Azione 38 del 14 settembre 2015

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVIII 14 settembre 2015

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Azione 38

Società e Territorio «Vieni, gioca, apprendi!», è l’invito del Festival della formazione

Ambiente e Benessere La prevenzione delle cadute è un tema molto importante, al centro di campagne dell’UPI e della Lega Svizzera contro il reumatismo

Politica e Economia Turchia verso il voto: appuntamento decisivo

Cultura e Spettacoli Il tormento di Blaise Cendrars in una recente biografia

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Alessandro Vecchi

I cavalli pescatori delle Fiandre

di Maria Grazia Buletti pagina 12

Una legislatura particolare di Peter Schiesser I sondaggi sono unanimi: il partito dato per favorito alle elezioni federali è quello liberale radicale, anche se va ricordato che il 18 ottobre assisteremo in realtà ad una somma di elezioni cantonali, in cui peseranno anche le personalità dei candidati e le congiunzioni delle liste. Per uno sguardo complessivo sulla forza dei partiti rinviamo all’articolo di Marzio Rigonalli a pagina 27, qui vogliamo dare uno sguardo su ciò che è successo in questi quattro anni, da quando i partiti di centro, in particolare quelli del «nuovo centro» (Verdi liberali e Partito borghese democratico), sono apparsi sulla scena politica, per rispondere alla domanda che ci si pose all’indomani delle elezioni del 2011: il Parlamento svizzero si è spostato a sinistra? La risposta è sì, ma l’analisi dell’istituto di ricerca Sotomo dell’università di Zurigo, guidato dal politologo Michael Hermann, ci dà un’immagine più differenziata: complessivamente, il parlamento si è spostato a sinistra, ma da una posizione di centro-destra per giungere al centro. Come riassunto da Hermann sulla Neue Zürcher Zeitung (8.9.2015), se fino al 2011 il centro-destra vinceva il 57 per

cento delle votazioni alle Camere federali, da allora centro-destra e centro-sinistra si dividono i successi a metà. Tuttavia, questa parità viene relativizzata se si catalogano le votazioni secondo temi politici: si constata che la politica sociale, dei trasporti, energetica e dell’ordine pubblico è stata in questi quattro anni marcatamente più di sinistra; restano per contro di centro-destra la politica agraria, quella sulla sicurezza, quella economica e finanziaria, della salute, dell’ambiente e quella sull’asilo. Non c’è dunque una dominanza del centro-sinistra, se non in determinati settori. E se il centro-sinistra ha potuto vantare 230 votazioni vinte in più rispetto al passato, il merito è in effetti da ascrivere ai nuovi partiti di centro e in particolare ai Verdi liberali che spesso hanno funto da ago della bilancia, ma anche al fatto che l’ala destra del PPD ha perso seggi nel 2011. È il caso di parlare di una nuova tendenza nella politica federale? Sarebbe azzardato rispondere di sì, poiché i sondaggi prospettano una correzione di rotta. Ma un fatto va sottolineato: in questa legislatura la tendenza alla polarizzazione fra destra (UDC) e sinistra (PS e Verdi) si è attenuata e ancora più che in passato le maggioranze sono state costruite a partire dal centro. Va infatti ricordato che la politica

svizzera non si costruisce su alleanze fisse, ma mobili: i partiti di centro possono votare con la sinistra su temi come la politica sociale, ma poi con il centro-destra sui temi economico-finanziari. Cosa si deve invece constatare, come nota la NZZ (9.9.2015), è che il Consiglio nazionale è diventato più imprevedibile e il Consiglio agli Stati più politicizzato, ossia meno espressione di una sensibilità «cantonale». In questo quadriennio il Nazionale ha respinto finora 23 progetti di legge governativi, un primato assoluto, smarcandosi platealmente dal Consiglio federale. Se questo sia una conseguenza delle difficoltà che sta vivendo la vecchia politica di concordanza è da dimostrare, ma il dubbio sussiste. Dal canto suo, il maggior peso assunto dal Partito socialista nella Camera dei Cantoni, il quale oggi conta 11 seggi su 46 (cui se ne aggiungono 2 dei Verdi) e vota compatto, ha spinto gli altri partiti a disciplinarsi maggiormente e a votare in ordine meno sparso, ciò che invece in passato era una prerogativa di questa Camera, i cui membri erano più sensibili agli interessi del proprio cantone che agli ordini di scuderia. Il 18 ottobre e la prossima legislatura ci diranno se questi cambiamenti metteranno radici o se si è trattato di un fenomeno passeggero.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 settembre 2015 ¶ N. 38

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Attualità Migros

M La Scuola Club di Lugano è tornata a casa! Migros Ticino Dopo un anno di lavori la sede è stata

completamente rinnovata

Commissione Culturale È stato assegnato

a quattro associazioni attive in ambito sociale e culturale nella Svizzera italiana Mercoledì scorso si è tenuta Sant’Antonino la terza riunione dell’anno del Consiglio di cooperativa di Migros Ticino. Durante la seduta sono stati in particolare presentati l’andamento di Migros Ticino e le recenti novità Cumulus, con l’introduzione dei buoni digitali e delle differenti applicazioni che permettono anche il pagamento con smartphone. Si è tenuta poi la consegna del contributo di 20’000 franchi assegnato nel 2015 dalla Commissione culturale. Le organizzazioni che hanno beneficiato ognuna di un contributo di 5000 franchi, sono: l’Associazione Acqua Fregia, per il progetto di recupero della miniera d’oro di Sessa e delle strutture annesse in funzione culturale, didattica e turistica; l’Associazione Nascere Bene Ticino per il progetto «info percorso maternità», volto a informare e sostenere i genito-

ri nel corso della gravidanza, del parto e del primo anno di vita del bambino e che ha già realizzato il sito www.nascerebene.ch e aperto la «Casa maternità e nascita lediecilune» a Lugano; la Fondazione Alberto Pedrazzini per la ristrutturazione della casa di vacanza di Cerentino, la più antica del Ticino, attiva già dagli inizi del ‘900, quando accoglieva gratuitamente bambini di famiglie bisognose del Locarnese; e infine la Parrocchia di Ponto Valentino per il restauro dell’impianto campanario della Chiesa parrocchiale. Il Consiglio di cooperativa di Migros Ticino assegna 20’000 franchi a progetti e iniziative culturali e/o sociali nella Svizzera italiana, elargiti sulla base delle richieste pervenute sull’arco di un anno (termine: fine aprile) al Percento culturale Migros Ticino, via Serrai 1, 6592 Sant’Antonino.

Le aule sono dotate di supporti didattici d’avanguardia.

management ed economia, dell’informatica e della formazione personale, dall’altro al desiderio di fare movimento e mantenersi in forma con attività di ogni genere. La posizione centrale in città – la sede luganese della Scuola Club Migros Ticino si trova in centro città dall’anno della sua fondazione, il 1957 – contribuisce a fare della scuola un punto di incontro e di scambio per i cittadini di Lugano e dintorni, che da oltre 50 anni offre ai partecipanti opportunità di crescita e di professionalizzazione.

Dopo l’apertura dello studio Activ Fitness e della sede rinnovata della Scuola Club, i lavori di ristrutturazione dello stabile Migros di via Pretorio 15 continuano a tappe ai piani inferiori. La conclusione dei lavori è prevista nel 2017. Con questo progetto Migros Ticino conferma la sua volontà di sviluppare, migliorare e ammodernare regolarmente la sua rete di vendita, in tutto il Cantone – nelle città, nelle periferie e nei centri commerciali – e nei diversi ambiti di attività in cui è attiva.

TiPress

La Scuola Club si trova al quarto piano dell’edificio Migros di Via Pretorio 15. Le aule polivalenti, distribuite su una superficie di 1300 mq, sono 14, tra cui un’aula di informatica, una cucina e due bellissime palestre. Nella ristrutturazione della scuola la Cooperativa Migros Ticino ha investito circa 2,2 mio. di franchi. Nel 2014 hanno frequentato i corsi alla Scuola Club di Lugano 6600 allievi, per un totale di 21’600 ore di classe. «Questi risultati ci hanno resi particolarmente orgogliosi, se si pensa che si riferiscono a un anno in cui ci siamo trasferiti in una sede provvisoria, con meno aule, una sola palestra e qualche piccolo disagio» commenta Yvonne Pesenti Salazar, responsabile della Scuola Club Migros Ticino: «il nostro pubblico ha infatti dimostrato fedeltà e costanza e siamo lieti di poterlo accogliere in una sede nuova, luminosa, confortevole e all’avanguardia per strutture e supporti didattici». La programmazione potrà dunque riprendere a pieno ritmo, in tutti i settori. Un’ampia e moderna cucina ospiterà nuovamente i corsi di enogastronomia, le palestre saranno teatro di corsi di ballo, fitness, yoga e meditazione. Ogni aula è dotata di LIM (lavagne interattive multimediali), su cui è possibile scrivere, disegnare, allegare immagini, visualizzare testi, riprodurre video o animazioni. Come le altre sedi della Scuola Club, la sede di Lugano sarà nuovamente in grado di rispondere pienamente alle diverse aspettative degli utenti: da un lato all’esigenza di migliorare saperi e competenze con corsi e formazioni nel settore delle lingue, del

Un contributo di 20’000 franchi da Migros Ticino

Da sin.: Mara Bianchini, Delta Geiler Caroli, Delio Guidicelli, Daria Gilli, Mario Colombo (Pres. Comm. Culturale di Migros Ticino), Mario Zarri, Alfonso Passera, Franco Pedrazzini e Giuseppe Cassina (Pres. del Consiglio di Cooperativa).

I nuovi apprendisti di Migros Ticino Tirocinio L’azienda ticinese conferma

il suo impegno nel settore della formazione professionale, offrendo un ampio ventaglio di opportunità

Una squadra nutrita e pronta a iniziare l’avventura professionale: i tirocinanti che quest’anno saranno introdotti al mondo del lavoro dall’azienda ticinese sono 17. Andranno ad aggiungersi agli altri 27 attualmente impiegati da Migros Ticino. I settori in cui saranno occupati sono i più vari: dall’elettronica alla guida di automezzi pesanti. Tutti troveranno un adeguato sostegno da parte dei responsabili della formazione ma, naturalmente, anche dai colleghi di reparto.

Da segnalare, inoltre, che uno degli apprendisti di Migros Ticino, Antonio Stoianov di Locarno, tirocinante nel settore alimentari e carne della filiale di Locarno, parteciperà alle finali regionali di Swiss Skills, la competizione che vede i migliori apprendisti di tutta la Svizzera affrontarsi in una sfida professionale. La gara della finale per la vendita si terrà sabato 26 settembre 2015 al centro Breggia di Balerna. E per la prima volta un apprendista di Migros Ticino è incluso nella rosa dei 10 finalisti.

Azione

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Nella foto di gruppo, da sinistra: Fabio Scialpi (elettronica, S.Antonino), Davide Sirianni (logistica, centrale), Mattia Salvatore (alimentari, Minusio), Micael Correia Melo (alimentari, Solduno), Alessandro Maino (autista veicoli pesanti, centrale), Yari Cenci (alimentari, Grancia), Massimiliano Di Paolo (alimentari, Lugano), Katarina Micic (alimentari, Biasca), Sofia Moronese (alimentari, Agno), Elisabetta Calogero (economia della carne, Pregassona), Nicol Martinoni (profumeria, Locarno), Giovanni Mazzotta (garden, OBI), Elia Patt (do it, OBI). Mancano: Amir Dedic (do it, Losone), Edgardo Cerabona (cuoco, Agno) e Aline Mariotti-Nesurini (commercio, centrale). Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

Tiratura 98’645 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


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Società e Territorio Scoprire la Val Bedretto Angelo Valsecchi racconta le peculiarità di una valle che è un «santuario» della natura alpina

Chiasso ricorda Don Willy Una serie di iniziative allo Spazio Officina e un libro rinnovano una «sempre viva amicizia»

Dalla Calabria al Ticino e ritorno Incontro con Domenico Vivino; i suoi pullman sono un punto di riferimento per la numerosa comunità calabrese del Ticino

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Apprendere un passo dopo l’altro Festival della formazione Imparare

è sempre possibile, scopritelo a Bellinzona il 18 e il 19 settembre

Stefania Hubmann Un corso, una conferenza, una lettura, uno spettacolo, una discussione fra colleghi o amici. La formazione continua è ovunque e per tutti, semplicemente non sempre si è consapevoli che si sta imparando qualche cosa di nuovo, che si aggiornano le proprie conoscenze, rimanendo così in sintonia con il veloce sviluppo della società. L’apprendimento porta in ogni sua forma benessere all’individuo e alla comunità. Per avvicinarsi a proposte formative più mirate, l’annuale Festival della formazione, in programma il 18 e 19 settembre a Bellinzona, punta nell’edizione 2015 all’apprendere un passo dopo l’altro. Sabato prossimo la popolazione della Svizzera italiana avrà modo di accostarsi al mondo della formazione continua attraverso un gioco dell’oca in formato gigante allestito in Piazza del Sole. L’idea del passo da compiere è dunque molto concreta, così come il successivo passaggio alla postazione di uno degli otto enti formatori convolti: Scuola Club Migros, Federazione Cantonale Ticinese Servizi Ambulanze, Fondazione Terzo Millennio, Forum competenze di base, GastroTicino, PerCorsoGenitori, Società impiegati commercio e Soccorso operaio svizzero. Uscire dallo schema tradizionale del corso da seguire in un’aula scolastica e soprattutto presentarsi nei luoghi pubblici, a diretto contatto con la gente di passaggio, è la carta vincente delle ultime edizioni del Festival della formazione, che ha visto crescere interesse e partecipazione. La formazione continua è alla portata di tutti, basta… compiere il primo passo. Lo slogan «Apprendere con testa, mani, cuore e piedi», inaugurato quattro anni fa, giunge così a conclusione. Il 2015 segna inoltre i venti anni di presenza del festival in Svizzera. Per Ruth Jermann, responsabile dell’organizzazione a livello nazionale e ideatrice di questo percorso, è l’occasione giusta per un bilancio. Ecco quindi, prima delle 24 ore che da cinque anni caratterizzano il Festival della formazione, l’organizzazione giovedì prossimo di un simposio internazionale a Lucerna, per riflettere sull’evoluzione dell’esperienza svizzera confrontandola con una panoramica di esempi internazionali. Il modello di questa campagna è stato proposto per la prima volta in In-

ghilterra e subito ripreso da Slovenia e Svizzera. Oggi è diffuso nel mondo intero e interessa circa cinquanta Paesi. «All’inizio in Svizzera il Festival della formazione si svolgeva ogni tre anni sull’arco di una decina di giorni – spiega Francesca Di Nardo, collaboratrice della Conferenza della Svizzera italiana per la formazione degli adulti (CFC) che cura l’organizzazione a livello regionale – mentre negli ultimi sei anni si è passati alla formula annuale delle 24 ore (dal venerdì alle 17 al sabato alle 17), per garantire maggiore continuità sia alle relazioni con i partner sia nei confronti del pubblico. Date e immagine della campagna sono coordinate a livello nazionale dall’ente promotore, la Federazione svizzera per la formazione continua (FSEA); i temi variano invece da una regione linguistica all’altra e sono sviluppati, oltre che a Zurigo, negli uffici di Nyon e Lugano». In Ticino, ad esempio, quest’anno sono state coinvolte direttamente anche le aziende, in considerazione del fatto che l’esigenza della formazione continua in ambito professionale è molto marcata. Francesca Di Nardo: «In collaborazione con il Forum competenze di base abbiamo organizzato un’azione di promozione di queste competenze in azienda. Si chiama “Un’ora per voi”, perché le ditte partecipanti, circa una decina, offriranno ai propri dipendenti un’ora di formazione gratuita durante la giornata di venerdì 18 settembre. La formazione sul posto di lavoro sarà dedicata ai primi soccorsi e alle competenze in italiano, matematica e nella comunicazione multimediale». La perdita delle competenze di base è un fenomeno di cui sono consapevoli da diversi anni anche la politica e il mondo aziendale. La nostra interlocutrice fornisce qualche dato: «Si stima che in Svizzera l’illetteratismo (perdita delle competenze nella lettura, nella scrittura e nella capacità di calcolo dopo la scuola dell’obbligo) riguardi circa 800mila persone, di cui 35mila in Ticino. Le aziende non devono dare per scontato che le capacità apprese durante la formazione siano acquisite per sempre». Ciò vale soprattutto per chi non ha un titolo di studio superiore. A livello nazionale i dati sulla partecipazione alla formazione continua non formale (che rilascia un certificato di partecipazione) indicano infatti che nel 2011 le persone in possesso del diploma di

Continuare ad apprendere è come aggiungere sempre nuove tessere al proprio puzzle personale. (Keystone)

scuola dell’obbligo che avevano seguito una formazione continua erano pari al 30,7%, mentre la percentuale sale al 79,4% per i titolari di un diploma di grado terziario. Una media, quella più bassa, comunque superiore alla maggioranza dei Paesi europei. In Svizzera la formazione continua è sostenuta da una nuova legge che dovrebbe entrare in vigore nel 2017 e nella quale è ancorata anche la promozione delle competenze di base. Enti pubblici e privati forniscono quindi numerosi stimoli e incentivi volti a un miglioramento delle proprie conoscenze e competenze, fino ad esempio all’accompagnamento mirato di chi desidera avviare un’attività indipendente. Il Festival della formazione offrirà uno spazio anche a questa sfida. Con il titolo «Mettersi in proprio: un’impresa possibile» il Servizio inter-

dipartimentale DECS-DFE fondounimpresa.ch si presenterà al pubblico con una conferenza venerdì 18 settembre alle 18 al Centro d’arti e mestieri a Bellinzona. L’obiettivo è proprio quello di illustrare gli strumenti messi a disposizione dal Cantone Ticino per facilitare l’avvio di un’attività. Dal 2008 il servizio propone la consulenza gratuita in gestione aziendale di 15 ore per due anni a certe condizioni, come pure corsi serali di formazione sulle questioni importanti nell’ambito dell’attività indipendente, ossia gli aspetti amministrativi, giuridici e assicurativi, la calcolazione dei prezzi e il marketing. Precisa Vladanka Gavric del team operativo: «Abbiamo constatato che i quasi mille corsisti finora formati riescono a gestire meglio i molteplici aspetti di un’attività professionale indipendente, qualsiasi sia la natura di quest’ultima.

Al Festival della formazione saranno presenti anche due neo-imprenditori che porteranno una viva testimonianza. In generale coloro che avviano un’attività fanno parte dei settori artigianale-edile, del commercio minuto, del turismo di prossimità; ci sono però anche informatici, fisioterapisti, estetisti e altri professionisti». «Vieni, gioca, apprendi!» è l’invito del Festival della formazione 2015 che dà appuntamento venerdì e sabato prossimi a Bellinzona per scoprire le molteplici possibilità di formazione lungo tutto il corso della vita. Sì, perché imparare è sempre possibile, in tempi e forme diverse. Informazioni

www.festivalformazione.ch www.fondounimpresa.ch


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Società e Territorio

Nel «santuario» della natura alpina

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Val Bedretto Le sue peculiarità raccontate

da Angelo Valsecchi, anche con immagini e disegni

in seguito a carenza di biotina.

È una delle valli più settentrionali del Cantone, un «santuario della natura alpina», forgiata dal ghiacciaio e dalle acque del Ticino, che nasce con una sorgente poco sotto il Passo della Novena e ci mette 250 chilometri prima di arrivare al Mediterraneo. Proprio nel fondo di un antico mare, la Tetide, si formarono nel Giurassico, tra 190 e 136 milioni di anni fa, i sedimenti carbonatici rilevabili oggi sul fondovalle sotto forma di Dolomia cariata a Villa, ad esempio, ma anche sul Passo del Corno. Tra le peculiarità della Val Bedretto vi è la grande varietà di rocce e minerali. Di origine marina ma con una storia diversa sono le rocce metamorfiche del versante orografico destro, del P.ne Grandinagia, del Cavagnolo, della Cima di Lago, formatesi sempre nella Tetide e spinte a nord durante la nascita delle Alpi (iniziata 65 milioni di anni fa) per dare origine in Val Bedretto alla parte più settentrionale delle coltri penniniche di ricoprimento. I calcesciti scuri, molto stratificati, che si rilevano nell’alta valle, alle Scaglie di Corno, al Nufenenstock, all’Alpe Cruina, hanno subito invece poche trasformazioni e nascondono fossili di organismi estintisi in bacini poco ossigenati. Queste e altre pagine di storia della Terra riferite alla Val Bedretto ci vengono presentate dal naturalista Angelo Valsecchi in un tascabile edito da Salvioni. Della stessa collana abbiamo apprezzato Adula, Campo Tencia, Cristallina, Greina, Camoghé, Piora. I testi sono sempre corredati da immagini e disegni dell’autore. È un invito all’osservazione diretta e curiosa di quanto ci circonda e della vita in tutte le sue espressioni, a cominciare dalle montagne che «si modificano perché sono vive». In queste pubblicazioni, come in altre di Angelo Valsecchi, la comprensione di fenomeni complessi è davvero alla portata di tutti ed è come se il territorio, nel raccontarsi attraverso i suoi diversi attori, si animasse di storie e «personaggi» capaci di coinvolgere anche il più insensibile dei lettori. Il versante sinistro della Val Bedretto, con gli affioramenti granitici del P.ne di Maniò, del Rotondo e del lato meridionale del Lucendro e della Fibbia, ci riporta a un periodo geologico antico, il Permiano, tra 280 e 225 milioni di anni fa: sono i soli in Ticino insieme a quelli del Gottardo e del Pizzo Medel. Sul versante sinistro si estraeva una pietra ollare

di colore rossastro in due luoghi, a circa 2000 metri, sopra al Laghetto delle Pigne e non lontano dall’Alpe Cavanna, a lato della strada militare dei Banchi: tre pigne del 1615 in antiche case in legno di Piotta furono realizzate proprio col sasso della cava di Vinei. Per sopravvivere in un ambiente valligiano così ostile nei lunghi mesi invernali (vi si registra il maggiore innevamento del Cantone) l’uomo, e non solo la natura, si è ingegnato, costruendo muri di deviazione e ripari dietro le cascine: il campanile della chiesa di Villa è a cinque facce, con uno spigolo frangivalanga a monte. Un capitolo interessante riguarda lo sfruttamento degli alpi, sui terrazzi lasciati su ogni versante dagli antichi fondovalli e diventati tappe di sosta di una transumanza «estremamente perfezionata». Fino al 1227 le comunità, durante l’estate, portavano il bestiame sugli alpeggi più vicini. Dal 23 maggio 1227 – ricorda l’autore – quando il Consiglio generale di Leventina decise di distribuirli in modo più razionale per consentire lo sfruttamento anche alle altre comunità leventinesi meno favorite, i bedrettesi (allora solo 150) non ricevettero alpi propri, anche se la valle che ne contava addirittura 12. Le loro lotte per i diritti d’alpe durarono fino al 1407, quando si giunse a un arbitrato per la ripartizione tra i 38 Vicini leventinesi. Il divieto di vendere o di donare gli alpi spiega perché i Walser non si insediarono in valle. Un’incursione etimologica sul nome Bedretto non poteva mancare. È legato alla betulla, in dialetto bedra. A ricordarcelo sono i boschetti di questa pianta all’entrata della valle. Dalle ricerche sui pollini delle torbiere alpine come la Bedrina, tra Prato e Dalpe, è risultato che fu tra le prime piante a colonizzare le terre dopo il ritiro dei ghiacciai, 9000 anni fa. Fenomeni antichi e nuovi che testimoniano cambiamenti climatici come quelli all’origine della colorazione rossa, osservata solo negli ultimi anni dall’autore anche in Val Bedretto in uno stagno di Vinei e legata all’elevata temperatura dell’acqua e alla presenza di bestiame al pascolo che fanno proliferare l’alga unicellulare Tovelia sanguinea (A. Focarile «Azione» 17.3.2014).

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Bibliografia

Angelo Valsecchi, Bedretto, foto e disegni dell’autore, Salvioni Edizioni, Bellinzona 2015

Con il ritiro del ghiacciaio del Chüebodenhorn è nato un piccolo laghetto nel quale si specchiano alcuni celebri 4000 svizzeri. (A.Valsecchi)

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Società e Territorio

La Chiasso di Don Willy In memoriam A sessant’anni dalla creazione del Campeggio di Catto, Chiasso ricorda Don Willy

con una serie di iniziative, tra cui la pubblicazione di un libro

Emma Bianchi Pochi anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale la cittadina di confine di Chiasso si apprestava a vivere una primavera del tutto particolare, contrassegnata da un ottimismo inscalfibile. Questo soprattutto a causa di un boom economico che aveva reso Corso San Gottardo una fervida arteria di piccoli e grandi traffici e commerci, che spaziavano dalla benzina alle sigarette, passando per dadi e banane, senza dimenticare la piazza finanziaria, allora in piena espansione. Chiasso, come testimoniano i ricordi di molti, si trasformò in un quartiere di una grande città, come tale caratterizzato da figure umane imprescindibili e vivaci, in uno spirito comunitario forte grazie anche a quella «ramina» che spesso ne delimitava i confini solo sulla carta. Fra i personaggi alcuni ebbero un carisma tale da rimanere «incollati» alla storia della cittadina e a quella di chi vi ha vissuto e ci vive tuttora. Don Willy Albisetti (1923-2000) seppe incastonarsi perfettamente nell’humus cittadino, riuscendo in pochi anni a dissipare anche le perplessità degli scettici e di coloro che con la chiesa avevano poco a che fare. Questo soprattutto grazie a uno spirito organizzativo pionieristico e a un senso di pragmatica religiosità che non mancò di contagiare generazioni intere, lasciando un segno e un ricordo che ad oggi non hanno perso nulla del loro smalto. A rafforzarlo «dall’alto» intervenne sicuramente in suo favore il Concilio Vaticano II. Sono molti gli appuntamenti cui diede vita, potenziando lo spirito di comunità, estendendolo perfino al di là dei confini cittadini, regionali e nazionali, creando una sorta di «scadenzario della quotidianità» praticamente inimmaginabile ai nostri occhi di individualisti del ventunesimo secolo. Quante sono

infatti le centinaia di giovani che ogni estate si sono recati alle colonie di Catto, imparando a stare lontani da casa e allo stesso tempo, grazie a un confronto e a uno scambio sempre sollecitati dal prete, superando indenni e arricchiti il difficile passaggio dall’adolescenza all’età matura? E quanti hanno preso parte alla biciclettata del 1. Agosto, riproposta

dopo molti anni poco più di un mese fa? E ancora, chi non si è visto pestare i piedi come metodo dissuasivo in seguito a un più o meno innocente moto di disobbedienza o non ha partecipato a concerti e spettacoli all’Excelsior, teatro fortemente voluto dallo stesso prete? Il ricordo del Don è vivo, commosso e permeato di gratitudine in coloro

In alto, la tradizionale biciclettata del Primo Agosto; a sinistra, Don Willy con un ragazzino; di fianco, Don Willy con Don Laim (1967).

che lo hanno conosciuto di persona, arrivando magari anche a scontrarsi con lui, sebbene sempre in un contesto di rispetto e di amicizia. Lo dimostrano le innumerevoli testimonianze raccolte nel libro Don Willy e sempre viva amicizia, nato su iniziativa del gruppo di ex campisti «Nonostante». Il libro, ricco di fotografie, di riproduzioni di documenti dell’epoca e di interventi presenta una lunga serie di ricordi, forse resi più splendenti dal tempo o dalla nostalgia, ma sempre scaturiti da incontri con il sapore dell’indelebile. I testi e le immagini raccontano di un prete d’altri tempi, spesso in sella alla sua bicicletta (rigorosamente da donna, con i raggi coperti, per preservare l’abito talare), con dalla sua una buona dose di fantasia e un’intransigenza difficile da immaginare ai giorni nostri. Fra coloro che lo ricordano qualcuno parla anche della sua sofferenza, di cui non metteva a parte nessuno, altri della sua estrema generosità. Il gruppo «Nonostante», a quindici anni dalla scomparsa del Don e nel sessantesimo dalla nascita del Campeggio di Catto, ha deciso di organizzare una

serie di incontri che al prete di confine sarebbero di sicuro piaciuti, perché pensati in primo luogo per la gente. Dopo gli appuntamenti estivi, con l’ascesa al Monte Pettine, la biciclettata del 1. Agosto e la settimana a Catto, sarà il momento della riflessione e del ricordo, allo Spazio Officina. Un’occasione imperdibile per rispolverare una parte dei propri ricordi, e dunque della propria vita. Dove e quando

Sabato 26 settembre (ore 17): Maria Grazia Rabiolo presenta Don Willy e sempre viva amicizia; segue inaugurazione della mostra. Martedì 29 settembre (ore 20.30): lettura recitata di storie di campeggio. Sabato 3 ottobre: tavola rotonda sull’esperienza di Catto e rinfresco a sorpresa. Tutti gli appuntamenti avranno luogo allo Spazio Officina di Chiasso. Don Willy e sempre viva amicizia può essere ordinato telefonando allo 091 690 50 60 o scrivendo a tg@progettostampa.ch

La società connessa di Natascha Fioretti Da professore di letteratura a Twittatore di professione

Quando la lessi per la prima volta, la storia di Eric Jarosinski mi conquistò subito. Dall’università a twittatore professionista, opinionista e scrittore. Il perfetto profilo 2.0 di un creativo, coraggioso, baciato dalla fortuna che scopre le dinamiche della Rete fino a trasformare il suo stile di vita e a vestirsi di una nuova identità. Quella del cartone del filosofo Theodor Adorno dallo sguardo burbero, contrariato che indossa un monocolo, dice «Nein» (no) e twitta in tedesco, in inglese oppure un mix di entrambi. E una tagline del profilo che recita «un compendio di utopica negazione». Per vederlo con i vostri occhi andate qui: twitter.com/NeinQuarterly. Qual è dunque la storia di Eric Jaro-

sinski? Classe 1971, è originario del Wisconsin e già da bambino entra in contatto con la lingua e la cultura tedesca. Nel XIX secolo in questo Stato migrarono molti tedeschi dando alle città nomi inconfondibili come New Berlin e New Holstein. Terzo di sei maschi scopre presto la sua passione per la lingua tedesca per poi approfondire i suoi studi a Bonn, Francoforte, Friburgo e Berlino. Non senza difficoltà, perché se da una parte ama la lingua, dall’altra soffre della sua complessità e precisione che gli ricorda piuttosto la matematica. «Le parole tedesche sono troppo lunghe. La vita è troppo breve». Nel 2007 inizia a lavorare al Penn e a studiare la teoria critica della scuola di Francoforte analizzando i testi di Adorno, Walter Benjamin, Siegfried Kracauer e mol-

ti altri. Più tardi diventa professore assistente di germanistica presso la prestigiosa università della Pennsylvania. Si potrebbe pensare, un sogno che si realizza. In realtà però a Jarosinski la vita accademica, e in particolare la ricerca, gli vanno un po’ strette non per niente oggi si definisce un #failedintellectual. Accoglie allora la sfida di scrivere un libro che si rivela un’impresa tutt’altro che semplice «sudavo ogni volta che mi mettevo al lavoro». Dover ordinare i pensieri e metterli su carta con quelle lunghe frasi in tedesco non gli riusciva, più facile concentrarsi e raccogliere, costruire e decostruire le parole in un tweet. Quello che all’inizio è stato un gioco per distrarsi e per sperimentare con le lingue e le parole, due anni e 30mila tweet dopo, per Jarosinski si

rivela essere una nuova attività. Oggi il suo account Twitter conta 117mila followers e oltre 35mila tweet. Tra i suoi ultimi tweet «Oktoberfest ist im September» (L’Oktoberfest è a settembre), una cosa che ha sempre incuriosito anche me: perché si chiama Oktoberfest se poi è a settembre? In realtà però nei sui tweet si parla di letteratura, filosofia, amore e molto altro, ciò che conta per lui è «rendere accessibili tematiche anche complesse a chi mi segue». E a seguirlo sono in tanti da ogni parte del mondo Australia, Asia, Europa e Stati Uniti. «Sono un tipo piuttosto depressivo e quando mi sento solo twitto, su Twitter c’è sempre qualcuno, a qualsiasi ora del giorno e della notte». Così da professore di germanistica alla Pennsylvania (nel frattempo ha

lasciato l’incarico), Jarosinski è diventato un twittatore di successo, seguito dai più importanti giornalisti, opinionisti e professori di letteratura, intervistato e ricercato dalle più grandi testate internazionali. Il settimanale tedesco «die Zeit» ad esempio, sapendolo a Berlino, tempo fa lo ha invitato a partecipare ad una riunione di redazione in cui si esaminava la testata. Nel suo tedesco perfetto e asciutto Jarosinski disse «gli articoli sono troppo lunghi». Da allora è diventato un opinionista del settimanale ma oramai i suoi articoli vengono ospitati anche dalla «Frankfurter Allgemeine Zeitung» e molti altri. Se volete saperne di più, è in uscita il suo primo libro Nein. A Manifesto (No. Un Manifesto), un compendio dei suoi aforismi e dei suoi tweet. Da non perdere.


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Società e Territorio

Ticino-Calabria, andata e ritorno Incontri 1400 chilometri, 18 ore di viaggio e la sfida ai voli low cost: Domenico Vivino, titolare del servizio

di trasporti, con i suoi pullman garantisce il collegamento tra il Ticino e la Calabria Guido Grilli Per vent’anni, quante corse dalla Calabria al Ticino e ritorno. Ha la strada negli occhi e il sorriso di chi arriva fiero in una terra ed è pronto a ripartire. Domenico Vivino, 53 anni, titolare dell’omonimo servizio di trasporto, vive da sempre col volante in mano. E i suoi passeggeri, non meno audaci, consegnano a lui la sorte di 1400 chilometri, 18 ore di autobus prima di rivedere – riconquistare – il loro paese natìo, lasciato giù, in fondo all’Italia. Anche negli anni Duemila, in un mondo di voli low cost, all’aereo sono in molti a preferire sempre e ancora questo pullman che qualcuno con ironia chiama «Calabria Express».

