Azione 45 del 3 novembre 2025

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MONDO MIGROS

Pagine 2 / 4 – 5

SOCIETÀ Pagina 7

La storia delle fornaci di Riva San Vitale nei ricordi delle famiglie Pellegrini e Vassalli

La Svizzera non fa abbastanza contro la violenza sulle donne e la violenza domestica

ATTUALITÀ Pagina 15

Dopo cinquant’anni senza Pasolini il peso delle sue parole contro la violenza consumistica resta vivo

CULTURA Pagina 23

Piacere agli altri? Anche no

Dal gioco alla consapevolezza: vi è un preciso momento in cui i bambini sanno di essere cresciuti

TEMPO LIBERO Pagina 37

Naufragare in un mare di bugie

Nell’ultimo mese ho contato almeno quattro migranti annegati al largo della costa sud-occidentale di Lesbo, in Grecia; quattordici vicino a Bodrum, in Turchia; una quarantina non lontano dalla costa di Salakta, in Tunisia; e sette cadaveri ripescati sulle spiagge di Porto Empedocle, la cittadina siciliana che ha ispirato ad Andrea Camilleri la fittizia Vigàta. È accaduto nell’indifferenza generale e, soprattutto, dentro un mare di menzogne. Qualche tempo fa, un amaro articolo di «Le Monde» ha spiegato come sui social media la migrazione clandestina verso l’Europa venga spesso raccontata in modo idealizzato. Sette adolescenti algerini, ad esempio, hanno documentato la traversata da Algeri a Ibiza a bordo di una barca rubata, trasmettendo il viaggio in diretta e celebrandolo con video da influencer, animazioni e colonne sonore trionfali. Il risultato? I protagonisti sono diventati icone della migrazione felice. I social si trasformano così in strumenti di propaganda, alimentando l’immaginario di

un’Europa come terra del bengodi e ignorando le tragedie: nel 2025 oltre 1600 migranti sono scomparsi tra i flutti. Non sono solo gli influencer (veri o presunti) a illudere i migranti. Lo fanno anche i trafficanti. Un articolo di InfoMigrants – piattaforma multilingue nata nel 2017 per fornire notizie affidabili e imparziali ai migranti – elenca le principali menzogne diffuse per convincere i potenziali passeggeri a partire e a pagare profumatamente:

• Sulla distanza tra Libia, Tunisia e Italia: si fa credere che le luci che baluginano in mare siano già quelle delle coste italiane, mentre sono quelle delle piattaforme petrolifere. Lampedusa, l’isola italiana più vicina, dista circa 300 km dalla Libia e 100 km da Sfax.

• Sui «forfait» di viaggio: vengono promesse traversate garantite verso l’Europa, con prezzi che salgono da 500 fino a 1500 euro per assicurare la possibilità di ritentare il viaggio più volte. In realtà, sono viaggi unici di sola andata senza garanzia d’arrivo.

• Sulla sicurezza delle imbarcazioni: sono bagnarole, in legno o plastica, assemblate alla meglio, che si sfaldano facilmente e dove si viaggia stipati all’inverosimile. Col senno di poi molti le definiscono «bare galleggianti». Sui telefoni satellitari: non permettono di contattare direttamente le navi delle ONG, ma solo Alarm Phone o i guardacoste. I passatori sostengono che le navi umanitarie attendano poco lontano, ma in realtà operano in aree limitate e non possono garantire il soccorso.

• Sull’accoglienza generosa dei Paesi europei: e su questo punto sospendo i commenti. Secondo InfoMigrants, molte bugie vengono tuttavia raccontate anche a noi europei:

• Ci assicurano che politiche più restrittive scoraggiano la migrazione. In realtà, muri e controlli non affrontano le cause profonde –conflitti, povertà, cambiamenti climatici – e spingono i migranti verso rotte più pericolose. Le restrizioni possono persino aumentare temporaneamente i tentativi di ingresso.

Politiche più aperte favoriscono la migrazione circolare, come nel caso dei lavoratori stagionali.

• Si sostiene che lo sviluppo economico in patria riduca le partenze. Al contrario, nelle fasi iniziali dello sviluppo, più persone possono permettersi di partire e perciò lo fanno. Solo a lungo termine la migrazione tende a diminuire.

• Si afferma che la migrazione danneggi l’economia. Tuttavia numerosi studi dimostrano che nei Paesi avanzati i migranti contribuiscono più di quanto ricevano in termini di welfare. Non c’è dubbio che la loro presenza possa generare tensioni, ma anche favorire la crescita economica.

Non ho gli strumenti per misurare con precisione il peso di tutte queste bugie né il valore esatto delle loro smentite. Ma è indubbio che ogni mese decine di bambini, donne e uomini annegano in un abisso di acqua torbida e di frottole.

Simona Ravizza Pagina 3
Freepik

Grande abilità meccanica e un pizzico di nostalgia

Mondo Migros ◆ Daniele Cacciola ci racconta la sua passione per la riparazione delle auto d’epoca

Sono decine e decine le professioni rappresentate all’interno di Migros Ticino, maggiore azienda privata del Cantone. Dalla venditrice al responsabile della logistica, passando per allenatori di fitness, addetti al marketing, informatici, contabili, gerenti, e chi più ne ha più ne metta.

Fra le collaboratrici e i collaboratori dell’azienda ve ne sono numerosi che dedicano buona parte del loro tempo libero a coltivare un hobby particolare. La scorsa volta vi abbiamo parlato di Samir Slimani, che ama la simulazione di volo. Oggi tocca all’informatico Daniele Cacciola, impiegato in Migros Ticino dal lontano 1991.

Daniele Cacciola, qual è la tua passione?

Mi piace riparare auto d’epoca: si tratta di veicoli che avevano una meccanica su cui si poteva mettere le mani, dove non c’era ancora una parte elettronica così importante. Sono considerate auto d’epoca tutte quelle che hanno più di trent’anni.

Come si trovano queste auto?

Le trovo soprattutto su Internet. Ci sono dei forum, oltre a siti «classici» come tutti.ch o Auto Scout. A volte vi si possono trovare dei progetti iniziati ma poi abbandonati: ad esempio ho trovato un VW T2 del 1972, che sarà il mio prossimo lavoro.

Qual è l’automobile più vecchia che hai sistemato?

La più vecchia è un maggiolino del 1969.

Quella più complicata invece?

Una Golf Cabrio del 1992 che ho interamente smontato e poi rimontato da zero.

Nelle immagini, due veicoli ristrutturati da Daniele Cacciola: il maggiolino del 1969 e la Golf Cabrio del 1992.

Tutte al Teatro Sociale

Forum elle ◆ Tre imperdibili appuntamenti a Bellinzona per le socie

Forum elle è una piattaforma di scambio femminile apartitica, aconfessionale e indipendente. Attraverso un’offerta di eventi regionali e interregionali si rivolge in prima linea a donne che sono convinte dei valori, delle attività e del know how della Migros. Fra le numerose attività in cartellone, grazie all’ottima collaborazione con l’OTR di Bellinzona (Organizzazione Turistica Regionale), ritorna la stagione teatrale al Teatro Sociale di Bellinzona.

Tre gli spettacoli in programma fino alla fine dell’anno:

• Venerdì 14 novembre 2025 (ore 20.45): Iliade, il gioco degli dei. Alessio Boni e un cast di tutto rispetto interpretano un testo di Francesco Niccolini ispirato all’Iliade di

Omero. Una pièce attuale, sui semi del tramonto del nostro Occidente.

• Giovedì 11 dicembre 2025 (ore 20.45): Le prénom – Cena tra amici. Un testo di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte e uno scoppiettante cast della Fondazione Atlantide Teatro Stabile di Verona regalano una commedia esilarante piena di colpi di scena e battute comiche.

• Venerdì 19 dicembre 2025 (ore 20.45): La bisbetica domata. L’interpretazione da parte di Amanda Sandrelli dell’ambigua e affascinante Caterina, dalla commedia di William Shakespeare adattata da Francesco Nicolini, è assolutamente imperdibile.

Le socie che si iscriveranno a uno o più spettacoli riceveranno la fattura dei biglietti a un prezzo di favore di CHF 35 (invece di CHF 44) per

il posto poltrona platea, senza quota d’iscrizione.

Sulla nuova pagina Facebook «Forum elle» – l’organizzazione femminile della Migros (I), oltre alle foto degli eventi che hanno già avuto luogo, si trovano anche le anticipazioni dei prossimi programmi, compresi gli spettacoli del 2026.

Diventare socie e info varie

Per diventare socie di Forum elle visitate il sito www.forum-elle.ch, sezione Ticino: oltre al formulario di iscrizione troverete l’elenco completo degli appuntamenti passati e futuri. simona.guenzani@forum-elle.ch Tel. 091 923 82 02

È un hobby che pratichi in solitaria?

Sono fortunato, perché ho una famiglia numerosa e mi aiutano un po’ tutti in questa attività, ma solo uno dei miei figli, che ora è meccatronico, anche se presto diventerà pompiere professionista, ha conservato il suo entusiasmo. La Golf Cabrio ora la guida lui, perché ci ha lavorato con me dai 14 ai 18 anni.

Esiste una community intorno a questo hobby?

Ci sono delle community con cui ti scambi online (e dove si possono trovare informazioni utili come schede tecniche, ecc), e altre che organizzano raduni e si specializzano su determinati modelli, come i Maggiolini o le T2.

Le vostre auto d’epoca le utilizzate? Sì, le abbiamo collaudate. Con un’auto d’epoca, però, si possono fare al massimo 3000 km all’anno, altrimenti salirebbero i costi delle targhe. A noi ogni tanto piace andare a fare un giro la domenica. Andare in giro con un’auto d’epoca rispetto a una normale dà una sensazione diversa, e guidarla fa andare con la memoria al passato. Ammetto che c’è anche una componente nostalgica.

La macchina dei sogni che vorresti riparare?

È un sogno che non realizzerò mai, perché costa un patrimonio, ma se potessi scegliere, mi piacerebbe potere mettere le mani su una Audi 4 Sport passo corto o su una Mustang. Oppure sulla leggendaria Porsche 911.

25 anni di Migros

Anniversari ◆ L’azienda si congratula e ringrazia

Giuseppe Mesce

Giuseppe Mesce, come molte collaboratrici e molti collaboratori di cui abbiamo scritto negli ultimi mesi, lavora per Migros Ticino da oltre un quarto di secolo, per essere più precisi, dal 9 ottobre del 2000. A nome di Migros Ticino e della redazione di «Azione», ci congratuliamo con Giuseppe Mesce per questo importante traguardo, e lo ringraziamo per il suo costante impegno.

Qual è il suo ruolo all’interno di Migros Ticino?

Il mio ruolo all’interno di Migros Ticino è quello di responsabile dell’Outlet di Grancia. Ho iniziato a lavorare per Migros nel 2000 al Do it di Agno, dove sono rimasto per 15 anni; in seguito mi sono trasferito per tre anni al Do it di Taverne e per due anni al Do it di Montagnola. Dal 2020 sono all’Outlet di Grancia

25 anni sono un quarto di secolo: cosa le piace maggiormente del suo lavoro dopo tutti questi anni?

In questi anni ho potuto fare diversi corsi interni e crescere professionalmente. I clienti dell’Outlet sono un poco diversi dai «normali» clienti, ma il rapporto con loro è sempre fatto di rispetto

e cordialità reciproca. L’ambiente è tranquillo e sereno come quello di un negozio di paese dove tutti si conoscono.

Quali sono le sfide che la aspettano i prossimi 25 anni?

Alla Migros mi trovo molto bene, e quindi spero di potervi restare per altri dodici anni prima del pensionamento.

Cosa augura a Migros nell’anno dell’anniversario?

A Migros auguro molti giubilei come questo dei cento anni aziendali, e spero che essa possa crescere ulteriormente e migliorare sotto tutti gli aspetti.

Giuseppe Mesce Lavora per Migros Ticino dal 9 ottobre del 2000
Daniele Cacciola
Informatico di Migros Ticino

SOCIETÀ

Walter Siti racconta la Gen Z

Nel suo ultimo libro lo scrittore italiano dipinge il ritratto di una generazione dolente

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Storia dei fornaciai

Le antiche fornaci di Riva San Vitale rivivono anche grazie ai ricordi di famiglia

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Parlare dei vaccini

Nella decisione di vaccinarsi conta il rapporto tra medico e paziente: serve ascoltare non convincere

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L’importanza di non piacere

Il sentiero dei pianeti

Una gita nel silenzio dei Monti di Saurù-Parusciana permette di scoprire il sistema solare

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Il caffè dei genitori ◆ Sembra un messaggio controcorrente, eppure non piacere oggi è un atto di coraggio come ci spiega

Thomas Leoncini nel suo ultimo saggio

Gli adolescenti vivono sempre più dentro una gabbia: quella del giudizio. A dircelo è, prima di tutto, il loro linguaggio. Ogni mese su Azione, nella rubrica Le parole dei figli, analizziamo uno per uno i termini più usati dalla Gen Z (spesso per noi adulti incomprensibili). Se proviamo a metterli in fila, emerge un filo rosso: riflettono una forma di addiction, una dipendenza dal desiderio di piacere. Riflettiamoci un attimo. Goat è l’acronimo di Greatest of All Time, ovvero il «Più Grande di Tutti i Tempi»: essere un Goat significa eccellere, distinguersi, avere il coraggio di essere unici. Aura è diventato un modo per descrivere carisma, stile e personalità: su TikTok si è diffusa l’attribuzione di punti aura che ciascuno può guadagnare o perdere in base alle proprie azioni. «È uno/a che fa catfishing!» è usato per schernire chi, dal vivo, è diverso da come appare sui social, dove si mostra tramite filtri che modificano gli scatti per migliorare l’aspetto fisico. Slay (da to slay: uccidere) è chi spacca: una persona che colpisce per stile o sicurezza. Glow up è l’evoluzione estetica: lo fa chi è diventato più figo, più sicuro, più cool. Il like fa il resto, in una generazione per la quale il numero di cuori su un post o di follower su Instagram può fare la differenza tra chi si sente importante e chi si sente uno «sfigato». Non è un caso che la paura dei nostri figli sia espressa dall’acronimo inglese Fomo, Fear Of Missing Out : il timore di essere esclusi. In questo cortocircuito piacere diventa fondamentale per non essere out. Perché restare fuori è come non esistere. Ma che vita è una vita appesa al giudizio altrui? È il motivo per cui, a Il caffè dei genitori, scegliamo di lanciare un messaggio controcorrente, oggi più urgente che mai: l’importanza di non piacere. È il titolo dell’ultimo saggio di Thomas Leoncini (L’importanza di non piacere, Sperling & Kupfer, Mondadori, 2025), giornalista e scrittore quarantenne, già autore di due bestseller internazionali: Dio è giovane (Piemme, 2018), scritto con Papa Francesco, e Nati liquidi (Sperling & Kupfer, 2017), scritto con il filosofo Zygmunt Bauman. Nel 2018 Papa Francesco lo ha nominato membro laico del Sinodo mondiale dei giovani. Leoncini non ci gira intorno: «Creando un profilo social chiediamo al mondo una sola cosa: “Appagami, ti prego!”». Se chiunque, a partire dai tempi che furono, ha coltivato il desiderio di piacere, per i giovani della Gen Z la questione è più complicata: «Prima dell’avvento del World Wide Web (la ragnatela globale di Internet) potevamo piacere potenzialmente a tutto il

paese o alla città – sottolinea Leoncini –. Ora sappiamo che potremmo piacere a milioni di persone, il che ci rende più ansiosi, ma anche stimolati dalla possibile, straordinaria gratificazione futura». Leoncini lo definisce il dilemma del secolo: sentirsi accettati o rimanere autentici? E, soprattutto, com’è possibile in questo contesto, restare autentici?

I nostri figli sono esposti al giudizio all’ennesima potenza dei social, la conseguenza è sentirsi a posto con se stessi solo se si è apprezzati da qualcun altro

Come ben sanno i nostri lettori più accaniti ci piace analizzare l’etimologia dei termini. Ed è quello da cui parte anche Leoncini. Per il vocabolario Treccani il verbo intransitivo placēre è affine a placare che vuol dire calmare. Giocando sull’etimologia comune, Leoncini si domanda: piacere agli altri cosa placa in noi? La sua risposta: «Placa il dubbio costante, ripetitivo, ingombrante e scomodo di non essere abbastanza. Abbastanza cosa? Abbastanza tutto: abbastanza

capaci, abbastanza smart, abbastanza attraenti, abbastanza forti, abbastanza liberi, abbastanza adatti a questo tempo. In altre parole, piacere agli altri ci fa sentire degni di essere amati». Tutto ciò, però, porta chiunque –e soprattutto i nostri figli che sono esposti al giudizio all’ennesima potenza del World Wide Web via social – a sentirsi a posto con se stessi in base all’apprezzamento di qualcun altro. Con due conseguenze: 1) «Accettare una catena di gratificazioni momentanee (come l’appagamento che deriva dai complimenti), piuttosto che la naturale adesione al potenziale naturale che ci portiamo dentro»; 2) «Fare diventare la vita una parentesi al servizio di tutto fuorché di noi stessi».

Ecco, allora, che è più che mai necessario fare uscire i nostri figli da questo loop. Per poterlo fare dobbiamo aiutarli a coltivare l’autostima! «Come si crede in sé stessi? – riflette Leoncini –. Ho scoperto che quasi tutti siamo vittime di un luogo comune, perché il succo della risposta più gettonata è: in base a quello che si è riusciti a fare. L’autostima, invece, non dipende da quello che abbiamo fatto in passato, ma da quello che pensiamo di poter fare nel futuro. È il valore che diamo a noi stessi nelle

sfide che affronteremo, di qualunque natura esse siano». Non possiamo esimerci, però, dal domandarci: abituati a un linguaggio che scandisce giudizi (dati o ricevuti), figli di una società alla perenne ricerca di consenso tramite like e follower, schiacciati dalla paura della Fomo, che rende ogni esclusione visibile all’ennesima potenza, come possono i nostri adolescenti capire che l’importante non è piacere, ma essere se stessi, se anche noi genitori – spesso inconsapevolmente – alimentiamo questa pressione chiedendo loro di essere sempre performanti? Marianna Scollo Abeti, psicologa e psicoterapeuta del Meyer di Firenze, ci richiama proprio su questo punto nella newsletter dell’ospedale pediatrico di aprile 2025: «In una società sempre più competitiva, dove il successo sembra legato a risultati oggettivi e quantificabili, alcuni genitori possono scambiare l’alto rendimento scolastico e le prestazioni eccellenti nelle attività dei figli come l’unico metro per valutare la loro realizzazione. Ma se valutati solo in base alle performance, i bambini rischiano di sviluppare una bassa autostima, sentimenti di angoscia e colpa, con un conseguente calo di motivazione e divertimento. Il

messaggio che ricevono è che il loro valore dipende solo dai risultati, non dalle loro qualità personali. È importante, quindi, cercare di arginare questi effetti negativi delle aspettative genitoriali, valorizzando l’unicità del bambino e le sue naturali inclinazioni, ascoltando le sue esigenze e la sua sensibilità, enfatizzando il valore dello sforzo a prescindere dal risultato». Insomma, come possono i nostri figli uscire dal circolo vizioso del piacere a tutti i costi, se noi per primi –che siamo i loro genitori – sembriamo apprezzarli fin da quando sono bambini solo quando ottengono risultati al top?

Non c’è, dunque, da sorprendersi se la Generazione Like si è trasformata nella Generazione Ansia! A questo proposito ci sembra prezioso il suggerimento di Leoncini che rilegge la parola «ansia» come un acronimo: Ancora Non So Interpretarmi Abbastanza. Forse il primo passo è questo: aiutare i nostri figli a capire se stessi, non a piacere a noi genitori né, tantomeno, agli altri. Perché imparare a non voler piacere a tutti è, oggi più che mai, un atto di coraggio: vuol dire avere la forza di essere semplicemente se stessi. L’importanza di non piacere è tutta qui.

Nella società dei like il difficile è essere se stessi. (Freepik.com)
Simona Ravizza

Un banchetto sempre gradito

Attualità ◆ Con la fondue chinoise si va sempre sul sicuro. Questo pasto conviviale mette tutti d’accordo, grazie anche all’ampia scelta di carni surgelate disponibili alla tua Migros

Con la fondue di carne l’atmosfera rilassata e piacevole in compagnia è garantita ad ogni occasione. Ognuno è libero di scegliere cosa preparare e come abbinare al meglio gli ingredienti, deliziandosi con ciò che più soddisfa i propri gusti personali. Quasi nessun altro piatto è tanto semplice, variato e conviviale quanto la fondue di carne. A questo riguardo, a farla da padrona è sicuramente la chinoise a base di brodo, che, grazie alla sua leggerezza e versatilità, piace a grandi e piccoli buongustai, ma non mancano nemmeno gli estimatori della bourguignonne, dove la carne viene fritta nell’olio, oppure ancora la Bacchus, dove il brodo o l’olio vengono sostituiti da vino bianco o rosso.

Ampia scelta di fondue chinoise

Nei reparti surgelati Migros sono attualmente disponibili diverse tipologie di chinoise, affinché ognuno possa trovare la giusta ispirazione per un banchetto ben riuscito. Se la linea M-Classic propone cinque tipi di carne dall’eccellente rapporto qualità-prezzo, le quattro versioni a firma Finest si caratterizzano per l’elevata qualità della materia prima svizzera, garantita dalla certificazione IP-SUISSE.

Consigli utili

Per una buona riuscita del piatto di fondue chinoise, si consigliano ca. 250-300 g di carne per persona. Per la preparazione del brodo, lasciar bollire per un’oretta del brodo di carne con delle verdure a piacimento, come cipolle, porri, carote o sedano. Filtrare il brodo e servirlo subito nel pentolino posizionato sul rechaud. Le salsine a base di maionese d’accompagnamento esistono in tante varianti, come cocktail, aglio, tartare, curry, pepe, bourguignonne… C’è chi preferisce prepararle da sé in casa, oppure alla Migros è disponibile un’ampia scelta di salse, sia fresche che in vasetto. Infine, il brodo rimasto può essere consumato a fine pasto oppure utilizzato per la preparazione di un saporito risotto.

Azione 30%*

Tutta la carne per fondue chinoise M-Classic

Fondue chinoise di tacchino M-Classic

400 g Fr. 9.73 invece di13.90*

Un classico frutto autunnale

Attualità ◆ Il cachi non è solo buono, ma grazie alle sue proprietà aiuta a sostenere il nostro organismo durante la stagione fredda

Particolarmente diffuso anche nei nostri giardini, soprattutto per quanto riguarda la varietà Loto di Romagna, il cachi (è proprio questa la dizione corretta!) è un frutto autunnale, dal caratteristico colore arancione intenso e dal sapore zuccherino. È un frutto salutare, grazie al suo contenuto di beta-carotene, vitamine, sali minerali, fibre e zuccheri naturali, che ci aiutano ad affrontare l’inverno con brio. Nei supermercati Migros sono disponibili alcune varietà di cachi. La varietà Loto di Romagna deve essere consumata quando i frutti sono ben maturi, quasi «spappolati», con la polpa dalla

consistenza gelatinosa, altrimenti risulterebbero aspri e allappanti. A differenza di quest’ultimo, la tipologia Persimon ha invece una polpa soda e se ne può mangiare anche la buccia. Oltre al consumo fresco, il cachi si presta bene per molte ricette, sia dolci che salate. È ottimo abbinato a yogurt e formaggi freschi, oppure trasformato in deliziose composte e marmellate. Voglia di un goloso shake supervitaminico? Frulla tutto insieme alcuni cachi con un pompelmo sbucciato, due datteri snocciolati, una banana e tre decilitri di acqua. Versa nei bicchieri e gusta subito. Alla salute!

L’assortimento completo è in vendita nelle maggiori filiali Migros
Fondue chinoise di manzo
M-Classic 400 g Fr. 13.93 invece di 19.90*
Fondue chinoise di vitello 350 g Fr. 13.97
Fondue chinoise di manzo Finest 450 g Fr. 29.95
Fondue chinoise di manzo e vitello Finest 600 g Fr. 45.95
Fondue chinoise di manzo tagliata a mano Finest 300 g Fr. 23.95
Fondue chinoise di manzo e maiale Finest 600 g Fr. 33.50

Il negozietto dei bambini

Attualità ◆ Dal 3 al 15 novembre 2025 il Centro Shopping Serfontana ospita il Mini Migros, un evento dedicato a tutti i bambini tra i 4 e 12 anni

Per il divertimento e la gioia di tutti i bimbi ritorna il Mini Migros, il più grande negozietto della Svizzera, che quest’anno si tiene da oggi fino al 15 novembre presso il Centro Shopping Serfontana di Morbio Inferiore.

Qui, su una superficie di cento metri quadri, i bambini dai 4 ai 12 anni possono giocare al supermercato Migros, mettendosi nei panni di collaboratori, clienti o addetti alla logistica, dedicandosi alle attività più disparate tipiche di un negozio «vero», come sistemare i prodotti negli scaffali, fare la spesa scorrazzando con il carrello o occupandosi della cassa. Il personale presente sul posto è appositamente formato nella conduzione di eventi con i bambini.

