Sono molti in Svizzera gli anziani che soffrono di solitudine con conseguenze sulla salute psicofisica
Focus sulle cause della denatalità, tra attitudini maschili e responsabilità collettive
ATTUALITÀ Pagina 17
Alla Pinacoteca Züst, un secolo di accessori rivelano come i «piccoli nonnulla» indicano arte e identità
CULTURA Pagina 23
Òlympos, un villaggio che resiste
Con la «Nodada de la Befana», il Lago Maggiore conferma una tradizione di gelo e coraggio
TEMPO LIBERO Pagina 37
Una sfida per il commercio e per il territorio
Il fenomeno del turismo degli acquisti oltreconfine è una realtà consolidata per l’intera Svizzera, ma soprattutto per il Ticino. Una recente ricerca dell’Università di San Gallo (di cui riferiamo a pag. 8) ha fornito dati inequivocabili e, in alcuni casi, preoccupanti su questa tendenza in aumento, che riguarda soprattutto i consumatori della Svizzera italiana. Cosa significa tutto questo per il nostro territorio e per le aziende che vi operano? Vediamo alcune cifre.
Secondo lo studio, ben l’80,2% delle economie domestiche ticinesi acquista regolarmente generi alimentari oltreconfine, con una frequenza media di 16,3 volte all’anno. Se consideriamo il settore dell’abbigliamento, la quota di consumatori che si rivolgono al mercato estero raggiunge il 49%, con una spesa media di 234,7 franchi per ogni visita. Questi numeri ci dicono che, per molti ticinesi, attraversare il confine per fare shopping non è più un’eccezione, ma una routine consolidata.
Le motivazioni possono essere molteplici: dai prezzi più bassi, al cambio franco-euro, alla vicinanza geografica di comprensori come Como,
Varese e Milano, agli orari e giorni di apertura più estesi. Sorprende il fatto che il consumatore sopravvaluta in modo massiccio i vantaggi di prezzo all’estero. Tutto questo ha conseguenze dirette sul nostro territorio, sia in termini economici che sociali. Sotto la continua pressione di una concorrenza sempre più agguerrita, il commercio al dettaglio ticinese registra mancati introiti annui per 716 milioni di franchi, che corrispondono a quasi il doppio della cifra di affari annua di Migros Ticino. Lo studio dell’Università di San Gallo evidenzia che il settore alimentare è il più colpito dal turismo degli acquisti. In questo contesto, Migros Ticino si distingue per il suo impegno verso il territorio, i produttori locali e la sua popolazione. A differenza di molte altre realtà del settore, la nostra Cooperativa ha scelto di puntare sulla qualità del lavoro locale e sulla valorizzazione delle risorse interne. Un dato che ci rende particolarmente fieri è la composizione del nostro personale: ben il 90% dei collaboratori e delle collaboratrici di Migros Ticino risiede nel Canton Ticino o nel Moesano. Que-
sto non è solo un numero, ma una dichiarazione d’attaccamento al nostro territorio. A fronte di una media cantonale che vede il 40,7% di frontalieri attivi nel settore del commercio al dettaglio (dato del 2021), Migros Ticino si distingue per una politica che privilegia i residenti, offrendo loro opportunità di lavoro stabili e condizioni contrattuali solide. Non solo: il nostro impegno verso la formazione professionale è un altro pilastro strategico della cooperativa. Attualmente formiamo circa 70 apprendisti, tutti residenti, in una varietà di professioni che spaziano dal commercio al dettaglio alla logistica, fino alla meccanica e al fitness. Questi giovani rappresentano il futuro del nostro territorio e, grazie a Migros Ticino, hanno la possibilità di costruire una carriera solida e stimolante. L’attenzione di Migros per la formazione continua e l’appartenenza a una realtà nazionale apre la porta a possibilità professionali nel resto del Mondo Migros. Tuttavia, non possiamo ignorare l’impatto del turismo degli acquisti sul commercio locale. I dati dello studio mostrano che il fenomeno non
riguarda solo gli alimentari, ma anche settori come l’arredamento e lo sport. Questo significa che parecchi consumatori ticinesi stanno spostando una parte significativa della loro ricchezza oltreconfine, sottraendo risorse preziose alle aziende locali, per esempio all’agricoltura, poiché quello che non si vende in negozio, resterà invenduto anche per il fornitore locale. In un contesto sostanzialmente peggiorativo, che tocca tutta la filiera del commercio al dettaglio, una perdita di posti di lavoro sarà inevitabile. Come possiamo affrontare questa sfida? Noi abbiamo scelto di puntare sulla qualità, sulla sostenibilità e sulla trasparenza. Offriamo prodotti locali, garantiamo condizioni di lavoro etiche e investiamo nella formazione dei giovani. Inoltre, abbiamo abbassato i prezzi di più di 1000 prodotti del fabbisogno quotidiano. Ma è necessario un impegno collettivo: i consumatori devono essere consapevoli che ogni acquisto fatto oltreconfine ha un impatto diretto sul nostro territorio. Decidere di acquistare localmente non è solo una questione economica, ma anche un gesto di responsabilità nei confronti del Ticino.
Simona Dalla Valle Pagina 15
Simona
Dalla Valle
Mattia Keller
Per costruire un futuro verde
Fondo pionieristico ◆ Creare strade e edifici con il cemento ha un enorme impatto sul clima. Due giovani aziende stanno dimostrando che in futuro si potrà farlo anche in modo alternativo
Pierre Wuthrich
Il cemento è ovunque. Dalle strade agli edifici, dai ponti ai parchi giochi, quasi nessun altro materiale caratterizza il nostro mondo moderno quanto questo materiale da costruzione. Ma vi sono degli aspetti negativi: l’industria delle costruzioni è infatti responsabile del 37% delle emissioni globali di CO₂, create in gran parte dal cemento. Questo perché i forni devono essere riscaldati a oltre 1400 gradi per trasformare il calcare e l’argilla in cemento. Nel processo vengono rilasciate enormi quantità di gas serra.
È urgente ripensare al modo in cui costruiamo. Gnanli Landrou ha analizzato il problema e, con la sua startup Oxara, ha sviluppato un sostituto del cemento che rilascia fino al 90% in meno di CO₂.
«È una polvere ricavata da materiale di scavo e di demolizione, che viene mescolata con un acceleratore in modo che il cemento faccia presa più velocemente». La qualità del materiale di scarto scelto gioca un ruolo importante nel risultato finale, ma la vera chiave sta in questo misterioso acceleratore. Landrou non vuole svelare troppo al riguardo. «Posso solo dire che è composto da sali minerali naturali». Lo sviluppo ha
Da 0 a 100
Nell’ambito del suo impegno sociale, la Migros utilizza il Fondo pionieristico per sostenere le start-up svizzere che garantiscono la qualità di vita in Svizzera con progetti innovativi, per esempio nei settori del clima, della tecnologia o delle comunità.
A llo stesso tempo il Fondo pionieristico Migros ha lanciato anche l’iniziativa «Von 0 auf 100» (in italiano: da 0 a 100) per sostenere le persone e far decollare le loro idee imprenditoriali. Attualmente l’attenzione è rivolta alla costruzione, agli alloggi e alle abitazioni.
Ulteriori informazioni www.von0auf100.org
Gnanli Landrou Ingegnere e imprenditore
richiesto quattro anni di ricerca e molte notti insonni durante la sua tesi di dottorato al Politecnico di Zurigo, spiega lo scienziato di origine togolese.
Oggi questo cemento ecologico è disponibile in quattro varianti che possono essere utilizzate a seconda delle esigenze. «A seconda del fabbisogno, viene utilizzato per i pavimenti, le volte, le pareti o i mattoni», spiega Gnanli Landrou. Kibag, uno dei principali produttori svizzeri di materiali da costruzione, e l’imprenditore Samih Sawiris (che ha realizzato, tra l’altro, il progetto turistico di Andermatt) si sono già dichiarati interessati. Anche il Governo federale ha già effettuato un ordine: farà costruire la sua ambasciata in Camerun con il sostituto del cemento Oxara.
«Nei prossimi dieci anni vogliamo raggiungere una quota di mercato del 3-4%. Può sembrare una cifra modesta, ma se si pensa che la Svizzera produce 4,5 milioni di tonnellate di cemento all’anno solo per il proprio fabbisogno, si tratta di una quantità considerevole che potrebbe essere prodotta in modo più sostenibile».
Per raggiungere questo obiettivo, la start-up zurighese può ora contare sul sostegno del Fondo pionieristico Migros (vedi box). «Questo è un passo decisivo per noi: ci permette di passare da una start-up a un’azienda che vende effettivamente prodotti», afferma Landrou. «Grazie alla Migros, abbiamo potuto assumere collaboratori, avviare la produzione in serie e commercializzare i nostri materiali alternativi».
Soffitti con l’argilla
Anche la Rematter, un’altra start-up specializzata nello sviluppo di componenti moderne, persegue l’obiettivo di rendere l’industria delle costruzioni più sostenibile.
L’azienda zurighese, sostenuta anch’essa dal Fondo pionieristico Migros, produce elementi per soffitti in
argilla e legno. Rispetto al cemento armato, la produzione di questi elementi produce circa l’80% in meno di emissioni di CO₂ e il materiale può essere completamente riciclato. «Gli elementi sono adatti alla costruzione di case, uffici o scuole, visto che hanno le stesse proprietà del cemento», spiega Götz Hilber, CEO e cofondatore della Rematter.
L’invenzione della Rematter è già
Tutti insieme, qui – anche in Ticino
Impegno Migros ◆ Lo scorso mese di novembre a Zurigo sono stati assegnati gli ici-Awards 2025
«ici. insieme qui.», con gli ici-Awards 2025, ha premiato per la prima volta progetti e organizzazioni che si impegnano per la coesione sociale e una migliore convivenza in Svizzera. Dal 2022 «ici. insieme qui.» sostiene associazioni e organizzazioni mediante finanziamenti e la consulenza di esperti.
Attraverso i nuovi premi ici-Awards (conferiti lo scorso 14 novembre al Papersaal di Zurigo) si intende onorare in particolar modo quelle iniziative che contribuiscono in modo significativo ai seguenti aspetti: favorire l’incontro tra persone con esperienze culturali e linguistiche diverse; considerare la diversità culturale in Svizzera un punto di forza e un potenziale; sensibilizzare le persone contro gli atteggiamenti discriminatori e i pregiudizi; impegnarsi
affinché tutte le persone possano partecipare in modo paritario alla vita sociale, economica e culturale, indipendentemente dal background culturale e linguistico. Alla selezione hanno partecipato tutti i 198 progetti e organizzazioni finanziati da «ici. insieme qui.» nei cicli di promozione I e II e nell’ambito dei Changemaker Grants. I progetti e le organizzazioni partecipanti sono stati nominati dalla giuria di «ici. insieme qui.» in una delle seguenti otto categorie: progetti comunitari; alto livello di plurilinguismo; valorizzazione della popolazione locale; valorizzazione di famiglie e bambini; valorizzazione di donne e ragazze; prospettive intersezionali; valorizzazione di rifugiati; approcci particolarmente innovativi, creativi e artistici.
stata utilizzata con successo nella costruzione di edifici. Per esempio, nello stabilimento per uffici Hortus di Allschwil (BL). Il progetto è stato sviluppato dai noti architetti basilesi Herzog & de Meuron insieme agli ingegneri ZPF e all’appaltatore generale Senn. La Rematter sta attualmente utilizzando questa esperienza unica a livello mondiale per automatizzare i propri processi produttivi e consentire una produzione su larga scala. Questo perché ora gli ordini hanno cominciato a provenire non solo dalla Svizzera, ma anche dall’estero.
«Siamo stati letteralmente sommersi dalla domanda in occasione di una fiera a Monaco», racconta Götz Hilber. Per lui ciò significa realizzare un sogno: combinare la protezione dell’ambiente con l’efficienza economica. «Continuiamo a sentire che l’ecologia deve per forza essere associata alle restrizioni o ai sacrifici. Ma non è detto che debba proprio essere così. Si può ancora costruire bene e in modo estetico, ma con metodologie diverse», spiega il falegname.
Per ognuna delle otto categorie sono stati assegnati due premi. Fra le associazioni premiate ve ne sono anche 3 ticinesi Award Alto livello di plurilinguismo 1. posto CHF 8000 Cooperativa Baobab, Bellinzona Award «valorizzazione di donne e ragazze» 1. posto CHF 8000 Associazione Il Tragitto, Lugano Award «valorizzazione della popolazione locale» 1. posto CHF 8000 Associazione Amélie, Lugano-Pregassona
Lo stabilimento per uffici Hortus di Allschwil (BL) (hortus.ch).
Un momento della cerimonia degli ici-Awards 2025 al Papiersaal di Zurigo lo scorso mese di novembre. (Pascal Pfohl)
Dentro il laboratorio chimico di Oxara (Oxara).
SOCIETÀ
Anziani che si sentono soli
Secondo uno studio di Pro Senectute il 25% degli over 65 in Svizzera soffre di solitudine con conseguenze sulla salute, ne parliamo con la psicologa Francesca Ravera
Turismo degli acquisti sotto la lente
Uno studio dell’Università di San Gallo fotografa il fenomeno in Svizzera sia per i negozi fisici sia per il commercio online, il Ticino è il cantone più colpito
Edifici industriali, l’occhio di architetti e ingegneri
Territorio ◆ Il settimo Seminario dedicato alla promozione della cultura della costruzione e dell’ingegneria quale disciplina creativa si è chinato sul problema della rivitalizzazione del patrimonio industriale
Aree dismesse, edifici recuperati e valorizzati con nuove funzionalità, costruzioni che testimoniano il trascorso industriale del nostro cantone ancora in cerca di una nuova destinazione. Sono molteplici le situazioni di questo genere nel panorama architettonico urbano ticinese che inducono a una riflessione sulle strategie per riqualificarle. Sul tema si sono chinate di recente la Sezione Ticino della Società svizzera degli ingegneri e degli architetti (Sia sezione Ticino) e la Società per l’arte dell’ingegneria in occasione del settimo Seminario dedicato alla promozione della cultura della costruzione (Baukultur) e dell’ingegneria quale disciplina creativa. È infatti necessario uscire dalla ristretta visione di questa professione come operato meramente tecnico per evidenziarne l’apporto nella qualità estetica dei progetti edificatori, siano essi nuove costruzioni o trasformazioni di opere esistenti. In tutti i casi si tratta di interventi complessi che, tenendo in considerazione anche gli aspetti legati alla sostenibilità ambientale ed economica, richiedono un impegno trasversale. In team lavora pure il comitato organizzativo dei seminari, composto da ingegneri e architetti e di cui fa parte Laura Ceriolo, architetta e ricercatrice multidisciplinare attiva a livello europeo, che pone l’accento sull’importanza di questo approccio con esempi concreti presentati da diversi professionisti durante il Seminario.
L’edizione di quest’anno, intitolata Rivitalizzazione del patrimonio industriale per nuovi scenari urbani fa seguito alla riflessione dello scorso anno Riduci, Riusa, Ricicla, già focalizzata sul patrimonio architettonico esistente, ma incentrata sulla sostenibilità. Punto di partenza per il recente approfondimento la pubblicazione Tracce e storie del Ticino industriale di Valeria Frei, storica dell’arte e dell’architettura. Una prima considerazione riguarda l’ubicazione di questi edifici, molti dei quali costruiti ai margini delle città, ma che con l’espansione di queste ultime si trovano oggi nel contesto urbano. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti, da quelli di maggiori proporzioni come le Officine FFS di Bellinzona, ai macelli di Locarno e Lugano. Le prime fanno parte di un patrimonio architettonico numeroso e variato, quello delle FFS appunto, che comprende ad esempio stazioni, centrali di controllo, binari e centrali elettriche. Su passato e futuro delle infrastrutture ferroviarie, che costituiscono una presenza capillare in tutto il Paese, si sono soffermati durante il Seminario Gilbert Moro e Barbara Berger. Per il Ticino, asse di collegamento fra nord e sud, il tema delle vie di comunicazione e della ferrovia è particolarmen-
te importante, come ha rilevato Aurelio Muttoni, membro del comitato della Società per l’arte dell’ingegneria, associazione che da tre decenni ha fra i suoi obiettivi quello di «incrementare la consapevolezza della componente culturale dell’ingegneria civile».
In Svizzera ci sono esempi virtuosi che mostrano come sia possibile sfruttare il potenziale di strutture esistenti per realizzare spazi con nuove finalità come il Toni-Areal o il Gundeldinger Feld
«Nella realizzazione di tutte queste opere – osserva Laura Ceriolo – l’ingegneria ha sempre dialogato con altre discipline. Strade, ponti, gallerie, impianti energetici sono infrastrutture quotidiane spesso date per scontate eppure essenziali alla vita collettiva e protagoniste dei precedenti seminari, organizzati con regolarità dal 2016. Il tema non riguarda solo il Ticino: in Italia e nel resto della Svizzera esistono aree dismesse anche più vaste accanto a esempi virtuosi che mostrano come sia possibile sfruttare il potenziale di strutture esistenti per realizzare spazi con nuove finalità». È quindi a questi modelli che guardano i professionisti per stimolare la riflessione sul patrimonio esistente, frutto di visioni ingegneristiche all’avanguardia al tempo della loro costruzione risa-
lente in gran parte al secolo scorso e in alcuni casi a quello precedente. Fra gli esempi citati da Giotto Messi nel suo intervento sulle «Realizzazioni passate e recenti» troviamo il Toni-Areal a Zurigo, trasformato da caseificio a centro educativo e culturale e la ex fabbrica di macchine Sulzer-Burckhardt a Basilea, oggi luogo di incontro sociale e culturale conosciuto con il nome di Gundeldinger Feld. Non tutti i progetti di recupero vanno però a buon fine, come dimostra il caso presentato dallo studio Camponovo Baumgartner. All’Aebi-Areal di Burgdorf nel canton Berna la grande sala macchine è infatti stata sacrificata e demolita nel 2017. La perdita del patrimonio industriale è quindi un rischio concreto.
Laura Ceriolo ammette che la rivitalizzazione del patrimonio industriale è un’operazione complessa che richiede molto impegno e un approccio multidisciplinare sempre più partecipativo. «Da un lato vi è l’aspetto legato alla trasformazione della struttura e dall’altro quello del suo futuro utilizzo», precisa al riguardo l’esperta. «È infatti necessario progettare, oltre agli spazi, i contenuti attraverso una visione che tenga in considerazione il contesto sociale odierno. Recuperare non è necessariamente la scelta meno onerosa, ma il valore culturale e territoriale giustificano la scelta».
Per quanto riguarda il Ticino la curatrice del seminario ricorda il grande progetto in corso legato alle Offici-
ne FFS di Bellinzona e, quali esempi di recupero riuscito, il centro culturale La Filanda a Mendrisio e le Cave di Arzo. La copertina del volume che racchiude gli atti del Seminario (acquistabile presso Sia sezione Ticino) è invece dedicata all’ex cementificio situato nel Parco delle Gole della Breggia, sempre nel Mendrisiotto. Laura Ceriolo: «Si tratta di un edificio simbolico. Benché non abbia ancora trovato un riuso interno, gli spazi verdi esterni sono ben frequentati e la struttura è riconosciuta come parte significativa del paesaggio culturale». Il Seminario ha dato spazio anche all’aspetto umano legato agli edifici industriali dismessi con la lettura di brani tratti dal volume Quaderno della Monteforno. Un racconto di fabbrica nel quale Sara Rossi Guidicelli racconta la storia dall’acciaieria di Bodio anche attraverso le testimonianze di operai, dirigenti, politici e abitanti della regione. Se finora i seminari organizzati da Sia e Società per l’arte dell’ingegneria avevano avuto un pubblico misto di professionisti, da quest’anno, grazie all’incontro organizzato alla SUPSI di Mendrisio presso il Dipartimento ambiente costruzioni e design, sono stati coinvolti anche gli studenti. «Rappresentano il nostro futuro – chiosa Laura Ceriolo – per cui la loro partecipazione numerosa e attiva offre nuova energia». Anna Karla De Almeida Milani, moderatrice della discussione generale, ha d’altronde evidenziato come in realtà ci si debba interrogare anche su
quanto viene costruito oggi, approfondendo da un punto di vista biopolitico il rapporto fra l’eredità materiale dell’epoca industriale e i nuovi distretti dell’innovazione, con le rispettive logiche di potere e di emancipazione. Un approccio più sociologico che dimostra l’importanza e la vastità del tema legato agli edifici industriali. Architetti e ingegneri con questi seminari, oltre a valorizzare l’operato ingegneristico, propongono una riflessione critica sulle due discipline che – conclude Laura Ceriolo – «deve promuovere una visione integrata delle rispettive competenze e favorire la creazione di reti di scambio. Con questo spirito e incentivando il contributo delle donne, desideriamo stimolare la promozione della cultura della costruzione offrendo strumenti di conoscenza concreti del territorio ticinese. Dallo scorso anno Sia sezione Ticino è co-presieduta dalle architette Silvia Barrera ed Elena Fontana, una scelta che assicura nuovo slancio in questa direzione».
Per quanto riguarda nello specifico le aree industriali dismesse, esse offrono secondo i professionisti della costruzione nuove sfide e opportunità. Architettura e ingegneria, unitamente ad altre discipline, possono contribuire a preservare il loro valore storico trasformandole in risorse sostenibili per il futuro.
Informazioni
https://www.ti.sia.ch/node/820
In Ticino uno degli esempi di recupero riuscito è il centro culturale La Filanda a Mendrisio.
Il gusto del Ticino in ogni fetta: la tradizione artigianale dei panettoni e pandori Buletti
Attualità ◆ Tra lievitazioni naturali, ingredienti genuini e passione autentica: così i fratelli Buletti portano sulle tavole un Natale davvero ticinese
Nicola Mastaglio
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A Piotta, nel cuore della Leventina, la storia di Bruno e Franco Buletti racconta cosa significhi portare avanti l’arte dei lievitati con dedizione assoluta. Da oltre trent’anni i due fratelli guidano un’attività artigianale che rimane profondamente legata al territorio ticinese: alle sue materie prime, ai ritmi naturali della lievitazione e a un modo di lavorare che mette al centro qualità, passione e rispetto della tradizione. Il laboratorio nasce dal rilevamento di una piccola realtà artigianale, che negli anni è cresciuta senza perdere la propria identità. «La nostra azienda vanta oltre trent’anni di attività», spiegano. «Siamo partiti da una bottega già esistente e, con costanza e impegno, abbiamo ampliato la produzione preservando l’artigianalità che ci contraddistingue».
La definizione di «azienda familiare» deriva dal fatto che a guidarla sono due fratelli, anche se non vi è un nucleo allargato: sono loro due a rappresentare cuore, competenza e anima della
I panettoni e i pandori dei Buletti incarnano valori semplici ma solidi: artigianalità, generosità negli ingredienti e profondo rispetto per la tradizione.
La regione del Gottardo è parte integrante della loro identità produttiva. «La maestosità del Gottardo ci ricorda ogni giorno quanto sia importante scegliere materie prime il più possibile locali e genuine», raccontano. Il burro d’alpeggio, proveniente dagli alpeggi della zona, conferisce ai loro lievitati un aroma unico, mentre il lievito madre, rinfrescato quotidianamente, assicura struttura, fragranza e una naturale digeribilità.
Per i loro prodotti stagionali vengono utilizzate farine di forza specifiche, perfette per impasti ricchi di burro.
La lavorazione artigianale richiede controllo costante: ogni impasto reagisce in modo diverso e serve sensibilità per gestirlo nel modo migliore. «Il tempo di lievitazione è imprescindibile», spiegano. «Non si può forzare la pasta: è l’impasto a dettare le regole, e il pasticcere deve rispettarle. Mai il contrario».
Un approccio molto diverso da quello industriale, dove si tende a usare farine già preparate per velocizzare i processi e gli aromi. «Le farine pronte permettono un’esecuzione più rapida e lineare», dicono, «ma non appartengono alla nostra filosofia. I nostri prodotti hanno bisogno dei loro tempi».
La gamma comprende anche una versione senza lattosio, realizzata con burro e ingredienti dedicati garantendo processi separati e sicurezza totale per gli intolleranti.
