I disturbi del comportamento alimentare sono in crescita, anche tra i giovanissimi, cosa fare?
Il Dalai Lama ha compiuto novant’anni: ne abbozziamo un ritratto insieme al suo biografo
ATTUALITÀ Pagina 16
La Fondazione Beyeler di Basilea celebra Vija Celmins, l’intrigante artista dei «cieli stellati»
CULTURA Pagina 19
Studio 4, un malinconico addio
Questo caldo ci ammazza
Quando dite «questo caldo mi ammazza», non state usando un semplice modo di dire. Non so se la sferza delle canicole possa dirsi definitivamente conclusa per quest’anno: MeteoSvizzera non si sbilancia in previsioni. Ma mentre viviamo qualche giorno sotto i 30 gradi, mi imbatto in uno sconcertante articolo dell’«Economist»: l’ondata di calore durata dieci giorni a partire dal 23 giugno 2025 ha causato, da sola, 2’300 morti in 12 città europee. Non vi figurano località svizzere, ma quella con il numero più alto di decessi è Milano (499), di cui 317 attribuiti direttamente al cambiamento climatico. Milano: la metropoli «fuori porta» per noi ticinesi. Tutto il mondo sobbolle, ma l’Europa sobbolle di più. Dal 1995, le temperature medie europee sono aumentate di 0,53°C per decennio, più del doppio rispetto alla media globale. Persino la riduzione dell’inquinamento atmosferico, di per sé positiva, ci gioca contro: ha eliminato alcuni inquinanti che riflettevano la luce
solare, contribuendo così al riscaldamento. Il problema? Le nostre città sembrano incapaci di adattarsi. A parità di temperature estreme, il rischio di mortalità è molto più alto in Europa che in Asia o nelle Americhe. A Torino, spiega l’«Economist» citando uno studio pubblicato su «Nature Communications», nei giorni più roventi il rischio di morte aumenta del 50%, contro il 14% di Toronto. Inoltre, tutta l’Europa soffre, ma le città soffrono di più. Analizzando la percezione del rischio da caldo cittadino a Berna, una tesi dell’Università della capitale mostra che il fenomeno dell’isola di calore urbana può far schizzare la temperatura notturna fino a 10°C in più rispetto alle aree rurali. A questo punto, fossi molto anziano o avessi bimbi piccoli eviterei di vivere in città. Il programma di ricerca sull’amplificazione degli eventi estremi del Climate Physics Group dell’ETH di Zurigo sostiene che, entro il 2100, le ondate di caldo simultanee di giorno e di notte potrebbero di-
ventare fino a 8 volte più frequenti e durare fino a 5 volte più a lungo. Le città svizzere più esposte? Lugano (sì, proprio lei) e Ginevra, seguite da Zurigo, Berna e Basilea. Che fare? Bisogna ribadire con forza che, oltre alle guerre note e visibili, ce n’è una silenziosa che uccide senza far titoli sui giornali: il surriscaldamento del pianeta. Lo so, di questi tempi la causa non gode di molte simpatie: né in Europa, dove il Green Deal è stato indebolito, né negli Usa, dove il presidente è convinto che il cambiamento climatico sia una «tassa molto costosa» e un «problema inventato». Sperando in un rinsavimento generale, anche da noi diventa urgente l’adozione di piani urbani di raffrescamento con progetti come la riforestazione e la sostituzione degli alberi abbattuti in passato (aspetti considerati anche dal label Cittàverde di cui parla a pag. 7 Stefania Hubmann). En attendand , se vi aggirate in città cercatevi una panchina all’ombra o portatevi un ventaglio.
Un viaggio di vent’anni tra Amsterdam, il Mar del Nord e paesaggi che ricordano la Liguria
TEMPO LIBERO Pagina 29
«Azione» festeggia i 100 anni di Migros
Il 15 agosto del 1925
Gottlieb Duttweiler iscriveva la Migros nel registro di commercio, mentre in strada apparivano i primi cinque camion vendita. Un’intuizione, la sua, che avrebbe rivoluzionato definitivamente le modalità di Svizzere e Svizzeri di fare la spesa. Il prossimo numero di «Azione», che uscirà il primo settembre del 2025, in via eccezionale, sarà interamente dedicato alla storia di un uomo straordinario e di tutto quello che, insieme alla moglie Adele, egli è riuscito a creare in questi 100 anni. Un numero speciale ricco di ricordi, storia, stimoli e concorsi: non perdetevelo!
Olmo Cerri Pagina 25
Carlo Silini
ACTIV FITNESS ora anche al Serfontana
Info
Migros ◆ Migros Ticino inaugura l’ottavo centro ACTIV FITNESS a Morbio Inferiore
A partire da venerdì 29 agosto, la catena di centri fitness ACTIV FITNESS sarà presente anche a Morbio Inferiore, al secondo piano del rinnovato Centro Shopping Serfontana, in Viale Serfontana 20. Per celebrare l’apertura, fino al 30 settembre sarà possibile sottoscrivere un abbonamento annuale a un prezzo speciale: 649 franchi anziché 799. Per apprendisti, studenti e beneficiari AVS/AI, il costo promozionale sarà di 549 franchi anziché 699.
Un centro all’avanguardia e facilmente accessibile
Situato a poche centinaia di metri dall’uscita autostradale di Chiasso, il nuovo centro ACTIV FITNESS di Morbio Inferiore si estende su una superficie di circa 1100 metri quadrati. Grazie a un investimento di 2,2 milioni di franchi, la palestra è stata dotata di attrezzature di ultima generazione firmate Technogym ed Escape, garantendo un eccezionale rapporto qualità-prezzo.
Il centro offrirà un’esperienza fitness completa, basata su allenamento della forza, resistenza, coordinazione e agilità, con l’obiettivo di migliorare la forma fisica e il benessere generale. Gli iscritti avranno accesso a un ricco programma settimanale di circa 25 ore di corsi di gruppo, che includeranno le più recenti tendenze del settore, come Bodytoning, BodyPump, Yoga-Flex, Vital-Fit, Pilates e BodyCombat.
L’abbonamento annuale comprenderà inoltre:
• Accesso allo Spazio bambini custodito, ideale per chi ha figli.
• Utilizzo della zona relax, con sauna e biosauna.
• Accesso a oltre 120 centri ACTIV FITNESS in tutta la Svizzera.
• Un programma d’allenamento personalizzato, elaborato da istrutto-
Triathlon, palcoscenico sportivo d’eccezione
Sponsoring ◆ Il 6 e 7 settembre a Locarno torna l’appuntamento sportivo che unisce campioni, giovani talenti e garantisce divertimento a tutta la famiglia
Il Triathlon Locarno torna puntuale a settembre con l’entusiasmo di sempre, arricchito da oltre 40 anni di esperienza e tante novità che renderanno l’edizione 2025 ancora più speciale. Il 6 e 7 settembre la città si trasformerà in un palcoscenico sportivo d’eccezione. La domenica sarà dedicata ai Campionati Svizzeri sulla Distanza Olimpica, una sfida che vedrà i migliori atleti di tutta la Svizzera contendersi il titolo nazionale. Nella stessa giornata si disputeranno anche la tradizionale Media Distanza e la prova Olimpico a squadre. Il sabato sarà invece dedicato soprattutto ai più giovani, con gare a partire dai 3 anni di età: un momento di festa e condivisione per bambini, famiglie e spettatori, arricchito da una rinnovata area bimbi realizzata in collaborazione con il Centro Balneare Regionale.
