Azione 38 del 14 settembre 2015

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 settembre 2015 ¶ N. 38

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Ambiente e Benessere

I profondi effetti del clima sulla cultura Ricerche Lo storico Wolfgang Behringer smonta la favola dell’«equilibrio climatico»

Lorenzo De Carli A proposito di clima, non è infrequente sentir parlare di «equilibrio della natura» o di «equilibrio climatico», entrambi perduti. Quella dell’«equilibrio» è una favola, del tutto priva di senso dal punto di vista del pianeta nel quale si è evoluta la nostra specie. Negli ultimi cinque miliardi di anni, cioè dalla nascita della Terra, il clima è sempre cambiato e sarà così anche in futuro. È chiaro, dunque, che il problema non è quello di un supposto «equilibrio climatico», bensì quello delle condizioni, senza le quali la nostra specie si estinguerebbe.

«La storia ci insegna che il clima è sempre stato in trasformazione e che la società ha sempre dovuto farvi fronte» Cacciatori nella neve (1565) di Pieter Bruegel il Vecchio è stato dipinto durante la «Piccola glaciazione».

Già nel suo primo rapporto risalente al 1990, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) aveva smentito la favola dell’equilibrio climatico: che si consideri l’ultimo milione di anni, oppure gli ultimi 12’000 oppure gli ultimi mille anni, il risultato è sempre lo stesso: periodi caldi e periodi freddi si alternano costantemente. Gli storici del clima operano con due ordini di dati: l’«archivio della Terra» e l’«archivio della società». Con il primo tipo di dati, s’intendono tutti i sedimenti naturali tramite i quali, seguendo metodi scientifici, si possono ricavare informazioni sul clima del passato. Con un’ampia varietà di metodi, che vanno dagli isotopi dell’ossigeno al metodo del radiocarbonio, si studiano «carote» di ghiaccio estratte un po’ ovunque sul pianeta, oppure sedimenti marini, retrocedendo in tal modo nel tempo anche fino a 800’000 anni. Gli «archivi della società», invece, sono, le informazioni che ci sono state lasciate per mezzo di immagini, numeri, lettere, libri, ecc. Abbiamo, per esempio, numerosi libri che raccontano gli effetti della Piccola era glaciale che ebbero luogo in Svizzera a partire dalla metà del 1300. Descrivendo l’ingrossarsi del ghiacciaio di Grindelwald, Martin Zeiller scriveva: «La gente del posto, che osserva dall’alto la scena, riferisce che questa montagna continua a crescere e spinge via davanti a sé la propria base, o terreno, sicché i bei prati che c’erano prima stanno scomparendo e la montagna rimane scabra e deserta; anzi, in diversi luoghi la gente è dovuta fuggire, perché questa montagna, ingrandendosi, travolge anche le case e le capanne contadine». Sono gli anni, in cui non solo il lago di Costanza gelava con regolarità in tutta la sua superficie, e sul Tamigi ghiacciato si estendevano molte attività commerciali praticate nelle vie di Londra, ma si poteva anche andare da Mestre a Venezia in carrozza, tanto che nell’inverno del 1491 sulla superficie ghiacciata del Canal Grande fu organizzato un torneo di cavalieri. Dopo anni di ricerche, lo storico tedesco Wolfgang Behringer ha pubblicato una Storia culturale del clima diventata subito un testo di riferimento per chi voglia studiare come sono mutate le culture con il mutare del clima. È una storia lunga, che parte dalla

nostra prima uscita dall’Africa, quando Homo erectus fu spinto verso altri continenti proprio a causa di mutamenti climatici. La nostra specie è figlia dell’«era glaciale». Se, infatti, Homo sapiens sapiens riuscì a diffondersi in tutta l’Asia meridionale circa 70’000 anni fa, è perché approfittammo di un momento della glaciazione in corso, nel quale la fauna e la vegetazione nei territori dell’odierna Palestina ci permettevano di procacciarci cibo e migrare in Eurasia. Con l’Olocene cominciò il riscaldamento globale. Il livello dei mari si alzò, e dovette essere uno spettacolo straordinario quando – circa 8400 anni fa – il Mediterraneo sfondò lo stretto del Bosforo, riversandosi nel Mar Nero che stava ad un livello più basso. Ma se questo evento, forse, poté concorrere a creare il mito del diluvio universale, l’aumento della temperatura creò dal Mediterraneo alla Cina condizioni favorevoli per la domesticazione delle piante e per la nascita dell’agricoltura.

Sorge il dubbio però che lo studioso tedesco sottovaluti gli effetti della combinazione dei diversi fattori che influenzano il fenomeno Wolfgang Behringer segue i mutamenti climatici, osservando che cosa, nel frattempo, accade alle società. La massima espansione dell’Impero romano, per esempio, coincise con un periodo di optimum climatico: più o meno dal 60 a.C. al 250 d.C., quando in Inghilterra si coltivava la vite. In quel periodo, la temperatura media nella nostra regione era più alta che quella attuale, così come lo sarebbe stata più tardi – nel cosiddetto «Interglaciale medievale». Tale è la preoccupazione odierna per il riscaldamento globale in corso, che quasi nessuno di noi si ricorda che, negli anni Sessanta e Settanta del secolo appena trascorso, la preoccupazione diffusa era esattamente contraria: si temeva un’altra glaciazione e già si pro-

gettava d’incrementare l’effetto serra – noto nella sua dinamica fin dall’inizio del Novecento – per scongiurare

l’avanzata dei ghiacciai. Ora, invece, a preoccuparci è l’aumento della temperatura e secondo l’IPCC «il riscalda-

mento antropogenico supera di molto l’azione delle cause naturali nel provocare l’attuale mutamento climatico». È chiaro che una serie di eruzioni vulcaniche potrebbe invertire questa tendenza, producendo l’effetto di uno o più anni «senza estate». D’altra parte, il continuo incremento della temperatura produrrebbe effetti negativi anch’essi. «La storia culturale del clima ci insegna che il clima è sempre stato in trasformazione e che la società ha sempre dovuto farvi fronte» – scrive Behringer, il quale soggiunge: «se farà più caldo ci prepareremo». Ma la questione potrebbe non essere così semplice. Se nel 1700 eravamo in 700 milioni, oggi siamo 7,3 miliardi: difficile prevedere come reagiremmo in condizioni di scarso accesso al cibo. L’altro aspetto che Behringer sembra sottovalutare sono gli effetti di soglia che caratterizzano i sistemi complessi: è forse semplicistico immaginare un incremento lineare della temperatura; allo stato attuale delle nostre conoscenze è più realistico immaginare un imprevedibile effetto di feedback tra sistemi diversi, con incrementi rapidi della temperatura. Vien da pensare che la storia culturale del clima incoraggi la convinzione che la cultura avrà la forza di gestire gli effetti del clima stesso. Annuncio pubblicitario

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