L’impresa familiare gestita da Domenico Vivino è un punto di riferimento per i tanti calabresi che vivono nel nostro cantone «Siamo noi ad aver creato per primi questa linea, Ticino-Calabria» – dice con fierezza, alla stessa stregua di un alpinista che abbia aperto una via mai prima tracciata, inesplorata. Con Vivino lavorano una quindicina di conducenti a rotazione. «Facciamo servizio di linea con soste nel nord Italia, e in Ticino: Manno, Lamone, Bellinzona e Biasca. In media trasportiamo a viaggio 80 persone. Poi dipende, nei periodi estivi 300, 400 persone alla settimana. Da giugno ad agosto eseguiamo tre corse settimanali, mentre nel restante periodo dell’anno una sola». Da poco il servizio s’è dotato di un pullman nuovo, migliorando il comfort. «Ma i chilometri e le distanze rimangono invariati, 1400 chilometri, che affrontiamo con tre conducenti per corsa» – osserva il nostro interlocutore. «A Personico si trova il nostro capolinea. Qui abbiamo un appartamento per il fine turno settimanale di riposo, dove svolgiamo anche la manutenzione dei nostri veicoli. In Ticino arriviamo il venerdì e ripartiamo per nuove corse il sabato».

Come è sorta questa iniziativa? «Siamo nati nel mondo del trasporto: prima avevamo i Tir, poi nel 1998 abbiamo iniziato con gli autobus. Siamo cresciuti sulle ruote. Mio padre per 45 anni ha avuto i Tir e con lui abbiamo iniziato a girare tutta l’Europa. Ci siamo cresciuti con questo lavoro. Siamo un’impresa familiare. Abbiamo creato questa linea fino al Ticino per gli emigranti. Prima viaggiavano con i treni, e per offrire loro un servizio abbiamo deciso di comprare un pullman, e così siamo partiti. Oggi abbiamo veicoli da 53 fino 80 posti». Con i calabresi marciano anche le loro prelibatezze: ognuno dei viaggiatori, in Ticino, porta infatti con sé qualche caciotta, bottiglie di olio, sughi, frutta, verdura. «Il consentito, perché noi facciamo solo trasporto persone. Quasi più nessuno si fa dalla Calabria al Ticino in auto. O viaggiano in pullman o in aereo. Noi garantiamo il viaggio in 18 ore, soste incluse: quattro fermate, una ogni tre ore e mezzo» – spiega Domenico Vivino. Ma quale fatica! «No, i clienti sono affezionati» – assicura il nostro interlocutore. «Partiamo da Petronà, dieci chilometri da Mesoraca, fra Catanzaro e Crotone, da dove ha origine una buona parte dei calabresi emigrati in Ticino. La tratta costa 160 euro, andata e ritorno». Dapprima verso l’agognato mare lasciato per i più in gioventù, poi il rientro tra le montagne. Gli aerei non vi compromettono il mercato? «Rispetto a 15 anni fa – prosegue l’instancabile conducente – abbiamo registrato un calo di passeggeri. Le generazioni cambiano, comunque la tradizione di viaggiare in pullman resiste, si mantiene. Questo ci ha portati a estendere le corse anche nelle altre parti della Svizzera. Cerchiamo di offrire ai nostri clienti veicoli sempre più all’avanguardia, così da rendere il viaggio più agevole. Siamo un po’ come dei pendolari dal Ticino alla Calabria» – osserva Vivino, che ha iniziato a guidare in età precoce. «Quarant’anni fa. Avevo 13 anni. Ero abusivo... E poi è nata la passione». I calabresi nel cantone formano una delle più numerose e antiche comunità di emigranti. Ne abbiamo parlato con i rappresentanti delle due maggiori associazioni che da decen-

Domenico Vivino, titolare della Euro Viaggi Vivino. (Stefano Spinelli)

ni riuniscono folte collettività. «Sessant’anni fa è iniziata l’emigrazione calabrese in Ticino» – esordisce Maurizio Cortese, 58 anni, presidente dell’Associazione mesorachesi in Ticino, sodalizio nato nel 1999. «I primi sono arrivati negli anni Cinquanta, mentre il culmine lo si è raggiunto negli anni 70-80. Io sono arrivato a 15 anni, nel 1972. Oggi in Ticino si calcolano circa 5mila mesorachesi. Se consideriamo le altre regioni di provenienza, saremo circa 30mila calabresi». Un flusso che, in proporzioni decisamente ridotte rispetto al passato, prosegue. «Dalla Calabria si emigra ancora, ma è un’emigrazione diversa. Un tempo raggiungere il Ticino era veramente un’impresa. Oggi, con tre-quattro voli al giorno da Malpensa, è semplice spostarsi. Rispetto al passato, l’emigrato di oggi è più formato, tutti hanno almeno un diploma e tanti sono laureati. Oggi tuttavia, rispetto a un tempo, è molto più difficile trovare un posto di lavoro. Prima potevi scegliere il mestiere, adesso questa

facoltà non è più data». Registrate casi di emigrazione di ritorno? «No, ormai anche dopo la pensione si rimane in Ticino, per aiutare a crescere figli e nipoti. Molti giù non hanno più parenti. Si trasferiscono magari un mese, d’estate, poi tornano. Non è più come in passato, quando il sogno era costruire una casa al sud». Quella calabrese appare essere un’emigrazione che più di altre conserva nel tempo le tradizioni del ritorno, del cibo, della terra. Come si spiega? «Noi siamo legati molto ai nostri prodotti. Per esempio, il pane che facciamo al nostro paese è diverso, di una farina di grano duro, gustoso, cotto esclusivamente a forno a legna. Sono cose che ci ricordano la nostra infanzia. Per riassaporarle andiamo a Ponte Tresa Italia dove settimanalmente si svolge il servizio con un camion che porta alimenti freschi dalla Calabria. Sono specialità che qui non riusciremmo mai a produrre». Antonio Galati, 59 anni, imprenditore immobiliare, giunto in Ticino

nel 1971 da Acquaro, provincia di Vibo Valentia, è presidente onorario dell’Associazione calabrese in Ticino, nata 26 anni fa, nel 1989. Per 15 anni è stato consultore della Regione Calabria e ha coordinato l’emigrazione calabrese a livello svizzero ed europeo. «Il fine del nostro sodalizio è da sempre l’integrazione. Un cambio epocale, in tal senso, perché si è passati da quella che era un’espressione etnica tutta sua, spontanea, alla volontà di confronto con la comunità ospitante, quella ticinese, in maniera dignitosa. Abbiamo voluto mettere insieme le nostre forze e intellettualità per compiere il cammino verso una presenza un po’ più consapevole in seno alla società che ci ospita. Mentre prima prevaleva un discorso quasi folcloristico e di ancoraggio a certi valori della piccola cerchia familiare – dice ancora Antonio Galati – oggi vengono sì conservati questi valori e con fierezza, però tutto s’inserisce in un confronto più ampio nella società in cui si vive». Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Finché la festa dura… È sorprendente, specialmente nel corso dell’estate e dell’autunno, la quantità delle feste coinvolgenti l’intero cantone o i singoli comuni. Non mi riferisco tanto alle feste religiose, che nel Ticino sono particolarmente numerose (dato che vi permangono festività ufficiali abolite persino nella cattolicissima Italia), né alla festa nazionale. Quelle religiose e quelle civiche sono feste che dovrebbero associarsi a significati particolari; dovrebbero essere occasione di riflessione e ricordo di eventi atti a rinsaldare un senso di appartenenza alla comunità, locale o celeste. Dico «dovrebbero» perché mi pare che questo valore simbolico si vada estenuando: diminuisce progressivamente la partecipazione ai riti collettivi che dovrebbero richiamare il significato simbolico, e la «festa» conseguentemente tende a ridursi alla sospensione del lavoro un giorno di più – cosa pur piacevole, ma senz’altro senso che

quello della vacanza. Penso, piuttosto, alle tante feste e festicciole, anche solo di paese, organizzate per puro divertimento: sagre dell’uva, delle castagne, feste con mercati e mercatini, feste del Comune, feste di quartiere, di rione, feste occasionali… La quantità è sorprendente. Ce ne sono di legate alla tradizione e altre inventate ex novo, ma il numero, mi pare, cresce costantemente. Se si guarda il fenomeno con curiosità sociologica viene naturale chiedersene la ragione. E le prime ragioni che vengono in mente sono ovvie: esigenze di mercato, con vendita di cibi, di bevande e di oggettini vari; richiami turistici, per attrarre in una zona o nell’altra un turismo magari anche solo proveniente da località limitrofe. Poi, quando si tratta di feste non di nuova invenzione, la loro ricorrenza giova al mantenimento delle tradizioni, che oggi ci si sforza di conservare almeno quando possono

costituire occasione di curiosità e di svago e che divengono importanti proprio perché se ne teme la perdita. E ancora, ragioni di prestigio: un Comune che non organizzi feste, mentre quelli intorno vi si lanciano, sembra inerte, spento, privo di vita; dunque, ci si accoda. Poi, specie per le feste di quartiere, si vogliono fornire occasioni di incontro e di aggregazione per comunità sempre più disgregate. Le ragioni di questa prolificità del festivo sono dunque molte e tutte comprensibili. Al tempo stesso, il fenomeno richiama alcune considerazioni. In primo luogo, la festa permanente costituisce un po’ un emblema della mentalità che oggi tende a prevalere: ogni tempo dev’essere occasione di festa; le industrie del divertimento e dello svago sono tra le più produttive, ed è importante che la festa continui. Una seconda considerazione riguarda la perdita di significato, di funzione

e di valore che questo inflazionismo della festività comporta. Quando la festa era una ricorrenza relativamente rara, il suo valore era dato proprio dal suo carattere d’eccezione: costituiva così una sorta di sospensione del tempo, una frattura nella sua indifferenza ripetitiva. Ora è la festa che rischia di essere ripetitiva; e vien pur sempre in mente una riflessione di Goethe: «Un arcobaleno che sta lì più di un quarto d’ora non lo guarda più nessuno». Come accade per ogni cosa, la sovrabbondanza rischia di condurre all’indifferenza. Infine, mi pare di trovare nella riflessione di Pascal sul divertissement la funzione primaria di questa festa continua: il «divertimento» è, letteralmente, un volgere la testa altrove, non guardare, non soffermarsi su quel che non si vuol vedere né pensare. Ebbene, di cose che si vogliono dimenticare, in questo nostro tempo di festa, ce

ne sono molte: l’incertezza di questa nostra civiltà del benessere sulla quale incombe ripetutamente l’ombra di qualche pesante crisi economica; il lento corrodersi del sistema di assistenza pubblica, sempre più gravato di oneri; le incognite prodotte dalle migrazioni di massa, il rimescolio delle culture, la perdita delle tradizioni; la foto del bimbetto affogato su una spiaggia della Turchia, lambìto dalle onde; la sofferenza di milioni di persone che in tanti Paesi vivono in situazioni di indigenza e soffrono la fame; lo spettro del terrorismo; le previsioni da incubo sull’esaurirsi dell’acqua, delle scorte energetiche; la minaccia dell’inquinamento globale con catastrofici cambiamenti climatici… Sì, la massa dell’informazione veicola sempre, al tempo stesso, notizie dolorose, annunci catastrofici e inviti al divertimento. Non resta che immergersi nella festa – finché dura.

Forse il nome dell’alpe nasce proprio da questo pertugio. Qui a fianco profuma il ginepro. Nel paesaggio carsico sorprende una macchia arancio fluo: sono cinque asilanti ospiti su all’ex accantonamento militare di Medel che lavorano a un sentiero. Sulla soglia dell’alpe Pertusio (1830 m), tra cinque bidoni del latte e un tavolino di legno, incontro l’aiuto casaro che m’invita a entrare accanto al fuoco. Si chiama Stefano: diciott’anni, di Bergamo, è il suo primo anno all’alpe. In gergo, mi dice limando la sua motosega Stihl, il suo ruolo viene chiamato jolly. L’ambiente è magnificamente minuscolo. Due caldere color carta da zucchero, il cui rame interno a osservarlo da vicino svela un’altra vita in valle: Arturo Vescovi, Traversa, 1959. A fianco, dello stesso bel colore screpolato, le torri per pressare il formaggio. Camino, tavolo da cucina, due placche, dispensa, angolo per fare il formaggio: il tutto in pochi metri quadrati. È favoloso, inoltre questo è uno dei pochi alpi a scalda-

re ancora il latte con il fuoco a legna, di cembro in questo caso. L’alpe è in mano a Matthias Vitali che adesso è giù a Olivone nella sua azienda agricola, mentre per anni è stato caricato dai fratelli Truaisch. Le mucche di razza Brown Suisse sono quarantasette. In giugno pascolano in località Dötra, poi vengono qui. Oltre a questa conca, pascolano e brucano anche in Gana, sopra la diga del Luzzone, e a Casaccia. Lunedì fanno l’ultima casata e poi scendono; le mucche rimangono ancora un po’ in Dötra. Su un poster ci sono le posture yoga per le vacche. Stefano mi offre un caffè che prepara con il pentolino: «così provi il vero caffè dell’alpe» . Eccezionalmente accetto il latte. E mi spiega, sempre facendo esercizi di Stihl, che il caglio si mette a trentadue gradi e una forma pesa dai cinque ai sei chili e deve stagionare almeno due mesi. Centinaia di forme la cui crosta è già un capolavoro, riposano con la scritta capovolta Pertusio nella vicina cantina. Ben ordinate sulle assi, Eva le pulisce

e le ribalta ascoltando del reggae. Una biblioteca selvaggia del sapere. L’intelligenza dei sensi – forse l’unica forma sacra d’intelligenza – è racchiusa in ognuna di queste forme di formaggio. Grazie alle mani dei casari, l’umore delle mucche, il latte, il fuoco, il rame, i passi del pastore, l’erba dei pascoli, il tempo al buio, la luna. Eva, cugina di Stefano, è l’occhialuta casara qui da quattro anni. Tra una settimana va a vendemmiare a Dardagny, appena fuori Ginevra. Poi, in inverno, quello che trova. «Bisogna portare caos dentro di sé per far fiorire una stella che balla» c’era scritto con l’indelebile su una credenza rossa dentro la casetta dell’alpe. Firmato Ann. Ma si sa, è una citazione a braccio di Nietzsche usata a vacca. Saluto Turbo, Kira, e Nemo. I tre cani rispettivamente del pastore, aiuto casaro, casara, e m’incammino con un pezzo di Pertusio nello zaino. Sdraiato su un prato del Lucomagno, attraverso i terpeni, di tutto cuore, mangio il territorio.

silenzio e la discrezione potrebbero indicare una scelta responsabile di neutralità e di distacco dagli eccessi di una società sbracata e chiacchierona. Quest’assenza di interventismo da parte di una sovrana è, infine, la consapevolezza del potenziale conflitto monarchia-democrazia, un rischio da contenere assumendo un ruolo super partes. E ci è riuscita consolidando, nel corso dei decenni, una popolarità che, come si leggeva persino sulla rigorosa «Neue Zürcher Zeitung» e sul «Corriere della sera», rappresenta un mistero. Una sorta di sberleffo alle nostre radicate convinzioni repubblicane? Certo, alle nostre latitudini, re e regine hanno fatto il loro tempo, sono figure da rotocalco, appaiono un retaggio superfluo, costoso e persino immorale. Intanto, però, ci si trova alle prese con un altro paradosso: la realtà contemporanea ci sta proprio rivelando una faccia diversa della monarchia, che non è questione di apparenza, di sfarzo, di relitto antiquato. Coi tempi di inquietudini e sbandamenti che corrono, alla

figura del sovrano con la corona spetta una mansione identitaria rassicurante, utile. E, guarda caso, contribuisce al buon funzionamento proprio delle democrazie, anzi socialdemocrazie più progredite d’Europa. Nel caso poi della Gran Bretagna, per definizione tradizionalista, il personaggio della sovrana ha saputo esprimere, attraverso i suoi comportamenti e le sue predilezioni, il rispetto per le vecchie cose e il piacere per il nuovo. Elisabetta, persino nel vestiario, sa passare dalle redingotes color pastello e borsette a scatoletta, suoi emblemi, agli stivali di gomma, la gonna scozzese e l’incerato della cavallerizza, amante della natura. Sa, insomma, essere una inglese come tutti, con il gin and tonic, davanti al televisore, dove segue fiction e polizieschi. E, soprattutto, fedele alla virtù nazionale dell’autoironia, accetta il ruolo di Bond girl, fingendo di buttarsi con il paracadute, in occasione dell’apertura delle Olimpiadi 2013. Raggiungendo così il picco di una meritata popolarità.

A due passi di Oliver Scharpf L’alpe Pertusio «Dietro ogni formaggio c’è un pascolo d’un diverso verde sotto un diverso cielo» scrive Italo Calvino in Palomar (1983). In Ticino, tra i 1500 e i 2400 metri sul livello del mare, ci sono una quarantina di tonalità diverse di verde dietro al formaggio d’alpe: unico prodotto ticinese a ricevere la denominazione di origine protetta nel 2002. Da secoli volevo fare un pezzo su un alpe, arduo però sceglierne uno anziché un altro. Ruminavo questi stupendi toponimi che appaiono in rilievo sullo scalzo delle forme: Sorescia, Piora, Cioss Prato, Manegorio, Piandios, eccetera. Indeciso infine tra sua maestà il Piora e il Sorescia: «un sciur formaggio» come sosteneva un assicuratore buongustaio di Carì. Poi una sera di fine estate, bevendo un birrino a Origlio con un mio amico di Villa Luganese che abita da anni a Ginevra e ha una casa di vacanza a Camperio, salta fuori l’alpe Pertusio. «È un posto» mi dice: accanto, sotto una parete verticale di roccia, c’è la sorgente del Brenno. Deci-

so al volo, vado lì. Perdipiù navigando in internet ecco che il Pertusio l’ottobre scorso, alla rassegna dei formaggi degli alpi ticinesi di Bellinzona, è in vetta alla classifica scalzando di poco i rinomati Piora e Sorescia. E così, ai primi di settembre verso le dieci, scendo dalle autolinee bleniesi alla fermata Alpe Casaccia; a due chilometri dal Lucomagno. Mi accoglie un coro di campanacci bovini su un pendio verde marcio. A sinistra della strada del Lucomagno, un sentiero pianeggiante tra i pascoli costellati di cembri, pini mughi e doline, in venti minuti porta all’alpe. Eccola laggiù la casetta, in una piega unica di mondo. Il coro bleniese dislocato delle mucche incontra lo scorrere placido del baby Brenno che compie curve in stile autodromo. Quattro mucche sdraiate nell’erba. Alle spalle della centenaria casetta con tetto di beole, si staglia dritta la dolomia saccaroide ricoperta in cima dai pini. Ai suoi piedi, da una fessura al limite del magico, nasce il Brenno.

Mode e modi di Luciana Caglio Una regina che disarma gli avversari Non poteva succedere che proprio lì, nel Paese dove la democrazia è di casa: e precisamente dal 1689, quando con il «Bill of Rights», nasce in Inghilterra la prima democrazia parlamentare d’Europa. Saldamente abbinata, però, all’istituto monarchico: una convivenza secolare di cui, proprio, la settimana scorsa, si è avuto la riconferma. Il 9 settembre 2015, celebrando il suo primato di longevità sul trono, 63 anni e 217 giorni, Elisabetta ha dimostrato, ovviamente, le condizioni di buona salute sue personali e, in pari tempo, quelle della monarchia. Con ciò, i festeggiamenti di questa giornata recavano l’impronta di uno stile tipicamente, anzi esclusivamente britannico, all’insegna di un’apparente contraddizione. In realtà, rivelatrice di valori civili assimilati nella mentalità. Ecco, da un lato, predominante la fedeltà a un personaggio, considerato un simbolo unificante necessario, e tanto più in un periodo di crescenti lacerazioni. Ma dall’altro, affiora anche la vulnerabilità di una figura, per certi versi desueta, che

osserva regole di comportamento, a cominciare dal vestiario, ormai lontane dal costume corrente. Per non parlare poi del suo ruolo politico, sottoposto a valutazioni severe, persino spietate: sarebbe praticamente nullo il peso storico della più longeva sovrana del Regno Unito. Ora, e qui sta il paradosso, questa celebrazione ha concesso appunto largo

spazio alle voci di una minoranza, a volte elitaria, che pratica il culto della critica, dell’ironia, del dubbio, dell’andar contro. Per l’occasione, una specialista del genere, Polly Toynbee ha lanciato, dalle colonne del «The Guardian», roccaforte repubblicana, un acido augurio: «Lasciatela regnare finché vive, ma che sia l’ultima». Mentre lo storico David Starkey, ha riproposto un giudizio, a quanto sembra condiviso negli ambienti dell’intellighenzia: «Nella sua lunga esistenza non ha mai fatto qualcosa di interessante e meritevole di attenzione». Del resto, già a suo tempo, nel 1969, Paul McCartney, aveva detto, e cantato: «Una simpatica ragazza che non ha molto da dire». A sua volta, Jeremy Paxman, famoso conduttore della BBC, e autore di un libro sulla monarchia, doveva dichiarare: «Ho letto tutti i discorsi della regina senza trovarne uno veramente stimolante». Non di meno, lo stesso Paxman si chiede quale sia, in fin dei conti, la vera fisionomia di Elisabetta: anziché denunciare un vuoto di pensiero e di fantasia, il


PUNTI. RISPARMIO. EMOZIONI.

RAPUNZEL – IL MUSICAL Uno show adatto a tutta la famiglia. L’avvincente storia e i personaggi, il principe, la matrigna e la bella Rapunzel, rendono questo racconto un classico fra i più amati dai bambini e dalle bambine. Questo musical sarà in scena al Palazzo dei Congressi di Lugano. Quando: 17 ottobre 2015 Dove: Lugano Prezzo: da fr. 23.20 a fr. 48.– invece che da fr. 29.– a fr. 60.–, a seconda della categoria Informazioni e prenotazione: www.cumulus-ticketshop.ch

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Romeo & Giulietta, lo show dei record con oltre 500 000 spettatori, arriva a Lugano. Il grande musical prodotto da David Zard con la regia di Giuliano Peparini, le musiche di Gerard Presgurvic e i testi in italiano di Vincenzo Incenzo, si svolgerà nel nuovissimo teatro LAC di Lugano.

La SEAT Music Session delizierà il pubblico con leggendari e irripetibili momenti di musica dal vivo. La tournée di questo inimitabile show con palco a 360° inizierà il 20 ottobre 2015.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 settembre 2015 ¶ N. 38

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Ambiente e Benessere In crociera con la Fantasia Hotelplan propone ai lettori di «Azione» uno splendido viaggio nel Mediterraneo pagina 14

I cavalli pescatori delle Fiandre In mostra al Museo della pesca di Caslano alcune immagini che ritraggono questo particolare tipo di attività, inclusa nel patrimonio dell’Unesco

Pronti per la Stralugano Domenica 27, 10. edizione della corsa popolare più importante nel calendario ticinese

Sportivamente L’attualità sportiva vista e commentata da Alcide Bernasconi

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In viaggio senza macchina fotografica

Il fiume della notte Bussole Inviti a

letture per viaggiare

Viaggiatori d’Occidente Disegno e scrittura insegnano a osservare meglio

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L’inglese John Ruskin (1819-1900) fu uno dei più influenti critici d’arte del XIX secolo nonché un appassionato viaggiatore, soprattutto in Svizzera e in Italia. Il suo nome è legato in modo indissolubile a Venezia, che visitò undici volte lungo tutto l’arco della sua vita. Con il libro Le pietre di Venezia (1852) celebrò la bellezza dei monumenti bizantini e gotici del medioevo veneziano, sollevando invece riserve sull’arte e l’architettura rinascimentale. Ma ben più triste era ai suoi occhi lo spettacolo della decadenza a lui contemporanea: nell’Ottocento, perduta la millenaria indipendenza, Venezia era ormai diventata un fantasma sulla sabbia del mare, spoglia di tutto salvo che della sua residua bellezza. E anche i turisti inglesi che a migliaia la visitavano nelle comitive organizzate dal primo agente di viaggio, Thomas Cook, agli occhi di Ruskin contribuivano soltanto ad accelerare il declino: «Lì si vede la fine della mia Venezia, la Venezia di cui voglio parlarvi. Della vostra, quella dei Grandi Alberghi e dei vapori di linea, potete scrivervi la storia da soli». Ruskin fu un severo critico del nascente turismo, che ai suoi occhi aveva soltanto accelerato la velocità e quindi la superficialità dei viaggiatori: «Nessuno spostamento a centocinquanta chilometri l’ora ci renderà di un solo briciolo più forti, più felici o più saggi. Nel mondo sono sempre esistite più cose di quante gli uomini riuscissero a vedere, per quanto lentamente essi camminassero, e certo non le vedranno meglio andando più veloci». Dopo essere stato a lungo dimenticato, il pensiero di Ruskin negli ultimi decenni è stato riscoperto nei suoi aspetti di attualità. Per quanto le sue critiche possano sembrare – e siano – snobistiche ed elitarie, Ruskin coglie nel segno quando mostra che l’organizzazione turistica e le nuove tecnologie rendono sempre più facile accostarsi alla bellezza del mondo, ma non ci aiutano per nulla ad apprezzarla e farla nostra.

Meglio prevenire che cadere Salute Per la persona anziana

le conseguenze potrebbero portare alla perdita dell’indipendenza

Maria Grazia Buletti Cadere fa parte della vita. Quella che di primo acchito pare una frase filosofica su cui è fin troppo semplice disquisire o costruire saggezza ha invece del concreto: secondo le statistiche 2015 dell’Ufficio prevenzione incidenti (UPI), ogni anno in Svizzera quasi un milione di persone si infortuna nel tempo libero e più di 2200 muoiono. Gli anziani rappresentano una categoria particolarmente sensibile della popolazione e sono definiti «ad alto rischio». Gli incidenti più diffusi che li riguardano sono le cadute, che interessano ogni anno oltre 270’000 persone. Tra queste, sempre secondo l’UPI, sono più di 1300 quelle che muoiono a causa delle ferite e nel 95 per cento dei casi si tratta di anziani. Numeri confermati dalla Lega svizzera contro il reumatismo che conferma come, superati i 65 anni, una persona su 3 cade almeno una volta l’anno. Per questo, nel 2015 il sodalizio ha lanciato la campagna nazionale «Attenzione, pericolo di cadute!», volta a mostrare alla popolazione come evitare di cadere e come camminare più sicuri con l’ausilio di esercizi di movimento. Prevenzione e movimento sono di fatto i concetti chiave sui quali poggia l’impegno degli addetti ai lavori che mirano a diminuire il rischio di cadute negli anziani e, di conseguenza, i costi che le conseguenze spesso molto serie che questi incidenti comportano a livello sanitario. Ne abbiamo parlato con il fisioterapista Alberto Benigna, responsabile del gruppo di fisioterapia de Il Centro, a Bellinzona: «Possiamo definire la caduta come una perdita di equilibrio dovuta a un ventaglio di problemi che vanno dall’inciampare in un oggetto,

a disfunzioni del sistema integrato di organi deputati al controllo dell’equilibrio che si estendono dall’orecchio interno, alla vista, alla complessa rete sensibile delle articolazioni. Anche problemi di tipo posturale, muscolare, propriocettive e, non da ultime, problematiche di malnutrizione possono influire sulla stabilità del corpo e di conseguenza portare a cadute». Ed è subito chiaro che la prevenzione di cui abbiamo accennato all’inizio è il primo passo su cui lavorare per limitare il più possibile questi incidenti: «L’organizzazione dell’ambiente domiciliare delle persone anziane permette loro di acquisire sicurezza e li aiuta a non inciampare». Benigna spiega che parecchi anziani non hanno ben presente come organizzare la propria abitazione: «Il sopralluogo, ad esempio di persone competenti che visitano l’abitazione dell’anziano, permetterebbe di individuare i pericoli e far togliere tappeti, risolvere rialzi o scalini del pavimento che dovrebbe essere il più possibile una superficie totalmente piatta, far porre nel bagno le apposite maniglie che aiutano nell’alzarsi o sedersi, porre supporti anti scivolo nella doccia e via dicendo. Anche le calzature sono molto importanti e devono essere consone, evitando le ciabattine aperte, naturale preludio alla caduta». Spesso l’anziano si vergogna a dire di essere caduto, un pregiudizio che solo la prevenzione e l’informazione potranno arginare. Una prevenzione che nasce alla fonte, con l’interessamento puntuale delle figure sanitarie: «Le persone che ruotano attorno all’anziano, il suo medico di famiglia e tutto il team multidisciplinare composto dall’aiuto domiciliare, dal fisioterapista, dall’infermiera e altre figure hanno il compito di vegliare sulla situazione e

«L’appuntamento è al valico di Pese. Ex valico, a essere precisi. Lo chiamo ancora Pese, all’italiana, ma il nome ufficiale è Pesek, con la k. C’è uno slargo asfaltato poco dopo la chiesa della Beata Vergine Immacolata, piccolo santuario dalle linee spartane costruito nel 1954. La chiesa se ne sta appollaiata su un terrapieno al lato della strada, proprio all’ingresso della frazione, con il campanile dritto come il fucile di una sentinella. Ogni volta che ci passo davanti rivedo l’immagine del carro armato...».

Claudio Visentin

L’interno della Basilica di Assisi (Wikimedia)

Quando siamo in viaggio ci aggiriamo tra le meraviglie della natura e della storia; la nostra reazione naturale dinanzi a tanta bellezza è il desiderio di portarla via con noi, ma il modo in cui lo facciamo è quasi sempre fallimentare, sia esso acquistare un souvenir di cattivo gusto o riempire le memorie digitali di immagini. A dire il vero in un primo momento Ruskin apprezzò la fotografia, ma presto cambiò opinione quando si rese conto che, invece di integrare la vista consapevole, tendeva a sostituirsi a essa. Da allora tutto è rimasto uguale: non appena vediamo qualcosa di bello, prima ancora di chiederci da dove provenga tanta bellezza, quali siano i suoi fondamenti, la nostra mano corre alla macchina fotografica o allo smartphone e scattiamo rapidi una foto spesso convenzionale, del tutto uguale alla cartolina che potremmo acquistare per un franco nella più vicina bancarella. Soddisfatto così il nostro impulso, quasi non ci fermiamo a guardare davvero quel che abbiamo fotografato e già corriamo alla tappa seguente, pensando che tanto potremo sempre rivedere la nostra foto ogni volta che lo deside-

riamo. Per questa via uno strumento di osservazione diventa paradossalmente una fonte di distrazione e quasi di accecamento. Come uscire da questo circolo vizioso? Ruskin pensava che per possedere la bellezza dobbiamo prima di tutto comprenderla, analizzando i fattori che contribuiscono a crearla. E il modo migliore per raggiungere questo obiettivo è tentare di riprodurla, per esempio attraverso il disegno o la scrittura. Sedersi davanti a una chiesa o a un paesaggio nel tentativo di ritrarli ci obbliga a guardare con attenzione, a individuare le singole parti e il loro rapporto; ci induce a prestare quell’attenzione che si traduce poi in emozioni e ricordi. L’esercizio è altrettanto efficace anche su scala minore, per esempio davanti a una statua o a un albero secolare. Per questo i corsi di disegno di Ruskin – che fu autore di un famoso manuale, Gli elementi del disegno (Adelphi)– erano soprattutto una scuola di osservazione: «In quanto a me, preferisco insegnare il disegno affinché i miei allievi imparino ad amare la natura, che insegnare a guardare la natura perché imparino a disegnare».