Concorso
«Azione» mette in palio 5 biglietti per il Mini Tri di sabato 6 settembre 2025 all’interno del Locarno Triathlon. Per partecipare all’estrazione inviare una mail a giochi@azione. ch (oggetto: «Triathlon») indicando dati personali entro domenica 31 agosto 2025.
Anche quest’anno sarà presente
Nicola Spirig, Oro Olimpico a Londra 2012 e Argento a Rio de Janeiro 2016, con il suo circuito «Pho3nix Kids Triathlon by Nicola Spirig», pensato per avvicinare i giovanissimi alla disciplina.
Prosegue inoltre la consolidata collaborazione con UNICEF, charity partner ufficiale dell’evento, con una postazione dedicata alla raccolta fondi a favore dell’infanzia e attività ludiche per i più piccoli.
Il programma del sabato proseguirà con le competizioni per ragazze e ragazzi, per poi concludersi con il Duathlon, il Mini Tri e il Mini Tri a squadre: sfide aperte a team di aziende, associazioni o gruppi di ami-
ci, con la possibilità di scegliere la distanza più adatta, dal percorso breve per i neofiti fino alla distanza olimpica della domenica.
Tutti gli atleti che taglieranno il traguardo riceveranno la Medaglia Finisher e la maglia ufficiale, simboli concreti dell’impegno e della determinazione dimostrati.
Non mancheranno una buvette ricca di specialità gastronomiche, spettacoli dal vivo e una vasta area espositiva con articoli sportivi e non solo.
Info e prenotazioni
www.3locarno.ch
ri altamente qualificati, che forniranno supporto per tutta la durata dell’abbonamento.
Una squadra competente per un servizio di qualità
Sotto la guida del gerente Matteo Peruzzotti, il centro di Morbio Inferiore impiegherà una quindicina di collaboratori, tra istruttori fitness
e istruttori di corsi di gruppo, garantendo un’assistenza professionale e personalizzata.
• ACTIV FITNESS è aperto 365 giorni all’anno, con personale sempre presente, inclusi domeniche e festivi.
• ACTIV FITNESS: una storia di successo in Ticino
• ACTIV FITNESS è presente in Ticino dal 2014, anno in cui è stato inaugurato il primo centro a Losone. Da allora, la catena ha registrato un grande successo, arrivando a contare ben otto sedi sul territorio cantonale, tra cui Bellinzona, Giubiasco, Losone, Lugano, Mendrisio, Riazzino, Vezia e ora Morbio Inferiore.
• ACTIV FITNESS opera in franchising grazie a una collaborazione tra Migros Ticino e MoveMi AG, società della Cooperativa Migros Zurigo, leader del settore fitness in Svizzera con oltre 120 centri e 200’000 iscritti.
Prossime aperture
Nel mese di ottobre è prevista l’inaugurazione di un nuovo centro ACTIV FITNESS a Biasca. Ulteriori dettagli verranno comunicati prossimamente.
Informazioni e contatti info@activfitnessticino.ch
Spettacolo e tradizione
Sponsoring ◆ Il 20 settembre tutti a Biasca per la Festa cantonale ticinese di Lotta svizzera
Tra meno di un mese centinaia di atleti e migliaia di spettatori da tutta la Svizzera si riuniranno a Biasca per la Festa cantonale di Lotta svizzera, grande evento popolare e sportivo, unica tappa ufficiale in Ticino del circuito della Federazione di Lotta Svizzera ESV. Ne abbiamo parlato con Ivan Trezzini, membro di comitato della Festa Cantonale di lotta svizzera.
Ivan Trezzini, perché nella vita si dovrebbe partecipare almeno una volta a un incontro di lotta svizzera?
Perché significa immergersi in una tradizione autenticamente svizzera, che unisce sport, cultura e comunità. È un’esperienza unica: si respira l’orgoglio per le radici, si assiste a una disciplina che esprime forza, rispetto e lealtà, e al tempo stesso si vive
un’atmosfera festosa e popolare. Ci si sente parte di qualcosa di più grande: la nostra storia e la nostra identità.
Dove nasce questa sua passione? La passione nasce dal suo fascino unico: la lotta svizzera è sia uno sport spettacolare sia la celebrazione di valori semplici e genuini. Mi colpisce la combinazione tra la potenza atletica degli atleti e il rispetto con cui si affrontano, sempre con una stretta di mano prima e dopo il combattimento. È uno sport che emoziona e unisce generazioni.
Cosa ci si può attendere da questa giornata?
Sarà più di una competizione sportiva. Sarà una festa popolare, con l’arena gremita di 5000 tifosi, famiglie e curiosi, con musica, buon cibo ticinese, raclette, griglia e convivialità. Ci si emozionerà con gli scontri tra i migliori lottatori e si applaudiranno i giovani talenti, tutto ciò in un contesto unico.
Chi sono i campioni da non perdersi?
La presenza di Joel Wicki, uno dei grandi protagonisti e veri fuoriclasse di questo sport, è per noi un onore immenso. Accanto a lui ci saranno anche giovani promesse che incarnano il futuro della disciplina.
Informazioni www.fctls.ch
Un’immagine da un’edizione passata di Triathlon Locarno. (Foto Garbani)
Uno sport spettacolare che rappresenta la tradizione svizzera.