Una variante senza glutine, invece, al momento non è possibile: un unico laboratorio non permette di evitare del tutto le contaminazioni.
La sperimentazione, però, non si ferma: i Buletti provano ogni anno nuove combinazioni, anche su richiesta dei clienti. Particolare e ricercata, ad esempio, la versione Gottardone con mirtilli e cioccolato, resa possibile grazie alla loro produzione di cioccolato artigianale bean to bar
Per apprezzare davvero un panettone o un pandoro artigianale, basta un gesto semplice: lasciarlo a temperatura ambiente per un’ora prima del consumo, così che il burro d’alpeggio possa sprigionare tutti i suoi aromi. Il prodotto dà il meglio di sé anche dopo qualche giorno dalla produzione, quando i sapori si armonizzano naturalmente. Non esiste un momento preciso per gustarlo: colazione, merenda, dopo cena o durante un incontro con amici.
Per chi cerca un’abbinamento leggero e sano, una tisana nostrana alle erbe alpine ticinesi si sposa perfettamente con la delicatezza del lievitato, senza appesantire. Durante le feste, ogni occasione è buona per condividere una fetta di tradizione.
Il periodo natalizio è intenso per gli artigiani ticinesi, ed è stato un privilegio approfondire la storia dei fratelli Buletti proprio in un momento così vivo del loro lavoro.
Oggi più che mai cresce il desiderio di dare valore ai prodotti locali: scegliere un panettone o un pandoro artigianale significa sostenere una realtà del territorio, riconoscere il tempo, l’amore e la passione dietro a ogni impasto. Se volete fare un regalo speciale, autentico e davvero sentito, puntate sui prodotti regionali: portateli a una festa, a un aperitivo, oppure donateli a chi amate. Far conoscere un’eccellenza ticinese è già un regalo.
E in ogni morso ricordano che il Ticino ha un sapore unico. Basta una fetta per accorgersene.
Come coach nutrizionale, credo fortemente nel valore dei prodotti locali e artigianali: scegliere un panettone o un pandoro preparato con materie prime genuine, tempi naturali e lavorazioni rispettose non significa solo premiare la qualità, ma anche il benessere. Un dolce artigianale, gustato con consapevolezza, può diventare parte di un’alimentazione equilibrata, soprattutto durante le festività. Per chi desidera
il
co del Ticino, i panettoni e i pandori dei fratelli Buletti sono disponibili in tutte le filiali Migros ticinesi, esposti in modo ben visibile. Buone feste a tutti, con gusto, passione e prodotti locali!
scoprire
sapore autenti-
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Gottardone Buletti 500 g Fr. 24.–
Panettone senza lattosio Buletti
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Panettone ai marroni Buletti
500 g Fr. 23.–
Pandoro al burro Buletti 500 g Fr. 21.50
Flavia Leuenberger
Simbolo di eleganza e tradizione
Attualità ◆ La Stella di Natale con la sua bellezza intramontabile trasforma le Feste in un momento ancora più speciale
La Stella di Natale, conosciuta an che come poinsettia o euphorbia pul cherrima, è una pianta ornamenta le originaria del Messico considerata da sempre simbolo per antonomasia delle festività di fine anno. Anche se esistono piante con bratee di colore giallo, rosa o bianco, quella che va per la maggiore è classica la Stella di Natale rosso sgargiante, che trovate ora in diverse dimensioni nei reparti fiori di Migros Ticino.
È una pianta che porta splendore nelle nostre case
Per poter godere a lungo della sua straordinaria bellezza, è bene posizionarla in un luogo della casa illuminato da luce naturale, privo di correnti d’aria. La temperatura dell’ambiente ideale dovrebbe essere di 18-20 gradi, mentre l’annaffiatura deve essere parsimoniosa per evitare che l’acqua ristagni facendo marcire le radici, vale a dire non più di una volta alla settimana.
La Stella di Natale è una pianta perenne, pertanto si mantiene bene per molto tempo anche dopo le Feste, a condizione di rispettare i suggerimenti dati in precedenza fino alla primavera. A maggio la pianta può essere trasferita all’aperto fino a settembre, quando riportandola in casa si preparerà di nuovo alla fioritura invernale.
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Quando la solitudine fa male
Anziani ◆ Secondo uno studio di Pro Senectute il 25% della popolazione anziana si sente sola, la percentuale cresce tra gli over 85
Barbara Manzoni
Le festività portano gioia ma a volte anche una buona dose di malinconia, soprattutto per chi si prepara a viverle da solo. Ma essere soli non è la stessa cosa di sentirsi soli e sentirsi soli può diventare una condizione di sofferenza, che mina la nostra salute psicofisica. In Svizzera la solitudine colpisce in particolar modo la fascia di popolazione anziana. Ad affermarlo è uno studio di Pro Senectute che evidenzia come ne soffra il 25% degli over 65 e la percentuale cresce al 37% se si prende in considerazione la fascia di età superiore agli 85 anni. Non è solo l’età ad avere un influsso, contano anche lo stato civile, il genere (sono più le donne ad esserne colpite) e le difficoltà finanziarie. Sul tema abbiamo intervistato Francesca Ravera, psicologa e responsabile del Servizio promozione qualità di vita di Pro Senectute Ticino e Moesano.
Francesca Ravera, quando la solitudine diventa un problema e quanto colpisce la fascia di popolazione anziana nel nostro Paese?
La solitudine non è solo essere soli ma è sentirsi soli. È una situazione che non si cerca, come invece può capitare a persone che vivono sole con grande serenità, ed è uno stato di sofferenza strettamente collegato all’isolamento sociale e contraddistinto da mancanza di iniziativa, da sentimenti di tristezza e nostalgia. È un’esperienza soggettiva, fatta di mancanza di contatto, di ascolto, di reciprocità. Tant’è che una domanda che poniamo per comprendere se una persona si sente sola è: «In una situazione di difficoltà ha qualcuno da chiamare?». Se la risposta è negativa per noi è un indicatore chiaro.
In Svizzera un anziano su quattro dichiara di sentirsi solo, sono cifre che si basano su dichiarazioni spontanee. Dal mio osservatorio dunque potrebbe essere anche una stima al ribasso.
Quali sono le caratteristiche della solitudine nell’età anziana? E quali sono le sue conseguenze?
Nella persona anziana la solitudine ha un impatto molto importante sulla salute e sulla qualità di vita. Al riguardo ci sono molte ricerche che evidenziano come chi soffre di solitudine abbia un maggiore rischio di depressione, di ansia, un declino cognitivo più rapido, un peggioramento della qualità del sonno. Sentirsi soli porta la persona ad avere un atteggiamento di negligenza verso sé dal punto di vista psicofisico, quindi un «lasciarsi andare» sia nel corpo sia nella mente. La solitudine, inoltre, riduce la fiducia in se stessi e negli altri perché con meno partecipazione sociale è come se si perdesse di esperienza. La solitudine, infine, porta alla perdita del senso di progettualità, non si riesce più a immaginarsi in un futuro. Come se la solitudine mettesse fra parentesi la vita di una persona, la sospendesse, lasciandola senza stimoli esterni e interni.
Quanto influisce sul sentimento di solitudine non essere più autonomi?
Meno la persona è autodeterminata, meno si sente protagonista della sua vita, più la sensazione di solitudine e di non riuscire a fare delle scelte per sé aumenta. Si può sviluppare un sentimento di inutilità nei confronti dell’altro o di dipendenza, che può portare la persona a ritirarsi piano piano e a non chiedere più niente. È però vero che una buona rete di aiuti riesce a intercettare la situazione di solitudine prima che questa diventi veramente problematica e crei dei danni irreversibili e un ulteriore peggioramento della salute.
Vedovi, single, divorziati sono più esposti alla solitudine?
Le contingenze della vita hanno ovviamente un influsso, penso ad esempio alla vedovanza. Ma sono importanti soprattutto gli aspetti legati a come le persone vivono l’anzianità. È questo il fattore che veramente discrimina fra le persone che riescono a vivere una socialità soddisfacente e quelle che subiscono la solitudine. Ad esempio chi ha dei pregiudizi sull’essere anziano (e a volte sono gli anziani stessi!) è come se interiorizzasse delle idee negative sull’invecchiamento: non valgo più come prima, non sono più capace, non posso permettermi di fare questa scelta alla mia età, ecc. Queste sono convinzioni che ostacolano la socialità. Mentre frequentare dei corsi (dallo sport all’alfabetizzazione digitale) perché ci si sente ancora capaci, ancora competenti, permette alla persona di costruire nuovi legami, nuove amicizie, avere momenti in cui non si è soli. Ognuno poi è libero di scegliere il livello e l’intensità della propria socialità, ma
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«Ai Gelsi», V ia dei Gelsi 33, Tel. 091 630 59 30
Film natalizio e merenda
10 dicembre, 14.00-16.00
Pranzo di Natale e canti
18 dicembre, 11.00-15.30
Iscrizione entro 12.12
Scambio di auguri e fondue
22 dicembre, 10.30-15.30
Iscrizione entro 18.12
Costo: CHF 10.–
MASSAGNO – Centro «La Sosta», Via Guisan 21, Tel. 091 797 43 89
Redazione Carlo Silini (redattore responsabile) Simona Sala Barbara Manzoni
Manuela Mazzi Romina Borla Ivan Leoni
certamente stare chiusi in casa senza nessuno aumenta tantissimo non solo il sentimento di solitudine ma anche la sensazione di non poter far niente per alleviare questa sofferenza. E a volte in realtà basta poco, come uscire la mattina e andare a bere il caffè al centro diurno.
Dal suo punto di vista quali sono le buone pratiche o gli aiuti più efficaci per combattere la solitudine delle persone anziane?
Finora si è rivelato efficace avere la capacità e la sensibilità di percepire o di intercettare una situazione di solitudine dietro ad altre domande o richieste che non riguardano esplicitamente la solitudine stessa. Ad esempio l’assistente sociale che al momento della richiesta di un contributo per comprare l’apparecchio acustico parlando con la persona anziana si rende conto che è molto sola e che vive la solitudine come uno stato di angoscia. Da quel piccolo «aggancio»
Tombola di Natale
19 dicembre, 14.30-16.30
Su iscrizione
ASCONA – Centro «alcentrodì» Via Ferrera 24, Tel. 091 792 10 08
Corso di origami natalizi
16 dicembre, 14.30-16.00
Iscrizione entro 12.12
Tombola natalizia e panettonata
19 dicembre, 14.30-16.00
Pranzo natalizio al Ristorante Golf Buca19
23 dicembre, 12.00-16.00
Iscrizione entro 16.12 – Menu fisso: CHF 50.– (bevande escluse) Panettonata e canti 30 dicembre, 14.30-16.30
SOLDUNO – Centro «Insema»
Via Galli 50 B, Tel. 091 751 26 29
Tombola natalizia e panettonata
17 dicembre, 14.00–16.00
Pranzo di Natale
23 dicembre, 12.00-14.00 – Fino a esaurimento posti – Costo: CHF 14.–Aperitivo e pizzata di fine anno 31 dicembre, 10.30–11.30 – Iscrizione necessaria – Costo: CHF 14.–TENERO – Centro «Al Vigneto», Via San Gottardo 29, Tel. 091 745 84 82
è come se si ricavasse un’altra storia. Oppure l’operatore che consegna i pasti a domicilio che coglie una frase o un momento di tristezza. Partiamo dal piccolo bisogno dell’apparecchio acustico o dal breve cenno fino ad arrivare fare un intervento a 360° per promuovere la qualità di vita della persona. Ovviamente sono più a rischio le persone più fragili che per tanti motivi non chiedono direttamente aiuto e non escono dal proprio stato di isolamento. In questi casi è la rete sociale che deve essere capace di leggere gli indicatori, come la trasandatezza di sé e della casa o l’isolamento. L’ideale è riuscire a far ritrovare nella socialità una motivazione di benessere, nel rispetto chiaramente della scelta personale di ognuno.
Ci sono modi per prevenire la solitudine?
In effetti ci sono dei momenti critici delicatissimi che andrebbero curati sia individualmente sia come società: sono i momenti di passaggio, come può essere il pensionamento. Sono queste le circostanze in cui piantare dei semi che possono far crescere delle piante di positività, di legami sociali, di interessi. Bisognerebbe che alcune fasi di transizione fossero ben curate, occupandosi di sé in modo da non avere quella convinzione che «ormai tutto è perso». E questo ha a che fare anche con il cercare di contrastare, come dicevo prima, tutti quei pregiudizi e quelle idee negative sull’invecchiamento, che spesso è proprio la persona anziana ad avere su di sé. È necessario continuare a sensibilizzare la società sul fatto che la persona anziana non solo ha tutti i diritti ma ha anche tutte le capacità e le possibilità per reinventarsi. Non si pensa mai, ad esempio, che un anziano possa rifarsi una vita, possa innamorarsi. Eppure poche settimane fa con Pro Senectute abbiamo organizzato una sorta di Speed date, in cui ci si iscriveva proprio per conoscere persone nuove. È stato molto bello raccogliere la testimonianza di donne e uomini soli, ognuno con la sua storia, che sentono questo slancio, che ammettono come la solitudine possa essere pesante, riconoscendo che sarebbe bello trovare una persona, un compagno di vita o una compagna di vita. È chiaro che se si coltiva il pregiudizio che a una certa età l’aspetto affettivo e relazionale è finito, si coltiva anche l’impossibilità di creare nuove relazioni. Se invece crediamo che le persone continuino ad aver bisogno della relazione e a godere delle relazioni, che l’uomo è un animale sociale da quando nasce fino a quando muore allora si troveranno degli strumenti per proporre eventi e partecipare a eventi senza aver paura di far troppo o far male.
Pubbliredazionale
Pranzo di Natale al Caseificio del Gottardo 12 dicembre, partenza ore 10.30 – Iscrizione entro 5.12
Pranzo a carico del partecipante
Biscotti di Natale 23 dicembre, dalle 14.30 – Iscrizione entro 19.12 – Costo: CHF 10.–Brunch di Natale 24 dicembre, 10.30-13.30 Su iscrizione – Costo: CHF 5.–BELLINZONA – Centro «Turrita»
Via S. Gottardo 99, Tel. 091 829 08 21
Caffè letterario: «Le più belle natività nella storia dell’arte» 18 dicembre, 14.30-16.00
Iscrizione entro 20.11
Panettonata del Centro diurno 23 dicembre, 14.30-16.00 Iscrizione consigliata
MAGGIA – Centro Parco Maggia Via La Lüvèira 6, Tel. 091 760 91 63
Pranzo di Natale in musica 19 dicembre, 11.30-16.00
Festa d’autunno, castagnata e brindisi per il presepe del gruppo lana 16 dicembre, 14.00-16.00
Pranzo di Natale con musica e riffa 17 dicembre, 11.30-16.00 su iscrizione
Costo: CHF 25.– (riffa esclusa) FAIDO – Centro «Àncora» Via Balcengo 43, Tel. 091 866 05 72 Concerto di Natale del gruppo Vent Negru 10 dicembre, 14.30-15.30
Senza iscrizione – Offerta libera Tombola di San Nicolao (con pranzo su iscrizione) 12 dicembre, 14.00-15.30 Menu pranzo: CHF 10.–«Àncora Natale» – pranzo e musica con Moreno 19 dicembre, 11.45-15.30 Iscrizione entro 15.12 (offerta libera)
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Shopping oltreconfine: il Ticino guida la classifica
Territorio ◆ Uno studio dell’Università di San Gallo fotografa il fenomeno del turismo degli acquisti nel nostro Paese
Il turismo degli acquisti è un fenomeno importante in Svizzera, ma da noi, nella regione italofona, assume dimensioni strutturali e ben più marcate rispetto al resto del Paese. Lo conferma lo studio Einkaufstourismus Italienischsprachige Schweiz 2025 (Turismo degli acquisti nella Svizzera di lingua italiana 2025), realizzato da Thomas Rudolph e Tim Florian Gerlach dell’Institut für Handelsmanagement dell’Università di San Gallo (IRM-HSG), che fotografa abitudini, impatti economici e tendenze di un comportamento ormai radicato. Il campione analizzato per la ricerca comprende 4224 consumatori elvetici, di cui 348 provenienti dalla Svizzera italiana, selezionati tra chi acquista almeno occasionalmente oltreconfine in cinque distinti settori: alimentari, drogheria, abbigliamento, articoli sportivi e arredamento. Nel Ticino, il profilo è chiaro: per il 52,3% sono uomini, il 47,1% donne.
Un fenomeno di massa
Con circa 170’000 economie domestiche, il Ticino registra tassi di penetrazione della spesa in Italia impressionanti: l’80,2% delle famiglie compra alimentari oltreconfine, il 46,8% prodotti nell’ambito della drogheria, il 49% nell’abbigliamento, il 24,5% negli articoli sportivi e il 27% nell’arredamento. Anche la frequenza della spesa nella vicina penisola è significativa: si calcolano 16,3 viaggi all’anno per alimentari e drogheria, 3 o 4 per comprare vestiti o articoli sportivi, quasi 3 per l’arredamento. Insomma, il carrello della spesa ticinese varca regolarmente la frontiera.
Per il Ticino, il prezzo di questa diffusissima abitudine è salato, pari a 716 milioni di franchi di mancati introiti annui per il commercio ticinese, di cui 620,3 milioni nei negozi fisici e il re-
sto online. Il settore alimentare è il più colpito (329,5 milioni), seguito dall’arredamento (136,3 milioni) e dall’abbigliamento (104,2 milioni). Il valore medio per acquisto è di 140 franchi per alimentari, oltre 230 per abbigliamento, quasi 800 per arredamento.
Non solo carrelli: cresce l’online
Il turismo degli acquisti non si ferma ai negozi sul territorio oltreconfine. Anche il digitale avanza: dal 12% delle famiglie per alimentari al 36,8% per l’abbigliamento. Le piattaforme più usate? Amazon domina con il 29,4%, seguita da Temu, Zalando, Decathlon e Shein. La spesa media online varia dai 51 franchi per drogheria ai 329 per arredamento.
Le mete preferite sono Como (26,4%), Milano (10,1%), Varese (8,6%). Domodossola e Verbania seguono a distanza. Tra i retailer spiccano Decathlon, Bennet, Tigros, Mondo Convenienza, ma anche Ikea, Carrefour, Lidl, Esselunga, Primark e Zara. Gli abitanti della Svizzera italiana che acquistano fisicamente oltreconfine non solo sono percentualmente più numerosi dei connazionali (86% contro 70%), ma spendono anche in modo significativo: 321 franchi per acquisto contro 218. E coprono con il turismo dell’acquisto il 41% del fabbisogno familiare, contro il 33% delle altre regioni.
Il fenomeno sembra destinato a proseguire, osservano gli studiosi dell’Università di San Gallo. Prezzi più bassi e vicinanza geografica all’Italia sono fattori attrattivi difficili da neutralizzare. Per il commercio locale, la sfida è chiara, e Migros l’ha intrapresa con tenacia e creatività: fidelizzare, differenziare l’offerta, puntare su servizi aggiuntivi. Perché il carrello che varca la frontiera non è solo una
scelta di risparmio: è un’abitudine consolidata che ridisegna i confini del retail ticinese.
Lo studio della SUPSI per DISTI
Lo studio dell’Università di San Gallo conferma, da un’angolatura diversa, i contenuti di una recente ricerca della SUPSI per DISTI, l’Associazione Distributori Ticinesi, un’organizzazione che rappresenta le principali insegne della grande distribuzione in Ticino (come Migros, Coop, Manor): il commercio al dettaglio in Ticino è stretto tra il turismo degli acquisti e il boom dell’e-commerce. La ricerca SUPSI –di cui Azione aveva parlato nell’edizione del 20 ottobre - evidenzia il peso strutturale del commercio sull’economia cantonale (4,9 miliardi di giro d’affari, 12 mila posti di lavoro, 49 milioni di gettito fiscale) e i rischi legati alla demografia stagnante e alla concorrenza digitale. Lo studio dell’Università di San Gallo, come abbiamo visto, conferma e quantifica la tendenza: nel 2025 il turismo degli acquisti costerà al Ticino 716 milioni di franchi, appunto. Entrambi gli studi concordano sul ruolo del cambio favorevole al franco e sul fatto che la pandemia abbia solo temporaneamente frenato la fuga della spesa oltreconfine. SUPSI mostra come le insegne locali investano per restare competitive (nel 2023 42 milioni nella rete vendita, 5,8 milioni in sostenibilità), ma la ricerca universitaria di San Gallo fotografa un consumatore sempre più attratto da Amazon e Temu. Due analisi che si completano: una misura l’impatto macroeconomico, l’altra mostra i comportamenti che lo generano. Il messaggio è chiaro: senza strategie comuni, la perdita di posti di lavoro è garantita. / Red.
TURISMO DEGLI ACQUISTI
Le 170 mila economie domestiche della Svizzera italiana spendono 716 mio di CHF l’anno oltre confine
Turisti dello shopping in % della popolazione totale
Copertura del fabbisogno in % del fabbisogno totale
Frequenza di acquisto numero di volte all’anno in DE, AT, FR, e IT
Importo speso CHF per ogni acquisto in DE, AT, FR, e IT
IT CH: 86,1
Resto CH 70,4
IT CH: 41,2
Resto CH 33,3
IT CH: 11,1
Resto CH 4,3
IT CH: 321.91
Resto CH 217,8
Ricarica, una sfida
Motori ◆ In Europa l’infrastruttura per le auto elettriche è drammaticamente immatura
Mario Alberto Cucchi
Che l’auto elettrica non sia per tutti è ormai noto. Non sono chiacchiere da bar. Si dice che l’utilizzatore ideale sia quello che può caricare le batterie nel garage di casa. Ma con il passare degli anni le cose sono un po’ cambiate. Le colonnine sono spuntate un po’ ovunque per le strade e l’autonomia delle auto è aumentata. Nel frattempo, i costruttori automobilistici hanno calcolato che l’utenza media europea percorre meno di 30 Km al giorno. Ed ecco allora che per favorire l’acquisto hanno spiegato che basta fare il pieno di energia una volta alla settimana, e quindi va bene anche una ricarica pubblica. Vero? Sì, ma fino a un certo punto. Bastano pochi giorni al volante di un’auto elettrica per rendersi conto che la situazione dell’infrastruttura è ancora drammaticamente immatura. Da una parte impianti che ti fanno attendere minuti prima di dichiararsi off line, dall’altra ricariche che si interrompono senza motivi, cavi incastrati che non vengono restituiti al proprietario, call center incompetenti, software inaffidabili. E se si gira per l’Europa, tariffe incomprensibili e spesso carissime. Se si è possessori di un mezzo che è in grado di caricare velocemente, bisogna anche trovare una colonnina che sia in grado di farlo. Spesso le potenze erogate sono molto lontane da quelle dichiarate e la ricarica in pochi minuti diventa una chimera.
Dall’immissione sul mercato delle prime auto elettriche sono passati oltre 10 anni, eppure ci si scontra con un contesto di sperimentazione permanente. Vero, il numero di colonnine rispetto al circolante delle auto è confortante. Ma bisogna poi vedere quante sono utilizzabili. Pare che solo una colonnina di ricarica su tre in Europa sia realmente fruibile. Un paradosso che sta costando al settore fino a 46 miliardi di euro di ricavi potenziali da qui al 2030. Migliaia di stazioni risultano tecnicamente operative, visibili sulle mappe eppure rimangono di fatto inaccessibili. L’abbiamo provato di persona: farci guidare dal navigatore per raggiungere una stazione di carica veloce per poi scoprire che in realtà non è mai stata accesa, oppure rendersi conto che carica «veloce» come una presa del nostro appartamento. Decine di applicazioni sul nostro cellulare dedicate alla ricarica spesso accomunate dal fatto di avere interfacce poco intuitive.