In questa prospettiva non importa quanto i nostri mezzi tecnici siano inadeguati o quanto il risultato finale possa essere misero; non tutti sono artisti, ma tutti possono trarre profitto dall’arte. Quando nella Basilica superiore di Assisi tentai di riprodurre il celebre affresco di Giotto che mostra San Francesco davanti al sultano, il risultato finale avrebbe potuto essere tranquillamente attribuito a un bambino della scuola elementare in una giornata di scarsa ispirazione. Ma ancora oggi, a distanza di anni, ricordo ogni particolare di quel dipinto, a cominciare dalle pieghe e dai colori delle vesti del sultano, proprio perché nel tentativo di riprodurli li avevo osservati con attenzione. Non cambia molto se cerchiamo di eseguire un «dipinto a parole» anziché con i colori: in ogni caso resteranno i benefici di un’osservazione preliminare approfondita. Per questo, in occasione del prossimo viaggio, lasciare a casa la macchina fotografica e viaggiare soltanto con taccuino e matita può essere un’ottima idea per sviluppare la nostra capacità d’osservazione e crescere come viaggiatori. E pazienza se sembreremo un poco snob…

Viaggiare seguendo il corso dei fiumi è ormai una pratica comune. Ma tutto cambia se si tratta del Timavo, il fiume di tre Paesi e due mondi. Il Timavo nasce con il nome di Reka nei boschi sotto il Monte Nevoso, in Croazia; attraversa poi la Slovenia e si getta nel mare Adriatico in Italia, vicino a Trieste. Il percorso del «fiume della notte» si svolge in larga parte nel mondo sotterraneo; a una cinquantina di chilometri dalle sorgenti sprofonda nascondendosi alla vista e così attraversa tutto l’altipiano carsico per una quarantina di chilometri, dando solo qua e là pochi segni della sua presenza invisibile. Nonostante due secoli di esplorazioni nella profondità degli abissi, il corso del Timavo rimane in larga parte ancora misterioso. Solo in vista dell’Adriatico riaffiora dalla roccia con quella forza improvvisa di un dio che impressionò gli antichi, che qui costruirono templi, e attraverso tre bocche si perde nell’abbraccio del mare. Quello compiuto da Pietro Spirito è un viaggio a diverse dimensioni, nel tempo e nello spazio: prima e poi, sopra e sotto. Con una scrittura semplice e immediata fa nascere quel desiderio di andare e vedere di persona che è l’essenza stessa del libro di viaggio. Biografia

Pietro Spirito, Nel fiume della notte, Ediciclo, 2015, pp. 144, € 12.50. Annuncio pubblicitario

Ogni anno in Svizzera 270 mila persone sono vittima di cadute, in prevalenza anziani. (Marka)

di porvi rimedio preventivo, sensibilizzando la persona in età e rassicurandola». Insieme all’adeguamento dell’ambiente domestico, si parla dunque anche di visite periodiche con il controllo dei valori di pressione, della vista, della nutrizione e dello stato generale del paziente. Non dimentichiamo che ogni persona attiva può inoltre acquisire maggiore sicurezza nei movimenti attraverso esercizi di coordinazione ed equilibrio. Qui entra in gioco il prezioso sostegno fisioterapico, meglio se preventivo a un’eventuale caduta che, per contro, necessiterebbe poi di una riabilitazione: «Certo, prevenire è meglio che cadere e sarebbe auspicabile poter accompagnare l’anziano negli esercizi a lui adeguati di movimento, propriocezione (ndr: capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli) e rafforza-

mento della muscolatura. Qualora si dovesse parlare di una riabilitazione, queste misure sono altrettanto importanti, insieme a eventuali mezzi ausiliari per il movimento e alle misure di prevenzione inerenti all’ambiente domestico di cui abbiamo già detto». Il nostro interlocutore pone l’accento su due concetti fondamentali: «È importante che la persona riesca a prendere coscienza dei propri limiti e non mascheri problemi che possono essere risolti con un aiuto adeguato. Senza dimenticare che una buona prevenzione e una corretta sensibilizzazione permettono di risparmiare anche in termini di costi della salute». Da un lato, dunque, il messaggio è chiaro: non bisogna aspettare che il problema insorga per provare a porvi rimedio, soprattutto se parliamo di una categoria ad alto rischio come gli anziani. D’altronde la statistica indica che ogni anno le cadute causano costi per

ben 1,4 miliardi di franchi, attraverso le loro conseguenze spesso gravi e invalidanti. Benigna ribadisce nuovamente: «L’attività fisica integrata è un ottimo sistema di prevenzione e un investimento per un futuro». Ogni persona avanti con l’età dovrebbe perciò riuscire a parlare senza vergogna con persone di fiducia sul tema delle cadute, essere aiutata a trarre insegnamenti da eventuali precedenti episodi accidentali, occupandosi personalmente del proprio rischio di caduta personale. A questo proposito, lunedì 28 settembre, dalle 19.30, al Centro, palestra medicale e fisioterapia in via C. Molo a Bellinzona, il team multidisciplinare composto da medico, fisioterapisti e nutrizionista propone la conferenza Postura ed equilibrio, diminuire il rischio di cadute (informazioni e iscrizione gratuita alla serata sono possibili contattando il numero 091 835 47 00 o scrivendo a info@ilcentro.ch).

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Ambiente e Benessere

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Ambiente e Benessere

Equini pescatori delle Fiandre Mondoanimale Il Museo della pesca di Caslano ospita una mostra dedicata a un antico metodo di cattura

Maria Grazia Buletti «Sono animali così incredibilmente grandi, sono davvero enormi, e pescano gamberetti così minuscoli in rapporto alla loro immensa mole!», questa è la riflessione di Maurizio Valente, curatore di una singolare mostra al Museo della Pesca di Caslano (inaugurata ad aprile, chiuderà i battenti il 31 ottobre) che accompagna il visitatore attraverso un percorso fotografico narrante la Leggenda dei pescatori a cavallo. «Questa mostra nasce dalla collaborazione con il fotografo romano Alessandro Vecchi, che ha scattato immagini affascinanti, e con il NAVIGO (Nationaal Visserijmuseum di Oostduinkerke) che ci ha fornito materiale e documentazione», afferma Valenti che, con il suo entusiasmo, ci induce a ripercorrere le orme di quello che è un antico metodo di pesca nel quale il cavallo, dicevamo, è pescatore protagonista e instancabile di una prelibata varietà di gamberetti grigi chiamati anche «caviale del mare del Nord». Le spiagge di Oostuinkerke, a 20 chilometri da Ostenda, in Belgio: unico posto al mondo dove i gamberetti si pescano ancora in questa maniera. «I paardenvissers, così vengono chiamati i pescatori, da fine giugno a inizio settembre setacciano il mare alla ricerca di questa speciale varietà di gamberetti grigi chiamati rikze garnalen». Il nostro interlocutore ci racconta che la comunità di Oostuinkerke Koksijde attribuisce molto valore all’esistenza della singolare tradizione che affianca ai pescatori i possenti cavalli di razza Bramantina

(o cavalli delle Fiandre): «Si tratta di un buon esempio d’interazione dinamica e sostenibile con la natura e la cultura, a tal punto che nel 2013 la pesca dei gamberetti col cavallo è stata dichiarata dall’UNESCO Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità». Le fotografie ci permettono di immaginare un’atmosfera quasi surreale nella quale trottano scalpitanti cavalli che trainano carretti di legno, e i pescatori dentro ad enormi stivali di gomma che faticano a contenere l’agitazione e la voglia di entrare in acqua dei loro quadrupedi ora allineati in attesa di cominciare la pesca. Non è difficile immaginare una giornata uggiosa nella quale solo ai gabbiani che si lanciano in picchiata sul mare è permesso di scalfire il silenzio della spiaggia. Attraverso le descrizioni riportate nel suo blog, la fotografa e giornalista freelance Emma Thomson, che ad agosto è stata sul posto e ha potuto osservare dal vivo la scena, ci regala la possibilità di continuare a immaginare oltre e di sentirci spettatori dell’operato dei magnifici equini: «I pescatori smontano da cavallo e iniziano a sistemare le bardature, controllano che le selle siano ben fissate. Indossano cerate gialle e cappelli, fumano una sigaretta chiacchierando e poi risalgono sui loro calessi dirigendosi verso la spiaggia bagnata dalla bassa marea». La Thomson descrive i cestini attaccati alle selle e i cavalli che si spingono «fino a quando il mare non bagna loro la pancia». Allora racconta di come i pescatori tirano leggermente le redini e fanno girare gli animali in

I paardenvissers setacciano il mare da giugno a settembre alla ricerca del «caviale del Mare del Nord». (Alessandro Vecchi)

modo che essi si pongano parallelamente alle onde: «Ecco che inizia il setacciamento!». Veniamo a sapere che in passato tale tipo di pesca era popolare anche nel nord della Francia, in Olanda e nel sud dell’Inghilterra, mentre oggi questo luogo un po’ magico delle Fian-

Le tracce del Panda club WWF «Sai riconoscere gli animali dai segni lasciati dal loro passaggio?». Questa la domanda che il Panda club del WWF pone ai bambini e ai ragazzi, offrendo poi numerosi consigli utili per andare a caccia di tracce. I giovani possono così acquisire un discreto numero di informazioni «investigative». Ad esempio, dalle pigne e dalle nocciole si può riconoscere chi è passato a fare un pic nic, perché i picchi lascia-

no una pigna con scaglie spaccate e sbrindellate; gli scoiattoli rosicchiano e strappano le scaglie fino a staccarle, col risultato di una pigna sfilacciata; il topo rosicchia le pigne meticolosamente, lasciando un mucchietto ordinato di scaglie». E su questa scia si invita a riflettere anche su «Chi è nato qui?», indicando che sugli alberi o nel legno ogni animale depone le uova con modalità differenti e que-

ste tracce svelano di chi si tratta: «Le madri dei bostrici tipografi scavano rosicchiando una galleria attraverso il legno dove depongono le uova; le larve mangiano il legno scavando altre gallerie attraverso la corteccia». E via dicendo, alla scoperta di tracce che permetteranno ai bambini di andare gioiosamente per sentieri e boschetti a cercare, e riconoscere, chi è passato di lì.

dre è l’unico posto dove il tempo non sembra essere passato e la tradizione è stata mantenuta. Nel frattempo, nella testimonianza della Thomson la pesca continua: «Una volta che i cestini sono abbastanza pesanti, i cavalli tornano a riva dove gli uomini controllano quello che hanno pescato e che si trova nei cesti di vimini e nei grandi setacci metallici. I granchi troppo vivaci e il pesce fresco vengono dati in pasto ai gabbiani che stanno aspettando il loro cibo». Attraverso le sue parole, riusciamo a immaginare quanto faccia freddo e quanto ci si bagni nello svolgere un lavoro del genere. «Ma i pescatori sono fieri del loro metodo di pesca antico e sono felici che anche alcuni giovani, in città, abbiano iniziato a imparare la tecnica che permetterà di tenere viva la tradizione», conferma Emma Thomson. Le foto ci aiutano a completare il quadro, mostrando come i cestini pieni fino all’orlo vengono sganciati dalla sella e messi sui calessi. I gamberetti sono

pronti per essere «cucinati sulla spiaggia e venduti in scatole di carta bianca per qualche euro». La spiaggia di Oostuinkerke è leggermente in discesa, completamente piatta e priva di ostacoli sommersi. Il che facilita il lavoro dei possenti cavalli delle Fiandre, impiegati fin dall’antichità per il traino e molto diffusi già nel Medio Evo per la loro resistenza nei lavori agricoli pesanti. L’alta marea pone fine alla pesca che viene praticata un paio di volte alla settimana e, per ogni battuta, ha una durata di circa tre ore. Abbiamo ricostruito questa magnifica esperienza grazie al curatore del Museo della Pesca di Caslano, alle fotografie di Alessandro Vecchi e alla testimonianza di Emma Thomson. Per chi desiderasse invece vivere l’esperienza sul posto, l’Ufficio del Turismo di Koksijde – Oostduinkerke pubblica regolarmente il calendario delle attività, comprese le date e gli orari migliori per poter ammirare i pescatori a cavallo all’opera. Annuncio pubblicitario


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I profondi effetti del clima sulla cultura Ricerche Lo storico Wolfgang Behringer smonta la favola dell’«equilibrio climatico»

Lorenzo De Carli A proposito di clima, non è infrequente sentir parlare di «equilibrio della natura» o di «equilibrio climatico», entrambi perduti. Quella dell’«equilibrio» è una favola, del tutto priva di senso dal punto di vista del pianeta nel quale si è evoluta la nostra specie. Negli ultimi cinque miliardi di anni, cioè dalla nascita della Terra, il clima è sempre cambiato e sarà così anche in futuro. È chiaro, dunque, che il problema non è quello di un supposto «equilibrio climatico», bensì quello delle condizioni, senza le quali la nostra specie si estinguerebbe.

«La storia ci insegna che il clima è sempre stato in trasformazione e che la società ha sempre dovuto farvi fronte» Cacciatori nella neve (1565) di Pieter Bruegel il Vecchio è stato dipinto durante la «Piccola glaciazione».

Già nel suo primo rapporto risalente al 1990, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) aveva smentito la favola dell’equilibrio climatico: che si consideri l’ultimo milione di anni, oppure gli ultimi 12’000 oppure gli ultimi mille anni, il risultato è sempre lo stesso: periodi caldi e periodi freddi si alternano costantemente. Gli storici del clima operano con due ordini di dati: l’«archivio della Terra» e l’«archivio della società». Con il primo tipo di dati, s’intendono tutti i sedimenti naturali tramite i quali, seguendo metodi scientifici, si possono ricavare informazioni sul clima del passato. Con un’ampia varietà di metodi, che vanno dagli isotopi dell’ossigeno al metodo del radiocarbonio, si studiano «carote» di ghiaccio estratte un po’ ovunque sul pianeta, oppure sedimenti marini, retrocedendo in tal modo nel tempo anche fino a 800’000 anni. Gli «archivi della società», invece, sono, le informazioni che ci sono state lasciate per mezzo di immagini, numeri, lettere, libri, ecc. Abbiamo, per esempio, numerosi libri che raccontano gli effetti della Piccola era glaciale che ebbero luogo in Svizzera a partire dalla metà del 1300. Descrivendo l’ingrossarsi del ghiacciaio di Grindelwald, Martin Zeiller scriveva: «La gente del posto, che osserva dall’alto la scena, riferisce che questa montagna continua a crescere e spinge via davanti a sé la propria base, o terreno, sicché i bei prati che c’erano prima stanno scomparendo e la montagna rimane scabra e deserta; anzi, in diversi luoghi la gente è dovuta fuggire, perché questa montagna, ingrandendosi, travolge anche le case e le capanne contadine». Sono gli anni, in cui non solo il lago di Costanza gelava con regolarità in tutta la sua superficie, e sul Tamigi ghiacciato si estendevano molte attività commerciali praticate nelle vie di Londra, ma si poteva anche andare da Mestre a Venezia in carrozza, tanto che nell’inverno del 1491 sulla superficie ghiacciata del Canal Grande fu organizzato un torneo di cavalieri. Dopo anni di ricerche, lo storico tedesco Wolfgang Behringer ha pubblicato una Storia culturale del clima diventata subito un testo di riferimento per chi voglia studiare come sono mutate le culture con il mutare del clima. È una storia lunga, che parte dalla

nostra prima uscita dall’Africa, quando Homo erectus fu spinto verso altri continenti proprio a causa di mutamenti climatici. La nostra specie è figlia dell’«era glaciale». Se, infatti, Homo sapiens sapiens riuscì a diffondersi in tutta l’Asia meridionale circa 70’000 anni fa, è perché approfittammo di un momento della glaciazione in corso, nel quale la fauna e la vegetazione nei territori dell’odierna Palestina ci permettevano di procacciarci cibo e migrare in Eurasia. Con l’Olocene cominciò il riscaldamento globale. Il livello dei mari si alzò, e dovette essere uno spettacolo straordinario quando – circa 8400 anni fa – il Mediterraneo sfondò lo stretto del Bosforo, riversandosi nel Mar Nero che stava ad un livello più basso. Ma se questo evento, forse, poté concorrere a creare il mito del diluvio universale, l’aumento della temperatura creò dal Mediterraneo alla Cina condizioni favorevoli per la domesticazione delle piante e per la nascita dell’agricoltura.

Sorge il dubbio però che lo studioso tedesco sottovaluti gli effetti della combinazione dei diversi fattori che influenzano il fenomeno Wolfgang Behringer segue i mutamenti climatici, osservando che cosa, nel frattempo, accade alle società. La massima espansione dell’Impero romano, per esempio, coincise con un periodo di optimum climatico: più o meno dal 60 a.C. al 250 d.C., quando in Inghilterra si coltivava la vite. In quel periodo, la temperatura media nella nostra regione era più alta che quella attuale, così come lo sarebbe stata più tardi – nel cosiddetto «Interglaciale medievale». Tale è la preoccupazione odierna per il riscaldamento globale in corso, che quasi nessuno di noi si ricorda che, negli anni Sessanta e Settanta del secolo appena trascorso, la preoccupazione diffusa era esattamente contraria: si temeva un’altra glaciazione e già si pro-

gettava d’incrementare l’effetto serra – noto nella sua dinamica fin dall’inizio del Novecento – per scongiurare

l’avanzata dei ghiacciai. Ora, invece, a preoccuparci è l’aumento della temperatura e secondo l’IPCC «il riscalda-

mento antropogenico supera di molto l’azione delle cause naturali nel provocare l’attuale mutamento climatico». È chiaro che una serie di eruzioni vulcaniche potrebbe invertire questa tendenza, producendo l’effetto di uno o più anni «senza estate». D’altra parte, il continuo incremento della temperatura produrrebbe effetti negativi anch’essi. «La storia culturale del clima ci insegna che il clima è sempre stato in trasformazione e che la società ha sempre dovuto farvi fronte» – scrive Behringer, il quale soggiunge: «se farà più caldo ci prepareremo». Ma la questione potrebbe non essere così semplice. Se nel 1700 eravamo in 700 milioni, oggi siamo 7,3 miliardi: difficile prevedere come reagiremmo in condizioni di scarso accesso al cibo. L’altro aspetto che Behringer sembra sottovalutare sono gli effetti di soglia che caratterizzano i sistemi complessi: è forse semplicistico immaginare un incremento lineare della temperatura; allo stato attuale delle nostre conoscenze è più realistico immaginare un imprevedibile effetto di feedback tra sistemi diversi, con incrementi rapidi della temperatura. Vien da pensare che la storia culturale del clima incoraggi la convinzione che la cultura avrà la forza di gestire gli effetti del clima stesso. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere Cucina di Stagione La ricetta della settimana

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3 dl di succo di pompelmo · 2 limette · 5 dl d’acqua minerale frizzante · cubetti di ghiaccio · 2 rametti di menta. Frullate finemente l’anguria con il miele e il succo di pompelmo. Spremete le limette, versate il succo nel frullato e mescolate. Trasferite in una caraffa capiente. Completate con l’acqua minerale. Servite con cubetti di ghiaccio e la menta. Preparazione: ca. 20 minuti. Per persona: ca. 1 g di proteine, 0 g di grassi, 10 g di carboidrati, 200 kJ/50 kcal.

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(Mario Curti)

Ambiente e Benessere

StraLugano: una corsa fra città e lago per «Run» e «Fun» Edizione 2015 Si corre domenica 27 settembre la decima edizione della corsa popolare più importante

del calendario ticinese Il decennio sembra essere corso veloce, al ritmo dei migliori atleti che hanno onorato le prime nove edizioni della StraLugano. Era il 17 settembre 2006 e centinaia di appassionati della corsa diedero vita alla prima edizione della manifestazione: 630 corsero sulla distanza dei 30 km e 235 in quella più accessibile dei 10 km. Cinque anni dopo, nel 2010, il numero di partecipanti compresi i ragazzini della KidsRun era già più che triplicato: lo scorso anno ben 4511. Una crescita costante di gradimento per un appuntamento che anno dopo anno ha saputo rinnovarsi, proponendo novità e adottando i correttivi anche sulla base delle impressioni e dei suggerimenti raccolti fra i protagonisti: i corridori «Run» e «Fun». Le due denominazioni distinguono coloro che praticano la corsa con impegno, costanza e metodo, i cosiddetti «Run», e i tantissimi che amano cimentarsi saltuariamente in corsette salutari all’insegna del benessere ma senza particolari velleità competitive. Un grande elogio per aver contribuito a dar vita e a far crescere la manifestazione va a Vanni Merzari, da sempre a capo del comitato d’organizzazione della StraLugano. Un vero trascinatore, spinto dalla volontà di

Partenza della KidsRun, nella scorsa edizione. (Mario Curti)

migliorare costantemente; esempio per tutti i suoi indispensabili collaboratori, Merzari è capace, se necessario, di rinunciare a giacca e cravatta per dare concretamente una mano ai lavori di manovalanza, affinché tutto funzioni nel migliore dei modi. Anche per la decima edizione ha dato una chiara dimostrazione della validità di questa sua filosofia, contagiando tutti coloro che rendono possibile lo svolgimento di un

evento la cui «macchina organizzativa» è costantemente al lavoro. Fra le novità di rilievo di quest’anno, per i corridori segnaliamo in particolare i cambiamenti apportati al percorso, soprattutto della 10 km City, che la renderanno più fluida con meno «angoli». Il ritorno alle origini con partenza e arrivo sul Lungolago all’altezza di Piazza Manzoni favorirà il pubblico valorizzando lo spettacolo e l’ambiente

Il programma della 10a edizione Sabato 26 settembre 2015 14.00 Piazza Manzoni, apertura Villaggio StraLugano. 14.00-20.00 Centro Esposizioni, distribuzione pettorali e iscrizioni tardive. 14.00-18.00 Piazza Manzoni, intrattenimenti e animazioni; iscrizioni e ritiro pettorali KidsRun. 16.00 Piazza Luvini, iscrizioni FluoRun. 16.00 Liceo 1, verifiche tecniche partecipanti gara handbike. 20.00 Piazza Manzoni, Lungolago, gara internazionale di handbike 2° GP Insubrico. 21.00 Piazza Luini, Lungolago, partenza FluoRun. 21.00 – 24.00 Piazza Riforma, evento

musicale per festeggiare i 10 anni della StraLugano, concerto dei Karma Krew e dei Vad Vuc. Domenica 27 settembre 2015 Gare 30 km, Staffetta, 10 km 7.00-9.00 Centro Esposizioni, ritiro pettorali. 8.30-9.45 Piazza Luini, Warm Up SUVA. 09.55 Piazza Manzoni, Lungolago, cerimonia di partenza con inno svizzero 10.00 Piazza Manzoni, Lungolago, partenza della 30 km, staffetta e 10 km 10.30 Piazza Manzoni, Lungolago, primi arrivi 10km 11.30 Piazza Manzoni, Lungolago, primi arrivi 30 km 12.00 Piazza Manzoni, Lungolago, po-

dio maschile e femminile 30 km 12.00 Centro Esposizioni, apertura Migros Pasta Party 13.00 Centro Esposizioni, premiazioni 10 km 14.00 Centro Esposizioni, premiazioni 30 km e staffetta. Gare KidsRun 12.00-13.30 Piazza Riforma, InfoPoint, ultime iscrizioni e ritiro pettorali. 13.30 Riva Albertolli, ritrovo partecipanti. 14.00-15.00 Piazza Manzoni, Lungolago, partenze gare e a seguire premiazioni. 15.30 Chiusura della 10° edizione della StraLugano

Arrivo della 30 km, sempre nel 2014. (Mario Curti)

al «villaggio» prima, durante e dopo le gare. La 30 km Panoramic, proseguirà lungo il classico percorso che costeggerà il lago fino a giungere a Morcote. In seguito si toccherà Figino, per poi rientrare in città transitando da Barbengo, Pambio e Paradiso. Le gare dei giovanissimi avranno inizio alle ore 14.00 e vedranno al via centinaia di bambini e ragazzi sul mini-percorso di 700 m, da percorrere una, due o tre volte a seconda delle fasce d’età. Se non vi siete ancora iscritti alle principali gare della StraLugano, affrettatevi a farlo su www.stralugano.ch dove potrete trovare tutte le relative informazioni. Il ricco pacco gara ha sempre contraddistinto la StraLugano; per questa edizione ogni iscritto avrà diritto a un paio di calzoncini tecnici ¾ del noto marchio svedese Craft. Tutti gli interessati potranno provare le varie taglie (modello da uomo con inserti colore arancio, inserti blu per il modello da donna) rivolgendosi al punto Accoglienza Clienti dei negozi SportXX Migros al Serfontana e a S. Antonino. Gli organizzatori offriranno gratuitamente anche momenti di divertimento, grazie al ricco programma della «StraLugano Show»: già sabato dalle ore 17.00 il palco di Piazza Riforma vedrà avvicendarsi artisti di vari generi musicali e di alcune discipline di ballo che vanno per la maggiore. Alle 21.00 «scatterà» la seconda edizione della

divertente «FluoRun» (lo scorso anno registrò la partecipazione di oltre 800 persone) che cammineranno o correranno sfoggiando magliette e accessori dai luminosi colori «fluo». Alla stessa ora è previsto il primo dei due concerti principali che animeranno la serata luganese con i Karma Krew, gruppo rap luganese composto dai rapper Manny, Los e Manu D attivo dal 2005. A seguire, verso le 22.30 sarà la volta dei The Vad Vuc, gruppo che non ha certo bisogno di presentazioni. Il ricco ventaglio di proposte artistiche e sportive farà nuovamente della StraLugano 2015 un bellissimo momento di animazione della città, a cui tutti sono calorosamente invitati.

Concorso In palio 5 iscrizioni gratuite! Azione mette in palio altre 5 iscrizioni gratuite alla StraLugano 2015. Per aggiudicarsi un’iscrizione omaggio, basta telefonare martedì 15 settembre alle ore 14.00 (fino a esaurimento) al numero 091 840 12 61. Buona fortuna!

StraLugano, 26 e 27 settembre 2015, Lugano


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Ambiente e Benessere

Soltanto il bel gioco non basta

Sportivamente Mentre Roger Federer incanta e vince le partite con una vitalità e una sicurezza quasi

disarmanti, il FC Lugano per ora riceve applausi solo per la qualità del suo gioco offensivo. Però, senza reti, non si può continuare a illudere Alcide Bernasconi Si fa sempre più pressante la richiesta delle fans di Roger Federer, le quali vorrebbero una cronaca puntuale di quanto avviene su, nella villa di Via Collinetta, quella che dalla cima della collina domina la città e che potrebbe diventare un giorno meta di un… pellegrinaggio, tanto per vedere «Bravo», il labrador cui ho dato questo soprannome per il suo carattere mansueto e che dovrebbe fare la guardia (ma lui vorrebbe soltanto giocare con i visitatori) alla sede del Federer Fans Club di questa via, il cui nome è ormai sulla bocca di un gran numero di estimatori del tennista basilese. «Bravo», come molti soci e non del club di cui raccontiamo non troppo seriamente le vicende, vorrebbe un giorno poter correre incontro a Roger per ringraziarlo di tutte le soddisfazioni che il tennista gli ha regalato. Il labrador, sempre accanto alla padrona di casa quando lei si siede davanti al teleschermo gigante per assistere alle prodezze del suo eroe, ha ormai imparato quali siano i colpi che meritano la sua rumorosa approvazione. Non gli sfugge ormai più alcuna prodezza del nostro e ogni incontro vinto è salutato con un lungo ululato lupesco, affinché tutti i vicini di casa sappiano, caso mai abbiano deciso di andare sotto le coltri, data l’ora tarda. No, «Bravo» sa rinunciare a ore di sonno notturno (che recupererà però in giornata), pur di non perdersi Federer e un po’ anche Stan Wawrinka. Come ben sapete queste note, per esigenze tipografiche, si potranno leggere soltanto a torneo ormai terminato. Le scriviamo nella serata prolungata dalla pioggia che ha rinfrescato un po’ l’aria pesante di New York, dove chi suda di meno è comunque sempre lui, Roger Federer, il quale, invecchiando

Zdenek Zeman, allenatore del Lugano. (CdT)

alla grande, fa correre sempre di più gli avversari che spiazza con colpi magistrali. Il suo sponsor gli ha imposto (crediamo) una tenuta bianca con bordi di rosso-rosa, eccessivamente ricercata (diciamo così) che personalmente non ci piace. Convince invece il gioco. Da tempo, compresa la bella esibizione al torneo di Cincinnati con vittoria in finale contro Novak Djokovic, il nostro Roger, sempre seguito nelle sue strabilianti partite dal suo composto entourage, non ci aveva più divertito tanto. In semifinale è approdato contro Stan Wawrinka, il quale s’è impegnato a fondo. Ma il numero uno mondiale Djokovic, come risponderà al giocatore più amato anche dal pubblico di New York? È lo stesso interrogativo che si

sa cosa: «Il Lugano di Zeman gioca un calcio che mi piace. Si vedono belle azioni e le vittorie non dovrebbero tardare». Le vittorie? Contro quali avversari se non si riesce a mettere nel sacco i palloni più invitanti? Va bene il bel gioco, ma il gioco è davvero bello quando si riesce a spedire il benedetto pallone in fondo alla rete. Il gol esalta e permette di far punti. L’altra sera il presidente del FC Lugano Angelo Renzetti ha ammesso che in attacco i luganesi sono un po’ leggerini. Qualche giocatore l’ha decisamente deluso e non glielo manda a dire. Ha fatto il nome di Rossini, ma anche Bottani, il gioiellino di casa, dovrebbe impegnarsi a fondo per imparare l’arte del gol, non altrettanto entusiasmante quanto le sue sgroppate offensive. Resta però un rammarico nell’animo del vecchio tifoso. Quello che Bottani, cui Renzetti predice la selezione per l’Europeo con la Nazionale che dovrebbe poter centrare l’obiettivo nelle ultime due gare di qualificazione, dovrebbe diventare presto un giocatore che verrà messo sul mercato, per cercare di rimettere nella cassa un po’ di soldi. Chiaro, il presidente è piuttosto solo anche quando si tratta di aprire il portafoglio e questo Lugano ha dovuto spendere non poco (non è il caso di fare paragoni con i grandi club) per i suoi acquisti. L’allenatore Zeman non si esprime che in modo molto vago a questo proposito. Ma se Bottani farà le valigie, occorrerà spendere ancora per chi dovrà rimpiazzarlo… Sembra un circolo vizioso: la promozione costa e pure la difesa del posto in Super League, dove soltanto con il gioco di buona fattura, alla lunga, sarà più d’uno a spazientirsi, presidente compreso.

pongono «Bravo» e la governante di casa, Victoria, ormai completamente votata alla causa dello svizzero, mentre donna Michelle, la presidentessa del club, è volata in America stavolta – mi dicono – accompagnata dal marito. Il banchiere, per un certo periodo, temeva la trasferta oltre Oceano a causa del buon numero di clienti americani che avevano depositato nel forziere della banca che dirige molti pacchetti di dollari. Ciò mentre Federer poteva esibire davanti ai fotografi, per le sue vittorie, enormi assegni di dollari che – credo – avrebbe trasferito regolarmente in Svizzera. Dunque, comunque andrà a finire, sarà una finale alla quale non potrò assistere accanto a Michelle. Il suo po-

sto sarà occupato da «Bravo», il quale si attenderà carezze di approvazione. Senza la padrona di casa – e la governante Victoria l’ha capito da tempo – per me le finali su un villa non hanno più lo stesso valore. D’accordo, i tornei dello Slam sono un appuntamento da non mancare, ma ora lo sport rischia di prendere uno spazio sempre più ampio, a detrimento della qualità della vita di coppia. Ore davanti alla tv, oppure allo stadio, per calcio e hockey. La mia nipotina Ella, di undici mesi ormai, ha capito che il nonno è malato… di sport alla tv e mi dimostra il suo buon carattere quando la tengo sulle ginocchia per vedere una partita di hockey, forse già la disciplina che preferisce. Quanto ai tifosi che ho incontrato allo stadio, dicono quasi tutti la stes-

ORIZZONTALI 1. Così si chiamava la moglie dell’Imperatore 7. Destinate ai sacrifici 9. Rende schiavi 10. Narrazione epica della letteratura nordica 12. Il celebre regista Risi 13. Si lascia correre chiudendone uno 15. Lo scrittore Fleming 16. Ricchezze 17. Intrepido, coraggioso 18. Li seguono in bilico 19. Termine da ricette 20. Suo a Parigi 21. Rendono gelosa Elsa 22. Impiegati ai tavoli del Casinò 23. Il saluto dello sceicco 24. Introduce un chiarimento

Sudoku Livello per geni

Giochi Cruciverba Il nonno spinge la carrozzina con dentro il nipotino che piange disperato e intanto ripete: «Su calmati Marco, calmati Marco». Una signora vedendo la scena chiede: «Crede che dicendo così il bimbo si calmerà?». Leggi la risposta del nonno risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 6, 3, 5, 4, 2)

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Scopo del gioco

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

VERTICALI 1. Un saluto 2. Il re Davide ordinò di ucciderlo 3. Indumento femminile 4. Il Foscolo 5. Le iniziali dell’attrice Autieri 6. Monaco, eremita 7. Indici per strumenti 8. I raggi del poeta 11. Ha come sottomultiplo la iarda 13. Una capra in... genere 14. Ha lo stesso nome 16. Tra l’andante e il largo in musica 18. Arrotolata quella del carlino 20. Vasto ambiente 22. Un’esortazione 23. Le iniziali del regista Spielberg

Soluzione della settimana precedente

Ridiamo insieme – «Carlo è vero che ora lavori per la televisione?» – «Sì, ma ormai: … MANCANO SOLO TRE RATE PER FINIRE DI PAGARLA».


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Politica e Economia Profughi di oggi e di ieri Oggi sono siriani, afghani e iracheni che fuggono verso la Germania dall’Ungheria, nel 1989 erano quelli dall’ex DDR pagina 23

Il difficile autunno di Xi Per contrastare l’economia in difficoltà e i problemi che spaccano al suo interno il Partito comunista cinese, il presidente gioca la carta del nazionalismo e quella del militarismo

Il 10.mo viaggio del Papa Dal 19 al 28 settembre Bergoglio sarà a Cuba e negli Stati Uniti, con tappa anche all’Onu

I sondaggi virano a destra Per le prossime elezioni federali il Partito liberale e l’UDC sono dati come favoriti

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La seconda chance di Erdog˘an

Turchia Il presidente e il suo partito Akp

Lucio Caracciolo Il primo novembre si vota in Turchia. Un appuntamento decisivo per il futuro del presidente Erdoğan (nella foto), mai così in difficoltà nella lunga fase della sua egemonia politica ad Ankara. Si tratta di un voto anticipato, con il quale Erdoğan cerca di rimediare alla sostanziale sconfitta subita alle elezioni del 7 giugno, quando grazie al notevole successo del partito curdo Hdp, il partito islamico Akp si è trovato per la prima volta nell’impossibilità di formare un governo monopartitico. È una campagna elettorale all’ultimo voto, che Erdoğan ha cercato di incendiare ricorrendo soprattutto all’emergenza terrorismo. Oggi la Turchia si rappresenta come nel pieno di una guerra al terrorismo giocata su due fronti. Il primo è rivolto a sconfiggere e scacciare dal territorio nazionale la guerriglia curda del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan che da decenni è in frizione con il potere di Ankara. Il secondo fronte è volto contro lo Stato Islamico (Is), che pure secondo diverse fonti è stato alimentato e forse resta ancora supportato dalla Repubblica turca. Dei due fronti quello che interessa di più il governo turco è quello curdo. Per ragioni anzitutto di urgenza elettorale: bisogna ad ogni costo evitare che l’Hdp si riconfermi come la bestia nera del Partito islamico e per far questo la demonizzazione del terrorismo curdo è fondamentale. La campagna

contro il Pkk è stata alimentata dalla fine di luglio, in seguito all’attentato compiuto apparentemente da un attentatore suicida legato allo Stato Islamico contro un gruppo di attivisti curdi nella città di Suruç. Secondo i curdi – tesi condivisa da osservatori indipendenti – l’attentato di Suruç sarebbe stata una provocazione di Ankara, che avrebbe utilizzato i suoi noti legami con l’organizzazione del califfo per colpire il Pkk e i suoi gruppi affiliati. Da allora è partita una guerra a intensità non troppo bassa, nella quale si segnalano i bombardamenti aerei dell’aviazione turca contro postazioni curde e le rappresaglie del Pkk che hanno portato alla morte di oltre un centinaio di soldati turchi. Oltre alla guerra ci sono le operazioni di polizia: non solo attivisti del Pkk, ma anche centinaia di membri dello Hdp sono stati recentemente arrestati. La campagna aerea contro lo Stato Islamico appare al confronto molto meno convinta. L’organizzazione di al-Baghdadi è stata infatti e in buona misura resta ancora uno strumento d’influenza di Ankara in Siria. Qui Erdoğan persegue testardamente la liquidazione del regime di al-Asad. Lo scenario ideale per la Turchia è il mantenimento intorno a Damasco di uno Stato centralizzato, negando ai curdi quella fascia territoriale nel Nord del Paese sulla quale essi contano per collegare il Kurdistan turco a quello iracheno. In vista di questo obiettivo, l’aviazione turca, che colpisce parallela-

Keystone

ricorrono al voto anticipato per riconquistare la maggioranza assoluta persa in giugno e per impedire che l’Hdp curdo si riconfermi in Parlamento

mente a quelle occidentali in Siria, mira a creare di fatto una no-fly zone per impedire ai jet di al-Asad di colpire i ribelli. In questa campagna, il fatto tattico di maggiore rilevanza è la concessione da parte di Erdoğan all’uso dell’aviazione americana della base di İncirlik per colpire le postazioni dello Stato Islamico. È tuttavia molto improbabile che le operazioni aeree turche e alleate possano conseguire significativi risultati se non accompagnate da parallele operazioni di terra, cui per il momento nessuno è apparentemente disponibile.