SOCIETÀ
Professione: guida turistica
L’Associazione Guide Turistiche della Svizzera italiana compie trent’anni e guarda al futuro
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Cittàverde, un label nazionale
In Ticino solo Sorengo ha la certificazione dell’Unione svizzera dei servizi dei parchi e giardini
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Visita allo sportello digitale
Al Centro ATTE di Chiasso ci si incontra per risolvere i problemi legati all’uso di smartphone e tablet
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Benessere e attività manuali
Creare qualcosa con le proprie mani apporta numerosi benefici alla salute psicofisica
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Sempre più giovani soffrono di disturbi alimentari
Salute ◆ L’approccio sistemico e multidisciplinare è la via per riconoscere e curare i disturbi del comportamento alimentare
Ne parliamo con la dottoressa Alessandra Gritti
A dieci anni si dovrebbe giocare. Si dovrebbe avere ancora la bocca sporca di cioccolato, le ginocchia sbucciate per le corse in cortile, i sogni pieni di avventure fantastiche. E invece, a quell’età, c’è chi inizia a contare le calorie, a guardarsi allo specchio con occhi crudeli, a vivere con la paura di un piatto di pasta. Eppure, l’alimentazione è essenziale per la sopravvivenza di qualsiasi organismo vivente. Negli ultimi anni, in Svizzera e in Ticino, i disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono cresciuti in modo allarmante soprattutto tra i più giovani. I dati più recenti risalgono a dopo la pandemia e indicano un aumento dei casi fino al 50%, con un’età di insorgenza che scende anche sotto i dieci anni: uno studio della Scuola universitaria professionale di Berna e Insel Gruppe (giugno 2022) evidenzia un incremento post-Covid compreso tra il 30 e il 50% dei nuovi casi in Svizzera durante il biennio 202021; il 3% della popolazione ne soffre (di cui fino al 20% sono giovani fra i 12 e i 25 anni). In Ticino, il Centro DCA di Mendrisio segnala un aumento tra il 30 e il 40% dei casi, mentre il profilo dei pazienti indica che nel 2023 il 70% dei nuovi casi riguarda persone con meno di 20 anni e un abbassamento dell’età di esordio sotto i 12 anni. Ragazze adolescenti, ma anche bambini e giovani uomini, finiscono sempre più spesso in cura per anoressia, bulimia o binge eating Cosa succede è riassunto sulla «Révue Medicale» nell’articolo del dottor Marco Solcà e altri suoi colleghi (Dipartimento di psichiatria dell’Ospedale universitario di Ginevra): «Nei disturbi alimentari, il processo vitale dell’alimentazione si trasforma in una fonte di sofferenza psicologica, portando a conseguenze somatiche e impattando sul funzionamento dell’individuo e di coloro che lo circondano». Una crisi silenziosa che si manifesta nel piatto, ma affonda le radici nella psiche e nel contesto sociale, e che oggi chiede attenzione, prevenzione e risposte concrete. Ne parliamo con la dottoressa Alessandra Gritti (Psicologa e psicoterapeuta Sistemico Relazionale, specialista nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare) che venerdì 26 settembre alla Residenza al Parco Tertianum a Muralto sarà una delle relatrici al Simposio promosso dalla Società Ticinese di Ricerca e Psicoterapia Sistemica (STIRPS) sul tema dei cambiamenti intercorsi in differenti ambiti legati alla famiglia in questi ultimi 35 anni. Gritti definisce l’approccio «sistemico» come una terapia che non si concentra solo sull’individuo, ma su relazioni, dinamiche e comunicazio-
ne: «L’approccio sistemico permette di osservare il funzionamento di un elemento dentro al contesto in cui vive, si muove, pensa e agisce, partendo dal presupposto che ogni elemento di un sistema acquisisce un significato e un valore proprio nei confronti e nelle relazioni con gli altri elementi dello stesso sistema. Essendo la famiglia un sistema, sottoponendo a un cambiamento uno dei suoi elementi, subiranno un cambiamento anche tutti gli altri, e questo accade nella sofferenza così come nella cura. Quindi, nella psicopatologia ciascuno può muoversi in un circolo vizioso dove la sofferenza amplifica se stessa ma, così come nelle relazioni tra i membri del sistema, si può innescare una complessità di cambiamenti attraverso la terapia familiare in cui la cura reciproca dà il via a un circolo virtuoso».
La specialista sottolinea: «L’approccio considera tutta la famiglia in modo sistemico, perché è in quel contesto che il paziente, o la paziente, prende da sempre la sua linfa dell’esistenza. I due formati della terapia in parallelo (terapia famigliare e quella individuale) permettono di considerare l’integrazione di questi due sottosistemi». Nel trattamento dei disturbi alimentari emerge l’importanza di coinvolgere la famiglia non solo come contesto, ma come prezio-
sa ed essenziale risorsa nel percorso di cura: «Lo psicoterapeuta sistemico deve poter lavorare con tutta la famiglia nel ricostruire quali situazioni hanno fatto traboccare il vaso della sofferenza che ha preso forma del disturbo alimentare». Le «fatiche emotive e psicologiche» poggiano inconsapevolmente sul sistema relazionale famigliare, strutturando nel tempo la sofferenza: «Lavorare con la famiglia significa potere ricostruire la consapevolezza di dove e come le cose non sono andate come i genitori si auguravano, insieme agli elementi della vita che possono accadere e diventare eventi più o meno traumatici. Ricostruire tutti insieme, acquisire consapevolezza di tutto quanto è accaduto, anche di ciò che è andato bene, permette a tutti i membri di ritrovare nuove risorse lavorando su di sé: i genitori possono acquisire solidità, sicurezza di sé, trattare i propri sospesi, fare pace con il proprio passato e la propria vita e i propri traumi. Ciò permette ai figli di poter avere guide emotivamente rassicuranti anche dal punto di vista psichico».
Ciò non significa stigmatizzare i genitori o, peggio, attribuire loro responsabilità: «Ma bisogna prendere coscienza di quei giochi relazionali molto antichi nella storia dei genitori ancora prima di diventare genitori.
È come gettare le basi per affrontare la vita maturando consapevolezza. Non significa “dare una responsabilità, né tantomeno una colpa” ai genitori, ma è andare tutti insieme a riavvolgere il filo della vita per riposizionarsi in una dimensione trigenerazionale che permette di comprendere dove e come si siano innestate quelle fatiche che coinvolgono tutto il nucleo famigliare».
La presa in carico nella cura di pazienti con DCA è multidisciplinare: «L’équipe multidisciplinare è essenziale perché unisce la parte di cura psicoterapica con quella del corpo. Quindi, è importante la collaborazione fra psicologi, medici, nutrizionisti, infermieri: solo così ci si può prendere adeguatamente cura del corpo (internista o dietologo o nutrizionista), mentre della mente, degli affetti e delle relazioni ci prendiamo cura noi psicoterapeuti (psicologi sistemici, psichiatri o neuropsichiatri)». Inoltre, la buona presa in carico si sviluppa su due binari paralleli che si integrano fra loro: «Quello di terapia famigliare e quello di terapia individuale, nella quale si affronteranno alcuni temi più attinenti al funzionamento individuale e relazionale del paziente». Per i genitori, riconoscere precocemente i sintomi è fondamentale per una guarigione più rapida e duratura
L’ossessione per le calorie è uno dei segnali comportamentali da non sottovalutare. (Freepik.com)
e i segnali d’allarme non vanno sottovalutati: «Alcuni segnali comportamentali sono ossessione per il cibo, calorie e dieta; evitamento di pasti in famiglia o comportamenti apparentemente insoliti o bizzarri a tavola; isolamento sociale; umore instabile, irritabilità o depressione. I segnali fisici sono perdita di peso evidente o fluttuazioni anomale, stanchezza cronica, alterazione del ciclo mestruale. Alcuni emotivi e psicologici: bassa autostima legata all’aspetto fisico, paura di ingrassare anche se il peso è normale o basso, controllo eccessivo su alimentazione ed esercizio fisico». Gritti non promette guarigioni veloci: «Ma guarire si può, in un “tempo che sembra lungo, ma è la strada più breve” che è proprio quello della terapia famigliare sistemica e della presa a carico multidisciplinare». I disturbi alimentari non sono semplici «capricci» o problemi legati al cibo, ma segnali profondi di sofferenze che spesso coinvolgono l’intero sistema familiare e relazionale. Lo sguardo sistemico e la collaborazione tra professionisti offrono una strada concreta e rispettosa per accompagnare i pazienti e le loro famiglie verso un cambiamento possibile. Nessuno guarisce da solo e nessuno dev’essere lasciato solo. Chiedere aiuto è già un primo passo di cura.
Maria Grazia Buletti
Voglia di un succulento roast beef?
Attualità ◆ Grazie alla nostra offerta weekend a prezzo imbattibile sull’entrecôte Black Angus, cucinare un piatto coi fiocchi è semplicissimo
Tenero, succoso e irresistibile: il roast beef è una preparazione intramontabile che conquista grandi e piccoli buongustai grazie alla sua semplicità e al suo sapore autentico. Gustato sia caldo che freddo a fettine sottili, è un piatto versatile che si adatta a tutte le occasioni.
