Azione 33 del 15 agosto 2016

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 agosto 2016 ¶ N. 33

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 agosto 2016 ¶ N. 33

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Ambiente e Benessere Piccole violette d’Africa Un fiore che vanta sia una storia botanica interessante, sia nuove cultivar dall’aspetto magnifico pagina 9

La ricchezza delle fave Un concentrato di vitamine importanti per il nostro corpo e di proteine ben digeribili

Viaggio alle Grenadine Quando confrontarsi con il mare caraibico a bordo di una barca a vela rimette in discussione il rapporto con la terra

Pet Friendly made in CH Sono molte le offerte turistiche che prevedono anche l’accoglienza di animali

Violette d’Africa Mondoverde In continua fioritura, le Saintpaulie sono aggraziate e meravigliosamente semplici

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esposte alla luce, svernano in casa da ottobre a maggio (a una temperatura di 18-20°C) mentre per il resto dell’anno vivono bene anche all’esterno, collocate su un tavolino in terrazza, in fioriere a mezz’ombra o su davanzali esposti a est. Durante le annaffiature fate attenzione a non bagnare fiori e foglie: queste ultime si inzupperebbero di acqua con probabile marcescenza o comparsa di macchie grigie-brune.

Anita Negretti

Quei batteri amici della salute

Scoperte in Tanzania da un barone tedesco, le violette africane vantano una storia botanica interessante

Wildfeuer

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Improntaunika

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Dopo anni in splendida forma, qualche tempo fa la mia Kalanchoe thyrsiflora ha deciso di cambiar vita e al suo posto mi è rimasto un bel vaso vuoto. Che fare? Optare per una bella orchidea? O preferire un colorato Anthurium? E se mi lasciassi tentare da una sempreverde e quasi immortale sansevieria? Alla fine mi sono ritrovata a perdermi tra i variopinti petali delle Saintpaulie anche note con il nome di violette africane. Minute e molto aggraziate, queste piccole piante hanno foglie verde cupo rivestite da una lieve peluria. Dalla rosetta di foglie arrotondate e dalla pagina inferiore color prugna con venature in risalto, fuoriescono i corti steli che portano i fiori semplici, delicati ma in continuo sviluppo, tanto è vero che sembra non fermarsi mai dal produrre nuovi boccioli fiorali. Caduta un po’ in disuso forse proprio per via della sua semplicità, la violetta africana vanta sia una storia botanica interessante, sia nuove cultivar dall’aspetto magnifico. Il suo arrivo in Europa risale ben al 1892, quando il barone tedesco Walter von Saint PaulIlaire la scoprì in Tanzania, per l’esattezza in una foresta sulle montagne a sud est del lago Victoria, ad Usambara, vicino al confine con il Kenya. In tedesco vengono infatti denominate Usambara Violet, in onore del luogo della scoperta. Il barone, capitano dell’esercito imperiale germanico in Africa, ma soprattutto botanico affermato e curioso, spedì dei semi in Germania durante l’estate del 1892 al padre, un giardiniere provetto oltre che barone lui stesso. Da quei piccoli semi coltivati con cura nella serra di famiglia spuntarono le prime violette d’Africa europee. Nell’autunno dello stesso anno un altro pacchetto contenente semi di Santpaulia giunse in Germania, sempre ad opera di Walter von Saint PaulIlaire, ma questa volta il destinatario fu Hermann Wendland, direttore dell’orto

botanico di Herrenhaus. Dopo un anno dalla semina, Wendland descrisse per la prima volta su testi botanici questa nuova pianta e la classificò nella famiglia delle Gesneriaceae. Il nome Saintpaulia, che dà anche il genere alle violette d’Africa, venne dato in onore del raccoglitore Walter von Saint Paul-Ilaire, mentre la specie più nota, ionantha, significa «con fiori simili a quelli della viola» (ion in greco significa viola, antha, fiori). L’ampio successo legato alla loro coltivazione da parte di vivaisti e collezionisti, le portò ad essere una delle piante d’appartamento più richieste e conosciute nei primi anni del Novecento. Facile da ibridare, la specie più nota, S. ionantha ha anche la positiva caratte-