Sullo sfondo, i mutamenti nelle dinamiche geopolitiche regionali. La questione centrale per la Turchia resta il contrastato rapporto con gli Stati Uniti d’America. Obama ha fatto capire in mille modi di averne abbastanza dell’imprevedibilità di Erdoğan. Tutte le alternative finora sperimentate, anche attraverso operazioni coperte, si sono rivelate inutili. L’uomo su cui l’amministrazione americana puntava per sovvertire il «sultano», il transfuga Fetullah Gülen, si è rivelato molto meno efficace di quanto pretendeva di

essere, pur controllando in buona misura la polizia e in parte la stampa turca. In vista delle prossime elezioni, gli americani sperano nel mantenimento di una sufficiente barriera di forze avversarie a Erdoğan in parlamento, sì da impedire al presidente di trasformarsi in dittatore assoluto. Anche questa volta, l’obiettivo è largamente affidato alle fortune dell’Hdp. E quindi, più in generale, della minoranza curda in Turchia. È su tale questione che si deciderà il futuro di Erdoğan e della repubblica turca.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 settembre 2015 ¶ N. 38

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Politica e Economia

Ungheria, valvola migratoria La grande sfida Successe già nell’estate del 1989 quando Budapest decise di aprire la frontiera con l’Austria,

lasciando uscire migliaia di tedeschi venuti dalla DDR per andare all’Ovest. Poche settimane più tardi, il crollo del Muro di Berlino

Alfredo Venturi Non è la prima volta che una marea di fuggiaschi si accalca sul suolo ungherese sperando di raggiungere la Germania e, alla fine, raggiungendola. Ciò che è accaduto nei giorni scorsi con i profughi siriani, afghani e iracheni ha un precedente che risale a ventisei anni or sono e riguarda i tedeschi in fuga dalla Repubblica Democratica ormai agonizzante. È l’estate del 1989, preludio allo storico autunno che vedrà cadere il Muro. Fra poco più di un anno le due Germanie saranno una sola. L’Europa orientale è in fermento dopo che la politica riformatrice di Mikhail Gorbaciov ha contagiato altri Paesi del Patto di Varsavia. Non tutti: fra quelli che resistono al cambiamento è lo Stato tedesco orientale, l’arcigna Prussia rossa che occupa l’antica zona di occupazione sovietica e che un’inespugnabile frontiera separa dal resto della Germania. In realtà è il governo che si oppone alle aperture: la maggior parte della popolazione è di tutt’altro avviso, molti lasciano il Paese mentre all’interno si moltiplicano i gruppi di contestazione che in affollate riunioni ancora clandestine tengono febbrili dibattiti. In uno di quei gruppi, il «Demokratischer Aufbruch», Risveglio democratico, milita una combattiva ricercatrice trentacinquenne di nome Angela Merkel: nata all’ovest, cresciuta all’est, sembra incarnare il sogno unitario. Sarà lei, ventisei anni più tardi, ad accogliere a braccia aperte chi è in fuga dalle guerre mediorientali.

Oggi come ieri gli eventi sviluppatisi intorno alla cerniera ungherese inducono l’Europa a interrogarsi A differenza dai profughi del 2015, quelli del 1989 non si muovono a piedi, o sui treni. Né si affidano a pericolanti imbarcazioni, visto che le loro frontiere sono terrestri. Si allontanano sulle loro Trabant scoppiettanti, le fragili utilitarie con motore a due tempi made in DDR che procedono avvolte in nuvole di fumo azzurro. Ma non possono andare nella Repubblica Federale di Germania, la meta dei loro sogni, perché c’è di mezzo quel confine invalicabile. Molti fra quelli che ci hanno provato, negli anni, sono stati falciati dalle mitragliatrici o sono saltati sulle mine. Possono muoversi soltanto all’interno dell’Europa socialista, scelgono dunque l’Ungheria, meta tradizionale del turismo tedesco che un dettaglio politico rende particolarmente attrattiva: a Budapest l’aria è cambiata, vi ha attecchito il nuovo corso gorbacioviano. Il governo guidato da Gyula Horn sta progressivamente cambiando i connotati del Paese, presto la Repubblica Popolare Ungherese perderà il primo aggettivo e sarà stato proprio il popolo a volerlo. Insomma si spera che di lì sarà prima o poi possibile andare a occidente, valicare il confine che separa lo Stato magiaro dal Burgenland austriaco, e di lì, la Baviera a portata di mano… Nonostante il nuovo spirito che lo anima, il governo ungherese è fortemente imbarazzato. Poiché fin dal maggio ha ammorbidito i controlli di frontiera verso l’Austria, demolendo le difese e sferrando il primo colpo di maglio alla cortina di ferro, migliaia di tedeschi dell’est si sono accampati lungo il confine, nell’attesa del via libera. Sanno che una volta entrati in territorio federale avranno automaticamente, a norma di Costituzione, la cittadinanza

Profughi della DDR raggiungono la Germania ovest a bordo delle Trabant. (AFP)

di quella che considerano la vera Germania. Già un centinaio di loro, che si erano rifugiati nell’ambasciata federale a Budapest, sono potuti partire grazie a un lasciapassare della Croce rossa internazionale. Ma è impossibile applicare questa procedura a una simile massa umana. Per Gyula Horn e i suoi ministri sono giorni difficili, stretti come sono fra le pressioni di Bonn e i richiami di Berlino est al rispetto degli accordi. Quegli accordi vincolano i Paesi del Patto di Varsavia a sbarrare ai flussi umani ogni varco verso l’occidente capitalista e imperialista. Ma questa visione appare sempre più obsoleta, dopo che la glasnost e la perestrojka si sono diffuse da Mosca nei Paesi satelliti. Sotto la guida sempre più controversa di Erich Honecker, il regime della Germania orientale cerca di tener duro, mentre un’opinione pubblica sempre meno accomodante lo contrasta ormai apertamente. Aumenta il numero dei fuggiaschi e Berlino est insiste disperatamente con Budapest: non fateli procedere oltre. Ma a settembre la situazione si sblocca. Ci sono ventimila tedeschi orientali in attesa di entrare in Austria e il governo ungherese accende finalmente la luce verde: ecco le lunghe file di Trabant in marcia verso occidente, ecco le scene di giubilo oltre il confine bavarese, i brindisi, gli abbracci. Ormai aggirato il lugubre confine intertedesco, i nuovi arrivati possono finalmente inoltrarsi fra i Länder federali. Quelli che vengono da Berlino ritrovano la loro metropoli: per passare da un quartiere all’altro, separati dal Muro, hanno dovuto percorrere una deviazione di duemila chilometri. Costernazione nei palazzi del governo e del partito, dove si parla di pugnalata alla schiena da parte dei fratelli ungheresi. Uno sbigottito Honecker si chiede dove sia finito l’internazionalismo proletario. Il vecchio leader sente il potere sfuggirgli di mano eppure cerca di resistere. Il 7 ottobre celebra una volta ancora il compleanno della DDR, è il quarantesimo. Come ai bei tempi, un’impeccabile parata lungo la Karl-Marx-Allee celebra lo «Stato degli operai e dei contadini». Potesse mai immaginare, mentre impettito sul palco accanto ai capi dei Paesi amici saluta i soldati, i pionieri, gli sportivi, i «gruppi di combattimento dei lavoratori», che in realtà sta celebrando un funerale, perché la sua Repubblica rossa è condannata e al Muro, a quello che lui chiama «baluardo antifascista», non resta che un mese di vita! Eppure Gorbaciov, ormai diventato un mito per i giovani dell’est che proprio a «Gorbi» inneggiano nei cortei per il cambiamento, lo aveva avvertito: la storia punisce chi non asseconda il suo corso…

Ognuno dei due eventi ha la sua icona. Oggi è quella sconvolgente del piccolo Aylan che giace sulla battigia di una spiaggia turca. Ventisei anni or sono il transfuga inginocchiato a baciare il suolo bavarese alla maniera di papa Wojtyla. Attorno al bambino curdo un deserto di morte, mentre il tedesco è circondato dal tripudio dei connazionali. Le scene dell’accoglienza in Baviera sono simili, nel settembre 1989, a quelle di questi giorni. Non fosse che allora si trattava di

concittadini provenienti dall’altra Germania, oggi di gente in fuga dal Medio Oriente. C’è un analogo livello di emotività, anche se stavolta non tutti i tedeschi sono d’accordo e mentre si festeggia a Monaco una banda di neonazisti prende d’assalto un centro di accoglienza a Dortmund. Ventisei anni or sono toccava al cancelliere Helmut Kohl il ruolo centrale sulla scena oggi occupato dalla Merkel. Quella che fu la giovane militante del «Demokratischer Aufbruch» è saldamente al governo della Germania, e con una decisione carica insieme di umanità (rivendica le radici solidali dell’Europa), coraggio (sfida i malumori di almeno metà dell’opinione pubblica) e pragmatismo (accoglie linfa nuova nella declinante natalità tedesca), impone alla questione migratoria un’energica svolta. Oggi come allora, gli eventi sviluppatisi attorno al ruolo della cerniera ungherese inducono l’Europa e il mondo a interrogarsi. Nel 1989, mentre la storia procedeva ormai inarrestabile verso l’affermarsi al centro del continente di un colosso germanico da ottanta milioni di abitanti, una sottile inquietudine permeava le cancellerie. Si temevano rigurgiti imperialisti, la riproposizione del Drang nach Osten, la spinta teutonica verso oriente, qualcuno agitava lo spettro inquietante del Quarto Reich. Ci si chiedeva se fosse possibile una Germania europea o se ci si dovesse rassegnare al

destino di un’Europa tedesca. Il cancelliere assicurava che la potenza politica ed economica del suo Paese unificato si sarebbe diluita in una Unione sempre più strettamente integrata. Ma le resistenze nazionali frenano l’integrazione… Allargata verso est in seguito al collasso sovietico, l’Europa appare oggi divisa attorno alla sfida migratoria. Divisi i governi, divise al loro interno le comunità nazionali. Da una parte si registra lo slancio dei cittadini austriaci e tedeschi che vanno a Budapest per caricare in auto i profughi e portarseli in patria. Dall’altra dobbiamo fare i conti sia con l’atteggiamento dei governi che non vogliono accollarsi quote vincolanti di stranieri, sia con l’umore di larghi strati popolari ostili all’idea dell’accoglienza. Il contrasto fra le immagini rende l’idea di un problema dalle molte facce: nella stazione di Budapest manganelli roteanti e gas urticanti, in quelle di Vienna e di Monaco applausi e doni. In mezzo al Mediterraneo i poveri punti neri dei naufraghi sballottati dalle onde, ma anche i marinai europei in missione di salvataggio con i piccoli profughi in braccio. Sullo sfondo una feroce battaglia politica con scambio di accuse velenose: razzismo, buonismo, opportunismo, sciacallaggio, speculazione… Le chiusure si contrappongono alle aperture, i nuovi muri al ricordo non ancora sbiadito del Muro per antonomasia. Fino al colpo d’ala di Angela Merkel. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Pechino gioca la carta del nazionalismo Autunno caldo Nell’incertezza del futuro non solo economico, il presidente Xi Jinping rilancia

l’identità nazionale e il militarismo Beniamino Natale La parata militare del 3 settembre a Pechino è stata spettacolare: 12mila soldati delle tre armi, scelti uno per uno e addestrati per sei mesi ad una sincronizzazione perfetta, sono sfilati sulle Changanjie, il Viale della Lunga Pace, che porta a piazza Tiananmen (la Porta della Pace Celeste). Affiancato dai suoi ospiti più prestigiosi, il presidente russo Vladimir Putin, la sudcoreana Park Geun-hye e il segretario dell’Onu Ban Ki-moon, il leader cinese Xi Jinping si è goduto il suo momento di gloria. Ne aveva bisogno, perché la parata è venuta al termine di un’estate infernale e all’inizio di un autunno che si annuncia pieno di ostacoli. Ricostruiamo la crisi estiva della Cina: nella prima settimana di luglio le Borse di Shanghai e di Shenzhen – che da un anno crescevano ininterrottamente nonostante il momento non brillante dell’economia «reale» – cominciano una discesa che non si è più fermata, bruciando gran parte dei guadagni accumulati dalle famiglie cinesi nei mesi precedenti. Un primo, forte colpo per il governo di Pechino, che sulla crescita delle Borse aveva giocato buona parte del proprio prestigio. In agosto, la People’s Bank of China decide per la prima volta dopo decenni di svalutare lo yuan. È una mossa verso l’internazionalizzazione della valuta cinese che è stata approvata dal Fondo Monetario Internazionale. Ma è anche un’ammissione del fatto che la sbandierata trasformazione dell’economia del Dragone – che dovrebbe abbandonare il «traino» delle esportazioni e degli investimenti pubblici e puntare sui consumi interni – sta segnando il passo. Poche ore dopo arriva il colpo forse più grave: una deposito di materiale chimico va a fuoco e in seguito esplode a Tianjin, la metropoli portuale a 120 chilometri dalla capitale. Muoiono più di 150 persone, in gran parte giovani e giovanissimi pompieri mandati allo sbaraglio senza alcuna precauzione. Poi si scopre che molti di questi giovani erano stati assunti irregolarmente ed erano sottopagati; che il deposito era molto più vicino ai quartieri residenziali di quanto consentito dalla legge; che i titolari dell’im-

Da sinistra: il presidente Xi Jinping, il numero 2 del Partito Jiang Zemin e il numero 3 Hu Jintao . (AFP)

presa privata proprietaria del deposito sono figli, fratelli e amici di potenti boss del partito comunista e dell’esercito di liberazione popolare. L’opinione pubblica si indigna e la situazione non viene certo migliorata dalla tardiva visita a Tianjin del primo ministro Li Keqiang, che è apparso reticente e imbarazzato. Poco dopo, il secondo crollo delle borse viene a suggellare la terribile estate del più grande partito comunista del mondo. Di questa serie di avvenimenti sfortunati quello di Tianjin è certamente il più grave. Willy Lam, professore all’università cinese di Hong Kong e stimato analista della politica cinese, ha scritto sulla rivista online «China Brief» che «tre fonti cinesi col grado di capo di un dipartimento governativo o superiore» gli hanno detto che Xi Jinping sospetta che dietro alla tragedia di Tianjin ci sia «una cospirazione politica» volta ad infliggere un colpo al «zhongyang» cioè il gruppo dirigente centrale, guidato dallo stesso presidente. Il fatto che l’esplosione si sia verificata tre settimane prima della grande parata – la prima organizzata

in un’occasione diversa dalla festa della repubblica – non ha fatto che rafforzare il sospetto. Prosegue Lam: «Le fonti hanno aggiunto che anche se finora non sono state trovate prove definitive, i consiglieri di Xi ritengono che ci sia una connessione con i militari». Sul palco delle autorità il 3 settembre, la gerarchia era schierata come segue: subito dietro a Xi c’era l’ex-presidente Jiang Zemin (quindi numero 2), seguito dall’altro ex-presidente Hu Jintao (più giovane di Jiang e quindi numero 3). Poi i sei componenti del Comitato permanente dell’ufficio politico (CPUP). Solo Xi indossava una giacca «alla Mao Zedong» in quanto capo supremo dell’esercito, tutti gli altri erano in giacca e cravatta. I sospetti dei fedelissimi di Xi si concentrano su Jiang Zemin, il quasi novantenne ex-leader che ha mantenuto una forte influenza sulla vita politica della Cina. Molti dei suoi uomini sono ancora in posizioni chiave nel partito, nell’esercito e nelle grandi imprese statali. Queste ultime dovrebbero essere prese di mira dalle «riforme» – forse

meglio usare il termine «cambiamenti», che non crea illusioni sulla portata democratica di queste iniziative – che Xi Jinping ha più volte annunciato. E sono anche le galline dalle uova d’oro che garantiscono potere e ricchezza all’«aristocrazia rossa», i «principi» figli e nipoti dei fondatori della Repubblica Popolare. In una recente dichiarazione, il presidente della Camera di commercio europea di Pechino, Jorg Wuttke, ha sostenuto che i cambiamenti introdotti fino ad ora da Xi «vanno a favore delle imprese cinesi» ed equivalgono ad una «chiusura del mercato in molti settori». La lotta alla corruzione lanciata da Xi Jinping è gestita dal suo alleato Wang Qishan, presidente della temuta Commissione per le ispezioni di disciplina. Wang, un economista di 66 anni ed ex-sindaco di Pechino, è formalmente il «numero sei» del CPUP ma molti lo considerano l’uomo più potente della Cina dopo il presidente. La sua caccia ai corrotti ha portato all’eliminazione di decine di migliaia di funzionari di tutti i livelli, tra cui l’ex-responsabile della sicurezza interna Zhou

Yongkang. Molti degli epurati erano alleati di Bo Xilai, il brillante capo del partito di Chongqing uscito sconfitto dall’aspra lotta politica per la successione a Hu Jintao. Altri erano uomini di Jiang Zemin. Non desta sorpresa il fatto che la purga stia incontrando forti resistenze nel partito, come denunciato recentemente dai media di Stato. Dal punto di vista economico le incognite non sono meno preoccupanti. Dato per scontato che l’economia ha rallentato e che il processo di trasformazione non sarà rapido e senza scossoni come alcuni incauti ottimisti avevano pensato, cosa sarà delle grandi iniziative annunciate nei mesi scorsi da Pechino? La Cina ha ancora la possibilità e la volontà di dar vita alla pioggia di investimenti che aveva fatto intravedere con il progetto della nuova, doppia Via della Seta, terrestre e marittima? Ci sarà una marcia indietro sulle esportazioni, e di quale portata? Nell’incertezza del futuro non sorprende che un autocrate come Xi Jinping giochi quella che spesso, in situazioni analoghe, è risultata una carta vincente: il nazionalismo. La parata del 3 settembre è stata organizzata per celebrare il 70.mo anniversario della vittoria nella Seconda guerra mondiale, che in Cina viene chiamata guerra di resistenza del popolo cinese contro l’aggressione giapponese. Qualche settimana prima della parata è cominciato un bombardamento che non è ancora terminato: gran parte dei canali televisivi trasmettono a getto continuo film, serial o programmi di attualità tutti dedicati alla guerra, con un forte accento sulle «atrocità» commesse dal Giappone. Non è solo il Sol Levante a temere una crescita del nazionalismo e del militarismo in Cina. Al centro dei timori c’è il Mar della Cina Meridionale, dove nei mesi scorsi Pechino non ha nascosto le sue ambizioni, creando e militarizzando una serie di isolette nelle aree contese con altri Paesi della regione, in particolare Filippine e Vietnam. In un quadro come questo la prima vista negli Stati Uniti di Xi Jinping da quando è presidente, che inizia il 22 settembre, si annuncia tutt’ altro che facile. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

La Revolución di Bergoglio Il Papa a Cuba A rendere possibile la visita di Francesco è stato più di ogni altra cosa il lavoro paziente tessuto

in questi anni dalla Chiesa cattolica dell’isola, guidata dall’arcivescovo dell’Avana Jaime Ortega Giorgio Bernardelli Le immagini che di tanto in tanto spuntano fuori del pallido Fidel rivelano tutto il volto invecchiato della Revolución. Mentre suo fratello Raul, finita la sbornia del Novecento, prova con il suo pragmatismo a portare L’Avana nel XXI secolo, riaprendo i ponti con Washington. È la Cuba di questo cruciale anno 2015 su cui sabato 19 settembre metterà piede anche papa Francesco. E la domanda è fin troppo facile: si incontreranno il mito di ieri e quello di oggi del pueblo latino-americano? E che cosa può portare in dote questa visita alla transizione che L’Avana sta vivendo ormai da tempo? Non era una tappa per niente scontata Cuba per Francesco: inizialmente Bergoglio negli Stati Uniti (la meta da tempo fissata per questo mese di settembre) pensava di arrivarci dal Messico, con un gesto che probabilmente oggi sarebbe stato ancora più esplosivo. Invece tra pochi giorni sarà Cuba a diventare uno dei due soli Paesi dell’America Latina scelti come destinazione per un proprio viaggio da ben tre Pontefici. Per far capire quanto si tratti di un fatto eccezionale basta ricordare che l’altro Paese in questione è il Brasile, terra immensa e oggi vero e proprio crocevia del cattolicesimo globale. Non un’isola caraibica da appena 11 milioni di abitanti. È ovvio, però, che le considerazioni demografiche su un posto come Cuba non dicono proprio nulla: a contare è la storia recente, quello che L’Avana ha rappresentato con la rivoluzione di Fidel Castro. E allora si capisce anche la scelta di Francesco di trascorrere ben tre giorni interi sull’isola, un tempo relativamente lungo per gli standard dei suoi viaggi.

La scommessa del Papa è la riconciliazione oltre le contrapposizioni ideologiche del ’900 e gli egoismi del mondo di oggi Ci arriva – però – in una posizione singolare, a Cuba. E non solo perché anche per il Pontefice venuto dal continente latino-americano si tratterà di una prima volta: neanche lui finora aveva mai messo piede sull’isola (come del resto neppure negli Stati Uniti). Ma soprattutto Francesco a Cuba ci arriva nella posizione inedita di chi il grande risultato l’ha già conseguito: tanto Barack Obama quanto Raul Castro gli hanno ampiamente tributato il merito della mediazione che ha portato poche settimane fa alla riapertura dell’ambasciata degli Stati Uniti all’Avana. E anche se il cammino verso la revoca dell’embargo deve ancora passare sotto le forche caudine del voto del Congresso a maggioranza repubblicana, anche per gli anticastristi più incalliti sarà ben difficile riuscire a riportare davvero indietro le lancette della storia. «Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba», era stato l’appello lanciato da Giovanni Paolo II dalla Plaza de la Revolución nel 1998. Allora sembrava un auspicio lontano. Invece, appena una manciata di anni dopo, Bergoglio domenica 20 settembre su quella stessa piazza celebrerà una Messa che sarà in un certo senso la celebrazione dell’adempimento di quella profezia. A renderla possibile è stato più di ogni altra cosa il lavoro paziente tessuto in questi anni dalla Chiesa cattolica a Cuba; una comunità guidata dall’arcivescovo dell’Avana Jaime Ortega che, già ben prima del suo viaggio nel Paese di Fidel Castro, Wojtyla aveva creato cardinale nel 1994. Allora il muro dei Caraibi appariva ancora ben saldo e alla Chiesa cattolica – che pur non poteva vantare

all’Avana le chiese piene della Polonia – si guardava come all’unico contraltare possibile rispetto al castrismo. Anziché lo scontro frontale sempre in voga a Miami, però, il cardinale Ortega ha scelto la via graduale, quella della promozione di spazi di libertà attraverso la politica dei piccoli passi. Libertà che non ha significato solo possibilità per la Chiesa di svolgere il proprio ministero (epocale fu il permesso di tornare a festeggiare il Natale anche a Cuba, decretato da Fidel nel 1997); Ortega ha sempre guardato con attenzione anche alla questione dei diritti umani: nel 2010 fu lui (sostenuto dall’allora nunzio apostolico mons. Giovanni Becciu, oggi numero due nella segreteria di Stato vaticana targata Francesco) a negoziare con Raul Castro la liberazione di 52 noti dissidenti politici. E quello fu un passaggio chiave, non meno importante delle riforme economiche, nel percorso che ha condotto Cuba fuori dalla stretta osservanza dei dogmatismi della Revolución. Del resto ancora in questi giorni – nella prima intervista pubblica di un cardinale mai ospitata dalla tv di Stato cubana – Ortega è tornato a chiedere espressamente un’amnistia in occasione della visita di Francesco. Punto di riferimento della società civile ma allo stesso tempo sponda importante per il nuovo corso impresso al Paese da Raul Castro. Posizione sul filo del rasoio quella dell’arcivescovo dell’Avana, più volte guardato con sospetto dagli stessi anticastristi. Quei circoli più oltranzisti che oggi dall’esilio non festeggiano di fronte alla prospettiva di una fine dell’isolamento che potrebbe giungere senza l’auspicata caduta del regime. Non a caso in questa vigilia del viaggio anche l’arcivescovo di Miami, mons. Thomas Wenski, è sceso in campo a sostegno di Ortega: «La Chiesa a Cuba sta lavorando per garantire una transizione pacifica nell’isola», ha detto intervenendo a un convegno; e l’immagine eloquente citata per l’occasione è stata quella di «un atterraggio morbido, perché l’alternativa potrebbe essere il caos». Dentro tutto questo contesto che cosa segnerà – allora – il viaggio di Francesco? Da Bergoglio non c’è da aspettarsi certo che si limiterà a una passerella per incassare il dividendo dell’accordo politico raggiunto tra Cuba e Stati Uniti. Durante la consueta intervista aerea nel volo di ritorno dal suo ultimo viaggio ha addirittura minimizzato il ruolo giocato dal Vaticano nel negoziato. Un indizio dell’intenzione di non lasciarsi ingabbiare nel ruolo del mediatore politico durante la sua presenza a Cuba. È più probabile che insista piuttosto sul nervo più scoperto di oggi, che è la riconciliazione tra chi è rimasto a Cuba e chi ha preso la via dell’esilio. Ma questo è un discorso che va anche al di là della stessa vicenda specifica dell’Avana. Il Papa da Cuba parlerà all’intera America e – come già successo durante il viaggio del luglio scorso in Ecuador, Bolivia e Paraguay – il tema di un’economia che accetti di non sacrificare nessuno sull’altare del profitto a ogni costo sarà ancora una volta centrale. In Bolivia fece scalpore il dono da parte di Evo Morales del crocifisso con la falce e il martello, realizzato a partire da un disegno del martire gesuita Luis Espinal. Si andò avanti per giorni a parlare del rapporto tra papa Francesco, il comunismo e la teologia della liberazione. Ma si trattava di dibattiti con lo sguardo rivolto all’indietro, a un’America Latina che nei fatti già non esiste più. Oggi Cuba è uno dei simboli più chiari di questa transizione, con un modello collettivista che ormai ha fatto il suo tempo ma fatica a trovare un’alternativa che non sia una semplice resa al mercato senza regole. Del resto negli ul-

L’altare in allestimento per la messa che il Papa celebrerà nella Plaza de la Revolución a L’Avana. (AFP)

timi mesi è bastato il crollo del prezzo del petrolio per mettere in ginocchio quel Venezuela che, con la sua rivoluzione bolivariana, amava dipingersi come il vero erede del castrismo. Cerca nuove sintesi e nuovi equilibri l’America Latina e proprio da Cuba papa Francesco proverà a indicare una strada. Lo stesso ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra l’Avana e Wa-

shington va letto in un contesto più ampio: quello di un nuovo incontro solidale tra Nord e Sud del modo, lungo le tante frontiere che attraversano oggi il pianeta. Non a caso dopo Cuba per Bergoglio arriveranno gli Stati Uniti con l’attesissimo discorso davanti al Congresso. Quello nel quale i latinos sperano di sentire una sua parola sul tema della riforma migratoria, che i Repubblicani

hanno bloccato e che resta una questione caldissima nella campagna elettorale per la corsa alla Casa Bianca. La riconciliazione oltre le contrapposizioni ideologiche del Novecento; ma anche oltre gli egoismi del mondo di oggi: è questa la scommessa di Bergoglio sull’Avana. L’altra Revolución del papa venuto dai barrios per rialzare la testa all’America Latina. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Un valore economico misconosciuto Parametri economici Quanto valgono volontariato o cura di casa e famiglia? Nulla, almeno nel computo del PIL tempo parziale)2. Oppure ancora, come si può sostenere – così appunto fa l’approccio del PIL – che mansioni meno remunerate contribuiscano più scarsamente al benessere di un Paese rispetto ad altre più pagate? Che si debba affrontare la questione senza demagogie e populismi e considerare il PIL per quello che è, cioè un’approssimazione del reddito prodotto in una nazione in un determinato periodo (e risultante dalla sola generazione effettiva di ricchezza economica), è evidente: altrettanto lampante è, però, che l’apporto a titolo gratuito da parte di sempre più numerose categorie di individui al prosperare di una società intera non possa continuare a permanere a tal stregua nell’oblio. A riguardo, si potrebbe ipotizzare un PIL «2.0», cioè costituito dal valore attuale (determinato dal reddito nazionale effettivamente prodotto) e dalla stima del valore di ogni altra attività gratuita – il tutto, magari anche, su base bi-annuale nei Paesi post-industriali, le cui prospettive di sviluppo non possono certo eguagliare quelle dei Paesi emergenti. Così facendo, si inizierebbe ad attribuire maggiore dignità statistico-economica a volontariato e impegno familiare. Al contempo, locuzioni quotidiane quali «andare al lavoro», che sottintendono di fatto che chi resti nelle mura domestiche non faccia altrettanto (e, quindi, non lavori), sono la conseguenza logica di un approccio ormai «al capolinea», in cui il lavoro (negotium) era espletabile solo fuori casa (mentre a quest’ultima era solo riservato il tempo dell’otium).

Edoardo Beretta Che il Prodotto Interno Lordo quale principale misura di benessere economico e ricchezza prodotta in un Paese in un anno solare non sia più un totem è fatto ormai acclarato («Azione», 1.6.2015). A questo, quindi, sempre più economisti affiancano indici alternativi (ad esempio, lo Human Development Index o la Gross National Happiness) per mappare l’effettivo stato di salute di una nazione nel suo complesso. Invariato, tuttavia, rimane il messaggio, che il PIL ad ogni sua rilevazione inesorabilmente emette: ciò che unicamente conta è il flusso di risorse generato dalla mera attività economica. Per intendersi: ogni occupazione che non sia remunerata può sì rivestire utilità per la società, ma non rientra nel calcolo del reddito nazionale. Pertanto, la dedizione individuale in lavori di volontariato, cura dei figli o della casa è – per quanto fondamentale per un Paese – irrilevante al mero fine della determinazione del benessere economico nazionale. Ma come è possibile? Così facendo, si trascura che l’impegno volontario annuo in Svizzera è pari a 215,24 miliardi di franchi (57,9% del PIL) o 139,35 miliardi (37,5% del PIL) a seconda che si utilizzi una metodologia di costi di mercato o di costi-opportunità1: alla stessa stregua, viene misconosciuto che la dedizione di una madre per i figli è comparabile all’attività di un manager ed è stata nel 2014 stimata valere annualmente 118’905 dollari (se a tempo pieno) o 70’107 dollari (se a

Uno studio internazionale stima che l’impegno delle madri valga 70-120 mila dollari all’anno. (Keystone)

Se il legislatore si prodigasse a premiare sistematicamente telelavoro, desk sharing o ogni altra modalità flessibile per tempi e luoghi, faciliterebbe l’accettazione diffusa che il «lavoro» abbia sempre meno un «luogo di lavoro» ad esso strettamente deputato. Al contempo, si spoglierebbe l’attività casalinga (se svolta regolarmente) di quel peso psicologico, che deriva appunto dal non avere adeguati riconoscimenti. Per quanto riguarda il volontariato, invece, lo si deve emancipare da quel carattere di residualità affibbiatogli per il solo fatto di essere svolto nell’extra-la-

voro. La concezione lavorativa tuttora predominante presenta, infatti, tratti somatici talvolta ancora da Rivoluzione industriale, quando l’individuo si doveva esclusivamente recare in luoghi fisici come la fabbrica per espletare le proprie mansioni (perlopiù, rigorosamente manuali). La realtà è oggi, però, sempre più un’altra, in cui spazi, tempi di lavoro e svago confluiscono in un tutt’uno senza che la linea di demarcazione fra loro sia ancora netta. Vogliamo credere che la tecnologizzazione e il cambiamento radicale dei ruoli nella società post-moderna siano stati tal-

mente repentini da non avere lasciato il tempo necessario ad aggiornare l’ideale lavorativo nell’immaginario comune. Solo alla luce di ciò, infatti, si spiega come non soltanto il volontariato e l’impegno familiare non producano benessere economico ai fini ufficiali del PIL «1.0», ma il loro contributo al contenimento della spesa pubblica – si pensi, ad esempio, all’ambito dell’assistenza dei figli o ai malati – sia altresì trascurato: in molti Paesi, quindi, attività sociale gratuita diviene sinonimo paradossale di assunzione di responsabilità e rischi nello svolgimento delle proprie mansioni, ma non di detraibilità/deducibilità fiscale o altro ancora. I «valori economici misconosciuti» sono davvero tanti, ma conforta sapere che questi possano essere «affrancati» socialmente: le critiche mosse al PIL, che non costituiscono certo un novum nel dibattito politico ed economico, sono un primo passo, ma troppo pressante è la necessità di cambiamento in questo momento. Ancor prima, però, serve forse che ognuno percepisca l’importanza dell’apporto individuale extra-lavorativo gratuito e – se proprio non lo si vuole chiamare «lavoro» – lo si identifichi almeno con «impegno». Note

1. http://www.bfs.admin.ch/bfs/ portal/de/index/news/publikationen. Document.51077.pdf 2. http://www.salary.com/mompaycheck/ Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

PLR con il vento in poppa Elezioni federali Un’analisi della forza dei partiti in vista del 18 ottobre – Se le previsioni si avvereranno,

un’affermazione del partito guidato da Philipp Müller potrebbe annullare la svolta a sinistra intervenuta nel 2011 Marzio Rigonalli Manca poco più di un mese all’appuntamento elettorale nazionale, che si rinnova ogni quattro anni. I partiti politici hanno intensificato la loro campagna elettorale e cercano di attrarre il maggior numero possibile di elettori, rivolgendosi innanzitutto ai propri sostegni tradizionali, ma anche cercando di crearsi nuove simpatie tra i giovani e tra coloro che non hanno ancora deciso per chi votare e che sono propensi a cambiare partito. Le assemblee di partito, le riunioni elettorali, le interviste e le dichiarazioni d’intenti si susseguono. E naturalmente, come spesso avviene con le competizioni, non mancano le previsioni su chi potrà sorridere la sera del 18 ottobre e chi, invece, dovrà farsi curare le ferite. Sono pronostici che si fondano essenzialmente sul barometro elettorale della SSR, realizzato quattro volte dall’ottobre dell’anno scorso, su altri sondaggi e sui risultati delle numerose elezioni cantonali che si sono svolte durante la legislatura. Le ipotesi che vengono avanzate sulla tenuta di tutti i principali partiti, consentono di individuare tre categorie: i vincitori, le formazioni che, nonostante piccole modifiche, rimarranno sul livello di quattro anni fa e gli sconfitti. Tra i vincitori, la palma d’oro va al partito liberale radicale. Secondo le previsioni, questo partito dovrebbe guadagnare due punti percentuale. Per i liberali radicali sarebbe un risultato lusinghiero, che porrebbe fine ad una tendenza negativa dei voti raccolti a livello nazionale, iniziata nel 1983 e proseguita fino al 2011. Non sarebbe, però, sufficiente per raggiungere uno degli obiettivi dichiarati in questa campagna elettorale, ossia quello di superare il partito socialista.