Presso il «servizio clienti» i bimbi ricevono un borsellino con una carta Cumulus giocattolo e dei soldi finti sotto forma di «Miggy franchi». Genitori, nonni o parenti restano fuori dal negozietto, ma possono seguire dall’esterno le imprese dei propri cari e dare un’occhiatina mentre giocano e si divertono. La partecipazione al Mini Migros è completamente gratuita e non serve iscriversi in anticipo, è sufficiente recarsi direttamente sul posto e rivolgersi al personale specializzato presente.

Accorrete numerosi perché lo spasso è assicurato!

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Storia di una gioventù dolente

Libri ◆ Walter Siti racconta i ragazzi della Generazione Z: in ansia e rifugiati nella propria stanza o nel digitale

Stefano Vassere

Questo ultimo saggio dello scrittore e critico Walter Siti si conclude con una dichiarazione di emozione spinta fino al pianto di fronte a una lettura. Viene in mente un passo molto simile nel quale Michel Houellebecq racconta la sua esperienza di un brano di Vite che non sono la mia di Emmanuel Carrère. Come là «è stato proprio nel momento in cui ho letto che, ricordo, sono scoppiato in singhiozzi e ho dovuto posare il libro, incapace per alcuni minuti di proseguire», qui è la lettura degli Sdraiati di Michele Serra, con la scena del padre colmo di consolazione per il figlio trionfante di gioventù che finalmente si sente autorizzato «a diventare vecchio». Dice Siti: «leggendo l’ultima frase mi sono venute le lacrime agli occhi, io vecchio non potrò diventarlo più».

«La nostra vita è diventata come l’acqua in cui vegetano le mangrovie, né dolce né salata, un composto indiscernibile di reale e digitale»

Dunque, sì, di fronte a tali immagini (e avendo ben presente la qualità confortante dei suoi romanzi), di Walter Siti, di quel suo tono scientifico-autobiografico e della sua sincerità ci possiamo fidare fino in fondo, anche quando parla di una età tanto

lontana dalla sua, e perfino quando non siamo d’accordo con lui. La fuga immobile, appena uscito, ci descrive una generazione, la cosiddetta Generazione Z, nata più o meno tra il 1997 e il 2012, completamente nativa digitale, non particolarmente attratta dall’indipendenza economica, attenta a qualche principio morale di inclusività e rispetto, esposta a «un’epoca di ferro», al ritorno delle guerre geograficamente prossime, perennemente in attesa di un disastro che non arriva veramente mai.

Una generazione che non ama farsi chiamare tale, che fatica a relativizzare le delusioni e il mancato rispetto, che ha paura, che sceglie piuttosto di sparire. L’ambiente più prossimo la protegge e in molti casi la rende più fragile. Sembra che nel classico gioco adolescenziale delle «dieci cose per cui vale la pena di vivere» le tradizionali propensioni per la sfera sessuale e le squadre di calcio abbiano fatto posto, in questa ultima arrivata fetta di società, a una preferenza tanto imprevista come la famiglia. Da un lato, non si vorrebbe vedere la mamma alle partite di pallavolo o ai concerti della scuola di canto, e arrivati a casa, la fuga in camera ha ormai la forza solida del luogo comune; d’altro canto, però, un inimmaginabile e incongruo calore familiare si esprime attraverso sporadiche compagnie al tavolo della cena o in altre modalità, più teen: «Mi

ha colpito l’enorme numero di visualizzazioni (pare soprattutto da parte di adolescenti) accumulato dai video ASMR dedicati al cibo: in varie location c’è qualcuno che mangia mentre i rumori di deglutizione o sgranocchiamento sono rallentati e amplificati in modo da indurre una dolce sazietà». La propria stanza e il digitale sembrano essere i rifugi supremi di queste giovani persone, perennemente in an-

sia e alla ricerca di collocazioni equidistanti e impraticabili rispetto alla ristretta comunità familiare: né troppo vicino, né troppo lontano, meglio in mezzo allo stormo dei propri pari, che in qualche direzione vorrà pur volare. L’attore Keanu Reeves, il protagonista storico di Matrix (oggi ha sessanta anni) si porta addosso continuamente la responsabilità un po’ scomoda di parlare di quel film e del-

la drammatica incertezza tra reale e virtuale vissuta con patema dal protagonista: una sorta di parabola della modernità, per noi della sua età. Si racconta però che a cena da un amico produttore l’autorità di questa immagine sia una sera crollata di fronte alle obiezioni dei due giovani figli dell’ospite: «Che problema è non sapere se stai nella realtà o nel mondo virtuale? A noi di certo interessa poco». I saggi di Siti hanno spesso il procedere testuale dell’ampio racconto di una storia, qui della storia di questa adolescenza così ingiustamente dolente senza nemmeno la voglia di essere salvata. Se «la nostra vita è diventata come l’acqua in cui vegetano le mangrovie, né dolce né salata, un composto indiscernibile di reale e digitale, un liquido salmastro in cui i vecchi rischiano di annegare e della realtà analogica hanno occupato tutti gli spazi», che spazio di vita rimane a queste persone in fieri e così incollate per terra da non potere nemmeno fuggire? Certamente, sembra letteratura di qualità, eppure è solo verità molto ben raccontata. Per fortuna, viene da dire, c’è Walter Siti. Anche per la Generazione Z.

Bibliografia

Walter Siti, La fuga immobile. Lo strano caso della Generazione Z, Milano, Silvio Berlusconi Editore, 2025.

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La Generazione Z secondo Siti è esposta a «un’epoca di ferro», perennemente in attesa di un disastro che non arriva mai. (Freepik.com)

Il duro lavoro dei fornaciai nelle storie di famiglia

Territorio ◆ Oggi le antiche fornaci di Riva San Vitale rivivono per merito dell’iniziativa di recupero del Comune e dell’impegno personale di famiglie come i Pellegrini e i Vassalli

Stefania Hubmann

Le Fornaci di oggi, le fornaci di ieri. Le prime, dopo un’operazione di recupero voluta dal Comune di Riva San Vitale, con l’inaugurazione dello scorso settembre sono diventate a tutti gli effetti un centro culturale d’eccellenza dedicato alla ceramica e alla terracotta. In passato erano invece luoghi di produzione artigianale di materiale laterizio (coppi e mattoni), attività complementare a quella contadina comune a numerose famiglie che sfruttavano a questo scopo la presenza di cave d’argilla ai margini dell’abitato e la vicinanza del lago. Grazie ai reperti conservati in particolare dalle famiglie Pellegrini e Vassalli e alle testimonianze dei loro discendenti è possibile tornare alle fornaci di fine Ottocento e della prima metà del Novecento, scoprendo non solo le caratteristiche della catena produttiva, ma pure aspetti legati alla vita privata dei fornaciai e a quella pubblica del villaggio.

In passato le fornaci erano luoghi di produzione artigianale di materiale laterizio, come coppi e mattoni, per molti un’attività complementare a quella contadina

Con Danilo Pellegrini, nipote di uno degli ultimi fornaciai del comune lacustre, apriamo la prima porta proprio sulla fornace che oggi è il fulcro del comparto culturale nel nucleo di Riva San Vitale. La famiglia Pellegrini nel 2021 ha infatti venduto al Comune i tre edifici – fornace, essicatoio, garage (oggi demolito) – oggetto dell’impegnativo intervento di restauro condotto dall’architetto Enrico Sassi e dall’ingegnere Giorgio Galfetti (vedi Azione del 27 gennaio 2025). Una porta in legno con la data del 1651 l’ha aperta fisicamente (e conservata) anche lo stesso Danilo Pellegrini: «Permetteva l’ingresso dall’aia della fornace alla grande stanza dei forni in alternativa al portone principale tuttora esistente». Da ricordare che l’attività dei fornaciai consisteva nel modellare un impasto di argilla e acqua, lasciarlo essiccare e poi cuocerlo in una camera riscaldata dal forno sottostante. Prosegue l’intervistato: «La data della porta potrebbe corrispondere alla costruzione della fornace, ma anche già essere incisa al momento del suo collocamento per chiudere il passaggio. È invece certa la data del 21 aprile 1874 quale primo rendiconto dell’attività produttiva della famiglia. Da mio padre Domenico (1937-2021), che li ha sempre conservati nella sua scrivania, ho ereditato sette libri delle entrate e delle uscite. Elencano i conti dell’attività fornaciaia e contadina dei miei antenati (nonno, bisnonno e trisnonno) appunto dal 21 aprile 1874 al 22 dicembre 1959, un arco di 85 anni che ha visto succedersi tre generazioni di fornaciai».

Libri di conti e di vita

Oltre ai conti delle attività lavorative, i libri, che Danilo Pellegrini sta trascrivendo e analizzando, racchiudono le spese correnti della famiglia (alimenti, medicine, vestiti) arricchite da aneddoti familiari, ma pure da indicazioni su avvenimenti della vita di paese e su eventi naturali significativi come scosse di terremoto e grandi nevicate. Fra questi, menzionato dal bisnonno Domenico, persino il catastrofico terremoto di Messina del 1909 per il quale si apprende che «il Governo ha fatto fare una colletta a tutti i Comuni del Cantone» alla quale si sono aggiunte le somme versate dai cittadini, Domenico Pellegrini compreso.

Ancora Danilo Pellegrini: «Ho trovato, fra tante informazioni, la fabbricazione di tegole per la copertura della cupola della chiesa di Santa Croce commissionata a mio bisnonno Domenico nel 1916 o ancora, risalente al 1922, la fornitura di coppi

per il locale Battistero». La religione appare come un aspetto rilevante della vita dell’epoca: «I miei antenati frequentavano con devozione alcuni santuari e chiese della regione come testimoniano i pellegrinaggi annotati con regolarità nei libri contabili». Emergono anche baratti, il pagamento delle imposte (ad esempio nel 1906 la prima rata dell’imposta comunale pari a fr. 1,45), le spese per il veterinario e di conseguenza le condizioni di salute degli animali. Il discendente, attivo in ambito culturale e appassionato della storia dei suoi antenati, conserva inoltre documenti, diari, fotografie (dal 1899 a oggi), attrezzi di lavoro, stampi per realizzare i coppi, i mattoni, i quadrelli e le tavelle per il sottotetto, ai quali si aggiungono esempi di prodotti finiti. A questo proposito va ricordato che durante il restauro del comparto Fornaci si è riutilizzato nel limite del possibile il materiale laterizio trovato sul posto (in particolare i mattoni). In occasione dell’inaugurazione Danilo Pellegrini ha raccontato la storia del-

I libri delle entrate e delle uscite dell’attività produttiva della famiglia Pellegrini, il primo rendiconto risale al 21 aprile 1874.

la sua famiglia e del lavoro alle fornaci, arricchita da una visita guidata del comparto e della collezione Vassalli, altra famiglia protagonista di questa attività a Riva San Vitale.

Una collezione da valorizzare

Nei primi decenni del Novecento erano ancora in funzione cinque fornaci, mentre in precedenza se ne contava una quindicina. La famiglia Vassalli possiede tuttora due fornaci, di cui una particolare perché di forma ovale, e innumerevoli testimonianze dell’attività artigianale di famiglia e della civiltà contadina, raccolte e riunite da Giovanni Vassalli (19402024). «La collezione è conservata nell’edificio delle fornaci – spiega ad Azione la figlia Annalisa Vassalli –restaurato e utilizzato fino a qualche anno fa quale laboratorio per attività legate alla ceramica da una fondazione che opera a favore delle persone disabili. Gli oggetti sono in parte rappresentativi della produzione laterizia e in parte legati ad attività collaterali a quella delle fornaci. È il caso ad esempio delle numerose seghe di tutte le misure utilizzate per tagliare la legna necessaria a far funzionare le fornaci. Questo lavoro si svolgeva prettamente in inverno, mentre la lavorazione dell’argilla occupava piuttosto i mesi estivi». Annalisa Vassalli, pur non avendo vissuto di persona l’attività fornaciaia, è fonte orale di storie e aneddoti tramandati di generazione in generazione. Fra i racconti che l’hanno colpita, figurano i ragazzi che dormivano nel cortile sotto un riparo ma con i piedi all’aperto per fungere da sentinelle contro la pioggia. «Ciò avveniva nelle notti d’estate incerte, quando i prodotti erano disposti all’esterno ad asciugare e bisognava correre a metterli al riparo in caso di pioggia. La produzione era

un lavoro duro che coinvolgeva l’intera famiglia, ognuno con il suo ruolo». Molti reperti, come martelli e altri attrezzi, mostrano inoltre riparazioni ingegnose per prolungarne la durata di vita. Un’altra particolarità è costituita da coppi e mattoni finiti arricchiti da singolari incisioni, non tutte volontarie. Ne possiedono sia Danilo Pellegrini che Annalisa Vassalli. L’impronta di un gatto incurante della procedura di essicazione è casuale, mentre disegni, calcoli e nomi sono opera degli stessi fornaciai. «Il chiodo fisso di mio padre – precisa al riguardo Annalisa Vassalli – è stato il “quadrato magico” SATOR che ancora oggi si presta a diverse interpretazioni quanto al suo significato. Si tratta di un’iscrizione in latino palindroma, poiché leggibile in tutte le direzioni. Questo reperto è molto importante essendo uno dei pochi se non l’unico ritrovato in Svizzera».

Un passato che rivive

I due discendenti conservano quindi un patrimonio di rilievo sulla rispettiva storia familiare, così come su quella locale e su quanto avvenuto fuori dai confini lacustri di Riva San Vitale. La posizione geografica del villaggio, oltre alla disponibilità della materia prima, ha favorito lo sviluppo dell’attività fornaciaia grazie alla presenza del lago che forniva l’acqua per lavorare l’argilla e fungeva da via di trasporto per i prodotti finiti sfruttando un barcone posseduto in comune dai fornaciai. Oggi le fornaci rivivono per merito dell’iniziativa di recupero del Comune e dell’impegno personale di famiglie come i Pellegrini e i Vassalli. La presentazione di Danilo Pellegrini ha già suscitato l’interesse di scuole e associazioni per ulteriori visite. Alcune testimonianze di questo passato della sua famiglia figurano pure nelle composizioni che caratterizzano la sua produzione fotografica. Annalisa Vassalli da parte sua è impegnata a trovare la giusta via per valorizzare la fornace e la collezione. Pellegrini e Vassalli rappresentano due famiglie vicine di fornace e tuttora legate al loro significativo passato. La loro attività e quella degli altri fornaciai ticinesi, come rileva Sandra Eberhardt-Meli nel libro Artigiani della terra. I laterizi in Ticino e il lavoro dei fornaciai (Armando Dadò Editore e Centro di dialettologia e di etnografia, 2005), è comparabile a quanto avvenuto in altri Paesi in differenti epoche, elevando il loro ruolo nell’ambito di una catena produttiva che a Riva San Vitale, attestata a partire dal 1431, si concluse negli anni Cinquanta del secolo scorso. Un passato che oggi rivive in altre forme.

Informazioni pellimage@hotmail.com www.lefornaci.ch

A volte coppi e mattoni erano arricchiti da singolari incisioni, in questo coppo della famiglia Vassalli si legge l’iscrizione in latino palindroma SATOR.

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Vaccini, più che convincere serve ascoltare

Salute ◆ Essere presenti nel momento in cui l’altro ha bisogno di capire è la chiave dell’informazione sulle vaccinazioni

«Ho sempre avuto dubbi sui vacci ni, soprattutto per la quantità som ministrata nei primi mesi. Ho letto molto online e ho deciso di rimanda re, anche se il pediatra non era d’ac cordo. Preferisco aspettare e decidere con calma», racconta Marta, mam ma di un bimbo di due anni. Dall’al tra parte, Luca e Serena, genitori di tre figli, non hanno esitato: «Abbia mo scelto di vaccinarli seguendo il ca lendario. È una forma di protezione non solo per loro, ma anche per chi non può vaccinarsi. Abbiamo parla to con il nostro pediatra e ci siamo sentiti rassicurati». Negli ultimi an ni, mentre a livello globale milioni di bambini continuano a non ricevere le vaccinazioni di base (con oltre 14 mi lioni di «zero‑dose» solo nel 2024), la Svizzera si distingue per una coper tura generalmente elevata. L’UFSP segnala un aumento della copertura contro il morbillo nei bambini fino a 2 anni, passata dal 90 % al 94 % tra il periodo 2017–2019 e il 2020–2022.

Secondo un recente studio in Svizzera, il rapporto con i vaccini non è né completamente fiducioso né apertamente ostile

Tuttavia, anche in Svizzera esisto no ancora zone dove i livelli racco mandati non vengono raggiunti, e permangono differenze significati ve tra cantoni e contesti socio‑cul turali. Malattie come il morbillo e la poliomielite, un tempo considera te sconfitte, oggi tornano a suscitare preoccupazione a causa di esitazione vaccinale, disinformazione e sfiducia nelle istituzioni.

In questo scenario, è fondamen tale fare chiarezza consultando un pediatra infettivologo per capire co sa rischiano oggi i bambini non vac cinati, anche in un Paese come il nostro. Ne abbiamo parlato con il dottor Alessandro Diana, pedia tra infettivologo e docente all’Uni

dei ciliegi

Geoffrey Hayes

Solo con sé stesso

orecchio acerbo (Da 4 anni)

Ha una grazia delicata e poetica, questa storia di un orsetto che sa sta re solo con sé stesso, apprezzando ogni istante delle sue giornate e co gliendone sensazioni, ricordi, sogni. «Ci sono momenti in cui un orset to deve stare solo con sé stesso, / per pensare ai propri pensieri / e per can tare le proprie canzoni». Limpido, nella sua sintesi, questo incipit che intona lento il ritmo delle prime tre pagine, con le prime tre illustrazioni, tre quadretti posati leggeri sul bian co della pagina, «frammenti illustra ti», come scrive l’editore nella bella postfazione, in cui viene presentato l’autore, l’americano Geoffrey Hayes (1947 2017), illustratore e fumetti sta, che seppe cogliere e raccontare con sensibilità le emozioni dei bam bini. Lo fece in oltre cinquanta ope re per l’infanzia, su cui svetta questa incantevole Bear by Himself, che uscì per la prima volta nel 1976 e che ora, grazie alla consueta sensibilità dell’e ditore orecchio acerbo nel recupera re tesori preziosi dal passato, viene finalmente proposta anche ai lettori

versità di Ginevra, il quale suggeri sce che la vera risposta alla domanda su cosa pensi la popolazione svizzera dei vaccini sta nell’ascoltare, non nel convincere: «In Svizzera, il rapporto con i vaccini non è né completamen te fiducioso né apertamente ostile. È, piuttosto, una questione di dialogo, sfumature e fiducia da costruire». A dirlo non è solo il nostro interlocuto re, ma uno studio recente commissio nato dall’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), realizzato da Ca reum e dall’istituto gfs.bern, che ha analizzato come la popolazione elve tica si orienta di fronte alla vaccina zione. Studio nei cui numeri il dottor Diana ha trovato una conferma alle sue esperienze quotidiane: «La deci sione di vaccinarsi è vissuta sempre più come qualcosa di personale. L’in formazione c’è, ma non basta, e conta molto di più il rapporto di fiducia tra medico e paziente».

Il problema sta nel fatto che «tan ti cercano informazione, ma pochi sanno a chi credere». Infatti, secondo lo studio, «più della metà degli sviz zeri (51%) dichiara di avere difficol tà a orientarsi tra le informazioni sui vaccini». Non tanto per mancanza di fonti, quanto per la difficoltà a capire quali siano affidabili: «Il 63% ha pro blemi a giudicare la credibilità di ciò che legge, e il 61% fa fatica a distin guere tra vera informazione e disin formazione». Un dato curioso emerge dalle domande di conoscenza fattua le: «Solo il 36% ha risposto corretta mente a tutte e quattro le domande poste, mentre il 23% ha dato tre ri sposte esatte, ma almeno una volta ha scelto “non so”». Eppure, osser va Diana, «nonostante i dubbi, i da ti sulla copertura vaccinale mostra no una tendenza positiva: rispetto al 2018, le vaccinazioni contro mor billo, pertosse, epatite B e tetano so no in aumento. Solo quella contro l’influenza stagionale è leggermente calata». L’analisi evidenzia una zo na grigia fra gli indecisi e divide la popolazione in tre grandi gruppi: «I

favorevoli alla vaccinazione (65%), i critici (7%) e una larga fascia “incer ta” che comprende circa il 60% degli intervistati». Una sovrapposizione tra categorie che mostra posizioni non rigide, ma spesso ambivalenti. «Ed è proprio in questa zona di incertezza che si giocano le decisioni importan ti», osserva il nostro interlocutore se condo cui chi esita non è necessaria mente contrario: «È una persona che si fa domande, che vuole capire prima di decidere. Ma per farlo, ha bisogno di sentirsi accolta, non giudicata». Il medico sottolinea che il dubbio non è un difetto: «È una fase natu rale del ragionamento, e attaccarlo con una valanga di argomenti razio nali spesso ottiene l’effetto opposto irrigidendo le posizioni». L’approc cio vincente sta nella sfida dell’ascol to, suggerisce il dottor Diana, e non è cercare di «vincere» il dibattito, ma costruire un dialogo: «Significa crea re uno spazio dove le persone si sen tano libere di fare domande, espri mere timori, cambiare idea. In questo senso, il medico non è solo un esper

to di salute, ma anche un educatore paziente». Lo studio conferma che le fonti più ascoltate e più credibili re stano i medici di famiglia: «L’85% delle persone si rivolge a loro, e il 90% li ritiene affidabili. Le autorità sanitarie sono giudicate credibili solo dal 52% dei cittadini, e meno del 40% le consulta. I farmacisti godono della fiducia del 40%, ma vengono consul tati ancora meno (18%)». Per questo, secondo Diana servo no nuove competenze comunicative tra i professionisti sanitari. «Tecni che come l’ascolto attivo, la riformu lazione delle domande, o il metodo Ask-Offer-Ask (chiedi offri chiedi), ispirato al colloquio motivazionale, possono fare la differenza». Un’altra proposta emersa è quella di introdur re già nella scuola l’educazione alla scelta vaccinale, perché pure secon do Diana «è fondamentale abituare i giovani a valutare fonti, distingue re i fatti dalle opinioni e sviluppare una coscienza informata». Ma atten zione anche agli ostacoli strutturali. «Lo studio evidenzia che la fiducia

nei vaccini è spesso legata al livello socio economico, alla lingua parla ta e all’accesso ai servizi sanitari. Le persone più critiche, ad esempio, si fidano molto meno delle istituzioni pubbliche (solo il 13%) e dei medi ci (62%), ma danno più credito alla medicina complementare (24 2 5%)». Alla fine, la scelta di vaccinarsi o me no nasce dal rapporto umano e l’e sperienza sul campo conferma ciò che i dati dicono: «I livelli di coper tura vaccinale variano molto: circa il 90% degli adulti è vaccinato contro il tetano, l’80% contro il COVID 19, il 68% contro il morbillo, ma solo il 23% contro l’influenza e il 13% con tro l’HPV». Chi è molto favorevole ai vaccini tende ad averne ricevuti di più (54% con almeno 5 vaccini), men tre chi ha più dubbi è meno coperto (solo il 15% ha ricevuto 5 o più vacci ni). Per il COVID 19, la differenza è ancora più marcata: «91% tra i favo revoli, 66% tra i moderati, solo 34% tra i poco propensi».

A questo punto, il nostro interlo cutore porta ad esempio la Svizzera romanda dove esercita e dove, pro prio per rispondere a queste esigen ze, è stato creato un workshop for mativo rivolto agli operatori sanitari sulle modalità per comunicare con le persone esitanti sulla vaccinazione, in cui si mettono a confronto l’approc cio informativo e quello motivazio nale, con giochi di ruolo e debriefing: «I partecipanti ne escono con più si curezza nel parlare di vaccini, meno tensioni nei colloqui e una maggiore capacità di accompagnare i pazien ti verso una scelta consapevole». La chiave, dunque, risiede nella relazio ne, e la «competenza vaccinale» non è solo una questione di nozioni o di percentuali, bensì un intreccio di co noscenze, fiducia e dialogo che si co struisce giorno dopo giorno, nel rap porto tra persone. Come ci ricorda il dottor Diana: «Non si tratta di ave re ragione, ma di essere presenti nel momento in cui l’altro ha bisogno di capire».

di lingua italiana. Orsetto, dunque, sa stare solo con sé stesso, e non co me ripiego, ma come consapevole e saggia scelta, per ricentrarsi e ritro varsi, e per ritrovare la bellezza del mondo. Saper stare soli è essenziale, ovviamente non sempre, ma «ci so no momenti in cui…». E questi mo menti non sono di solitudine vuota e fredda di fronte a uno schermo, ma sono pieni del calore e del vitale dia logo con la natura, attraverso tutti i sensi («sentire l’odore della pioggia», «chiacchierare con il fiume», «guar dare il vento»…), sono proprio un risiedere gioiosamente negli istan ti. Istanti quotidiani, dei quali ogni bambino fa esperienza e di cui può

cogliere la meraviglia, se preservata dal frastuono del mondo.