La differenza tra quello che si potrebbe fare e quello che realmente è fattibile per gli «automobilisti elettrici» è al centro del nuovo usability index elaborato da Porsche Consulting e &Charge GmbH. Uno studio che misura non solo la disponibilità tecnica ma la reale fruibilità dell’infrastruttura di ricarica. Analizzando oltre 17’000 punti nei cinque principali mercati europei per la mobilità elettrica, che coprono oltre il 60% dei processi di ricarica Fast e ultra Fast, emerge un dato inequivocabile: l’indice di usabilità è del 91%. Non male no? In realtà dietro alle percentuali si nasconde un problema strutturale che rischia di compromettere l’intera transizione elettrica europea. Ciò che conta è la capacità dell’utente di completare senza intoppi l’intera esperienza di ricarica. Più del 90% delle criticità si concentrano nelle fasi iniziali: ricerca della stazione e avvio della sessione. Informazioni errate sulle mappe digitali, accessi bloccati, interfacce poco intuitive o problemi di autenticazione sono gli ostacoli più comuni. Per non parlare di quando si raggiunge una colonnina con la nostra auto full electric e troviamo parcheggiata un’ibrida plug-in che ricarica lenta, anzi lentissima. La colonnina diventa un parcheggio comodo per il proprietario della ibrida. Insomma è necessaria più cooperazione anche tra gli utenti della strada.
Porsche Consulting propone il framework ChargeXcellence che è basato su quattro fasi: prevenire, rilevare, risolvere e sostenere. Si va dalla manutenzione predittiva all’IA per la diagnosi remota fino alla costruzione di reti di servizio integrate. L’obiettivo è passare da una logica di semplice fornitura a una di governance condivisa. Secondo lo studio se un automobilista incontra problemi durante la ricarica nel 44% dei casi non tornerà più in quella stazione. Continuare ad affrontare la questione in termini quantitativi è una comoda scorciatoia che permette di mostrare progressi numerici senza affrontare la sostanza del problema. La filiera sembra ancora frammentata, divisa tra costruttori e operatori che si muovono in parallelo con difficoltà ad incontrarsi. Tesla a parte, che ha una rete di colonnine proprietaria, la distanza tra chi costruisce le auto e chi ne riempie le batterie resta abissale.
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Le parole dei figli
Hookup
«Non finiamoci più nel sesso occasionale», cantava dal palco del Festival di Sanremo 2022 l’allora 27enne Tananai: la sua volontà di abbandonare le avventure di una notte evidentemente per lui suona come una dichiarazione d’amore perché controcorrente rispetto a quella che ne Le parole dei figli è la Hookup culture Il termine inglese hookup significa letteralmente agganciare e, nello slang giovanile, il gancio è l’incontro sessuale. Di conseguenza, con Hookup culture (o cultura del gancio) si intendono gli incontri sessuali senza impegno. Non c’è alcuna promessa di una relazione romantica più tradizionale, e neppure il desiderio di averla. Ecco perché la Hookup culture è altrimenti definita: la cultura del rimorchio. Mamme e papà, però, prima di mettervi le mani nei capelli, arrivate a leggere fino alla fine!
Sull’argomento c’è una review molto
Terre Rare
interessante (uno studio che raccoglie e analizza ricerche precedenti), pubblicata sulla «National Library of Medicine» La ricerca evidenzia un punto cruciale: «L’età del primo matrimonio […] è stata drasticamente posticipata, mentre […] l’età della pubertà è diminuita, […] determinando un divario temporale storicamente senza precedenti in cui i giovani adulti sono fisiologicamente in grado di riprodursi, ma non psicologicamente o socialmente pronti a “sistemarsi”».
In altre parole, si è creato un lungo periodo in cui i giovani hanno desideri sessuali ma non sono pronti a impegnarsi in una relazione stabile. È proprio questo divario temporale a spiegare la nascita e la diffusione della Hookup culture. La conseguenza?
Dati impressionanti: «L’81% degli studenti universitari Usa intervistati ha avuto qualche forma di rapporto
occasionale, […] il 34% ha avuto rapporti sessuali nel contesto di un rapporto occasionale».
Ebbene, sapete a quale anno risale questa review? La sua pubblicazione è avvenuta il primo giugno 2013 e gli studi citati sono ancora più vecchi. Che cosa significa? Per dirla come mio marito Riccardo: la cultura del rimorchio c’è sempre stata! E, in effetti, se la vogliamo mettere in modo più scientifico, la stessa review ci riporta indietro fino agli anni ’60, spiegando che i giovani adulti «divennero ancora più liberi sessualmente […] con l’ascesa del femminismo, […] la diffusa disponibilità di contraccettivi […] e l’abbandono delle aspettative dei genitori sul matrimonio».
Morale: quando sentiamo i nostri figli fare riferimento alla Hookup culture dobbiamo sapere che il termine, per molti di noi, è nuovo, ma fotografa un fenomeno che esiste alme-
Il lato buono dell’IA è scientifico
Come sapete, le discussioni che demonizzano o esaltano il ruolo giocato dai vari sistemi di Intelligenza Artificiale nella nostra vita quotidiana sono ormai una routine e sono arrivate persino alle discussioni da bar. A seconda dell’orientamento più o meno scettico degli interlocutori se ne sentono di tutti i colori. Noi vorremmo qui tentare di fissare un punto fermo, per quanto possibile, maturato grazie a esperienze raccolte in ambito un po’ più professionale e informato. Parlando con alcuni esperti attivi in vari settori del lavoro universitario, si nota come l’uso delle risorse offerte dall’IA sia ormai diventato insostituibile. Qualche esempio: l’Officina dei papiri, un istituto che collabora con l’Università di Napoli, ha indetto un concorso per sviluppare sistemi che permettano la lettura dei rotoli ritrovati negli scavi di Ercolano. Si tratta
di reperti fragilissimi, carbonizzati, che contengono testi antichi ma che è difficilissimo srotolare per accedere al loro contenuto. Alcuni giovani ricercatori hanno sviluppato un modo per insegnare al computer a «leggere» questi testi, cosa praticamente impossibile a un occhio umano. In questo caso, dopo una sofisticata scansione dei reperti, l’addestramento non si limita a far riconoscere allo strumento i caratteri con cui i papiri sono stati redatti, ma anche a ricostruire parole, poi frasi e infine il contenuto completo dei testi. Naturalmente le informazioni che la macchina raccoglie saranno poi applicate di volta in volta per procedere a ulteriori decrittazioni. In un altro settore, quello della ricerca che si compie all’interno degli acceleratori di particelle, la complessità dei dati raccolti durante gli esperimenti è talmente ampia che, di nuovo, sareb-
Approdi e derive
be impensabile procedere a un’analisi dei risultati compiuta «a mano» dagli scienziati. Il ricorso a tecniche avanzate di confronto e di elaborazione, utilizzando le enormi risorse a disposizione dall’IA, è quindi inevitabile, e offre il vantaggio di essere più veloce e preciso.
L’ultimo esempio è tratto da un’esperienza reale, e riguarda gli attuali modelli della ricerca medica. Una persona arriva in ospedale con dolori toracici, sintomo fortemente indicativo di un problema cardiaco. Le analisi di routine al Pronto soccorso, però, non rilevano particolari disfunzionalità. Il dolore nel frattempo si va attenuando. Il quadro clinico migliora ma, per sicurezza, viene chiesto alla persona se è d’accordo di sottoporre i suoi dati diagnostici a un progetto di ricerca medica che sta utilizzando le risorse dell’IA (il paziente deve dare il
Magia del Natale e sentimento del sacro
Cammino verso casa nel buio precoce di fine novembre. La cosiddetta magia del Natale mi viene già incontro ad ogni angolo con i suoi mille racconti di luci invadenti e di oggetti invitanti che tentano di sorprenderci da vetrine esagerate.
Arrivata a casa un po’ frastornata, dal mio balcone contemplo l’incanto di un cielo silenzioso che mi offre la luce delicata di stelle discrete e lontane. Il riverbero delle sfumature del lago illumina con gentilezza le ultime foglie rimaste sugli alberi, ed è stupore scoprire la purezza di quella loro fragile presenza, come se nascesse proprio in quell’attimo, proprio per me. Percepisco un di più della vita, di una vita che è molto più grande della mia. Sento l’abbraccio di un cosmo in cui tutto si tiene.
Qui la magia del Natale, che ha scandito i miei passi verso casa, comincia a rivelarmi altro: mi rivela qualcosa che ha a che fare con il mistero
no dai nostri tempi. Semplicemente, oggi vanno per la maggiore gli inglesismi. Ne Le parole dei figli abbiamo già visto che la crush è l’innamoramento, essere friendzonato è il due di picche ricevuto da un/a amico/a, ghostare è sparire da una storia, la situationship è una relazione non definita e i Friends with Benefits sono amici che vanno a letto insieme. Secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica, in Svizzera l’età media del primo rapporto sessuale si attesta intorno ai 17 anni (16,8 per la precisione, secondo l’ultima rilevazione del 2022 nella fascia 15-24 anni).
La buona notizia? L’età si è alzata gradualmente: nel 2012 era 16,4 anni. Possiamo tirare un sospiro di sollievo? Non proprio. Come ci siamo già detti in un Caffè dei genitori, il sospetto è che i giovani non siano più così attratti dal sesso come una volta. Ma i motivi non possono ral-
legrarci: siamo davanti a adolescenti più liberi, ma che allo stesso tempo battono in ritirata. È più complicato capire cosa desiderano (amore fluido), hanno paura di mostrarsi senza i filtri di TikTok e subiscono l’ansia da prestazione che deriva dalla pornografia online. Ecco, in questa confusione generazionale si inserisce anche la Hookup culture. È un pezzo del complicatissimo puzzle delle loro relazioni, un modus vivendi che è meglio conoscere per capire se riguarda anche i nostri figli. E magari dare due semplici consigli: non fare mai nulla di cui non si è convinti, anche se va di moda; e usare sempre le precauzioni necessarie. Per il resto, forse, dobbiamo accettare l’incertezza che esprime Tananai nella sua canzone ammettendo: «Ma sappi che tra un anno, un giorno, non avrò capito ancora di cosa hai bisogno».
proprio consenso per liberare i curanti dai vincoli del segreto professionale). La persona accetta: ecco che l’AI confrontando esami e sintomi, segnala grave pericolo di vita. La persona viene quindi deviata verso il Cardiocentro e lì si riscontra una chiara insufficienza coronarica, che non era rilevabile con gli esami di routine. Intervento immediato e lieto fine. Visti questi tre esempi virtuosi, occorre dire che le ricerche scientifiche stanno individuando il lato oscuro dell’IA piuttosto nell’ambito legato al suo uso «informativo». È lì che il suo contributo specifico può rivelarsi non all’altezza del compito. Abbiamo più volte segnalato come le allucinazioni dell’IA siano problemi molto frequenti e come sia facile che lo strumento prenda cantonate davvero fuorvianti. Ora, un interessante articolo pubblicato dal «Tages Anzei-
ger» mostra come i famigerati Large Language Model dell’IA siano «nutriti» tra l’altro anche con testi tratti dai social media. Purtroppo, a un esame accurato, si scopre come il 45% dei contenuti generati da motori di ricerca e chatbot siano largamente scorretti, proprio perché basati su testi creati dalla stessa IA sui social. Come in un gatto che si morde la coda (l’IA genera automaticamente contenuti per i social che diventano poi cibo per la stessa IA) le risposte fornite sono in molti casi vere bufale, e producono affermazioni false e tendenziose. Questo è uno dei vari problemi che mostrano come lo strumento IA abbia ancora molta strada da compiere prima di arrivare a una sua versione affidabile. Analogamente a molti altri prodotti informatici, l’IA è arrivata sul mercato troppo presto e necessiterà ancora di una lunga messa a punto.
In un silenzio raccolto il paesaggio diventa paesaggio dell’anima. Riconosco infine il suo nome: è l’esperienza del sacro.
Ora la magia del Natale, consegnata per le strade a fronzoli luccicanti, a stelline e ghirlande, viene ad incontrare la sua intima sorgente. Filosofi e poeti hanno descritto il sentimento del sacro come la capacità di sentire la presenza di una realtà più grande che ci avvolge nel mistero del suo manifestarsi Questo sentimento profondo non apre solo all’esperienza religiosa, il suo enigma nutre anche la ragione e il desiderio di avventurarsi oltre per capire meglio, per comprendere di più.
Lo ha spiegato molto bene Immanuel Kant: noi pensiamo oltre ogni conoscenza possibile, siamo attratti da ciò che non sappiamo, anche da ciò che mai potremo conoscere. Da sempre siamo attratti da un punto di domanda, dal desiderio invincibile di
restare in contatto con il volto inafferrabile della realtà. Secondo il filosofo Umberto Galimberti, il sacro è il luogo originario della verità che precede ogni parola, ogni ragionamento con cui cerchiamo di comprendere, di dare un senso compiuto alla realtà. Il sacro è l’indifferenziato in cui ogni cosa può essere anche altra, in cui tutti i significati sono possibili. Ma la ragione, il logos, fin dalle origini ha avuto bisogno di tenere sotto controllo e di contenere la potenza di per sé incontrollabile delle infinite verità del sacro. Per questo, secondo il filosofo, il sacro è stato soffocato e alla fine rimosso dalla nostra vita, e questo proprio ad opera del logos e, secondo lui, anche ad opera delle religioni. In realtà sono molte, sul cammino della nostra civiltà, le testimonianze della presenza di un profondo rapporto tra il sacro e il divino. Di questo intreccio di sacro e divino è testi-
mone esemplare Simone Weil: per lei è proprio nel profondo legame tra il sacro e il sentimento religioso che può compiersi l’espressione della nostra umanità. Sullo sfondo di una tormentata vicenda esistenziale, nel 1943, negli ultimi mesi della sua vita, la filosofa riflette sull’impegno morale con cui ha intensamente vissuto. Per Simone Weil, nel nostro vivere quotidiano deve compiersi una vera e propria trasformazione che sappia condurci dall’esperienza personale a qualcosa di più grande: a qualcosa di più grande della nostra vita. È l’anima stessa che lo richiede, perché il sentimento del sacro nasce nelle radici dell’umano che nutrono la vita di tutti gli uomini
La sacralità dell’umano è presente in ogni essere, in fondo al cuore di ognuno. L’uomo, scrive, «vive nell’attesa invincibile che gli venga fatto del bene», quel bene che «è l’unica fonte
del sacro». Da questa presenza del bene, dentro gli strati più profondi della nostra umanità, nasce il sentimento del sacro, perché «l’albero della vita è radicato nel cielo».
Con queste emozionanti ed emozionate parole Simone Weil svela infine anche il legame da lei percepito e intensamente vissuto tra il sacro e la fede. «Cos’è Dio?» Si chiede la filosofa. «È l’infinitamente piccolo (…) il granello di senape, la perla nel campo, il lievito nella pasta, il sale nel cibo. Si tratta di mettere questo infinitamente piccolo al centro».
Lascio alla purezza delle immagini offerte da questa straordinaria filosofa il compito di accompagnarci in questi giorni di Avvento. Il suo richiamo alle radici sacre della nostra comune umanità mi sembra un invito discreto, quanto prezioso, ad andare oltre il bailamme festoso di questi giorni per accogliere il significato autentico della Natività.
di Lina Bertola
di Simona Ravizza
di Alessandro Zanoli
Focus sulle cause della denatalità
Come i conflitti generazionali e di genere possono influenzare il futuro comune, non solo in Svizzera, e quali vie d’uscita esistono
Pagina 17
Voci che superano le sbarre
Storie di detenuti che attraverso la scrittura trovano riscatto e smascherano le contraddizioni del sistema penitenziario americano
Pagina 19
La potentissima Sanae Takaichi
La prima donna premier del Paese del Sol Levante, tra rigore conservatore e passioni per nulla convenzionali
Pagina 21
Donne di Òlympos, fra tradizione e sopravvivenza
Grecia ◆ In un villaggio segnato dallo spopolamento la comunità femminile preserva la cultura e promuove l’ecoturismo
Mentre nel mondo le tregue si inseguono senza mai compiersi – pensiamo alla guerra in Ucraina, dove i negoziati restano incerti, e a Gaza, dove il cessate-il-fuoco è continuamente violato – ci ritroviamo in un villaggio greco remoto, teatro di una vicenda sorprendente.
Qui, lontano dai conflitti globali, la vita quotidiana rivela un’altra forma di resistenza: quella di un paese in cui la donna ricopre un ruolo centrale, detenendo la proprietà economica e il potere decisionale. Questo tipo di società, che l’antropologia preferisce definire matrilineari o matrifocali, piuttosto che veri e propri «matriarcati» – termine che suggerirebbe un dominio femminile assoluto – rappresentano una sfida silenziosa al modello patriarcale dominante. Tra gli esempi contemporanei si annoverano anche i Mosuo in Cina, celebri per la pratica del matrimonio itinerante e per la figura della nonna a capo della famiglia allargata, e i Minangkabau dell’Indonesia, il più grande gruppo etnico matrilineare al mondo, dove eredità e terra passano di madre in figlia.
Isolamento ed eredità
Ma noi, come detto, siamo in Grecia: Karpathos, la seconda isola più grande del Dodecaneso che custodisce una peculiarità sociale e storica unica in Europa, il villaggio montano di Òlympos. Arroccato sulle pendici del monte Profitis Elias, Òlympos fu fondato intorno al 1420 dagli abitanti delle città costiere di Karpathos. La sua posizione isolata non fu casuale: essa rappresentava la conclusione di un processo plurisecolare di ritiro dall’Egeo, iniziato già nel VI secolo d.C. con le popolazioni locali messe in fuga dalle minacce marittime, tra cui i devastanti raid iconoclasti dell’impero bizantino e gli attacchi dei Saraceni. La fondazione di Òlympos fu dunque la definitiva fortificazione per trovare rifugio dalle incessanti incursioni piratesche che ancora affliggevano le coste. Tale necessità difensiva plasmò la conformazione del villaggio conferendogli un aspetto compatto, con case ammassate le une sulle altre, ma l’isolamento profondo dato dall’assenza di acqua corrente, elettricità e strade asfaltate si protrasse fino agli anni Ottanta. Proprio da questo isolamento e da una serie di specifiche leggi di successione nacque una delle ultime società a forte impronta matriarcale del Continente. A differenza del sistema patriarcale prevalente nella Grecia continentale, a Òlympos la gestione economica e la proprietà terriera erano storicamente affidate alle donne. Il sistema di eredità, concepito per preservare l’integrità dei limitati ap-
pezzamenti di terra, stabiliva che la figlia primogenita ereditasse per intero la proprietà della madre. Gli uomini che sposavano le primogenite si trasferivano nelle case delle mogli, riaffermando in questo modo l’autorità femminile.
Il sistema garantì alle donne un ruolo fondamentale di leadership economica e sociale. Quando, a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, le migrazioni di massa spinsero gli uomini a lasciare l’isola in cerca di lavoro specialmente negli Stati Uniti e in Australia, le donne rimaste indietro divennero le responsabili de fac-
to della comunità: custodi del focolare, amministratrici delle finanze e gestrici delle attività agricole e commerciali. Oggi tale realtà si manifesta nel paesaggio quotidiano del villaggio. Come si arriva a notare già dopo poche ore di permanenza, il paese sembra quasi del tutto in mano alle donne che reggono il commercio. Le donne sono le matrone che gestiscono i ristoranti, le botteghe artigianali e le pensioni. Gli uomini, al contrario, sono spesso visti in taverna o seduti al kafeneio a oziare, un’osservazione che riflette il ribaltamento (o consolidamento) dei ruoli.
Le donne sono custodi di un patrimonio culturale che traspare anche dal loro modo di vestire. Molte donne anziane continuano a portare la kavái, l’elaborato abito tradizionale che riflette l’identità della famiglia, del villaggio, ed è motivo di orgoglio. Non è raro incontrarle così abbigliate anche a Pigadia, la città principale dell’isola, a testimonianza che l’abito è indossato nella vita (e negli affari) di ogni giorno e non solo per la scena turistica di Òlympos. Gli uomini tendono invece a vestire abiti moderni. Le donne di Òlympos sono le principali depositarie anche di un
dialetto greco arcaico con forti influenze doriche. Il viaggiatore inglese James Theodor Bent, che visitò Karpathos con la moglie Mabel alla fine dell’Ottocento, sostenne che per comprenderlo al meglio era consigliabile affidarsi al dizionario di greco antico, un dettaglio che sottolinea la profondità del lungo isolamento culturale di Òlympos.
Bivio esistenziale
Anche la creatività femminile è legata all’economia. Sono le donne a realizzare l’artigianato locale (tessiture, ricami, le caratteristiche ciabatte con il pon-pon), e sono loro a custodire le ricette ancestrali. I piatti più noti della cucina locale, come le makarounes (pasta fatta a mano condita con formaggio di pecora o capra e cipolle caramellate), sono state tramandate dalle donne del posto. Oggi Òlympos si trova a un bivio esistenziale. Nonostante la tenacia, la popolazione residente è precipitata da circa 1200 abitanti del 1947 ad alcune centinaia di residenti permanenti del 2021. Per i residenti più anziani, figli e nipoti sono spesso simili a turisti di passaggio che ritornano solo d’estate. Il rischio più grave è la chiusura della scuola locale, che conta solo una manciata di studenti. A causa del calo demografico, entro la fine del 2025 chiuderanno circa 766 delle oltre 14mila scuole presenti in Grecia, non raggiungendo il requisito minimo di 15 alunni. I residenti di Òlympos sanno che una chiusura definitiva segnerebbe la fine di questa comunità così unica. In tale contesto di crisi, il turismo è diventato una questione di sopravvivenza e le donne sono le pioniere del cambiamento in corso. Figure come Evangelia Agapiou, fondatrice di Ecotourism Karpathos, guidano programmi di ecoturismo controllato, con l’obiettivo di attrarre piccoli gruppi che partecipino ad attività come lezioni di cucina e visite guidate a beneficio diretto dei locali.
La questione per Òlympos non è dunque ideologica, ma ha che fare con la sopravvivenza della cultura tradizionale: il turismo è un «demone» che trasforma le donne in comparse in costume, o la panacea che permette al villaggio di non estinguersi? In un contesto di spopolamento, la scommessa di Òlympos è sulla sopravvivenza dell’intera comunità. Riconoscendo l’iniziativa delle sue donne, custodi del patrimonio culturale e al tempo stesso pioniere dell’ecoturismo, il villaggio cercherà di preservare l’unicità della sua tradizione dalla marea montante della modernità. Il suo successo sarà la storia di una delle ultime grandi resistenze culturali del Mediterraneo.
Simona Dalla Valle, testo e fotografia
Denti seghettati, occhi grandi e un corpo di morbido peluche: i Labubu hanno suscitato molto clamore in Svizzera quest’estate. A Zurigo, ad esempio, i fan hanno fatto ore di coda quando sono stati messi in vendita, in esclusiva, questi piccoli mostri in miniatura. I peluche sono ora disponibili su molte piattaforme, tra cui Galaxus, il più grande rivenditore online della Svizzera.
Il fenomeno non è nuovo: un anno fa c’erano i cosiddetti Squishmallows, pupazzetti di peluche di forma tondeggiante che andavano a ruba tra bambini e adulti. Il topo Diddl sta attualmente celebrando un brillante ritorno in Francia e in Belgio. Il topo dei fumetti degli anni 90 sarà nuovamente disponibile anche in Svizzera l’anno prossimo come statuetta, su carta e anche come peluche.
I peluche non si trovano più solo nelle stanze dei bambini. No, hanno preso posto sui divani e nelle vetrinette. E come accessorio di moda, li incontriamo ovunque. Questo si riflette nei dati di vendita. L’istituto di ricerca di mercato statunitense Circana stima che il mercato globale dei peluche sia più che raddoppiato dal 2019. Non si tratta quindi di una semplice tendenza di breve durata sui social media.
Secondo Bitten Stetter, ricercatrice di tendenze e professoressa dell’Università delle Arti di Zurigo, questo sviluppo si inserisce in due movimenti di tendenza. Uno si chiama Cute culture: un fenomeno giapponese, noto anche come «cultura kawaii», che celebra tutto ciò che è tenero e carino. «È una reazione alle eccessive esigenze che molte persone sentono nel mondo complesso e apparentemente freddo di oggi; è qui che la cosiddetta cuteness agisce come un balsamo per l’anima», spiega Stetter.