ristica di moltiplicarsi senza sforzo per via vegetativa, tramite talee fogliari. Decine sono i nuovi ibridi presenti sul mercato, nati dall’incrocio tra S. ionantha e S. confusa, come la candida «Bianca» color latte, passando per la delicata «Panti» sempre bianca ma puntinata di lilla, salendo attraverso la scala dei colori per giungere alle rosa «Diplo», «Lola» ed «Emi», fino a giungere alle più scure «Viola», «Susy» e «Mary». Non solo i colori, ma anche le corolle, in origine semplici, formate da cinque petali, tre superiori più grandi e due inferiori più piccoli, sono state modificate, ottenendo piante con petali arricciati, come nel caso di «Best Friends» o «Bess Williams», doppi, semidoppi o stradoppi, ad esempio nell’ibrido «Sam».

Se desiderate varietà con foglie variegate bianche e verdi, scegliete «Ann» e «Mans Irish Red». Mentre agli inizi del 900 gli ibridatori di queste delicate piantine erano numerosi, oggi resistono pochi amatori e alcuni grandi centri di coltivazione di Saintpaulia. Ma come coltivarle? Le prime piante giunte in Europa, e per i decenni successivi, vennero rigorosamente tenute in serre con una buona percentuale di umidità. Complice l’ibridazione, le Saintpaulie oggi in commercio sono resistenti anche agli ambienti con aria secca come le nostre abitazioni durante i mesi invernali. Poste su davanzali interni, lontano dal sole diretto ma comunque

Meglio utilizzare un piccolo annaffiatoio con beccuccio stretto ed irrorare solo la terra, senza eccedere nella frequenza: è preferibile lasciare il terriccio un poco secco tra una bagnatura e l’altra. La comparsa di macchie sulle foglie può avvenire anche nel caso in cui la piantina venga lasciata al sole diretto; unico rimedio in questo caso, oltre a quello di spostarle a mezz’ombra, è di eliminare con un taglio netto e pulito le foglie rovinate. Durante la primavera e l’estate, soprattutto dopo alcuni anni dall’acquisto, è bene intervenire con un concime ricco di fosforo e potassio, ma lacunoso di azoto, come quello delle piante grasse, ideale per le violette d’Africa poiché incoraggia la produzione di fiori e regola quella di foglie. Le foglie pelose catturano la polvere e oltre che diventare esteticamente brutte, vengono ostacolate nel compiere la loro attività fotosintetica. Per aiutarle utilizzate un pennellino a setole morbide, spazzolando delicatamente le foglioline, mentre il metodo corretto per eliminare i fiori rovinati consiste nello staccare tutto il peduncolo pinzandolo con le dita o con l’ausilio di una forbice.

Medicina Sono quelli che formano il microbiota, un «organo invisibile» ma fondamentale per il nostro benessere Sergio Sciancalepore Nel nostro corpo c’è un organo invisibile, almeno a occhio nudo. Ci sono voluti anni di osservazioni con il microscopio, metodi di indagine complessi, sperimentazioni sugli animali e sull’uomo per scoprirne l’esistenza, il funzionamento e l’importanza: e siamo solo all’inizio della conoscenza del «microbiota». Solitamente associamo batteri e altri microrganismi alle malattie, ma in questo caso batteri e virus sono nostri preziosi alleati per la salute, anzi la convivenza tra microrganismi di un certo tipo e il nostro corpo porta a un reciproco vantaggio, con una sorta di scambio di favori. Il microbiota è un organo «diffuso», non ha una massa, una consistenza come gli altri organi che possiamo vedere e toccare come il cuore o il cervello, i suoi componenti sono sparsi (diffusi, appunto) sulla pelle e sulle superfici interne di rivestimento dell’apparato respiratorio, genitale, urinario e soprattutto di quello digerente dove il microbiota è particolarmente presente. Il microbiota è (apparentemente) invisibile anche perché è formato da certi tipi di batteri, virus e altri microrganismi come i lieviti, tutti visibili solo al microscopio e nonostante queste caratteristiche i «numeri» del microbiota