Ilaria Mattioni

La figlia del gigante

Feltrinelli (Da 11 anni)

Sin dal titolo siamo immersi nella prospettiva della giovane protagoni sta, la dodicenne Layana, contessina di Valmarana, che si ritiene figlia di un gigante, vista la statura immensa del padre, a confronto con la sua e con quella di tutti coloro che le stanno attorno (dama di compagnia, balia, precettore, maestro di ballo, eccete ra). Tuttavia e mi spiace svelarlo, ma non credo ci sia altro modo di darvi un’idea di questo romanzo, e del re sto il colpo di scena avviene nelle pri me pagine Layana vive in una bolla creata su misura per lei dal padre, per proteggerla dal trauma di sentirsi di versa e dal possibile scherno del mon do: Layana è affetta da nanismo, ma non lo sa, perché tutti i suoi servito ri sono nani come lei, e le è stato im pedito di uscire dai confini del parco della Villa. Non è lei, dunque, a esse re figlia di un gigante, ma è suo pa dre, questo padre che per un malin teso senso di amore la tiene segregata,

ad avere una figlia nana. Il roman zo, vincitore quest’anno del Premio Campiello Junior, è stato ispirato all’autrice da una leggenda legata a Villa Valmarana ai Nani, situata al le porte di Vicenza. Si narra infatti di una fanciulla affetta da nanismo che era stata confinata dai genitori all’in terno dei suoi possedimenti, con dei nani al suo servizio. Finché un giorno un principe riuscì a entrare nel parco della Villa, infrangendo l’isolamen to della ragazza e costringendola a prendere coscienza della sua «diver sità»; disperata, la giovane si gettò da una torre, e i fedeli servitori nani si pietrificarono dal dolore: ancor oggi, diciassette statue di nani sono visibili

sul muro di cinta di Villa Valmara na. Mattioni sceglie però un altro fi nale per il suo romanzo, creando una protagonista forte e volitiva, che do po lo sgomento e la rabbia per essere stata vittima di un terribile inganno, cercherà con coraggio la propria stra da nel mondo, quel mondo da cui il padre voleva tutelarla, e che lei inve ce affronterà a testa alta, consapevole della sua meravigliosa unicità, come quella che contraddistingue chiun que: «Non sono normale e non sono speciale. Sono soltanto io, Layana. Di Valmarana. Contessina. E ne so no felice». Layana, come in ogni ro manzo di formazione, dovrà lasciare il suo contesto protetto, e in un av vicendarsi di avventure rocambole sche (fughe, rapimenti, salvataggi) fronteggerà il mondo là fuori, a trat ti accompagnata da altri ragazzi con siderati come lei «mostruosi» e che invece ritroveranno, insieme a lei, la consapevolezza della propria dignità di creature uniche e «meravigliose». Non manca un accenno di romanti cismo, con la figura di Giuseppe Tie polo, immaginario giovane parente dei pittori Giambattista e Giando menico Tiepolo che nel Settecento affrescarono (davvero) la Villa.

La scelta di vaccinarsi o meno nasce da un intreccio di conoscenze, fiducia e dialogo che si costruisce giorno dopo giorno, nel rapporto tra persone. (Freepik.com)
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Da 25 anni al servizio della mobilità

Istantanee sui trasporti ◆ R ipercorriamo la storia della nascita della società anonima Trasporti

Riccardo De Gottardi

Era il 2000 quando l’allora Azienda comunale dei trasporti della Città di Lugano (ACTL) fu trasformata in una nuova società, la Trasporti pubblici luganesi (TPL) che oggi festeggia il suo venticinquesimo compleanno. Un momento importante per celebrare i passi avanti compiuti e anche un’occasione per tracciare gli indirizzi del futuro, ma innanzitutto meritano un richiamo le vicende che hanno portato alla costituzione della nuova Società. Ritorniamo alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, allorquando il Cantone promosse la reimpostazione dei contenuti e delle modalità operative della politica cantonale della mobilità. Le novità furono la costituzione delle Commissioni regionali dei trasporti, l’introduzione dello strumento dei Piani regionali dei trasporti e un finanziamento attraverso crediti-quadro con una partecipazione solidale di tutti i Comuni delle diverse regioni interessate. Si posero così le basi per modalità di lavoro che, con una serie di aggiornamenti successivi, perdurano ancora oggi. Qui interessa sottolineare che con queste riforme, e con le parallele incombenti decisioni sulla costruzione delle nuove trasversali ferroviarie alpine, il trasporto pubblico ottenne in Ticino un’attenzione fino ad allora sconosciuta. Il primo Piano dei trasporti approvato fu proprio quello del Luganese, nel 1994. Fissò anche gli indirizzi per il potenziamen-

to della ferrovia Lugano-Ponte Tresa e per l’aggiornamento delle reti dei servizi su gomma urbani e regionali. Accanto a misure «di pronto intervento» per migliorare il coordinamento dei servizi tra le varie imprese, adattamenti puntuali di linee e fermate e potenziamenti mirati, la Commissione regionale dei trasporti del Luganese e il Cantone avviarono un ambizioso progetto per una nuova offerta di servizi (soprannominata OTPLu1), che aveva il suo cuore pulsante proprio nella città di Lugano. Fu attivata nel 2002. La premessa di fondo per raggiungere il risultato fu la definizione di una base legale, che il Gran Consiglio approvò con la prima Legge cantonale sul trasporto pubblico, entrata in vigore nel 1994.

La novella legislativa conteneva un principio fondamentale anche per la nascita della TPL SA. In effetti il sostegno finanziario del Cantone fu esteso anche a diverse linee gestite dall’ACTL classificate come «servizi urbani d’importanza cantonale». Nel Messaggio cantonale dell’8 luglio 1997, con il quale si postulava un primo credito quadro di 10.5 milioni di franchi per realizzare le infrastrutture necessarie all’attuazione della succitata offerta, il Consiglio di Stato affermava che «la razionalizzazione dei servizi pubblici nell’area urbana e la ridefinizione delle loro modalità di finanziamento comporta la indifferibile neces-

sità di un mutamento nella struttura organizzativa dei servizi stessi». Con il passaggio da un’azienda municipalizzata a una società anonima (il cui capitale sociale sarebbe stato detenuto dai comuni e dal Cantone) ci si aspettavano numerosi vantaggi: un approccio regionale, una gestione operativa più reattiva e flessibile e una migliore distinzione tra le prerogative di carattere aziendale e il ruolo di committente di prestazioni dell’ente pubblico. Con il medesimo messaggio e con un gesto di buona volontà il Governo cantonale si impegnò anche a contri-

buire alla buona riuscita della riforma societaria con un importo forfettario annuale di 2.6 milioni di franchi concesso alla Città per sostenere già da subito i servizi esistenti. La riforma prese più tempo del previsto e fu conclusa nel 2001. Pur beneficiando di un sostegno politico trasversale si dovette infatti affrontare l’opposizione degli allora Comuni di Pregassona e Viganello. Il loro definitivo rifiuto di partecipazione, accolta invece da Vezia, Massagno, Breganzona, Paradiso e Savosa, portò il Consiglio di Stato e poi il Gran Consiglio ad aumentare l’importo del-

la partecipazione cantonale al capitale sociale della nuova società dagli iniziali 1’125’000 franchi a 1’625’000 su un totale di 4’500’000. Così facendo rimaneva soddisfatta la condizione posta dai comuni favorevoli di disporre insieme al Cantone della maggioranza del capitale azionario.

Oggi la TPL SA svolge un ruolo essenziale nella gestione della mobilità. Nel 2024 ha trasportato 16,4 milioni di passeggeri, ossia oltre un quarto del totale cantonale, risultando così la seconda nella graduatoria dopo i servizi ferroviari gestiti dalla TILO SA.

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Una passeggiata nello spazio

Territorio ◆ Scoprire i pianeti e il sistema solare con una gita nel silenzio dei Monti di Saurù-Parusciana

Imparare qualche nozione sul nostro sistema solare, riassaporare le nozioni apprese sui banchi di scuola oppure, semplicemente, passeggiare nella natura con uno sguardo che si spinge oltre, verso l’infinito dello spazio. Sono queste alcune esperienze che si possono vivere percorrendo il sentiero dei pianeti di Saurù-Parusciana, monti sulle alture di Lumino. Per arrivare al punto di partenza, situato attorno ai 1’300 metri di altitudine, ci si può affidare alla Funivia Pizzo di Claro di Lumino (da novembre aperta nei weekend), che porta i visitatori proprio all’inizio del sentiero e permette così di risparmiare i circa mille metri di dislivello che separano dal fondovalle.

In un attimo, in poco più di dieci minuti, si viene così catapultati in quota, nel silenzio, lasciandosi alle spalle boschi di castagno che gradualmente cedono il posto a imponenti abeti, i quali accompagnano o abbracciano anche faggi e altre specie del nostro territorio. «Atterrati» ai Monti di Saurù la quiete prende il sopravvento e il panorama si apre con viste sul Ticino e Moesano, scorci che si assaporeranno poi anche lungo il tragitto, percorrendo l’anello della lunghezza di poco meno di un chilometro e mezzo, il quale arriva fino ai monti di Parusciana per poi tornare presso l’Aula nel bosco sopra Saurù.

Dal Sole ai pianeti nani

Dopo l’avvio il percorso conta dieci postazioni e la prima è dedicata al Sole, la stella centrale del nostro sistema, definito appunto sistema solare. Ogni tappa è caratterizzata da un pannello esplicativo, con alcune nozioni, informazioni e dati salienti: diametro, periodi di rotazione e rivoluzione, distanze, temperature o altro. Ogni cartello è poi completato con un modellino tridimensionale che può essere illuminato tramite una torcia (da portare da casa), dando così un effetto speciale al corpo celeste. Il sentiero, inizialmente pianeggiante, raggiunge presto i primi pianeti, a partire dal «piccolo» Mercurio, con il suo diametro di 4880 chilometri e le sue temperature superficiali impressionanti: dai -173°C ai +427°C. Sbalzi dovuti, come leggiamo sul pannello, ai «micidiali raggi del Sole» e all’assenza d’atmosfera. Poco distante per il visitatore, ma già a 108 milioni di chilometri dal Sole, ecco Venere, un pianeta tanto caldo (+662°C) che la vita risulta impossibile e dove

«il piombo scorrerebbe come l’acqua». Seppur ostile, Venere deve il suo nome all’antica dea romana della bellezza, derivante dalla sua brillantezza e dal suo splendore che lo rendono il più luminoso del nostro cielo e che s’avvicina alla Terra più di ogni altro, a «soli» 40 milioni di chilometri.

La camminata continua tra gli abeti e finalmente s’arriva alla Terra, il terzo pianeta in ordine di distanza dal Sole, ad ormai già quasi 150 milioni di chilometri. Qui si scopre per esempio che l’orbita attorno al Sole non è circolare, che in gennaio la Terra è più vicina al Sole e che quindi non è la sua vicinanza a provocare le variazioni di temperature stagionali, bensì l’inclinazione dell’asse del nostro pianeta.

Il percorso conta dieci postazioni, ogni pannello esplicativo è completato da un modellino tridimensionale

Il quarto pianeta è Marte, piccolo corpo roccioso grande circa la metà della Terra, con un suolo rugginoso, formazioni vulcaniche torreggianti, dune di sabbia increspate, innumerevoli crateri e un periodo di rivoluzione di ben 687 giorni (la Terra 365,25). È ancor più lungo «l’anno di Giove» (con il suo periodo di rivoluzione di ben 11,9 anni), un pianeta anche noto per essere il più grande del nostro sistema solare, con un diametro di 140’000 km, pari a undici volte quello della Terra. Interamente composto di gas, Giove possiede ben 67 satelliti, tra cui i più grandi sono Io, Europa, Ganimede e Callisto, «così luminosi che possono talvolta essere visti anche con un binocolo».

Il tragitto s’allontana sempre più dal Sole e anche i segmenti tra un panello e il successivo si dilatano ulteriormente, dato che l’intervallo fra loro è stato calcolato in proporzione alla distanza reale. In prossimità di Parusciana il sentiero scende leggermente e la vista s’apre fino al Monte Ceneri, al Piano di Magadino e oltre. È così il turno di Saturno, a circa un miliardo di chilometri dalla Terra. Anche lui interamente gassoso, è circondato da un sistema di anelli riflettenti, «tanto grandi che possono essere facilmente visti con un telescopio amatoriale». Nel mezzo dei monti di Parusciana ecco Urano, un gigante gassoso scoperto solo nel 1781, quando l’astronomo Herschel s’accorse che non si tratta di una stella. Attraversati gli ampi

Altre proposte per avvicinarsi all’astronomia

Un opuscolo del Sentiero dei pianeti, promosso dal comune di Lumino con i due patriziati di Lumino e Claro e sostenuta da vari partner e sponsor, è disponibile presso le informazioni turistiche, così come presso la stazione di partenza della Funivia a Lumino. La passeggiata è inoltre inserita nei consigli di Famigros, il club per famiglie della Migros (https://famigros.migros.ch).

Altri percorsi o itinerari incentrati sul tema dell’astronomia sono stati creati nella Svizzera italiana negli anni passati e alcuni sono presentati sul portale della Società astronomica ticinese, che svolge ricerche scientifiche e promuove la divulgazione dell’astronomia. C’è per esempio il planetario ricostruito sul Monte Generoso in

prati tra le case sparpagliate del piccolo agglomerato, si risale sul lato opposto per tornare verso Saurù in leggera ascesa. Siamo ormai a 2870 milioni di chilometri dal Sole e il percorso rientra nel bosco portando a Nettuno dopo un altro lungo spostamento (rispetto ai precedenti). Nettuno dista infatti 4500 milioni di chilometri dal Sole, un’infinità, ed è attualmente il piane-

ta più esterno del sistema solare, dato che Plutone, fino al 2006 ritenuto il nono, fu declassato dall’Unione astronomica internazionale a pianeta nano. L’ultima postazione, posta nel luogo di Plutone e nei pressi dell’Aula nel bosco di Saurù, include quindi anche Cerere, Haumea, Makemake e Eris, altri pianeti nani scoperti, quest’ultimi tre, solo nel 2004 e 2005. La gita può

Ora in azione

scala uno a dieci miliardi, che rappresenta quindi in prospettiva il sistema solare in un tratto di circa 600 metri. Il percorso parte dell’Albergo-Ristorante Vetta e si presenta con modelli tridimensionali e tavole informative con dati fisici e altre informazioni.

Dieci volte più grande è invece l’astrovia di Locarno, inaugurata nel lontano 2001 e che si sviluppa su sei chilometri lungo il fiume Maggia (dalla foce), in scala uno a un miliardo. Dal 2020, sul Monte Lema viene invece raccontata la storia dell’universo e dei 4,5 miliardi di anni della Terra tramite nove pannelli disposti sul sentiero che porta dal Ristorante Vetta all’osservatorio (www.astroticino.ch/ sentieri-dei-pianeti).

terminare con una piccola deviazione verso il vicino punto panoramico, da cui ammirare dall’alto la Riviera.

Informazioni

www.lumino.ch/comune/strutture/ sentiero-dei-pianeti

Per gli orari della funivia: www. funiviapizzodiclaro.weebly.com tel: +41(91) 829 20 19

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ATTUALITÀ

«Armi d’ordinanza da ritirare»

Pistole e fucili militari in casa rappresentano un rischio (leggi fatti di sangue) oppure le cause della violenza vanno cercate altrove?

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Voci dal porto di Genova

Chi sono i Camalli, la leggendaria Compagnia unica dei lavoratori portuali che esiste dal 1300, promuovendo pace e solidarietà

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Se gli «alimenti» non arrivano

La povertà delle famiglie monoparentali, le falle nel sistema sociale e cosa fare se l’ex non versa i contributi per i figli. Parla Alessia Di Dio

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Tutela fragile per donne e bambini, ferite profonde

Il rapporto ◆ La Svizzera non fa abbastanza contro la violenza domestica: mancano soldi, strutture di aiuto e una strategia globale

Bocciata, senza se e senza ma. Ma con la possibilità di andare agli esami di riparazione. La Svizzera deve fare i conti con una pagella colma di insufficienze per quello che fa, o meglio che non fa, nella lotta contro la violenza domestica e contro i femminicidi. Alcune delle note di questa pagella sono da profondo rosso, vanno dal 3 all’1 e mezzo. Un verdetto emesso dalla Rete della Convenzione di Istanbul, un’organizzazione chiamata a valutare il modo in cui Berna applica i principi di questa Convenzione, elaborata dal Consiglio d’Europa per contrastare questo tipo di violenze. Adottato dalla Svizzera nel 2018, questo accordo internazionale impegna le autorità del nostro Paese a elaborare norme, misure e piani di azione, in particolare per la protezione delle donne e dei bambini e più in generale contro ogni tipo di violenza legata al genere di una persona.

La Convenzione di Istanbul, a cui la Svizzera aderisce, mira a combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica

Il rapporto di questa Rete è stato pubblicato la settimana scorsa e definisce «preoccupante» quanto capita nel nostro Paese in questo ambito, basti pensare che ogni due settimane una donna viene uccisa da un uomo, mentre per quanto riguarda i tentativi di femminicidio si registra una inquietante costanza settimanale, un caso ogni sette giorni. Nel corso del 2025 sono stati finora 25 i casi di femminicidio registrati. Un quadro molto triste che era già emerso negli anni scorsi e che viene confermato anche dagli studi condotti dall’Ufficio federale per l’uguaglianza tra uomo e donna. L’analisi sull’operato del nostro Paese, stilata dalla Rete della Convenzione di Istanbul, viene chiamata «Rapporto parallelo» ed è realizzata dal lavoro congiunto delle tante organizzazioni non governative.

Uno studio che va ad aggiungersi, da qui il termine «parallelo», alle analisi elaborate dalle diverse amministrazioni pubbliche del nostro Paese e dalle polizie cantonali. Dando un’occhiata alla pagella, va subito detto che le nostre autorità devono fare i conti con un 3 secco per quanto riguarda, ad esempio, l’applicazione di una delle raccomandazioni della Convezione di Istanbul, che chiedeva, e chiede ancora, la realizzazione di un piano d’azione nazionale e una strategia coordinata contro tutte le forme di violenza legate al genere. Il 3 in pagella è dovuto anche alla struttura federalista del nostro Paese e a una forte differenza tra i diversi Cantoni elvetici nel lottare contro questo fenomeno. A com-

plicare ancor di più le cose c’è anche la presenza di un «numero elevato di interlocutori diversi». Sulla pagella della Rete è finito anche il modo con il quale si procede alla valutazione delle diverse misure messe in atto in questo ambito. Un riesame costante che soffre però di una lacuna maggiore: mancano uno sguardo di insieme e una strategia globale. E qui la nota assegnata è ancora più bassa: 2 e mezzo. Va persino peggio, si passa a un 2 decisamente insindacabile, se si mette la lente sugli aspetti finanziari, sui mezzi messi a disposizione per combattere i femminicidi e la violenza di genere.

Una mancanza di fondi che causa, ad esempio, un problema nell’ambito dell’accoglienza delle donne, e anche dei bambini, che si ritrovano in una situazione di pericolo. Per il Consiglio d’Europa ogni Paese che ha firmato la Convenzione di Istanbul dovrebbe disporre di una camera-famiglia ogni diecimila abitanti. In Svizzera mancano circa 800 strutture di questo tipo. In altri termini il nostro Paese dispone solo di un quarto delle camere-famiglia di cui avrebbe bisogno. Da qui,

appunto, il 2 secco, che si trasforma in un 1 e mezzo se si guarda alle tante carenze nell’ambito della protezione dei bambini, coinvolti e vittime di violenza domestica. Il rapporto definisce «casuale» la protezione dei più piccoli, manca dunque una rete strutturata non soltanto nella presa a carico ma anche nella prevenzione di questo tipo di maltrattamenti.

Nel nostro Paese non è ancora attivo un numero unico da chiamare in caso di violenza di genere o domestica: sarà il 142

La settimana scorsa, nel commentare lo studio realizzato dalla Rete della Convenzione di Istanbul, il Consiglio federale ha ribadito che «la lotta contro la violenza domestica e la violenza contro le donne è una priorità». In tal senso va ricordato che lo scorso 22 ottobre lo stesso Governo aveva presentato una revisione della legge federale che riguarda l’aiuto alle vittime, con l’obiettivo di migliorare la loro presa a

carico medica e di accrescere le offerte di alloggio. Per il Consiglio federale occorre anche sviluppare nuove misure di prevenzione attraverso campagne di sensibilizzazione rivolte a tutta la popolazione. Proprio in questo senso il prossimo 11 novembre scatterà una campagna nazionale pluriennale per contrastare la violenza domestica, sessuale e di genere. Una giornata patrocinata dalla Consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider e sostenuta da un’ampia rete di organizzazioni non-governative. A fronte della pagella poco lusinghiera stilata dalla Rete della Convezione di Istanbul, il nostro Paese può comunque far valere anche alcune modifiche di legge, adottate di recente, e che mirano ad arginare il fenomeno. Proprio nel giugno scorso il Parlamento ha deciso di inserire lo stalking nel Codice penale e di considerarlo un reato a tutti gli effetti. Perseguitare, molestare o minacciare una persona, nella vita reale o in quella virtuale, può dunque portare a una denuncia e al perseguimento penale. Nel settembre scorso, sempre il Parlamento,

ha inserito il principio dell’educazione non violenta dei figli nel Codice civile, al bando dunque sculacciate, schiaffi e offese verbali. E qui va detto che uno studio condotto dall’Università di Friburgo, nel 2023, aveva messo in evidenza che nel nostro Paese un bambino su cinque subisce costantemente violenza psichica e che il 15% dei genitori ha ammesso di aver strattonato o colpito il proprio figlio. In conclusione va comunque ricordato che nel nostro Paese manca ancora un numero unico da chiamare in caso di violenza di genere o domestica. Il numero in verità esiste, è il 142, ma non è ancora attivo. Se ne parla da ben quattro anni, su iniziativa della Confederazione. Una sua attivazione era prevista per l’inizio di questo mese di novembre, ma slitterà alla primavera dell’anno prossimo, per motivi sostanzialmente tecnici e di coordinamento tra operatori telefonici e autorità. Al momento anche il 142 va ad aggiungersi alle tante note insufficienti assegnate alla Svizzera per quanto fa in difesa, in particolare, delle donne.

Roberto Porta

Armi d’ordinanza e violenza domestica

Prevenzione dei femminicidi ◆ C’è chi pensa che pistole e fucili militari in casa rappresentino un rischio concreto (da evitare) e chi ritiene che le cause della brutalità vadano cercate altrove. La mozione della zurighese Priska Seiler Graf

È un anno orribile il 2025 e purtroppo non è il primo in Svizzera: le vittime di femminicidio sono oltre 20 (ne parliamo nel mese dedicato alla lotta contro la violenza domestica e di genere). Una situazione che a giugno aveva spinto Confederazione, Cantoni e Comuni a prendere misure straordinarie e urgenti, fra le quali colmare le carenze di posti nelle case rifugio e rafforzare la prevenzione attraverso la formazione dei professionisti. Intanto, in Consiglio Nazionale, la socialista zurighese Priska Seiler Graf depositava una mozione dal titolo: «Rafforzare la prevenzione degli omicidi con armi da fuoco in ambito domestico». Il testo chiede di confiscare tutte le armi militari ritirate dopo l’obbligo di servizio se i proprietari, da oltre dieci anni, non le utilizzano per il tiro sportivo.

Nel 70% dei casi, le vittime erano donne. A premere il grilletto, quasi sempre, un uomo svizzero: il partner o l’ex, con un’età media superiore ai 63 anni

A fine estate, qualche giorno dopo il triplice femminicidio di Corcelles (quando un uomo ha ucciso la sua ex moglie e le due figlie), il Consiglio federale si esprime favorevolmente sulla mozione.

Ma cosa c’entrano le armi militari con i femminicidi? La risposta è in uno studio pubblicato qualche mese prima, a febbraio 2025. La ricerca – commissionata dall’Ufficio federale per l’uguaglianza fra uomo e donna ed elaborata dall’Università di San Gallo – parte da una constatazione: negli ultimi 30 anni gli omicidi in Svizzera sono calati e lo sono ancora di più quelli commessi con armi da fuoco. Una tendenza che non si riscontra però con la stessa rilevanza negli omicidi commessi in ambito domestico, fra le mura di casa. Dal 2015 al 2022 questi omicidi sono stati 122, 41 dei quali commessi con un’arma da

fuoco. Nel 70% dei casi le vittime erano donne. A premere il grilletto, quasi sempre, un uomo svizzero: il partner o l’ex, con un’età media superiore ai 63 anni.

Il legame fra le armi che hanno ucciso e quelle militari a dire il vero non è semplice da stabilire. Molti dossier, infatti, sono lacunosi: in ben 27 casi su 41 non è indicata l’origine dell’arma, ma laddove questa informazione esiste quelle militari rappresentano il 35,6 per cento. Le autrici dello studio ritengono però che, considerata l’età piuttosto elevata dei colpevoli e la loro nazionalità svizzera, si possa presupporre che le armi tenute dai soldati alla fine del servizio (un tempo molto numerose) possano giocare un ruolo importante in questo genere di

omicidi. E così si invita a considerarle come un fattore di rischio. Siccome, poi, nei casi di omicidio con arma da fuoco in ambito domestico i segnali d’allarme sono spesso impercettibili, la raccomandazione è quella di confiscare le armi dal primissimo sospetto. Come abbiamo visto la mozione Seiler Graf si spinge invece più in là, perché «non è compito dell’esercito lasciare agli uomini svizzeri l’arma per commettere omicidi in ambito domestico», scrive la consigliera nazionale. In Parlamento la proposta di ritiro dopo 10 anni delle armi inutilizzate avrebbe dovuta essere trattata a fine settembre, ma è stata rinviata. A combatterla ci sarà comunque certamente Lorenzo Quadri, che in un atto parlamentare si indigna del

sostegno del Governo alla mozione: «Così facendo il Consiglio federale cede alla propaganda della sinistra che mira a smantellare l’esercito di milizia con la notoria tattica del salame; l’argomento della prevenzione della violenza domestica è infatti pretestuoso». Il consigliere nazionale, ponendo una serie di domande al Governo, propone invece di affrontare il tema della criminalità straniera, citando dati secondo cui gli stranieri sarebbero sovra-rappresentati tra gli autori di omicidi. E poi «il Consiglio federale immagina veramente che chi intende compiere atti violenti contro se stesso o contro terzi non troverebbe un’alternativa all’arma d’ordinanza?».