I partiti di centro rischiano un sensibile ridimensionamento, dopo l’affermazione alle elezioni federali del 2011 Molti sono i fattori che possono contribuire a spiegare il vento favorevole che soffia per il PLR: la personalità e lo stile del suo presidente Philipp Müller, apprezzato soprattutto nella Svizzera tedesca; il momento economico, che rafforza la tendenza a considerare il PLR la migliore formazione in grado di affrontare i problemi, in particolare quelli posti dal franco forte; la debolezza dei partiti di centro e lo sforzo compiuto per distinguersi dall’UDC. Il PLR ha rifiutato la proposta della destra nazionalista di congiungere le liste ovunque, ed ha accettato soltanto tre accordi di apparentamento in altrettanti cantoni della Svizzera tedesca, Argovia, Basilea Campagna e Sciaffusa. Anche per il partito socialista vien pronosticato un risultato superiore a quello ottenuto nel 2011. In questo caso, il guadagno si attesterebbe soltanto intorno allo 0,5 %. Una percentuale relativamente bassa, ma sufficiente per consolidare la posizione dei socialisti nel centro sinistra. Fino a pochi giorni fa, l’UDC era l’unica formazione che sembrava dover rimanere stabile sulle posizioni conquistate quattro anni fa. Nel 2011, la formazione di Blocher, Maurer e Brunner raggiunse il 26,6%, perdendo 2,3% rispetto al 2007. In quell’anno aveva ottenuto il 28,9 %, una percentuale che ancora oggi costituisce il suo miglior risultato elettorale nazionale. Le questioni legate al diritto d’asilo, con il flusso di rifugiati che ha invaso l’Eu-

Christoph Darbellay, presidente PPD, guarda con apprensione a un rafforzamento degli altri due partiti borghesi guidati da Philipp Müller (PLR) e Toni Brunner (UDC), benché questi ultimi non siano formalmente alleati. (Keystone)

ropa e con il recente dibattito al Consiglio nazionale, hanno dato un nuovo impulso alla destra nazionalista che, secondo l’ultimo barometro elettorale, potrebbe avanzare anche di due punti percentuale. L’asilo è uno dei temi preferiti dall’UDC, che tralascia volentieri la disponibilità e la volontà di aiutare chi fugge dalle guerre e dalle dittature, per dare spazio ai timori che animano una parte della popolazione quando è chiamata a confrontarsi con lo straniero, con la sua presenza, la sua cultura e la sua religione. Ad ogni modo, qualunque sia il risultato elettorale che otterrà, l’UDC continuerà ad essere il primo partito svizzero, con un netto vantaggio sulle altre formazioni. Tutti gli altri partiti, tra quelli che vantano una buona presenza nazionale, si ritroverebbero tra gli sconfitti. Sono: il Partito popolare democratico, i Verdi, i Verdi Liberali e il Partito borghese democratico. La somma dei risultati di questi quattro partiti sarebbe di poco superiore alla percentuale che otterrebbe l’UDC. Ognuna di queste formazioni è alle prese con difficoltà e problemi diversi, che limitano loro la possibilità di guardare con ottimismo e serenità al 18 ottobre. Il PPD non riesce a nascondere le sue divisioni interne, come ha dimostrato la presa di posizione del consigliere agli stati Filippo Lombardi sull’elezione di Eveline WidmerSchlumpf nel 2007. Lombardi ha ritenuto che il suo partito avesse commesso un errore nel sostenere la consigliera federale grigionese ed è stato richiamato dal suo presidente Christophe Darbellay. Non è un segreto che l’ala destra del PPD verrebbe di buon occhio un secondo rappresentante dell’UDC in governo. Per di più, i popolari democratici stentano a profilarsi, ad imporre la loro etichetta su uno o più progetti importanti. Hanno difficoltà a far riconoscere dall’elettorato il loro ruolo di ponte tra la destra e la sinistra, ruolo che li portano a cercare e, spesso, a trovare soluzioni. I Verdi godono di buona salute quando i temi ambientali sono in prima pagina, ma stentano a farsi sentire quando l’attualità si concentra su altre tematiche, come avviene adesso. Potranno contare sui numerosi accordi di apparentamento conclusi con i socialisti, ma ciononostante rischiano di perdere voti e anche qualche seggio. Anche i Verdi liberali sembrano destinati a

perdere un po’ di terreno. Il loro tentativo di conciliare l’ecologia con l’economia inciampa talvolta in sonore sconfitte, come è successo l’8 marzo scorso, quando la loro iniziativa po-

polare «Imposta sull’energia invece dell’IVA» venne respinta da più del 90% dei votanti. Uno smacco che ha lasciato tracce e che non aiuta certo a salvare gli attuali 14 seggi parlamentari. I

Borghesi democratici, infine, chiamati a distinguersi dall’UDC e ad offrire un’alternativa borghese, stentano pure ad imporsi. La loro presenza è importante solo in tre o quattro cantoni ed il partito sembra esistere soprattutto grazie alla presenza della sua consigliera federale. Alle elezioni cantonali bernesi del marzo 2014, il PBD subì una cocente sconfitta, di cui ancora oggi si parla e che continua a generare qualche dubbio sul salvataggio degli attuali 10 mandati parlamentari. Le previsioni sui risultati dei singoli partiti restano tali e possono ancora essere ritoccate nelle prossime settimane, nonché venir smentite dai risultati delle elezioni. La posta in gioco di queste elezioni non sta, però, nella vittoria o nella sconfitta di un singolo partito, bensì nelle alleanze parlamentari che si creeranno dopo il voto e nella composizione del governo che ne deriverà. Attualmente, e per una manciata di seggi, c’è una maggioranza di centro-sinistra che ha determinato la composizione del Consiglio federale quattro anni fa e che ha inciso sulle scelte politiche della legislatura. La nascita di una maggioranza parlamentare di destra, con l’UDC, il PLR e l’eventuale appoggio di una parte del PPD, si ripercuoterebbe in maniera diversa sia sulla formazione del governo che sulle decisioni che verranno prese in settori strategici come l’energia e le assicurazioni sociali. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

L’industria svizzera si è difesa bene ma ora necessita di un euro più forte Congiuntura economica L’aumento dei tempi di lavoro ha migliorato la produttività delle aziende industriali,

ora però urgono misure a lunga scadenza e un indebolimento del valore del franco Ignazio Bonoli Il grafico che mostra l’evoluzione del tasso di cambio del franco svizzero con l’euro, dal 15 gennaio a metà agosto di quest’anno, è impressionante. In gennaio si vede una brusca caduta dall’1,20 (col sostegno della Banca Nazionale) alla parità e poi perfino a 98 centesimi qualche giorno dopo. Ma già a fine mese si verificava una leggera ripresa (1,04), che poi si consolidava in febbraio fin verso 1,06 franchi. Da lì iniziava però una discesa, fino a scendere nuovamente attorno a 1,04 franchi e perfino un po’ sotto in aprile, per poi stabilizzarsi in maggio e giugno. Le speranze di molti esportatori di arrivare all’auspicato 1,10 erano ampiamente deluse. Ma dopo metà luglio e, soprattutto agosto, il corso ricominciava a salire, fino a toccare la punta di 1,08 franchi. Che cosa prevedono ora gli esperti? A questa domanda posta dalla «Handelszeitung» a quattro esperti del settore, le risposte, con qualche sfumatura, tendono a prevedere un ulteriore indebolimento del franco svizzero. Da un lato perché l’euro ha buone probabilità di riprendersi dopo la crisi greca e grazie a migliori prospettive congiunturali, dall’altro perché anche la Banca Nazionale compie interventi mirati sull’euro e il mancato aumento dei tassi

di interesse negli USA ha indebolito, oltre al dollaro, anche il franco. Quest’ultimo continua però ad essere sopravvalutato. Stando al mercato e ai dati economici, il suo valore potrebbe essere quello di 1,30 franchi. Ma se la BNS opera con accortezza e viste le altre condizioni di mercato, con la ripresa in Europa e il probabile aumento dei tassi di interesse in America – non considerando però l’incognita cinese – il tasso di cambio franco / euro a fine anno dovrebbe essere vicino a 1,10. Molte aziende svizzere che lavorano soprattutto per l’esportazione si attendevano questo livello al più presto. L’attesa si è però prolungata e soltanto da quest’anno si vedono accenni di ripresa dell’euro sul franco svizzero. Nel frattempo, le maggiori aziende elvetiche hanno comunque adottato alcune misure di difesa. La più utilizzata è stato senza dubbio l’aumento delle ore di lavoro, senza incrementi di stipendio, che anche i sindacati hanno generalmente accettato senza troppe rimostranze. In alcuni casi questi aumenti hanno raggiunto anche le cinque ore settimanali. Si è trattato di un mezzo immediato per aumentare la produttività del lavoro e far fronte alle maggiori pressioni concorrenziali dall’estero. L’esempio è stato seguito da parecchie aziende e al termine delle vacanze non si esclude che si debbano prendere altre misure.

Lo strumento dell’aumento dei tempi di lavoro si è rivelato utile a breve scadenza e ha portato qualche azienda ad annunciare miglioramenti della situazione a metà anno. Miglioramento realizzato grazie alla riduzione dei costi di produzione, praticamente senza sollevare molte proteste. Cosa che invece è avvenuta con chi ha deciso, per esempio, di pagare i salari dei frontalieri in euro, oppure di licenziare parte del personale. In fondo, con l’aumento dei tempi di lavoro, l’azienda ha segnalato una chiara volontà di voler continuare a produrre in Svizzera e superare così il momento di crisi. Oggi è però giunto il momento di valutare anche gli effetti negativi che la misura può produrre, in particolare se dovesse prolungarsi troppo nel tempo. Alcune aziende valuteranno perciò la situazione con i rappresentanti del personale, in autunno, prima di decidere il da farsi. In realtà non ci sono molte altre alternative che possano garantire la stessa riuscita, se non ricorrendo a una riduzione del personale o trasferendo parte dell’attività all’estero. Di conseguenza, il fatto che parecchie aziende abbiano scelto la via dell’aumento dei tempi di lavoro è di per sé di buon auspicio. Bisogna però anche tener conto del fatto che il momento congiunturale ai tempi dell’abbandono del franco era buono e perciò le conseguenze sono

Un aumento degli orari di lavoro non remunerato può produrre effetti negativi, se prolungato nel tempo, servono quindi altre misure a lungo termine. (Keystone)

state relativamente sopportabili. Il problema si pone ora nei termini dei come poter proseguire con questi o con altri mezzi. Un recente studio di gestione aziendale ha constatato che parecchie ditte stanno valutando le possibilità ulteriori di contrastare la forza del franco sui mercati d’esportazione. Misure che dovrebbero esplicare effetti a lunga scadenza. Finora si è intervenuti essenzialmente sulla produzione, con misure come l’aumento dei tempi di lavoro, il cambiamento dei fornitori, la riduzione

dei prezzi di vendita. Ora si dovrebbero affrontare i problemi a livello di vendita, nonché di ricerca e sviluppo. L’effetto di queste misure non potrà però essere immediato, come quello delle precedenti. Per questo diventa sempre più importante un rapporto migliore tra il franco e l’euro, anche se parte delle esportazioni si è ora spostata verso l’area del dollaro o i mercati asiatici. Soprattutto per le piccole e medie aziende svizzere, l’Europa continua comunque ad avere il ruolo di mercato più importante per la Svizzera. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Sonni tranquilli o incubi all’orizzonte? Per quel che riguarda l’evoluzione congiunturale abbiamo passato un’estate tranquilla. Per due ragioni. In primo luogo perché i dati sulla disoccupazione (l’ultimo conosciuto riguarda il mese di luglio) non erano per niente preoccupanti. Poi, perché gli indicatori macroeconomici riguardanti il secondo trimestre di quest’anno ci dicevano che, dopo l’inflessione del primo trimestre, dovuta certamente all’abbandono del cambio minimo con l’euro, l’economia svizzera aveva ripreso a crescere. La crescita era inoltre accompagnata da un aumento sostenuto dell’occupazione. Diversi esperti, commentando i dati concernenti l’evoluzione della disoccupazione, la crescita del Pil e quella dell’occupazione non nascondevano il loro entusiasmo. Era come se il peggio fosse passato e ora si potesse guardare avanti

con maggiore ottimismo. Che tra gli imprenditori la fiducia nel futuro fosse ritornata sembrava confermato anche dal dato di agosto del barometro del KOF. Tra luglio e agosto il suo livello era aumentato di 0.3 punti passando sopra i 100 punti che rappresentano il valore medio di riferimento pluriennale. Ovviamente il valore del barometro variava da un ramo di produzione all’altro, ma nel complesso si poteva dire che le attese delle aziende erano positive. Fino alla fine dell’estate abbiamo quindi dormito sonni tranquilli. Tutto sembrava andar bene. Poi è arrivato settembre. Nei primi giorni di quel mese si è riunito, a Münchenstein, il fior fiore dell’economia e della politica svizzere per celebrare la «Giornata dell’economia svizzera». È stata una vera doccia fredda. Altro che ottime prospettive: l’economia svizzera sta an-

dando alla malora! Il professor Aymo Brunetti – che è stato per diversi anni il capo economista del Dipartimento federale dell’economia – ha dapprima avvertito che, in questo momento, i dati macroeconomici positivi possono essere fuorvianti. Per lui l’economia svizzera si ritrova, come all’inizio degli anni Novanta, davanti a una serie di problemi irrisolti che arrischiano di farla precipitare in una lunga fase di stagnazione. L’ottimismo dell’estate potrebbe quindi essere un ottimismo alla Titanic. L’elenco delle difficoltà è presto fatto: l’iniziativa contro l’immigrazione di massa, le minacce che pesano sugli Accordi bilaterali, le difficoltà di finanziamento delle assicurazioni sociali e il franco sopravvalutato. Le preoccupazioni di Brunetti sono state condivise da Hans Karrer, il presidente di Economiesuisse che, all’elenco dei

problemi, ha aggiunto la necessità di definire una politica energetica efficiente. Qualcuno potrebbe pensare che questi problemi sono di lungo termine e quindi senza impatto sull’andamento attuale dell’economia. Ma Karrer ha insistito sulle ombre che le difficoltà attese per il lungo termine gettano sulla congiuntura. Secondo lui, la Svizzera, come localizzazione economica, sta perdendo di attrattiva. Karrer ha citato i risultati di un’inchiesta condotta tra gli associati di Economiesuisse che rivelano che il 70% sta pensando a misure per far fronte a questi problemi mentre un quarto pensa di ridurre l’occupazione in Svizzera se non si dovessero trovare antidoti all’iniziativa sull’immigrazione di massa. Dai dibattiti della «Giornata dell’economia» è risultato che questa iniziativa è la grossa ipoteca che pesa sul futuro dell’econo-

mia svizzera. Simonetta Sommaruga nel suo intervento ha dichiarato di ritenere le conseguenze dell’iniziativa sull’immigrazione di massa più pericolose per la nostra economia del franco forte. È fuori di dubbio che gli investimenti nella nostra economia stanno ristagnando. A Münchenstein, però, non si è dato solo l’allarme. Si è discusso anche di che cosa si potrebbe fare. La clausola di protezione sembra, al momento, l’unica soluzione che consenta di sperare nella possibilità di trattative con l’Ue . Ma ci vorrebbe, per poter partire, un accordo di principio tra i partiti. Molti pensano che un successo del PLR alle elezioni federali potrebbe favorire il raggiungimento di questo accordo. Ma è un po’ come fare i conti senza la pelle dell’orso, perché su questo dossier è la posizione dell’UDC quella che conta.

diventa il vescovo: e la sensibilità dei vescovi – in Italia, in Europa, nel mondo – può variare moltissimo a seconda dell’età, della cultura, della sensibilità. Non mi stupirei nel vedere coppie desiderose di vedere il loro matrimonio dichiarato nullo trasferirsi in diocesi rette da vescovi più

«liberal» di altri. Inoltre, la riforma cambia tempi e costi della Sacra Rota, un organismo complesso attorno a cui gravita il mondo degli avvocati rotali, tutt’altro che entusiasti all’idea di perdere emolumenti (molti dei quali legati proprio alla lentezza dei procedimenti). Tutto dipenderà da molti fattori: in una prospettiva storica, anche dalla durata del papato di Francesco, e dalla scelta del suo successore; non è detto che la Chiesa, dopo la lunga stagione rigorista di Wojtyla e di Ratzinger, prosegua lungo la linea di apertura che Bergoglio ha tracciato, per il dispetto di una parte dei cardinali che l’hanno votato; è vero d’altro lato che il collegio cardinalizio uscirà profondamente trasformato dalle nomine volute dal nuovo Pontefice, che ha ulteriormente ristretto gli spazi dell’Italia e dell’Europa per aprire il sacro collegio al mondo in via di sviluppo. La questione dei migranti non è del tutto disgiunta. Anche qui la politica di Bergoglio può avere effetti dirompenti. La mossa del Papa, che all’Angelus di domenica scorsa ha invitato ogni parrocchia ad accogliere una famiglia di migranti, a cominciare dalla diocesi

di Roma e dalle due parrocchie del Vaticano, ha rappresentato una vera e proprio svolta nella gestione europea dell’emergenza. Il resto l’ha fatto la Germania, «scavalcando» il muro ungherese e aprendo all’accoglienza dei profughi siriani. A dire il vero, il Papa non fa distinzione tra profughi che tentano di sopravvivere a un guerra e migranti «economici», che si mettono in viaggio per inseguire il sogno (o il miraggio) di una vita migliore. È evidente, però, che accogliere tutti è impossibile. Passata l’onda emotiva seguita alle fotografie del bambino siriano annegato nel paradiso turistico di Bodrum e alle immagini dell’accoglienza entusiasta riservata ai siriani a Monaco di Baviera, torneranno a manifestarsi i sentimenti di paura, di xenofobia, di allarme sociale. I migranti non arrivano in un continente pacificato, sicuro di sé, dove il lavoro abbonda e lo Stato sociale regge. L’Europa assediata da africani e asiatici è un continente vecchio, sfibrato, sfiduciato. Le parole del Papa sono nobili; la guerra tra poveri che è già scoppiata nelle periferie è molto più prosaica, ma non meno vera.

immagini tra l’idilliaco e il poetico, la mia mente era in fermento: all’ammirazione per quanto la regista proponeva (bravissima nel mettere in evidenza comportamenti ed emozioni dei tre bambini, con un continuo intrecciarsi di dialoghi, lezioni di vita e sentimenti), alla meraviglia per la naturalezza dei comportamenti dei cinque protagonisti, si sovrapponevano forti richiami all’infanzia, a un vissuto che mi si ripresentava in modo così inaspettato e piacevole, quasi magico. Per questo il mattino dopo ho subito avvertito il bisogno di chiedere lumi su questo film a chi ne sa più di me, ricavandone la certezza di poterlo rivedere presto, tradotto, o sottotitolato almeno, in italiano. Un mese dopo, a fine agosto, ecco un’altra notizia, poi naufragata nel mare dell’online: il documentario di Susanna Fanzun era stato premiato a una rassegna di «docufilm» a Verona (miglior film sulle Alpi e film più votato

dal pubblico) e veniva annunciato in arrivo nelle sale del nostro Cantone, ovviamente con adattamento in italiano e un titolo che purtroppo non ricordo, ma che ho subito biasimato perché non riusciva a restituire la forza di quello originale (Jon, Marchet e Braida ad Alp) e nemmeno quella più «professional» del titolo in tedesco (Kühe, Käse und 3 Kinder). Mentre scrivo non conosco altre informazioni e soprattutto non so se sarò ancora in tempo a suggerire a chi legge di non perdere la storia che Jon, Marchet e Braida presenteranno in Ticino, immaginando la bellezza di poterli vedere sul grande schermo. Se sono in ritardo e la programmazione è già finita, dovrete solo armarvi di un po’ di pazienza e attendere un’altra occasione: ci è stato anticipato che fra qualche mese, la Rsi intende programmare la storia dei tre fratelli engadinesi, nell’ambito della rassegna di film svizzeri «CineTell».

In&outlet di Aldo Cazzullo Nobili parole, effetti dirompenti In tre giorni, Papa Francesco ha conquistato la scena internazionale imprimendo una svolta sia alla questione dei migranti, sia all’annosa discussione sulla partecipazione dei divorziati risposati alla vita della Chiesa. Diciamo la verità: chi ha sostenuto che questo Papa non avrebbe cambiato nulla della dottrina cattolica, ha forse esposto un proprio intimo convincimento, ma ha sbagliato previsione. Viste le difficoltà incontrate nell’ammettere i divorziati risposati alla comunione, Bergoglio ha aggirato l’ostacolo, rendendo oggettivamente più facile non già l’annullamento ma la dichiarazione di nullità del matrimonio (il matrimonio riconosciuto nullo dalla Chiesa non è mai esistito, e quindi non si può parlare di annullamento, tanto meno di divorzio e di «risposati»: per la Chiesa il secondo matrimonio sarà anche il primo, essendo l’altro nullo e mai avvenuto). Un escamotage giudirico? Di sicuro, una rivoluzione. Non a caso erano trecento anni che non veniva toccato il diritto canonico, almeno non con questa nettezza. Ora sarà possibile – anche se non automatico – la dichiarazione secondo cui uno dei

coniugi era non credente (e in questo modo avrebbe indotto l’altro coniuge a considerare imperituro un vincolo destinato invece a interrompersi) per decretare nullo un matrimonio. Ovviamente, la riforma bergogliana può avere impatti molto diversi a seconda di come sarà realizzata. Giudice

Zig-Zag di Ovidio Biffi Un’estate che tutti vorremmo (ri)vivere No, non mi riferisco ai magnifici mesi archiviati. E nemmeno alla vostra estate, magari con vacanze da incorniciare, sicuramente da ricordare. Più prosaicamente il riferimento va a una serata davanti al televisore, ventilatore acceso, il solito «serial» ormai finito e poche «chances» di cavare dal teleschermo e dai palinsesti qualcosa di interessante. Ma quella sera, venerdì 31 luglio, il primo canale svizzero-tedesco della Ssr mi riservava una fortuna. Sullo schermo c’erano alcuni bambini che parlavano con la mamma e ho interrotto la ricerca quasi esclusivamente perché non riuscivo a capire che lingua stessero usando. Sapendo che ero sul canale Srf 1 e vedendo i sottotitoli in tedesco sulle prime malignamente ho pensato: toh, che bravi, finalmente sottotitolano qualche loro incomprensibile dialetto. Ma non era schwitzerdütsch. Mi sembrava anzi di captare anche qualche parola in italiano, sensazione

che è aumentata quando nel dialogo giungevano anche alcune parole del padre, lui chiaramente italofono. Alla fine ci sono arrivato: stavano parlando in romancio, la nostra quarta lingua conservata e tramandata in alcune regioni dei Grigioni. Senza saperlo stavo per scoprire un film documentario presentato qualche mese prima al festival di Soletta. Ora non vi tedierò con elucubrazioni e spiegazioni da cinefilo o da critico che non possiedo. Mi limiterò a fare la cronaca dei sentimenti che mi sono trovato nel cuore seguendo quel documentario, oltretutto senza il normale supporto linguistico, lasciando spesso ballonzolare la mente fra le bellissime immagini, i dialoghi che captavo o ricostruivo con i sottotitoli e il susseguirsi degli episodi del documentario. La storia che la regista Susanna Fanzun ha documentato è la cronaca dei tre mesi estivi trascorsi dai fratelli Braida

(8 anni, un po’ la protagonista principale: tiene un diario per i compagni della sua scuola in Engadina), Marchet (7) e Jon (3) su un remoto alpe di una valle grigionese, unitamente alla mamma Anna, engadinese, e al papà Riccardo, ticinese, entrambi ingegneri forestali. Sull’alpe Gün, a quasi 2000 metri, oltre ai tre figli, hanno portato le mucche dei contadini della valle Safien (la si imbocca a Bonaduz e si inerpica sul versante destro del ramo del Reno che scende da Disentis), unitamente ad altri animali che di volta in volta interagiscono nella storia. Si sono insediati in un maestoso palcoscenico che consentiva ogni giorno (e sovente anche di notte) cambiamenti di scenario e nuove cronache alpestri estrapolate dalla regista dalle vicissitudini quotidiane e dal duro lavoro che alpe e produzione casearia dettavano a tutti i protagonisti. Sorpresa dal rutilante susseguirsi degli episodi della fresca storia, rafforzata da


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Cultura e Spettacoli Jon Bon Jovi reloaded Il ritorno di una delle band che hanno fatto la storia degli Anni Ottanta-Novanta

Rock&Rap Yelawolf è una voce nuova – e bianca – che ha saputo convincere rocker e rapper

Furbizia e genio a Venezia Alla Mostra del cinema fra sezioni dettate dalla furbizia e film interessanti, spicca un’incredibile animazione

Ivo Soldini a Vira L’artista ticinese è l’indiscusso protagonista della Mostra internazionale di scultura

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Irrequieto Blaise

Biografie È uscito in italiano, per i tipi

di Dadò, il saggio di Christine Le Quellec Cottier sulla vita avventurosa dello scrittore Blaise Cendrars

Manuel Rossello Tutto inizia nel 1894. Blaise (che si chiama ancora Frédéric Sauser) ha sette anni e il padre, orologiaio squattrinato a La Chaux-de-Fonds, ha un’idea strabiliante: lanciarsi nel commercio della birra a Napoli. Come c’è da aspettarselo l’impresa fallisce, ma quei due anni sotto il Vesuvio lasciano il segno nell’animo del ragazzo. Di ritorno in Svizzera, la famiglia si stabilisce a Basilea, sempre ingegnandosi per sbarcare il lunario. Ma Frédéric è un adolescente ribelle e un giorno il padre dà un’altra girata al mappamondo e lo spedisce dalla sorella a San Pietroburgo, come commesso orologiaio. L’appuntamento con la storia è di quelli imperdibili: la grande città baltica è in subbuglio (è la «rivoluzione mancata» del 1905) e quando si stanca di mischiarsi ai moti di protesta, il ragazzo esplora l’immensa biblioteca pubblica facendo la prima fondamentale scoperta degli scrittori francesi e russi. Seguono alcuni anni di vagabondaggi in mezza Europa con Félicie Poznanska, segnati dai suoi primi tentativi poetici, grevemente simbolisti. Ma l’Europa sembra andargli stretta ed ecco che nell’autunno del 1911 Félicie gli propone di imbarcarsi per New York. Se accetta è perché intuisce di dover scappare soprattutto da sé stesso. Tuttavia il Nuovo Mondo non lo seduce e dopo sei mesi riattraversa l’Atlantico, questa volta da solo. In realtà l’America gli lascia in eredità due doni preziosi: un poema memorabile su New York, Les Pâques, e un nome, Blaise Cendrars, evocativo dell’energia vitale, la brace, e del suo contraltare mortifero, la cenere. L’attrazione verso Parigi, la ville lumière o la grande pute, secondo un epiteto in voga in quegli anni, giunge inesorabile di lì a poco. Inizia allora un vortice di frequentazioni stellari: Modigliani, Léger, Delaunay, Soutine, Chagall, con i quali divide l’atelier nella mitica Ruche a Montparnasse. Ma è di casa anche al Bateau-Lavoir di Montmartre, dove conosce Picasso, Jacob, Brancusi, Cocteau. Tutti notano in quel giovane il contrasto tra l’età e il viso già scolpito dai lunghi viaggi, ciò che tra l’altro gli permette di conversare in russo con Chagall, in italiano con Modigliani e in tedesco con l’anarchico Szittya. È l’humus da cui nasceranno i suoi testi più legati alla pittura. Tuttavia è una vita precaria e un giorno il desiderio di

farsi notare da Apollinaire lo induce a un gesto temerario: entra nella libreria Stock e con ostentazione s’infila in tasca L’Hérésiarque allo scopo di farsi arrestare. In carcere scrive al celebre poeta chiedendogli di essere ricevuto. Purtroppo per lui, proprio in quei giorni Apollinaire, accusato di essere il mandante del clamoroso furto della Gioconda, ha pensato bene di rendersi irreperibile. La raffica di mitra tedesco che nella Grande Guerra gli stacca un braccio lo segna profondamente: lascia moglie e figlio e si trascina da un bistrot all’altro. Inoltre non sa decidersi tra poesia e prosa. Come due amanti voluttuose e incostanti, esse sembrano ora attrarlo ora respingerlo. Tuttavia c’è una disillusione ancora più profonda: la constatazione di essere ai margini dei gruppi e dei movimenti che contano. Soupault lo ignora, Breton lo disprezza. Ma forse è meglio così, d’ora in poi farà da sé. Intanto è iniziata la lunga gestazione di Moravagine, libro indicativo del metodo di lavoro che diventerà il suo principio creativo, quello della scrittura rapsodica attraverso un continuo «smembramento genetico» dei testi precedenti. Passa freneticamente da un progetto all’altro, si lancia in iniziative editoriali, è sedotto dalla musica e dal cinema e tenta di farsi assumere come aiuto-regista da Abel Gance. Ma è tutto inutile, o quasi. È ancora troppo presto perché il suo eclettismo produca i frutti sperati. Con il loro rutilante scintillio gli «anni ruggenti» lo sfiorano appena, indifferenti al suo genio, non fosse per le sporadiche attestazioni di stima. A svelarne il talento sarà invece, nel 1921, l’Anthologie nègre. Con quel libro-mondo che per primo considera i racconti africani non più dal punto di vista etnologico, bensì da quello artistico, Cendrars viene di colpo proiettato al centro del dibattito culturale accanto a Picasso e Milhaud. È l’inizio di un’ascesa lenta ma inarrestabile. Quando finalmente esce Moravagine, il romanzo viene recensito da Larbaud e Barbusse, i due esponenti più illustri della nomenclatura letteraria d’allora. Ma è scritto nel suo destino che non possa fermarsi. Così, di ritorno da Roma, su invito del poeta Oswaldo De Andrade s’imbarca per il Brasile con la giovane attrice Raymone Duchâteau. Quando si incontrano De Andrade ha già al suo attivo tredici arresti, otto matrimoni e una lunghissima fedina penale. Ed è uno straordinario affabulatore. Insomma ha

Blaise Cendrars (1887-1961) in un’immagine non datata. (Keystone)

tutte le qualità per andargli a genio. Tra gli espatriati incrocia pure Marinetti. I due si annusano, tuttavia sono troppo diversi per piacersi. Intanto Parigi è diventata la sua base editoriale e Cendrars, sempre al verde e notoriamente inaffidabile con le consegne dei manoscritti, inizia con gli editori un estenuante gioco delle tre carte per ottenere anticipi: a Grasset promette Feuilles de route, a René Hilsum manda alcune pagine del Journal d’une brute, all’«Illustration française» giura di aver spedito per nave un reportage sul carnevale di Rio. E a tutti propone, a ognuno in esclusiva, le sue ultime poesie. Tra i frutti brasiliani risaltano le biografie romanzate L’Or e Rhum, i cui protagonisti, visionari colpiti da un destino avverso, sono in qualche modo dei suoi alter ego. L’Or in particolare ha un successo clamoroso, moltiplicato dalla meravigliosa coincidenza di precedere di appena due mesi la Febbre dell’oro di Chaplin. È la consacrazione.