Ridurre lo stress
Il secondo movimento si chiama Kidult. Il termine è una fusione di «kid» e «adult», cioè bambino e adulto. Da tempo questo fenomeno si è trasformato in una tendenza di lifestyle in forte espansione. Gli adulti non solo collezionano i giocattoli, ma li usano anche attivamente, per staccare la spina, rilassarsi o semplicemente per divertirsi. È qui che i peluche assumono un ruolo terapeutico, secondo lo psicologo tedesco Markus Kiefer dell’Università di Ulm. «I peluche, con la loro superficie morbida e coccolosa, hanno un effetto calmante e aiutano così a ridurre lo stress».
Per i neonati e i bambini piccoli i peluche sostituiscono simbolicamente
LIFESTYLE
Peluche
Perché amiamo i peluche
Non solo per i più piccoli: i peluche conquistano anche gli adulti. Come mai i morbidi pupazzi sono così popolari e quali emozioni suscitano in noi
«Grazie alla loro morbidezza i peluche hanno un effetto calmante»
Markus Kiefer, psicologo
la presenza delle persone a loro più care. Quando i genitori non ci sono, le soffici figure offrono ai più piccoli conforto e sicurezza. In psicologia, i peluche sono noti anche come oggetti transizionali: sono sempre disponibili e sopportano qualsiasi
stato d’animo. «Un peluche non prova risentimento se finisce in un angolo: ha quindi un effetto di stabilizzazione emotiva», spiega Kiefer. Crescendo, tuttavia, gli amici coccolosi diventano meno importanti perché le relazioni emotive dei bambini con le altre persone si stabilizzano. Nel caso di disturbi psichici, i peluche possono continuare a svolgere un ruolo emotivo importante anche in età adulta. Ad esempio, se le relazioni sono state instabili durante l’infanzia e ciò ha portato a sviluppare profondi problemi di fiducia, come spiega Kiefer.
Tuttavia, la maggior parte degli adulti che amano i peluche non ha alcun disturbo. Secondo uno studio statunitense del 2023, il 40 per cento
degli adulti dorme con un peluche. «Probabilmente si tratta più di una questione di abitudine e di un ricordo del mondo sereno e protetto dell’infanzia», afferma lo psicologo Kiefer. Queste persone potrebbero tranquillamente dormire senza un peluche, ma non vogliono. Sempre più persone, comprese le celebrità sui social media, mostrano con orgoglio le loro collezioni di peluche. Non è quindi più motivo di vergogna possedere peluche in età adulta. Di solito più di uno. Questo, a sua volta, ha portato alla nascita di vere e proprie comunità di collezionisti. Alcuni pupazzi di peluche passano di mano per diverse centinaia di franchi. «Questa tendenza è incentivata dalle aziende, che volutamente mettono a disposizione poche quantità di alcuni prodotti», afferma la ricercatrice Stetter. Si tratta delle Limited Edition. «L’esclusività creata ad hoc è ciò che cattura l’interesse di molti consumatori perché, in fondo, abbiamo già tutto ciò di cui abbiamo bisogno», spiega l’esperta. È stato proprio questo meccanismo ad alimentare il clamore intorno alle Labubu.
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Testo: Barbara Scherer
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filiali
Morbidi compagni tutti da coccolare: orsetti, pecorelle e Labubu.
Denatalità, tra attitudini maschili e responsabilità collettive
L’analisi ◆ Come i conflitti generazionali e di genere possono influenzare il futuro comune, non solamente in Svizzera, e quali strategie adottare per invertire una tendenza preoccupante
Marialuisa Parodi
Sapevamo che il graduale invecchiamento dei tanti baby boomer (19461964) avrebbe stravolto le piramidi dell’età dei Paesi industrializzati, trasformandole in obelischi. Ma lo scenario demografico medio del Ticino, stimato dal nostro Ufficio di statistica, mostra che, nel 2050, al 42% della popolazione attiva residente (tra i 30 e i 64 anni) toccherà l’onere di sostenere il restante 58%, costituito più da ultraottantenni (14,2%) che da bambini 0-14 anni (11,7%). Superata anche la forma ad obelisco, le proiezioni evocano piuttosto un vaso dalla spalla panciuta, il piede sottilissimo e un orlo che si allarga per far spazio, prima volta nella storia, ai molti centenari. Tra le cause di denatalità figurano il passaggio da economia rurale a industriale e dei servizi, i progressi nella medicina e l’empowerment femminile. Tutte evoluzioni che hanno contribuito all’aumento del reddito pro-capite, che della natalità sembrerebbe il più fiero oppositore.
La risposta alle mutate condizioni di contesto è stata razionale: minore numero di figli e maggiore investimento di risorse in ciascuno di essi
Ma da qui a concludere che l’accresciuto benessere abbia comportato una perdita di interesse per la genitorialità, ce ne corre. In realtà, la risposta alle mutate condizioni di contesto è stata razionale: minore numero di figli e maggiore investimento di risorse in ciascuno di essi. Il desiderio di avere due figli si è così affermato nel tempo come il più diffuso e le politiche degli ultimi decenni hanno provato a sostenere il tasso di fecondità affinché non si discostasse troppo dal livello di sostituzione, pari a 2,07 figli per donna.
Le voci di spesa pubblica attivate a questo scopo ricadono in tre tipologie: prestazioni in denaro per il sostegno alla famiglia, sovvenzioni per servizi a supporto del lavoro di cura e incentivi fiscali. Le scelte di ciascun Paese sono state condizionate dai valori associati a un ambito così delicato come la famiglia ma, ad eccezione di alcuni casi, il risultato è stato fallimentare nel suo complesso: il tasso di fecondità ha continuato a scendere e, in Svizzera, nel 2024, ha toccato il minimo storico di 1,29 (1,16 in Ticino).
In più, il protrarsi della denatalità ha già ridotto il potenziale di genitori e donne in età fertile (la «trappola della fecondità») e se anche il tasso di fecondità aumentasse ora, mancherebbe il tempo fisico per allevare la generazione in grado di sostenere una popolazione già oggi così anziana, numerosa e longeva. Ecco servita la «glaciazione demografica» con preoccupazione per il connesso declino sociale, economico, politico e democratico.
Come uscire da questa spirale? Per molto tempo ha prevalso la narrativa tradizionale secondo cui istruzione e occupazione femminile fossero le cause principali del calo delle nascite (ritardando tra l’altro la decisione di avere il primo figlio). Tuttavia, già dai primi anni 2000, la correlazione tra occupazione femminile e natalità è
diventata positiva e i casi di politiche pubbliche di successo sono proprio quelli che hanno puntato sull’empowerment femminile come motore indiretto della natalità. Lo hanno fatto prima i Paesi del Nord Europa, poi la Germania: negli ultimi 20 anni è passata da un modello che vedeva la maternità come antitetica alla professione a un orientamento che favorisce le scelte lavorative delle madri e la famiglia a doppio reddito; ha quindi investito in servizi e strutture per l’infanzia; ha introdotto un generoso congedo parentale, incoraggiando i neo padri ad usufruirne.
Al contrario, i fallimenti più clamorosi hanno coinciso con le politiche pro-nataliste che puntano a mettere le donne di fronte alla scelta tra lavoro e famiglia, per esempio con bonus mamme o incentivi una tantum; quasi sempre la tendenza a non lasciare il lavoro ha prevalso, spesso anche perché due stipendi sono divenuti necessari.
L’Ufficio federale di statistica ha pubblicato un estratto dell’Indagine sulle famiglie e le generazioni (EGG) per dar conto delle mutate attitudini verso la genitorialità. I dati restituiscono il quadro di una giovane generazione sfiduciata: sempre più single, sempre più persone che non desiderano diventare genitori, sempre meno frequente la scelta di avere un secondo o un terzo figlio, sempre più avanzata l’età media alla prima nascita (31,4 anni le madri, 35,3 i padri).
Entrando nel dettaglio dei fattori che influiscono sulla decisione di avere un figlio, tra il 2013 e il 2023 si sono distinti, specie per le donne: la possibilità di condividere nella coppia i compiti domestici e di cura, le condizioni professionali, la disponibilità di servizi e strutture per l’infanzia (la qualità della relazione di coppia e
della situazione finanziari restano comunque fattori determinanti per entrambi i sessi). Per quanto riguarda gli effetti attesi della nascita di un figlio, il 62% delle donne tra i 20 e i 39 anni si aspetta un peggioramento delle prospettive professionali, che denota consapevolezza della situazione del mercato del lavoro, a partire alla sottoccupazione femminile di cui soffre il nostro Paese.
Quando le lavoratrici diventano madri le opportunità di carriera si contraggono, le discriminazioni aumentano e il reddito si assottiglia
La sottoccupazione è una delle manifestazioni della studiata «penalizzazione della maternità», quell’insieme di svantaggi che colpiscono le lavoratrici quando diventano madri: le opportunità di carriera si contraggono, le discriminazioni aumentano, il reddito si assottiglia. Invece la paternità non incide in modo strutturale sui tempi di impiego e, anzi, spesso coincide con avanzamenti e nuovi sbocchi professionali. Un’interessante prospettiva sul legame che unisce la natalità alla cultura dei ruoli di genere e su come le diverse percezioni di uomini e donne, nonché generazionali, impattino la scelta genitoriale, è offerta dallo studio «Babies and the Macroeconomy», di recente pubblicato da Claudia Goldin.
Storica del lavoro, docente ad Harvard e premio Nobel per l’Economia 2023, Goldin ha analizzato le cause del declino globale dei tassi di fecondità distinguendo due gruppi di Paesi sviluppati a natalità bassa. Il primo (Danimarca, Francia, Germania, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti) è
stato caratterizzato da una crescita economica continua e piuttosto costante, con tassi di fertilità scesi nel tempo; il secondo gruppo (Grecia, Italia, Giappone, Corea, Portogallo e Spagna) ha conosciuto maggiore volatilità, con crescita rapida e improvvisa nel dopoguerra, tassi di fertilità aumentati in modo altrettanto repentino e poi rimasti elevati più a lungo, prima di calare drasticamente.
La tesi di Goldin è che quando il cambiamento macroeconomico è troppo veloce, i valori sociali e familiari non riescano a tenere il passo. In particolare, dimostra che gli uomini reagiscono più lentamente all’opportunità di sperimentare ruoli diversi da quelli tradizionali. Questa distonia dà origine a conflitti generazionali e di genere che influiscono sulla natalità. Nel primo gruppo di Paesi, le donne sono entrate nel mondo del lavoro in modo graduale e gli uomini hanno avuto il tempo di accogliere un nuovo modello di paternità coinvolto nella cura; le politiche pubbliche hanno potuto assecondare l’affermarsi di nuovi modelli professionali e familiari fornendo i servizi e le strutture necessarie. Al contrario, nel secondo gruppo, all’emancipazione femminile non è seguito un coerente cambiamento della cultura familiare, i padri hanno opposto resistenza all’assunzione di responsabilità non tradizionali e le politiche pubbliche sono rimaste incerte sulla direzione da prendere.
Ed è qui che la distonia tra valori maschili e femminili si trasforma in conflitto: il desiderio di maternità non scompare certo con l’emancipazione femminile, ma entra in rotta di collisione con il rifiuto del partner di assumere la propria parte di responsabilità. Si conferma, cioè, che non sono l’istruzione o il tasso di occupazione
femminili, di per sé, a ridurre le nascite, ma la minore disponibilità delle donne a continuare a sobbarcarsi, accanto a quello professionale, un carico di lavoro domestico e di cura sproporzionato, ritenuto vieppiù ingiusto ed anacronistico.
Goldin, che vinse il Nobel proprio per aver dimostrato che le disparità nel mondo del lavoro sono originate e alimentate da quelle interne al nucleo famigliare, conclude che, finché la rivoluzione culturale non avrà coinvolto pienamente anche gli uomini, i conflitti generazionali e di genere continueranno a frenare la natalità: una lettura della realtà che non contraddice e, anzi, trova conferma, nelle osservazioni globali del fenomeno, inclusi i dati snocciolati più sopra. Non c’è dubbio che una rivoluzione sia già in corso: nelle nuove generazioni di padri è sempre più frequente la partecipazione attiva alla quotidianità domestica, così come l’aspirazione a un buon equilibrio tra vita privata e lavoro. Quello che invece manca all’appello è un dibattito pubblico sulle misure di contrasto alla denatalità che si ponga in modo agnostico rispetto ai ruoli di genere e accetti il valore sociale ed economico dei modelli familiari e professionali di cui le giovani generazioni sono portatrici.
Fonti
Scenari demografici per il Cantone Ticino e i suoi distretti, USTAT, 2025 Recul de la fécondité en Suisse, UFS, 2025
H. Kleven, C. Landais and G. LeiteMariante, The Child Penalty Atlas, NBER, 2023, infografiche in How Motherhood hurts careers, «The Economist», 30 giugno 2024 Claudia Goldin, Babies and the Macroeconomy, 2025.
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Voci chiare dalle prigioni americane
Stati Uniti ◆ Storie di detenuti che attraverso la scrittura si riscattano e svelano le contraddizioni di un sistema carcerario opaco
Donatella Mulvoni e Manuela Cavalieri
New York – Lyle C. May vive da venticinque anni nel braccio della morte in un penitenziario della Carolina del Nord, ma la sua cella angusta non è riuscita a spegnergli la voce. Condannato quando era poco più che ventenne per un duplice omicidio, che continua a negare di aver commesso, in carcere si è laureato, ha studiato diritto per corrispondenza e si è trasformato in uno degli scrittori-detenuti più autorevoli d’America. La sua prosa, che sia in forma di reportage o memoir, riempie giornali e riviste, e circola oggi nei corsi universitari. Non si tratta di un’eccezione. May è la punta visibile di un mondo nascosto, popolato da autori che scrivono in condizioni estreme e che, senza aiuti esterni, non avrebbero voce. Ed è proprio per permettere a questi talenti di germogliare che entrano in gioco strutture come quella guidata da Malcolm Tariq, a capo del Prison and Justice Writing Program dell’organizzazione PEN America che da decenni offre strumenti, visibilità e percorsi professionali a decine di reclusi. Il programma, ci spiega Tariq, affonda le radici nell’esplosione della celeberrima rivolta di Attica, nella maxi-prigione dello Stato di New York, nel 1971. «Un evento spartiacque: quattro giorni di proteste che chiedevano ciò che avrebbe dovuto essere scontato, ovvero istruzione, attività formative, cibo decente, condizioni di vita umane». Quella scossa spinse PEN America a muoversi. «Decisero di offrire agli uomini di Attica uno spazio per raccontarsi e crearono un concorso di scrittura». Ogni anno da allora arrivano centinaia di testi dagli istituti di pena di tutto il Paese. «Oggi il proposito si è ampliato: da un lavoro centrato sulle capacità di scrittura a un’iniziativa che costruisce percorsi professionali, aiutando le persone a crearsi una carriera, un reddito e a sostenere le proprie famiglie anche durante il periodo di reclusione», afferma il responsabile. «Non siamo l’unica realtà in questo campo, come noi ci sono altre organizzazio-
ni che funzionano quasi come agenzie per incarcerati, seguono il loro lavoro, gestiscono le proposte editoriali e i rapporti con gli editor». Il suo ente, PEN America, è la sentinella della libertà di espressione negli Stati Uniti, una non profit nata per difendere dalla censura scrittori, giornalisti e artisti.
«Lavorare con tanti autori straordinari è una continua fonte d’ispirazione», riferisce Tariq. «Studio i loro testi chiedendomi come riescano a creare certi passaggi. La qualità è altissima, spesso di una profondità sorprendente. E quando conosci le loro storie personali e afferri come queste formino lo stile, l’impatto è ancora più forte». Eppure, aggiunge, la forza di quelle pagine non ha bisogno di spiegazioni: «La stesura, da sola, basterebbe».
Quando lo raggiungiamo, Tariq sta lavorando al nuovo Incarcerated Writers Bureau, una piattaforma digitale che apre un varco tra le celle americane e il mondo dell’editoria, costruito per dare a chi scrive in prigione ciò che di solito non ha: contatti e soprattutto un’opportunità. Al momento ci sono già ventuno artisti, da una costa all’altra, che grazie al sito possono confrontarsi con gli addetti ai lavori. «Lo scopo del sito è promuovere inclusività nella comunità letteraria, in modo da ridurre la divisione tra scrittori dietro le sbarre e scrittori liberi», ci dice. Il database non offre solo nomi e profili. Chiarisce come parlare con un saggista che non ha sempre un computer, come gestire l’editing per posta, ma anche come pagare un detenuto. Permettere agli autori di essere retribuiti in carcere, sottolinea, non è un dettaglio tecnico. «È il cuore del problema. Come si invia denaro a una persona reclusa? E soprattutto: perché è fondamentale farlo? Perché la vita in custodia costa cara. Una persona mi ha raccontato di essere obbligata a un lavoro interno e di guadagnare dieci centesimi al giorno».
Negli Stati Uniti, donne e uomini spesso entrano nel sistema giudi-
ziario quando sono ancora molto giovani. Non sono pienamente formate come adulti. Quando si cresce in un luogo come la galera, mettere tutto su pagina diventa un processo catartico. «Arrivano alla letteratura per dare un senso alla propria vita e al mondo che le circonda. A volte scrivono per sfuggire all’ambiente fisico in cui vivono». Grazie a organizzazioni come PEN e ad altre risorse, possono entrare a far parte di una comunità più ampia. Molti dei narratori presenti nell’Incarcerated Writers Bureau hanno già delle pubblicazioni all’attivo. «Quasi la metà di loro ha dato alle stampe dei libri. Uno, nel braccio della morte, ne ha pubblicati due solo l’anno scorso. Un altro mi ha chiamato questa mattina: pure lui è in attesa di esecuzione, ma ha già diversi titoli alle spalle. Sono tutti talenti nati in carcere».
Proprio come Lyle C. May. «È arrivato alla scrittura attraverso la saggistica creativa. Di recente mi ha detto di avere composto perfino delle poesie, che però non pubblica anco-
ra. Il suo libro si intitola “Witness”. Quando l’ho letto, ho cominciato a consigliarlo a tutti», rivela Tariq. Uno stile che ti afferra subito perché mescola narrazione personale e giornalismo. «Lyle descrive, per esempio, come si cucina in carcere, ma allo stesso tempo restituisce le storie degli uomini che stanno per morire e di quelli che sono già morti». Ma il lavoro del detenuto è profondamente influenzato dalle narrazioni più ampie sul sistema giudiziario statunitense. «Un labirinto fatto apposta per non essere capito. Anche chi ha un familiare carcerato spesso non vede tutto: procedure opache, regole che cambiano, decisioni politiche che incidono sulla vita delle persone più di qualunque sentenza. Lyle prova a scoperchiare questo meccanismo. Scrive di leggi, di riforme mancate, di ciò che accade davvero nella Carolina del Nord». Soprattutto, denuncia come la politica determini il destino dei prigionieri. «Molto di ciò che accade alle persone internate dipende da chi viene eletto
e da chi vuole un secondo mandato. Se un politico ritiene di poter ottenere più voti aumentando il numero di persone incarcerate, spesso lo farà. È la realtà», affonda il direttore. Lyle C. May conosce questo mondo in ogni minimo dettaglio e riesce a restituirne un affresco perfetto.
I programmi di PEN America favoriscono anche la creazione di uno spazio di dialogo diretto tra studenti e reclusi. «C’è una scuola, il Davidson College, nella Carolina del Nord, dove un professore insegna un corso di letteratura carceraria. Da due anni organizziamo una sessione virtuale con la classe: io partecipo, collego telefonicamente gli scrittori, dando la possibilità agli studenti di fare loro delle domande». Vederli parlare con persone come Lyle, dice Tariq, è la ricompensa più grande. Perché in quel filo di voce che attraversa le sbarre, in quella conversazione tra un’aula universitaria e una cella, c’è forse l’unico antidoto all’opacità del sistema: la possibilità, ancora, di essere ascoltati.
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donne e uomini entrano spesso nel sistema giudiziario quando sono ancora molto giovani e non sono formati. (Freepik)
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Sanae Takaichi, la Lady di ferro giapponese
Potentissime ◆ La prima premier donna del Paese che unisce conservatorismo e passioni non convenzionali, come l’hard rock Cristina Marconi
Secondo Sanae Takaichi, i turisti prendono a calci i cerbiatti di Nara, la sua città d’origine. E pazienza se non esistono prove di questo deplorevole fenomeno: la premier conservatrice aveva fatto della lotta allo straniero, che sia in vacanza o residente, uno dei suoi temi più rilevanti, prima che le sue dichiarazioni su Taiwan – volute? incaute? ingigantite? – aprissero un caso diplomatico tra Tokyo e Pechino talmente grave da mettere in secondo piano qualunque altra considerazione.
Ha detto che un attacco della Cina nei confronti di Taiwan sarebbe considerata una «minaccia esistenziale» dal Giappone
La sessantaquattrenne erede politica di Shinzo Abe, ucciso nel 2022, ha dichiarato che un attacco della Cina nei confronti di Taiwan sarebbe considerata una «minaccia esistenziale» dal Giappone, che in base alla sua costituzione pacifista non può intervenire all’estero salvo alcuni casi specifici la cui definizione è stata volutamente lasciata ambigua ed elastica nel corso dei decenni. «Se ci sono navi da guerra e un blocco navale prevede l’uso della forza, a prescindere da come la si pensi, potrebbe rappresentare una situazione di minaccia esistenziale», ha detto Takaichi il 7 novembre scorso ri-
spondendo a una domanda in Parlamento, e le sue parole hanno avuto un riverbero immediato sui rapporti con la Cina, sui flussi turistici, che molto devono ai vicini cinesi, e sulle esportazioni, anche culturali, con concerti bloccati e star costrette a scendere dal palco. Mentre a Taiwan, che è stato parte dell’impero nipponico per cinquant’anni, è scoppiata la febbre del sushi e tutti impazziscono per il Giappone e per la sua premier, Takaichi, pare anche su pressione di Washington, ha cercato di ridimensionare la portata delle sue parole senza però smentirle, anche perché il 55% dell’opinione pubblica è con lei e l’ambiguità costruttiva nei rapporti con Pechino è sempre più messa a dura prova dall’aggressività cinese.
Prima donna premier della storia del Sol Levante, dove il potere femminile non ha mai avuto una gran rappresentanza – Go-Sakuramachi, imperatrice dal 1762 al 1771, non era che una burattina nelle mani degli Shogun, secondo gli storici, e dopo di lei la legge imperiale vietò alle donne di accedere al trono – Sanae Takaichi non è una femminista ed è considerata la leader più conservatrice e nazionalista del Giappone dal dopoguerra a oggi. Vuole un aumento della spesa militare e ritiene che la storia giapponese vada giudicata con occhi meno severi. Esponente di lungo corso del partito Liberal democratico, è in politica dal
1993, e il suo culto di Margaret Thatcher non potrebbe essere più evidente in tutto, dalle posizioni ideologiche fino agli aspetti più esteriori. Vanessa Friedman sul «New York Times» ne ha elogiato lo stile, parlando della borsa più influente della storia della politica dai tempi della Iron Lady: la Sanae Tote, com’è stata ribattezzata, è fatta da Hamano, una pelletteria storica che rifornisce anche la famiglia imperiale, è il simbolo di quella promessa di «lavorare e lavorare e lavorare e lavorare» che ha fatto prima di essere eletta e che l’ha portata a convocare con disinvoltura una riunione alle 3 del mattino, salvo poi finire bersaglia-
ta dalle critiche visto che in Giappone la tendenza a lavorare troppo è ormai considerata una piaga sociale. Come l’altra leader del G7, Giorgia Meloni, ha una storia politica di destra, aveva aderito al Nippon Kaigi, associazione ultranazionalista, e sta seguendo la linea dello Strong Japan inaugurata da Abe. Anche se nella grande instabilità della politica giapponese la sua tenuta è tutt’altro che garantita, la figura di Sanae Takaichi ha cambiato le cose. E se fosse questo tipo di empowerment, più che femminismo, a ispirare e rafforzare le donne in un Paese in cui la cultura patriarcale è dominante e non è
stata mai messa in discussione? Lei aveva promesso di formare un Governo equilibrato, come in Scandinavia, ma di fatto ci sono solo altre due donne nell’Esecutivo e 73 deputate su 465 seggi. Un fatto molto raccontato è che Takaichi da giovane suonava la batteria in un gruppo hard rock e girava in motocicletta e che la passione per Deep Purple e Black Sabbath non sia del tutto tramontata. Non è a favore dei matrimoni omosessuali, pensa che le donne debbano portare il cognome del marito per legge ma la sua storia personale è molto diversa: con il compagno di partito Taku Yamamoto si è sposata per la prima volta quando era già un volto noto, anche per dei trascorsi in televisione, e per questo ha continuato a usare il suo cognome da nubile. Poi si sono separati per «vedute politiche divergenti» nel 2017, ma quando si sono risposati, nel 2021, è stato lui a prendere il cognome di lei in modo da rispettare la legge. I problemi del Giappone sono noti, e sembra quasi di guardare al nostro futuro: inverno demografico, inflazione, indebolimento dello yen. Quando ha incontrato il presidente statunitense Donald Trump, in visita in Asia a fine ottobre, i due hanno mostrato grande sintonia e in un comunicato congiunto hanno parlato di andare verso «un nuovo periodo d’oro» dell’alleanza tra i due Paesi. Sperando che sia un periodo di pace.