Il dibattito, insomma, resta acceso tra chi vede nella disponibilità di armi

Quali vantaggi ho versando retroattivamente nel pilastro 3a?

un rischio concreto e chi ritiene che le cause della violenza vadano cercate altrove. Stando ai dati dello studio dell’Università di San Gallo - abbandoniamo però qui l’ambito degli omicidi con arma da fuoco - per quanto riguarda invece la limitazione alle libertà del cittadino-soldato, i dati segnalano già ora una disaffezione dei militi nei confronti della loro arma d’ordinanza. Se nel 2004 erano ancora il 43% a conservarla dopo l’obbligo di prestare servizio, nel 2018 questa percentuale era già scesa al 13%. La passione degli svizzeri per le armi, al contrario, non sembra in calo: in dieci anni le autorizzazioni di acquisto sono aumentate di una volta e mezza. Armi acquistate da collezionisti e tiratori, che non ricadrebbero sotto la fattispecie della mozione. Anche il brigadiere Stefano Laffranchini, su «LaDomenica», ha sottolineato: «Se si restringesse il possesso delle armi a queste due categorie (collezionisti e tiratori), che tendenzialmente hanno anche una maggiore perizia e attenzione nella custodia degli strumenti di fuoco, si limiterebbero già ragionevolmente la diffusione delle armi sul territorio e i rischi ad esse connessi».

In attesa del dibattito parlamentare, quello pubblico è ormai lanciato. La speranza è che anche partendo da posizioni diverse si giunga a soluzioni condivise per spezzare quella vergognosa catena di violenza domestica, che anno dopo anno aggiunge donne uccise ad altre donne uccise. Donne uccise solo perché donne. Questo è il femminicidio.

L’11 novembre 2025 l’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo lancerà una campagna nazionale di prevenzione contro la violenza domestica, sessuale e di genere. Patrocinata dalla consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider, è stata sviluppata insieme a un’ampia alleanza di organizzazioni governative e non governative.

Per informazioni

https://www.parita2030.ch/it/3.1.1.6

La consulenza della Banca Migros ◆ Si aumenta il capitale risparmiato e si generano risparmi fiscali, spiega Isabelle von der Weid

Il pilastro 3a consente a chi esercita un’attività lucrativa di risparmiare per la vecchiaia e ridurre il proprio onere fiscale. Il beneficio maggiore si ottiene versando ogni anno l’importo massimo consentito. Spesso ciò non è possibile per motivi economici e può causare lacune nella previdenza privata.

Fino a questo momento non era possibile effettuare versamenti retroattivi nel pilastro 3a. Adesso, però, la legge prevede alcuni miglioramenti e consente di versare retroattivamente i contributi mancanti o incompleti, per la prima volta dal 2026 per l’anno 2025. Non può beneficiarne chi già preleva averi dal pilastro 3a, come previsto dai 60 anni in poi. I versamenti retroattivi non sono possibili neppure per gli anni in cui non si è percepito uno stipendio soggetto all’AVS.

Esempio: nel 2025 una persona versa nel pilastro 3a solo 3000 franchi. L’importo massimo consentito è di 7258 franchi (per i lavoratori dipendenti nell’anno in corso). Grazie alla nuova regolamentazione, in aggiunta al regolare contributo 3a, questa persona l’anno prossimo potrà versare l’importo mancante di 4258 franchi per il 2025 e dedurlo dal reddito imponibile nella dichiarazione fiscale 2026.

Se anche nel 2026 la persona in questione non versasse l’importo massimo, potrebbe integrare nel 2027 gli importi mancanti dei due anni precedenti.

Importante: per poter effettuare un versamento retroattivo in un determinato anno occorre avere già versato l’importo massimo nel pilastro 3a per quello stesso anno. Inoltre, so-

no riscattabili retroattivamente solo i dieci anni precedenti. Chi nel 2025 effettua versamenti incompleti o non

versa affatto nel pilastro 3a potrà integrarli fino al 2035. I versamenti retroattivi nel pilastro 3a presentano diversi vantaggi: in primo luogo aumentano il capitale risparmiato, migliorando a lungo termine la previdenza per la vecchiaia. Quanto prima si versa denaro nel pilastro 3a, tanto più a lungo si beneficia dell’interesse composto.

In secondo luogo, i versamenti retroattivi generano risparmi fiscali, dal momento che i relativi contributi sono deducibili dal reddito imponibile.

In terzo luogo, i versamenti retroattivi consentono più flessibilità nella pianificazione: con il pilastro 3a siete voi a decidere quando e quanto versare successivamente, che siano piccoli importi per diversi anni o importi più elevati se, ad esempio, ricevete un bonus o un’eredità. Chi ha un red-

dito irregolare o inizia a risparmiare tardivamente nel pilastro 3a può ottimizzare il proprio avere in un secondo momento.

Consiglio Annotate i vostri contributi annui nel pilastro 3a per facilitarvi in seguito una visione d’insieme degli eventuali versamenti retroattivi. Aprire un conto pilastro 3a Maggiori informazioni sul conto di previdenza presso la Banca Migros

Pubblicità di un servizio finanziario secondo la LSerFi.
Isabelle von der Weid, consulente alla clientela presso la Banca Migros ed esperta in previdenza

La sua eredità per la natura

e il futuro

Desidera lasciare un segno duraturo che non smetta di avere un effetto? La natura le sta a cuore? Pensare al futuro e prendersene cura: per il bene del prossimo e della natura. Ciò che lascia conta: si lasci ispirare dalla nostra guida!

Le serve una panoramica delle varie opzioni? Ha un’esigenza particolare o domande specifiche? Sarò felice di darle un consiglio personalizzato! Cordialmente, Nathalie Schaufelberger nathalie.schaufelberger@pronatura.ch

q Sì, inviatemi la guida Pro Natura (gratuita)

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Spalle forti, cuore grande

Camalli ◆ Le voci degli operai del porto di Genova, i loro gesti di pace e solidarietà

Angela Nocioni

Eccolo qua il console, il capo dei Camalli di Genova, la leggendaria Compagnia unica dei lavoratori portuali che esiste dal 1300. Robusto, pacato, si chiama Antonio Benvenuti e ha 74 anni. «Quando a fine agosto è partita da Genova la mobilitazione per Gaza – racconta – qui al porto sono cominciati ad arrivare migliaia e migliaia di sacchi da mandare ai palestinesi, attraverso le barche della Global Sumud Flotilla. Servono braccia per preparare pacchi? Abbiamo messo a disposizione 40 uomini. Serve una sala? Prendete la nostra. Non è mio compito fare politica, ma dare una mano sì». Riconfermato al comando per la sesta volta consecutiva, a metà ottobre, dall’assemblea dei soci – perché i Camalli da sette secoli sono soci della Compagnia e non dipendenti – Benvenuti dice con orgoglio: «Facevamo lavoro flessibile su chiamata già nel 1300 e lo facciamo ancora adesso. Quando arrivano navi servono operai specializzati. Un’ora e mezza prima ti arriva un messaggio e tu devi essere pronto e sul posto». Dire Camallo significa dire aristocrazia operaia di Genova. Il termine è un misto tra l’antico dialetto genovese e la parola araba «ḥammāl», che significa «portatore» o «facchino». Sulle spalle dei Camalli – gli «scaricatori» del porto – è passata per secoli tutta la merce che dal buio della stiva è finita in banchina alla Darsena, tornata ad essere il cuore della città dopo la ristrutturazione dell’architetto Renzo Piano nel 1992 (in occasione delle celebrazioni per i 500 anni dalla scoperta dell’America). Fu appunto nel primo Medioevo che a Genova vennero istituiti i «consoli del mare» per governare le attività e la manutenzione del porto di una città diventata crocevia dei commerci nel Mediterraneo. In origine gli «scaricatori» erano immigrati bergamaschi. «Ora la maggior parte dei Camalli è ligure, quasi sempre figli di operai», osserva Benvenuti. «Ma ci sono anche ragazzi nuovi dal Centro America e qualche africano. Eravamo molte migliaia e ora siamo 1070. L’introduzione dei container e dei traghetti ha assottigliato la Compagnia, ma i volumi di merci sono aumentati e noi siamo una presenza costante. Il lavoro è rimasto pericoloso, tra gru e contenitori semoventi. È un lavoro di squadra e quando finisce il turno rimani a parlare con gli altri, fai riunioni, giochi a carte: sei socio, appartieni a qualcosa. Non è come in fabbrica dove stacchi e scappi». Lui è entrato nei Camalli nel 1974, aveva poco più di 20 anni: «Ora al porto ci sono i privati e lavoratori

dipendenti dei terminal. Allora il porto era pubblico e basta. Sono entrato tramite bando, e ce l’ho fatta anche perché avevo già moglie e figlia… Lavoravo con soci anziani che mi hanno insegnato il mestiere, come scaricavano. Non c’erano container, si usavano ganci e sacchi: c’era la merce di frigorifero, il congelato, il ferro, si usavano le spalle. Fino a 100 uomini per scaricare una stiva».

Parliamo anche con A., un Camallo di lunga esperienza, che ci spiega: «Facciamo turni da 6 ore, possiamo scegliere di farne due insieme, da mezzogiorno a mezzanotte, con una pausa in mezzo. Siamo reperibili tutto il giorno». Guadagno? «In media più di un operaio normale, il cui stipendio va dai 1000 ai 1200 euro. Poi dipende dal tuo rendimento e dalle condizioni: se piove forte ti pagano di più. Io vado dagli 800 a 1900 euro al mese. Siamo soggetti a tutte le crisi. Se c’è un attacco degli Houthi nel Mar Rosso o altre emergenze internazionali e non passano i mercantili, non lavoriamo». Negli ultimi anni ha preso quota un’altra organizzazione di operai nel porto: il Calp, il Collettivo autonomo lavoratori portuali. Vengono percepiti dall’esterno come un sindacato di base. Da loro è partita quest’estate la mobilitazione popolare per Gaza: loro hanno fisicamente impedito il carico di materiale bellico su una nave israeliana che poi è ripartita senza… Dice un assessore che conosce bene armatori e portuali: «Il Calp ha posizioni molto nette sulle armi, le ha sempre avute anche in tempo di pace. E non ha paura di far sentire la sua voce. Ricordiamo che in Liguria esistono degli stabilimenti e centri di ricerca di Leonardo, uno dei principali attori nel settore militare (coinvolto nel mercato elvetico della difesa attraverso collaborazioni, forniture e progetti con le forze armate svizzere, ndr.). Su Gaza il Calp ha trascinato tutti perché la gente in città è con i portuali che bloccano l’imbarco di materiale bellico».

Un operaio che fa parte del Calp ci dice: «Nel 1973, in piena guerra del Vietnam, i Camalli hanno portato una nave carica di generi di soccorso nel Paese asiatico, violando l’embargo americano. E ora insieme boicottiamo le navi israeliane. Quando ripartono allertiamo ogni porto: forse riusciranno a caricare in un porto militare, ma non in uno civile». Il porto di Genova mostrava e mostra solidarietà e rispetto per la vita: «Il messaggio che vogliamo portare avanti è questo: il mare unisce e non divide, noi che lavoriamo sul mare lo abbiamo capito».

Invii questo tagliando a Pro Natura, casella postale, 4018 Basilea o richieda la guida via e-mail scrivendo a nathalie.schaufelberger@pronatura.ch

Pensare al futuro oggi, per il bene del prossimo e della natura. Maggiori informazioni e liste di controllo su www.pronatura.ch/it/ pensare-gia-oggi-aldomani

Il console Antonio Benvenuti.

Alimenti negati, chi paga il conto?

Svizzera ◆ La povertà delle famiglie monoparentali, le falle nel sistema sociale e cosa fare se l’ex non versa i contributi per i figli

Rinunce quotidiane, fatture che si accumulano, niente vacanze e talvolta niente auto, tagli a cure mediche o dentistiche essenziali. Per molte famiglie basta poi una spesa imprevista di 1000 franchi per far tremare tutto. La povertà non è solo una condizione economica: è un tormento, un peso che si somma all’attività lavorativa, alla cura dei figli (senza contare il tempo speso per ottenere gli aiuti sociali e la fatica di comprendere i meccanismi burocratici correlati). E quando si è separati o divorziati, e l’ex partner non versa gli «alimenti» – tra solleciti, attese e battaglie legali – la situazione si trasforma in un vero incubo. Ne parliamo con Alessia Di Dio, coordinatrice dell’Associazione ticinese delle famiglie monoparentali e ricostituite (ATFMR).

Si tratta di violenza economica

Partiamo da un dato allarmante: nel nostro Cantone quasi una famiglia monoparentale su tre vive in povertà assoluta, dice l’intervistata. Si tratta perlopiù di madri con figli minorenni a carico, le quali si scontrano con discriminazioni e ostacoli di vario genere. «È la categoria più colpita dalla precarietà economica, una condizione difficile da superare, anche perché le misure di sostegno attuali risultano poco efficaci. Servono interventi mirati, pensati sulle esigenze reali di queste famiglie».

Dopo una separazione o un divorzio, infatti, le difficoltà si moltiplicano. Tra le più gravi, il mancato pagamento del contributo di mantenimento da parte del genitore non affidatario, fenomeno su cui scarseggiano dati recenti e precisi. «Secondo una stima di Caritas Svizzera, oltre il 20% dei genitori non affidatari, quasi sempre i padri, non versa del tutto o in parte i cosiddetti “alimenti”, oppure non lo fa in modo regolare. Per molti esperti tale dato è certamente sottostimato e anche dal nostro osservatorio vediamo come il mancato pagamento dei

contributi sia purtroppo un fenomeno diffuso». L’ATFMR registra anche un aumento, negli ultimi anni, delle segnalazioni di interruzione del versamento del contributo ai figli che compiono 18 anni ma che, essendo ancora in formazione, hanno ancora diritto agli alimenti. «In questi casi sta ai neomaggiorenni avviare le procedure contro il genitore che non rispetta l’obbligo di sostenerli economicamente, ma spesso questi ragazzi o ragazze non se la sentono e rinunciano a far valere i propri diritti. Ciò significa che l’intero loro mantenimento va a ricadere sulle spalle del genitore affidatario. Le difficoltà finanziarie possono talvolta portare a un’interruzione della formazione da parte dei giovani». Il mancato pagamento o i continui ritardi nel versamento dei contributi di mantenimento sono una forma di violenza economica che tuttavia non viene ancora generalmente riconosciuta come tale, sottolinea Di Dio. «Anzi, troppo spesso vediamo come i genitori affidatari, come detto quasi sempre le mamme, rinunciano ai loro diritti economici (e dei loro figli) pur di non vedersi confrontate con un ulteriore aggravarsi del conflitto genitoriale. Ci sono infatti padri che minacciano di non presentarsi più agli incontri coi figli se la madre avvia delle procedure contro di loro per la riscossione degli alimenti o – in virtù dell’autorità parentale congiunta – annunciano di voler ostacolare altri aspetti della vita famigliare».

Quali strumenti legali o istituzionali sono disponibili per tutelare il genitore affidatario? Se i contributi di mantenimento stabiliti in una decisione o in un accordo approvato dall’autorità competente non sono versati o sono versati solo parzialmente, in ritardo o in modo irregolare, il genitore affidatario può rivolgersi al servizio Aiuto all’incasso e all’Anticipo alimenti. «L’Aiuto all’incasso – spiega la nostra interlocutrice – fornisce assistenza e sostegno all’incasso degli alimenti, mettendo in atto, su procura dell’avente diritto, tutte le opportu-

ne misure giudiziarie ed esecutive per ottenere il pagamento dei soldi dovuti. L’Anticipo alimenti, invece, si occupa di anticipare al genitore richiedente il contributo dovuto dall’altro genitore per i figli minorenni». In Ticino l’anticipo corrisponde all’importo fissato nella decisione ufficiale, fino a un massimo di 700 franchi mensili a figlio, ma ha una durata limitata a 5 anni. «Tale limitazione temporale – quasi un unicum a livello svizzero –è a nostro avviso molto problematica poiché, trascorsi i 5 anni, i figli si vedono di fatto privati del loro diritto al mantenimento da parte dell’altro genitore e il nucleo monoparentale deve contare solo sulle proprie forze per arrivare a fine mese. Un altro aspetto problematico è il fatto che tali aiuti non sono retroattivi... Spesso passa diverso tempo prima che il genitore si rivolga a questi servizi, in parte perché non sono abbastanza conosciuti, in parte perché c’è una contraddizione di fondo tra il discorso dominante rispetto a come gestire le situazioni di separazione e divorzio (favorendo il dialogo, la mediazione, non trasformando il tutto in una guerra legale), e le proce-

dure necessarie in ambito di mancato versamento degli alimenti. Così, se un genitore affidatario tenta prima la via del dialogo e della conciliazione, senza subito rivolgersi ai servizi di Anticipo alimenti e di Aiuto all’incasso e senza far partire subito dei precetti contro il proprio ex, allora di fatto è penalizzato perché l’Anticipo alimenti non è retroattivo e non vi è generalmente un sostegno per il recupero dei soldi persi».

L’importanza di tutelarsi

Il principio rimane questo, spiega Di Dio: entrambi i genitori sono tenuti al mantenimento della prole. In modo diretto, quando il genitore che ha la custodia del figlio si occupa di lui e dei suoi bisogni, oppure in modo indiretto quando il genitore non affidatario versa dei contributi di mantenimento o «alimenti» (per vitto, alloggio, abbigliamento, cure generali, salute, educazione, formazione, tempo libero, copertura contro il rischio di malattia e incidente). Il contributo va versato fino alla maggiore età del figlio o fino al completamento di una formazione

che sia in grado di renderlo autonomo. L’ammontare degli alimenti è fissato caso per caso, applicando metodi di calcolo stabiliti dalla legge e tenendo conto dei bisogni del figlio e delle possibilità economiche dei genitori. Alcuni genitori (sposati o meno) non sentono il bisogno di formalizzare un accordo di separazione. Ed è possibile decidere consensualmente di interrompere la vita familiare comune e riorganizzare il proprio quotidiano senza dover far intervenire alcuna autorità (separazione di fatto). «Tuttavia – fa notare l’esperta – un accordo informale tra genitori, non approvato dall’autorità competente, non ha valore legale e non è, ad esempio, ritenuto valido in caso di richiesta di un’eventuale prestazione sociale e non dà diritto all’Anticipo alimenti in caso di mancato pagamento della somma liberamente pattuita tra i genitori».

Per tutelare anche economicamente i propri figli è dunque consigliabile disporre il prima possibile di un accordo ufficiale con gli eventuali contributi di mantenimento. Questo può essere stilato in via consensuale tra i genitori, magari avvalendosi di un servizio di consulenza o di mediazione, oppure –in caso di disaccordo – è importante rivolgersi subito a un/a avvocato/a per avviare una procedura in Tribunale, affinché venga stabilito ufficialmente l’ammontare dei contributi dovuti. Se una persona non può sostenere le relative spese legali, può fare richiesta dell’assistenza giudiziaria (gratuito patrocinio).

«Alle coppie non sposate con figli si consiglia di affrontare fin da subito la questione del mantenimento, per tutelare i bambini in caso di separazione», dichiara Di Dio. «È possibile accordarsi in modo vincolante su come regolamentare le responsabilità di cura del bimbo e gli eventuali alimenti. Se approvata dall’ARP, questa convenzione rende dunque possibile – qualora fosse necessario – l’accesso all’Anticipo alimenti, permettendo al genitore che avrebbe diritto di riceverli di guadagnare tempo prezioso».

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Il Mercato e la Piazza

Il Ticino che attira: come cambia il turismo

Il Ticino è un territorio turistico, lo è almeno da quando si aprì la prima galleria ferroviaria del Gottardo, oltre 140 anni fa. La stagione turistica di quest’anno è tuttavia speciale perché si è chiusa con l’annuncio dell’intenzione, da parte dei responsabili del nostro turismo regionale, di volere nei prossimi anni allungare la stagione includendovi anche i mesi invernali. Questa decisione e la sua possibile realizzazione sono da contare tra le poche conseguenze positive del riscaldamento globale. È perché la temperatura media è salita e le precipitazioni invernali sono diminuite che oggi i responsabili del nostro turismo possono infatti pensare di estendere la loro attività anche alla stagione invernale. Il clima è dunque un fattore importante nella determinazione dei flussi di turisti che visitano il Ticino. Lo si è potuto costatare

Affari

Esteri

anche nelle ultime due stagioni. L’anno scorso per il brutto tempo primaverile, che ha rovinato il risultato stagionale, e quest’anno al contrario per il bel tempo che potrebbe assicurare al nostro turismo un record in materia di pernottamenti. Aggiungiamo che anche il flusso dei turisti giornalieri deve aver toccato, quest’anno, nuovi risultati record. I responsabili del turismo nostrano hanno dunque un piano chiaro: profittare del riscaldamento dell’atmosfera per poter operare tutto l’anno. Ovviamente questo piano può aver successo solo se la domanda turistica risponderà positivamente e nella misura necessaria. Per poter giudicare se questo sarà possibile può essere utile dare un’occhiata alle tendenze di sviluppo di lungo termine della domanda in questione. Per semplificare la presentazione distingueremo tra turismo alberghiero, turismo in strutture paral-

berghiere (appartamenti e case di vacanza, campeggi e alloggi collettivi) e turismo di giornata (quindi senza pernottamento). Secondo noi, il turismo giornaliero è diventato significativo solo dopo l’apertura della galleria di base del San Gottardo. Non conosciamo nessun dato statistico a questo proposito se non le indicazioni sulle frequenze dei treni passeggeri. Pensiamo tuttavia di non essere lontani dalla realtà stimando che, da marzo a ottobre, il turismo giornaliero in Ticino possa contare su almeno un milione di arrivi. È una cifra importante. Tuttavia il grosso dei flussi turistici è rappresentato dagli ospiti che soggiornano nelle strutture ricettive alberghiere e paralberghiere. Se analizziamo l’evoluzione dei pernottamenti del turismo ticinese ci accorgiamo che il loro totale, dopo essere raddoppiato tra il 1960 e il 1980, anno di apertura della galleria autostradale

del San Gottardo, ha continuato a ridursi fino a scendere, nel 2020, anno della pandemia, largamente al di sotto del valore raggiunto nel 1960. Oggi contiamo circa 4,5 milioni di pernottamenti all’anno. Quale è l’apporto dei due settori al totale dei pernottamenti? Nel 1960 la quota delle strutture ricettive del settore paralberghiero rappresentava il 36% del totale dei pernottamenti del turismo ticinese. Venti anni dopo questa quota era salita al 59%, grazie al forte sviluppo dei pernottamenti nei campeggi e nelle abitazioni e case di vacanza. Da allora però gli alberghi hanno riguadagnato peso. Nel 2023, ultimo anno per il quale si dispone di dati, la quota del paralberghiero è infatti ridiscesa al 43%. In passato gli anni in cui il numero dei pernottamenti in Ticino è stato particolarmente alto sono quelli in cui i pernottamenti nel settore paralberghiero sono

Mamdani sogna di cambiare le regole a New York

Zohran Mamdani è la scintilla che ha acceso la sinistra americana dopo la batosta trumpiana di un anno fa, che aveva annichilito la candidata del Partito democratico, Kamala Harris, e le certezze di una parte politica che pensava di poter mantenere la presa su un segmento del suo elettorato. La vittoria di Trump nel 2024 non ha solo riportato alla Casa Bianca un presidente capriccioso e imprevedibile, ma ha anche segnalato uno smottamento di voti verso destra nei luoghi e nei segmenti elettorali che erano sempre stati di sinistra. Uno di questi luoghi è proprio New York, al tempo stesso roccaforte dei democratici e terra di Trump, un insieme di contraddizioni e opportunità, immagine dell’America e sua deformazione. Ecco perché l’arrivo sulla scena politica di Mamdani, candidato sindaco della città citata, ha avuto una risonanza inusuale, come se il 4 novembre, giorno delle elezioni, si dovesse decidere una via per il futu-

ro, una via di luce, promesse e novità o il suo contrario. Zohran Mamdani ha 34 anni, è nato a Kampala, in Uganda, da genitori di origine indiana che sono celebri: il padre Mahmood è un professore della Columbia University esperto in studi post-coloniali; la madre è Mira Nair, regista pluripremiata, il suo Monsoon Wedding ha vinto il Leone d’oro a Venezia nel 2001. Ha vissuto i suoi primi anni in Sud Africa e poi è arrivato in America, è andato ad abitare a Morningside Heights, il quartiere dell’Upper West Side di Manhattan contiguo alla Columbia. Musulmano, appassionato di studi africani come suo padre, e di musica, hip hop e rap, Mamdani è arrivato alla politica all’inizio degli anni Venti e lì si è fermato, facendosi portavoce dell’impostazione della sinistra più radicale, quella che il presidente Trump definisce sprezzante «comunista al 100%». L’establishment newyorchese – lo stesso che, come detto, produce grandi ricchezze,