La critica lo esalta, Dos Passos gli dedica un saggio. Finalmente può respirare e quando torna in Europa un’ammiratrice facoltosa lo ospita nella sua villa di Biarritz. Ma la saudade si fa sentire e sta già programmando un secondo viaggio in Brasile quando scoppia la crisi del ’29. Negli anni successivi le collaborazioni ai giornali, alla radio e i testi dedicati alla pittura s’infittiscono e affiancano la sua produzione letteraria, al punto che può concedersi il lusso di rifiutare molte offerte. Tra le nuove frequentazioni spicca l’amicizia fraterna con Henry Miller, un altro grande «irregolare» del Novecento. Sono forse i suoi anni migliori, la mente è lucida, l’immaginazione scattante, il fisico regge bene malgrado gli infiniti strapazzi e la menomazione. Che anzi non gli impedisce di sfrecciare per le strade del Périgord a bordo di un’Alfa Romeo, manovrando il cambio con il moncherino (cosa che terrorizzerà Dos Passos quando sarà suo ospite).

Al di là del lavoro incessante è un periodo di bilanci. Lo scrittore è incerto, vuole chiarire a sé stesso qual è il punto focale della sua opera. Ma per trovarlo non deve cercare lontano, basta mettersi di fronte a uno specchio. In realtà il centro della sua opera è lui stesso. E sarà sempre più così, fino agli ultimi anni. Certo, da giovane ha avuto una fase surrealista e comunque ha costantemente mischiato le carte. Ma di colpo si accorge di aver sempre parlato di sé, sia pure attraverso un prisma deformante, violando l’ordine cronologico, «sporcando» la letteratura con l’arte, il cinema, la fotografia, la radio, il reportage. Raccontando il mondo per raccontare Cendrars. Bibliografia

Christine Le Quellec Cottier, Blaise Cendrars. Un uomo in partenza. Locarno, Armando Dadò Editore, 2015.


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Cultura e Spettacoli

Viaggio accanto alla morte e attraverso la memoria Narrativa Effigie pubblica Come cani, il nuovo romanzo dello scrittore e giornalista Pierre Lepori

Daniele Bernardi Dopo la pubblicazione della sua nuova e ricca raccolta di poesie, Strade bianche (Interlinea, 2013), lo scrittore, giornalista e saggista Pierre Lepori prosegue il suo percorso di narratore con la pubblicazione di Come cani, romanzo edito dalla casa editrice Effigie nella collana «stellefilanti» (contemporaneamente, il libro è uscito anche in versione francese col titolo Comme un chien, presso le Édition d’en bas di Losanna).

Lepori sarà presente al festival Babel, che compie dieci anni e festeggia la letteratura Svizzera Autore raffinato, Lepori, anche in questa sua terza prova narrativa (ricordiamo i suoi due precedenti romanzi: Grisù e Sessualità, entrambi pubblicati da Casagrande), dimostra di essere un prosatore debitore dell’autentico cuore pulsante della lingua: la poesia. Infatti, la sua scrittura, così precisa, accurata, priva di cedimenti e molto equilibrata, è quella di chi, a lungo, ha lavorato corpo a corpo con quell’universo intimo che è il proprio linguaggio segreto.

Quest’ultimo romanzo (che, non a caso, è incentrato sulla figura di un fotografo, cioè su chi lavora, come il poeta, con la purezza dell’immagine), non è uno di quei libri la cui trama imbriglia il lettore trascinandolo in una corsa folle verso risvolti ignoti. La peculiarità di Lepori è un’altra: come per alcuni autori scandinavi (penso, ad esempio, al recente caso di Stephan Enter e al suo romanzo La presa), qui è una certa consistenza della voce a catturare il lettore e ad avvolgerlo in una specie di nebbia. Il titolo dell’opera, evidentemente, ci riporta a Franz Kafka – a quelle ultime, lancinanti parole che K., prima di morire, dice alla fine de Il processo. La vicenda si svolge in una valle delle Prealpi svizzere, dove Thomas, il protagonista, giunge al capezzale di Caterina, la sorella malata che non vede da tempo. Sia il titolo che la circostanza ci conducono dunque, inequivocabilmente, nei pressi della morte. Per tornare a quanto già accennato, non è un caso che la figura di Caterina, intrisa di quel senso di rovina che è la fine, sia depositaria della parola poetica (la donna, mentre consuma l’ultima parte della vita, si dedica alla traduzione delle poesie di Emily Dickinson). Se è vero, come ebbe a dire Jacques Lacan, riprendendo Rainer Maria Rilke, che «la bellezza vela la morte» e che poesia e bellezza sono intrinsecamente corre-

Immagine di copertina del libro Come cani di Pierre Lepori.

late, allora l’accostamento tra il personaggio e i versi è più che pertinente. Durante il soggiorno, Thomas, che è intento a scrivere un saggio sulla propria opera, ripercorre le tappe della sua infanzia e della giovinezza. Man mano che procediamo nella lettura, mentre attraversiamo i ricordi dei quartieri di Napoli (città in cui il fotografo ha trascorso parte dei suoi primi anni), di Milano, del Ticino, di Ginevra, e ci

imbattiamo in quelli che sono stati gli incontri determinanti della sua vita (la madre folle, il fratello Giorgio, Alice, Cesare e, soprattutto, l’ombra del misterioso Alex), una strana inquietudine, un’insofferenza mal sopita, si fa sempre più tangibile – e con essa i ricordi cupi della guerra dei Balcani. Mentre il viaggio accanto alla morte e attraverso la memoria avanza pagina dopo pagina, ben presto una

curiosa figura fa la sua apparizione: si tratta di Mork, un ragazzo autistico, o forse psicotico, «confinato, non senza qualche crudeltà, nel ruolo dello “scemo del villaggio”», che condurrà il protagonista verso l’incontro con la parte meno accessibile di sé. Ad accompagnare Thomas in questa intima odissea, troviamo le figure di Marc, un medico di campagna, e quella di Elena, una giovane insegnante di disegno. Pierre Lepori è scrittore colto, e in questo nuovo libro non mancano i rimandi ad altre opere (come alle già citate poesie della Dickinson) e ad artisti di ogni genere ed epoca: da Richard Avedon e Paul Strand a Sergej V. Rachmaninov; dal Winterreise di Schubert a Space Oddity di David Bowie. Come cani è un romanzo delicato, breve (sole cento pagine), che non mancherà di commuovere e catturare quelle sensibilità che cercano ancora, tra le righe, la cura e la profondità che tanto sembrano essere sempre più rare nel mondo che ci circonda. Dove e quando

Pierre Lepori incontrerà i suoi lettori domenica 20 settembre (10.30-12.00) al Teatro Sociale di Bellinzona nell’ambito di Babel. Per maggiori informazioni sul Festival di letteratura e traduzione Babel (17-20 settembre 2015): www.babelfestival.com Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Bon Jovi, sapore di revival Musica Ancora sulla breccia: i Bon Jovi, alfieri per eccellenza del «radio rock» americano

anni ’80, tornano sulle scene con un album «per amatori» Benedicta Froelich Superati i trent’anni di carriera, non sono molti i nomi del pop-rock più mainstream e radiofonico a essere in grado di rimanere sulla breccia del successo commerciale; soprattutto nel caso in cui, come accaduto alla band dei Bon Jovi, gli artisti in questione abbiano raggiunto il picco della fama in quei tanto energici ma effimeri anni 80, che hanno visto il passaggio di innumerevoli «meteore». Forse anche per questo, la reputazione artistica della band capitanata da John Bongiovi, ragazzone italoamericano di belle speranze, è stata forse un po’ limitata proprio dalla sua immagine di «fusto» dall’aria selvaggia, che grande successo riscuoteva tra le teenagers dei magici eighties, per le quali era assurto a uno status pressoché mitico. Questo ha fatto sì che la critica specializzata tendesse a guardare il fenomeno Bon Jovi un po’ dall’alto in basso, nonostante il grande successo commerciale che ne caratterizzò la carriera fin dall’inizio – qualcosa di cui lo stesso John dev’essere consapevole, dal momento che la seconda metà della sua parabola artistica è stata contrassegnata da uno stile e un’immagine pubblica decisamente più maturi e discreti; tuttavia, in termini di popolarità, la band ha fortemente avvertito il contraccolpo della fine del proprio periodo d’oro, pur continuando a produrre dischi a intervalli regolari. Oggi, tuttavia, nonostante la recente perdita di un membro chiave

come il chitarrista Richie Sambora, i Bon Jovi compiono la coraggiosa scelta di pubblicare un album da loro stessi definito «per fans», composto interamente da brani scartati dalle sessioni di registrazione per i lavori precedenti. Si sa che questo tipo di «repêchage» non costituisce solitamente la miglior premessa per la qualità intrinseca di un disco; eppure, questo nuovo Burning Bridges si dimostra un lavoro di carattere e dalla forte personalità, seppur, come logico, non riesca a evitare di offrire, all’interno della tracklist, qualche brano dall’evidente natura di semplice riempitivo. Soprattutto, la cosa interessante di quest’album è che ci offre un’immagine «diversa» dei Bon Jovi, dimostrandosi come una prova di maturità, finalmente slegata e libera da qualsiasi cliché rock anni 80: se ne ha la dimostrazione già dalla prima traccia, la riuscita A Teardrop to the Sea, dove, pur ritrovando la vocalità un po’ gigiona del buon John, siamo ammaliati da una struttura melodica convincente, impreziosita da assoli rabbiosi di chitarra, proprio come ai vecchi tempi. Ugualmente efficaci, ma ben più risaputi e scontati, suonano il piglio quasi hard rock di We Don’t Run – classica cavalcata epica che riprende lo stile degli anni d’oro della band – e il ritmo sostenuto del pur gradevole I’m Your Man, la cui struttura ricorda un po’ troppo da vicino passati exploit del gruppo. Lo stesso, purtroppo, vale per un brano come Saturday Night

Jon ci riprova. (Wikimedia)

Gave Me Sunday Morning, primo singolo estratto dal CD, in cui ritroviamo tutte le tematiche da sempre care ai Bon Jovi, ovvero l’amore nella sua accezione più sbarazzina e giovanile e, tutto sommato, anche un po’ enfatica. Tuttavia, c’è da dire che, pur non brillando affatto per originalità, questi pezzi sono davvero emblematici del più classico stile della band, e come tali non potranno deludere lo zoccolo duro dei fan della formazione: ulteriore prova ne è il piacevole We All Fall Down, classico brano incoraggiante e positivo in puro stile Bon Jovi. Soprattutto, però, la band si dimostra ancora in grado di «centrare l’obiettivo» con alcuni pezzi davvero riusciti – nello specifico, soprattutto

con le classiche ballatone romantiche che, al tempo, facevano tanto sospirare le fans: ecco quindi una traccia soffusa e delicata come Blind Love, che, pur non brillando per originalità, riesce perfettamente nel suo intento, coinvolgendo emotivamente l’ascoltatore grazie anche a un testo arguto e toccante; e, soprattutto, l’eccellente Fingerprints, le cui armonie e liriche suadenti catturano da subito l’attenzione. La medesima cosa si può dire dell’intrigante Who Would You Die For, lento caratterizzato da una melodia carica di tensione – e, proprio per questo, riuscita. Su un piano più scanzonato, non deludono nemmeno il gradevole dinamismo di Life is Beautiful e il sapore country-blues della bizzarra «title track» Burning Bridges, che ci mostra un lato giocoso e autoironico dei Bon Jovi al quale non eravamo abituati. Così, sebbene il limite di questo disco piuttosto scarno – dieci tracce giuste – risieda senz’altro nel fatto di rivelare inevitabilmente all’ascoltatore la sua vera natura (ovvero quella di una raccolta di scampoli musicali), allo stesso tempo Burning Bridges offre alcune sorprese tutt’altro che scontate, e alcuni brani di livello davvero interessante; il che non solo fa ben sperare per il prossimo album di inediti (già annunciato per il 2016), ma dà anche l’impressione che, per la gioia degli ancora numerosi fan, i Bon Jovi stiano vivendo un meritato momento di rinascita – e, perché no, di revival.

Agenda dal 14 al 20 settembre 2015 Eventi sostenuti dalla Cooperativa Migros Ticino Artificio. Una vetrina per il design ticinese Lugano, tra lo Spazio 1929 e il LAC Fino al 29 settembre 2015 Una serie di designer di origini ticinesi o residenti in Canton Ticino espone le proprie creazioni in negozi, saloni da parrucchieri e oreficerie, accompagnando così lo spettatore lungo un percorso che lo porterà al cuore culturale della città di Lugano, ossia il LAC. Losone è... parole e suoni Losone, Corte della Casa Patriziale 18 e 19 settembre 2015 Losone sarà animato per due giorni da una serie di appuntamenti aperti alla popolazione con lo scopo di incrementare il senso di comunità. Oltre a una mostra fotografica e a diversi momenti gastronomici, andranno in scena uno spettacolo di Santuzza Oberholzer e un concerto dei Musicisti artigiani Per saperne di più su programmi, attività e concorsi del Percento culturale Migros consultate anche percento-culturale.ch e Facebook

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Cultura e Spettacoli

L’animazione batte tutti Mostra del cinema Fra i film più interessanti presentati a Venezia c’è stato Anomalisa, animazione

di Charlie Kaufman; molto deludenti i registi italiani Piero Zanotto Saltiamo le premiazioni, il Leone d’oro e i suoi «figliocci» come contorno. Evitiamo le consuete polemiche su scelte (questa volta capitanate dal messicano Alfonso Cuarón che due anni fa portò sullo schermo del Lido veneziano, fuori concorso con ruolo inaugurale, Gravity, poi vincitore di sette Oscar) che inesorabilmente si accendono allo spegnersi delle luci non soltanto di questo festival. Ignoriamole per tuffarci con tutta libertà nel cuore della 72ma Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, che continua a sperimentare le stesse formule intenzionalmente innovative da quando è nata nel lontanissimo 1932. La domanda retorica d’apertura è se sia stata una edizione, non solo cinematograficamente, valida. Se cioè il suo direttore (in scadenza) Alberto Barbera, sostenuto dal presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta, anch’egli alla fine del suo mandato, ha mantenuto la promessa pronunciata prima del taglio del nastro: «Vi farò stupire». Diciamo subito che in ciò Barbera ha avuto netta fortunata collaborazione da una produzione mondiale (globalizzata?) sempre più rivolta con disagio e asprezza e tanta miserevole attenzione documentaria al disagio umano dei sentimenti e alle contraddizioni sociali scatenanti atroce violenza attraverso guerre e fanatismi estremi. Da cui sono emerse con senso liberatorio chicche di dolcissima lievità. Se ne cita una, la più bella a giudizio personale. Inoltre

realizzata dal suo ben collaudato autore americano Charlie Kaufman con la tecnica della stop animation e interpreti nati dalla computer graphic. Titolo: Anomalisa (dalle pagine letterarie di Francis Fregoli). Trama intimista, una sorta di «breve incontro» che rimanda al lontano indimenticabile film così chiamato del britannico David Lean (prima che si dedicasse ai kolossal Lawrence d’Arabia e Dottor Zivago). L’incontro casuale a Cincinnati di una notte in un albergo di due «solitudini». Sesso, ovviamente, anche esplicito visivamente (e inedito in un film «animato»), carico però di intensa umanità. Migliore (anomalo) film anche della nutrita presenza in concorso e fuori del cinema statunitense? Eppure si è trattato di partecipazioni di robustissimo respiro. Possiamo citare Spotlight di Thomas McCarthy, definito il Watergate cattolico per l’affronto della pedofilia investigata da giornalisti del «Boston Globe» che portò a scoperchiare la copertura ufficiale degli abusi di taluni prelati su bimbi di povera condizione sociale. Riconosciuto come «ricostruzione onesta» da Radio Vaticana. E ancora Beasts of No Nations firmato da Cary Joji Fukunaga che con brutalità in stile Isis racconta i rapimenti in Ghana di bambini e la loro iniziazione ad uccidere. Evitando le secche di inutili scelte interpretative buoniste. Ancora: Black Mass di Scott Cooper, che sposta lo sguardo sulla Boston degli anni Settanta per raccontare la cecità dell’FBI nel cercare alleanza con il gangster Jimmy «Withey» Bulger (inter-

Charlie Kaufman (sin.) e Duke Johnson, autori di Anomalisa a Venezia. (Keystone)

pretato da un magistrale Johnny Depp, osannato fino al delirio al Lido, quasi irriconoscibile nel fisico appesantito) per farsi aiutare a intrappolare la ramificata banda di italiani dedita allo strozzinaggio e al racket. Accuratissima l’ambientazione di realistica visionarietà. Hanno resistito bene, talvolta ottimamente, al confronto con le presenze arrivate da oltre Oceano, più opere di diversa appartenenza geografica (complessivamente rappresentati 38 paesi). Tra queste, Francofonia del russo Aleksandr Sokurov (Leone d’oro a Venezia con Faust nel 2011) che evocando l’alleanza tra un alto ufficiale tedesco di appartenenza nobile e il direttore del Louvre nell’intento di mettere al sicuro l’arte vuole affermare che più che la politica affratella i popoli d’Europa una sensibilità

concreta per la conservazione dell’opera creata nei secoli dagli artisti. Messaggio che tocca, straziandolo, il cuore, davanti alla odierna ostentata distruzione di templi millenari da parte del furore iconoclasta dell’Isis. Hanno resistito meno, anche con molta delusione, proprio i film italiani. Salvo forse il solo fuori concorso (sezione Orizzonti) Italian Gangsters di Renato De Maria, intelligente «assembramento» evocativo anche con brani documentari degli eventi malavitosi più spettacolari con i loro protagonisti collezionati nel dopoguerra dallo Stivale. A cominciare da L’attesa di Piero Messina al suo esordio, protagonista Juliette Binoche. Si lascia suggestionare dagli estetismi del cinema di Sorrentino del quale è stato assistente, ispirandosi al

Pirandello siciliano di La vita che ti diedi. Poi, A Bigger Splash di Luca Guadagnino, riottoso remake del film La piscina (1969, con Alain Delon) nel quale affastella farsa e visioni improvvise e gratuite dell’odierna ondata migratoria. Terzo e quarto: del maestro Marco Bellocchio Sangue del mio sangue, pamphlet anti chiesa cattolica tra monache murate in monastero e vampiri umani sopravvissuti fino ai giorni nostri in antico chiostro, di esangue risultato, e Per amor vostro di Giuseppe Gaudino, ritratto di una problematica figura femminile nella odierna Napoli, affidata a una sopravvalutata Valeria Golino. Facile il successo dei film restaurati raccolti nella sezione «Classici» che ormai sostituisce quelle ch’erano le storiche retrospettive. Quattro d’essi fatti scegliere dal regista francese Bertrand Tavernier quest’anno Leone d’oro alla carriera, autore d’un dolente straziato film antibellicista, sulle conseguenze della guerra (la prima, mondiale) La vie et rien d’autre sommerso a Venezia da commossi applausi, in qualche modo omaggio allo scomparso protagonista, il grande Philippe Noiret. Altri omaggi, all’Orson Welles shakespeariano di Othello e The Merchant of Venise inedito incompleto, e a Mario Monicelli. Furbata di successo, per concludere, il «Cinema nel Giardino»: occasione di incontro con artisti off, film, colloqui insperati, e del previsto trionfo del film di Fabio Masi Il Decalogo di Vasco, dedicato a Vasco Rossi. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Due avvenimenti agli antipodi Cinemando Recuperare il silenzio del cinema muto o la frenesia di un grande film d’azione?

Fabio Fumagalli * * * Blancanieves, di Pablo Berger, con Macarena García, Maribel Verdú, Angela Molina, Daniel Gimenez Cacho, Imma Cuesta (Spagna 2013) No, malgrado sia un omaggio all’espressività irripetibile del cinema muto, Blancanieves non è The Artist, il film superoscarizzato di Michel Haznavicius, brillante e gratificato da un notevole successo popolare, ma anche un po’ furbo esercizio di stile. Certo, quest’opera diretta da uno spagnolo cinquantenne, autore di un unico, invisibile e godibilissimo Torremolinos è il risultato della medesima, quasi sconsiderata scommessa: girare, in epoca di alta definizione e smisurati decibel, un film in bianco e nero, del tutto privo della parola, intervenendo solo sulle immagini, con e l’ausilio di una splendida colonna sonora immersa nel flamenco di Alfonso di Villalonga. Una sorta di rifacimento della favola dei fratelli Grimm, ma ambientata nella Spagna degli Anni Venti, quella delle corride quale unica fonte di evasione dalle oppressioni del potere e dai condizionamenti economici. Una Biancaneve che non si priva di nessuna stampella melodrammatica: dal papà, torero celeberrimo infortunato a vita, alla mamma che muore portandola alla luce, alla tenera nonna che introduce Carmencita ai segreti del flamenco, passando per la matrigna spaventosa, capace delle peggiori atrocità. Infine non manca il principe

azzurro, bello anche se nano; membro di una troupe girovaga di saltimbanchi che, oltre al destino di Carmencita, modificherà il tono del film. Lo spettatore si aggrappa allora a una vicenda che lo accompagna da sempre, e che vorrebbe consolatoria. Ma è l’occhio del cineasta, l’intervento incisivo del suo linguaggio che finisce per incantarlo e destabilizzarlo. Blancanieves vive di un gioco di rinvii a dir poco sorprendente, ma pure spregiudicato: la sua magnifica fotografia, densa e contrastata, dai chiaroscuri a volta lirici o drammatici, i continui interventi degli stacchi registici, i tagli delle inquadrature, un montaggio liberissimo, gli squarci espressionistici, la forza delle scenografie e dei costumi, persino il rimmel pesante che sottolinea gli sguardi affascinanti delle protagoniste, ci riportano alle atmosfere indimenticabili dei Murnau, Griffith, Dreyer, von Stroheim. Ma egualmente, in una sorta di surreale calderone stilistico referenziale (che avrebbe potuto risultare soltanto pasticciato) ad altre suggestioni: come l’horror di Tod Browning (il cui Freaks del ’32 viene citato nella splendida sequenza finale) e di altri proseliti, o la leggiadra, graffiante ironia di Lubitsch. Immerso assieme alle sue attrici (della scuola dei Buñuel, Almodovar, Cuaron…) nell’universo barocco e grottesco della tradizione spagnola, l’intervento espressivo di Pablo Berger privilegia allora l’emozione, avendo la meglio sull’agguato teso dall’esercizio

Macarena García, protagonista di Blancanieves.

di stile banalmente imitativo. Accosta il buonismo magico della favola (c’è Biancaneve, ma anche La bella addormentata o Cenerentola) al gotico della terribile matrigna, non disdegna un accenno premonitore al femminismo. E, nella sua Andalusia mai folcloristica ma referenzialmente moderna, riesce uno dei film più originali degli ultimi anni. * * * Mad Max Fury Road, di George Miller, con Tom Hardy, Charlize Theron, Nicholas Hault (Stati Uniti- Australia) (ottenibile in DVD)

Presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Cannes, uscito di sfuggita nelle sale d’inizio estate e già ottenibile in DVD, a 35 anni dall’uscita del primo Mad Max con Mel Gibson questa quarta edizione della saga continua a suscitare entusiasmi e discussioni. Si tratta, dopo tutto, della rivisitazione di uno dei grandi miti cinematografici del dopoguerra, associata all’incontro con il settantenne regista australiano, maestro del blockbuster fantastico. Straordinario o impossibile, Mad Max Fury Road è il risultato, comunque

grandioso, di quell’equazione. Poiché George Miller non ne fa un’operazione nostalgica, ma un remake in epoca digitale del mitico guerriero punk proiettato in un’interrotta, furibonda fuga in avanti. E a circondare i protagonisti, più che i marchingegni futuristici, sono veicoli veri e sfondi autentici (della Namibia). Il film è barbaro e violento, ma non più fallocratico o addirittura femminista (è l’imperatrice Furiosa interpretata da Charlize Theron ad avere la meglio) e reinventa i codici del film d’azione, riciclando gli elementi della trilogia primitiva a favore delle nuove generazioni. Non è il caso di scoprire una «storia», o dei profili psicologici, filosofici, o politici: il nuovo Mad Max si traduce in un unico inseguimento, in una traiettoria cinetica fatta non tanto d’azione (alla James Bond o Indiana Jones) ma di un puro movimento volto all’astrazione. Tutto concorre a questa fisicità esaltante, o esasperante: la frenesia dei tagli d’immagine nell’abituale deserto apocalittico, le accelerazioni del montaggio, l’esasperazione cromatica e quella sonora, l’alternanza fra i primissimi piani e l’orizzonte infinito ambiscono a trasformare il tutto in energia pura. Per un attimo sembra aleggiare l’eco delle memorie cinefile, l’inseguimento surreale di Duel o il lirismo malinconico di Lawrence of Arabia. Solo un attimo: subito spazzato via dall’euforia per il trip allucinato. O l’emozione sempre più relativa per una meccanica compiaciuta. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Quando il rock incontrò il rap Musica Yelawolf, a prima vista una classica rockstar, deve gran parte del proprio successo

all’incontro con esponenti di punta del rap, Eminem in primis

Meridiani e paralleli

Una vita ben raccontata

Big Bang Family

Concorsi

«Fare un disco è come fare stage diving; devi avere rispetto per chi ti ascolta, rappresentarli ed emozionarli altrimenti quando ti butti tra loro non ti prenderanno». A descrivere con questa metafora la propria visione del rapporto musica-pubblico è una delle «nuove» stelle del rap statunitense Yelawolf, uno che dal palco si è buttato parecchie volte, non senza rischi e ripercussioni, prendendo dal rock, oltre al tradizionale «tuffo sulla folla», gran parte della sua energia e del suo background. Nato a Gadsden in Alabama Michael Wayne Atha, in arte Yelawolf, rappresenta l’essenza del vagabondo con la valigia sempre pronta. Costretto spesso a cambiare città, scuola e compagnie per svariati motivi, Michael ricorda un contemporaneo Jack Kerouac sulle infinite e distese strade americane. Le liti in famiglia, le droghe, l’assenza del padre e infine una dedizione all’alcol non semplificano il percorso di Yela, un giovanotto con la passione per lo skateboard e la speranza di riuscire a trasformare questa dedizione in lavoro. A causa delle continue cadute e dei periodi di convalescenza, Michael, decide di «appendere la tavola» e dedicarsi alla musica. Travolto dapprima dal rock classico (Lynard Skynard, Pink Floyd, The Allman Brothers) e poi dalla cultura hip-hop pubblica il suo album d’esordio Creek Water nel 2005. Negli anni Yela cerca di evolvere musicalmente; in seguito alle pressioni di Rick Rubin che lo definisce «uno tra i tanti», decide di lavorare sulla propria voce e crearsi uno «stile proprio» in grado di giustificare una contaminazione rock massiccia e che ambisca al costante dialogo con le persone (caratteristica più riconducibile al rap). Gli sforzi di Michael gli permettono di stringere «mani importanti» incidendo collaborazioni significative e facendo parlare di sé in tutta la scena rap, dalle «vere teste» con featuring del calibro di Raekwon (membro dello storico collettivo Wu-Tang Clan) o Royce Da 5’9”, alla «massa meno avvezza» grazie agli idoli del momento. Nel 2011 Yelawolf che per i nativi americani significa fame, sopravvivenza, potere e fuoco, firma un contratto per Shady Records, casa discografica del più noto rapper di Detroit ovvero Eminem. Entrato ufficialmente a far

091/821 71 62 Orario per le telefonate: dalle 11.00 alle 12.00

La prova narrativa di Ianniello

Giovanni Orelli

Michael Wayne Atha, in arte Yelawolf nonostante le apparenze deve molto al rap. (Wikimedia)

parte di una delle scuderie più invidiate del mondo Michael continua il costante lavoro di ricerca stilistica e dal 2012 si concentra sulla preparazione di Love Story. Love Story vede la luce nell’aprile 2015 e sin da subito smuove pareri principalmente positivi dalla critica, per Yela è il secondo lavoro dopo aver firmato con Shady Records, ma contrariamente a quanto accaduto in passato, questo lavoro sembra avere un fascino davvero unico. «Un abbraccio alle sue origini», «un intenso intercalare di emozioni», «un album vicino al pubblico», questi alcuni dei pareri più positivi. Tra le perplessità vi è però anche una curiosa critica espressa da Chris Mench

(critico del «Complex Magazine») che lo ha definito «un grande vero progetto mancato» a causa di almeno quattro canzoni di troppo e di una fine a sua detta scialba. Sicuramente l’aiuto e il featuring di Eminem (presente nella traccia intitolata Best Friend) e il sostegno del suo team hanno contribuito a posizionare Love Story sotto i giusti riflettori, tuttavia bisogna riconoscere il miglioramento di Yela e la fantastica musicalità dell’album. Un prodotto davvero singolare che abbiamo avuto il piacere di sentire live in occasione di uno degli appuntamenti hip-hop più suggestivi a livello mondiale ovvero l’Hip-Hop Kemp di Praga.

All’apparenza Yela è in tutto e per tutto una rockstar, ma ad accompagnarlo (in questa formazione ridotta a tre elementi), oltre a un chitarrista vi era anche Dj Klever, capace di sintetizzare tutti gli strumenti e i suoni, rendendo al meglio la complessità di Love Story, brano fra le altre cose due volte vincitore del titolo DMC americano. Un’atmosfera davvero elettrizzante creata soprattutto dal feeling e dalle contaminazioni musicali, dalla chitarra di Till It’s Gone alle fiamme delle liriche in doppio tempo. Una carica energica che ha affascinato e travolto sia il pubblico sia gli elementi presenti sul palco, come l’asta del microfono di Yela, frantumata per il gran finale.

Festival delle marionette Rassegna teatrale Teatro Foce, Lugano Mercol. 23 settembre, ore 15.00

Festival delle marionette Rassegna teatrale Teatro Foce, Lugano Sabato 26 settembre, ore 15.00

Festival delle marionette Rassegna teatrale Teatro Foce, Lugano Domenica 27 settembre ore 11.00

Il Re e il Bruco

I vestiti nuovi dell’imperatore

Il carnevale degli animali

La Bottega teatrale Dai 3 anni

Teatro Glug Dai 4 anni

Musicateatro e quintetto Andersen Per tutti, dai 3 anni ore 16.00 Personaggi misteriosi Roberto White Per tutti, dai 5 anni

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Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.

Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare Mercoledì 16 settembre al numero sulla sinistra nell’orario indicato. Buona fortuna!

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino

Già la prima pagina del libro di Enrico Ianniello (Caserta, 1970, attore, regista e traduttore. Ora – dice una noticina biografica – al suo primo romanzo – : La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin, Narratori Feltrinelli, gennaio 2015, pp. 265, 16 euro), già la prima pagina invita un lettore «nuovo» come il sottoscritto a non prendere alla lettera l’aggettivo che si legge nel titolo, vita prodigiosa: è una vita comune, bene raccontata. Una sorta di diario, autobiografia: un libro che aiuta il lettore a divenire (non di colpo, non cioè a «diventare») un po’ più maturo. Sifflotin, il nome del protagonista che parla di sé, si chiama così perché i suoi normali pensieri sono «fischiati»: di lì la giustificazione del «prodigiosa». «Tornai a casa con la testa piena di pensieri fischiati». (p. 45). Ci sono vari modi di comunicare. Con le mani, fischiando: e chi più ne ha più ne metta. Ianniello è scaltro nel far vivere questa particolarità di Sifflotin. Anche se alla fine esagera. Prendo solo, e senza insistere, il modo di usare il verbo. Siccome parlare fischiando non è esattamente uguale a parlare muovendo le mani, Sifflotin «deforma», per così dire, il verbo italiano nella sua «normale» coniugazione. Esempi, scelti un po’ tanto a caso: tenetti (147) e non tenni (nella stessa pagina, trasettemo è a me incomprensibile), più del nome alberaggine (e non parlo, per non allontanarmi da pagine vicine, 148-9, delle deformazioni dal francese o da nomi come Levistros – da Levi Strauss), «le vist ros»: Joyce, per dirne uno, giocava ben diversamente nel «deformare» parole. Venette, si assettò; «venette in cameretta mia»: no, si dice venne, e si lascino ai pargoli di seconda-terza elementare questi allora utili giochini, per addestrarsi nella coniugazione. E potrei continuare con questo disco (p. 170: «e mettette il disco») ma vada invece il lettore a leggere il buono che c’è. Per es. nella contigua p. 171, per un ricordo dei genitori, con l’insistito erano, erano. «Erano due macchie nel verde prato, erano un pezzo di tutto il mondo, erano i protagonisti di quella biglia eccezionale che volevo tenere nella tasca e rigirare tra le dita quando mi sentivo solo, erano mamma e papà, quelli con cui potevo parlare senza parole, ma pure senza fischi, ed era la prima volta che li guardavo così e per la prima volta mi domandai: ma io, perché fischiavo?». Qui sì che funziona. Al punto che il titolo del libro poteva anche essere (ma con il rischio del troppo misterioso) Senza fischi. Sul giusto (giusto o bello o utile o…) della «vita» di Ianniello-Sifflotin, si potrebbe continuare (lo farà, me lo auguro, il lettore). La mercè, per esempio, delle massime (da vedere nel contesto): «Voglio continuare a pensare alle persone come persone, non come proprietari» (p. 63). Sono cose che ogni tanto bisogna ripetere, e qui Ianniello le ripete perché deve ripeterle. Salto un mucchio di cose. Per es. la 62 per la citazione breve di poco fa; o per la 65 (ma qui torno malvolontieri al non «gradevole»): che significa, da che mondo viene? mosciaria? E ditecelo, in una riga o due. O mandate all’inferno la parola già mezzo morta. Annuncio pubblicitario


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 settembre 2015 ¶ N. 38

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Cultura e Spettacoli

Arte a cielo aperto Mostre Le opere di Ivo Soldini protagoniste della Mostra internazionale di scultura del Gambarogno

Alessia Brughera Le vediamo stagliarsi sulla passeggiata lungo il lago, cadenzando il dolce movimento delle acque; ergersi tutt’attorno alla chiesa, gareggiando con la sua mole; spuntare qua e là agli incroci degli strecc, popolando vicoli, corti e porticati; innalzarsi sul lembo di spiaggia, sfidando la brezza lacustre, e da lì profilarsi sul muretto del porticciolo come impavidi guardiani attenti a scrutare l’orizzonte: sono le opere del ticinese Ivo Soldini, disseminate per ogni dove nel nucleo del paese di Vira in occasione della Mostra internazionale di scultura all’aperto del Gambarogno.