sono davvero notevoli. Consideriamo il microbiota dell’apparato digerente (noto come «flora batterica intestinale»), il più grande rispetto agli altri. È formato da 100mila miliardi di microrganismi, cioè dieci volte di più delle cellule di cui siamo fatti: messi tutti insieme pesano un paio di chili – all’incirca il peso del fegato – e si stima che questi microrganismi appartengano ad almeno 500 (forse un migliaio) di specie diverse. Quanto allo spazio a loro disposizione non c’è problema: il microbiota che sta sulla superficie interna (quella a contatto con il cibo) della parte più lunga dell’intestino, il tenue, ha a disposizione una superficie di una cinquantina di metri quadrati. Come arrivano questi microrganismi nell’intestino? È il risultato di una «colonizzazione» che inizia al momento del parto e prosegue successivamente. I microrganismi del microbiota materno passano nel feto durante il parto, altri sono assorbiti con il latte della mamma e poi con i primi alimenti, altri ancora provengono dall’ambiente in cui si vive: verso i tre, quattro anni di vita, la composizione del microbiota è simile a quella dell’adulto e può modificarsi con l’invecchiamento. Naturalmente, l’alimentazione gioca un ruolo fondamentale per il mantenimento del microbiota inte-

stinale. Se il neonato è allattato al seno, avrà un microbiota diverso rispetto al neonato allattato artificialmente. Molta importanza ha anche il tipo di dieta che, provocando variazioni nel tipo e quantità di microrganismi, influisce sull’assorbimento e il metabolismo del cibo, eventi regolati anche dal microbiota: una dieta ricca di vegetali fa aumentare la quantità di batteri specializzati nel digerire gli zuccheri complessi, come la cellulosa; una dieta ricca di proteine, fa aumentare i batteri che le metabolizzano. Anche l’assunzione di farmaci come gli antibiotici può provocare un’alterazione del microbiota intestinale, infatti è per questo motivo che generalmente si somministrano fermenti lattici (i «probiotici») per ristabilire un giusto equilibrio tra batteri danneggiati dalla terapia antibiotica e quelli che invece non hanno subito danni. Ma a cosa servono i microrganismi del microbiota? Le loro funzioni sono diverse, molte ancora poco note. Citiamone alcune, quelle meglio conosciute. Il microbiota è fondamentale nel metabolismo e nella utilizzazione di alcune vitamine e di alimenti come zuccheri, proteine e grassi, come ricordato prima. Ci sono poi importanti vantaggi reciproci (i «favori») che rendono conveniente

la convivenza tra il nostro organismo e il microbiota. Il più notevole è costituito dal fatto che i microrganismi del colon metabolizzano componenti vegetali (come la cellulosa) che il nostro intestino non sa utilizzare. Il microbiota trasforma la cellulosa in sostanze da cui trarre energia utilizzata sia dai batteri sia dalle cellule dell’intestino: l’80 per cento dell’energia utilizzata dalle cellule della mucosa intestinale proviene da questa attività del microbiota. Se non ci fossero i batteri, il potenziale energetico della cellulosa che mangiamo andrebbe sprecato. Il microbiota dell’intestino è inoltre importante nel processo di maturazione del sistema immunitario: le cellule dell’immunità e i relativi meccanismi di sorveglianza ed eliminazione dei microrganismi pericolosi, vengono selezionate e «addestrate» grazie anche all’azione dei microrganismi non-patogeni del microbiota. Si è detto che la conoscenza del microbiota umano è iniziata da pochi anni, più o meno un ventennio, tuttavia le prospettive sono davvero notevoli, in alcuni casi sorprendenti. Si sa che condizioni come il sovrappeso, l’obesità, il diabete e altre malattie metaboliche sono accompagnate da una grave alterazione della composizione del microbiota intestinale, cioè del tipo e quantità di batteri: lo stesso