Il presente come storia

La vita breve dello «spirito

Nell’ottobre del 1925 a Locarno si era ormai convinti che il Vecchio Continente si fosse lasciato alle spalle i demoni della Grande Guerra del 14-18. Anche gli ultimi, incattiviti contrasti tra la Francia e la Germania si erano in parte attenuati dopo il ritiro delle truppe franco-belghe dal bacino della Ruhr, occupato militarmente nel 1923 per costringere Berlino a onorare le riparazioni di guerra imposte dal trattato di Versailles. Il clima appariva propizio, quasi euforico. Anche la Svizzera si vedeva protagonista, e non più comprimaria, in quello straordinario sforzo di ricostruzione e di riconciliazione in atto tra le grandi potenze. A suprema garante dell’impresa agiva la Società delle Nazioni, istituita nel 1919, il cui statuto prevedeva princìpi che anche la guardinga Svizzera non poteva non approvare: «Favorire la collaborazione delle Nazioni e assicurare alle me-

Trump ed esperimenti politici socialisti – lo ha guardato con diffidenza e –sbagliando – lo ha considerato una meteora, uno bravo sui social, amatissimo da quei giovani che poi, quando c’è da votare, hanno altro da fare. Mamdani è un’altra cosa, ben più potente, e lo si capisce se lo si colloca nella disperazione generalizzata che affligge il Partito democratico nella sua interezza, spaccato a metà tra moderati e radicali e allo stesso tempo alle prese con quel mostro politico che è l’attuale inquilino della Casa Bianca. Così ha vinto le primarie di giugno con un vantaggio eclatante di quasi 13 punti percentuali, ma è quel che è avvenuto dopo a spiegare che cosa rappresenta oggi Mamdani. Mentre tutti noi ci lasciavamo contagiare o indispettire dalla straordinaria capacità comunicativa del giovane socialdemocratico, dai suoi video su TikTok, dalle sue proposte radicali e irrealizzabili (come il congelamento del prezzo degli affitti o il trasporto

di Locarno»

desime la pace e la sicurezza coll’impegno di non ricorrere alla guerra, lo stabilimento fra i popoli di rapporti palesi, giusti e onorevoli, il fermo riconoscimento delle regole del diritto internazionale come norme effettive di condotta fra i Governi, l’osservanza della giustizia e il rispetto scrupoloso di ogni trattato nelle relazioni reciproche dei popoli». Questa era l’atmosfera, anche nella cittadina sul Verbano, che gli osservatori convenuti definirono «eccellente». Anche se gli Stati Uniti non aderirono alla SdN, ritennero opportuno contribuire alla pacificazione dell’Europa in vari modi, sia sul piano economico, sia sul piano politico-diplomatico, non opponendosi all’ingresso nel consesso della Germania (ammessa nel 1926). Ulteriore ottimismo suscitò la vibrante condanna della guerra come strumento per la risoluzione dei conflitti (patto

tra il francese Briand e l’americano Kellog nel 1928). «Come andò a finire» è noto; sappiamo che quell’era di pace non ebbe lunga vita e che si infranse sugli scogli dell’iperinflazione tedesca, del crack del 1929 e delle successive convulsioni politiche che alla fine spianarono la strada all’ascesa di Governi dittatoriali, regimi che ben presto trascinarono il Continente in un nuovo, terrificante baratro. La neutralità differenziata adottata dalla Confederazione (o differenziale, come capita di leggere nelle cronache del tempo) pareva la quadratura del cerchio: ottenere l’esenzione dalle operazioni militari decise dalla SdN, ma partecipare alle sanzioni economico-commerciali, ch’erano però da considerare anch’esse un’arma, stando a quanto il presidente americano Wilson aveva dichiarato nel 1919: «Qualcosa di più tremendo della guerra». La Svizze-

stati particolarmente elevati. Il destino del turismo ticinese è quindi legato (almeno dal profilo dei pernottamenti) al successo delle strutture ricettive paralberghiere? Attenzione a trarre conclusioni troppo affrettate perché purtroppo non sappiamo quanto siano affidabili i dati sul turismo. Questo anche perché le statistiche ufficiali – per il momento – non contengono indicazioni sui pernottamenti in appartamenti AirBnB che, di fatto, sono la struttura ricettiva che conosce i tassi di crescita più elevati. Osserviamo poi ancora che i pernottamenti non dicono gran che sull’importanza dell’indotto economico. Se potessimo disporre di un conto dei flussi monetari del turismo locale ci accorgeremmo che è sempre ancora il settore alberghiero quello che assicura, per pernottamento, il contributo maggiore al Pil regionale.

gratuito), lui ha lavorato anche per tessere la trama indispensabile a chi vuole guidare New York, quella con il grande business – terrorizzato dal suo profilo socialista – e quella con la politica d’establishment. Due persone in particolare hanno collaborato con Mamdani: Patrick Gaspard, un democratico pro business che lavorava nell’Amministrazione Obama e ora dirige il Comitato nazionale del Partito democratico, e Sally Susman, dirigente aziendale, attiva nei comitati finanziari per le campagne presidenziali di Obama, Hillary Clinton e Biden. Susman lo ha contattato dopo l’incontro del candidato sindaco, a luglio, con la Partnership for New York City, un consorzio di 350 membri che rappresentano banche, studi legali e aziende della città. Come ha scritto sul «New York Times» Astead Herndon, che ha seguito la campagna elettorale negli ultimi mesi, la nuova trama si può definire il «Mamdani 2.0», quel-

lo che smussa gli spigoli: il candidato sindaco ha chiarito che vuole sostenere gli affittuari, non punire i proprietari, che vuole sostenere l’istruzione pubblica, non massacrare le cosiddette scuole dell’élite, che sostiene i diritti dei palestinesi ma non è anti-sionista, che la città ha bisogno della polizia e quindi va finanziata non depauperata... È questo Mamdani che si presenta alla sfida contro Andrew Cuomo, ex governatore dello Stato di New York caduto in disgrazia per via del «MeToo», già sconfitto alle primarie di giugno, e contro il candidato dei repubblicani, quel Curtis Sliwa che persino molti compagni di partito non vorrebbero nemmeno si presentasse alle urne perché è troppo debole per vincere e rischia di frammentare il voto anti-Mamdani. I sondaggi danno il giovane candidato in vantaggio, ma molti moderati non sanno se fidarsi della sua nuova versione, forse è soltanto una «toppa» su una trama tutta diversa.

ra non fece mancare la sua collaborazione, ma controvoglia e con sempre minor zelo. L’uscita dalla SdN della Germania e del Giappone nel 1933, dell’Italia (1937) e della Spagna (1939) indussero la Svizzera a ripiegare sulle vecchie posizioni. Con le parole di Giuseppe Motta, capo del Dipartimento politico (affari esteri): «Non vi sarà più in avvenire una neutralità differenziale. Essa ridiventa ciò che è stata da secoli, totale e perpetua». In precedenza polemiche roventi aveva destato l’aggressione dell’Italia fascista all’Abissinia: fatto che Berna si rifiutò di condannare, riconoscendo anzi celermente la sovranità dell’Italia sul Paese africano. Gli anni Venti furono certamente attraversati da grandi speranze. Ma già in quella fase erano emersi dubbi sulla via che Nazioni come la vicina Italia avevano imboccato con Mussolini al potere, tra il delitto Matteotti

e il varo delle «leggi fascistissime». In Svizzera, con la votazione del 16 maggio del 1920 per l’adesione alla SdN, era apparso sulla scena un tarlo che avrebbe lavorato in profondità anche nei decenni successivi: il tarlo della diffidenza nei confronti delle istituzioni sovranazionali, molto diffuso e operoso nei Cantoni tedescofoni. Allora il Ticino espresse invece un voto favorevole, quasi unanime: 84,8%: un picco mai più raggiunto nei decenni successivi su questioni riguardanti la politica estera. Anzi, nel secondo dopoguerra le proporzioni si invertirono, sospingendo il Cantone nel campo del no… a prescindere. No all’ONU nel 1986 (65,5%), no allo Spazio economico europeo nel 1992 (61,5%), di nuovo no all’ONU nel 2002 (58,7%), e sempre e comunque no ai Bilaterali nelle sue varie versioni e formulazioni. Con tanti saluti all’«esprit de Locarno».

di Orazio Martinetti
di Paola Peduzzi

CULTURA

Il ritorno degli dei

La trilogia di Fabrizio Dori re-immagina il mito greco nel nostro presente iper-efficiente

Pagina 25

Il mondo inciso al contrario

Lo sguardo di Escher rivive nei paesi verticali della Calabria, che si narrano a chi osa raggiungerli

Pagina 27

Corpi in movimento

Alla Casa Rusca di Locarno la doppia rassegna Knowing Bodies e Path of Totality invita alla riflessione

Pagina 29

Nostalgia canaglia Grazie a serie TV e a social come TikTok, la Generazione Z sembra riscoprire la musica d’autore

Pagina 31

Martire della modernità

Anniversari ◆ Scomparso 50 anni fa, Pasolini fu regista, poeta e polemista contro la decadenza della società borghese

Pier Paolo Pasolini ci manca da cinquant’anni. Da quella oscura notte d’inizio novembre del 1975, quando lo scrittore finì vittima di una vera e propria esecuzione che richiama il codice del branco, ossia l’accanimento omicida di veri carnefici, i quali, forse – è un’ipotesi, tra le molte – desideravano stroncare la vita di un uomo di 53 anni (era nato a Bologna nel 1922) che aveva cavalcato la tigre, nella sua esistenza spericolata, subendo una trentina di processi.

Non bisogna dimenticare che Pino Pelosi, il minorenne con il quale Pasolini si era appartato in auto all’Idroscalo di Ostia, fu condannato per aver sormontato con la macchina il corpo ormai rantolante del cineasta, dandosi alla fuga. Ciononostante, Pelosi non fu il vero e solo protagonista di quell’agguato: fu forse il branco, appartenente all’ambiente dei baraccati del litorale romano, a «reagire», in quel modo bestiale, alla condotta privata e spregiudicata del grande intellettuale, rendendolo martire. Venne alla luce, ad esempio, che per un certo periodo, Pasolini ebbe la

disponibilità di una delle catapecchie vicine al luogo del delitto, che aveva attrezzato a camera ove praticare il suo sesso selvaggio, sadomasochista. La sua omosessualità fu la pietra dello scandalo della campagna d’odio che molta parte dei media, e del benpensantismo, lanciarono per decenni contro questa spietata coscienza critica della società capitalistica borghese. È noto, del resto, che Pasolini si presentava talvolta, sul set, con il volto tumefatto e solcato da graffi, in conseguenza di quelle scorribande notturne.

Romanziere, poeta, regista, sceneggiatore, giornalista e autore di reportage, Pasolini è tremendamente attuale, in quanto interprete visionario del pensiero antimoderno. Osservava con orrore il degrado crescente di un modello di società, fondato su una finta tolleranza, che mascherava in realtà il potere totalitario dei consumi. Riteneva che all’origine dei mali del panorama contemporaneo vi fosse il processo di urbanizzazione forzata e di sviluppo industriale, che stava rapidamente distruggendo

ogni traccia della precedente società rurale, fondata su una religiosità che non condivideva, ma la quale tuttavia non cancellava quel che di buono e di sano vi era nella natura dell’umanità più semplice e genuina. Pasolini era un coacervo di contraddizioni. Comunista, e borghese, si diceva addolorato di non poter essere interamente marxista. Ateo dichiarato, era posseduto dalla coscienza di non poter abbracciare il paganesimo materialista, e lo dimostrano i suoi film, a partire dal drammatico Vangelo secondo Matteo, fino al poetico Uccellacci e uccellini, dove diresse magistralmente un altrettanto insuperabile Totò. Era dominato dal senso lirico della religione e della dimensione spirituale con nostalgia della perduta fede. La sua intera produzione, a cominciare dal romanzo che gli diede notorietà, Ragazzi di vita, divenne bersaglio di un’aggressività censoria che rasentava spesso il linciaggio. Ma, in Ragazzi di vita, Pasolini metteva in scena quell’ambiente di proletariato e sottoproletariato metropolitano, quei ragazzi di borgata con i quali egli,

stabilitosi a Roma, stabilì un sodalizio umano e artistico quotidiano. Era solito affermare che ciò che allora si chiamava Terzo Mondo, cominciasse nelle periferie dei diseredati delle grandi città.

Il suo appartenere a una sensibilità antimoderna lo aveva condotto a realizzare un’intervista televisiva a Ezra Pound, che accostò con la delicatezza di un discepolo che, raggomitolato ai piedi della sorgente della saggezza, attinge alla sapienza del patriarca.

Sul fronte giornalistico, è famoso il suo articolo sulla scomparsa delle lucciole, così come, sempre in chiave polemistica, scrisse una serie di pezzi contro l’aborto, che in Italia stava ormai per diventare legge dello Stato. Tutta la sua produzione è disseminata di una segnaletica di morte che sembra presagire la sua tragica fine. E questa visione apocalittica confluisce nell’intervista-testamento che rilascia a Furio Colombo, poche ore prima di essere assassinato, nella quale analizza la tracimazione della violenza in Italia: «Siamo tutti in pericolo», avverte, qualificandosi come un osser-

vatore che scende negli inferi della contemporaneità per lanciare messaggi disperati. E ammonisce: «Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi». «La tragedia è che non ci sono più esseri umani». Mette inoltre sotto accusa «una educazione comune, obbligatoria e sbagliata che ci spinge tutti dentro l’arena dell’avere tutto a tutti i costi. In questa arena siamo spinti come una strana e cupa armata in cui qualcuno ha i cannoni e qualcuno ha le spranghe. L’educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere». E ancora: «tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra di Borsa uso quella. Altrimenti una spranga. E quando uso una spranga faccio la mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi hanno detto che è una virtù volerlo. Io esercito il mio diritto-virtù. Sono assassino e sono buono».

Infine, la profezia: «Qui c’è voglia di uccidere. E questa voglia ci lega come fratelli sinistri di un fallimento sinistro di un intero sistema sociale».

Pier Paolo Pasolini: opera di street art a Roma realizzata da Ernest PignonErnest nel 2015 (Wikipedia).
Roberto Festorazzi

deliziosi.

I Blévita al timo e sale marino sono disponibili anche in formato mini.

Quando i mortali accoglievano i misteri del mondo

Fumetti ◆ L’affascinante trilogia di Fabrizio Dori ruota intorno alle divinità greche che non riescono a integrarsi alla modernità

I miti greci, già nell’Antichità, si raccontavano con varianti diverse, alle quali oggi se ne aggiungono altre nuove e soprattutto, molto in voga da alcuni anni, le reinterpretazioni ambientate in epoca contemporanea. Può rientrare in questo filone anche la trilogia a fumetti di Fabrizio Dori per Oblomov Edizioni, iniziata con Il dio vagabondo nel 2018, e continuata fino al 2024 con un seguito in due parti intitolato Il figlio di Pan (volumi 1 e 2).

Il nostro presente votato sempre più alla logica e all’efficienza è riuscito a bandire del tutto le divinità greche

La particolarità di questa ambientazione moderna è che le divinità greche non si sono integrate, ma vengono invece emarginate da una società troppo scettica per accoglierle.

Il protagonista è il più emarginato e solo di tutti. Si tratta del satiro Eustis, come tutte le creature immortali sopravvissuto fino in epoca contemporanea, dove si sente spaesato, ma per di più condannato da una maledizione a non poter vedere le altre divinità. Per distrarsi, trascorre il suo tempo raccontando storie mitologiche appassionanti agli umani che gli regalano del vino.

La trilogia di fumetti racconta le avventure che Eustis intraprende, in re-

altà un po’ per caso come si addice a un antieroe, per cambiare questa sua condizione e ricongiungersi al corteo di Dioniso.

La cosa che più colpisce, mentre Eustis procede nelle sue peripezie attraverso le pagine, è lo stile di disegno. O meglio, gli stili. Fin dal primo volume si riconosce un tratto prevalente molto pittorico, simile a quello di Van Gogh (e si scoprirà nel corso della storia cosa c’entri il pittore con il satiro).

Spesso però lo stile cambia, e cita altri artisti o movimenti, soprattutto delle avanguardie del Novecento: Liberty, Munch, Futurismo, Espressionismo, Mondrian, Monet, Toulouse-Lautrec, i manifesti strappati di Mimmo Rotella, Roy Lichtenstein, e poi gli scheletri sorridenti del Dia de los Muertos, le ceramiche greche, graffiti, xilografie, in un tripudio di colori e forme sempre cangianti.

Questa varietà di stili ha una funzione narrativa ridotta: solo a volte l’aspetto grafico specifico amplifica la scena che raffigura; e comunque per adattare il registro visivo a questa necessità basterebbero accorgimenti minori, senza cambiare del tutto corrente artistica e perfino, sembrerebbe, tecnica utilizzata. Potrebbe dunque apparire come un espediente esagerato e superficiale, puramente estetico, per suscitare stupore. E in questo è efficace. Ma in realtà la variazione stilistica marcata ricopre anche un’altra funzione impor-

tante, anzi fondamentale per completare l’esperienza di lettura: concentra il significato essenziale dell’intero racconto. Il puro divertimento visivo non manca del tutto di utilità pratica, ma le preferisce intenzionalmente il potere di ammaliare e ubriacare attraverso la bellezza, anche fine a sé stessa. Questo è proprio ciò che fa Eustis con le sue storie.

La filosofia del satiro si fonda interamente sull’euforia per le cose belle e il divertimento, senza alcuno scopo produttivo. Per questo desidera ritrovare i compagni di feste divine, e nel frattempo cerca un pochino di magia nella narrazione. Non solo lui, ma anche altre divinità nel corso del fumetto rimpiangono l’epoca in cui i mortali accoglievano i misteri del mondo e

cedevano volentieri al fascino dell’irrazionale senza volerlo risolvere, al contrario del presente ultra-logico ed efficiente da cui i miti greci sono banditi. Lo stile di disegno volubile, perciò, ricalca questa visione e rende le pagine a fumetti finestre su un’esperienza disordinata e ammaliante per chi le legge.

La sensazione dell’ebbrezza tanto cara a Eustis si avvale anche di una struttura narrativa adeguata. Ritrovare la famiglia divina del satiro costituisce in realtà solo un pretesto per avviare un susseguirsi di incontri e missioni concatenate, in un fiume di rievocazioni mitologiche nel quale si dimentica anche quale fosse l’obiettivo iniziale. Per fare un esempio: nel primo volume Eustis, per guadagnarsi lo scioglimento della maledizione, deve compiere

un favore per una divinità, che implica il rilascio temporaneo di un defunto dagli Inferi, e per persuadere Ade a questa concessione bisogna prima procurargli un oggetto magico, la cui ubicazione è però nota a un unico personaggio, consultabile solo attraverso altri incontri… La trama principale inoltre si intreccia spesso con vicende secondarie, analessi, voli pindarici, racconti nel racconto, e sogni: le storie si mescolano in un vortice trascinante. Nelle pagine abbondano i riferimenti non solo alla mitologia ma anche a diverse usanze della Grecia Antica; tuttavia, un pubblico inesperto può godersi appieno la trilogia grazie al ruolo chiaro di ogni personaggio, sia che provenga dalla tradizione mitica millenaria, sia che esista solo in un paio di vignette. La meraviglia della storia e dei disegni può catturare chiunque lo desideri, come la possessione divina durante un corteo dionisiaco, o anche come il capogiro piacevole di una giostra.

Bibliografia

Fabrizio Dori, Il dio vagabondo, Oblomov Edizioni, Milano 2018, 160 pagine.

Fabrizio Dori, Il figlio di Pan. Volume 1, Oblomov Edizioni, Milano, 2023, 120 pagine.

Fabrizio Dori, Il figlio di Pan. Volume 2, Oblomov Edizioni, Milano, 2024, 120 pagine.

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Nella trilogia vi sono molti accenni grafici ad artisti o correnti del passato.

Escher tra i borghi calabresi

Reportage culturale ◆ Viaggio negli «sconosciuti nidi di montagna» dell’Aspromonte e della Costa degli Dei, tra fotografie, litografie e storie di paese

«Chi sei? Da dove vieni? Cosa stai facendo qui? Dove stai andando? Un flusso di domande ed esclamazioni: il ghiaccio era stato rotto». Così scriveva l’incisore olandese Maurits Cornelis Escher sul suo diario di viaggio, dopo un lungo peregrinare – il più delle volte a dorso di mulo – attraverso ciò che lui stesso definì «gli sconosciuti nidi di montagna nell’entroterra inospitale della Calabria», luoghi circondati da una natura selvaggia e abitati dalla curiosità insistente di chi non è solito vedere stranieri. Allora come oggi.

Poco è cambiato dagli anni Trenta. Le medesime domande le hanno poste anche a noi, mentre ci addentravamo, come Escher, fra quei borghi arroccati a picco sul mondo che, vittoriosi sulle rocce inclementi degli Appennini, continuano a riemergere fieri e tenaci dalla risacca del tempo, con tutto il loro carico di mistero e di silenzi.

Escher scattò diverse fotografie durante quel viaggio, come spunto per la realizzazione di litografie e xilografie. Fu Pentedattilo a sconvolgere la sua mente, quella nuda montagna a forma di mano alla base della quale indugia un nugolo smarrito di casupole in pietra, dove abitano soltanto anziani, testardi, artisti e «il mercante di sogni», un gentiluomo dai capelli bianchi raccolti in una coda che vende sacchetti di manufatti realizzati dai bambini con materiali riciclati: «Un sogno in cambio di una monetina», ci ripete. Ha la voce del cantastorie. Gliene lasciamo due.

A Scilla, invece, si sogna Omero. Il suo promontorio che si protrae arrogante sul mare, offrendo ai capricci delle onde i solidi contrafforti del castello dei Ruffo di Sicilia, al tramonto quasi si infiamma di viola, con le sue abitazioni a strapiombo sui marosi a supplicare la protezione degli dei: la foschia. Anche Escher la vide. E non seppe spiegarla. Si solleva d’estate al calar della luce, creando, come già fece in passato agli occhi illusi dei Greci, ombre, spettri e schiere di uomini erranti – a scoraggiare i malvoluti.

A Tropea, una foto ritrae l’artista seduto sul muricciolo in cima allo scoglio che ospita il Santuario di Santa Maria, proprio dirimpetto ai ciclopici bastioni di roccia sui quali la città saldamente poggia. Gaetano non era ancora nato. Peccato. Lo avrebbe trovato simpatico, quel marinaio dalle mille e una storia. Ha il suo laboratorio in un

Istanbul, Suite 411

Netflix ◆ Mistero, ucronia e dramma storico in Midnight at the Pera Palace

Manuela Mazzi

antro buio e tempestoso dove tesse le reti come fossero tele di ragno, al ritmo di antiche cantilene, di quelle che i navigatori erano soliti intonare per vincere la solitudine o le burrasche che non perdonano mai.

Sulla stampa che ritrae la Cattolica di Stilo, piccola chiesa bizantina addossata al dorso della montagna, Escher ha giocato d’estro, sostituendo l’omonimo paese sottostante con una fiumara e mettendo quindi a tacere le tante voci che tra le vie da sempre si spandono. Sono quelle delle donne, che dialogano dall’alto delle loro ceste di legumi da sgranare o da dietro le finestre, direttamente dal loro asse da stiro. A parte Anna, un’anziana signora che ogni giorno, a mezzodì, siede sullo scalino interno della sua casa, appoggiando il gomito direttamente sul selciato, il volto inclinato da un lato a scorgere qualche anima pia con cui intrattenersi.

Gli anni di Escher in Calabria furono anche quelli delle visite da parte del re d’Italia Vittorio Emanuele III, soprattutto a Santa Severina, nei cui boschi il sovrano di Casa Savoia si di-

ce amasse andare a caccia. Alla «Locanda del Re», ancora oggi si narra che, durante una battuta, il suo cane fedele venne incidentalmente ferito e che, a curarlo, fosse stato il dottore del paese, il quale aveva il suo studio proprio dove ora sorge la locanda. Molti sostengono sia solo una diceria, tuttavia il proprietario Giuseppe ci crede e ha collocato, nell’angolo della sala da pranzo, un grande trono in legno tempestato di fondi di bottiglia, con tanto di scettro e corona di cartapesta. Gente che ama divertirsi, i calabresi. «Il suonatore ha alzato lo sguardo, sorridendo, sicuro di sé – si legge nel diario di Escher – e intorno a lui, una fitta siepe di ascoltatori che applaudivano e gridavano: bravo!, bravo! Bis, bis!». Come alla taverna «La Casa Incantata» di Rocca Imperiale, dove si balla la tarantella fino a notte inoltrata, quando per le vie non girano altro che gatti randagi, incalliti fumatori e insonni cronici. All’ingresso del paese si trova il Monastero dei frati minori, ora in caldi mattoni a vista ma, ai tempi di Escher, bianco come la neve che qui non cade (quasi) mai.