I tagli del manzo più indicati per ottenere un ottimo risultato, possono per esempio essere il pregiato filetto, lo scamone, la fesa oppure anche l’entrecôte, che, grazie alla sua fine marezzatura, consente di ottenere una carne particolarmente tenera e succosa.
Una delle razze bovine più rinomate per la produzione di carne di eccellente qualità, è il Black Angus. Questa razza originaria della Scozia si distingue per la carne dalle fibre delicate, con un’uniforme distribuzione del grasso intramuscolare che, sciogliendosi in cottura, permette di ottenere una morbidezza unica e un sapore succulento del taglio.
Preparare un buon roast beef non è particolarmente complicato, ma è importante seguire alcuni accorgimenti. Il modo ideale per cucinarlo è alla griglia, ma in alternativa si può preparare anche in padella e forno. Una ricetta semplice? Togliere la carne, p.es un’entrecôte intera, dal frigorifero almeno mezz’ora prima, in modo da ottenere una cottura più uniforme. Spennellare leggermente la carne con dell’olio di oliva e condirla con sale e pepe macinato di fresco. A piacere aggiungere qualche erbetta aromatica come rosmarino o timo. Trasferire il pezzo sulla griglia ben calda e cuocere a fuoco vivo per una decina di minuti, girando di tanto in tanto, finché si forma una crosticina in superficie. Abbassare il calore della griglia (o alzare la graticola) e continuare la cottura a fuoco moderato per altri quindici minuti finché la temperatura ideale al cuore raggiunge i 55 °C circa. Prima di affettare, avvolgere la carne in carta alu e lasciar riposare per una decina di minuti. Buon appetito!
Entrecôte di manzo Black Angus Uruguay, pezzo intero da ca. 700
Freschezza regionale in tavola
Attualità
◆ I Büscion di capra dei Nostrani del Ticino sono un must della tavola estiva
I formaggi di capra sono conosciuti e apprezzati per il loro sapore tipico e caratteristico, fresco e delicato da giovani e vieppiù pronunciato col passare della stagionatura.
Una specialità a base di latte di capra particolarmente apprezzata alle nostre latitudini è rappresentata dai Büscion, un formaggio fresco disponibile a Migros Ticino da produzione artigianale locale. A produrli è la Fattoria del Faggio di Sonvico, azienda agricola fondata oltre trent’anni fa dalla famiglia Rezzonico. Nella stalla a stabulazione libera dell’azienda vengono allevate oltre cento capre da latte, principalmente di razza Saanen, animali dal caratteristico manto bianco noti per la quantità e qualità del latte.
I Büscion si distinguono per il loro aspetto cilindrico, di ca. 3-5 cm di diametro e 10 cm di lunghezza. La pasta è molle, morbida e facilmente spalmabile, dal tipico colore bianco avorio. Il sapore è fragrante, delicato, con note leggermente acidule. Questi formaggini sono ottimi sia gustati da soli, sia per arricchire altre
Croccantezza dal forno di pietra
Pane della settimana ◆ Il Twister rustico è un pane scuro di farine biologiche che sorprende per le sue
Possiede una crosta particolarmente croccante, una mollica morbida e ben areata.
Il Twister rustico è un tipo di pane intrecciato prodotto con farine scure di frumento e segale, arricchito con amaranto e semi oleosi di lino e sesamo.
Grazie a una lavorazione artigianale nel rispetto della tradizione da parte di esperti panettieri, ma con l’ausilio di tecnologie all’avanguardia per garantire la massima qualità, questo pane promette un piacere autentico in grado di soddisfare anche i palati più difficili.
All’assaggio possiede un sapore fresco, pronunciato ma equilibrato, con delicate note di tostatura.
Più lungo è il tempo di lievitazione dell’impasto del pane, più intenso sarà il suo aroma e più durevole la sua conservabilità. Per questo il Twister rustico riposa almeno sei ore prima di essere infornato in uno speciale forno con piastra di granito.
Pasta. Bouillon. Basta.
In virtù dei suoi pregiati ingredienti, questo pane si gusta al meglio con dei formaggi stagionati, dei salumi aromatici oppure spalmato con burro e miele per una colazione corroborante.
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Twister rustico Bio dal forno a pietra 360 g Fr. 3.20
Guide turistiche tra professionalità e sfide
Territorio ◆ Nella Svizzera italiana da 30 anni esiste un’associazione che raggruppa le guide turistiche attive professionalmente, abbiamo intervistato la presidente Patricia Carminati
Guido Grilli
Il Cicerone, le bandierine colorate, il classico selfie di gruppo. Tutti stereotipi? «La verità è che cerchiamo di fare stare bene i nostri ospiti, di offrire dei momenti speciali per assaporare e scoprire il nostro territorio». Patricia Carminati, attiva nel turismo da 33 anni, presidente dell’Associazione Guide Turistiche della Svizzera italiana (www.guidesi.ch), sodalizio quest’anno al traguardo del suo trentesimo anniversario, ci illustra la fotografia di una professione in fermento, in definitiva ancora alla ricerca di una sua solida identità e in attesa di essere istituzionalmente riconosciuta. Confrontata con una grande concorrenza, specie dalla vicina Italia, richiede tanta passione e la capacità di reinventarsi ogni giorno.
Tra gli obiettivi futuri vi è la realizzazione di un curriculum formativo e il riconoscimento della
flessibili, perché non si hanno mai orari, lavoriamo nei weekend e nei giorni festivi. Talvolta in un giorno abbiamo solo due ore di occupazione, altre volte siamo attivi fino a tarda sera o molto presto il mattino. Ci spostiamo tra le località del Ticino da sud a nord, un giorno sei a Lugano, un altro in Valle Verzasca. Facciamo anche tour in bicicletta con le nostre guide certificate Swiss Cycling. L’attività è davvero variegata e con molte sinergie con altri operatori nel territorio.
E sembra di intuire che ci sia tanta concorrenza. Con guide «abusive» che operano in Ticino. In realtà non possiamo definirle così, perché non c’è una legge che vieta alle guide provenienti da altri Paesi di svolgere il nostro mestiere. Dobbiamo distinguere: c’è la figura della guida locale che fa turismo di accoglienza; poi ci sono le accom-
vece, al nostro lavoro altre attività professionali, si tratta di una scelta personale.
Rispetto al passato sono cambiati i profili dei turisti in termini di esigenze?