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È l’erede politica
di Shinzo Abe. (Keystone)
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CULTURA
Moltitudine di significati all’AreaPangeart
Dieci anni di dialoghi sottili in un luogo che oppone resistenza alla leggerezza del presente, e dove arti diverse si riconoscono senza clamore
Rilke, 150 anni di un’inquietudine feconda
Dalla Firenze iniziatica alla Svizzera scelta come riparo interiore, si ricompone il filo di una vita sorretta da muse generose e da un’idea di arte come necessità assoluta
Quando l’accessorio è essenziale
Mostre ◆ La Pinacoteca Züst di Rancate dedica una mostra ai complementi di moda tra Ottocento e Novecento
Alessia Brughera
Nell’Ottocento, definito il «secolo della borghesia» per l’influenza che questo ceto ha nel plasmare la mentalità e lo stile di vita della società, l’abito affida più che mai agli accessori il compito di mantenere ed esibire le differenze tra le classi. Cappelli, bastoni, borse, scarpe, guanti, fazzoletti, parasole e ventagli, a dispetto di come vengono chiamati a quel tempo, «petits rien», «piccoli nonnulla», sono in realtà capaci di fare davvero la differenza, diventando segni distintivi che mettono in evidenza l’unicità di chi li indossa.
Testimoni delle tendenze dell’epoca, questi oggetti d’uso quotidiano, spesso di altissima qualità artigianale, parlano un linguaggio silenzioso che comunica immediatamente lo status e l’appartenenza sociale dei loro possessori. Non stupisce dunque che siano veri e propri must haves a cui le classi più abbienti non possono proprio rinunciare, forse messe in guardia dal prosaico monito del drammaturgo francese Honoré de Balzac, per il quale «la trascuratezza nel vestire è un suicidio morale», o forse attratte dalla concezione più poetica che degli accessori ha lo scrittore Charles Baudelaire: non semplici appendici, ma elementi essenziali che si fondono con la personalità di chi li sfoggia e che permettono di definire un ideale di bellezza contingente e insieme universale.
L’evoluzione di questi preziosi manufatti tra il 1830 e il 1930 è raccontata dalla mostra allestita alla Pinacoteca Züst di Rancate grazie al felice accostamento tra gli oggetti reali e la loro rappresentazione artistica, in un excursus tra moda, arte, storia e costume a cui l’istituzione ticinese non è nuova. Gli accessori realizzati in fogge ricercate e in materiali raffinati dialogano così con sculture e dipinti coevi, dando vita a un affascinante raffronto che ci consente di comprendere il gusto del tempo e di rivivere un’epoca caratterizzata dall’amore per il bello, in cui la ricerca di un’eleganza quotidiana è inseguita sia da coloro che con maestria concepiscono e confezionano questi complementi sia da coloro che li acquistano ed esibiscono con orgoglio. Il re di questi accessori è sicuramente il cappello, che nell’Ottocento trova il suo modello maschile più in voga nel cilindro, copricapo da giorno, emblema della rispettabilità borghese, divenuto in breve tempo oggetto del desiderio anche delle altre classi sociali (che spesso lo comprano usato), come testimonia il dipinto Spazzacamino, datato 1883, di Spartaco Vela. I cappelli femminili, molto più esuberanti e fantasiosi (bello, tra quelli esposti, un esemplare in velluto di seta realizzato con piume di struzzo e di uccelli del paradiso), sorprendono invece per la varietà delle fatture: ci sono tamburelli, toques, copricapi a falde larghe e,
soprattutto, la capote, modello che troviamo indossato dalle signore non più giovanissime nella tela del pittore Michele Tedesco intitolata Una ricreazione alle Cascine di Firenze, del 1863, vero e proprio compendio di tutti gli accessori che una donna nella metà dell’Ottocento non può non possedere. Indispensabile nel guardaroba maschile, così come in quello femminile, dove è presente almeno fino agli inizi del XIX secolo prima di essere soppiantato dal parasole, è il bastone da passeggio. Realizzati in legni pregiati e in materiali preziosi, questi manufatti sono a volte sorprendenti capolavori dell’arte applicata. Delizioso, in rassegna, il bastone appartenente alla collezione di Luciano Cattaneo con l’impugnatura in avorio scolpita a forma di gatto che tiene un topolino tra gli artigli. Ingegnosi, poi, quelli accessoriati, chiamati «a sistema», che possono contenere il necessario per cucire o dipingere, come quello esposto a
Rancate dotato di piccoli vani interni per custodire pennelli e colori. Quanto il parasole sia un oggetto d’obbligo per le donne dell’Ottocento, utile per preservare quel candore di viso e mani che è sinonimo di distinzione, è testimoniato dai tanti modelli presenti in mostra, confezionati con manici e puntali in avorio, corallo o legno, e con cupole in seta, lino o cotone finemente decorate.
Altro capo d’abbigliamento fondamentale è il guanto. Nel XIX secolo non si è un gentiluomo alla moda se non se ne indossano più paia al giorno, a seconda dell’occasione, e non si è una donna rispettabile se, nel pieno ossequio dell’etichetta del tempo, non lo si calza ovunque fuori casa e categoricamente non più di due volte in tutto, per il piacere delle cameriere che lo ricevono poi in dono.
La mano guantata di uomini e donne dell’Ottocento fa spesso sventolare raffinati ventagli, dapprima di
piccole dimensioni, in seguito a pagina più ampia, realizzati con materiali preziosi, come la seta e il tulle, o meno pregiati, come la carta. Di questo complemento, divenuto nel tempo accessibile a molti, sono presenti in mostra alcuni esemplari, tra cui quello in piume di struzzo bianco appartenuto alla contessa Maraini.
Sebbene a lungo «vittima» delle ampie vesti femminili con tasche profonde che rendono vano il suo utilizzo, la borsa fa la sua comparsa nel XIX secolo in modelli piatti e di piccole dimensioni, comodi per riporvi fazzoletti, ventagli e portamonete. È solo a partire dai primi decenni del Novecento, però, con l’avvento di abiti dalla linea più semplice, che viene finalmente considerata dalle donne un oggetto indispensabile, come documentato nell’esposizione dai preziosi esemplari da sera in maglia d’argento provenienti da storiche famiglie luganesi. Non possono poi mancare, ovvia-
mente, le scarpe, che nell’Ottocento vedono trionfare in un primo momento le ballerine e a seguire lo stivaletto, quest’ultimo indossato da donne e uomini in ogni occasione. Tale accessorio, al pari della borsa, acquista un’importanza maggiore con il mutare della moda, grazie a gonne dagli orli sempre più corti che lasciano scoperta la calzatura.
Nell’accattivante intreccio tra moda e arte che la mostra rancatese propone c’è anche spazio per due interessanti focus che indagano gli aspetti legati alla produzione e alla commercializzazione di alcuni dei manufatti esposti.
Il primo è dedicato alla confezione di cappelli, borse e cestini di paglia nella valle Onsernone, uno dei territori ticinesi più appartati che custodisce una storia artigianale davvero unica. Qui, infatti, dal Cinquecento alla fine dell’Ottocento, l’attività della lavorazione della paglia, gestita come un vero e proprio sistema industriale, ha dato vita a un centro produttivo di rilevanza internazionale i cui manufatti sono stati esportati in Italia, Francia, Germania e nelle Americhe. Il secondo approfondimento interessa la produzione e la vendita di copricapi e borse in Ticino, con particolare attenzione all’attività di alcuni negozi e cappellifici presenti nei principali centri urbani del territorio. Fotografie, attrezzi da lavoro, documenti originali e oggetti provenienti direttamente dagli eredi delle famiglie del commercio del Cantone – tra cui i Fumagalli, i Patuzzi, i Poggioli e i Poretti – raccontano la storia di un successo ottenuto con impegno, lungimiranza e creatività.
A chiudere la rassegna in maniera efficace è una piccola sezione che omaggia la figura della stilista luganese Elsa Barberis, self-made woman che, a partire dagli anni Trenta del Novecento, con estro e intraprendenza, crea una linea innovativa di capi femminili eleganti ma allo stesso tempo pratici e disinvolti. Autodidatta e profondamente legata alle proprie radici, tanto da dare ai suoi abiti i nomi di città e villaggi ticinesi, Barberis arriva a conquistare una clientela internazionale grazie a uno stile pensato per la donna moderna. Una donna indipendente e consapevole delle proprie capacità che lei stessa ha rappresentato in maniera esemplare.
Dove e quando Accessori di classe. Complementi di moda tra uso quotidiano e identità sociale 1830-1930. Pinacoteca Cantonale Giovanni Züst, Rancate. Fino al 22 febbraio 2026. Orari: da ma a ve 9-12/14-17, sa e do 10 -12/14-18. www.ti.ch/zuest
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Regalamomenti difelicità
Tre voci e tre anime del silenzio
10 anni AreaPangeart ◆ Un centro culturale plasmato da visioni che convergono senza rumore, nel segno dell’autenticità
Emanuela Burgazzoli
Dialogo e confronto sono parole fondanti per Loredana Müller che dieci anni fa insieme al compagno Gabriele Donadini ha fondato AreaPangeart, un «piccolo centro culturale», uno spazio in cui ogni mostra propone l’incrocio di sguardi di artisti e il fare di linguaggi espressivi diversi: «Il fatto creativo è anche fatica, una fatica di vivere, e quindi per me diventa fondamentale il confronto con chi condivide questa dimensione, dove si presentano delle impossibilità ed è lì che poi ognuno trova le proprie possibilità; qui si sono succedute personalità molto diverse, ma ciò che ci accomuna è l’autenticità, un valore sempre più raro nel mondo artistico odierno».
Uno spazio dunque che oppone resistenza alla fragilità, all’apparenza, al consumo immediato di senso. Questo moderno continente delle arti, che attira artisti anche oltre i confini locali, si nutre della ricerca di senso; già il suo nome – AreaPangeart – evoca una moltitudine di significati: Pangea come il supercontinente dell’era paleozoica con un rimando al solco preistorico del Monteceneri e alla linea dell’Insubria; gea come terra e Pan come il tutto e «area, perché è luogo e non-luogo». E perché entrando nelle piccole sale del centro si ha l’impressione di aver varcato una soglia spazio-temporale che trasporta in una dimensione in cui si coglie la densità del silenzio, che nella sua accezione più feconda è ascolto dell’altro e di sé: «Spesso mi chiedono perché restare in silenzio in questo periodo in cui bisognerebbe urlare, ma io rispondo che l’operazione
che possiamo fare su noi stessi è forse molto più significativa, mettendoci all’ascolto, sottraendo, come è accaduto durante la pandemia».
Non è un caso che il titolo della mostra simbolica che segna il decennio di attività – e si aggiunge alle 33 passate e a 180 tra eventi e incontri – sia proprio Silenzi, in cui dialogano i teleri di Loredana Müller, i pastelli su carta di Giulia Napoleone e le sculture di François Lafranca, tre mondi che ruotano attorno al pensiero di Max Picard, scrittore e filosofo vissuto a lungo in Ticino secondo cui il silenzio è «un vivo animale preistorico»: dunque è una cosa antica, primigenia, presenza.
Per questa ricorrenza Loredana Müller ha voluto invitare un’amica e un’assidua frequentatrice del centro, l’artista di Pescara Giulia Napoleone, e François Lafranca, editore, stampatore e scultore che vive in Alta Valmaggia ed espone qui le sue sculture; la sua è una scultura di interventi minimi, che sembra stare in ascolto della materia, della concrezione della pietra. Le pietre raccolte nei suoi luoghi si socchiudono come scrigni, la loro compattezza è attraversata da fenditure e spaccature, quasi fossero continenti in formazione, con una parte «alloggiata» in una dimora, e una parte che resta più mobile, a simboleggiare il continuo spostamento del mondo naturale e la «fuga dalla forma». Nelle sue tredici carte, Napoleone esplora il blu cosmico dei cieli lontani, finestre sull’assoluto, in cui si distinguono costellazioni reali e immaginarie; sono opere in cui il colo-
re diventa corpo con un gesto quasi meditativo che satura la superficie, pur lasciando sempre intravedere la grana della carta. Punti bianchi calibrati per disegnare croci, archi e cerchi, geometrie del silenzio appunto; superfici che oscillano tra la densità della stratificazione e la rarefazione del pensiero. In questo dialogo serrato si inseriscono i teleri pa-
stosi e materici di Loredana Müller, che ha lavorato su lenzuoli di lino di fine Ottocento, appartenuti alla sua famiglia, costruendosi i propri colori e pigmenti, che raccontano di mondi aerei e liquidi allo stesso tempo. Il progetto, a cui i tre artisti hanno lavorato per un anno, non può definirsi una semplice mostra collettiva, ci tiene a precisare Loredana Müll-
er, artista e curatrice dell’allestimento e sempre attenta a mantenere in equilibrio le tre anime riunite nel segno del silenzio. E soltanto nel silenzio possono risuonare le vere parole, quelle che sono lontane dal «brusìo verbale» della vita quotidiana, lontane dal «dispendio» e più vicine al bisbiglio, secondo Antonio Rossi, in una delle poesie che accompagnano la mostra; per Rita Iacomino è il silenzio dell’infanzia, simile ad «acqua tra le falde, sotterranea», a essere riserva e risorsa per il mondo adulto; mentre Gilberto Isella, un alleato da anni del centro culturale di Camorino, recupera il silenzio nella fissità di un «manto di seta» o di «un falco imbalsamato».
Anche questa mostra è accompagnata da suoni pensati per l’occasione, grazie a Marco Colonna che esegue al clarinetto basso suoni Suizen ispirandosi ai monaci Komuso (e che sarà in concerto il 15 dicembre per il finissage).
Arte visiva, parola poetica e musica intrecciano invisibili trame, a formare una inaspettata alchimia, che funge da scudo all’entropia del mondo esterno. «I temi attuali li affrontiamo ma in maniera meno esplicita, cercando di trovare le parole che decostruiscono e che ritentano di riqualificare l’essere, perché noi esistiamo e anche se attorno a noi è un disastro, noi dobbiamo continuare a sopravvivere», conclude Loredana Müller, che sta già guardando alla prossima mostra, dedicata a due fotografe «atipiche», Daria Caverzasio e Paola Mongelli. Atipiche, proprio come lei.
John Florio, il ghostwriter di Shakespeare
Anniversari ◆ A quattrocento anni dalla morte permane il mistero sul più importante umanista del Rinascimento inglese
Sabrina Faller
Un fantasma si aggira per l’Europa e oltre. È quello di Giovanni o John Florio (1552-1625), linguista, traduttore, precettore, personaggio di spicco del Rinascimento inglese, contemporaneo di Shakespeare, italiano d’origine e in parte svizzero di formazione. Si celebrano quest’anno, piuttosto in sordina, i quattrocento anni dalla morte, ma il suo nome è noto soprattutto tra gli studiosi e gli appassionati di quella fragorosa temperie culturale che fu l’età elisabettiana.
Nessuna popolarità per John Florio, anche se resta l’autore di molte opere significative ed ebbe una vita a dir poco romanzesca. Giovanni era figlio di Michelangelo Florio, fiorentino di famiglia ebraica, convertito al protestantesimo che, per fuggire dalla condanna a morte per eresia, fu costretto ad andare esule prima in Inghilterra, dove nacque John dall’unione con una donna rimasta ignota, poi a Strasburgo dove conobbe Federico di Salis, membro di una potente famiglia della Val Bregaglia, che gli propose di sostituire nel ministero il defunto pastore di Soglio, così la famiglia Florio arrivò nel villaggio dei Grigioni il 27 maggio 1554.
Lì, tra montagne innevate e lunghe sere invernali, il bambino Giovanni trascorre la prima e la seconda infanzia, educato fino ai dodici anni dal padre, che a Soglio svolge anche attività notarile e che al figlio trasmette la co-
noscenza di numerose lingue, tra cui l’italiano, l’inglese, il francese, il latino e l’ebraico, poi lo spedisce a studiare a Tubinga, dove ha come tutore Pietro Paolo Vergerio, uomo di grande cultura e teologo, anche lui passato dal cattolicesimo al protestantesimo. Nel 1571 John torna nella natia Londra e qui dalla professione di tintore, che esercita inizialmente, passerà a occupazioni tipiche dell’umanista del tempo, pubblicando il suo primo libro, First Fruits, sorta di manuale per inglesi colti appassionati di lingua italiana. Qui troviamo dediche di attori della compagnia dei Leicester’s
Men, che rivelano il vivo rapporto di Florio con il teatro del suo tempo. Importantissimo fu per lui l’incontro con Giordano Bruno, conosciuto all’ambasciata francese di Londra, dove John lavorò tra il 1583 e il 1585 con incarichi di precettore, ma anche di segretario, rappresentante legale dell’ambasciatore e perfino di spia per Elisabetta I. Dell’amicizia con l’umanista anglo-italiano si ha traccia nelle opere di Bruno, in particolare ne La cena delle ceneri e in De la causa, principio et uno, mentre Florio lo ritrasse nei Second Fruits, usciti nel 1591, dove si definisce Italus ore, Anglus pectore ovvero «Italiano di lingua, Inglese nel cuore».
In quegli anni John è riconosciuto come una delle menti più brillanti del suo tempo: viene assunto come tutore personale del conte di Southampton e collabora alla traduzione dell’Orlando furioso. Pubblica poi il dizionario
A world of words (Un mondo di parole), per rendere accessibile ai non italofoni lo studio dei classici della letteratura italiana.
Nel 1603 esce la sua celebre traduzione dei Saggi di Montaigne, che tanto rilievo ebbero nella cultura del tempo e nell’opera di Shakespeare. Apprezzato dalla regina Anna di Danimarca consorte di Giacomo I, fu maestro di italiano e francese e fece da precettore ai loro due figli. A lei dedicò la seconda versione del suo di-
zionario, che conteneva 70mila parole italiane e 150mila termini inglesi. Prima di morire di peste a Fulham, dove si era ritirato dopo la morte della regina Anna, collaborò alla traduzione del Decameron del Boccaccio.
Una vita avventurosa e densa la sua, costellata di intrighi e incontri ad altissimo livello politico e intellettuale. Ma ciò che più colpisce della sua sfaccettata personalità è il rapporto con William Shakespeare, sulla cui identità moltissimo si è discusso e si discuterà ancora. John Florio è infatti uno dei molti nomi, e dei più accreditati negli ultimi decenni, proposti come autore delle opere di Shakespeare. Espressioni, proverbi, neologismi, strutture linguistiche riferite da Florio nelle sue opere vengono utilizzate da Shakespeare nei suoi lavori e alcuni studiosi rilevano il coinvolgimento di Florio nella stesura del First Folio, prima edizione delle opere shakespeariane, pubblicate postume nel 1623. Poi c’è quella prima descrizione del giovane Shakespeare fatta da Robert Greene in un suo scritto del 1592, che lo definisce, tra l’altro, un «corvo venuto dal basso» e un «Johannes factotum», laddove «Johannes» starebbe appunto per Giovanni (Florio) «tuttofare», in quanto ebbe incarichi di varia natura presso la corte.
La discussione è aperta e affascinante. Studiosi italiani e della Val Bregaglia sono convinti che John
Florio e William Shakespeare siano la stessa persona. Dal 2018 è in vigore a Soglio un piccolo festival annuale dedicato all’illustre residente di un tempo, dal titolo «Florio vive» (www.florio-soglio.ch), che comprende conferenze, spettacoli, concerti. Quest’anno è tornata a tenere una conferenza di aggiornamento una delle più tenaci studiose di John Florio, la dottoranda Marianna Iannaccone, autrice del volume Resolute John Florio all’ambasciata francese, alla quale spetta il merito di aver ritrovato alla British Library la copia personale della Divina Commedia posseduta da Florio.
Per i primi mesi del 2026 si prepara a Roma un convegno internazionale a lui dedicato, promosso dal Gruppo di Servizio per la Letteratura Giovanile, convegno di cui è responsabile Anna De Majo, già assistente ordinaria di antropologia all’Università La Sapienza di Roma. Dal 1963 esiste un premio biennale a lui intitolato, sponsorizzato dall’Istituto Italiano di Cultura di Londra e da Arts Council England, e assegnato dalla Society of Authors, per la miglior traduzione inglese di un’opera italiana di valore letterario. Ma, che lo si creda o no l’autore delle opere di Shakespeare, il nome di Giovanni o John Florio rimane un mistero non ancora scandagliato fino in fondo nelle sue innumerevoli possibilità.
John Florio in un’incisione del 1611 di William Hole. (Wikimedia)
Napoleone, Lafranca, Müller; opera a tre mani: per i 10 anni di AreaPangeart; cm 75x75 carta su tavola (2025). Parte alta Giulia Napoleone Silenzi-confini, pastello su carta Arches; parte centrale François Lafranca argini – carta e anfibolite, pietra e carta; parte terza Loredana Müller concrezione, vuoto, materia, carta e fuliggine a mano.
Buono di CHF 10.– sull’intero assortimento* con il codice: 7234
L’estate mancata di Rainer Maria Rilke
Letteratura ◆ A centocinquant’anni dalla sua nascita, resta l’eco del poeta apolide che cercò una patria dell’anima e un’estate per l’arte
Roberto Festorazzi
Il 4 dicembre 1875, 150 anni or sono, nasceva a Praga Rainer Maria Rilke, considerato oggi il maggior poeta in lingua tedesca del Ventesimo secolo, che negli ultimi anni della sua tormentata vita scelse la Svizzera quale terra di elezione.
Lirico, prosatore, accanito epistolografo, Rilke fu anzitutto uno spirito in secessione dalle forme d’arte tradizionali, in urto con il classicismo nella ricerca formale di un espressionismo simbolista: ma fu anche in secessione dal Dio dei cattolici, privo di una Patria, dopo il crollo dell’Impero austro-ungarico. Per questo, per tutta la sua esistenza, fu un apolide, continuamente errante da una parte all’altra dell’Europa, fino all’Africa, alla ricerca non di un maschile e marziale Vaterland, quanto piuttosto di un’Heimat, una casa comune a immagine dell’anima femminile.
Sarebbe rimasto uno spiantato, se a soccorrerlo non fossero state quelle favolose donne che gli regalarono il calore del loro spirito, i denari per poter inseguire l’impetuosa vena creativa, e, non ultima, una dimora in cui posare il capo. Ecco perché in Rilke noi vediamo, oggi, forse l’ultimo homme de lettres che abbia giganteggiato nel nostro paesaggio contemporaneo, così arido di figure totalmente generose e dedite solo alla crescita dell’arte come ideale e fine ultimo.
«L’artista rappresenta l’eternità che si addentra nel tempo», scrive nel Diario fiorentino, vergato nel 1898, al tempo del suo viaggio giovanile nella Capitale del Rinascimento, che fu a tutti gli effetti un itinerario di iniziazione alla sua poetica, un testo programmatico che costituisce il bozzolo da cui si sviluppò una delle più ricche e fertili liriche del secolo scorso, di una musicalità melanconica ispirata a una nuova mistica cosmica, panteistica, che è stata troppo spesso associata al decadentismo. Ed è al Florenze Tagebuch, reso possibile, cioè finanziato, da una delle sue più grandi protettri-
ci mecenatesche, amanti, muse e madri, Lou Salomé, che noi attingiamo per scoprire il mistero di quest’anima dominata dall’oscuro senso del dolore della vita.
