Azione 51 del 17 dicembre 2018

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 dicembre 2018 • N. 51

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Società e Territorio

Non vogliamo «bambini di gesso»

Pubblicazioni L a culla degli obbedienti, di Francesca Mandelli, riflette sui rapporti tra educazione e potere

Sara Rossi Guidicelli Negli anni Settanta Sergio Endrigo cantava la canzone del bambino di gesso, che «stava dove lo avevano messo, non sporcava i pavimenti, si lavava sempre i denti, non diceva parolacce, non faceva le boccacce». La canzone era per genitori che si ribellavano ai sistemi educativi dell’anteguerra, che la facevano ascoltare ai loro bambini. Il Sessantotto e le rivoluzioni pedagogiche hanno modificato radicalmente il modo di crescere i figli, di lasciarli essere «quello che volevano» e anche il modo di fare scuola. C’è però chi ancora oggi mette in guardia contro i nuovi «bambini di gesso»: facciamo attenzione, bisogna distinguere fra permissivismo e libertà, autoritarismo e autorevolezza, contenimento e violenza, omologazione e rassicurazione, educazione e obbedienza. Perché poi, continua Endrigo, quel bambino «ora grande è diventato, ma non è molto cambiato: compitissimo,

prudente, ossequioso, diligente. Se gli danno sulla testa, dice grazie e non protesta. Passa il giorno a fare inchini, non ha buchi nei calzini»... E per metterci tutti in guardia, Francesca Mandelli ha appena scritto un libro. Laureata in Storia e Letteratura italiana, è giornalista alla RSI e per motivi di curiosità professionale e di curiosità personale (è mamma di due figli adolescenti), si è accostata al mondo dell’educazione. Ha letto molto, ha scelto sei specialisti e li ha fatti parlare. Il libro, La culla degli obbedienti. Inchiesta sui rapporti tra educazione e potere, edito da Casagrande, propone una serie di riflessioni, proponendo

spunti e opinioni anche in contrasto tra loro. Francesca Rigotti, filosofa, Paolo Perticari, esperto di «pedagogia nera», Maria Rita Mancaniello, pedagogista, Alberto Pellai, medico, Olivier Maurel, insegnante e autore di ricerche sulla violenza in famiglia, Francesco Codello, pedagogista promotore del metodo libertario nelle scuole. «Non volevo scrivere un manuale, anche perché di ricette non ne ho. Allora ho fatto parlare loro, uno dopo l’altro», spiega l’autrice. «Ho posto loro domande sulla storia di che posto si dà al bambino nella famiglia, nella società; sui metodi educativi; sui dati terribili che riguardano la violenza sui minori, che restano l’unica categoria verso la quale si possono rivolgere botte e umiliazioni; sul tipo di persona che stiamo preparando per il futuro. Vorrei che ci si interrogasse di più sul potere di noi genitori e insegnanti, sulle conseguenze che hanno certi nostri gesti, diventando magari più consapevoli del nostro ruolo». Francesca Mandelli non è rassicurante, non dice che va tutto bene e non si inserisce in quel filone che ai genitori cerca di inculcare l’idea che basta essere «sufficientemente buoni». «Anche io mi sono stupita di certe risposte dei miei ospiti; alcune mi hanno messa a disagio, altre non le condivido. Per la maggior parte però mi sembrano utilissime e penso che molti adulti hanno le spalle larghe abbastanza per sopportare qualche dubbio in più, dubbio di quelli fertili, arricchenti. Per lavoro ho seguito forum di discussione a cui partecipano molti genitori sul web; a me sembra che si stia diffondendo una gran paura di essere lassisti e quindi una tendenza a “serrare le viti” con i figli. Mi sembra anche che fuori casa, per esempio nel mondo politico, ci sia un ritorno all’ordine, all’uomo forte che comanda, al controllo per la sicurezza. Allora mi sono chiesta: a che tipo di cittadini è rivolto questo messaggio? Chi sono le persone più propense a raccoglierlo? E noi genitori, che tipo di cittadini stiamo creando? Credo molto nell’idea che al bambino bisogna non solo dare delle regole, ma che bisogna soprattutto spiegargliele, per affinare in lui lo spirito critico. Credo che più di ogni valore bisognerebbe offrirgli quello dell’autonomia». Mancanza di tempo, di pazienza, di energia: si ha paura dei bambini che strillano, che corrono e che sembrano impazziti, dei bambini che si arrabbiano; si temono gli adolescenti, che