I turisti adesso cercano quella che universalmente viene definita «esperienza». Un termine che a me personalmente non piace molto, perché ritengo che tutto in realtà rappresenti un’esperienza. Il visitatore richiede cose semplici, autentiche, genuine. Il nostro punto di forza, in Ticino, secondo me risiede nel fatto che le nostre città sono ancora vere. Abbiamo visto di recente le difficoltà che hanno conosciuto Como, Venezia o Barcellona, luoghi divenuti come Disneyland, un posto solo da visitare in cui le persone del luogo non abitano più. Occorre dunque mantenere il concetto di sostenibilità nel turismo, dove le città in primis
Oltre alle bellezze del nostro territorio il visitatore oggi richiede cose semplici, autentiche, genuine. (Wikimedia)
Sorengo è la prima Cittàverde del Ticino
Ambiente ◆ Dopo il comune del Luganese ora anche a Bellinzona c’è chi si interessa al label nazionale dell’Unione svizzera dei servizi dei parchi e giardini (USSP)
Stefania Hubmann
La prima Cittàverde Svizzera in Ticino è un piccolo Comune del Luganese: Sorengo. Ciò dimostra come sia possibile avere una visione e una strategia a favore di una maggiore attenzione all’ambiente e di conseguenza alla qualità di vita anche partendo da una realtà circoscritta. Questo label nazionale è soprattutto un punto di partenza per continuare a promuovere misure, stimolare comportamenti e fornire esempi virtuosi in modo che tutti possano contribuire a rendere il luogo in cui abitano più sostenibile. Già diffuso nel resto del Paese da alcuni anni, il marchio Cittàverde Svizzera grazie all’esperienza di Sorengo, che ha ottenuto il riconoscimento lo scorso giugno, potrà conoscere un impulso anche a Sud delle Alpi. Le sollecitazioni nei confronti delle autorità non mancano come testimonia l’interpellanza presentata il 7 luglio scorso al Municipio della Città di Bellinzona dal gruppo Verdi, Forum Alternativo e indipendenti.
Torniamo però subito a Sorengo che con lungimiranza ha compiuto negli ultimi anni i passi necessari per presentare nel 2024 la propria candidatura a Cittàverde Svizzera, label dell’Unione svizzera dei servizi dei parchi e giardini (USSP), centro di competenza per lo spazio verde pubblico dei Comuni di cui fanno parte circa 170 enti. A livello ticinese risultano quali membri Bellinzona, Locarno, Lugano, Mendrisio, Muralto e appunto Sorengo. L’obiettivo del marchio è di «premiare le Città e i Comuni che adottano una politica del verde orientata verso il futuro e innovativa», come ha riferito il presidente della Commissione Cittàverde Svizzera e membro del comitato USSP Markus Weibel durante il suo intervento alla cerimonia di consegna della medaglia di bronzo al Comune di Sorengo. Come si intuisce da quest’ultimo aspetto, il Comune luganese può ulteriormente ampliare i progetti in questa direzione e ambire alle medaglie più prestigiose. L’obiettivo del marchio è di «premiare le Città e i Comuni che adottano una politica del verde orientata verso il futuro e innovativa»
Con poco più di 2000 abitanti Sorengo ha compiuto uno sforzo significativo per ottenere questa certificazione, poiché le esigenze da soddisfare sono elevate. Come detto, il Comune è però forte di una visione lanciata diversi anni fa con il progetto «Sorengo Green». Per la sindaca Antonella Meuli la soddisfazione riguardo al riconoscimento nazionale è legata proprio all’impegno costante maturato con il tempo. Spiega ad Azione: «Siamo partiti con il desiderio di costruire passo dopo passo un’attenzione crescente al territorio. L’approccio è stato favorito dalla visione dell’architetto Gastone Boisco, responsabile dell’Uf-
azione
Settimanale edito da Migros Ticino
Fondato nel 1938
Abbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31
ficio tecnico, dalla sensibilità dei colleghi di Municipio, dal lavoro della squadra esterna e dalla partecipazione della popolazione. Si tratta quindi di un impegno corale a lungo termine rivolto alle nuove generazioni come ho ribadito durante la cerimonia di consegna». Tutela ambientale e promozione della biodiversità passano da strumenti strategici che Sorengo ha saputo adottare nel contesto di un insieme strutturato: ancora Antonella Meuli: «Per valutare la situazione di partenza e pianificare le misure finalizzate agli obiettivi è stato necessario elaborare diversi documenti, dal PAC (Piano d’Azione Comunale) al Piano di promozione della biodiversità, dal Bilancio di sostenibilità ambien-
tale allo Studio sulle isole di calore al Piano del verde e a quello dei percorsi pedonali». Questa pianificazione ha permesso di realizzare progetti concreti. Quali sono i principali per la sindaca? «È sicuramente significativa la prima azione rappresentata dal meleto realizzato su un terreno comunale dove sono stati piantati trenta alberi di mele. L’idea è stata suggerita da una mozione, per cui sin da subito si è partiti con proposte condivise coinvolgendo le scuole e la popolazione. Così è stato pure per il progetto sulle piante rare legate al laghetto di Muzzano e l’anno scorso nell’ambito dell’iniziativa “Biodiversità: c’è vita in città!” Nel 2024 è stato inoltre votato un credito per la realizzazione di un
sottopasso per gli anfibi in via al Laghetto. Cito inoltre la transumanza delle pecore e la ristrutturazione del parco sportivo utilizzando materiali riciclati». Sorengo dimostra che a favore dell’ambiente e del verde pubblico si può agire con piccoli progetti che passano, come rileva ancora la nostra interlocutrice «da un cambiamento di mentalità da applicare anche nella manutenzione degli spazi verdi privati. La comunità di Sorengo è viva e sensibile. Il Comune la coinvolge offrendole consigli e soluzioni (come la linea guida del verde comunale), ma evitando le imposizioni». Sorengo auspica infine di rappresentare un esempio per altri Comuni, in particolare le Città il cui impatto territoriale e dal punto di vista umano è di gran lunga maggiore. A Bellinzona le autorità comunali sono state di recente sollecitate proprio sul marchio Cittàverde Svizzera da un’interpellanza firmata da Kevin Simao Ograbek, Sara Nisi e Lorenza Röhrenbach per il Gruppo Verdi, Forum Alternativo e indipendenti. Nel testo si rileva che «la gestione oculata del verde urbano è fondamentale per
La certificazione come punto di partenza
Oltre al virtuoso esempio di Sorengo – afferma Markus Weibel, presidente della Commissione Cittàverde Svizzera – al momento non vi è alcun Comune ticinese che abbia avviato la procedura per l’ottenimento del marchio. «La Commissione – aggiunge al riguardo – sta facendo tutto il possibile per promuovere il label nell’intero Paese e ha compiuto un primo passo importante garantendo la presenza di tutte e tre le lingue nazionali nel segretariato, nel catalogo delle misure e nel team di consulenza. Il marchio è diffuso in modo simile sia nella Svizzera tedesca che in quella francese. I Comuni certificati sono una ventina e per circa
Redazione Carlo Silini (redattore responsabile) Simona Sala Barbara Manzoni Manuela Mazzi Romina Borla Ivan Leoni
altri dieci è in corso il processo. Per il Ticino, dopo la certificazione di Sorengo, ci aspettiamo un aumento dell’attenzione e del numero di Città e Comuni che potranno definirsi Cittàverde Svizzera. L’esperienza dimostra infatti che l’assegnazione del label rafforza l’interesse dei Comuni circostanti». La procedura di certificazione è impegnativa e va considerata come il punto di partenza di un obiettivo a lungo termine, anche perché è prevista una rivalutazione ogni quattro anni. I vantaggi di potersi fregiare del marchio sono però molteplici. Sul suo valore il presidente Weibel evidenzia cinque aspetti: «Il marchio riveste
una grande importanza strategica per la promozione della biodiversità e sostiene la qualità degli spazi aperti nel contesto della crescente densificazione delle città e dei comuni. In secondo luogo rafforza l’uso economico delle risorse e dell’energia, fornendo un contributo essenziale alla gestione delle sfide poste dal cambiamento climatico. Alla popolazione garantisce spazi verdi di alta qualità tenendo in considerazione le esigenze di tutte le generazioni. All’amministrazione comunale e ai suoi giardinieri consente di accedere alle più recenti conoscenze in materia di progettazione e manutenzione, oltre a garantire, attraverso una
garantire sicurezza, salute e qualità di vita sufficienti». «A Bellinzona il tema del verde in città – afferma Kevin Simao Ograbek – è ricorrente e riscalda sempre gli animi (vedi quest’estate il nuovo arredo di Piazza del Sole). Il label Cittàverde Svizzera è già piuttosto diffuso nel resto del Paese dove si vedono opere concrete sia in grandi centri quali Zurigo e Winterthur, dove i cambiamenti concernono interi quartieri, come pure in cittadine quali Porrentruy. Rinaturare i corsi d’acqua, rendere il suolo più permeabile e favorire la biodiversità sono esempi di interventi possibili, alcuni dei quali hanno pure un risvolto sociale. Gli strumenti teorici e tecnici per agire a favore del verde urbano in Svizzera quindi non mancano». Il label Cittàverde Svizzera rappresenta quindi un’ottima opportunità per stimolare e accompagnare i Comuni verso questo tipo di interventi favorendo una visione d’insieme di come sia possibile rendere il territorio più in sintonia con la natura e l’evoluzione climatica. A beneficiarne, fornendo il proprio contributo, sono innanzitutto gli abitanti.