Le nevicate a Rossano, al contrario, sembrano una maledizione: bloccano tutto. Tutto tranne le tavolate sempre chiassose della trattoria «La Bizantina», con il suo tipico antipasto calabrese di ben sette abbondanti portate e quella saletta attigua, tutta in pietra, che il proprietario Piero mi confessa essere stata, un tempo, parte del monastero di Santa Anastasia. Piero è nato qui. Ma prima di lui, in quella stanza, ci vivevano in sette. E dopo di lui, nonna Rosina (l’avrà conosciuta Escher?) che gli lasciava in un angolo una brocca d’acqua sempre piena – cosiddetta «gummula» – con la quale lui e i suoi amici si dissetavano dopo lunghe ed estenuanti scorribande.

Chi decidesse invece di farsi una scarpinata nella verticale Morano Calabro ha già perso in partenza, con le sue pendenze aggrovigliate, gli scalini a zig-zag e una forma a cono che tanto ricorda un capovolto inferno dantesco – là concavo, qui convesso. Non è altri che un dedalo fitto di vicoli impregnati di un’umidità antica, aggrappata ai muri probabilmente dall’epoca degli Aragonesi. Escher, di questo paese, si è letteralmente innamorato. Così follemente da inciderlo al contrario.

Infine Palizzi, dove l’artista giunse «dopo un lungo e faticoso viaggio sotto il sole duro – parole sue – gravati dal pesante fardello dei nostri zaini, grondanti di sudore e senza fiato». Con le sue casine ammonticchiate ai piedi di una rupe troneggiante di un rinnovato castello, Palizzi ha tutto l’aspetto di ultimo avamposto del mondo conosciuto, l’approdo sicuro dopo le vertiginose stradine che vagano apparentemente senza meta attraverso il selvaggio Parco dell’Aspromonte. Ma è un paese deserto, ormai lasciato andare alla deriva del tempo. Solo un bottegaio tiene duro, per quei pochi viandanti che qui, come lo stesso Escher, si sono persi. Vende biscotti al bergamotto, qualche confettura di frutta selvatica e barattoli di verdure sottaceto. E vino locale. «Abbiamo bevuto troppo, il che è stato piacevole e ha migliorato la buona comprensione».

In Mezzanotte a Istanbul (due stagioni da otto episodi su Netflix; attesa è la terza) tutto prende avvio da una ricerca giornalistica e da un’antica chiave d’ottone lucido, quella della camera in cui, si dice, abbia dormito Agatha Christie un secolo fa. Siamo al Pera Palace, l’albergo passato alla storia per aver ospitato la giallista durante la stesura del suo Assassinio sull’Orient Express; rimando letterario utile a stabilire il patto iniziale con lo spettatore, che si ritroverà immerso in una trama fitta di colpi di scena. Non è un giallo classico – nessun ispettore, né lenti d’ingrandimento – ma vanta un meccanismo di tensione crescente costruito per accumulo. Chi tiene la chiave della stanza tra le mani a mezzanotte viaggia in epoche diverse (un piccolo tocco di fantascienza storica) attivando un gioco di specchi che moltiplica l’enigma del tempo in un continuo succedersi di ucronie. È la curiosità a far sgattaiolare la reporter Esra nella celebre camera 411 che la catapulterà nel 1919. Fuori, Istanbul è occupata dalle truppe alleate; dentro, si muovono diplomatici, rivoluzionari e spie in abito chiaro. Lei si finge Peride, una donna realmente vissuta in quegli anni, e da quell’inganno nasce una catena di intrighi, amori e cospirazioni politiche: ogni gesto cambia il corso della Storia, ogni tentazione modifica le stesse vite dei personaggi coinvolti. La suspense nasce infatti dal rischio continuo che la Storia si incrini. E se da una parte ci è sembrato poco convincente il personaggio di Esra – che dà l’idea di non voler mai prendere sul serio la propria avventura, sostenuta peraltro da due interpreti maschili di notevole presenza scenica – dall’altra sono bravissimi gli sceneggiatori a non lasciare fili in sospeso. Ottima la fotografia che restituisce la consistenza materica delle stoffe, del fumo, dei lampadari. La cura dei costumi, che cambiano di era in era, è incredibile. E Istanbul (finalmente non le solite Parigi o New York), ah, Istanbul, priva di esotismi da cartolina, agisce come un personaggio autonomo: una città del primo Novecento, ancora divisa tra le rovine dell’impero Ottomano e la modernità che incalza. Tant’è che sullo sfondo scorrono echi storici reali che danno profondità alla cornice: le manifestazioni di Sultanahmet del maggio 1919, i primi passi di Atatürk verso l’indipendenza, la figura di Mustafa Kemal e il senso diffuso di un Paese sospeso tra fine e rinascita.

M.C. Escher, Palizzi, Calabria, xilografia, ottobre 1930. (© The M.C. Escher Company B.V.), e fotografia di oggi di Palizzi. (E. Crosetti)
M.C. Escher, Pentedattilo, Calabria, 1930, xilografia (© The M.C. Escher Company B.V.), e fotografia di oggi di Pentedattilo. (E. Crosetti)
Hazal Kaya nei panni di Esra e Selahattin Pas¸alı in quelli di Halit. (Netflix)

Riflessioni sul mondo tra corpi in movimento e stimoli sensoriali

Mostre ◆ Il Museo Casa Rusca a Locarno ospita le rassegne

Knowing Bodies e Path of Totality

«Durante la progettazione delle due mostre ho scoperto analogie e parallelismi che inizialmente non erano intenzionali», rivela Gioia Dal Molin, curatrice della coppia di rassegne ospitata negli spazi di Casa Rusca a Locarno: una collettiva che ruota attorno alla poliedrica figura di Simone Forti, artista, danzatrice e coreografa, e una personale dedicata all’italo-tunisina Monia Ben Hamouda. Pur nella diversità degli esiti finali, la ricerca di tutti gli autori coinvolti nelle due esposizioni testimonia difatti come essi abbiano delle indubbie affinità nell’approccio alla creazione dell’opera d’arte e nei propositi che ne determinano il valore. La prima di queste corrispondenze può essere rintracciata nel medesimo intento delle artiste e degli artisti di fare del corpo umano uno strumento di esplorazione del mondo, seguita poi dalla consapevolezza di come il loro lavoro abbia un profondo legame con il contesto in cui nasce e che quindi racchiuda in sé una forte dimensione politica.

La relazione tra i due progetti espositivi viene sottolineata all’inizio dell’itinerario di mostra grazie all’accostamento di alcuni disegni di Forti e di Ben Hamouda, a testimoniare la stretta connessione tra idea e azione, tra gesto e linguaggio che contraddistingue la modalità espressiva di entrambe: sono opere che prendono vita in maniera repentina e spontanea, capaci di esprimere pensieri ed emozioni attraverso il movimento istintivo della mano.

Quanto il nostro corpo abbia un ruolo determinante nella conoscenza che abbiamo delle cose è reso ancor più evidente, nel prosieguo del percorso, dal dispiegarsi dei lavori di Forti in affiancamento a quelli di giovani artisti che a lei si sono ispirati. Quella di Forti è una figura estremamente interessante: muovendosi con disinvoltura tra diverse tecniche e discipline – performance, installazione, pittura, fotografia, video e disegno – ha sviluppato una pratica creativa incentrata sull’indagine del legame tra corpo, oggetti e ambiente, contribuendo alla ridefinizione del concetto di atto performativo.

Nata in Italia nel 1935 ed emigrata negli Stati Uniti, Forti è tra i protago-

nisti della scena artistica sperimentale della New York dei primi anni Sessanta, nonché di quella romana che, a partire dal 1968, le permette di avvicinare il pubblico italiano alle più rivoluzionarie forme di danza. Nella sua ricerca sul potenziale coreografico delle movenze del corpo, Forti si affida alla tecnica dell’improvvisazione, in cui la fiducia nella propria fisicità e nella sua intelligenza istintiva, fatta di sensazioni immediate, di percezioni e di intuizioni, è fondamentale.

Visionaria e sperimentatrice, Forti con la sua arte solleva così riflessioni e quesiti urgenti dell’epoca attuale, caratterizzata da una corporeità sempre più labile che deve resistere al dilagare del digitale e agli atteggiamenti discriminatori che la aggrediscono, umiliano e offendono.

Molti sono gli artisti che hanno preso come punto di riferimento il lavoro di Forti partendo proprio dal presupposto che il rapporto che il corpo ha con il mondo è determinato dalle condizioni culturali, sociali e politiche in cui si muove. Tra questi, Steffani Jemison, Lenio Kaklea, Marta Margnetti, Katja Schenker, Jeanne Tara, Juliette Uzor e Isaac Chong Wai sono presenti in mostra con opere che analizzano le modalità di interazione del nostro corpo con gli ambienti pubblici e privati, la sua vulnerabilità all’interno del contesto collettivo, i suoi limiti, le sue strategie di resistenza e di adattamento nei confronti delle strutture di potere, così come la sua capacità di mettere in discussione le convenzioni di movimento e identità.

Procedendo nel percorso espositivo ci accolgono poi i lavori di Monia Ben Hamouda, artista cresciuta a Milano la cui indagine è volta a esplorare le diverse culture e le loro tradizioni iconografiche e ideologiche, con una particolare attenzione alla realtà araba. Di padre tunisino, Ben Hamouda, difatti, è fermamente convinta che gli uomini siano congiunti in maniera indissolubile ai propri antenati, cosicché il suo linguaggio visivo diventa espressione del patrimonio culturale e religioso islamico, ponendosi come mezzo per meditare su tematiche che spaziano dalle esperienze dei migranti al divieto della rappresentazione figurativa

Monia Ben Hamouda, Hand casting a Spell (Aniconism as Figuration Urgency), 2025 (© Path of Totality. Monia Ben Hamouda, 2025, Museo Casa Rusca; foto Cosimo Filippini)

della civiltà araba, fino ad arrivare alle proprietà delle spezie.

Proprio le sostanze aromatiche dai colori e dai profumi intensi, associate ad altri materiali quali il ferro e il legno, vengono utilizzate dall’artista per dar vita a installazioni, sculture e dipinti dalle accentuate caratteristiche sensoriali in cui viene sviscerato il loro significato di elementi legati alle pratiche curative, spirituali e rituali.

A Locarno incontriamo così le grandi tele dal titolo Rain (Blindness, Blossom and Desertification), opere in lino grezzo dipinte con polvere di ibisco, cannella, cenere, carbone, tè nero e terra rossa, le cui forme selvagge impresse sulla stoffa hanno origine dal movimento del corpo dell’artista. Ecco poi l’allestimento dal forte impatto visivo di due ambienti antitetici e al contempo complementari attraverso cui Ben Hamouda riflette sulla condizione attuale del mondo, sospeso tra il buio provocato da guerre, ideologie aberranti e crisi climatiche e il chiarore alimentato dalla speranza. Da qui l’emblematico titolo della mostra, Path of Totality, nome astronomico della linea geografica tracciata dall’ombra più marcata della luna sulla superficie terrestre durante un’eclissi solare. Da una parte, uno spazio cupo con pareti scure è dominato dall’opera Reversion (Wudu Diorama), un’installazione composta da travi in legno cosparse di spezie. Dall’altra, uno spazio illuminato dalla luce arancione di due soli accoglie eleganti sculture sospese, realizzate in acciaio, che racchiudono riferimenti all’aniconismo dell’Islam e alla conseguente nascita della tradizione calligrafica araba. Sotto di esse, la polvere di curcuma, peperoncino, cannella e cumino sparsa sul pavimento genera magici ornamenti e stuzzicanti fragranze che rivelano la fiducia in un futuro migliore.

Dove e quando Path of Totality – Monia Ben Hamouda. Knowing Bodies – Mostra collettiva. Museo Casa Rusca, Locarno. Fino all’11 gennaio 2026. Orari: martedì-domenica 10.00-16.30. Lunedì chiuso. www.museocasarusca.ch

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Incantevoli miserabili

Romanzi ◆ Adelphi pubblica una nuova grande opera del Premio Nobel Isaac Bashevis Singer

Simona Sala

Frenetico è il primo aggettivo che viene in mente una volta terminata la lettura del romanzo di Isaac Bashevis Singer pubblicato recentemente da Adelphi. Siamo nei primi anni del 900 e la ambientazione è nuovamente quella Via Krochmalna nel cuore di una Varsavia che oggi non esiste più, crocevia di ogni umana deriva, in cui la stessa famiglia Singer (madre, padre rabbino chassidico, fratello Israel Joshua e sorella Esther – questi ultimi entrambi scrittori) aveva vissuto, e che aveva fatto da sfondo anche ai racconti contenuti in Alla corte di mio padre (Adelphi, 2024, v. «Azione» 2.12.2024).

I protagonisti di I.B. Singer sono personaggi spesso alla deriva, ma è proprio questo a renderli così profondamente umani

Un pezzo di città fumoso e di cui non resta che qualche fotografia sfocata, zeppo di ebrei ferventi e di povertà, di papponi e prostitute, di ubriaconi e giocatori, di disillusi, di quella feccia umana, insomma, che trascorre il proprio tempo cercando di arrabattarsi come può, arrivando, per disperazione o spregiudicatezza, a fregarsene della legge e della morale, e che fa da titolo alla versione inglese del romanzo (che fu inizialmen-

te pubblicato a puntate in yiddish nel 1967): Scum

In mezzo al formicolio incessante della marmaglia tanto cara a Singer, finisce anche Max Barabander, polacco emigrato in Argentina, e ora di ritorno alla terra che gli diede i natali. Laggiù, dove l’ebraismo è vissuto piuttosto en passant, la vita per Max-Motl-Mordkhe e per sua moglie Rochelle (scovata in una casa di piacere) dalla morte dell’unico figlio Arturo si è fatta insostenibile, poiché nulla ha più senso di essere vissuto.

La meta di Max, a dire il vero, più che Varsavia, almeno negli intenti, è la località di Roszków, suo luogo d’origine, e dove giacciono i suoi cari, ma la feccia di cui sopra lo fagociterà in un turbine di situazioni complesse, antitetiche, sentimentali e crudelmente sensuali tale da fargli perdere la retta via – posto che l’avesse mai avuta davvero. Un costante scontro tra bene e male con riverberi di pia religiosità alternati a dissolutezze di natura varia, che risponde in qualche modo a quello più grande, che invece si gioca sullo sfondo, dove a contrapporsi sono il passato e il presente; in altre parole, ciò che è tradizione con le insidie della modernità.

Max è un uomo che odora di straniero, ma che, soprattutto, profuma di quei soldi che elargisce a destra e a manca, e così, molti nuovi amici non tarderanno ad arrivare. Anche perché

GUSTO

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non passa di certo inosservato in una strada che in fondo è un unico condominio («Era alto, con le spalle ampie, biondo, con gli occhi azzurri e il mento quadrato, il collo corto e il naso dritto. Già da ragazzo si era messo in luce per la sua forza. Quando picchiava un pugno sul tavolo gli faceva divaricare le gambe come quelle di un animale abbattuto. Un giorno aveva scommesso che sarebbe riuscito a mangiare tre dozzine di uova e a bere dodici bottiglie di birra, e aveva vinto.»): parla, blatera, mentendo or-

Dalla copertina del libro, Mio padre di Felix Nussbaum (1926). (Museumsquartier Osnabrücke, foto Christian Grovermann)

ganizza dalla mattina alla sera affari e conciliaboli amorosi, oscillando con sorprendente naturalezza tra genuina purezza d’animo e illegalità sprezzante, tra afflati entusiastici e momenti di sconforto… il tutto, come afferma egli stesso, nel tentativo di dare scacco a quella solitudine che gli attanaglia le viscere dalla morte del figlio. Sebbene il nome li accomuni, Max Barabander è un uomo diverso da quello di Max e Flora: entrambi i romanzi (in aggiunta a Keyla la Rossa) rientrano nel filone dello yiddish

gangster novel, ma a Barabander viene assegnato poco in quanto a umanità o profondità, lasciato com’è in balia della propria impulsività mista a una certa crudeltà.

Ricetta

Gnocchi con pancetta e broccoli

Piatto principale

Ingredienti per 4 persone

500 g di broccoli sale

300 g di pancetta da rosolare

1 cucchiaio d’olio, ad es. olio di colza HOLL

700 g di gnocchi di patate pepe

1. Suddividi i broccoli in rosette, sbollentali in acqua salata bollente e scolali.

2. Taglia la pancetta a fette, versa l’olio in un’ampia padella e rosola per 2 minuti rimestando.

3. Unisci gli gnocchi e continua a rosolare per ca. 4 minuti.

Ma proprio grazie all’inquietudine del tormentato protagonista, raccontato «alla Singer», con brio e minuzia, ancora una volta alla lettrice e al lettore è dato di trovarsi nel ventre pulsante di una città che così non esiste più, nel cuore di una cultura sfaccettata, anche maleodorante e spesso criminale, dove sacro e profano paiono andare a braccetto pur odiandosi, ma proprio per questo tanto più umana. E così, si attraversano pianerottoli che odorano di cholent o gefilte fish, insieme a Max ci si arrampica lungo scale strette e buie che portano a tuguri ancora più stretti e bui, si entra in un albergo di medio lusso – poiché ancora senza acqua calda – come doveva esserlo il Bristol, si partecipa a una seduta spiritica che si rivelerà una truffa, si sentono gli echi di una Buenos Aires che ancora rappresentava una possibilità di futuro e cambiamento.

4. Aggiungi i broccoli. Condisci con sale e pepe.

Si incontra, insomma, una serie di miserabili dalla personalità immensa, semplicemente incantevoli.

Bibliografia

Isaac Bashevis Singer, Ritorno in Via Krochmalna, Milano, Adelphi, 2025

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La musica d’autore come spazio libero

Musica ◆ Contaminazioni artistiche: la Generazione Z si scopre innamorata di brani e artisti del passato

Giovanni Ferrari

Molte volte per provare a capire chi sono i nostri giovani ci troviamo a spulciare nelle classifiche, nella musica così come in altri ambiti. Si vanno a scoprire così gli artisti che si sono conquistati il titolo di icone. Oggi il rap e la trap occupano uno spazio importante nelle classifiche della Gen Z, che comprende le persone nate tra la metà degli anni Novanta e il 2012. Ma non è tutto qui. Oltre alle canzoni di trapper – a volte violenti nei loro testi (e purtroppo non solo in quello) – c’è un universo tutto da analizzare. Uno dei fenomeni che ultimamente sta catalizzando l’attenzione di studiosi di tutto il mondo è quello della riscoperta, da parte delle nuove generazioni, di nomi della musica del passato. I motivi sono molteplici. Da un lato, è merito del dilagare del citazionismo anni Ottanta all’interno di serie tv popolarissime. Basti pensare al ritorno in classifica di Running Up That Hill di Kate Bush che, dopo essere stata inclusa nella colonna sonora della quarta stagione di Stranger Things, ha raggiunto nel 2022 la prima posizione della classifica di vendita in Gran Bretagna (questo #1 ha segnato il più lungo divario di tempo tra due «numeri uno» di un artista, visto che l’ultima volta che Bush aveva conquistato la vetta dei singoli era stata nel 1978). Oppure alla riscoperta di Save a Prayer dei Duran Duran (nella foto), dopo essere stata inserita

nella colonna sonora di Bones and All di Luca Guadagnino nel 2022. Un altro motivo di questo ritorno di nomi del passato nelle classifiche è fortemente legato a quanto raccontato finora. A ricordarci brani più agé ci pensano i prodotti audiovisivi ma anche gli stessi musicisti (come Miley Cyrus, che ha più volte riproposto successi delle scorse decadi, tra cui Smells Like Teen Spirit dei Nirvana). Ma c’è un luogo in cui questa riscoperta diventa virale: i social network. In particolare TikTok. È sulla piattaforma che i trend scelgono chi eleggere a paladino del momento (e questo oggi funziona parecchio). Non a caso molte giovani star internazionali stanno producendo canzoni con sempre più riferimenti a un mondo musicale del passato: Dua Lipa per Future Nostalgia ha abbracciato il synth-pop e la new wave degli Ottanta, così come ha fatto Harry Styles per il suo Fine Line. Oggi «va di moda» riprendere il passato e riproporlo in una chiave nuova. I social lo sanno e lo validano con le proprie regole.

Ma non è tutto qui. Anche in Italia i giovani artisti hanno più volte dimostrato di essere fortemente attratti dal sound del passato e dai suoi rappresentanti. La popstar del momento Annalisa ha esplicitamente dichiarato di essere influenzata da Raffaella Carrà (e il suo ultimo recentissimo progetto Ma io sono fuo-

co lo dimostra), non solo per il sound ma anche per il simbolo di emancipazione e leggerezza che rappresentava. Anche qui sta uno dei motivi di questa inedita riscoperta di icone del passato: le nuove generazioni hanno sempre più bisogno di guide, che a volte definiscono frettolosamente «icone» o «queen», non approfondendo il proprio bisogno di avere esempi positivi a cui guardare e con cui dialogare, ancora prima di «idolatrare». Ad assecondare questa nuova tendenza ci pensano anche molti artisti, popolari negli ultimi decenni, che hanno deciso di inaugurare questo dialogo con le nuove generazio-

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ni. Non solo prestandosi a un nuovo linguaggio (basti pensare alla viralità delle clip di Ornella Vanoni mentre è ospite a Che Tempo Che fa di Fabio Fazio), ma scegliendo di contaminare la propria musica e la propria storia artistica con quella dei nuovi rappresentanti della Gen Z. Così è possibile vedere la stessa Vanoni duettare con Mahmood o con Colapesce Dimartino. Ma l’elenco è lungo: Gianni Morandi ha cantato con Sangiovanni e Fabio Rovazzi, Loredana Bertè ha collaborato con Fedez e Achille Lauro, Mina ha cantato un brano scritto per lei da Blanco. Sono tutti ponti tra le generazioni che nascondono

un ultimo aspetto: i giovani stanno riscoprendo la musica d’autore perché è una fucina di libertà, estranea a ogni tipo di omologazione, oggi per certi versi dilagante. Il fascino del vintage, insomma, si fa sentire. E anche il mondo della musica – così come tutti gli altri ecosistemi audiovisivi – non è esente dall’effetto nostalgia che colpisce tutti. L’unico modo per non esserne travolti è accettarla, questa nostalgia. E trasformarla, rendendola materiale dei nostri giorni. Come fanno le vere icone della musica, di ieri e di oggi, che considerano ancora le canzoni come uno spazio di libertà.

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Piatti unici a prezzo basso

Velocissimi e buonissimi: i piatti preparati in umido in una sola padella sono facili da preparare e regalano un sacco di sapore.

Gnocchi con pancetta e broccoli

Piatto principale

Ingredienti per 4 persone

500 g di broccoli

sale

300 g di pancetta da rosolare 1 cucchiaio d’olio, ad es. olio di colza HOLL

700 g di gnocchi di patate pepe

1. Suddividi i broccoli in rosette, sbollentali in acqua salata bollente e scolali.

2. Taglia la pancetta a fette, versa l’olio in un’ampia padella e rosola per 2 minuti rimestando.

3. Unisci gli gnocchi e continua a rosolare per ca. 4 minuti.

4. Aggiungi i broccoli. Condisci con sale e pepe.

Gnocchi di patate M-Budget 700 g Fr. 1.95

Stufato di ceci

I ceci, ricchi di proteine, sostituiscono in questo stufato vegetariano la carne. Patate dolci, zenzero, aglio e curcuma contribuiscono ad aggiungere gusto.

Chili con carne

Piatto messicano rivisitato con sminuzzato di manzo

stufato con aglio, cipolla, chili, polpa di pomodoro e fagioli. Panna acidula e coriandolo per completare.

Ricetta
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Salsiccia di maiale

M-Budget 390 g Fr. 4.20

Spaghetti ai fagioli

Piatto principale

Ingredienti per 4 persone

400 g di fagiolini verdi

1 l di brodo di verdura

300 g di spaghetti

200 g di gorgonzola

½ mazzetto d’erbe aromatiche, ad es. prezzemolo, origano o santoreggia sale pepe

1. Taglia i fagiolini per il lungo a striscioline.

2. Nel frattempo porta il brodo a ebollizione. Aggiungi i fagiolini e cuocili per 2-5 minuti. Unisci gli spaghetti e cuoci il tutto, rimestando di tanto in tanto, finché la pasta è al dente e i fagiolini sono cotti. Se necessario aggiungi un po’ d’acqua.

3. Quando il brodo è stato quasi completamente assorbito, aggiungi il gorgonzola a pezzetti e le erbe spezzettate. Regola di sale e pepe.

Piatto unico con salsiccia e verdure

Piatto principale

Ingredienti per 4 persone

4 salsicce di maiale a grana grossa

2 cipolle

4 peperoni di colore diverso

2 spicchi d’aglio

2 cucchiai d’olio per rosolare

4 rametti di timo

2 cucchiai d’aceto balsamico invecchiato

1 scatola di pomodori pelati da 800 g sale

1 cucchiaino di paprica piccante

1 presa di zucchero

1. Taglia le salsicce di maiale a fette di ca. 1,5 cm. Taglia in quattro e poi a fette le cipolle. Dimezza i peperoni, privali dei semi e tagliali a strisce. Trita finemente l’aglio.