Che tipo di bambini vogliamo crescere? Il libro raccoglie sei opinioni di autorevoli studiosi. (Marka)

ti spogliano l’anima con lo sguardo e ti ascoltano solo se trovano un po’ di autenticità in te. Si ha paura e quindi si reprime, si urla più forte di loro, li si punisce. La metà dei genitori in Svizzera ammette di usare punizioni corporali contro i propri figli. Oppure al contrario, li si lascia fare. «Il permissivismo non è libertà», si legge nella conversazione con Francesco Codello, «è anzi l’altra faccia dell’autorità. Autoritarismo e permissivismo nascono dal disprezzo di se stessi e degli interlocutori che si hanno davanti. Mentre al contrario il rispetto nasce dal bisogno reciproco di incontrarsi». L’economia dei consumi vuole cittadini omologabili, con tanti desideri che i ragazzi non sono in grado di distinguere dai bisogni: ecco un altro degli insegnamenti fondamentali che vanno curati fin dalla tenera età. «Credo che la fatica più grande di noi genitori, in questo momento storico», dice un altro ospite della Culla degli obbedienti, Alberto Pellai, «derivi dal fatto che anche avendo un progetto educa-

tivo, spesso questo è contrastato dal mercato, che fa di tutto per raggiungere i nostri figli con messaggi esattamente opposti a quelli attorno cui noi costruiamo il nostro progetto educativo». Dunque: resistenza, sobrietà, lentezza. Bisogna provarci. E poi si parla anche di scuola. Francesca Mandelli ha mandato i suoi figli alla scuola pubblica. «Penso che non sia facile stare al passo con i cambiamenti della società, però la scuola ha fatto molti progressi. Mi sembra che ci sia una grande attenzione alle regole comportamentali, si fa un grande lavoro per prevenire il bullismo, il razzismo e favorire invece la socializzazione. Forse però ora mancano un po’ i contenuti, il sapere, lo studio. Ci sono più informazioni ottenute rapidamente e meno sforzo nell’apprendere in autonomia, seguendo la propria curiosità e i propri ritmi». L’ultimo capitolo è destinato alle forme di scuola libertaria, la scuola «dove tutte le decisioni vengono prese da un organismo assembleare, dove

il voto del bambino più piccolo ha lo stesso valore del voto dell’adulto più grande; dove c’è una molteplicità di metodologie; dove viene eliminata la rigidità per classi di età, per segmenti scolastici rigorosamente separati; dove il deviare non è un errore ma una ricchezza; dove il corpo non viene espulso dalla vita dei ragazzi che esplodono di energia ma per sei ore al giorno sono costretti a stare fermi. Una scuola che non si svolge entro quattro mura, ma in bottega, in ufficio, in fabbrica, in fattoria». Il risultato di tutti questi dialoghi è un libro che non nega il bene della disciplina (il discepolo per imparare deve ascoltare e capire; anche per infrangere le regole bisogna conoscerle), ma che desidera recuperare, per citare la prima conversazione con Francesca Rigotti, «valori come la speranza, l’ottimismo, la fiducia nelle capacità dell’uomo di risolvere i problemi, di migliorare se stesso e la società in cui vorrebbe vivere, al fine di credere in un futuro più vivibile».