accade per malattie dell’apparato digerente come il colon irritabile, il morbo di Crohn e il cancro del colon-retto. Sempre più chiaro, inoltre, appare il legame con l’artrite, la psoriasi, gli eczemi e altre malattie con una componente infiammatoria-immunitaria e il microbiota intestinale, proprio per l’influenza che i microrganismi hanno sul sistema immunitario: ancora da chiarire nei particolari il possibile legame tra malfunzionamento del microbiota e le malattie cardiovascolari e forse anche quelle psichiche come l’ansia e la depressione: fatto non sorprendente, dato che ci sono batteri intestinali in grado di produrre sostanze come la serotonina, un neurotrasmettitore implicato proprio nella depressione. Date queste premesse – ma, ricordiamo, siamo solo all’inizio delle ricerche sul microbiota – ci si chiede: i probiotici, cioè i preparati a base di microrganismi vivi, possono essere utili per prevenire e curare le malattie? Certamente, anche se il loro ruolo sarebbe perlopiù quello di coadiuvanti, facilitatori di una terapia, a condizione però che il loro uso non sia generico (non basta lo yogurt del supermercato!) ma specifico, ovvero somministrando il tipo o i tipi di batteri indicati per quella malattia.

Prototipi avveniristici alle Olimpiadi Motori Nissan presenta la BladeGlider, un’auto elettrica di grandi prestazioni studiata per avere la godibilità

di una cabrio con la sicurezza di una coupé Mario Alberto Cucchi Le Olimpiadi sono la festa dello sport, oggi sono anche l’occasione per mostrare al mondo prototipi di auto avveniristiche. Deve averlo pensato il costruttore di auto Nissan che ha scelto il Brasile per svelare lo stato dell’arte del suo ultimo gioiello su cui lavora dal Salone di Tokyo 2013 quando aveva mostrato il primo studio: BladeGlider. Questo è il suo nome. Un design che non passa inosservato si sposa a prestazioni di rilievo con una tecnologia a zero emissioni. Questo mese a Rio de Janeiro, saranno presentati due BladeGlider. Uno rimarrà in esposizione statica all’Olympic Park durante le gare, mentre l’altro sarà utilizzato per le prime prove su strada. Posizione di guida centrale e, dietro, spazio per due passeggeri. Tre posti panoramici con un parabrezza trasparente che sostituisce il tetto. Stretta davanti e larga dietro con un tetto lateralmente aperto, ma rinforzato da pro-

tezioni antiribaltamento per avere la godibilità di una cabrio con la sicurezza di una coupé. Questa è BladeGlider. La velocità massima sui modelli dimostrativi supera i 190 chilometri

orari, mentre per scattare da ferma a cento orari bastano meno di 5 secondi. La trazione posteriore è garantita da due motori elettrici da 130kW cadauno che agiscono singolarmente sulle

ruote. Ovviamente niente benzina, ma una batteria ad alte prestazioni da 220 kW agli ioni di litio con sistemi di raffreddamento particolarmente efficaci alimenta questo prototipo il cui gruppo propulsore è stato studiato assieme alla Williams Advanced Engineering, la divisione tecnica del famoso team di Formula 1. Nell’abitacolo le cinture a quattro punti si abbinano a sedili avvolgenti che permettono di trovare una posizione ideale da cui controllare il display centrale che visualizza informazioni relative a velocità, stato di carica delle batterie, modalità di rigenerazione e curva di coppia. Al suo fianco due monitor che sostituiscono gli specchietti retrovisori, mandando le immagini di due telecamere montate appena dietro le ruote anteriori. Anche l’estetica degli interni è particolarmente curata. I rivestimenti sono infatti disponibili in due colori: Cyber Green e Stealth Orange. Tonalità

utilizzate nella parte superiore del retro del sedile e incorniciati con un materiale argentato riflettente in modo da creare un aspetto più sportivo. La base dei sedili è invece rivestita con un materiale nero modellato con una banda verde e arancione che incornicia il cuscino. «Questi prototipi – ha dichiarato Carlos Ghosn, Presidente di Nissan – rappresentano la visione di Nissan della mobilità intelligente, dove il piacere di guida si unisce alla responsabilità verso l’ambiente. Per Nissan gli appassionati di auto guardano avanti, verso un futuro a zero emissioni e BladeGlider è la perfetta dimostrazione di tutto ciò. È la vettura elettrica per chi ama le auto». Non solo ecologia ma anche piacere di guida. Il segreto di questo prototipo si chiama torque vectoring, ovvero un sistema che controlla e gestisce la potenza inviata alle ruote motrici. Tre le regolazioni disponibili: disattivato, agile e modalità drift. Insomma c’è da divertirsi.


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