Nella sua concezione filosofica, influenzata da Nietzsche e Schopenhauer, le cose non esistono se non come rappresentazione soggettiva, per il significato di cui si connotano alla luce delle nostre esperienze. E l’opera d’arte è un sistema chiuso, inaccessibile, oggi diremmo autoreferenziale, ma che contiene un tesoro di inestimabile consolazione in quanto riflesso del patimento e della gioia dell’elemento umano.
Già profondamente calato nelle avanguardie culturali europee, a cavallo tra Otto e Novecento, fu attratto dall’opera scultorea e pittorica di Auguste Rodin, tanto da fungerne, per alcuni anni, da segretario.
Tra i capisaldi etici e filosofici di Rilke vi è la convinzione che l’arte italiana del Rinascimento abbia rappresentato, metaforicamente, la primavera di un geniale slancio creativo che non ebbe sviluppo successivo in un’attesa estate. L’ansia della vaticinata compiutezza si avverte chiaramente nelle riflessioni del Diario fiorentino, laddove indica: «Forse non sono ancora destinato a vedere l’estate che sono sicuro verrà. Forse anch’io possiedo solo forza per la primavera, nonostante tutto. Ma possiedo coraggio per l’estate e la fede della beatitudine. Anche quelli del Rinascimento possedettero una forza crescente, che voleva essere quasi estate: Michelangelo crebbe. Raffaello rimase in fiore. Ma non seguì alcun frutto: era giugno, un caldo, chiaro giugno temporalesco». Al tema dell’incompiuta esplosione primaverile, si sovrappone un altro concetto, interessante, che l’autore esprime. Le Madonne del Botticelli avvertono quasi l’umiliazione del loro essere state risparmiate da una vera maternità, per la loro natura di vergini, consapevoli di non maturare mai
si lega alla cristallizzazione di un genere figurativo che non contempla la piena realizzazione della vocazione universale della donna a una maternità naturale, non verginale.
Scrive Rilke, nel saggio Sull’arte (Über Kunst), anch’esso del 1898: «Questa fu la primavera. Dopo non seguì nessuna estate; e se hanno ragione coloro che reputano irrecuperabile quel Rinascimento, forse il nostro tempo potrà dare inizio all’estate che appartiene a quella lontana e solenne primavera, portando lentamente a frutto quanto allora si realizzò in candidi fiori».
E, di rimando, nel Diario fiorentino: «Le madri, certo, sono come gli artisti. Il travaglio dell’artista è quello di trovare se stesso, la donna si adempie nel figlio. E quello che l’artista trae a pezzi fuori da sé, la donna solleva dal suo grembo come un mondo pieno di forze e di possibilità. Il cam-
mino della donna è diretto sempre verso il figlio, prima della maternità e dopo. Appena comprende se stessa, trae la sua meta fuori di sé e la pone in mezzo alla vita. Perché il suo sentiero deve condurre alla vita».
Il grande poeta vedeva nel movimento della Secessione viennese e nei fermenti analoghi che prendevano forma a Monaco, forse un’anticipazione di quella svolta estiva dell’arte da lui tanto agognata come una prefigurazione idealistica. Nel 1919, Rilke lasciò definitivamente la Germania, emigrando tra varie località elvetiche, da Losanna a Ginevra, da Locarno a Brissago, a Zurigo, a Muzot, nel Vallese.
L’autore di Elegie duinesi e di Sonetti a Orfeo, patì sempre la precarietà economica. Privo di casa, di beni, di ufficio, di onori, nel 1915, apprese che gli oggetti contenuti nei suoi alloggi di Parigi erano stati messi all’asta. Nel 1921, fece chiudere la sua dimora di Monaco, che rischiava di essere
sequestrata, per salvare i propri documenti, trasferiti a Lipsia. Il 26 aprile 1926, i beni di Rilke, oggetto del sequestro a Parigi, tornarono nella sua disponibilità e riuscì a metterli in salvo grazie all’aiuto di André Gide, che li nascose nei sotterranei dell’editrice Gallimard.
Intanto, durante il 1923, le condizioni di salute del poeta cominciarono a peggiorare, tanto da rendere necessari i primi ricoveri ospedalieri. Sofferente di dolori intestinali, fu in cura dal dottor Hämmerli. Il decorso della sua malattia divenne spaventosamente drammatico, nel corso del 1926. Alcuni medici di Zurigo, consultati da Rilke, esclusero si trattasse di tumore, come temeva il letterato. Verso la fine di novembre di quel 1926, la «bestia» che gli divorava il corpo ebbe finalmente un nome: leucemia acuta. Si spense il 29 dicembre successivo, a soli 51 anni, per essere sepolto nel piccolo cimitero di Raron, nel Vallese.
come madri. Ecco che il senso del mancato avvento dell’estate dell’arte
Rainer Maria Rilke, immagine di copertina di Elegie duinesi nell’edizione di Passigli Poesia, 2022.
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Alessio Bro (e il figlio)
Sono in libreria. Sto scandagliando lo scaffale di poesia.
«Lei ama la poesia?», dice una voce maschile dietro la mia spalla sinistra. Mi giro. Vedo un ometto che potrebbe avere la mia età – io ne ho 65 –, con addosso un cappotto blu e sulla testa dei capelli neri neri che sembrano finti.
«Sono un lettore di poesia», dico.
«E che genere di poesia legge?», dice l’ometto.
«Seguo la poesia italiana, principalmente», dico.
«La poesia italiana», dice l’ometto. «Sì», dico.
Cerco di non guardargli con troppa insistenza i capelli.
«E le sembra che questo sia un buon momento per la poesia italiana?», dice l’ometto.
«Mah», dico. «La maggior parte dei libri di poesia che si pubblicano sono brutti, ma era così anche trent’anni fa o cent’anni fa. Quando trovo un libro all’anno che mi sembri buono, veramente buo-
Pop Cult
no, sono contento. Mi pare già tanto». «E ne trova, uno, all’anno?», dice l’ometto.
«Ma sì», dico.
«Lei conosce il poeta Alessio Bro?», dice l’ometto. «È lei?», dico. L’ometto sorride. «No», dice. «È mio figlio». «Non l’ho mai sentito nominare», dico. «Posso recitarle una sua poesia?», dice Bro. «Prego», dico. Bro si drizza, si mette in posa. Ho l’impressione che il movimento produca un infinitesimale scivolamento verso destra della sua massa capelluta. «Papà», dice con enfasi, «se anche tu non fossi il mio papà, io ugualmente ti amerei, così come sei, per quello che sei –».
«È Sbarbaro», dico.
«Prego?», dice Bro. «È una poesia di Camillo Sbarbaro, questa», dico.
«E chi è Camillo Sbarbaro?», dice Bro.
Mi giro, prendo dallo scaffale il Meridiano Mondadori con tutte le poesie di Sbarbaro. Cerco la pagina. «Ecco», dico. «Padre, se anche tu non fossi il mio Padre, se anche fossi a me un estraneo, per te stesso, ugualmente t’amerei».
«Non è proprio uguale», dice Bro. «Insomma», dico.
«Potrebbe anche essere stato questo… questo Sbarbaro a copiare da mio figlio», dice Bro. «Il libro è uscito un anno fa».
«Sbarbaro è morto da quasi sessant’anni», dico. «Il libro che contiene questa poesia è del quattordici. Mille e novecento».
«Può essere una coincidenza», dice Bro. «I suoi capelli sono finti?», dico. «Come si permette?», dice Bro. «Secondo me sono finti», dico. Bro diventa rosso rosso.
«Sì, sono finti», dice. «Lei ha qualcosa da ridire?».
«No», dico. «Saprebbe recitarmi un’altra poesia di suo figlio?».
La psicologia come fenomeno da prima serata
Sebbene il suo popolarissimo show televisivo sia ufficialmente giunto alla sua ultima puntata già nel 2023, appena pochi giorni fa il celeberrimo Dr. Phil – all’anagrafe Phil McGraw, «psicologo televisivo» che per oltre 30 anni ha dominato i palinsesti americani –è tornato nuovamente alla ribalta, stavolta per via di questioni al di fuori del suo abituale campo di competenza. Il presentatore sembra infatti essere uscito sconfitto dal procedimento legale intrapreso contro il proprio distributore mediatico, Trinity Broadcasting Network, per violazione di contratto nell’ambito dell’istanza di fallimento presentata dallo stesso McGraw relativamente alla sua compagnia, Merit Street Media; istanza a cui la TBN ha risposto con una controquerela, affermando che il Dr. Phil avrebbe addirittura messo in atto un pluriennale piano fraudolento ai loro danni.
Xenia
A risultare particolarmente aggravanti per Phil sono infatti le molte e-mail che la corte lo ha accusato di aver eliminato al fine di occultare le prove della garanzia di rimborso fornita al suo principale creditore: un dettaglio che ha immediatamente riacceso le polemiche intorno alla controversa figura di McGraw, il cui status di psicologo più amato dagli americani è da tempo minacciato da chi lo taccia di essere un esponente di spicco della tv spazzatura. Di fatto, sono soprattutto i colleghi – medici, psicoanalisti, eccetera – a criticarlo, accusandolo di aver costruito la sua fortuna sulle disgrazie di persone manipolabili e ignoranti, incapaci di concepire un modo più sano e meno esibizionistico di affrontare i propri problemi. Sorvolando sulla dubbia connotazione etica che uno studio televisivo (con tanto di audience di milioni di tele-
Elaine dell’isola di Tablas
Una piccola suora occhialuta dai lineamenti orientali, vestita di bianco, al volante di un pullmino pure bianco, tentò una manovra spericolata per non restare imbottigliata in un vicolo, ostruito da auto in sosta selvaggia. I romani assistevano scettici: donna, suora e straniera, non sarebbe mai riuscita a passare e avrebbe bloccato definitivamente la strada. Alcuni aiutavano, gesticolando. Il pulmino non aveva telecamera o sensori. Lei si sporgeva dal finestrino, valutava a occhio. Ce la fece, suscitando stupore. Non posso sbagliare, scherzò, ho ventiquattro pupille.
Non avevo fatto caso ai passeggeri e non ho capito cosa intendesse. Si allontanò sgasando. Ma il suo visetto ombreggiato dai giganteschi occhiali mi è rimasto impresso. A nord di Roma, oltre Santa Severa, una brulla brughiera domina la costa, interrotta da
«Sì», dice Bro: «Di questi tempi l’amore è ancora praticabile? Sicuramente sì; io lo pratico, lo vedi, con te, papà; nella vita quotidiana lo pratico; nella vita di ogni giorno».
«Questo è Sanguineti», dico. Bro sbuffa. «E chi è, questo Sanguineti?», dice. Di nuovo mi giro, prendo il tascabile Feltrinelli con l’antologia delle poesie di Edoardo Sanguineti; leggo: «la poesia è ancora praticabile, probabilmente: io me la pratico, lo vedi, in ogni caso, praticamente così: con questa poesia molto quotidiana –». «Basta!», dice Bro. Rimetto a posto il libro. «Gli hanno anche pubblicato un libro!», dice Bro. «Un libro intero!». Ormai è paonazzo. Si sbottona il cappotto.
«E io gli ho dato fiducia», dice Bro. «Io ho creduto in lui, in lui come poeta». «Quanto ha pagato?», dico. «Quanto ha pagato chi?», dice Bro. «Suo figlio», dico. «Per il libro».
«Ho pagato tutto io», dice Bro. «Quanto?», dico. «Tremilacinquecento», dice Bro. «Poteva andare peggio», dico. «Lei non capisce», dice Bro. «Che cosa non capisco?», dico. «I soldi non contano», dice Bro. «Sa come si intitola il libro?». «Papà», dico. «Ma allora lo conosce!», dice Bro. «Ho tirato a indovinare», dico. «E ha indovinato», dice Bro. Allarga le braccia. «Tutto finto». Lascia cadere le braccia. «Finte le poesie. Finto il libro. Finti il suo affetto e la sua ammirazione per me».
«Non drammatizziamo», dico. «Adesso, quando torno a casa, mi sente», dice Bro. «La ringrazio. Lei mi ha aperto gli occhi». Si gira. Fa due passi. Si volta ancora a guardarmi. «Comunque questi», dice, e si mette una mano nei capelli, li tira. «Questi, come vede, sono veri!». Se ne va.
spettatori) può rappresentare nel contesto di un consulto psicologico, bisogna dire che la formula varata dal fenomeno McGraw sembra comunque un successo senza precedenti –certo favorito dall’appoggio della pressoché onnipotente Oprah Winfrey, regina dei talk show a stelle e strisce, la quale, nel lontano 1998, ha a tutti gli effetti «lanciato» il Dr. Phil come psicologo da piccolo schermo. Eppure, nel corso degli anni il suo protetto ha dovuto difendersi dalle più svariate insinuazioni, soprattutto per quanto concerne il supposto sfruttamento di ospiti particolarmente fragili; adolescenti problematici o individui affetti da dipendenze, i quali sarebbero stati sottoposti a trattamenti ai limiti dell’abuso, al solo scopo di farli apparire come casi disperati e nobilitare così l’operato del Dr. Phil agli occhi degli spettatori.
In un certo senso, si può dire che quanto accaduto con la sua sfortunata causa legale sia soltanto l’ultimo dei guai in cui l’anchorman è incappato, soprattutto dal momento che, negli ultimi mesi, la sua abitudine a prendere attivamente parte ai raid dell’ICE (operazioni condotte dall’Immigration and Customs Enforcement) ha finito per renderlo inviso anche a parte del suo pubblico. Tuttavia, la «caduta» di McGraw ha radici ben più profonde, e sembra offrire interrogativi inquietanti: su tutti, dove si colloca la linea di confine tra un genuino desiderio di aiutare il prossimo e lo sfruttamento in nome dell’audience? La psicologia applicata al singolo individuo può davvero considerarsi come materia da palinsesto televisivo, o rischia di trasformarsi inevitabilmente in materiale morboso, da «guardoni» dello schermo?
Forse è proprio questo che dovrebbe darci da pensare, perché al di là della reputazione più o meno traballante di personalità controverse quali il Dr. Phil, è l’atteggiamento a tratti predatorio mostrato dal pubblico a costituire il maggior elemento di disturbo all’interno dell’equazione: in fondo, nient’altro che quella nostra spinta a seguire con insopprimibile curiosità gli altrui problemi, quando ben sappiamo come, nella vita reale, la maggior parte di noi non avrebbe il tempo o la disponibilità ad ascoltare, né tantomeno aiutare, queste persone. Forse sarebbe necessario interrogarsi sul coefficiente di voyeurismo insito in una società che ha bisogno di uno studio televisivo per provare vera empatia nei confronti del prossimo – e in cui, spesso, le disgrazie degli altri diventano semplicemente un mezzo tramite il quale sentirsi più buoni.
qualche caletta inospitale. Il pullmino bianco era parcheggiato avventurosamente sul ciglio della strada, e la stessa suora – scalza – zigzagava spavalda tra sabbia e scogli alla testa di un incerto corteo. Dal gruppo non si levava un suono. Erano, infatti, i sordociechi di un istituto del litorale. Con ferma dolcezza lei li guidò fino alla riva. Ho conosciuto suore centenarie, suore infermiere, suore dedite al contrasto della tratta, suore intellettuali. Mai una suora di trent’anni. I filippini formano una delle comunità straniere più numerose e sfuggenti della nazione. Vi lavorano, benvoluti e assai richiesti per l’assistenza domestica, da almeno quarant’anni. Ma tendono a vivere fra loro e inoltre, se possono, non restano. Rientrano al paese – dove intanto, col loro sacrificio, hanno fatto studiare i figli nelle migliori scuole private, e costruito
grandi case per sistemare la famiglia. Il suo nome era stato Elaine. Veniva dall’isola di Tablas. Bellissima – con la montagna, la barriera corallina, la giungla: rimase delusa che la ignorassi. Ma le isole delle Filippine sono quasi ottomila e, per quanto molte benedette da mare cristallino e spiagge bianche, non sono una meta turistica per gli occidentali. I suoi erano agricoltori, non possedevano altro che la fede. Dopo la morte del padre, la madre era emigrata in Italia: mandava regolarmente soldi, ma non era mai tornata, e le videochiamate non esistevano ancora. Certi parenti insinuavano che si fosse risposata con un connazionale. Ci sono più congregazioni religiose femminili al mondo che granelli di sabbia su una spiaggia, recita una barzelletta cattolica. Non conoscevo la sua, intitolata alla Madonna, ma la superiora di Tablas era una missiona-
ria veneta. Le suore italiane assistevano gli anziani e i malati all’ospedale, e avevano aperto una scuola per i bambini poveri. Lei era una di loro. Voleva raggiungere la madre in Italia, e conosceva un solo modo. Le tre giovani suore filippine consacrate mentre lei frequentava le elementari erano state chiamate in Italia: la congregazione si estingueva – per mancanza di vocazioni e decessi. Così Elaine era diventata aspirante, e poi postulante e novizia. Tre anni dopo aveva recitato la professione ed era diventata suor Angelina. L’Italia l’aveva delusa. Cresciuta nella foresta e poi in una città portuale, si era ritrovata in un pianeta di cemento. Niente bambini, né mare. Però, in quanto unica sorella ad aver superato l’esame della patente, era diventata autista. L’avevano trasferita nell’istituto sul litorale: per i sordi e i ciechi qualcosa di più di un angelo custode. Li
aveva liberati. Li scarrozzava al mare e in campagna, gli insegnava a danzare. E la madre? L’aveva trovata? Sì, ma ormai era un’estranea. Si accingeva a rientrare nelle Filippine, e non capiva perché mai la figlia avesse «buttato via la sua vita».
Nell’emigrazione, della fede che le aveva insegnato non era rimasto niente. Al contrario, la sua era sbocciata. Dio – sorrise – mi ha davvero chiamata. Nella solitudine di un Paese non suo, credeva di morire di nostalgia. Invece era diventata la luce di persone prigioniere del buio e del silenzio. Devo essere felice, per trasmettere la mia gioia. La mia vita non è più solo la mia. Capisci? Ci provo, ammisi. Ma non è un miracolo, precisò. Nulla accade se Dio non vuole. Su quella spiaggia inospitale, spazzata dal vento, mi sono resa conto che negli ultimi anni solo gli stranieri mi hanno parlato di Dio.
di Giulio Mozzi
di Benedicta Froelich
di Melania Mazzucco
ATTUALITÀ
GUSTO
Barrette ai cereali
Biscotti
La finestra della felicità
Croccanti, dolci e pieni d’amore: i discoletti attirano l’attenzione con la loro marmellata brillante. Il segreto per renderli perfetti.
Testo: Claudia Schmidt
Discoletti
alle arachidi
Pasticceria dolce per ca. 25 pezzi
120 g d’arachidi
270 g di farina
80 g di zucchero
1 presa di sale
180 g di burro freddo
1 uovo
ca. 50 g di burro d’arachidi creamy, Creamy
ca. 60 g di gelatine di lamponi arachidi da cospargere zucchero a velo per decorare
1. Tritate finemente le arachidi con ca. 100 g di farina nel tritatutto. Aggiungete alla farina restante passando attraverso un setaccio. Se occorre, tritate nuovamente i pezzetti grandi.
2. Mescolate con lo zucchero e il sale in una scodella. Tagliate il burro a pezzetti, unitelo e sfregate il tutto con le mani. Aggiungete l’uovo e impastate velocemente fino a ottenere una massa omogenea. Avvolgetela con pellicola trasparente e mettete in frigo per almeno 1 ora.
Non impastare a lungo
Mescolare brevemente l’impasto fino a formare una pasta omogenea. Evitare di impastare eccessivamente per mantenere la tipica consistenza friabile dei discoletti.
Cuocere separatamente la parte superiore e quella inferiore
La parte superiore del biscotto diventa scura più rapidamente di quella inferiore durante la cottura. Cuocendo separatamente la parte superiore e quella inferiore, entrambe assumono lo stesso colore. La parte superiore dei discoletti richiede un tempo di cottura più breve.
Dosare con parsimonia la marmellata
Spalmare la marmellata solo con uno strato sottile sulla parte inferiore del biscotto, partendo dal centro. In questo modo si evita che il ripieno fuoriesca e
3. Scaldate il forno statico a 180°C (calore superiore e inferiore). Spianate l’impasto a porzioni di 3-4 mm di spessore. Ricavate delle rondelle di 6 cm Ø. Al centro della metà dei biscotti, ritagliate delle finestrelle tonde o di altra forma. Accomodate i biscotti su teglie rivestite di con carta da forno. Unite i resti di pasta, mettete in frigo e poi formate altri biscotti, finché è esaurito l’impasto. Cuocete i biscotti, una teglia alla volta, al centro del forno per ca. 10 minuti. Sfornate e lasciate raffreddare.
Dai fiocchi d’avena alle barrette
4. Spalmate dapprima poco burro di arachidi sui fondi dei biscotti e poi la gelatina di lamponi. Coprite ogni fondo con un biscotto con finestrella. Tritate le arachidi e distribuitene un poco sulla gelatina. Spolverate i biscotti con lo zucchero a velo.
Da oltre quarant’anni le barrette Farmer ci accompagnano ovunque e sono sempre pronte come spuntino. Ora arriva il nuovo gusto lampone-vaniglia. Eravamo presenti alla produzione in anteprima di questa nuova varietà
Deliziosi biscotti ricoperti di zucchero a velo e ripieni di irresistibile confettura, ma certo sono loro: i famosissimi discoletti alle fragole!
Testo: Claudia Schmidt Foto: Daniel Winkler
Ingredienti come fiocchi d'avena e crispies di riso stanno per essere mescolati con lo sciroppo.
Ricetta
Discoletti alle fragole
Per dei discoletti perfetti
Pasta in blocco per discoletti Anna’s Best 500 g Fr. 4.60
Set di stampi per biscotti
si conserva l’aspetto tipico.
Altre ricette di biscotti su Migusto.ch
E qui abbiamo la nuova barretta vaniglia-lamponi: Elena Bianca Arhire mostra con orgoglio la confezione.
Devo togliermi i gioielli e sostituire la matita con una biro di metallo, così se per caso mi cade non rischia di scheggiarsi e viene subito individuata e raccolta tramite un sistema magnetico. Entriamo nella sala di produzione Farmer di Meilen (ZH), dove vengono prodotte le prime barrette della nuova varietà lampone-vaniglia.
L’idea della nuova varietà è nata nell’atelier Farmer, dove i fan delle barrette hanno potuto inviare le loro creazioni preferite e poi votare. Il gusto lampone-vaniglia non è riuscito a raggiungere la vetta della votazione online, ma ha ricevuto così tanti consensi che la combinazione di lamponi, cioccolato bianco e vaniglia sta ora per approdare anche sugli scaffali della Migros. La prima creazione con datteri, mandorle e pistacchi è in vendita nei negozi già dall’estate 2024.
Il nostro tour della produzione inizia con i bollitori in acciaio inossidabile. «È qui che viene bollito lo sciroppo per le barrette», spiega Marcel Bosshard, responsabile di progetto per lo sviluppo di nuove varietà presso Delica, azienda appartenente a Migros Industrie. Lo sciroppo è necessario per mantenere gli ingredienti compatti. Lo zucchero, inoltre, conferisce un tocco di croccantezza. Oggi, per la maggior parte delle barrette ai cereali si usa molto meno zucchero rispetto al passato, spiega Bosshard, che ha iniziato come panettiere-pasticciere per poi intraprendere la formazione come tecnico dei processi aziendali. Sono stati necessari molti accorgimenti.
Mentre lo sciroppo sobbolle, scopro due grandi contenitori: uno pieno di fiocchi d’avena tritati, l’altro di riso soffiato. Questi ingredienti vengono immediatamente mescolati con lo sciroppo caldo e
«Oggi per le barrette utilizziamo molto meno zucchero rispetto al passato»
Marcel Bosshard, Responsabile di progetto Delica
1979
Nascono le barrette Farmer.
