Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 marzo 2016 ¶ N. 13
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Cultura e Spettacoli
La primavera si mette in mostra Mostre La Galleria Poma di Morcote apre le porte alla bella stagione
Alessia Brughera Botticelli la rappresenta come una fanciulla con un’incantevole veste fiorita e con il capo cinto da una ghirlanda floreale, mentre è intenta a spargere a terra le infiorescenze che porta in grembo. Immersa in un’ombreggiata boscaglia con alberi di aranci tutt’attorno e un prato verde costellato delle più variopinte specie vegetali, la vediamo nascere dalla ninfa Clori fecondata dal soffio del vento Zefiro: è la personificazione della primavera, essenza della natura più esuberante ed emblema della rinascita. Stagione in cui ogni cosa si desta dopo il torpore invernale, la primavera affascina da secoli pittori e scultori, che vogliono decantarne la bellezza cogliendo quel trionfo di colori e di forme che sembra far sbocciare il creato ogni volta come fosse la prima, irradiando una luce nuova che tutto avvolge e rende rigoglioso. Proprio a questo prodigioso momento e a come gli artisti lo hanno saputo immortalare è dedicata una mostra alla Galleria Poma di Morcote, che raccoglie una consistente quantità di lavori, tra dipinti e sculture, che vanno dai primi del Novecento a oggi. Allo spazio espositivo si arriva dopo aver camminato per pochi metri lungo la minuscola Strecia di mort. Entrando si ha subito l’impressione di trovarsi in un luogo che ha molto da raccontare, dove ogni cosa ha un motivo ben preciso per essere lì. Per ciascun’opera, difatti, c’è un aneddoto che ci viene rivelato dal gallerista quasi novantenne, arrivato negli anni Trenta in Ticino dall’Argentina legando la sua vita alle vicende storiche e culturali del cantone. Nella piccola galleria sono radunate decine e decine di sculture appoggiate ovunque e di dipinti appesi alle pareti o deposti a terra, che portano l’occhio a correre di continuo da un pezzo all’altro per cercare di coglierne le connessioni. Perché i numerosi lavori apparentemente affastellati, in realtà delineano percorsi interessanti e portano a scoprire affinità di soggetto e di stile man mano che ci si sofferma a guardarli con attenzione. Collocate in una posizione di rilievo rispetto alle altre, sono le opere che trattano il tema primaverile, raffigurato da molti autori attraverso le immagini più evocative del suo impulso vitale e della sua carica cromatica.
Cesare Lucchini, Giorno di festa, 1968, olio su tela.
Molti sono gli artisti ticinesi e svizzeri presenti, tanti anche i nomi internazionali, alcuni dei quali hanno trovato nel nostro cantone un luogo sicuro dove poter svolgere la loro attività. È il caso per esempio del futurista Roberto Iras Baldessari, che durante la Seconda guerra mondiale visse per alcuni anni in incognito proprio a Morcote, o del pittore Italo Valenti, che riparò ad Ascona per sfuggire alle persecuzioni nazi-fasciste e che si trasferì definitivamente in Svizzera nel 1952, entrando in contatto con molti degli artisti che in quel periodo frequentavano il borgo sul Lago Maggiore. Di Valenti troviamo un bel dipinto su tavola del 1950 molto vicino al linguaggio del movimento di Corrente, a cui aveva aderito nel 1937: qui la sua pittura, pervasa da un trasognato li-
rismo, mantiene ancora un legame con la figura prima di prendere la via dell’astrazione durante gli anni locarnesi. Ancora, tra gli italiani, s’incontrano il genovese Emilio Scanavino, con un olio del 1955 dal titolo Primavera, incidente, in cui il vivido colore rosso sangue con cui interpreta la stagione non manca di rimandare a un’interiorità tormentata, e il lecchese Ennio Morlotti, con il dipinto Paesaggio primaverile roccioso realizzato nel 1963, dove la ricca e spessa materia pittorica suggerisce una totale immersione nella natura. E poi Gianni Dova, Mario Schifano, Alfredo Chighine, Bruno Cassinari, fino ad arrivare alla grande tela del 1958 del fiorentino Paolo Frosecchi, in cui il soggetto primaverile diventa una luminosa composizione di statuari nudi miche-
langioleschi inseriti in un ambiente marino dalle chiare sfumature fluttuanti. Altri artisti internazionali sono Graham Sutherland, incluso nel percorso con un’opera dal titolo Flowers, del 1947, Max Ernst e lo sloveno Zoran Mušič, pittore di memorie e dolori presente in mostra con Primavera Dalmata, cavallini, del 1966, dipinto ineffabile, poetico e silenzioso che è trasfigurazione di un mondo esistenziale individuale. Tra gli esponenti dell’arte svizzera, Edmondo Dobrzanski rappresenta la bella stagione in un quadro intimista in cui il denso impasto di colore nero viene stemperato dalle tinte più accese riservate ai boccioli di fiori, conferendo alla tela un’inaspettata nitidezza; tra le opere ticinesi spiccano le Rose
gialle, datate 1956, di Massimo Cavalli, da cui emerge la forza del tratto e la tensione degli accostamenti cromatici tipici dell’artista di Locarno, e un lavoro degli anni Novanta di Renzo Ferrari, in cui la primavera sembra smarrirsi nell’abbondanza materica che accoglie il contrasto tra toni cupi e toni brillanti. Forse a ricordarci, come scriveva Charles Dickens, che in questo periodo dell’anno «è estate nella luce e inverno nell’ombra». Dove e quando
Aspettando la primavera, Galleria Poma, Morcote (Strecia di mort,1). Orari: ma-do 14.00-17.00 o su appuntamento. Fino al 1. maggio 2016. Telefono galleria 091 996 17 77.