2. Scalda l’olio in una padella ampia o in un wok. Rosola le fette di salsiccia da tutti i lati. Unisci la paprica e le cipolle, poi continua a rosolare. Aggiungi l’aglio e alcune foglioline di timo strappate. Unisci il balsamico e i pelati. Schiaccia un poco i pelati con il mestolo. Lascia sobbollire per ca. 10 minuti. Condisci con sale, paprica e lo zucchero.

3. Cospargi con il timo fresco e servi. Accompagna con pane fresco o

Così riesce lo stufato

I piatti preparati in una sola padella sono facili e fanno risparmiare tempo. Sei consigli per un risultato ottimale

1

Non bisogna dimenticarsi di mescolare!

Quando si preparano piatti unici si usano meno liquidi, quindi il pericolo che i cibi si attacchino e brucino aumenta. Pertanto: bisogna mescolare regolarmente.

2

Meglio usare padelle grandi

Una casseruola troppo piccola impedisce una cottura uniforme e un buon rimescolamento dei cibi. Per questo è necessario utilizzare sempre una padella grande.

3

Il tempo di cottura determina la dimensione degli ingredienti

Se gli ingredienti vengono messi in pentola tutti insieme, ciascuno va tagliato più o meno grossolanamente a seconda del tempo di cottura richiesto. Gli ingredienti che hanno un tempo di cottura lungo saranno quindi tagliati in piccoli pezzi, quelli che cuociono più velocemente in pezzi più grossi.

4

Regolare la quantità di liquidi

Se la consistenza risulta troppo asciutta, si può sempre aggiungere un po’ di brodo. La pasta, ad esempio, assorbe molti liquidi. Il liquido evapora più rapidamente in una padella larga.

5

Il giusto equilibrio con le consistenze

Pezzetti di noci, erbe fresche o cipollotti tritati finemente danno nuova consistenza, colore e sapore ai piatti cotti in umido. Un po’ di crème fraîche aggiunge infine un tocco acidulo.

6

Un altro po’ di acidità

Se il piatto manca un po’ di sapore, un ingrediente acidulo fa miracoli. Per esempio una spruzzata di limone o un goccio d’aceto.

Ricetta
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TEMPO LIBERO

Una ferrovia che riporta a casa

La Transiberiana d’Italia si è trasformata in un ponte tra passato e presente rincuorando emigrati che tornano a raccogliere i ricordi nel cuore dell’Abruzzo e del Molise

L’autunno in una cornice

Un laboratorio creativo con materiali raccolti nella natura per dare forma a poetiche casette di cartapesta e dettagli simpatici per un paesaggio colorato fatto a mano

Quando la realtà presenta il conto alla leggerezza

Tra il ludico e il dilettevole ◆ L’infanzia è un momento magico dominato dal gioco, dalla fantasia e dall’immaginazione ma, come ci racconta la letteratura, non può durare in eterno

In I giocattoli del bambino e le ragioni dell’adulto, il noto psicologo Erik Erikson sostiene che i giochi dei bambini, lungi dall’essere frivoli, sono un modo per esplorare la realtà e per simbolizzare il mondo interiore. Attraverso il gioco non solo il bambino può sperimentare il mondo, ma il gioco è anche un’importante esperienza socializzante. Giocando, il bambino interiorizza le norme, i ruoli, e i modelli della società.

L’attitudine al gioco del bambino, e la valenza formativa delle attività ludiche, non si limitano però a forme di gioco strutturate, ma investono l’approccio, il rapporto, e lo sguardo con cui il bambino osserva e abita il mondo. Tipico del bambino è, per esempio, il pensiero magico, uno stile di pensiero improntato alla fantasia e intriso di immaginazione che si configura come propedeutico rispetto al pensiero logico-razionale che prevale negli adulti. Il passaggio dall’uno all’atro non avviene in modo immediato, e anche quando il bambino viene scolarizzato sussistono momenti ed esperienze in cui il pensiero magico viene fortemente sollecitato. Anche da adulti, in fondo, l’attività della fantasia e dell’immaginazione possono essere considerate, da un certo punto di vista, una felice isola in un mondo oltremodo dominato dalla razionalità.

È altresì vero che lo sviluppo psicofisico e cognitivo è un processo irreversibile, ed è per questo che non è mai semplice crescere. Nel migliore dei casi, però, la crescita si configura come una serie di esperienze di apprendimento grazie a cui il bambino acquisisce gradualmente gli schemi di pensiero, di percezione e di costruzione del mondo che lo traghettano verso quello adulto.

La letteratura offre un osservatorio privilegiato per tematizzare questo processo. L’inventore di sogni di Ian McEwan mostra molto bene, per esempio, il rapporto dialettico che intercorre fra l’immaginazione e il reale, fra l’onirico e il concreto. Protagonista è Peter Fortune, un ragazzino di 12 anni con un’incorreggibile inclinazione a trasformare le esperienze quotidiane in sogni a occhi aperti, spesso tanto vividi da sostituire la realtà. Per Peter, fantasia e razionalità non sono forze opposte, ma esistono forme di pensiero che si nutrono dell’una e dell’altra, come l’immaginazione speculativa con cui entra in contatto quando, nel corridoio della sua scuola, ascolta la conversazione fra due alunne più grandi. Una chiede all’amica: «Ma come fai a sapere che adesso non stai solo sognando? Magari stai solo sognando di parlare con me». L’amica risponde che basterebbe darsi un pizzicotto: se le facesse male, si sve-

glierebbe all’istante. Allora la prima alunna rilancia: «Ma prova a pensare se stessi solo sognando di pizzicarti, e anche di aver sentito male. Potrebbe essere tutto un sogno e tu non lo sapresti mai…». Al cospetto di questo scambio Peter realizza che «quell’idea era venuta in mente anche a lui, ma non era mai riuscito a formularla con altrettanta chiarezza».

La crescita è un viaggio complesso e irreversibile, dove il bambino impara a mediare tra immaginazione e responsabilità

Nel capitolo che chiude L’inventore di sogni, intitolato I grandi, Peter racconta delle vacanze estive con la famiglia sulle spiagge della Cornovaglia, dove incontra altri bambini con cui stringe amicizia in un ambiente allegro dove le attività ludiche, alcune delle quali improvvisate, non mancano mai. Prendendo parte con slancio ed entusiasmo alle scorribande che coinvolgono, a ogni ora del giorno, lui e i suoi nuovi amici, Peter non può fare a meno di notare come gli adulti sembrano, all’opposto, non divertirsi af-

fatto, dediti come sono a occupazioni che paiono decisamente noiose e senza senso. Una sera, però, Peter litiga per un pezzo di cioccolato, e il gruppo di ragazzini, che sembra dargli torto, si allontana lasciandolo solo sulla riva del mare. McEwan aggiunge che «con ogni probabilità», quei ragazzini «si erano già scordati di lui e avevano inventato un altro gioco», come a ricordare l’inesauribile passione ludica dei bambini.

Solo sulla spiaggia, Peter getta un’occhiata dall’altra parte, verso le verande dove gli adulti passano la serata. Riesce a sentire «il mormorio basso delle conversazioni dei grandi, il suono di un tappo di sughero tirato dalla bottiglia, la musica di una risata femminile, forse della sua mamma». E poi, improvvisamente, ha una rivelazione: «Quella sera di agosto, restando lì in mezzo ai due gruppi, con il mare che gli lambiva appena i piedi nudi, Peter all’improvviso afferrò qualcosa di molto ovvio e terribile: un giorno o l’altro, avrebbe lasciato il gruppo che scorrazzava sfrenato lungo la spiaggia, per unirsi a quello di chi restava seduto a parlare. Era difficile crederci, ma sapeva che sarebbe andata proprio così. Allora si sarebbe

interessato a cose diverse, come lavoro, denaro, tasse, interessi bancari, chiavi e caffè, e sarebbe rimasto a parlare, per ore e ore, seduto». Come McEwan, anche lo scrittore palermitano Roberto Alajmo in Il primo amore non si scorda mai, riesce a cogliere e rappresentare il momento di passaggio fra l’infanzia e il mondo degli adulti. Nello specifico, Alajmo ci propone una raccolta di esperienze che hanno costellato la sua infanzia, e che hanno marcato una tappa del suo sviluppo personale. Fra le esperienze narrate, si intravvede una progressione che accompagna i ricordi dell’autore dalla prima infanzia fino all’adolescenza. E c’è anche un ricordo che, più di altri, cristallizza un momento simbolico e fortemente poetico che annuncia, appunto, la fine ineluttabile dell’infanzia.

Siamo, come in McEwan, al cospetto di un’esperienza liminale in cui il fervore dell’immaginazione, tipico dell’infanzia, cede il passo al realismo pragmatico che governa il mondo degli adulti. Racconta, Alajmo, che nel suo villaggio c’era un muro che nessun bambino aveva mai varcato, ma che nondimeno continuava a fornire lo spunto per «un gioco non dichiarato,

che consiste nel raccontare minchiate. Possibilmente: minchiate che facciano paura. Molto vivide, perché vince chi convince gli altri a crederci sul serio». E così, a suon di storie inventate ma credibili, la paura e il mistero finivano per dominare quello spazio ignoto al di là del muro. Fino a che, un giorno, un ragazzino, tale Gianni Cirafici, decide di attraversare la soglia, vedere cosa c’è di là. Fra i coetanei, di cui l’autore fa parte, l’apprensione che accompagna l’impresa è tanta, la tensione è alta, non potrebbe essere altrimenti. E quando, finalmente, Gianni Cirafici ricompare, c’è un attimo di silenzio che sembra infinito. Poi qualcuno comincia a parlare, e gli interrogativi si moltiplicano. Ma in realtà la domanda è solo una: cosa c’è dall’altra parte? Allora Gianni, guardandoli dritto negli occhi, fa un bel respiro e dice: niente. E Alajmo aggiunge: «è stato quel giorno che è finita l’infanzia».

Bibliografia

Ian McEwan, L’inventore di sogni (Einaudi, 1994)

Roberto Alajmo, Il primo amore non si scorda mai, anche volendo (Mondadori, 2013)

L’immagine di copertina de L’inventore di sogni di Ian McEwan nell’edizione Super ET di Einaudi.
Sebastiano Caroni
Pagina 41
Pagina 39
Gli integratori alimentari non vanno intesi come sostituti di una dieta varia
equilibrata
di uno stile di vita sano.

Storie in corsa sui binari d’Appennino

Reportage ◆ Un’italica transiberiana unisce altipiani e borghi lungo cento chilometri di rotaia da Sulmona a Isernia nel cuore di Abruzzo e Molise

Luigi Baldelli testo e foto

Attraversa il cuore dell’Abruzzo e del Molise, il treno storico che unisce Sulmona a Isernia; e il suo nome fa sognare i viaggiatori con un omaggio alla ferrovia più lunga del mondo: Transiberiana d’Italia. La sua sola esistenza è un elogio alla lentezza. Montare in una delle sue carrozze significa fare un tuffo nel passato: i suoi vagoni hanno ancora sedili in legno e le tendine di velluto oscurano solo in parte i vetri dietro ai quali scorrono paesaggi che sconfinano nei parchi della Maiella, d’Abruzzo e nella riserva dell’Alto Molise

La storia di questa linea ferroviaria è unica e particolare. Inaugurata nel 1897, per oltre un secolo ha unito l’Adriatico al Tirreno, partendo da Pescara per raggiungere Napoli. Per il suo percorso, che attraversava l’Appennino, e per la morfologia del terreno lungo il quale si srotolano i binari, fu da subito considerata un’opera di ingegneria lodevole. Purtroppo, durante la Seconda guerra mondiale una buona parte del tracciato venne distrutto. Riattivata intorno agli anni Cinquanta fu ancora utilizzata per gli spostamenti interni. Ma nuove strade e una diffusione sempre maggiore di automobili, negli anni, portarono prima a una riduzione del tragitto e – come capita nelle lente agonie – alla sua definitiva sospensione nel 2010. Ma le cose belle hanno diritto a una seconda vita. Così nel 2014 si è deciso di riaprire il tratto che unisce Sulmona a Isernia.

Inaugurata nel 1897, sospesa nel 2010 e riaperta nel 2014, la Transiberiana d’Italia racconta la storia di oltre un secolo di viaggi, guerra, e ricostruzioni

Parliamo di cento chilometri da percorrere in tre ore circa, salendo fino a una quota di 1260 mslm, passando in gallerie lunghe fino a tre chilometri, come quella che attraversa il monte Pagano, e viaggiando sopra viadotti e ponti.

Un lungo fischio annuncia l’arrivo del treno alla stazione di Sulmona, trainato da una vecchia locomotiva diesel degli anni Sessanta. Ogni scompartimento ha la sua porta d’ingresso, infatti si chiamano vagoni cento porte, e basta salire i tre gradini di legno per entrare in un altro mondo, fatto di odori antichi e luci calde, lungo un corridoio centrale che divide i vari scompartimenti con le panche di legno. Appena usciti da Sulmona, il treno inizia a salire verso le cime dei monti dell’Appennino. A volte arranca, rallenta ma poi riprende la sua corsa. Il paesaggio è bellissimo, piccoli paesi sono arroccati sulle pareti dei monti della Maiella, boschi di faggio si alternano ad altopiani. Il clima all’interno è conviviale. Accanto a me, è seduta una coppia di anziani sui 75 anni che arriva dal Canada. Sono emigrati con le famiglie quando erano piccoli: «Facevo questo viaggio con mia mamma quando avevo 5 o 6 anni, prima di emigrare dall’altra parte dell’Oceano» – mi dice Maria, nella sua chiara camicia azzurra, i capelli bianchi e ben pettinati, un viso sereno impreziosito da due profondi occhi neri. «Il treno era uguale a questo e ricordo che andavamo a Roccaraso a trovare mia zia

– continua con la sua voce entusiasta mentre il marito, Paolo, le tiene la mano – facevo il viaggio interamente con gli occhi che guardavano fuori. Un viaggio lungo, ma per noi bambini era un’avventura affascinante. Non è cambiato molto da allora». E subito torna a guardare le montagne e i prati che ci circondano per poi voltarsi e aggiungere: «Noi non la chiamavamo la Transiberiana d’Italia, per noi era solo il nostro treno».

La definizione Transiberiana d’I-

talia in effetti risale al 1980: così ne scrisse il giornalista Luciano Zappegno che, durante un reportage di un viaggio in treno attraverso l’Appennino, rimase bloccato su questa tratta a causa della neve. Ma se la transiberiana dell’ex Unione Sovietica attraversa distese e steppe, questa invece sale sul massiccio della Maiella, attraversa gli altipiani d’Abruzzo e poi scende fino a Isernia. E dunque forse l’associazione non deriva tanto dal paesaggio che circonda le rotaie, ma dal viaggio epi-

nada. Io sono nato tra questi monti, ma a pochi anni d’età mi hanno portato nella terra dello sciroppo d’acero», si aggiusta il cappellino, si gratta il naso importante per poi guardarmi di nuovo con quei suoi occhi azzurro acqua: «Io non avevo mai preso questo treno ma mia moglie ne parlava ogni tanto e così, al nostro ritorno in Italia per le vacanze eccoci qui sul vagone. Devo dire che è un modo originale e bello per scoprire queste terre meravigliose».

Più di un viaggio in treno, un’esperienza che celebra la lentezza e il contatto con i paesaggi montani Arriviamo alla stazione di Castel di Sangro. Carlo, il capotreno, apre le porte delle carrozze per far scendere alcuni viaggiatori. Dei bambini chiedono speranzosi se riusciranno a vedere un orso, l’animale simbolo dell’Abruzzo. «Chi scende qui va a fare un’escursione organizzata e li riprendiamo al ritorno». Ne approfitto per spostarmi in una carrozza vuota e fare il resto del viaggio insieme al capotreno. Carlo, nella sua divisa d’ordinanza, modi gentili e un sorriso bonario mi racconta altre storie del treno: «Oggi l’ultima stazione dove arriviamo è quella di Carovilli, ma si spera nel 2026 di arrivare fino a Isernia. I lavori alla linea sono stati completati, mancano solo alcune autorizzazioni». Si aggiusta la giacca, accavalla le gambe e continua: «Oggi sei fortunato che puoi goderti una carrozza tutta per te, pensa che d’inverno, quando ci sono i mercatini di Natale nelle due o tre fermate che facciamo, Roccaraso, Castel di Sangro e Carovilli, viaggiano più di 800 persone al giorno».

co che accomuna i due treni. Un viaggio non convenzionale, unico, pieno di storia e di vita.

Oramai abbiamo superato il punto più alto del viaggio, quota 1260 metri, il cielo è terso, anche se ci sono nuvole nere all’orizzonte. Piccoli paesi aggrappati alla montagna sembrano usciti dai presepi natalizi. Il clima nel vagone è rilassato e c’è chi si sposta da un lato all’altro per poter vedere il paesaggio. Qualcuno si sporge dal finestrino per fare una foto migliore. Un piccolo gruppo musicale con un repertorio di canzoni popolari abruzzesi porta allegria ai viaggiatori e li invita a cantare con loro. Quando sono nel nostro vagone il suono della fisarmonica e le voci potenti riempiono l’aria. Paolo, il nostro emigrante dal Canada chiede alla moglie come si chiamava quella canzone che parla del pavone. Vola, vola, vola gli risponde lei chiedendo al trio musicale se possono cantarla, e con loro si uniscono i passeggeri: parla di un pavone, d’amore, di lontananza. Finita la cantata, Paolo, con il suo cappellino arricchito da una spilla con la bandiera canadese e quella italiana, mi dice che «questa era una canzone che cantava sempre mio padre in Ca-

Lasciandomi cullare dal dondolio, guardo questo vagone con le panche di legno, le porte e i finestrini che si aprono manualmente e non posso fare a meno di pensare a chi viaggiava su questo treno 60 o 70 anni or sono. Lavoratori, famiglie, gente semplice che usava il convoglio per andare a trovare i parenti in qualche villaggio vicino. Dal finestrino, nei campi vedo enormi balle rotonde di fieno, cavalli allo stato brado e greggi di pecore, mentre la voce di Carlo mi riporta al presente per dirmi che questi vagoni durante la guerra furono usati come ospedale: «Eh, ne hanno viste di cose queste carrozze, hanno trasportato feriti, immigrati che andavano a Napoli per salpare verso l’America. Oggi è un treno storico che oltre a una bella esperienza di viaggio tiene vivi i ricordi».

Siamo arrivati al capolinea, nel paese di Carovilli. Anche qui molti viaggiatori sono attesi per delle escursioni organizzate. A tutti viene raccomandato di essere puntuali, che l’orario della partenza per il ritorno è alle 16.00. Saluto Carlo e osservo i vari gruppi che si incamminano verso il borgo antico alla scoperta di tradizioni e storie curiose. Mi siedo su un muretto della stazione e guardo il treno. Bello nonostante gli anni, affascinante anche se non tecnologico. Un destriero in metallo che si riposa dopo una lunga cavalcata e che aspetta paziente per riportarti a casa

Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.

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Poetiche casette d’autunno

Crea con noi ◆ Così si trasformano rami, pigne e foglie in decorazioni che raccontano la stagione e risvegliano la creatività

L’autunno è la stagione che invita a rallentare, a passeggiare nel bosco e raccogliere piccole meraviglie della natura: rami, pigne, foglie dai mille colori. Da questi semplici elementi può nascere un piccolo mondo poetico, come una decorazione fatta di rami di pino piegati, casette di cartapesta e dettagli naturali, che racchiude tutto il calore e la creatività della stagione.

Procedimento

Raccogliete alcuni rami di larice sottili e flessibili, meglio se con piccole pigne attaccate.

Piegate delicatamente i rami fino a formare un arco o una cornice. Fissateli tra loro con la colla a caldo o con lo spago in modo che mantengano la forma. Ritagliate dal cartone delle sagome di piccole casette. Preparate la colla vinilica diluita con un po’ d’acqua e, con un pennello, ricoprite le sagome di cartone applicando la carta. Lasciate asciugare bene. Se decidete di ricoprire le casette con un unico pezzo di carta, ritagliatelo seguendo il profilo della sagoma e lasciate circa 1 cm di margine lungo tutto il perimetro. Tagliate via gli an-

Giochi e passatempi

Cruciverba

Nello stato di New York, vicino a Buffalo, c’è una cascata

dietro la quale una fuga di gas naturale, alimenta... Termina la frase risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 3, 8, 14)

ORIZZONTALI

1. Un foro per fili

5. Si accetta duellando

9. Propaggine fronzuta

10. Il tutolo ne è una parte

11. Isabella per gli amici

12. C’è anche quello da taglio

13. Le iniziali dell’attore Eastwood

14. Innata, congenita

16. Fa eco con don

18. Nome femminile

19. Le tombe dei poeti

20. Fanno rima con ma...

goli in eccesso e, con un po’ di colla vinilica, ripiegate e fate aderire i bordi sul retro della casetta, così da ottenere una rifinitura pulita e ordinata. Passate un leggero strato di acquerello diluito sulla carta di giornale per dare un tocco di colore tenue e naturale. Ritagliate i tetti in cartone colorato o tinto con acquerelli (nei toni dell’autunno come rosso, marrone, ocra). Incollateli sopra le casette. Una volta che la carta è ben asciutta, con un taglierino ritagliate e asportate le piccole finestre. Potete rifinirle con un po’ di corda per creare cornici o contorni rustici. Incollate le casette alla base del ramo di pino. Completate con piccole pigne, foglie o delle bandierine create con le foglie o sempre con pagine di libro colorate ad acquarello. Il vostro piccolo paesaggio poetico è pronto.

Idea in più

Per conservare le foglie e mantenerne i colori vivi, spennellatele con colla

Materiale

• Rami di pino flessibili con piccole pigne

• Colla a caldo e colla vinilica

• C artone di recupero (per la struttura delle casette)

• Pagine di vecchi libri

• Resti di cartoncino

• Acquerelli e pennello

• Spago naturale

• Foglie secche (opzionale)

• Forbici e taglierino

(a parte i rami, i materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage)

vinilica su entrambi i lati e lasciatele asciugare completamente prima di incollarle.

Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi

Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle

22. Pronome personale

24. Evita la ripetizione

26. Due quarti di luna

27. Insensati, pazzi

29. Due di spade

30. Le cavie di Galvani

VERTICALI

1. Soccorre in Italia (Sigla)

2. Pieni fino all’orlo

3. Tutt’altro che bestiali

4. Boccia la proposta

5. Protetta da Igea 6. Si paga per la colpa 7. Le

Può

il

Misero, meschino 13. Si ripete nel brindisi

15. Yann portiere dell’Inter

16. Laureato in breve

17. Manifestazioni di paura

21. Possono essere brillanti

23. Scure, tenebrose

25. Le iniziali del giornalista

Soluzione della settimana precedente RIDIAMO INSIEME – «Caro, stasera c’è la partita, invita i tuoi amici che ho comprato la birra» – «Ma è grave?» Risposta risultante: «HO SOLO ROTTO IL PARAFANGO E UN FANALE”

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku cliccando sull’icona «Concorsi», homepage in alto a destra Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano . Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.

iniziali della conduttrice Spada
Vi nacque Platone
esserlo
clima
Sono dispari in latino
Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku

Energia premium. In confezione speciale.

Viaggiatori d’Occidente

Mancia: gesto gentile o anacronismo fiscale

La mancia è in discussione. Per cominciare diversi Paesi stanno progettando o introducendo nuove leggi in materia. Più ampiamente molti la considerano un retaggio d’altri tempi, quando aristocratici e ricchi borghesi potevano trattare i lavoratori con sussiego e degnazione, dando loro qualche spicciolo. Ma abolirla non sarà facile. La mancia è un’usanza antica come l’uomo, attestata almeno dal Medioevo, quando i signori ricompensavano servitori, stallieri o locandieri con piccole somme per i servizi resi con zelo e puntualità.

Ancora oggi sono pochissimi i Paesi nei quali non è gradita; a pensarci bene, quasi soltanto il Giappone, dove il servizio dev’essere impeccabile sempre, per zelo e non per la prospettiva di una ricompensa. Lì al massimo, per ringraziare, potete fare un inchino… E poi il denaro è una lingua universale e profondamente sincera. Una vol-

ta un ricco industriale chiese retoricamente al mio maestro, Vittorio Dan Segre: «Come potrò mai ringraziarla per le sue idee così brillanti ed efficaci?». E lui rispose, impassibile: «Mi dia dei soldi».

