazione dei manifestanti detenuti, costringendo Maduro a deferirli ai tribunali militari. Dopo ancora, quando il Tribunale supremo di giustizia le ha risposto che il suo ricorso era inammissibile, ha dichiarato nulla

la votazione con cui nel 2015 erano stati insediati i 13 magistrati titolari e i 20 supplenti nell’intervallo tra la vittoria dell’opposizione alle politiche e l’insediamento della nuova Assemblea Nazionale, dichiarandoli decaduti. Ma chi è davvero la temeraria ex procuratrice della repubblica del Venezuela? La bandiera della resistenza civile al regime è un personaggio tanto interessante quanto misteriose sono le sue intenzioni. La sua evoluzione nella politica venezuelana è da romanzo giallo. Ex pupilla di Diosdado Cabello, numero due del regime, capo di una delle bande militari che si contendono la guida del governo, fu lei a far condannare con prove false Leopoldo López, leader antichavista e molto popolare nelle frange di estrema destra dell’opposizione, a 14 anni di carcere. Il pubblico ministero di quel processo ebbe una crisi di coscienza. Scappò dal Venezuela prima della sentenza, disse che le accuse erano tutte campate in aria, le prove tutte costruite e i testimoni pagati. La Ortega, impassibile, spedì con quelle accuse false Leopoldo Lopez in cella. Un lavoro rozzo, oltre che sporco. Perché non c’era bisogno di fabbricare prove false contro di lui. C’erano molte accuse provabili a danno di Lopez, che per anni si è mosso

dell’alleanza con il piccolo Bhutan, che con la Cina non ha rapporti diplomatici, che si appoggia a New Delhi in tutto e per tutto e che in tutto ciò rischia di continuo di fare la classica fine del vaso di coccio. Tanto alta che l’idea di un conflitto armato spaventa tutti ma non viene davvero esclusa da nessuno nonostante le conseguenze potenzialmente devastanti. In ballo c’è la famosa leadership globale, che i cinesi intendono strappare agli americani, e c’è il controllo delle aree strategiche di una vasta porzione di mondo. In ballo c’è il controllo delle principali vie del commercio mondiale. Dalle rotte asiatiche dipenderà gran parte della geopolitica del futuro e del controllo delle strategie globali. nella melma più violenta dell’antichavismo militante, quello che non disdegna le esecuzioni a freddo e le sparatorie degli incappucciati in strada. Eppure Lopez fu spedito da lei in cella in quel processo farsa in quanto leader dell’opposizione da silenziare con la forza, non per altro. La Ortega, oggi quasi sessantenne, da ragazza militava nella sinistra rivoluzionaria, si occupava di difendere da avvocata i detenuti politici. Nel dicembre del 2007 Chávez la volle capo della Procura generale, il giorno del funerale del Comandante (come anche lei lo chiamava) era in prima fila tra i papaveri del regime. Nel 2014 Maduro la fece confermare. Lei non aprì bocca quando la prima ondata di grossa repressione spedì in galera senza prove centinaia di persone. «In Venezuela non ci sono prigionieri politici!», rispondeva a chi le chiedeva conto di quegli arresti arbitrari. Perché questa giravolta all’improvviso? Non è credibile – considerato il suo ruolo di potere che la portava a necessaria conoscenza di quante nefandezze si commettono nel dietro le quinte del regime – che si sia accorta solo a fine marzo dei diritti calpestati in nome di una rivoluzione ormai defunta. Non è improbabile che l’abile e coraggiosa Ortega abbia valutato le poche possibilità che ha il chavismo di resistere in sella, abbia soppesato lo scarso appeal politico dei singoli leader dell’opposizione sempre in guerra l’uno contro l’altro e stia quindi preparando un suo debutto da candidata presidente per le future elezioni in un Venezuela postchavista. Una scommessa ardua, forse cinica, ma non sciocca.


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.