consulenza professionale, un passaggio di conoscenze degli spazi verdi. Questi diventano più attrattivi, esercitando di conseguenza un’influenza positiva anche sulle autorità e la politica». Il marchio promosso dall’Unione svizzera dei servizi dei parchi e giardini (USSP), è sostenuto in maniera determinante dall’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM). Gli scambi fra i diversi attori di Cittàverde Svizzera favoriscono un potenziamento della rete sulle buone pratiche a livello nazionale e regionale.
Informazioni: www.gruenstadt-schweiz.ch
Per la sindaca di Sorengo Antonella Meuli il riconoscimento è il risultato di un impegno corale a lungo termine e di un’attenta pianificazione che ha permesso di realizzare progetti concreti. (Comune di Sorengo)
Lo sportello che ti accompagna nel mondo digitale
Volontariato ◆ La digitalizzazione impone cambiamenti rapidi e anche faticosi, ma c’è chi, come Daniele Raffa, attivo al Centro dell’Associazione Ticinese Terza Età e alla Filanda, sa come aiutare
Matilde Casasopra
È un venerdì pomeriggio di giugno quando arriviamo in via Generale Guisan a Chiasso. Nell’aria c’è quell’odore d’estate che Paolo Conte dipinge, come solo lui sa fare, in Azzurro. C’è quell’atmosfera sospesa di «cortile dell’oratorio» e ci sono, poco lontano, i binari che s’incrociano facendoti venire in mente che «quasi quasi prendo il treno e vengo da te». «Dov’è il Centro ATTE (Associazione ticinese terza età)?», chiediamo a una signora che incrociamo sul marciapiede. «Continui diritto, poi attraversa… Vede, è là dove ci sono i murales del Centro Giovani, al 17. Lì c’è anche l’ATTE». Seguiamo le istruzioni e arriviamo a destinazione. Bussiamo. Il progetto è pensato non come un corso ma per rispondere a domande puntuali sull’utilizzo di smartphone, tablet e pc
La porta si apre su una grande sala dove, riunite attorno a un tavolo, ci sono cinque persone. «Buongiorno. Ho un appuntamento con il signor Daniele Raffa». «Buongiorno – e scatta, immediatamente, un sorriso – La persona che cerca sono io. Si accomodi». Seguono le presentazioni.
Oltre a Daniele, animatore con Alessandro Zanoli dello sportello digitale dell’ATTE a Chiasso, ci sono Beatrice, Cornelia, Nilda e Siro. L’atmosfera è cordiale. La percezione è di persone che si conoscono da tempo. «Voi frequentate abitualmente lo sportello digitale?». «Cornelia ed io – risponde Beatrice – siamo frequentatrici assidue. Una volta cerchiamo di capire qualcosa sui programmi del computer, un’altra ci addentriamo nei segreti delle App. Abbiamo deciso di accettare che non riusciamo a star dietro a tutto quello che sta cambiando nel mondo del digitale e così ci affidiamo alle competenze di Daniele. Lui è davvero bravissimo». «Ed ha una pazienza davvero notevole – osserva Nilda, che scopriamo nel corso del pomeriggio, alle riunioni arriva sempre con degli ambitissimi dolcetti –. Vede, noi sappiamo destreggiarci un po’ tra app e ordinatori, ma… manca sempre qualcosa perché tutto funzioni a meraviglia. Così veniamo qua, raccontiamo i nostri problemi, le nostre difficoltà a Daniele e lui, passo passo, ci aiuta a capire e a risolvere». «Senza contare che il sistema adottato qui a Chiasso, ovvero quello di scambiarsi opinioni, esperienze, curiosità – precisa Siro – permette a tutti noi di confrontarci con temi che altrimenti non avremmo né conosciuto né affrontato».
Cornelia, intanto che i «compagni di corso» stanno spiegando le dinamiche del gruppo, approfitta per ap-
profondire un suo problema: «Daniele, il mio computer è sempre più lento. Tra quando lo accendo e quando posso usare i programmi passano una decina di minuti». Daniele pone, a sua volta, una serie di domande finché da questo botta e risposta si giunge a una diagnosi e a una soluzione. Altro tema di giornata: la differenza tra e-banking ed e-bill, ma anche il sistema operativo dell’iPhone e la possibilità di disporre delle funzioni basic di Adobe gratuitamente sono argomenti di discussione e apprendimento. Daniele Raffa, con una calma olimpica e una sicurezza per la quale la boomer che c’è in me prova, mescolata a sincera ammirazione, una punta d’invidia, risponde, spiega, risolve.
Paraplegico dalla nascita, 48 anni, Master in Advanced Computer Science alla SUPSI, consigliere comunale a Mendrisio (suo comune di origine), Daniele Raffa nel 2009 ha dato vita alla società Handy System, ditta che offre consulenza e ausili nel campo della comunicazione, accessibilità al computer, controllo d’ambiente e tanti altri settori alle persone con disabilità o anziane. Ci tiene comunque a precisare che all’ATTE, come anche alla Filanda di Mendrisio, gli incontri ai quali partecipa come consulente lo vedono in campo come volontario, quindi a titolo gratuito. «Ho deciso da tempo – dice con tranquilla determinazione – di mettere a disposizione degli altri le mie conoscenze. Io ho avuto la fortuna di poter approfondire i temi che m’interessavano. Grazie a ciò ho imparato a destreggiarmi in un mondo che sì, è vero, va veloce assai, ma che ho imparato a cavalcare. Se l’ho fatto io che sto su una sedia a rotelle, lo possono fare anche altre persone. Basta aiutarle. Le pare?». Sì, mi pare e il metodo adottato – quello dell’interscambio di esperienze e conoscenze – è particolarmente efficace ed avvincente. È una sua idea o un metodo applicato in tutti gli sportelli digitali dell’ATTE (oltre a Chiasso il servizio è offerto a Novazzano, Lugano, Bellinzona, Locarno, Gambarogno, Biasca e Ambrì)? «Guardi io so che
all’inizio, qui a Chiasso e a Novazzano, la consulenza era fatta ad personam. Era un po’ come andare dal medico. Arrivavi, ti mettevi in sala d’aspetto e poi, quando arrivava il tuo turno, incontravi il consulente al quale sottoponevi il tuo caso. Non mi ha mai convinto molto come metodo. Così, con Alessandro Zanoli, abbiamo optato per la tavola rotonda, l’open space. Poi è ben chiaro che ci sono problemi che non possono essere trattati alla presenza di tutti. Ce ne siamo resi conto un giorno quando arrivò qui allo sportello di Chiasso un signore carico di classificatori dove c’erano tutti i documenti concernenti lui e la sua cassa malati che, in quei giorni, aveva deciso di svolgere tutte le sue attività in digitale. Era disperato. Ho chiamato il collega di Novazzano che è arrivato ed ha proseguito la consulenza con lui in modo individuale e io ho continuato l’incontro con gli altri partecipanti. Non dimenticherò mai quell’uomo che a causa di un’accelerazione si era trovato trasformato da cittadino in escluso».