1988
La prima barretta con il cioccolato risale al 1988.
1
Farmer cioccolato-mela è la varietà più popolare. La prima era Farmer Natural.
34
I prodotti Farmer sono 34 in totale, di cui 2 Farmer Snacks.
messi su un nastro trasportatore. Con l’aiuto di un rullo livellatore, la massa viene poi trasformata in un tappeto uniforme, simile a un impasto steso con il mattarello. Solo su scala molto più ampia.
500 barrette al minuto
Una macchina distribuisce ora lamponi secchi e sbriciolati, accuratamente dosati in modo tale che ogni barretta contenga esattamente la stessa quantità di frutta. Successivamente, il tappeto largo 80 centimetri viene fatto seccare per poi tagliarlo in 25 barrette lunghe dieci centimetri e larghe ben tre.
La velocità della macchina, che sposta le barrette da una postazione all’altra, sembra moderata, ma è solo un’impressione: «Qui produciamo fino a 500 barrette al minuto», spiega Elisabeth Beckhoff, responsabile della produzione. Nel frattempo, la macchina continua a prelevare e pesare barrette. In questo modo si garantisce che ogni barretta abbia lo stesso peso. Il nastro trasportatore conduce attraverso una curva alla stazione successiva: qui le barrette vengono immerse brevemente in un bagno di glassa al cioccolato bianco sul lato inferiore. Poi si lascia colare la glassa in eccesso che viene in ultimo rimossa da una macchina, in modo che le barrette abbiano una forma perfetta e non presentino eccedenze di cioccolato. Per inciso, la macchina che esegue questa fase porta il nome affascinante di «Entschwänzelungswelle» (in italiano «macchina per tagliare la coda». «Il nome l’hai inventato tu», scherza Elisabeth Beckhoff. «No», risponde Marcel Bosshard, ridendo e indicando la targhetta sulla macchina, che conferma il nome.
Grande popolarità
Più andiamo avanti, più il rumore aumenta. Arriviamo al reparto imballaggi. Tutti i collaboratori indossano protezioni contro il rumore. Le macchine lavorano a pieno ritmo 24 ore su 24. Una macchina confezionatrice avvolge le singole barrette in una pellicola, le sigilla e poi le smista nelle scatole, che andranno poi a finire nelle filiali Migros. L’intervento manuale è necessario solo in rari casi, ad esempio se la pellicola non racchiude perfettamente la barretta. Questo accade raramente. Un totale di sette collaboratori assicura che tutto funzioni alla perfezione durante i tre turni. Il risultato di questa produzione è impressionante: Delica produce dieci milioni di confezioni di barrette Farmer ogni anno. Non c’è quindi da stupirsi se otto persone su dieci in Svizzera conoscono queste barrette dolci. E forse la nuova barretta al lampone e vaniglia diventerà presto la loro nuova preferita.
Le barrette sono state tagliate e ora passano alla glassatura.
L'operatrice di macchine e impianti supervisiona l'automazione del confezionamento, che funziona a pieno ritmo 24 ore su 24.
Le barrette Farmer in cifre
Farmer Classic Soft Vaniglia Lampone 156 g Fr. 4.75
Nuovo
ATTUALITÀ
Barrette ai cereali
Biscotti
La finestra della felicità
Croccanti, dolci e pieni d’amore: i discoletti attirano l’attenzione con la loro marmellata brillante. Il segreto per renderli perfetti.
Testo: Claudia Schmidt
Discoletti alle arachidi
Pasticceria dolce per ca. 25 pezzi
120 g d’arachidi
270 g di farina
80 g di zucchero
1 presa di sale
180 g di burro freddo
1 uovo
ca. 50 g di burro d’arachidi creamy, Creamy
ca. 60 g di gelatine di lamponi arachidi da cospargere zucchero a velo per decorare
1. Tritate finemente le arachidi con ca. 100 g di farina nel tritatutto. Aggiungete alla farina restante passando attraverso un setaccio. Se occorre, tritate nuovamente i pezzetti grandi.
2. Mescolate con lo zucchero e il sale in una scodella. Tagliate il burro a pezzetti, unitelo e sfregate il tutto con le mani. Aggiungete l’uovo e impastate velocemente fino a ottenere una massa omogenea. Avvolgetela con pellicola trasparente e mettete in frigo per almeno 1 ora.
3. Scaldate il forno statico a 180°C (calore superiore e inferiore). Spianate l’impasto a porzioni di 3-4 mm di spessore. Ricavate delle rondelle di 6 cm Ø. Al centro della metà dei biscotti, ritagliate delle finestrelle tonde o di altra forma. Accomodate i biscotti su teglie rivestite di con carta da forno. Unite i resti di pasta, mettete in frigo e poi formate altri biscotti, finché è esaurito l’impasto. Cuocete i biscotti, una teglia alla volta, al centro del forno per ca. 10 minuti. Sfornate e lasciate raffreddare.
Dai fiocchi d’avena
Non impastare a lungo
Mescolare brevemente l’impasto fino a formare una pasta omogenea. Evitare di impastare eccessivamente per mantenere la tipica consistenza friabile dei discoletti.
Cuocere separatamente la parte superiore e quella inferiore La parte superiore del biscotto diventa scura più rapidamente di quella inferiore durante la cottura. Cuocendo separatamente la parte superiore e quella inferiore, entrambe assumono lo stesso colore. La parte superiore dei discoletti richiede un tempo di cottura più breve.
Dosare con parsimonia la marmellata
Spalmare la marmellata solo con uno strato sottile sulla parte inferiore del biscotto, partendo dal centro. In questo modo si evita che il ripieno fuoriesca e si conserva l’aspetto tipico.
4. Spalmate dapprima poco burro di arachidi sui fondi dei biscotti e poi la gelatina di lamponi. Coprite ogni fondo con un biscotto con finestrella. Tritate le arachidi e distribuitene un poco sulla gelatina. Spolverate i biscotti con lo zucchero a velo.
Discoletti alle fragole
Deliziosi biscotti ricoperti di zucchero a velo e ripieni di irresistibile confettura, ma certo sono loro: i famosissimi discoletti alle fragole!
Testo: Claudia Schmidt Foto: Daniel Winkler
Ingredienti come fiocchi d'avena e crispies di riso stanno per essere mescolati con lo sciroppo.
Ricetta
Per dei discoletti perfetti
Pasta in blocco per discoletti Anna’s Best 500 g Fr. 4.60
Set di stampi per biscotti
Altre ricette di biscotti su Migusto.ch
Discoletti ai pistacchi
Una delizia questi sablé! Ancor di più quando i pistacchi sono i protagonisti di questo classico doppio biscotto farcito di confettura.
Ricetta
Discoletti di panpepato
Pasticceria dolce per ca. 35 pezzi
200 g di mandorle spellate macinate
120 g di farina bianca
160 g di burro morbido
50 g di zucchero a velo
1 bustina di zucchero vanigliato
2 prese di sale
1 cucchiaino di spezie per panpepato un poco di farina per spianare la pasta
80 g di confettura di rosa canina zucchero a velo per decorare
1. Tritate finemente le mandorle con 100 g di farina nel tritatutto. Aggiungete alla farina restante passando attraverso un setaccio. Se occorre, tritate nuovamente i pezzetti grandi.
2. Con lo sbattitore elettrico, lavorate il burro con lo zucchero a velo, lo zucchero vanigliato e il sale per ca. 3 minuti, fino a ottenere una massa chiara e ariosa. Incorporate la miscela di farina e mandorle e le spezie per panpepato, poi lavorate l’impasto finché diventa omogeneo. Se necessario aggiungete poca acqua. Appiattite la pasta, avvolgetela e mettetela in frigo per ca. 1 ora.
3. Scaldate il forno statico a 200°C (calore superiore e inferiore). Spianate la pasta a porzioni a uno spessore di 3-4 mm tra due fogli di carta da forno infarinati. Ritagliate stelle di ca. 5 cm Ø con un tagliabiscotti e accomodatele su una teglia foderata con carta da forno. Per i biscotti di copertura, ritagliate una piccola finestrella rotonda in mezzo alla metà delle stelle. Unite i resti di pasta, mettete in frigo e poi formate altri biscotti, finché è esaurito l’impasto.
4. Cuocete una teglia per volta al centro del forno per ca. 7 minuti. Sfornate e lasciate raffreddare.
5. Rimestate la confettura. Spalmatene in modo omogeneo ca. ½ cucchiaino su ogni fondo a forma di stella. Coprite con un biscotto con finestrella. Spolverate i biscotti con lo zucchero a velo.
Biscotti fatti in casa: sei errori da non fare
Durante il periodo dell’Avvento si preparano i biscotti. Affinché quelli fatti in casa siano una delizia per il palato e gli occhi, dovresti evitare questi sette errori.
1
Usare il burro caldo
Sì, è faticoso lavorare la pasta con il burro freddo, ma è il trucco perché riesca bene. Se si usa il burro caldo, nel forno i biscotti si scioglieranno e perderanno la loro forma. Suggerimento: sminuzza il burro freddo con una grattugia per rösti e incorporalo all’impasto.
2
Usare troppa farina
Certo, per fare i biscotti ci vuole la farina, ma solo tanto quanto indicato nella ricetta. Non esagerare neanche con quella che spargi sul piano di lavoro. Il risultato con troppa farina?
I biscotti diventano secchi.
3 Raffreddare la pasta prima di stenderla
La pasta fredda non si attacca al mattarello e quindi puoi stenderla meglio. È meglio mettere l’impasto in frigorifero per almeno un’ora dopo averlo lavorato. Puoi anche prepararlo il giorno prima, così sarà sicuramente freddo.
4 Disporre i biscotti troppo vicini
I biscotti hanno bisogno di spazio sulla teglia perché durante la cottura aumentano di volume. Se li disponi trop-
po vicini finiscono per attaccarsi. Un vero peccato, perché staccandoli inevitabilmente si rovinano.
5 Non preriscaldare il forno Evitare di preriscaldare il forno quando si preparano i biscotti non è una buona idea. Dovendo infatti prolungare il tempo di cottura rischi di bruciare i biscotti. Ma per quanto tempo vanno cotti? Impossibile dirlo con precisione; in ogni caso fin quando i bordi si scuriscono.
6
Lasciare i biscotti sulla teglia Una volta sfornati, bisogna far raffred-
dare i biscotti velocemente. Se li lasci sulla teglia, rischi che i biscotti diventino troppo duri e secchi sul fondo. Quindi via subito dalla teglia! Solo facendoli raffreddare in modo uniforme diventano belli croccanti. Proprio come li immaginiamo.
7 Non lasciare raffreddare la teglia Devi riutilizzare la teglia per cuocere altri biscotti? Bisogna sempre lasciare raffreddare la teglia tra una cottura in forno e l’altra. Se si posizionano i biscotti su una teglia ancora calda, si rovina la loro forma.
TEMPO LIBERO
In Giappone si parla per immagini
Cartelli illustrati, gatti moralisti, manga affaccendati e avvisi ovunque accompagnano, istruiscono e inibiscono i nipponici
Pagina 39
Un vero classico perfetto per le feste Il filetto di manzo alla chateaubriand va cotto in forno a bassa temperatura e gustato con la salsa béarnaise
Pagina 41
Estrazioni, numeri e simboli
Sono diversi i titoli che confermano la sorprendente vitalità dei giochi contemporanei nati dal meccanismo della tombola
Pagina 43
Chiare e (soprattutto) «fresche» acque
Adrenalina ◆ Dal tuffo gelido dell’Epifania alla traversata estiva, il Lago Maggiore è palcoscenico di sfide acquatiche che uniscono goliardia e passione sportiva
Un tuffo rigenerante nelle acque del lago. D’estate rappresentano l’ideale «rifugio» per chi vuole sfuggire dalla canicola agostana. E d’inverno? Beh, in questa stagione il discorso cambia: il numero di persone che sono disposte a togliersi di dosso i vestiti caldi per rispolverare il costume da bagno con cui fare quattro bracciate nelle calme e, soprattutto, fresche acque del Lago Maggiore diminuisce drasticamente. Eppure qualcuno, e non sono nemmeno in pochi, anno dopo anno, con il pennarello rosso cerchia una data precisa sul proprio calendario. Quella del 6 gennaio. Che a Brissago, da quasi un trentennio, fa rima con «Nodada de la Befana», una delle prime, se non la primissima in assoluto per gli appassionati di questo genere, a essere proposta in Ticino. Con gli anni, poi, altre iniziative analoghe, goliardiche e meno, hanno preso sempre più piede alle nostre latitudini. Fra cui lo «Sveglione» di Tenero, che con le sue diciannove edizioni alle spalle è ormai divenuto una sorta di classico di Capodanno.
La nuotata invernale e la traversata estiva, sono tradizioni ormai consolidate che richiedono organizzazione, coraggio e una buona dose di spirito
A Ginevra, tanto per dare uno sguardo al resto della Svizzera, ogni anno sono in diverse migliaia a darsi appuntamento qualche giorno prima di Natale per la Coupe de Noël, che nel 2024 ha visto la partecipazione record di 4400 persone. Con i suoi novant’anni di vita (per un totale, sin qui, di 86 edizioni), la Coupe de Noël è a tutt’oggi uno dei più grandi appuntamenti al mondo per gli appassionati di nuoto in acque gelide, capace anche di guadagnarsi l’iscrizione al Patrimonio culturale immateriale Svizzero (Unesco).
Ed è appunto traendo ispirazione da questo evento che nel 2000 la Verbano Sub Brissago, e in particolare l’allora presidente Ilario Fidanza, avevano deciso di proporre qualcosa di analogo, ovviamente in scala ridotta, anche nel Lago Maggiore. E così, anno dopo anno – fatte salve le due edizioni (2021 e 2022) cancellate dalla pandemia – in parecchi si danno appuntamento la mattina del 6 gennaio al porto comunale di Brissago «La Ressiga» per le immancabili quattro bracciate. «Solo» 80 metri di acqua, ma che a una temperatura che supera di poco gli 0 gradi (e nemmeno quella dell’aria è tanto superiore) possono anche risultare parecchi. «La cifra record di partecipan-
ti l’abbiamo toccata subito prima della pandemia: nel 2020 abbiamo avuto novanta partecipanti, mentre quest’anno 48» ci racconta il già presidente, e ora vicepresidente, della Verbano Sub Brissago Aris Arrigoni. «Ci sono gli “aficionados”, quelli che si presentano regolarmente all’appuntamento, ma anche diversi volti nuovi che decidono di provare quella che a tutti gli effetti rimane un’esperienza… da brividi».
L’ identikit di queste persone non è così facile: «Sono molteplici le strade che portano alla Nodada de la Befana. C’è chi dopo avervi partecipato una prima volta, magari per spirito goliardico, ne è rimasto affascinato e dunque decide di tornare anche negli anni seguenti, chi lo fa perché pratica regolarmente il gelidismo, ossia il nuoto nelle acque a bassissime temperature, chi per la semplice voglia di mettersi in gioco, chi per scommessa o per rispettare i patti di una scommessa, il più delle volte persa, o, ancora, chi perché con questo simbolico bagno vuol tenere a battesimo il suo anno della svolta».
La Nodada de la Befana non è un appuntamento competitivo, e quindi non ci sono rivelamenti cronometrici o altro. Ma ci sono comunque alcune regole da rispettare: «Ogni partecipante deve immergersi in acqua in costume da bagno, e dunque senza mute o altro tipo di indumenti termici. Fanno ovviamente eccezione quel genere di costumi che si riallacciano al periodo delle festività natalizie: se qualcuno vuole tuffarsi travestito da Babbo Natale, lo può fare. C’è poi chi si limita a qualche bracciata nel lago per uscire poco dopo a “riscaldarsi”, per quanto possibile, o chi si concede addirittura più “vasche”, di 80 metri. Poi, una volta a riva, a tutti questi intrepidi offriamo tè caldo o vin brûlé». La Nodada de la Befana non è però l’unico appuntamento adrenalinico proposto dalla Verbano Sub Brissago. Accanto a essa c’è infatti un altro grande classico: la traversata del lago da Dirinella a Brissago del 1° agosto. Che è ancora più longevo, avendo festeggiato nel 2024 il traguardo delle quaranta edizioni. Tre chilometri e ottocento metri da affrontare una bracciata dopo l’altra.
«Due modi ovviamente diversi di vivere il lago, e che dunque impongono due approcci altrettanto diversi. Se nel caso della Nodada de la Befana, di controindicazioni particolari non ve ne sono (anzi, secondo i cultori del freddo, questo genere di attività porterebbe diversi benefici dal punto di vista della salute), per la traversata del lago direi che una buona base e una specifica preparazione siano imprescindibili». In più, nella traversata
si corre anche contro il tempo, e dunque vince il più veloce: «Che, grossomodo, impiega una cinquantina di minuti per arrivare all’altra riva del lago. Capita però più o meno regolarmente che si presentino al via persone che intendono affrontare la traversata nuotando solo a rana, e questo dilata i tempi provocando un maggiore dispendio di energie, col rischio di trovarsi in serie difficoltà in mezzo al
lago… Per ragioni di sicurezza abbiamo dunque introdotto un tempo limite: chi sfora viene recuperato dalle imbarcazioni che garantiscono il servizio di sicurezza lungo il percorso. L’apparato organizzativo e di supporto che una manifestazione come la traversata del lago richiede è maggiore rispetto alla Nodada de la Befana, non da ultimo perché da un’edizione all’altra abbiamo un numero di par-
tecipanti che oscilla tra le 110 e le 170 unità: ci sono i permessi da richiedere, alle rispettive autorità comunali e cantonali e il servizio di assistenza da predisporre, che comprende il cordone formato da canoisti e privati a bordo delle loro imbarcazioni lungo il percorso e il punto per l’assistenza sanitaria e medica all’arrivo, nonché un dottore a bordo di un’imbarcazione. Niente può essere lasciato al caso».
Moreno Invernizzi
Il Giappone e la grammatica delle buone maniere
Reportage ◆ Cartelli, disegni e personaggi dei manga regolano la vita quotidiana e raccontano un Paese dove anche l’educazione civica diventa linguaggio visivo
Dall’uscita al cinema di Perfect Days, il film di Wim Wenders che racconta la vita di un pulitore di bagni pubblici di Tokyo, è impossibile non essere affascinati dalle toilette giapponesi. Che si tratti di un albergo di lusso, della stazione del treno o appunto di un bagno pubblico sulla strada, l’estetica, l’igiene e la tecnologia di questi luoghi sono uniche al mondo. La cosa che colpisce, oltre all’aspetto tecnologico, è il fatto che non vi siano scritte sui muri né altre imbrattature. Anche perché, va detto, una certa parte delle pareti è occupata da altre scritte e da altri disegni, quelli che spiegano come utilizzare il luogo, sfruttandone tutte le funzioni.
Il Giappone – ci si accorge dopo due o tre giorni, per accumulo, si potrebbe dire – è letteralmente ricoperto di cartelli che segnalano comportamenti vietati, consigliati, opportuni, indicazioni di percorsi, modi di usare strumenti a disposizione del pubblico, modi di camminare, di parlare, di comportarsi. E se non c’è un cartello appeso a una parete, è stampato per terra oppure c’è un addetto o un’addetta che ne regge uno: in testa alla scala mobile delle grandi stazioni, per esempio, un signore solleva un annuncio, che avverte di non lasciare cadere il bagaglio durante la discesa; mentre al museo nazionale di Tokyo una custode, davanti a una splendida statua settecentesca di Buddha, innalza sopra le teste dei visitatori il foglio con il divieto di fare fotografie. Al museo, peraltro, è anche vietato tenere lezioni o spiegare le opere a gruppi di persone, come segnalato da apposito cartello. È difficile sbagliare qualsiasi cosa quando sei in Giappone: i luoghi sono complicati, le stazioni immense e articolate, le strade spesso tortuose e attraversate da viadotti, sottopassaggi e ponti, la lingua, si sa, non aiuta, eppure è difficile sbagliare perché tutto è segnalato, scritto, disegnato. Inoltre, l’efficienza è alle stelle, se sei comunque in difficoltà, appare quasi magicamente un addetto che ti indirizza con gentile fermezza verso la tua meta. Il mondo risponde attivamente e in modo risolutivo perché tutti rispettano le regole, che sono spesso rappresentate giocosamente, anche quando sono severe.
Fra i soggetti preferiti nelle rappresentazioni di queste regole ci sono i gatti, animali amatissimi in Giappone, quasi sacralizzati, grazie alle loro caratteristiche poco meno che fatate di agilità, ambiguità, silenziosità. Il dépliant del Dipartimento di Polizia Metropolitana presente in tutte le città è molto chiaro: il gattino che guarda il cellulare, ascolta musica con le cuffie o tiene aperto l’ombrello mentre è in bici commette un’infrazione. Lo stesso se non ha i freni funzionanti. È invece un cane, con un sacchetto in mano (o nella zampa) a spiegare a due gatti molto attenti che bisogna rendere bella la città, la quale è di tutti, raccogliendo le deiezioni degli animali da compagnia, come loro.
Anche i turisti sono invitati a seguire alcune regole: a Kyoto occorre essere silenziosi come ninjia e non fumare per strada se si è in movimento o attorniati da persone; tuttavia le battaglie più dure si combattono nei dintorni dei binari di treni e metropolitane: «Smettiamola di camminare con lo smartpho-
ne in mano. Alziamo la testa!», recita un cartello diffuso ovunque, in cui quella che sembra una mandria di esseri umani procede ingobbita con gli occhi sullo schermo, ma c’è un signore che finisce addirittura sotto il treno distraendosi con le ultime notifiche o quell’altro, che in realtà è un cinghiale, il quale procede senza guardare mentre chatta e
urta gatti, orsi e qualcosa di simile a dei maialini. Altri cartelli inducono alla calma: non arrabbiarti se perdi un treno (in Giappone c’è sempre un’altra soluzione pochi minuti dopo), quindi non cercare di forzare le porte, non imprecare e ovviamente non prendertela con il controllore né tirandogli la cravatta, né tantomeno prendendolo a pugni, a testate o
a borsate. Anche i commessi dei negozi vanno rispettati, non si insultano, e se si hanno delle recriminazioni sulla merce si espone civilmente il proprio problema.
L’incontro tra «fumettizzazione» della realtà e regole sociali è fortissimo: la rappresentazione della società è mediata da uno sguardo fanciullesco, forse ironico, certamente fluttuante tra realtà e immaginazione. Del resto l’ukiyo-e (letteralmente «immagini del mondo che fluttua») è stata un’importantissima corrente artistica sviluppatasi in Giappone durante il periodo Edo, tra il Seicento e l’Ottocento, che realizzava stampe e pitture pensate per una produzione di massa e a basso costo; raffigurava scene di vita quotidiana cittadina, dai lottatori di sumo alle cortigiane, dai personaggi dello spettacolo (attori per lo più) alle scene grottesche. Sono tratti comuni ai primi fumetti novecenteschi occidentali, così come a quelli giapponesi, salvo poi la grande svolta verso i manga, che hanno letteralmente costruito un immaginario nuovo e, almeno in apparenza agli occhi del turista, totalizzante. Passeggiare per Harajuku, il quar-
tiere forse più eccentrico di Tokyo, tra un neko café, un capybara o un mipig café, dove rilassarsi e bere qualcosa in compagnia di gatti, capibara o maialini, significa infatti incrociare centinaia di sguardi di ragazzine con lenti a contatto colorate che ingrandiscono l’iride, trucchi e capelli intrecciati proprio come nei manga, pupazzetti appesi alle borse, chiusi in piccole trousse trasparenti che li proteggono. Le stesse insegne per la strada sono illustrative, il quartiere Dotonbori di Osaka è l’epicentro: enormi granchi, polpi, ravioli, bocconi di sushi sbucano dalla parete dei ristoranti, i piatti succulenti esposti in vetrina sono in pura plastica lucida, poco più in là il pinguino simbolo di Don Quijote, la più grande catena di discount giapponese, sembra caderti in testa. Volti in una viuzza e il silenzio ieratico di un tempio cittadino zittisce ogni altro stimolo. Un’oasi. Qui la tradizione ha inghiottito la chiassosa e colorata cultura pop, almeno fino al prossimo angolo di strada.