In Svizzera tutto è compreso, anche la gratitudine. E dunque, negli alberghi e nei ristoranti, il contratto nazionale sin dal lontano 1974 prevede che la mancia sia già inclusa nel prezzo. A quel punto lasciarla è semplicemente un segno di particolare apprezzamento del servizio ricevuto. In media, l’ammontare è intorno al 5-10% del totale; ogni locale si regola a modo suo, ma di solito la mancia rimane in più larga parte ai camerieri di sala (70-80%). Nell’insieme possono essere somme anche rilevanti (circa un miliardo di franchi all’anno), ma il fisco elvetico si disinteressa a queste entrate, anche perché sono disperse in mille rivoli e spesso sono pagate in contanti, dunque di difficile

Cammino per Milano

Ippodromo di San Siro

Squilibrati scritto con cura estrema e precisione, in maiuscolo, mi colpisce come nome di un gruppo ultras interista sulle mura lungo viale Caprilli. Il viale costeggiato da platani che affianca l’ippodromo e porta anche allo stadio omonimo lì a fianco, è dedicato al cavaliere Federico Caprilli (1868-1907). Oro olimpico e rubacuori, rivoluziona l’equitazione con un sistema basato su naturalezza e spontaneità. Percorrendolo a passo spedito per arrivare in tempo all’inizio dello storico Gran Premio del Jockey Club alle 16:55, sento, attutito, come preludio, il suono del galoppo. A partire da subito, tra entrata scenografica, alberi secolari, filari di archi dechirichiani a tutto sesto, gente molto elegante e alcuni molto meno, facce di scommettitori accaniti, caldarroste, le aspettative di un lettore di Hemingway non sono deluse. «San Siro era l’ippodromo più

bello che io avessi mai visto» confessa il protagonista – figlio di un fantino e pazzo per i cavalli come lui – del diciannovesimo tra I quarantanove racconti (1938) di Hemingway. Dietro il marronat c’è l’angolo oscuro degli scommettitori dostoevskiani che sembrano rimasti agli anni Settanta: prede di tabagismo e Fernet. Punto, più per simpatia che ambizione, su Flag’s up, purosangue baio di sette anni che è l’unico che ho studiato ieri sera, però prima c’è un’altra corsa. Prendo un caffè al bar del Tondino. Al bancone alcuni sboroni brindano fuori orario alle vincite future e lo speaker con bianchino e paglione ripassa i nomi dei cavalli. Gli chiedo di Flag’s up e dice che «è un eroe, farei salti di gioia se vincesse» ma è fuori dai giochi. Secondo lui in forma sono Alleno e Lazio ed «Eydon anche è forte, dicono».

Al Tondino, dove sono appena sfilati

Sport in Azione

Largo ai poveri… vincitori

Chi ricorda l’ultima squadra non inclusa nel triangolo Zurigo-Basilea-Berna ad aver vinto il campionato svizzero di calcio? Ci arrivate senza andare a ravanare su Google o siti vari? Voilà, bravissimo, signor Scattini. C’è arrivato veramente senza aiutino? Ottima memoria. La sua risposta è corretta. Proprio il San Gallo, che vinse il suo secondo e ultimo titolo al termine della stagione che ci ha traghettati nel nuovo millennio. Da quell’anno in poi, tredici scudetti sono finiti a Basilea, sei a Berna, e altrettanti a Zurigo, quattro sulla sponda del FC Zürich, mentre due li ha messi in bacheca il Grasshopper. Se diamo uno sguardo ai campionati più prestigiosi, il quadro è ancora più selettivo. La serie A italiana propone uno scenario simile al nostro, con l’asse Milano-Torino che dal 2000 in poi ha intascato ventun titoli, lasciandone quattro alla virtuale alleanza del cen-

tracciabilità. Questo soprattutto in Ticino, dove ‒ secondo un’indagine condotta dalla ZHAW (Scuola universitaria professionale di scienze applicate di Zurigo) ‒ l’82% dei clienti lascia la mancia in contanti (contro il 67% della Svizzera tedesca). E anche se hanno pagato il conto con la carta di credito o altri sistemi digitali (come fa oltre la metà dei clienti), preferiscono poi mettere una banconota in mano al cameriere, anche per essere certi che finisca a chi davvero si è occupato di loro. Nella stessa logica qualcuno lascia del denaro sul comodino della stanza d’albergo, perché lo trovi la cameriera che pulirà dopo la partenza. Con un pizzico di orgoglio, il nostro mi sembra un sistema perfetto (a parte qualche lamentela da parte dei cuochi, perché spesso in cucina della mancia arrivano solo… le briciole). Altrove invece ci si complica inutilmente la vita. Negli Stati Uniti per esempio le man-

ce sono da sempre una parte essenziale dei guadagni dei camerieri. Ma a questo punto lasciarle non è più una scelta, quanto piuttosto un obbligo. E dato che vengono registrate in uno spazio apposito del conto, sono soggette a tassazione federale e contributi previdenziali. In campagna elettorale Trump aveva promesso esenzioni parziali poi tradotte nel No Tax on Tips Act (luglio 2025), rovesciando pure in questo campo abitudini consolidate. Anche nel Regno Unito sono considerate reddito imponibile e si controlla con leggi apposite che i datori di lavoro non trattengano nulla. Invece la Francia, paradiso della burocrazia, ha sospeso i prelievi fiscali sulle mance fino alla fine di quest’anno, ma solo per chi ha un salario ridotto (determinato con calcoli complicati). Infine in Italia dal 2023 le mance sono soggette a una flat tax di appena il 5%, ma solo per i dipendenti e solo se non rappresenta-

no una parte troppo ampia del reddito annuale. I pagamenti elettronici sono possibili e resta libera la gestione interna delle somme (chi le raccoglie, come vengono suddivise tra sala, cucina ecc). Ricordatevi però sempre che nella vicina penisola teoria e pratica raramente coincidono. È sorprendente come un gesto così semplice e naturale tocchi ambiti tanto diversi: il lavoro, la fiscalità, la mentalità… Di certo la mancia funziona quando mantiene un giusto equilibrio tra la dimensione economica e il riconoscimento sociale. E dunque dev’essere su base volontaria, per non perdere il suo significato; dev’essere di modesta entità, per esprimere apprezzamento senza creare meccanismi servili; dev’essere ben distinta dalla giusta retribuzione per il proprio lavoro (e per la stessa ragione non va tassata). Insomma proprio come facciamo noi; ve l’avevo detto io.

i cavalli che mi sono perso, trovo un personaggio uscito da una canzone di Jannacci. Al volo so già che è lui, al di là di tutto, il mio cavallo vincente per il reportage all’ippodromo. Fogli in mano, studia la prossima corsa delle 16:15, cerchia i nomi dei cavalli, spara la litania di pesi dei fantini, anni dei cavalli, nomi degli allenatori. «Dunlop, Dunlop» ripete più volte. Per me Dunlop sono le racchette di tennis. Lui intende l’allenatore di un cavallo di nome Call me Angel. «Dunlop è il migliore». Punto all’ultimo su Call me Angel, il numero cinque. Non faccio in tempo a trovare un posto in tribuna che sono partiti, rimango lì, al Tondino aspettando l’arrivo. E Call me Angel nel rush finale galoppa a più non posso e io alzo le mani e grido dai dai dai e vince Call me Angel. Ma la più grande scoperta ed epicentro di tutto l’ippodromo è la Palazzina del Peso, liberty ma non

troppo, anni Venti, architetto: Paolo Vietti-Violi (1882-1965). Ci vorrebbe giacca e cravatta e uno lì all’entrata controlla. Con noncuranza e grazie a una vecchia beaufort sdrucita verde salvia con cui ho raccolto migliaia di spugnole passo agile perché tipica anche del mondo ippico. La sala del peso è uno spettacolo: divani in pelle verde Lorenzo Lotto dove sprofondare, pavimento alla veneziana color vinaccia, ma soprattutto il rito teatralissimo del peso dei fantini. Esseri assurdi tra giullari ed elfi, casacche da carnevale, gli occhi da pazzi, altro che squilibrati ultrà. Come il fantino di Call me Angel che ora è lì, sulla bilancia ultracentenaria con sella in mano. Ritrovo il mio personaggio e mi felicito con lui. Per la prossima corsa, quando faccio il nome di Flag’s up mi guarda come per dire. Poi dice solo, per tre volte, «Eydon». Senza pensarci troppo, con la naturalezza

del metodo Caprilli, punto su Eydon e salgo a balzi su per la scala eburnea con corrimano in ciliegio e vecchie glorie incorniciate. Fuori trovo un posto perfetto, rimango in piedi, ed ecco che capisco, con davanti la pista eccetera, le emozioni dei momenti appena prima la partenza quando quasi ci si sente male come scriveva Hemingway. «Specie a San Siro, con quel gran campo verde e i monti in lontananza». In questa bella domenica di ottobre nessun monte si vede ma sulla destra spunta solo la triade di grattacieli-fuffa di CityLife. Vivo però ora esattamente le sensazioni di quello che lessi secoli fa. Eydon, in testa per tutta la corsa, alla galoppata finale è ultraterreno e io ho le mani levate al cielo. Festeggio con una cedrata. Gloria breve. The Great Brozo, consigliato dal mio amico esperto con la cravatta di lana, la corsa dopo, si rivela un grande brocco.

tro-sud, formata da Napoli, Roma e Lazio. Ancora più schiacciante la supremazia di Barcellona e Real Madrid nella Liga, quella del Bayern Monaco in Bundesliga (diciotto titoli su venticinque), e del Paris Saint Germain, che in Ligue 1, che ha portato a casa undici degli ultimi tredici allori in palio. Risulta un po’ più equa e sociale la distribuzione di gloria in Premier League, dove sei squadre si sono divise la torta. Ma si tratta di società storicamente ricche e competitive, tutte in grado di conquistare anche l’Europa. Per questa ragione, al termine della stagione 2015-2016, il mondo del calcio aveva vibrato per il sorprendente Leicester City, capace di mettere in fila Arsenal, Tottenham, United e City. Il trionfo della squadra diretta dal tecnico romano Claudio Ranieri, in un mondo che pasteggia a caviale e champagne, aveva il gusto di «porridge e bacon». Un miracolo, nonostan-

te Leicester sia comunque una città di 350mila abitanti con la sua dignitosissima tradizione calcistica, che le aveva portato in bacheca anche una Coppa d’Inghilterra e tre Coppe della Lega. In fondo, l’ultimo vero prodigio lo aveva compiuto il piccolo Football Club Gueugnon, che il 22 aprile del 2000, nella finale di Coppa di Lega, nel sontuoso scenario dello Stade de France di Parigi, aveva messo in scacco il Paris Saint-Germain. Con un classicissimo 2 a 0, Davide aveva crocifisso un incavolatissimo Golia. Questo episodio fu persino ripreso dalla scrittrice Valérie Perrin, autrice di Cambiare l’acqua ai fiori, nel suo ultimo romanzo «Tata». Uno dei personaggi principali è un’enigmatica e agrodolce zia, sfegatata del Gueugnon, che suddivide il suo amore e le sue attenzioni tra la squadra di calcio, di cui sa tutto, e una nipote regista cinematografica in crisi.

Avrei voluto esserci, a Parigi, quel giorno. Così come mi sarebbe piaciuto trovarmi, lo scorso 25 ottobre, allo stadio Ullevi di Göteborg, dove il Mjällby si è imposto sui padroni di casa, pure per 2 a 0. Non si è trattato di una partita qualunque, bensì di quella che ha consegnato matematicamente il titolo di campione di Svezia agli ospiti. Il Mjällby Allmänna Idrottsförening rappresenta la località di Halliwick. Mai sentita? Neppure io, prima di quella sera. È adagiata sul mar Baltico nella parte meridionale della penisola svedese. Vive principalmente di pesca e di attività portuali, oltre a un pizzico di turismo naturalistico. Abbastanza per regalare una dignitosa esistenza ai suoi 1485 abitanti. Risorse tuttavia apparentemente insufficienti per sostenere una squadra calcistica di livello nazionale. Eppure, con un bilancio di circa 84 milioni di corone, che corrispondono

grosso modo a 7 milioni di franchi, al Mjällby il miracolo è riuscito. A titolo di paragone, il Lugano, in un campionato che per qualità non si discosta molto da quello svedese, gestisce la stagione con una somma che si aggira attorno ai 30 milioni di franchi.

Il prossimo anno, le maglie gialle del Mjällby le vedremo esibirsi in Champions League, negli stadi più prestigiosi d’Europa. Non ci si deve illudere, la tendenza del calcio e degli sport ricchi in genere, è lo specchio di una società che sta viaggiando verso un divario sempre più ampio tra una minoranza di mega ricchi e una maggioranza che si arrabatta. Il successo dei neo campioni svedesi corrisponde a un 5+2 stelle all’Euromillions. Non è la regola. Ma regala speranza ai cosiddetti poveri. Ed è bellissimo scoprire che ogni tanto non è il denaro, ma «c’est l’amour qui fait la guerre ».

di Giancarlo Dionisio
di Oliver Scharpf
di Claudio Visentin

Hit della settimana

4. 11 – 10. 11. 2025

Settimana Migros

Frutti dolci, foglie delicate

3.95

Clementine con foglia Spagna, cestino, 1,5 kg, (1 kg = 2.63) 42%

invece di 6.90

4.80 invece di 6.90

Arance bionde Migros Bio Spagna, rete da 1,5 kg, (1 kg = 3.20) 30%

4.90 invece di 6.25

Mirtilli, Migros Bio Perù/Argentina/Sudafrica, 250 g, confezionati, (100 g = 1.96) 21%

6.95

invece di 8.35

Filetti di salmone con pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, 380 g, in self-service, (100 g = 1.83) 16%

25%

2.40

invece di 3.20

Uva bianca senza semi Migros Bio Spagna/Italia, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.48)

Migros Ticino

Una buona pesca

7.95

invece di 15.90

Gamberetti tail-on M-Classic, cotti, ASC d'allevamento, Vietnam, 450 g, in self-service, (100 g = 1.99)

Cozze fresche M-Classic, MSC pesca, Paesi Bassi, 2 kg, in self-service, (1 kg = 3.98)

3.60

invece di 4.50

Filetti di pesce persico senza pelle Migros d'allevamento, Svizzera, per 100 g, in self-service

Migros

Gusto a fette e in tagli sublimi

9.35

15.45

invece di 23.45 Sminuzzato di pollo Optigal Svizzera, 2 x 350 g, (100 g = 2.21)

4.95

invece di 6.20 Curry Balls di pollo Migros Brasile, 300 g, in self-service, (100 g = 1.65) 20%

7.95

invece di 10.65 Hamburger di manzo Café de Paris Migros Svizzera, 4 x 100 g, in self-service, (100 g = 1.99)

Migros Ticino

Tutti i panettoni e i pandori, San Antonio per es. panettone, sacchetto da 500 g, 5.04 invece di 6.30, (100 g = 1.01)

1.95

di 2.95

Vermicelles a base di finissima purea di castagne con una nota di Kirsch

Coppetta ai vermicelles 95 g e 120 g, per es. 95 g, 2.– invece di 2.50, (100 g = 2.11)

Fagottini di spelta alle pere Migros Bio, bastoncini alle nocciole o pasticcini alle pere, Petit Bonheur per es. Fagottini di spelta alle pere Migros Bio, 3 pezzi, 225 g, 2.80 invece di 3.50, (100 g = 1.24) a partire da 2

Mix Nut,

codette, coriandoli, 4 pezzi, 271 g, prodotto confezionato, (100 g = 1.83)

2.50

Sugar 2 pezzi, 110 g, prodotto confezionato, (100 g = 2.27)

Donuts
Donut
Cookie,

Subito pronti

Fiori o gnocchi, Anna's Best, refrigerati fiori al limone e formaggio fresco o gnocchi alla caprese, in confezioni multiple, per es. fiori, 4 x 250 g, 11.75 invece di 19.80, (100 g = 1.18)

Tempeh speziato alla gyros bio

200 g, (100 g = 2.48)

Pizze dal forno a legna Anna's Best, refrigerate

Prosciutto mini o Prosciutto & mascarpone, in confezioni multiple, per es. Prosciutto mini, 3 x 210 g, 8.85 invece di 11.85, (100 g = 1.40)

2.55 Focaccia alsaziana originale

g, (100 g = 0.73)

Shot Roots & Goods

Ginger Bliss, Ginger Shot e Curcuma Orange, per es. Ginger Bliss, 60 ml, 2.24 invece di 2.80, (100 ml = 3.73) a

Formaggi e latticini

La crème de la crème

Yogurt Saison e M-Classic disponibile in diverse varietà, per es. strudel di mele/prugne e cannella/castagne, Saison, 6 x 200 g, 3.90 invece di 4.20, (100 g = 0.33)

2.50

1.10

2.75 invece di 3.25 Raclette Val de Bagnes, AOP per 100 g, prodotto confezionato 15% 2.–invece di 2.40 Quark alla frutta M-Classic lampone,

Fette di raclette aromatizzate M-Classic paprica, pepe e aglio, 14 fette, 400 g, 6.72 invece di 8.40, prodotto confezionato, (100 g = 1.68)

Le Gruyère dolce AOP (senza Emmi Fromagerie), Classic e Migros Bio, per es. Classic, circa 250 g, per 100 g, 1.30 invece di 1.85, prodotto confezionato 30%

2.–invece di 2.55 Formaggella della Valle di Blenio per 100 g 21%

a partire da 2 pezzi 20% 22.30 invece di 27.90 Fondue moitié-moitié Caquelon Noir con vino, già pronta, 2 x 600 g, (100 g = 1.86)

5.60 invece di 7.–

fresco Cantadou aglio ed erbe aromatiche, rafano o mix di pepe, 2 x 140 g, (100 g = 2.00)

Grana Padano Da Emilio disponibile in diverse varietà, per es. formaggio grattugiato, 120 g, 2.59 invece di 3.05, (100 g = 2.16)

Tilsiter alla panna Migros Bio circa 250 g, per 100 g, prodotto confezionato 20%

1.55 invece di 1.95

2.40 invece di 2.85

Sole del Ticino per 100 g, prodotto confezionato 15%

5.60

di 7.–

i formaggi freschi Cantadou per es. mix di pepe, 140 g, 2.80 invece di 3.50, (100 g = 2.00) a partire da 2 pezzi 20%

per torta al formaggio M-Classic 2 x 250 g, (100 g = 1.12)

i tipi di crème fraîche (prodotti beleaf esclusi), per es. Valflora al naturale, 200 g, 1.91 invece di 2.25, (100 g = 0.96)

Migros Ticino

Tutto per la dispensa perfetta Scorta

Maionese, Thomynaise, senape dolce o concentrato di pomodoro, Thomy per es. maionese à la française, 2 x 265 g, 4.70 invece di 5.90, (100 g = 0.89)

Tutti i tipi di pasta M-Classic per es. reginette, 500 g, 1.52 invece di 1.90, (100 g = 0.30) a partire da 2

a partire da 2 pezzi 20%

Senza conservanti

a partire da 2 pezzi 20%

conf. da 2 20% 11.70

Tutti i tipi di olive non refrigerate M-Classic (articoli Demeter e Alnatura esclusi), per es. olive spagnole Hojiblanca, snocciolate, annerite, 150 g, 2.16 invece di 2.70, (100 g = 1.44)

Tutte le salse Bon Chef per es. salsa alla cacciatora, vegana, busta da 32 g, 1.32 invece di 1.65, (100 g = 4.13)

conf. da 2 22%

invece di 15.–

Tortine al formaggio M-Classic prodotto surgelato, 2 x 12 pezzi, 2 x 840 g, (100 g = 0.70)

a partire da 2 pezzi 30%

Tutto il caffè Caruso in chicchi e macinato, per es. crema Oro in chicchi, 500 g, 6.65 invece di 9.50, (100 g = 1.33)

Tutto l'assortimento Sempio e Kelly Loves per es. Seaweed Rice Crisps Kelly Loves, 20 g, 2.36 invece di 2.95, (100 g = 11.80) 20%

da 5 20%

Knorr asia noodles disponibili in diverse varietà, per es. chicken taste, 5 x 70 g, 7.60 invece di 9.50, (100 g = 2.17)

da 10 30%

invece di 19.95 Succo d'arancia M-Classic 10 x 1 litro, (100 ml = 0.14)

da 6

Più dolce di così non si può

conf. da 5 25%

Toblerone-Milk, -Tiny-Milk o -Mix in confezioni speciali o multiple, per es. milk, 5 x 100 g, 12.35 invece di 16.50, (100 g = 2.47)

Tutte le palline Freylini Frey in sacchetto per es. classics, 200 g, 3.85 invece di 5.50, (100 g = 1.93)

conf. da 2 22%

15.50 invece di 19.90

Pralinés Toblerone cioccolato al latte, 2 x 180 g, (100 g = 4.31)

9.95 Peanut M&M's in conf. speciale, 800 g, (100 g = 1.24)

invece di 34.88 Frey Napolitains Selection assortiti, in conf. speciale, 1 kg, (100 g = 1.74)

Tavolette di cioccolato Frey Giandor, Noisettes o latte finissimo, 6 x 100 g, per es. Giandor, 9.95 invece di 15.–, (100 g = 1.66) conf. da 6

–.60 di riduzione

Tutti i biscotti Tradition per es. petit gâteau al limone, 150 g, 3.80 invece di 4.40, (100 g = 2.53)

Zampe d'orso o schiumini al cioccolato M-Classic in conf. speciale, per es. zampe d'orso, 760 g, 5.60 invece di 7.–, (100 g = 0.74) 20%

7.95 Cioccolatini Camille

kirsch o cognac, 140 g, (100 g = 5.68)

le caramelle

per es. Original, senza zucchero, busta da 125 g, 3.68 invece di 4.60, (100 g = 2.94)

in conf. speciale, 400 g, (100 g = 1.64)

6.50 Mini Friends Mix Kinder 201 g, (100 g = 3.23)

Noci e miscele di noci, Party in confezioni speciali, per es. arachidi, 750 g, 2.70 invece di 3.60, (100 g = 0.36)

Graneo o Corn Chips Zweifel Graneo Original, Graneo Mild Chili o Corn Original, in conf. XXL Big Pack, per es. Graneo Mild Chili, 225 g, 5.30 invece di 6.64, (100 g = 2.36) 20%

ideali da guarnire

2.55

Da

classica o al rosmarino, 120 g, (100 g = 2.13)

Bloch
Bruschetta
Emilio
Tutte
Ricola

Utili e profumati:

Fazzoletti di carta Linsoft, FSC® in confezioni multiple, per es. in scatola, 4 x 100 pezzi, 6.25 invece di 9.40 conf. da 4 33%

4.85

Fazzoletti Classic Linsoft, FSC® in conf. speciale, 56 x 10 pezzi

Saponi Nivea, Dettol o Le Petit Marseillais per es. Nivea Creme Soft in conf. di ricarica, 2 x 500 ml, 8.80 invece di 11.–, (100 ml = 0.88)

Fazzoletti o salviettine cosmetiche Kleenex, FSC® per es. Collection in scatola a cubo, 4 x 48 pezzi, 6.55 invece di 9.80

Saponi I am in conf. di ricarica o in dispenser, per es. sapone cremoso Milk & Honey in dispenser, 2 x 300 ml, 4.– invece di 5.–, (100 ml = 0.67)

Per pelli sensibili

Saponi liquidi pH balance in conf. di ricarica o in dispenser, per es. dispenser, 2 x 300 ml, 5.60 invece di 7.–, (100 ml = 0.93)

6.95

4.95

Brillantezza per la tua oasi di benessere

50%

Tutti i detersivi Total (confezioni multiple e speciali escluse), per es. 1 for all in conf. di ricarica, 2 litri, 7.98 invece di 15.95, (1 l = 3.99)

In diverse fragranze, da quelle floreali a quelle fresche

Tutti gli ammorbidenti Exelia per es. Florence, in conf. di ricarica, 1,5 litri, 3.57 invece di 5.95, (1 l = 2.38)

Tutto l'assortimento Handymatic Supreme (sale rigeneratore escluso), per es. All in 1 in polvere, 800 g, 4.98 invece di 9.95, (100 g = 0.62)

a partire da 2 pezzi
a partire da 2 pezzi
a partire da 2 pezzi

Decalcificante Durgol per es. decalcificante rapido, 2 x 1 litro, 9.70 invece di 13.90, (100 ml = 0.49)

Detergente Durgol per es. per il bagno, 2 x 600 ml, 9.90 invece di 13.–, (100 ml = 0.83)

a partire da 2 pezzi

Tutto l'assortimento per la pulizia dei pavimenti Twist per es. panni di ricambio Wet XL, 20 pezzi, 5.12 invece di 6.40, (1 pz. = 0.26)

Dettol per es. salviettine disinfettanti, 2 x 60 pezzi, 7.90 invece di 9.90

conf. da 2
Prodotti
conf. da 2
Salviettine detergenti multiuso cucina Dettol 2 x 60 pezzi
conf. da 2

Per chi ha buon fiuto

Tutto l'assortimento Exelcat e Dreamies per es. delizia in salsa Exelcat con pollo, anatra, pollame e tacchino, 24 x 85 g, 11.17 invece di 15.95, (100 g = 0.55)

Nivea

per bambini disponibili nei numeri 20/21–26/27

7.95 invece di 9.95

Minirose M-Classic, Fairtrade disponibili in diversi colori, mazzo da 20, lunghezza dello stelo 40 cm, il mazzo 20% 11.95 invece di 14.95

Carta igienica o salviettine umide, Soft in confezioni multiple o speciali, per es. Deluxe Sensitive, FSC®, 24 rotoli, 16.65 invece di 23.80

Prezzi imbattibili del weekend

Solo da questo giovedì a domenica

a partire da 2 pezzi

50%

Tutto l'assortimento L'Oréal Paris (esclusa la linea L'Oréal Professionnel Expert, le confezioni da viaggio e le confezioni multiple), offerta valida dal 6.11 al 9.11.2025

32%

5.50

invece di 8.10

Prosciutto crudo Emilia Romagna

5.40 invece di 9.–Pomodori pelati triturati Longobardi

6 x 400 g, (100 g = 0.23), offerta valida dal 6.11 al 9.11.2025 conf. da 6 40%

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