L’avamposto del poeta Pubblicazioni Accanto a te sul pavimento, una raccolta di versi di Giovanni Orelli
Daniele Bernardi Il poeta non si muove, resta sul posto. Al massimo, talvolta, leva lo sguardo (come a prendere una boccata d’aria). Diceva Antonio Porta, in Invasioni (1984), «rialzi un attimo la testa / un respiro profondo e subito / di nuovo in apnea a succhiare / buio e gemiti». Nel caso di Giovanni Orelli, invece, questa «sacra» immobilità è data da altro: non si tratta di tenebre, ma di luce e vagiti, di clamori e schiamazzi (anche parolacce) che uno stuolo di bimbetti, suoi nipoti, lancia nell’aria, attorno al recinto della scrittura. Il titolo dell’ultima raccolta di versi dell’autore di Bedretto rivela, mia personale opinione, l’autentica posizione del poeta: Accanto a te sul pavimento. Poesie dedicate ai bambini (Interlinea, 2015). Tale atteggiamento, dichiaratamente presente fin dalla raccolta Quartine per Francesco. Un bambino in poesia (Interlinea, 2004), la dice lunga
su un certo fare poesia: non si tratta di assumere una postura frontale, di faccia al mondo, ma, piuttosto, una sorta di lateralità – poiché l’io poetico è volto, costantemente, al fuoco del suo operato. Questa specie di «avamposto»
Il nuovo libro di Giovanni Orelli.
mostra, al lettore, la posizione etica dell’autore e la dedizione incondizionata che ne anima il lavoro. Nel leggere i versi della raccolta viene da pensare, in tutt’altro modo, all’ostinata segretezza di un Costantino Kavafis o, ancora, a quella del grande Sandro Penna: autori per i quali vi fu, principalmente, un unico, preciso, oggetto di interesse capace di colmare della propria luminosità tutta una vita. È inoltre interessante notare quanto caratteristiche del genere siano simili a quelle del bambino stesso: infatti, quando gioca, il piccolo non si cura dello sguardo adulto – protetto come da una bolla di nebbia costruisce i suoi ordigni, dispone soldatini oppure, meticolosamente, arreda anfratti immaginari che lui solo è in grado di scorgere. Orelli, nella prima sezione del libro, dice ai lettori che i propri versi, allo stesso modo, non sono che personali «pensierini», «fragili cachinni», risatine «di un povero giullare» indaffarato nel rac-
cogliere e ordinare le briciole di vita che costellano il suo regno. Ed è al cospetto di questi resti, dei trucioli allegri che l’infanzia dissemina, che l’anziano poeta percepisce, forte, la consistenza effimera dell’esistere (tematica che, sovente, si presenta nella recente produzione dello scrittore). Nelle Nuove quartine per Francesco, che vanno a comporre la seconda sezione del volume, questo sentire è rappresentato, ad esempio, dalla descrizione del sonno, o meglio, del «dormiveglia»: «A ottant’anni è cominciato il dormiveglia? / Nonno – dicono gli occhi di Francesco – sveglia! // Sei parte ancora, sì o no?, della famiglia // of men? allora, su, alza le ciglia // alle cose del vivere, al subbuglio / del formicaio, al lieto guazzabuglio». Tra questi versi, che sembrano fare eco a quelli, celebri, della poesia di Andrea Zanzotto Al mondo («Mondo, sii, e buono; / esisti buonamente, / fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto»), abita la metafora che vede il poeta, in bilico sulla soglia dell’incoscienza,
guardare nel principio di quel «nero» che sarà, un giorno, la fine del suo tempo. Particolarmente affascinanti sono, a mio avviso, le ultime poesie, dedicate alla piccola Kalkidan, soprannominata Kali. Sarà forse perché, in tutta la raccolta, la sua è la sola presenza femminile (se si esclude quella delle madri) o, soprattutto, perché l’immagine di questa bimba dagli occhi «mobilissimi», «irruenti», «che irradiano», col suo «pianto d’Etiopia» porta in sé qualcosa di sconosciuto: «Non so se riesco a vedere cosa maturi in profondo / di te», scrive il poeta, «Del tuo passato non so, come tu non sai del mio / cara Kali, ma nostra infanzia (dato le abbiamo un diverso addio) / non erano in tutto diverse. Eran due fertili mondi». Questo «non sapere del passato» sembra sposarsi perfettamente con l’incognita di quel «dopo» che sarà oltre la vita e sul quale Orelli, con indosso la sbilenca maschera di Petrolini, dice commosso ai nipoti: «Mi dispiace di morire ma son contento».