Informazioni
Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.
Osaka: quartiere di Shinsekai, in alto, sotto a sinistra e in basso; a destra: Dotonbori.
• 1 filetto di manzo al pezzo di circa 800 g (ricavato dalla parte centrale)
• 2 noci di burro per arrostire
Salsa béarnaise
• 1 scalogno
• 1 mazzetto di dragoncello*
• 200 g di burro
• ½ cc di pepe macinato grossolanamente
• 3 c d’aceto di vino bianco
• 1 dl di vino bianco
• 3 tuorli freschi
• sale
• 1 cc di succo di limone
Preparazione
1. Scaldate il forno statico compresa la teglia a 80 °C (calore superiore e inferiore).
2. Mescolate fleur de sel e pepe, poi sfregate il filetto con la miscela.
3. Scaldate il burro in padella e rosolate la carne tutt’attorno per circa 5 minuti.
4. Infilate il termometro per carne nel filetto. Adagiate la carne sulla teglia riscaldata e cuocete al centro del forno, finché il filetto ha raggiunto il livello di cottura desiderato. Circa 1 ora ¼ = 50 °C = al sangue, circa 1 ora ¾ = 60 °C = cottura media, ca. 2 ore ½ = 70 °C = ben cotto. Prima di affettare lasciate riposare brevemente la carne.
5. Tagliate 1-2 fette per persona, condite con sale e pepe, poi servite. Accompagnate con la salsa béarnaise, patate lesse o purea di patate.
Per la salsa béarnaise
a Circa ½ ora prima di portare in tavola lo chateaubriand tritate finemente lo scalogno. Lavate il dragoncello, tamponatelo con la carta da cucina per asciugarlo, poi tritatelo.
b Chiarificate il burro: ovvero scaldatelo a fuoco basso, finché sul fondo della pentola si depositi un residuo latteo biancastro. Lasciate un po’ raffreddare.
c Unite all’aceto e al vino la metà del dragoncello, lo scalogno e il pepe. Fate ridurre a fuoco alto, finché resta solo la metà del liquido. Versate il liquido attraverso un colino in un recipiente in acciaio cromato.
d Scaldate l’acqua per la preparazione della salsa a bagnomaria. Aggiungete i tuorli al liquido ridotto e sbattete il composto a bagnomaria, finché otterrete una crema spumosa. Unite a filo il burro scaldato, facendo attenzione a non aggiungere il residuo biancastro depositato sul fondo della pentola. Aggiungete il dragoncello restante. Insaporite con sale e succo di limone. Tenete in caldo fino al momento di servire. Preparazione: circa 40 minuti; cottura in forno: 90 minuti
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Con noi. godersi diventa il regalo più bello,
Conquistare l’Impero romano giocando a tombola
Colpo critico ◆ Estrazioni imprevedibili per dare ritmo ai riti natalizi in un ricomporsi di titoli recenti e inattesi
Andrea Fazioli
Arriverà il Natale. Così pensiamo nel buio di novembre. Così ci ripetiamo quando comincia l’Avvento. Arriverà il momento di fermarsi, di guardarci negli occhi. Di tirare il fiato. Ma accade poi davvero? Il signor Morlai, il personaggio di un vecchio racconto di Giovannino Guareschi, ritiene che il problema riguardi il nostro sentimento del tempo: «Il fatto è che tutti noi pensiamo al Natale come un giorno fuori dal calendario. […] Natale è per tutti noi come un punto d’arrivo. E il nostro sogno è di arrancare tutto l’anno per poi arrivare a fermarci un po’. Come se, quel giorno, il tempo dovesse fermarsi» (Il decimo clandestino, Rizzoli, 1982).
Non solo legionari, ma anche paperelle di plastica; nei giochi simil-tombola di oggi non ci si limita a estrarre numeri
Naturalmente il tempo non si ferma. Anzi, a Natale sembra scivolare più in fretta, come un tram che sparisce nella nebbia. Intorno a noi risuonano gli auguri, i brindisi, si accendono alberi luminosi. Alcuni riti sembrano magari un po’ logoranti, però a volte ci aiutano a resistere. Lo stesso Guareschi, in un appunto preso nel 1943 quando era prigioniero nel lager di Beniaminowo, scrisse: «Ho trentacinque anni
ma ricordo che ne ho avuti otto e, rimboccati i baffi, mi costruisco un piccolo presepe di cartone. Lo faccio smontabile. Non si sa mai».
È l’ironia, la leggerezza che aiuta a tenere duro. Basta anche solo quell’accenno scherzoso al rimboccare i baffi. In fondo, ogni presepe è una sorta di rappresentazione teatrale, uno spettacolo che ha in sé qualcosa di ludico. Non dimentichiamo che a Natale si festeggia pur sempre la nascita di un bambino: è buona cosa allora giocare tutti insieme.
Mi rendo conto che non è facile introdurre titoli nuovi e moderni dopo un lauto pranzo, innaffiato da sontuose libagioni. Una soluzione potrebbe essere quella di restare nell’ambito dell’inossidabile tombola, scegliendo però delle varianti più fresche. Per esempio un gioco di Paolo Mori di qualche anno fa: Augustus (Hurricane, 2013). Certo, i partecipanti sono meno rispetto alla tombola: da 2 a 6. Resta però il sacchetto dal quale si estraggono dei simboli che permettono d’inviare i propri legionari a conquistare province nell’Impero romano. Bisogna dunque gestire la propria «cartella», pianificando gli obiettivi in maniera razionale, con un occhio alle riserve di grano e un altro al consenso del senato. Un gioco ancora più rapido è stato creato da Yoshihisa Itsubaki e si chiama Streams (Moonster Games,
Giochi e passatempi
Cruciverba
Forse non tutti sanno che cani e gatti… Trova il resto della frase risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 3, 7, 8, 2, 10)
ORIZZONTALI
1. C onferite dopo le elezioni
6. Messaggio inviato a un blog
9. Nota
10. Ammazzarla non è reato
12. Uomini inglesi
13. Oscuro, tenebroso
14. L e iniziali del magistrato Gratteri
15. Come finisce… comincia
16. Composto chimico organico
17. Si può averlo di voce
18. Provincia a sud-ovest dell’Arabia Saudita
19. Parcheggi per imbarcazioni
20. Abbiente
23. A questo punto…in poesia
24. L e iniziali dell’attore
Amendola
25. Cifra approssimativa
26. Si mette sulla pizza
VERTICALI
2 Profeta dell’Antico Testamento
3. Il mio francese…
4. Articolo
5. Un tasto del Pc 6. L’ultimo fu il XII
2011). In questo caso il sacchetto contiene proprio dei numeri, da 1 a 30 (quelli fra 11 e 19 sono presenti due volte, quindi in totale sono quaranta). I partecipanti devono disporre i numeri in ordine progressivo dentro una serie di caselle, cercando di stimare a che distanza metterli l’uno dall’altro. È un procedimento semplice, che tuttavia porta un minimo di ragionamento nel mondo aleatorio della tombola. In più, proprio come la tombola, Streams può essere giocato
da un numero indefinito di persone. È adatto a gruppi numerosi anche Fifty, inventato da Jin Wo Seo 2019 e riproposto da Iello nel 2025 con alcune modifiche. In questo caso i giocatori scelgono una serie di cifre e le scrivono sulla cartella. Qualcuno reciterà a voce alta i numeri da 1 a 50: si fanno dei punti se al momento giusto si hanno delle cifre diverse dagli altri. Il meccanismo è quello del double guessing: sono convinto che il mio avversario sceglierà il 7, e allora prendo l’8 per
rubargli il controllo del gioco. Ma se lui immaginasse tutto questo e prendesse invece il 9?
A differenza di Augustus, che ci porta nell’Impero romano, questi due ultimi titoli non sono ambientati. Del resto, anche l’ambientazione di Augustus rimane abbastanza pretestuosa. Ma questo tipo di passatempo trova la sua atmosfera altrove: nella cordialità, nelle risate, negli improvvisi rovesci di fortuna e nei colpi miracolosi. È molto simile anche Super Mega Lucky Box (Gamewright, 2021) di Phil Walker-Harding. Il nome dice già quasi tutto: i partecipanti (da 1 a 6) devono riempire dei piccoli quadrati di cifre rispettando alcune indicazioni. E infine menziono anche Duck & Cover (Captain Games, 2024) di Oussama Khelifati. I partecipanti, da 2 a 7, devono spostare delle piccole paperelle di gomma nella superficie di un’ideale vasca da bagno, seguendo l’ordine dei numeri… anzi, dei palmipedi estratti. La fioritura di questi giochi dimostra come nel meccanismo della tombola ci sia qualcosa di imperituro. Del resto è presente fin dal XVIII secolo, nelle corti dei re così come nei cortili popolari. È sempre lei che riappare con facce nuove nel Bingo dei Paesi anglosassoni o nel nostro gioco del Lotto, nella vastità dell’Impero romano o fra legioni di papere di gomma colorate. Buona tombola, dunque, e buon Natale!
7. Due vocali 8. Recisioni 11. La indica la meridiana
Niente per Cicerone
Porte
Nucleo del tifone 18. Sono parassiti
L e iniziali dell’indimenticabile
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku cliccando sull’icona «Concorsi», homepage in alto a destra Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano . Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
Copertina di Augustus. (Hurricane, 2013)
Risparmia e FESTEGGIA!
19.50
Latte drink UHT o latte intero UHT, Valflora, IP-SUISSE per es. latte drink, 12 x 1 litro, 13.50 invece di 18.–, (1 l = 1.13)
Tutto l'assortimento Sélection (cesti regalo inclusi), per es. Pure Vanilla Bourbon, prodotto surgelato, 450 ml, 5.84 invece di 7.30, (100 ml = 1.30) 20%
Latte drink UHT o latte intero UHT, Valflora, IP-SUISSE per es. latte drink, 12 x 1 litro, 13.50 invece di 18.–, (1 l = 1.13) conf. da 12 25%
M-Budget
15.12.2025,
conf. da 2 30%
19.50
invece di 27.90
11.90 invece di 19.90
Filetto dorsale di salmone affumicato d'allevamento, Scozia, 300 g, in self-service, (100 g = 3.97) 40%
Tutti i gamberetti surgelati (articoli Sélection e Alnatura esclusi), per es. gamberetti crudi e sgusciati Pelican, ASC, 500 g, 10.47 invece di 14.95, (100 g = 2.09) 30%
Fondue moitié-moitié Caquelon Noir, AOP Le Gruyère e Vacherin Fribourgeois, 2 x 600 g, (100 g = 1.63)
conf. da 6 50%
7.05
invece di 14.10
Coca-Cola classic o zero, 6 x 1,5 litri, (100 ml = 0.08)
Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli
e quelli già ridotti. Migros Ticino
2.35
agrodolce molto decorativa
1.30
3.95
3.50 invece di 4.50
Con una nota nocciolata e burrosa
2.20
Migros Ticino
3.70
Cachi Persimon Extra Spagna, al kg 25%
invece di 4.95
Ideale con Ideali anche per un cocktail di gamberi
23%
9.95
invece di 13.05
Gamberetti sbollentati e sgusciati M-Classic, ASC d'allevamento, Ecuador, 450 g, in self-service, (100 g = 2.21)
2.60
Scarola lavata Italia, il pezzo, prodotto confezionato 25%
invece di 3.50
Damordere...
5.50
invece di 9.54
Prosciutto crudo dei Grigioni surchoix Svizzera, 120 g, in self-service, (100 g = 4.58) 42%
2.20
invece di 2.58
Jamón Serrano Español M-Classic Spagna, 120 g, in self-service, (100 g = 1.83) 14%
4.95
invece di 6.40
Affettato di petto di pollo Optigal Svizzera, 2 x 100 g, (100 g = 2.48) conf. da 2 22%
Il sapore della qualità
9.95
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI
Per evitare che la pelle dell’orata si apra durante la cottura, fare tre leggere incisioni per lato in obliquo in direzione della coda.
9.95
Da zero a YUMMY!
5 Punti moltiplicati per 5
la DOMENICA.
Per tutto il periodo dell’Avvento: punti Cumulus moltiplicati per 5 durante le aperture domenicali. Trova subito le filiali aperte e approfittane.
Wow,che UOVA!
Tutti i formaggi Da Emilio
per es. Grana Padano grattugiato, 120 g, 2.59 invece di 3.05, (100 g = 2.16) 15%
1.40
invece di 1.75
Appenzeller dolce e aromatico per 100 g, prodotto confezionato 20%
Tutti i formaggi Höhlengold per es. per raclette, stagionato 6 mesi, 300 g, 6.96 invece di 8.70, prodotto confezionato, (100 g = 2.32) 20%
2.10 invece di 2.65
Le Gruyère dolce Migros Bio, AOP per 100 g, prodotto confezionato 20%
2.05
Fontal italiano per 100 g, prodotto confezionato 21%
invece di 2.60
2.40
Sole del Ticino per 100 g, prodotto confezionato 15%
invece di 2.85
Per un sapore più intenso, togliere il formaggio dal refrigeratore 30 minuti prima di servirlo
Formaggio per raclette a fette aromatizzato e gusti assortiti, Raccard, IP-SUISSE disponibile in diversi gusti (al naturale escl.), per es. assortiti, 900 g, 18.80 invece di 23.50, prodotto confezionato, (100 g = 2.09) a partire da 2 pezzi 20%
Migros Ticino
a partire da 2 pezzi 20%
Tutti i Caprice des Dieux (formato maxi escluso), per es. 300 g, 4.76 invece di 5.95, (100 g = 1.59)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutto l'assortimento Tartare (confezioni multiple e Apérifrais escl.), per es. erbe e aglio, 150 g, 2.72 invece di 3.40, (100 g = 1.81)
4.85 invece di 5.76
5.40 invece di 6.80 Tartare erbe e aglio o al naturale con fleur de sel, 2 x 150 g, (100 g = 1.80) conf. da 2 20%
Uova d'importazione da allevamento al suolo in conf. speciale, 18 x 53 g+ 15% Burro da cucina M-Classic 250 g, 3.12 invece di 3.90, (100 g = 1.25) a partire da 2 pezzi 20%
1.85 invece di 2.20 Formaggella Ticinese 1/2 grassa per 100 g 15%
Mezza panna per salse, mezza panna acidula e prodotti M-Dessert, Valflora per es. mezza panna acidula, 200 ml, 1.45 invece di 1.70, (100 ml = 0.73) 15%
conf. da 4 20%
Yogurt LC1 Immunity Nestlé disponibili in diverse varietà, per es. arancia sanguigna-zenzero, 4 x 150 g, 3.50 invece di 4.40, (100 g = 0.58)
Berliner con ripieno di crema in conf. speciale, 4 pezzi, 400 g, (100 g = 1.25) 28%
5.–
invece di 7.–
4.40 invece di 6.30
Berliner con ripieno di lamponi e ribes rosso Petit Bonheur in conf. speciale, 6 pezzi, 420 g, (100 g = 1.05) 30%
Pasta frolla con ripieno di noci caramellate
Torta di noci grigionese
Petit Bonheur e Migros Bio, per es. Petit Bonheur, 500 g, 6.36 invece di 7.95, (100 g = 1.27) 20%
3.95 Cake ai branches o al cioccolato bianco e nocciola, Petit Bonheur 420 g, prodotto confezionato, (100 g = 0.94)
Tutte le truffes Frey (confezioni multiple escluse), per es. assortite, 256 g, 8.63 invece di 11.50, (100 g = 3.37) 25%
e tentazione
Tutte le palline Lindor e i praliné, Lindt per es. palline al latte Lindor, 200 g, 10.36 invece di 12.95, (100 g = 5.18) a partire da 2 pezzi 20%
CUMULUS NOVITÀ 6.50
cioccolato
con stevia
Original in bustina, 2 x 150 g, (100 g = 2.17)
29.95 invece di 52.40 Tavolette di cioccolato Frey assortite, in conf. speciale, 20 x 100 g, (100 g = 1.50)
Cioccolato da appendere all'albero Frey disponibile in diverse varietà, per es. cioccolato al latte, vuoto, assortito, 500 g, 10.15 invece di 14.50, (100 g = 2.03) a partire da 2 pezzi
Tutti i biscotti Christmas Bakery in sacchetto da 500 g per es. Stelle alla cannella, 5.20 invece di 6.50, (100 g = 1.04)
le festività
10.80
invece di 18.–Zucchero cristallizzato M-Classic Cristal, IP-SUISSE 10 x 1 kg conf. da 10 40%
a partire da 2 pezzi 20%
Tutti i tipi di riso M-Classic 1 kg, per es. riso a chicco lungo parboiled, 1.96 invece di 2.45
a partire da 2 pezzi 20%
Purea di patate Mifloc M-Classic disponibile in diverse varietà, per es. 4 x 95 g, 4.– invece di 5.–, (100 g = 1.05)
a partire da 2
20%
Tutto l'assortimento di sottaceti e di antipasti, Condy per es. cetrioli, 290 g, 2.36 invece di 2.95, (100 g = 0.81)
a partire da 2
20%
Tutto l'assortimento Fiesta Del Sol per es. tortillas integrali, 8 pezzi, 320 g, 3.36 invece di 4.20, (100 g = 1.05)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutte le salse per fondue M-Classic per es. bourguignonne, 115 g, 1.48 invece di 1.85, (100 g = 1.29)
4 diverse confezioni da 2 in offerta
conf. da 2 20%
6.–invece di 7.50
Chicchi di mais M-Classic 6 x 285 g, (100 g = 0.35) conf. da 6 20%
Buitoni surgelate, Caprese, Prosciutto e funghi o Diavola, 2 x 350 g, per es. caprese, 8.80 invece di 11.–, (100 g = 1.26)
Pizze
pezzi
pezzi
a partire da 2 pezzi 20%
Tutto l'assortimento di frutta secca e noci, Migros Bio (prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. noci di anacardi, Fairtrade, 150 g, 2.84 invece di 3.55, (100 g = 1.89)
a partire da 2 pezzi 25%
Tutti gli infusi bio (articoli Alnatura esclusi), per es. infuso di menta Migros Bio, 20 bustine, –.75 invece di 1.–, (100 g = 2.68)
20x CUMULUS NOVITÀ
Espresso e Lungo Migros CoffeeB in bustina, 24 sfere, 8.95, (100 g = 6.58)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutti i tipi di confetture e di miele, Migros Bio per es. confettura extra di fragole, 350 g, 3.16 invece di 3.95, (100 g = 0.90)
Anche per la preparazione di biscotti al cioccolato
20x CUMULUS NOVITÀ
4.75 Farmer Classic Soft vaniglia e lamponi 156 g, (100 g = 3.04)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutti i tipi di Caotina in polvere Original e Noir, 400 g e 800 g, per es. Original, 400 g, 5.76 invece di 7.20, (100 g = 1.44)
20x CUMULUS NOVITÀ
20x CUMULUS NOVITÀ
Caffè in chicchi Boncampo Classico e Oro, 1 kg, 6.48 invece di 12.95 a partire da 2 pezzi 50% 4.95 CoffeeB Illy Lungo 9 sfere, (100 g = 9.34)
4.95
20x CUMULUS NOVITÀ
10.50 Pasta di pistacchio bio Alnatura 180 g, (100 g = 5.83)
20x CUMULUS NOVITÀ
CoffeeB La Semeuse Espresso o Lungo 9 sfere, (100 g = 9.17)
Caffè istantanei Migros disponibili in diverse varietà, per es. Gold dolce, 200 g, 4.90, (100 g = 2.45)
Azionicroccanti
conf. da 6 50%
3.25 invece di 6.50
Vittel
6 x 1,5 litri, (100 ml = 0.04)
conf. da 6 40%
Succo d'arancia o multivitaminico Sun Queen, Fairtrade
conf. da 6 40%
Tutti i tipi di Orangina Original, Rouge o Zero, 6 x 500 ml o 6 x 1,5 litri, per es. Original, 6 x 1,5 litri, 8.28 invece di 13.80, (100 ml = 0.09)
Tutti gli sciroppi da 750 ml 2.21 invece di 2.95, a partire da 2 pezzi 25%
invece di 19.95, (100 ml = 0.20)
–.30
2.80 invece di 3.10
Tutto l'assortimento di prodotti da forno per l'aperitivo Party disponibile in diverse varietà, per es. cracker alla pizza, 150 g, (100 g = 1.87) a
da 2 20% Chips Farm erbe svizzere, rosmarino, nature o Wave alla paprica, in confezione speciale, per es. erbe svizzere, 300 g, 5.25 invece di 6.60, (100 g = 1.75) 20%
RIDUZIONE Snacketti o Graneo, Zweifel disponibili in diverse varietà, per es. Snacketti Paprika Shells, 2 x 75 g, 3.10 invece di 3.90, (100 g = 2.07)
1.05
Superaffidabilità!
Detersivo per bucato in polvere, gel o discs, Persil per es. in polvere Universal, 5,4 kg, 28.65 invece di 57.38, (1 kg = 4.81) 50%
Detergente Durgol per es. per il bagno, 2 x 600 ml, 9.90 invece di 13.–, (100 ml = 0.83)
a partire da 2 pezzi 50%
Tutti i detersivi Elan (confezioni multiple e speciali escluse), per es. Spring Time, in conf. di ricarica, 2 litri, 6.48 invece di 12.95, (1 l = 3.24)
a partire da 2 pezzi 50%
conf. da 2 45%
conf. da 2 30% 24.95 invece di 45.84
Decalcificante Durgol per es. decalcificante rapido, 2 x 1
9.70 invece di 13.90, (100 ml = 0.49)
Detersivo Perwoll 2 x 5,2 litri, per es. lana, (1 l = 4.80)
da 3 20%
da 3 HIT 7.65 invece di 9.60
da 2 23% 7.65
Tutto l'assortimento Handymatic Supreme (sale rigeneratore escluso), per es. All in 1 in polvere, 800 g, 4.98 invece di 9.95, (100 g = 0.62)
aha! Ultra Sensitive o Citron, 3 x 500 ml, (100 ml = 0.51)
conf.
Manella
Limited Edition, Winter Berries o Rosemary & Mandarin, 3 x 500 ml, (100 ml = 0.51)
conf.
Manella
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I prodotti Head & Shoulders sono stati sviluppati attraverso ricerche e test approfonditi per garantire un’efficacia ottimale contro la forfora. Combattono in modo specifico il fungo Malassezia globosa che causa la forfora e al contempo hanno un effetto calmante sul cuoio capelluto e sui capelli.
Per sempre... e ALWAYS
Tempo di REGALI
Tutto l'assortimento di peluche e bambole per es. orso di peluche, 100 cm, il pezzo, 27.97 invece di 39.95 30% Amarillidi, Iris e Muscari, in confezioni regalo per es. amarillidi, rosso Rembrandt, il pezzo, 20.76 invece di 25.95 20% 19.95 Albero di Natale abete Nordmann 130 - 170 cm, Danimarca/Belgio, il pezzo
Settimane di fantastica fioritura con poche cure 9.95 Rose Grande Fairtrade disponibili in diversi colori, mazzo da 10, lunghezza dello stelo 50 cm, il mazzo
Tutte le borsette e tutti i portafogli (zaini, borse da viaggio, borse da lavoro e prodotti Hit esclusi), per es. portafoglio Bella da donna, color talpa, il pezzo, 17.47 invece di 24.95 30%
Latte di proseguimento e Junior, Aptamil (latte Pre, latte di tipo 1 e Confort esclusi), per es. Junior 12+, 800 g, 19.96 invece di 24.95, (100 g = 2.50) a partire da 2 pezzi 20%
Tutto l'assortimento di alimenti per gatti Vital Balance e snack Felix per es. Vital Balance Adult con manzo, 4 x 85 g, 3.68 invece di 4.60, (100 g = 1.08)
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Tutti i tipi di pasta e di sugo, Agnesi offerta valida dall'11.12 al 14.12.2025 a partire da 3 pezzi
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Ossibuchi di vitello Migros
Svizzera, per 100 g, in self-service, offerta valida dall'11.12 al 14.12.2025