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Luigi Ballerini, Torna da me, Il Castoro, da 12 anni Ogni adolescente, per trovare il proprio cammino, deve «separarsi» dalle figure dei genitori. Ce lo insegnano le fiabe, con gli allontanamenti e le erranze nel bosco, ce lo insegnano tutti i romanzi di formazione. E soprattutto ce lo insegna la vita. Diventare adulti significa anche passare dall’idealizzazione all’umanizzazione della madre e del padre, ma in mezzo ci può stare (forse ci deve stare) la violenza del rigetto, fatto di rabbia e di opposizione. E magari di disconoscimento, ipotizzando padri e madri naturali più carismatici, negando che quei due grigi rompiscatole che sono a casa siano i veri genitori: non per nulla l’archetipo del «figlio di re nascosto», da Artù a Harry Potter, ha sempre abitato l’immaginario giovanile. Viene in mente tutto questo, leggendo il recente romanzo di Luigi Ballerini, in cui quattro adolescenti improvvisamente affrontano, nelle loro quotidianità, l’inquietante incursione

di quattro misteriose donne vestite di rosso, che sembrano provenire da un oscuro passato. Sospeso tra la realtà più ordinaria dei banchi di scuola, degli spogliatoi calcistici, delle vie di Milano, dei bar, della stazione, dei mezzi di trasporto da una parte; e un Altrove perturbante, che s’inserisce tra le pieghe di questi luoghi consueti, dall’altra, il romanzo ci parla proprio di quel faticoso percorso di crescita: Paolina, Mattia, Eleonora e Alberto, ognuno con il proprio vissuto e la propria situazione familiare, devono fare una scelta

importante. Lasciare tutto e ricominciare una nuova vita con quelle donne oppure assumersi la responsabilità di ripartire da dove si è, riconoscendosi simbolicamente «eredi» dell’amore di chi li ha cresciuti? Un romanzo da leggere come un’appassionante storia di mistero, ma anche come una potente metafora del figlio e del genitore «ritrovato». Ritrovato nelle sue imperfezioni, nella sua umanità, nell’umile luce della sua presenza. Toon Tellegen, Storie di animali per quattro stagioni, illustrazioni di Sylvia Weve, Sinnos, da 5 anni Che meraviglia, tornano gli animali un po’ filosofi e surreali del grande autore olandese Toon Tellegen, medico e poeta, capace di dar vita a una comunità di creature che vivono tutte insieme nel bosco, in una incantevole improbabilità fantastica, dove il rinoceronte, la formica, lo scoiattolo, l’orso, la lumaca, la farfalla, lo gnu, l’oritteropo e tanti

altri personaggi , ognuno con la sua lieve vena saggia e malinconica e le sue miti domande sulla vita, diventano protagonisti di brevissime folgoranti storie, perfette da leggere ad alta voce. L’oritteropo si nasconde ma «ci sarà qualcuno che mi cerca?» e «cercherà proprio me?»; il millepiedi non è sicuro di avere proprio mille piedi, e se ne avesse, poniamo, milledodici, sarebbe sempre lui?; all’ippopotamo e al rinoceronte sembra di avere litigato ma se non si ricordano più il motivo come faranno a fare la pace?; il leone si chiede «in fondo perché ruggisco? È proprio

necessario?» e «forse posso fare cambio di verso con qualcuno», magari anche con il vento... «frusciare... anche questo mi piacerebbe»... Amano invitarsi a feste con torte e tè, questi animali, ma non sempre le feste hanno una riuscita per così dire normale, perché può capitare ad esempio che l’orso sbagli il numero delle fette di torta e si veda «costretto» a mangiarsi quella sbagliata, preparandone di volta in volta un’altra; o che la talpa e il lombrico, alla faccia del politicamente corretto, si organizzino una bella festa sotterranea da godersi solo tra loro due. Animali con una sapienza semplice e profonda, che sanno bene che per essere felici si può anche non fare «niente» e sentirsi grati di esistere; animali che dialogano molto, pur senza riuscire sempre a capirsi; che a volte – come i bambini – usano parole che hanno sentito ma di cui si chiedono il significato: parole come «prossimamente», «ho degli impegni»... ; animali le cui domande chiamano in causa anche noi.


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