Intanto che Daniele spiega le regole della casa, Nilda alza il dito indice e chiede se può porre una domanda. Tema: l’app Parkingpay. Cinque persone si mettono sull’attenti per ascoltare. Questa App, sempre più diffusa, interessa davvero tutti (giornalista in trasferta compresa). Usare quest’App è pratica condivisa tra i partecipanti. Si trova posteggio, si inseriscono sull’App luogo e orario di sosta desiderato e… il gioco è fatto. Daniele Raffa, però, le App – tante, non solo questa – le conosce anche al di là della home page ed è così che tutti noi scopriamo che nei «parcheggi pubblici con sbarra e adeguatamente attrezzati» grazie a una tessera che va richiesta e verrà inviata per posta (tradizionale), si può accedere al parcheggio senza dover prendere il biglietto ma usando questa tessera in entrata e in uscita. Niente più foto del codice QR a inizio (o fine) della sosta in un autosilo. Basta appoggiare la tessera sull’erogatore dei tagliandi di posteggio e… il gioco è fatto. Interesse ed entusiasmo alle stelle. Personalmente anche un briciolo di frustrazione. Dopo due anni di utilizzo di Parkingpay scopro che: posso aggiungere un veicolo (che non ho); che le modalità di pagamento disponibili sono due; che posso controllare, in qualsiasi momento, quanto ho speso in parcheggi in un dato mese: dell’anno in corso, ma anche degli anni precedenti. Basta non accontentarsi dell’uso immediato, ma entrare in «Conto» o in «Transazioni». Un’ultima informazione. Daniele Raffa svolge incontri di consulenza anche a Mendrisio, alla Filanda. Come tiene a precisare lui stesso «sia all’ATTE il venerdì pomeriggio, sia alla Filanda il lunedì non propongo corsi, ma momenti nei quali sono a diposizione per rispondere a domande puntuali e vedere insieme come risolvere i problemi che le persone incontrano nell’utilizzare smartphone, tablet o computer. Alla Filanda gli incontri riprenderanno il 1. settembre e anche all’ATTE gli appuntamenti del venerdì riprenderanno in concomitanza con la ripresa delle scuole». Non resta, a questo punto, che segnarsi le domande e riservarsi il tempo per raggiungere lo sportello digitale della propria zona.
Il gruppo riunito al centro ATTE di Chiasso composto dai signori Siro, Nilda, Cornelia e Beatrice con l’animatore dello sportello digitale Daniele Raffa
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Le mani sono la nostra seconda mente
Psicologia ◆ Molti le considerano dei semplici hobby: in realtà le attività manuali apportano numerosi benefici alla nostra salute psicofisica
Alessandra Ostini Sutto
Fare qualcosa con le proprie mani porta a dare più valore al prodotto finale e a provare un senso di soddisfazione, spesso proporzionale all’impegno messo in atto. Una sensazione che, banalmente, molti avranno provato assemblando i pezzi dei mobili IKEA. Proprio per questo motivo, tre ricercatori dell’Università di Harvard – Michael I. Norton, Daniel Mochon e Dan Ariely – hanno denominato «IKEA effect» il fenomeno psicologico appena illustrato, applicabile un po’ a tutte le attività che implicano l’utilizzo delle mani, le quali apportano più in generale numerosi benefici alla nostra salute psicofisica. Quando eseguiamo delle attività manuali, oltre a dare forma alla nostra creatività e ai nostri desideri, ci riconnettiamo con il nostro «io», in quanto queste necessitano di concentrazione; una sorta di meditazione che ha tra le sue conseguenze una diminuzione dello stress. Inoltre, vedere, per esempio, gonfiarsi un soufflé o prendere forma un lavoro a maglia, ci fa avere esperienza di come dalle nostre mani possa nascere qualcosa di nuovo e bello. In alcuni casi poi questi lavori favoriscono la connessione sociale (se pensiamo alla cucina o al cucito condivisi), mentre la possibilità di svolgere delle attività in cui possiamo sperimentare e farci condurre dall’istinto, fa scaturire in noi una gioia profonda e primitiva.
Smettere di scrollare e entrare nel flow
La scelta di possibili lavori manuali da svolgere nel tempo libero non manca – giardinaggio, disegno, bricolage, realizzazione di oggetti in vari materiali, ecc. – e, in questo, siamo oggi facilitati dal web, sul quale non si fatica a trovare articoli e tutorial che ci rendono più semplice avvicinarci a un nuovo hobby. Restando in ambito digitale, le attività che svolgiamo con ogni probabilità più spesso e in una sorta di automatismo – come «scrollare» e digitare sulle tastiere – , seppur fatte anch’esse con le mani, non generano gli stessi benefici di quelle di cui ci stiamo occupando; detto in altri termini, è necessario disconnettersi per connettersi con sé stessi: «In un’epoca dominata dalla tecnologia, dalla velocità e dal virtuale, il lavoro manuale – che l’uomo ha sempre praticato – risponde a dei bisogni nuovi. Permette di rallentare, riconnettersi al corpo e al presente, sperimentare gratificazione immediata e senso di efficacia, appagando al tempo stesso il desiderio di creare qualcosa di concreto e personale in un mondo in cui molte esperienze si vivono solo attraverso lo schermo», afferma Lara Banchieri, psicologa e psicoterapeuta. Lavori manuali che, infatti, oggi costituiscono una tendenza influenzata anche dal periodo della pandemia, durante il quale, avendo più tempo a disposizione, molte persone hanno trovato naturale occuparsi di attività manuali, percepite come una valvola di sfogo incredibilmente benefica.
Ma cosa accade nella mente quando si svolge il tipo di attività di cui stiamo parlando? «Quando una persona si immerge in attività manuali o ripetitive in modo assorbente, la mente entra spesso in uno stato chiamato flow, o flusso: una condizione
psicologica in cui si è completamente concentrati, coinvolti e appagati da ciò che si sta facendo. In questo stato, l’attività della corteccia prefrontale (l’area legata al pensiero critico e all’autovalutazione) si riduce, permettendo una pausa dai pensieri ricorsivi, dalle preoccupazioni e dal rimuginio, mentre si attiva un circuito cerebrale legato al rilassamento attivo: vengono rilasciati neurotrasmettitori come dopamina e serotonina, che favoriscono piacere, calma e benessere emotivo –spiega Lara Banchieri – in una situazione di questo tipo, la mente si rilassa ma non si spegne. Si riorganizza, si riequilibra e spesso trova soluzioni o intuizioni proprio mentre si sta facendo altro. Inoltre, la ripetitività e la regolarità del gesto manuale possono attivare un ritmo simile a quello della respirazione profonda o della meditazione, contribuendo a regolare il sistema nervoso autonomo, abbassare il livello di cortisolo (l’ormone dello stress) e migliorare l’equilibrio psico-fisico».