La Mostra Internazionale di scultura nacque nel 1968, per volontà di Edgardo Ratti Da molti anni il piccolo borgo sul Verbano è teatro di questa manifestazione, la cui storia ebbe inizio nel 1968, quando l’artista Edgardo Ratti vi organizzò per la prima volta un’esposizione di sculture con l’idea di dar vita a un evento di grande respiro che potesse richiamare figure di talento. E così fu. Tanto che già in quella rassegna iniziale furono presenti tre giovani scultori – allora agli esordi delle loro carriere – che poi avrebbero raggiunto ampia fama: Bernhard Luginbühl, Albert Rouiller e

Kurt Laurenz Metzler. In quasi un cinquantennio si sono succedute diverse edizioni attorno a cui hanno gravitato numerosi nomi importanti, non solo di artisti ma anche di curatori. Per l’evento del 2003, ad esempio, fu il noto critico svizzero Harald Szeemann a selezionare i partecipanti provenienti da tutto il mondo. Non stupisce, allora, che quest’anno sia lo scultore Ivo Soldini ad avere a completa disposizione la pittoresca cornice di Vira come un museo a cielo aperto dove esporre le sue opere. Per rintracciare le origini della sua produzione artistica dobbiamo risalire agli anni Settanta, periodo in cui crea lavori dalle suggestioni classicheggianti mescolate al linguaggio delle correnti informali ed espressioniste. Soldini si muove sotto l’influenza di grandi maestri che gli insegnano ad ambire tanto alla purezza della forma quanto al suo dinamismo. A tal proposito trae ispirazione da Giacomo Manzù, Marino Marini, Remo Rossi e, soprattutto, Alberto Giacometti. In quegli anni prendono vita sculture di piccolo e medio taglio in bronzo, gesso e alluminio, ma anche opere di grafica e di pittura, che affiancheranno l’attività plastica per tutta la carriera dell’artista. Incomincia così a delinearsi la ricerca di Soldini, sempre più incentrata sulla figura umana, assurta a emblema della trasformazione dell’individuo e indagata sia nei meccanismi introspettivi sia in quelli sociali. Con il tempo le sue sculture assumono dimensioni sempre più monu-

Particolare del sagrato della chiesa di Vira con Grandi verticali femminili (2000-2004) e Koloss (2010-2014) di Ivo Soldini.

mentali e le superfici si fanno sempre più accidentate, a rappresentare fisicamente il mondo interiore dell’uomo segnato da lacerazioni, forze contrastanti, impeti e inquietudini. I corpi vengono ora assottigliati e slanciati, ora ritorti e piegati; e poi espansi o ridotti, ammorbiditi o inaspriti, bloccati o animati da una forte tensione compositiva, come se l’artista volesse esprimere quell’instabilità tipicamente umana nella contrapposizione tra forme vacillanti e volumi fermi, simbolo le une della precarietà dell’esistere, gli altri di una stoica resistenza. A Vira sono presenti oltre sessanta sculture che sebbene appartengano

in prevalenza all’ultimo quindicennio possono considerarsi una summa di tutti i soggetti trattati da Soldini fin dagli anni Ottanta. Qui le sue opere paiono sentinelle chiamate a difendere il paese, presidiandolo sin negli anfratti più nascosti. Ed è come se allo stesso modo volessero preservare l’animo umano, facendosi testimoni dei suoi silenziosi affanni così come della sua energica volontà di riscatto. Sul sagrato della chiesa, a dividerne la massa statica dal sinuoso ondeggiare lacustre, troviamo un gruppo di Grandi verticali femminili, del 2004, monumentali sculture in resina alte più di

quattro metri allungate da una trazione che pare congiungerle al cielo. Poco lontano, nei pressi dell’imbarcadero, è collocata una maestosa Testa in bronzo, pezzo riconducibile alla serie dei volti in cui l’artista cancella completamente i lineamenti, spesso incidendo la superficie con profonde striature, ottenendo arcaiche rappresentazioni totemiche dal valore assoluto. Altre emblematiche figure, gli Inclinati, si protendono diagonalmente nello spazio fendendolo con il loro assetto incerto e la loro silhouette tagliente. A far loro da contraltare, campeggiano nella loro inamovibile fierezza i solidi e imponenti Koloss. E, ancora, dignitosi guerrieri dalle armature appena accennate nel bronzo sembrano posti a difesa di corpi femminili dalle forme morbide e arrotondate. A volte, infine, come accade ad esempio nell’opera Società, del 2000, il singolo individuo viene condotto a far parte di una compagine, in un volume compatto che pare inaccessibile. Nella loro ieratica presenza, tutte le sculture di Soldini ci appaiono come vigili custodi dell’umanità, sempre pronti a combattere per proteggere quella moltitudine di fragili creature con cui condividono l’impulso vitale. Dove e quando

Ivo Soldini. G’15 – Mostra internazionale di scultura all’aperto del Gambarogno. La mostra è visitabile liberamente nel nucleo del paese di Vira fino al 9 ottobre 2015. www.gambarognoarte.ch

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta La fame, quella vera Nel grande mare dell’informazione giornalistica galleggiano dei relitti linguistici che facciamo fatica a non usare perché sono i primi a venirci incontro quando cerchiamo la parola appropriata. Per il caso che intendo descrivere mi verrebbero a tiro «tempesta perfetta» e «combinato disposto»; mi vergogno ma non trovo niente di meglio. È successo che senza riflettere ho sommato due fattori che presi da soli sarebbero innocui ma che, incrociati, hanno fatto le scintille. Il primo: ho accettato con entusiasmo la proposta di presentare un libro in una esclusiva località di villeggiatura, l’isola di Albarella, sul delta del Po, in provincia di Rovigo. Non è un posto dove andrei di mia iniziativa a trascorrere le vacanze; troppo lussuoso e con una vasta offerta di attività da me mai praticate, dal golf al tennis, dal tiro con l’arco all’equitazione. In cambio della serata di presentazione mi offrivano i biglietti del treno prepagati, l’autista alla stazione di Mestre e viceversa per i 40 chilometri della Romea,

tre giorni di soggiorno in un albergo a quattro stelle: perché dire di no? Solo che, sapendo che non avrei aderito a nessuna delle tante proposte ludiche e sportive, mi sono portato dietro qualcosa da leggere come faccio sempre. E qui entra in gioco il secondo fattore. A partire dalla seconda edizione faccio il collaboratore volontario presso il Festival della Letteratura di Mantova e ogni anno gli organizzatori mi assegnano dei compiti che cerco di svolgere con la massima diligenza. Per l’edizione che va dal 9 al 13 settembre di quest’anno, devo condurre due incontri; il primo con il regista Pupi Avati che ha debuttato nella narrativa con il romanzo Il ragazzo in soffitta, edito da Guanda. Avendolo già letto a suo tempo, ho messo in valigia il libro del secondo incontro, con l’argentino 58enne Martìn Caparròs, autore di La fame, pubblicato da Einaudi, di 720 pagine; un lavoro immenso e sconvolgente, che è insieme saggio, reportage, denuncia, frutto di venti anni di viaggi attraverso l’India, il

della mia camera d’albergo, e leggevo fino all’ora della cena(...); i camerieri servivano risotti agli scampi, branzini al sale, code di rospo e io ripensavo a quella palla di miglio del Niger. Ma non smettevo di mangiare, mi assolveva il pensiero che un mio eventuale digiuno non avrebbe alleviato la fame di chi non aveva niente da mangiare». Un caso classico di falsa coscienza. Albarella è un’isola privata, della società «Marcegaglia tourism»; al termine del ponte che la collega alla terra ferma c’è uno sbarramento come sulle autostrade che blocca l’ingresso alle persone non autorizzate, per cui non capita di incrociare nei viali e sui sentieri venditori ambulanti o persone che chiedono l’elemosina. Va bene il lusso ma con tutta quest’acqua, pensavo arrivando, chissà quante zanzare al tramonto; no, per le strade circolano due camioncini dotati di nebulizzatori spray che annientano gli insetti. Il libro di Caparròs è anche uno spietato pamphlet che non dà tregua al lettore che

impara a conoscere gli abitanti di Buenos Aires che frugano nella spazzatura, con la bambina che sogna di mangiare una volta dentro Mc Donald’s perché di solito mangia i rifiuti di Mc Donald’s. Leggendo il capitolo dedicato agli Stati Uniti finalmente ho capito cosa sono i future e i derivati. Nessuno può chiamarsi fuori, anche chi, come me, ha affidato i suoi risparmi a fondi di investimento che, per generare un rendimento, scommettono sul prezzo dei cereali facendone lievitare il prezzo. Negli USA il grande tema è l’obesità che affligge il 35% degli abitanti; quando Caparròs scrive che «la civiltà occidentale è tozza, cicciona, grassa e paffuta» sembra che stia facendo il mio ritratto. Non posso soffrire quelli che mi danno consigli non richiesti, perciò evito di darne. Ma questa volta faccio un’eccezione: leggete e fate circolare questo libro che vi costringerà a riflettere su un problema che tutti tendiamo a eludere. Ma, per favore, non fatelo durante una meritata vacanza.

Sisi, forse dall’usata abbreviazione Lisi per Elizabeth, noi la chiamiamo Sissi per il film con Romy Schneider che riempie ancora i palinsesti delle tv in tempi di magra. Allora, entrate al Sisi-shop, e potete comprare: stelline di vero diamante, stelline fasulle, un video per imparare a pettinarsi con le stelline nei capelli come la principessa, e poi copie del ritratto stampate su foulard, piatti, bicchieri, carta da lettere, ventagli, puzzle, e altri utili oggettini. Qualcosa di male? Ma no, basta che ci sia la consapevolezza del perché acquistiamo. Perché così siamo convinti di portare con noi quel ritratto, e forse con lui anche la Principessa, la sua bellezza, la sua aria sognante, la sua splendente vita di corte. Non importa che per la sua bellezza si sia sottoposta a digiuni e sia ricorsa a ogni rimedio, che la sua aria sognante forse veniva dalla nostalgia di casa, dalla debolezza dovuta ai digiuni e alla tisi; nemmeno importa che la vita di rappresentanza fosse faticosa. Era sempre una principessa, non moriva di tifo e fame come spesso capitava ai

sudditi. Quindi per pochi soldi mi posso comprare il sogno della vita dei re. Penso che possedendo quel gingillo di latta con i vetrini possiedo anche un posto a corte, nella corte asburgica di oltre un secolo fa. Colpevole anche il cinema, certo, con la sua trentina di film e la televisione, ma è pur vero che a noi piace possedere, come se avere in mano un simbolo significasse dominare una parte di mondo. Non posso fare a meno di pensare al desiderio di dominio quando mentre scrivo di frivolezze apprendo dai media una notizia agghiacciante. Per uno scambio di spermatozoi, una signora dell’Ohio tre anni fa ha avuto una bambina nera di pelle e di capelli, invece che bianca e bionda. Con la compagna, racconta che avevano trascorso un anno a scegliere le caratteristiche del donatore, infine si erano decise per il tipo ariano, biondo con gli occhi azzurri. Purtroppo nella banca del seme a cui si era rivolta, gli infermieri o i medici avevano scambiato la provetta 380 con la 330, corrispondenti al profilo caucasico una, al profilo afroa-

mericano l’altra. La banca si era accorta dello sbaglio ancora prima della nascita della bimba, aveva rimborsato metà delle spese della fecondazione, ma dopo un paio d’anni niente, le due madri sono tornate all’attacco e hanno denunciato la banca, chiedendo un risarcimento di 50’000 dollari. I motivi sono la prevista difficoltà di inserimento nella loro città, razzista, e le difficoltà a crescerla (per esempio dovendo rivolgersi a parrucchieri abituati ai capelli forti e crespi degli afroamericani). Per ora niente risarcimento, perché la bimba è nata sana e la banca non è tenuta a rispondere per un errore materiale. La bimba crescerà, imparerà ad accettare la «diversità» delle sue due mamme, e comprenderà che alcuni «sono più uguali degli altri». Saprà che tra questi, non sono previsti quelli con la pelle scura, che sono uno scherzo del destino. Non le verrà risparmiato nemmeno che per miseri 50’000 dollari, il prezzo di una macchina neanche di lusso, le mamme si erano dette disposte a farsene una ragione.

tratti incomprensibile, ma con passaggi di assoluta potenza argomentativa e visionaria. Ci sono concetti che furono derisi allora anche da fini intellettuali come Calvino e Moravia, il quale, pur essendo suo amico, scrisse quasi liquidandolo con un sorriso di scherno: «Da qualche tempo la bestia nera di Pasolini è il consumismo». Sì, l’omologazione, il conformismo, la civiltà dei consumi come nuovo fascismo più totalitario, repressivo, violento del fascismo storico: era questa l’ossessione di Pasolini. Un’ossessione disperata paragonabile a quella di Leopardi, anche se meno fondata su basi filosofiche. «Il consumismo è una tragedia», scriveva, un Nuovo Potere (maiuscolo come il Grande Fratello orwelliano), mascherato e falsamente tollerante, che «cambia la natura della gente, entra nel più profondo delle coscienze»: è «una nuova forma totalitaria – in quanto del tutto totalizzante, in quanto alienante fino al limite estremo della degradazione antropologica».

Detto quarant’anni fa poteva sembrare un eccesso apocalittico, ma letto oggi, a cose fatte, cioè a mutazione compiuta, è una evidenza che tuttavia pochi avrebbero il coraggio di ammettere, tanto meno gli ottimisti del liberismo e dello sviluppo ad ogni costo. Basti applicare questi pensieri alle degenerazioni ciniche della globalizzazione e ai comportamenti di massa derivati dalla società multimediale e liquida per avere chiara la qualità visionaria di Pasolini. Pasolini parla spesso di indignazione. Di scandalo: si scusa con i suoi lettori se troveranno banale quel che dice, ma «chi è scandalizzato è sempre banale». Non è un saggista neutrale, non è un sociologo, è uno scrittore che come tale mette in moto immaginazione ed empatia per sondare la vita sociale. Per questo parla spesso della propria disperazione. Si dice dispiaciuto, anzi disperato quando parla dei ragazzi dai capelli lunghi, delle facce tutte uguali dei giovani: «La loro libertà di portare i capelli come vogliono, non è

più difendibile, perché non è più libertà. È giunto il momento, piuttosto, di dire ai giovani che il loro modo di acconciarsi è orribile, perché servile e volgare». Sostituire i capelli lunghi con i piercing e i tatuaggi è fin troppo facile, più sfumato pensare per analogia all’ansia di attenersi all’«ordine degradante dell’orda» dei social network. E alla estensione trasversale della «giovinezza» a tutte le età. Il rifiuto totale di Pasolini non poteva piacere a nessuno: ebbe polemiche violente con il Partito comunista, che pure considerava il meglio per onestà, cultura e moralità; sembrò più vicino ai radicali di Pannella, ma si oppose al referendum sulla legalizzazione dell’aborto; sparò a zero sulla Chiesa, in quanto collusa con il capitalismo consumistico; subì la censura dei governi democristiani che considerava in continuità con il regime fascista. Per questo, quando ci si chiede che cosa direbbe oggi Pasolini, l’unica risposta legittima è: quel che aveva da dire sull’oggi Pasolini l’ha già detto quarant’anni fa.

Bangladesh, il Niger, il Kenya, il Sudan, il Madagascar, l’Argentina, gli Stati Uniti, la Spagna. La forza dirompente di questo libro è generata dall’alternanza continua di parti saggistiche vere e proprie con dialoghi frutto di interviste con uomini e donne alle prese con l’assillo di trovare ogni giorno qualcosa da mangiare per sé e per i propri figli. Un conto è imbattersi nei numeri come nella seguente affermazione, che incontriamo sovente e che purtroppo non ci toglie il sonno: «Ogni giorno 25’000 persone muoiono per cause che hanno a che vedere con la fame»; un altro conto è leggere una delle tante interviste raccolte dall’autore. A partire da quella che si trova ad apertura di libro, con Aisha, nel profondo del Niger, «quando lei mi raccontava della palla fatta con la farina di miglio che mangiava tutti i giorni della sua vita e io le domandai se mangiava davvero quella palla di miglio tutti i giorni della sua vita e ci fu uno shock culturale: “Be’, tutti i giorni che posso”. Ero sull’isola, sul terrazzo

Postille filosofiche di Maria Bettetini Il senso del possesso A volte irritano, quando il titolo ben trovato e le recensioni entusiaste lasciavano ben sperare, e invece la mostra risulta un insieme raccogliticcio di reperti di poco valore o di opere minori, illuminati da un oggetto importante, che però conoscevi bene perché esposto in un altro museo della città, o in altro luogo noto. A volte annoiano, le mostre, a volte invece incantano. Per fortuna la maggior parte delle volte incantano, introducono a tesori d’arte di cui non conoscevi l’esistenza e ti domandi ma come è possibile, come ho potuto vivere finora senza sapere, senza aver visto. All’uscita coglie quindi un senso di perdita, l’ultimo sguardo sembra il saluto all’innamorato che parte col treno, forse lo vedo ancora, laggiù eccolo forse. Così avvolti di nostalgia ci avviamo verso l’uscita. E qui, un po’ prima dell’uscita, ogni volta la sorpresa: un tripudio di luci e colori, sembra di entrare in un grande magazzino il 24 dicembre. Libri patinati, cartelle, gomme, penne, bicchieri, magliette. Tutte con la riproduzione del manifesto della mostra,

o addirittura di quadri e oggetti, i più belli e famosi. E il catalogo, dal formato tascabile a quello «da tavolo», nel senso che lo metti su un tavolo e lì rimane, nessuno solleverà mai la pesante copertina cartonata, solo il piumino o lo straccio della polvere toccheranno i bordi del libro. Tentazioni, tentazioni. Non solo per i colori, è lo stesso solletico leggero che si prova a entrare in una cartoleria vecchio stile, soprattutto in queste settimane di riapertura delle scuole. Quaderni nuovi, matite ancora mai temperate, zaini e astucci senza un graffio. Però che me ne fo? Quindi in cartoleria compro le due buste che mi servono e saluto, senza fatica. Invece al Museum-shop ciò che viene offerto è molto di più. Con pochi soldi posso portarmi via addirittura un pezzo di museo, o di mostra che sia. Siete a Vienna, e visitando gli appartamenti imperiali vi invaghite del ritratto della principessa Sissi, uno dei tre eseguiti da Franz Xaver Winterhalter, il ritratto con le stelline di brillanti nei capelli. Beh, intanto avete appreso che si chiamava

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Il corsaro visionario e disperato Pier Paolo Pasolini è stato assassinato nella notte tra il 1. e il 2 novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia. Quarant’anni fa. Le circostanze dell’omicidio sono rimaste oscure e contraddittorie, eppure l’inchiesta è stata archiviata: il solo condannato è Pino Pelosi, detto la Rana, reo confesso, che ha poi ritrattato rivelando che lo scrittore fu picchiato a sangue, sotto i suoi occhi, e ucciso da tre persone. Qualche anno fa sugli abiti della vittima è stato trovato Dna di ignoti, ma questo e altri indizi inquietanti non sono bastati a far riaprire l’inchiesta. Si è aggiunto nel 2005 il sospetto, nato a margine dell’indagine sul delitto Mattei, che la sua morte sia legata alla lotta di potere intorno all’Eni e alla Montedison: si sa che Pasolini stava scrivendo, nei mesi precedenti la morte, un romanzo intitolato Petrolio che sarebbe rimasto incompiuto. Fatto sta che sul mistero Pasolini da quarant’anni si aprono periodiche battaglie tra complottisti e anti-complottisti. Intanto, il romanziere, il poeta, il regista

e soprattutto il polemista (che supera il romanziere, il poeta e il regista) continuano a essere letti, citati, discussi. Che cosa direbbe Pasolini?, è una delle domande che percorrono sotterraneamente i momenti cruciali e scandalosi della vita civile italiana. Che cosa avrebbe detto Pasolini della lunga stagione berlusconiana? E del leghismo? E dei postfascisti al governo? E delle metamorfosi della sinistra? E che cosa penserebbe oggi delle migrazioni epocali e delle resistenze europee? Come si pronuncerebbe sulla globalizzazione? E come giudicherebbe la Chiesa di Francesco? E la società digitale? Domande legittime. Ma chi abbia letto almeno gli interventi civili, particolarmente gli Scritti corsari (6+) che furono anticipati sul «Corriere della Sera» tra il 1974 e la morte, sa bene che a diversi di questi interrogativi Pasolini ha risposto con molto anticipo, prefigurando quella «mutazione antropologica» di cui parla fino alla nausea. Un libro ripetitivo fino all’ossessione e a


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shopping Pane della vigna Attualità Una pausa saporita all’ombra dei filari

Pane della vigna rustico 250 g Fr. 2.10

Settembre, tempo di vendemmia. Già da diversi giorni si è iniziato a sfoltire i filari delle vigne, dai grappoli succosi e ricchi di promesse. Quest’anno la fioritura e il grado di maturazione dell’uva sono stati anticipati dalla calda stagione e fra i vitigni l’attività è frenetica. Niente è meglio di un buon pane aromatico per fare una piccola pausa tra un taglio di grappoli e l’altro. Il pane della vigna Migros, disponibile nella versione chiara come in quella di farina bigia, è il perfetto alimento per concedersi una saziante e corroborante merenda all’ombra delle distese di vite. Ispirato alla forma della pianta stessa dell’uva, con una linea sinuosa che riprende il movimento attorcigliato dei fusti delle vigne, il pane della vigna si presenta come particolarmente soffice, dalla mollica ben sviluppata e dalla crosta fine e croccante. La sua lavorazione viene eseguita per la maggior parte manualmente, soprattutto per quanto riguarda l’operazione di attorcigliamento dell’impasto che si presenta molto morbido e delicato in virtù del suo elevato contenuto di acqua. Questa operazione di formatura avviene solo qualche istante prima che il pane venga infornato proprio per non comprometterne la forma finale. Il tipo di impasto impiegato ricorda i pani di una volta fatti preparando dei preimpasti, delle porzioni di impasto fatte con acqua, farina e lievito spesso dalla consistenza più liquida dell’impasto finale, che venivano fatti fermentare a lungo. Con l’uso di questi preimpasti l’uso di lievito è modico, rendendo il prodotto finale molto digeribile mentre d’altro canto le lunghe lievitazioni conferiscono al pane un sapore particolarmente aromatico. Una qualità che lo rende ideale per essere assaporato con cibi dal sapore deciso e nostrano, come formaggi stagionati e salumi. Tagliato a fette si presta benissimo per essere tostato e spalmato con creme di formaggi, di oliva oppure paté ed assaporato come stuzzicante aperitivo. E perché no, magari accompagnato da un buon bicchiere di vino delle vendemmie degli anni passati! / Luisa Jane Rusconi Si ringrazia l’Azienda Agricola Ponzoni per la cortese disponibilità.

Flavia Leuenberger

Serate in panetteria per adulti Le due serate nelle panetterie della casa di S. Antonino e Serfontana rivolte agli adulti si terranno martedì 22 settembre 2015 dalle ore 18.30 alle 21.00. I posti sono limitati a 10 persone per supermercato. I partecipanti si cimenteranno nella produzione del Pane Passione Nostrano e del pane Rustique. Valido per chi non ha partecipato alle ultime due serate. L’iscrizione è da effettuarsi telefonando al numero 091 840 12 61, mercoledì 16 settembre, tra le ore 10.30 e 11.30.


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Idee e acquisti per la settimana

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Idee e acquisti per la settimana

Carne Migros: la scelta degli chef Attualità Nei primi tre fine settimana di settembre otto ristoranti ticinesi propongono una rassegna gastronomica

dedicata alla carne svizzera della Migros. Il 4 e 5 settembre gli chef hanno cucinato piatti a base di vitello, l’11 e 12 settembre a base di carne di manzo, mentre il 18 e 19 settembre sarà la volta dei manicaretti di carne di maiale. Vi presentiamo gli altri quattro protagonisti di questa rassegna dal sapore nostrano Testi Luisa Jane Rusconi; Foto Flavia Leuenberger

Ristorante Al Grottino, Orselina Ambienti caldi e accoglienti nel cuore della montagna

Sono più di vent’anni che Ornella e Kurt propongono piatti di cucina tradizionale negli ambienti confortevoli e dal sapore domestico del loro ristorante. La struttura nel corso degli anni e per mano dei proprietari precedenti si è sviluppata da quello che era un piccolo grotto ad un vero e proprio ristorante. Il grotto in origine era più piccolo e la saletta che si trova alla sinistra dell’ingresso era un tempo una stalla. Solo nel 1965 si è fatto posto alla sala principale, ricavata scavando nella roccia della montagna.

Luca Merlo, chef del Ristorante Cereda.

Ristorante Cereda, Sementina Qualità e riqualificazione professionale sono gli ingredienti segreti

Materie prime, stagionalità, prodotti locali e un progetto vincente di ricollocamento sono alla base della filosofia del ristorante. La struttura, che comprende un albergo, è gestita da Gastro Ticino, la quale ha fondato il progetto GastroSOS nel 2009 per dare un aiuto concreto all’arricchimento professionale di persone in cerca di impiego nei settori della ristorazione e dell’albergheria. Il programma valuta le capacità lavorative delle persone in cerca di occupazione in modo da permettere un inserimento professionale consono al loro profilo.

Kurt Lüscher, titolare del Ristorante Al Grottino.

Ristorante Turisti, Bignasco Sui binari del gusto e della tradizione

Un tempo qua a Bignasco si fermava la Valmaggina, storica ferrovia elettrica inaugurata nel 1907 che collegava la Vallemaggia a Locarno. Ne testimonia la storia una foto posta all’ingresso del ristorante Turisti, il quale comprende anche un grazioso e curato albergo che ospita nove camere. Qui prendono alloggio turisti che si dedicano ad escursioni oppure appassionati di architettura, i quali vanno a visitare la famosa chiesa di Mogno. La valle ha una grande storia di turismo ed è meta di escursionisti sin dal 18° secolo.

Yves Bussi, chef del Ristorante La Perla.

Ristorante La Perla, S. Antonino Sapori genuini, comfort e modernità nel cuore del Ticino

Cinquant’anni e non sentirli. Il ristorante La Perla della famiglia Bassi, con l’albergo ed un residence nuovo fiammante, spicca da sempre per la sua modernità. Tra i primi ad avere aria condizionata ed internet gratuito in tutta la struttura, oggi è meta ideale per chi vuole soggiornare in una zona centrale del Ticino. Che sia per vacanza, escursioni, riunioni o conferenze non c’è desiderio che non venga soddisfatto. Un occhio di riguardo è dato alla provenienza degli ingredienti, per la maggior parte coltivati nell’azienda orticola di famiglia.

Nunzio Longhitano, gerente del Ristorante Turisti.

Contatti Ristorante Montalbano San Pietro di Stabio – Tel. 091 647 12 06

Ristorante La Perla S. Antonino – Tel. 091 850 29 50

Grotto Loverciano Castel San Pietro – Tel. 091 646 16 08

Ristorante Cereda Sementina – Tel. 091 851 80 80

Canvetto Luganese Lugano – Tel. 091 910 18 92

Al Grottino Orselina – Tel. 091 743 44 08

Grotto Ticinese Cureglia – Tel .091 967 12 26

Ristorante Turisti Bignasco – Tel. 091 754 11 65


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Idee e acquisti per la settimana

A caccia di ghiottonerie Attualità Nei reparti macelleria di Migros Ticino la stagione della selvaggina è aperta

Uno dei più classici piatti a base di selvaggina: la sella di capriolo con i suoi contorni. (Flavia Leuenberger)

Aromatica, povera di grassi e facile da preparare. Con la selvaggina il piacere culinario autunnale è garantito. Nei nostri supermercati trovate sia specialità fresche, sia diverse tipologie di salumeria, paté e terrine, come pure salmì già accuratamente preparato e pronto

per essere solo riscaldato. La carne di cervo, tra le più apprezzate, è disponibile sotto forma di salmì, arrosto, fettine, tartare, filetto, entrecôte e racks. Il capriolo, con le sue carni delicate, è disponibile come fettine, salmì e sella; mentre la gustosissima carne di cin-

ghiale si declina in salmì pronto e spiedini freschi. Alcuni consigli: è bene togliere la selvaggina dal frigorifero un’ora prima di cucinarla. Per aromatizzare e affinare la carne si possono usare sia erbette tipicamente estive come timo, basilico o

Gastronomia in musica L’originale volume «Menu per Orchestra» (Armando Dadò Editore) rappresenta un viaggio al contempo gastronomico e musicale che spazia dagli antichi banchetti ai moderni programmi radiotelevisivi. Questo itinerario sulla storia dell’alimentazione e sull’importanza nel tempo della musica a tavola è inoltre cor-

rosmarino; oppure spezie più invernali quali chiodi di garofano o cannella. La cacciagione si sposa a meraviglia con frutta e salse a base di frutta. La carne della selvaggina è particolarmente ricca di proteine, vitamine, sali minerali e acidi grassi essenziali.

Nell’assortimento Migros non mancano ovviamente nemmeno i contorni più tradizionali della cacciagione: dagli spätzli all’uovo al cavolo rosso, passando per le castagne glassate, i funghi, le pere cotte, i cavolini di Bruxelles, fino alla confettura di ribes rossi.

Dolcezze d’autunno

redato da un CD con registrazioni «gustose» dell’Orchestra della Svizzera Italiana nonché ricette originali dello chef di Villa Principe Leopoldo, Dario Ranza. Il volume è in vendita al reparto libri Migros di S. Antonino, Serfontana e Agno Due al prezzo di Fr. 42.–. È ottenibile su ordinazioni nelle altre principali filiali.

Concorso Vinci 1 dei 5 libri «Menu per Orchestra»

Compila questo tagliando con i tuoi dati e imbucalo nell’apposita urna presso i reparti libri Migros di Locarno, S. Anto-

nino, Lugano, Agno Due e Serfontana. Ultimo termine di partecipazione: 26 settembre 2015. Un solo tagliando per partecipante. I collaboratori di Migros Ticino sono esclusi dal concorso. I vin-

citori saranno avvisati per e-mail. Partecipando al concorso i concorrenti acconsentono che i dati potrebbero essere utilizzati per l’invio di informazioni sul «Mondo Libri» Migros.

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Ogni stagione possiede le proprie delizie e con l’arrivo dell’autunno non possono ovviamente mancare le specialità a base di castagne. Gli abili pasticceri del laboratorio artigianale Migros sanno bene come ingolosire i fan di questi nutrienti frutti e per l’occasione hanno creato alcuni tra i più amati dolcetti autunnali: il tulipe

di vermicelles arricchito con crema chantilly e meringa; il vermicelles big per chi non si accontenta delle piccole porzioni e la torta di castagne composta da morbido pan di spagna e crema alle castagne. Le specialità a base di castagne sono ottenibili nei Ristoranti, De Gustibus e banchi di pasticceria di Migros Ticino.


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Serie Noi firmiamo noi garantiamo Questa settimana: Candida

Industria Migros innovativa

Ricercare e sperimentare per denti sani A volte ci vogliono anni prima che un nuovo prodotto dell’industria Migros giunga sugli scaffali. Esemplare è la storia dello sviluppo dell’innovativo dentifricio Candida Protect Professional. Michael A. Peck, direttore del settore Sviluppo prodotti al Mibelle Group, ce la racconta Testo Anette Wolffram Eugster; Foto Christian Schnur; Illustrazione Bruno Muff


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Idee e acquisti per la settimana

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3 1 L’impianto miscelatore per dentifrici del Mibelle Group a Buchs AG ha una capacità di 1200 chilogrammi. La maggior parte degli ingredienti vengono pesati, dosati e miscelati sottovuoto automaticamente. Qui l’operatore controlla se le materie prime sono miscelate omogeneamente.

La Migros ha arricchito di un’innovazione la gamma della sua marca di dentifrici più acquistata: Candida. La novità si chiama Protect Professional e offre una maggior protezione contro i generi alimentari che contengono acidi e un effetto desensibilizzante in caso di denti ultrasensibili.

2 Spesso per realizzare una formula occorrono fino a 30 tentativi, che vengono effettuati in questo reattore miscelatore da laboratorio.

Michael Peck, qual è la particolarità di Candida Protect Professional?

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3 Fabbricanti esterni di profumi e aromi sviluppano diversi aromi, che vengono poi testati da collaboratori Mibelle quanto al gusto e all’odore. 4 Un robot pesca i tubetti vuoti dalla scatola e li sistema nei portatubetti della macchina riempitrice. 5 100 pezzi al minuto: a questo ritmo la macchina imballatrice immette i tubetti nella scatola da spedizione.

Finora l’odontoiatria offriva solo poche possibilità di rigenerare i danni allo smalto dentale, perché lo smalto non contiene cellule che potrebbero formare nuovo tessuto. Circa otto anni or sono, ricercatori dell’università di Leeds in Inghilterra hanno scoperto che i peptidi ¬– si tratta di piccole molecole intelligenti di proteine – abbinati al fluoruro ritardano notevolmente la riduzione dello smalto e favoriscono la resistenza del dente. Su questa base, l’azienda svizzera credentis di Windisch AG ha sviluppato la tecnologia Curolox. Grazie a uno strato protettivo, che si posa sul dente come un mantello e vi rimane attaccato, questa tecnologia permette di rendere il dente più resistente agli attacchi degli acidi e quindi meno sensibile. Come siete giunti a una collaborazione?

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La ditta credentis, che ha ottenuto il brevetto per questa tecnologia, durante una fiera specializzata si è rivolta a noi. Il peptide era già utilizzato in una forma simile in odontoiatria. Il nostro compito era di integrare questa nuova materia prima in una formulazione per la cura quotidiana dei denti. Per sviluppare e testare una nuova formula ci occorrono in media 20 mesi. Ci sono stati problemi in questa fase?

Le nuove tecnologie presuppongono nuovi tentativi. Affinché il peptide potesse costruire il mantello che protegge dagli acidi, si doveva poter integrare stabilmente lo strato protettivo dei peptidi nella formulazione. Per trovare la miglior formulazione si sono effettuate numerose prove di laboratorio e testate diverse varianti di prodotti.

L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali anche i dentifrici Candida.

1

Michael A. Peck è chimico ed è responsabile dello sviluppo dei prodotti presso Mibelle Group di Buchs. Oggi le persone hanno denti in peggior stato rispetto a 30 anni or sono?

No, non si può dire così. I giovani hanno circa il 90 per cento meno carie rispetto a tre decenni fa. Solo lo smalto è esposto più spesso agli acidi, e questo danneggia lo smalto a causa di un’igiene orale in parte troppo intensiva o scorretta. Il motivo è da ricercare delle mutate consuetudini alimentari. Oggi i rappresentanti di tutte le classi d’età consumano più generi alimentari contenenti acidi. I giovani bevono più bevande dolci, gli adulti mangiano più frutta. Gli acidi contenuti in questi prodotti attaccano lo smalto. Allora, per amore dei denti dovremmo tornare a un’alimentazione di base?

Per mantenere la salute dei denti sarebbe utile, perché gli alimenti di base come la verdura non attaccano lo smalto dei denti.

A quale gruppo di utilizzatori si indirizza in particolare il nuovo dentifricio?

Quando si consumano generi alimentari contenenti acidi, è giusto lavare i denti prima di mangiare?

Il Candida Protect Professional è pensato per risolvere i problemi dei consumatori di ogni classe di età, esclusi i bambini sotto i sei anni, con un alto consumo di generi alimentari contenenti acidi come frutta, in particolare agrumi, salse per insalata contenenti aceto, dolciumi, cola, vino e caffè.

Chi alla mattina beve molto succo o caffè, dovrebbe lavare i denti prima di colazione. In seguito raccomandiamo una pulizia col filo interdentale o un risciacquo della bocca prima di iniziare la giornata. Se non si consumano cibi che contengono acidi, basta lavare i denti dopo mangiato.


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Prodotti dell’Industria Migros

Nuove star della Migros Ogni anno nelle undici aziende industriali Migros vengono fabbricati circa 10’000 prodotti diversi. L’industria Migros si occupa anche dell’evoluzione, adattandola alle esigenze della sua clientela. Interessanti novità giungono regolarmente a completare l’assortimento. Vi presentiamo qui una piccola scelta degli ultimi dodici mesi Frey Suprême Vermicelles Edition Limitée 100 g* Fr. 2.90

Gelato Ice Tea Peach 576 ml Fr. 6.–

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Prodotti a base di carne

I cordon bleu in mini formato Un succoso cordon bleu è uno dei più apprezzati piatti svizzeri a base di carne. Micarna, l’azienda produttrice di carne della Migros, ha sviluppato un nuovo formato delle amate fettine di maiale ripiene: i mini cordon bleu pronti per la padella in due varianti di gusto per chi è

attento a una cucina leggera. «Hawaii» è farcito con prosciutto, formaggio, e ananas, mentre «Caprese» con pomodori secchi e mozzarella. Le due bontà si abbinano bene ad un’insalata fresca oppure delle verdure, ed ecco bell’e pronto un piatto leggero e gustoso.

Consiglio Sevire i mini cordon bleu con una croccante insalata fresca e delle more.

Tolti dalla confezione, direttamente in padella: i mini cordon bleu sono pronti per essere solo arrostiti.

Mini Cordon Bleu Hawaii per 100 g Fr. 2.75

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche i mini cordon bleu.


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Optigal

Succoso pollo in veste autunnale Le temperature in calo risvegliano l’appetito per i piatti più nutrienti. Ritorna allora la voglia di un saporito arrosto al forno oppure di un delicato sminuzzato. Ci sono novità nell’assortimento di pollame svizzero Optigal: lo sminuzzato di pollo con funghi e il mini arrosto di pollo con ripieno di

verdure. Entrambi sono già conditi al punto giusto e veloci da preparare. La carne Optigal proviene da piccole e medie aziende agricole svizzere, dove gli animali sono allevati in modo particolarmente rispettoso della specie e con la possibilità di uscire in un giardino d’inverno.

Consiglio L’arrosto si abbina bene a purea di patate e pomodori al forno. I rösti accompagnano perfettamente lo sminuzzato.

Optigal sminuzzato di pollo con funghi* per 100 g Fr. 2.70

Optigal mini arrosto di pollo ripieno* per 100 g Fr. 1.60 * nelle maggiori filiali

Il pollame declinato in deliziosi piatti autunnali.


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Tortelloni M-Classic in conf. da 2 per es. spinaci e ricotta, 2 x 500 g

Fondue fresca moitié-moitié in conf. da 2 2 x 400 g, 20% di riduzione

Tutta la pasta Agnesi, a partire da 2 confezioni –.30 di riduzione l’una, per es. spaghetti, 500 g

Conserve di verdura svizzera o purea di mela svizzera in conf. da 3 20% di riduzione, per es. piselli e carote M-Classic, 3 x 260 g

Pizza al prosciutto crudo, pizza alla pala con verdure grigliate o piadina al prosciutto Deliziosa in conf. da 2 surgelate, per es. pizza al prosciutto crudo, 2 x 410 g

50% 2.05 invece di 2.60

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Tutti i crauti e i cavoli rossi bio e M-Classic refrigerati 20% di riduzione, per es. crauti M-Classic, 500 g

Mozzarella Galbani in conf. da 3 3 x 150 g, 20% di riduzione

Tutte le salse Agnesi, a partire da 2 pezzi –.30 di riduzione l’uno, per es. al basilico, 400 g

Diversi tipi di miele in vasetto da 550 g o in flacone squeezer da 500 g –.60 di riduzione, per es. miele cremoso ai fiori, 550 g

Tonno in olio o in acqua M-Classic in conf. da 6 20% di riduzione, per es. in olio, 6 x 155 g

Tutte le pannocchiette di granoturco Condy per es. pannocchiette di granoturco, 190 g

3.10 invece di 3.90

6.– invece di 7.50

6.20 invece di 7.80

3.95 invece di 4.95

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1.10 invece di 1.50

Baguette alle olive o baguette bianca cotta nel forno in pietra Pain Création 20% di riduzione, per es. baguette alle olive, 380 g

Tutti i bulbi di fiori autunnali 20% di riduzione, per es. tulipani Grand Perfection, conf. da 12 pezzi

Tutta la frutta o tutte le bacche surgelate, 20% di riduzione, per es. lamponi M-Classic, 500 g

Tutti i prodotti Exelcat Tutto l’assortimento di lettiere per gatti Fatto 20% di riduzione, per es. menù croccante al manzo, 20% di riduzione, per es. Deo, 10 l 950 g

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Tutte le zuppe istantanee o in bustina Bon Chef, a partire da 2 pezzi –.40 di riduzione l’uno, per es. minestra con polpettine di carne e vermicelli, 74 g


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Docciaschiuma Nivea in conf. da 3 20% di riduzione, per es. docciacrema Soft, 3 x 250 ml, offerta valida fino al 28.9.2015

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ALTRE OFFERTE. FRUTTA E VERDURA Uva Italia, Italia, al kg 2.20 invece di 3.70 40% Foglia di quercia rossa o verde, Svizzera, il pezzo, per es. verde 1.50 Carote, Svizzera, busta da 1 kg 1.30 Finocchi, Svizzera, sciolti, al kg 4.90 invece di 6.90 25% Peperoni misti, Spagna, 500 g 2.20 Prugne, Svizzera, al kg 3.40 Fichi, Turchia, imballati, 500 g 3.60 invece di 4.90 25% Lamponi extra, Svizzera, imballati, 250 g 4.95 invece di 6.90 25%

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PESCE, CARNE E POLLAME Carne di manzo macinata M-Classic, Svizzera, al kg 9.– invece di 18.– 50% Salsiccia di vitello M-Classic o TerraSuisse, Svizzera, per es. salsiccia di vitello TerraSuisse, affettata finemente, per 100 g 1.95 invece di 2.80 30% Saucisson Tradition, TerraSuisse, per 100 g 1.25 invece di 1.80 30% Saucisson vaudois, Svizzera, per 100 g 1.55 invece di 1.95 20% Prosciutto crudo dei Grigioni affettato finemente in conf. da 2, Svizzera, 2 x 113 g 6.90 invece di 10.35 33% Cordon bleu di pollo interi, prodotti in Svizzera con carne del Brasile, 4 x 150 g 9.10 invece di 13.10 30% Tutti i prodotti a base di sushi, per es. sushi Maki Mix: tonno, pesca, Filippine; salmone, allevamento, Norvegia, 150 g 7.– invece di 8.90 20% * Beretta Bresaola, Italia, affettata in vaschetta da 100 g 5.60 invece di 8.– 30% Arrosto spalla di manzo, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 2.75 invece di 3.70 25% Fettine di lonza di maiale, TerraSuisse, Svizzera, imballate, per 100 g 2.60 invece di 3.80 30% Spinacine di pollo, AIA, Italia, in conf. da 220 g 3.10 invece di 3.90 20% Galletto speziato Optigal, Svizzera, in conf. da 2 pezzi, per 100 g 1.– invece di 1.45 30% Filetto di salmone senza pelle, d’allevamento, Norvegia, in vaschetta, per 100 g 1.70 invece di 3.40 50% * fino al 19.9.2015

PANE E LATTICINI Baguette alle olive o baguette bianca cotta nel forno in pietra Pain Création, per es. baguette alle olive, 380 g 3.10 invece di 3.90 20% Mezza panna UHT Valflora, 2 x 500 ml 2.90 invece di 4.90 40%

Tutti i Crème Dessert M-Classic, 6 x 125 g, per es. al cioccolato 1.90 invece di 2.40 20% Gruyère Heidi, per 100 g 1.75 invece di 2.20 20% Fondue fresca moitié-moitié in conf. da 2, 2 x 400 g 13.10 invece di 16.40 20% Mozzarella Galbani in conf. da 3, 3 x 150 g 4.40 invece di 5.55 20% Pane della vigna chiaro e rustico, TerraSuisse, per es. pane della vigna chiaro, 250 g 1.70 invece di 2.– 15% Le Maréchal, a libero servizio, per 100 g 1.60 invece di 2.35 30%

FIORI E PIANTE Rose, Fairtrade, in diversi colori, gambo da 40 cm, mazzo da 10 5.90 Diverse orchidee con coprivaso, la pianta 19.90 Tutti i bulbi di fiori autunnali, per es. tulipani Grand Perfection, conf. da 12 pezzi 6.– invece di 7.50 20%

ALTRI ALIMENTI Branches Bicolor, Noir o Eimalzin Frey in conf. da 30, UTZ, per es. Branches Noir, 30 x 27 g 11.50 Palline di cioccolato al latte finissimo, Giandor o assortite Frey in sacchetto da 750 g, UTZ, per es. assortite 11.10 invece di 18.60 40% Tutte le tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 8, UTZ, per es. al latte e alle nocciole 10.35 invece di 14.80 30% Tutti i biscotti ChocMidor, a partire da 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. Carré, 100 g 2.50 invece di 3.10 Tutti i Blévita, a partire da 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. stecca al sesamo, 295 g 2.70 invece di 3.30 Caffè in chicchi o macinato Exquisito in conf. da 3, UTZ, 3 x 500 g, per es. in chicchi 15.– invece di 22.50 3 per 2 Diversi tipi di miele in vasetto da 550 g o in flacone squeezer da 500 g, –.60 di riduzione, per es. miele cremoso ai fiori, 550 g 4.70 invece di 5.30 Tutti gli zwieback, per es. Original, 260 g 2.55 invece di 3.20 20% Pezzetti di cocco Sun Queen, 20x 100 g 2.10 NOVITÀ ** Miscela di frutta secca e noci M-Classic in conf. da 3, 3 x 250 g 6.45 invece di 8.10 20% Pizza al prosciutto crudo, pizza alla pala con verdure grigliate o piadina al prosciutto Deliziosa in conf. da 2, surgelate, per es. pizza al prosciutto crudo, 2 x 410 g 6.60 invece di 13.20 50%

Tutti i tipi di spinaci surgelati, per es. spinaci alla panna, 800 g 2.55 invece di 3.20 20% Crème d’or Menthe & Chocolat, 750 ml 20x 7.30 NOVITÀ ** Crème d’or Grand Marnier Orange & Chocolat, 750 ml 20x 8.60 NOVITÀ ** Tutta la frutta o tutte le bacche, surgelate, per es. lamponi M-Classic, 500 g 6.20 invece di 7.80 20% Tutti i tipi di Rivella in conf. da 6, 6 x 1,5 l, per es. rossa 11.50 invece di 14.40 20% Succhi di frutta Gold, 1 l, a partire da 2 pezzi, –.50 di riduzione l’uno, per es. succo d’arancia, Fairtrade 1.45 invece di 1.95 Mitico Ice Tea in bottiglie di PET in conf. da 6, 6 x 1 l, a partire da 2 confezioni, 2.– di riduzione l’una, per es. al limone 5.80 invece di 7.80 Tutti i tipi di riso M-Classic da 1 kg, a partire da 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. riso parboiled Carolina 1.90 invece di 2.50 Tutte le salse Agnesi, a partire da 2 pezzi, –.30 di riduzione l’uno, per es. al basilico, 400 g 2.60 invece di 2.90 Tutta la pasta Agnesi, a partire da 2 confezioni, –.30 di riduzione l’una, per es. spaghetti, 500 g 1.50 invece di 1.80 Tutte le pannocchiette di granoturco Condy, per es. pannocchiette di granoturco, 190 g 1.30 invece di 2.60 50% Tutte le zuppe istantanee o in bustina Bon Chef, a partire da 2 pezzi, –.40 di riduzione l’uno, per es. minestra con polpettine di carne e vermicelli, 74 g 1.10 invece di 1.50 Conserve di verdura svizzera o purea di mela svizzera in conf. da 3, –.40 di riduzione l’uno, per es. piselli e carote M-Classic, 3 x 260 g 3.80 invece di 4.80 20% Tonno in olio o in acqua M-Classic in conf. da 6, per es. in olio, 6 x 155 g 9.10 invece di 11.40 20% Popcorn in conf. gigante M-Classic, 300 g, per es. al cioccolato 2.45 invece di 3.10 20% Tutto l’assortimento di prodotti da forno per l’aperitivo PIC o Party, a partire da 2 pezzi, –.30 di riduzione l’uno, per es. cracker alla pizza Party, 150 g 2.10 invece di 2.40 Tutte le crostate Anna’s Best, per es. crostata di albicocche, 215 g 2.30 invece di 2.90 20% Biberli d’Appenzello in conf. da 6, 6 x 75 g 5.40 invece di 7.20 25% Tutti i dolci ai vermicelles, per es. tortina ai vermicelles, 2 pezzi, 2 x 120 g 4.30 invece di 5.40 20% Milupa Aptamil Junior 12+ o 18+, per es. latte di proseguimento 12+, 3 x 800 g 39.– invece di 58.50 3 per 2 **

*In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Offerta valida fino al 28.9 Società Cooperativa Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 15.9 AL 21.9.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Diverse bustine Hipp Baby, per es. mango-maracuja, e pera-mela, 20x 90 g 1.70 NOVITÀ *,** Tutti i crauti e i cavoli rossi bio e M-Classic refrigerati, per es. crauti M-Classic, 500 g 2.05 invece di 2.60 20% Tortelloni M-Classic in conf. da 2, per es. spinaci e ricotta, 2 x 500 g 6.90 invece di 11.60 40% Spätzli all’uovo Anna’s Best in conf. da 3 o spätzli alle verdure Anna’s Best in conf. da 2, per es. spätzli all’uovo, 3 x 500 g 6.70 invece di 8.40 20% Salmì di capriolo in conf. da 2, 2 x 430 g 14.70 invece di 19.60 25% Uova svizzere, da allevamento all’aperto, 9 pezzi da 53 g+ 4.50 invece di 5.40 15% Tutto l’assortimento Orogel, per es. Minestrone 15 verdure, 450 g 2.95 invece di 3.70 20% Zatterine e Margheritine Sfoglia d’Oro, 220 g e 250 g 3.70 Cake Generoso, 380 g 4.– invece di 5.– 20% Tutto l’assortimento Dimmidisì, per es. Minestrone di verdure in conf. da 620 g 3.40 invece di 4.90 30% Pizzoccheri, prodotti in Ticino, in conf. take away, per 100 g 1.75 invece di 2.20 20%

NEAR FOOD / NON FOOD Tutti i prodotti Exelcat, per es. menù croccante al manzo, 950 g 3.95 invece di 4.95 20% Tutto l’assortimento di lettiere per gatti Fatto, per es. Deo, 10 l 4.– invece di 5.– 20% Prodotti per la cura dei capelli Full & Strong Thickening I am Professional, per es. shampoo, 250 ml 20x 3.30 NOVITÀ ** Tutti i prodotti per i capelli Belherbal (confezioni multiple escluse), per es. shampoo Sensitive, aha!, 250 ml 3.05 invece di 3.85 20% ** Salviettine detergenti delicate I am Natural Cosmetics, 20x conf. da 25 3.90 NOVITÀ ** Detersivi Elan in conf. risparmio XXL, 7,5 kg, per es. Power Fresh 23.10 invece di 46.30 50% ** Handymatic Supreme (sale rigeneratore escluso), per es. pastiglie a 3 fasi Regular, conf. da 44 pezzi 7.40 invece di 14.80 50% ** Tutti i prodotti Tangan, a partire da 2 pezzi, –.50 di riduzione l’uno, per es. pellicola salvafreschezza e per forno a microonde n. 11, 36 m x 29 cm, il pezzo 2.45 invece di 2.95 ** Pentola a pressione Kuhn Rikon da 7 l, il pezzo 99.– ** Tutti i tovaglioli, le tovagliette, le tovaglie e le tovaglie in rotolo di carta Cucina & Tavola o Duni, per es. tovaglioli rossi, 33 x 33 cm, 30 pezzi 1.05 invece di 2.10 50% **


Le marche Migros rinfrescano i ricordi d’infanzia.

Urs Buchegger, responsabile sviluppo gelati, Midor

www.noifirmiamo-noigarantiamo.ch


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Idee e acquisti per la settimana

Valflora

La crème de la crème La cucina classica, salata o dolce, non può fare a meno della panna. I grandi cuochi lo sanno bene: grazie alle sostanze che contiene, la panna è un fornitore di aromi di prima categoria. Per questo motivo la panna o la mezza panna Valflora sono adatte a preparare sia squisite salse che i dolci da dessert. Di

uso molto versatile anche gli altri prodotti Valflora, come la Crème fraîche, la panna per caffè o il latte. Chi li sceglie punta alla migliore qualità e s’impegna anche per la Patria. Il marchio Valflora, infatti, è sinonimo di prodotti realizzati esclusivamente in Svizzera con latte svizzero.

Torta alla panna con dulce de leche e granella di zucchero Per 1 stampo a cerniera di 24 cm Ø Per ca. 6 pezzi

Ingredienti burro e farina per lo stampo 1 pasta frolla dolce spianata di 320 g 3 cucchiai di dulce de leche 2,5 dl di panna semigrassa 2 uova 60 g di zucchero 2 cucchiai di granella di zucchero Preparazione 1. Scaldate il forno a 200 °C. Rivestite lo stampo con la carta da forno, imburrate e infarinate. Accomodate la pasta sulla teglia. Formate un bordo alto ca. 2,5 cm, ripiegate all’interno la pasta che avanza e premete. Bucherellate fittamente il fondo con una forchetta. Distribuite il dulce de leche sul fondo di pasta. 2. Sbattete la panna ben ferma, aggiungete le uova e lo zucchero e continuate a sbattere brevemente. Versate la miscela di panna, uova e zucchero sul fondo di pasta. Cuocete nella metà inferiore del forno per ca. 20 minuti. Cospargete la granella di zucchero sulla torta e proseguite la cottura per ca. 10 minuti. Sfornate la torta e lasciatela raffreddare. Tagliatela a fette e servite. Tempo di preparazione ca. 15 minuti + cottura in forno ca. 30 minuti + raffreddamento Per persona ca. 6,5 g di proteine, 24 g di grassi, 43 g di carboidrati, 1750 kJ/ 410 kcal

Ricette di

www.saison.ch Con la mezza panna Valflora la torta alla crema riesce particolarmente bene. Il Dulce de Leche apporta una raffinata nota di caramello.

Valflora UHT Mezza panna 2x500 ml Fr. 2.90* invece di 4.90 *Prezzo speciale valido dal 15 al 21 settembre.

L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche Valflora.


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Idee e acquisti per la settimana

Chili con carne al cioccolato

UTZ Certified e Fairtrade Max Havelaar

Il cioccolato migliore Per il cioccolato, Migros punta sulla sostenibilità sociale e in tal senso si basa sui due marchi UTZ Certified e Fairtrade Max Havelaar. Questi promuovono condizioni di lavoro sociali ed eque, così come fra l’altro la coltivazione sostenibile del cacao Foto e Styling Veronika Studer; Ricette Katrin Klaus

Piatto principale per 4 persone

Ingredienti 1 cipolla 2 spicchi d’aglio 1 peperoncino rosso 250 g di carote 250 g di sedano 600 g di macinato di manzo 2 cucchiai d’olio di arachidi 3 cucchiai di concentrato di pomodoro 5 dl d’acqua 1 scatola di fagioli rossi da 435 g 1 vasetto di peperoni rossi da 160 g sale, pepe 50 g di cioccolato fondente

Preparazione Tritate la cipolla, l’aglio e il peperoncino. Tagliate le carote e il sedano a bastoncino. Rosolate la carne a porzioni nell’olio in una padella ampia. Aggiungete le verdure e il concentrato di pomodoro e rosolate mescolando per ca. 5 minuti. Versate l’acqua. Lasciate stufare coperto a fuoco medio per ca. 20 minuti. Scolate i fagioli in un passino. Sciacquateli sotto l’acqua fredda e lasciateli sgocciolare. Scolate i peperoni e lasciateli sgocciolare. Tagliate i peperoni a pezzi. Aggiungete entrami alla carne e continuate a stufare per ca. 10 minuti. Insaporite con sale e pepe. Spezzettate il cioccolato. Aggiungetelo e mescolate, finché il cioccolato si è sciolto. Accompagnate con riso.

Tempo di preparazione ca. 35 minuti + cottura ca. 30 minuti Per persona ca. 38 g di proteine, 27 g di grassi, 33 g di carboidrati, 2200 kJ/530 kcal

Bio Fairtrade Max Havelaar Crémant cioccolato scuro 100 g Fr. 1.85

Le truffes Brownie con noci valgono un peccato.

Nella cucina messicana non è inusuale: cioccolato in un chili piccante. Bio Fairtrade Max Havelaar pepe nero intero 100 g Fr. 3.40

Frey Noir Special 72% UTZ Certified 100 g Fr. 2.10

Fairtrade Max Havelaar riso a chicco lungo* 1 kg Fr. 3.50 *Nelle maggiori filiali

Tartufi brownie Patissier glassa scura per torte UTZ Certified 125 g Fr. 1.70

Il marchio è simbolo di una coltivazione migliore attenta all’uomo e alla natura, grazie alla quale i produttori incrementano il raccolto e il reddito.

Per 1 stampo a cerniera di 23 x 23 cm Per ca. 30 pezzi

Ingredienti burro e farina per lo stampo 150 g di burro 250 g di cioccolato fondente, con il 72 % di cacao 100 g di noci 3 uova 150 g di zucchero 100 g di farina 2 cucchiaini di lievito in polvere 1 busta di glassa per torta scura da 125 g

Preparazione Rivestite il fondo dello stampo con la carta da forno. Imburrate e infarinate. Mettete il burro e il cioccolato in una scodella e fateli fondere a bagnomaria. Nel frattempo tostate le noci in una padella senza grassi. Toglietele dalla padella e tritatele. Montate a spuma con una frusta le uova con lo zucchero per ca. 5 minuti. Scaldate il forno a 180 °C. Incorporate

le noci e la miscela di uova e zucchero al burro al cioccolato. Setacciateci la farina e il lievito e incorporate. Versate nello stampo e livellate. Cuocete i brownie in forno nello scomparto più basso del forno per ca. 25 minuti. Sfornate, staccate il bordo dello stampo e lasciate raffreddare i brownie. Tagliateli a cubetti. Fate sciogliere la glassa a bagnomaria. Decorare i cubetti con la glassa. Mettete in frigo fino al momento di servire.

Tempo di preparazione ca. 25 minuti + cottura in forno ca. 25 minuti Ogni pezzo ca. 3 g di proteine, 18 g di grassi, 20 g di carboidrati, 1050 kJ/250 kcal

Il marchio è simbolo di prodotti commercializzati equamente e coltivati in modo sostenibile. Ricette di Parte di www.saison.ch


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Idee e acquisti per la settimana

A questo gioco di società possono partecipare anche i più piccoli, basta capovolgere il tabellone e usarlo come un tappeto da gioco. Rimarranno sorpresi scoprendo il paesaggio svizzero che vi è raffigurato.

Suisse Mania

Un sano divertimento per tutti La Svizzera è di nuovo in preda alla febbre da collezione. Grandi e piccini si divertono con la Suisse Mania, la raccolta di figurine che ci fa scoprire tante cose nuove del nostro bel Paese. E a casa ci si diverte con il gioco di società Testo Anna-Katharina Ris; Foto Christian Dietrich

Solo mercoledì 16 settembre:

gomme per cancellare gratuite! Questo mercoledì chiunque compri qualcosa alla Migros riceverà in regalo la gomma per cancellare di Suisse Mania. Durante le prossime settimane, ogni mercoledì si susseguiranno iniziative come questa con altri regali e sorprese. Verranno anche distribuiti dei jolly settimanali*. Lasciatevi sorprendere! *per ogni acquisto del valore di Fr. 60.– e al massimo 3 jolly per acquisto, fino a esaurimento delle scorte.

Suisse Mania online

Indovinate e vincete ogni settimana Indovinate un luogo fotografato dalla mongolfiera su facebook.com/migrosmania Da mercoledì 16 fino alle 24 di domenica 20 settembre potete partecipare e risolvere i due quesiti settimanali. Quanto conoscete la Svizzera e le sue attrazioni? Trovate i dettagli di tutti i luoghi d’interesse su www.suissemania.ch. Con un po’ di fortuna potete vincere un buono per la spesa o addirittura un volo in mongolfiera per un valore di oltre 600 franchi.

Il gioco di società della Suisse Mania è adatto a tutta la famiglia e funziona come un «gioco dell’oca». Il giocatore compone una cifra tirando i dadi e con la mongolfiera si appoggia sulla rispettiva casella del tabellone. Chi finisce su un luogo d’interesse, può scegliere tra una carta delle domande o una carta delle attività. Con la prima vengono richiesti dettagli sui luoghi d’interesse, mentre

chi pesca una carta delle attività deve simulare un’azione («Facci vedere come fa un suonatore di corno delle Alpi»), disegnare qualcosa di particolare oppure cantare una canzone. Chi con diligenza raccoglie i luoghi d’interesse può riporli nel gioco da tavolo. Il grande gioco per la famiglia è disponibile in qualsiasi filiale Migros per 14.80 franchi.

«Fa’ un ponte!», è l’ordine impartito da una delle carte delle attività. Tu ce la fai?

Davvero divertente: «Fa’ dieci passi con un libro in equilibrio sulla testa».

«Fa’ dieci figure da burattino!». Questo possono farlo anche i più piccoli.


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Idee e acquisti per la settimana

Bischofszell

Le buone composte di frutta Voglia di albicocche, prugne o rabarbaro? Per le nuove composte di Bischofszell si invasa sottovuoto unicamente frutta svizzera appena colta, cotta delicatamente e senza additivi rafforzatori del gusto. Il vaso richiudibile è ideale per la conservazione. Quale rinfrescante alternativa alla confettura, le composte accompagnano ottimamente una colazione calda, quando si porta in tavola porridge, müesli, riso al latte o diverse preparazioni a base di uova e farina. Anche alcuni dessert, come il tiramisù o le crêpes, si accompagnano perfettamente al puré di prugne o di albicocche, mentre pietanze robuste come i cornetti con carne tritata o i maccheroni dell’alpigiano si sposano divinamente col gusto leggermente acidulo della composta di rabarbaro.

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche le composte della marca Bischofszell.

Bischofszell composta di albicocche 310 g* Fr. 3.–

Bischofszell composta di prugne 310 g* Fr. 2.90

Bischofszell composta di rabarbaro 310 g* Fr. 2.90

* Nelle maggiori filiali Annuncio pubblicitario

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44% Macchina da caffè automatica ECAM 21.117.SB Magnifica S Macinacaffè conico a 13 livelli, erogatore del caffè regolabile, programma di risciacquo e di decalcificazione automatico, serbatoio dell’acqua estraibile frontalmente da 1,8 l, recipiente per chicchi da 250 g, dimensioni (A x L x P): 35,1 x 23,8 x 43 cm / 7174.486

FCM

* Acquistando una macchina da caffè automatica ricevi un buono per 4 confezioni da 500 g di caffè in chicchi Caruso e un barattolo per la conservazione.

Le offerte sono valide dal 15.9. al 28.9.2015 e fino a esaurimento dello stock. Trovi questi e molti altri prodotti nei punti vendita melectronics e nelle maggiori filiali Migros. Con riserva di errori di stampa e di altro tipo.

Aspirapolvere DC45 plus Spazzola elettrica, spazzola extra dura, bocchetta commutabile e a lancia, tubo staccabile, supporto murale, autonomia 8 o 20 min. / 7171.642


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Idee e acquisti per la settimana

Blévita

Il compagno ideale per una giornata attiva Blévita Sandwich yogurt/bacche 4 x 54 g Fr. 5.30

Blévita Sandwich erbette 4 x 54 g Fr. 5.30

I sandwich Blévita aiutano a recuperare le forze durante le escursioni.

Durante l’escursione in montagna, fate una pausa e concedetevi un Blévita Sandwich: non solo vi regalerete un momento ricco di gusto all’aria aperta, ma riacquisterete anche nuove forze in vista della prossima meta. Il croccante snack dal ricco ripieno fornisce infatti la giusta energia per una giornata attiva. Inoltre, siccome si conserva senza refrigerazione ed è confezionato singolarmente, Blévita Sandwich è lo spuntino perfetto ogniqualvolta si è fuori casa.

Blévita Sandwich Nature 4x54 g Fr. 5.30

Blévita Sandwich Olive/Pomodori 4x54 g Fr. 5.30

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche Blévita.


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Idee e acquisti per la settimana

Belherbal

La cura giusta per ogni tipo di capello I prodotti per la cura dei capelli della linea svizzera Belherbal contengono sostanze di alta qualità e estratti naturali, sono dermatologicamente testati e hanno un pH neutro. Puliscono i capelli delicatamente e, grazie alle loro formulazioni neutre, sono particolarmente indicati per l’uso quotidiano. L’assortimento Belherbal annovera prodotti per ogni tipo di capello. Per capelli spenti e secchi si consiglia di utilizzare lo shampoo idratante con Aloe Vera e olio di camelia. Lo shampoo riflessi argentati anti-ingiallimento con estratti di fiordaliso conferisce ai capelli bianchi e grigi, rispettivamente tinti di biondo, una radiosa lucentezza argentata. Inoltre previene l’indesiderato ingiallimento nei capelli tinti di biondo.

Belherbal Shampoo anti-grasso 250 ml Fr. 3.85

Belherbal Shampoo Volume & Force 250 ml Fr. 3.85

Belherbal Shampoo riparante 250 ml Fr. 3.85

Belherbal Balsamo riparante 250 ml Fr. 4.35

Belherbal Shampoo idratante o riflessi argentati antiingiallimento 250 ml l’uno Fr. 3.85

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche i prodotti per la cura dei capelli Belherbal.


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Idee e acquisti per la settimana

Exelia

Fresco, floreale, fruttato

Profumo floreale: Exelia Orchid 1,5l Fr. 6.50

Profumo fruttato: Exelia Peach 1,5l Fr. 6.50

Gli ammorbidenti Exelia alla fragranza di pesca e di orchidea instillano un profumo duraturo nei vostri vestiti.

Se volete che la biancheria appena lavata sia vellutata e mantenga a lungo un buon odore, vi consigliamo il pregiato ed efficace balsamo ammorbidente di Exelia. Al profumo di fiori, di frutta o semplicemente di fresco: Exelia offre la fragranza più appropriata per ogni stagione e per ogni gusto. Grazie a speciali sostanze, questi ammorbidenti proteggono le fibre dall’usura ed evitano la carica elettrostatica dei tessuti, facilitandone considerevolmente la stiratura.

Delicato profumo di rosa: Exelia Florence 1,5l Fr. 6.50

Profumo d’estate: Exelia Summer Fresh 1,5l Fr. 6.50

Freschezza mattutina: Exelia Fresh Morning 1,5l Fr. 6.50

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali gli ammorbidenti Exelia.


E N O I Z U D I R I 50 % D SMART

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