La concretezza che sviluppa abilità
Che le attività manuali consentano di entrate in questo stato mentale è molto significativo, dal momento che il flow riveste un ruolo centrale nel benessere psicologico e nel funzionamento ottimale della mente: «È stato descritto come una delle esperienze umane più gratificanti, perché unisce prestazione elevata e piacere intrinseco», aggiunge la psicologa. Il fatto di fare qualcosa per il piacere stesso di farlo, anziché per dovere, aumenta inoltre la motivazione, con conseguenze sull’autoefficacia. «Mentre molti compiti della vita quotidiana sono astratti o frammentati (mail, notifiche, riunioni virtuali), il lavoro manuale permette di toccare con mano l’impatto delle proprie azioni: una pianta che cresce, un oggetto riparato, un piatto cucinato. Questo rafforza la percezione di controllo sul proprio ambiente e sulle proprie capacità – continua Lara Banchieri – inoltre,
ogni fase riuscita dell’attività manuale, anche se semplice, genera un’esperienza concreta di autoefficacia: ’sono stato in grado di farlo’. Quando queste si ripetono, l’autostima si consolida, perché non nasce da idee o pensieri positivi su di sé, ma da azioni concrete ed efficaci». Azioni riuscite che, inoltre, stimolano le nostre capacità manuali, implementandole; mentre a livello cognitivo i compiti manuali sviluppano una vasta gamma di abilità, tra cui l’attenzione, la memoria procedurale e la coordinazione mano-occhio.
Tornando alla concretezza delle attività manuali, essa gioca un ruolo profondo e sfaccettato, sia sul piano psicologico che neurofisiologico. «Il contatto con la materia attiva una risposta sensoriale immediata: toccare, plasmare, manipolare aiuta a riconnettersi al corpo, favorendo un senso di radicamento nel “qui e ora”. In particolare, mani nella terra o nell’argilla generano una sensazione tattile che calma il sistema nervoso e richiama istintivamente esperienze primarie, semplici, profonde – spiega la psicoterapeuta – attivando simultaneamente tatto, vista, olfatto e movimento, la manipolazione di materiali reali aiuta poi non solo a focalizzare l’attenzione, ma anche a riequilibrare mente e corpo, specialmente in soggetti affaticati da iperstimolazione digitale o mentale». Insomma, il contatto fisico con materiali e natura non è un semplice dettaglio: è un’esperienza regolativa e creativa che consente all’individuo di uscire dalla mente, rientrare nel corpo e ritrovare una forma di equilibrio profonda.
Per i bambini e per gli anziani
Nonostante questi benefici per la salute di corpo e mente, i lavori manuali corrispondono però ad attività che con l’età adulta molti tendono ad accantonare, presi da altre questioni ritenute prioritarie. Diversa la situazione dei bambini, per i quali le attività manuali occupano una posizione importante nell’ambito dei primissimi
Passeggiate, visite e… degustazioni
Forum elle Ticino ◆ Gli appuntamenti di settembre e le anticipazioni per ottobre
Riprende, dopo la pausa estiva, l’attività di Forum elle Ticino, l’associazione femminile di Migros. Gli appuntamenti in calendario per il mese di settembre sono:
• Mercoledì, 3 settembre 2025 Passeggiata, organizzata da Carla Mina, ai Fortini della fame a Camorino. Un percorso tematico, della durata di due ore, accompagnati da una guida che ci illustrerà la storia che si cela dietro queste torri cilindriche.
• Mercoledì, 10 settembre 2025 Merenda/degustazione in Vigna – Tenuta Luigina Stabio – una tenuta femminile, gestita «al femminile»! Un incontro per conoscere una piacevole realtà del nostro territorio.
percorsi formativi e a casa e nel tempo libero. Attraverso l’uso delle mani, il bambino fa infatti esperienza e apprende tecniche espressive con cui manifestare il proprio vissuto, i propri sentimenti e le proprie emozioni. I lavori manuali promuovono così pure immaginazione e creatività, oltre a migliorare le attitudini fisiche dei più piccoli, richiedendo la coordinazione di mente, mani e vista. «Le attività manuali rafforzano inoltre le funzioni cognitive, come sequenze, organizzazione spaziale, attenzione e memoria di lavoro, che vengono attivate in modo naturale e ludico, e aiutano nella regolazione emotiva, dal momento che il fare manuale calma, canalizza l’energia e riduce ansia o frustrazione», aggiunge Lara Banchieri. Molto importante per la fascia d’età di cui stiamo parlando, creare qualcosa con le proprie mani rafforza poi il senso di competenza e la fiducia in se stessi. Un’altra fase della vita in cui l’attività manuale assume un significato particolare è quella che concerne gli anziani. «Nel corso della terza età, attività come uncinetto, pittura o puzzle costituiscono un allenamento cognitivo dolce, che aiuta a mantenere attivi attenzione, memoria procedurale e funzioni esecutive; oltre a ciò la manualità contribuisce a prevenire il declino e l’isolamento, mantenendo viva la connessione mente-corpo, rallentando l’inattività e stimolando la socializzazione se fatta in gruppo – continua – non da ultimo, lavori artigianali o attività legate alla tradizione diventano mezzi per raccontare la propria storia, rafforzare l’autostima e il legame intergenerazionale». Le mani sono insomma – come le definisce la nostra interlocutrice –una seconda mente: «In ogni età della vita, toccare, costruire, creare non è mai solo un passatempo, ma una forma concreta di sviluppo, prevenzione e benessere psichico». E il ruolo importante dell’attività manuale trova conferma pure in quelle che sono le sue applicazioni in diverse aree della pratica clinica e terapeutica, con riscontri sempre più solidi nella letteratura scientifica.
• Martedì, 30 settembre 2025 Visita al Museo comunale d’arte moderna di Ascona alla mostra di Joana Vasconcelos, tra le voci più autorevoli della scena artistica contemporanea. Prima donna a essere rappresentata alla Reggia di Versailles e al Guggenheim Museum di Bilbao.
Anticipiamo anche gli appuntamenti di ottobre:
• Giovedì, 9 ottobre 2025 Gita di una giornata intera all’Abbazia di Morimondo, accompagnati dallo storico dell’arte Don Claudio Premoli. Fondata da monaci cistercensi provenienti dalla Francia, questa struttura del XII secolo ha mantenuto nel tempo la sua imponenza e la sua bellezza architettonica.
• Mercoledì, 22 ottobre 2025 Passeggiata al Mulino del Daniello e al Parco della Valle della Motta, il mattino, organizzata da Carla Mina. La visita è accompagnata da una guida che racconterà la storia di questo antico mulino e le origini del Parco della Valle della Motta.
Le attività proposte la interessano? Non è ancora socia di Forum elle Ticino e desidera aderirvi? Trova un riepilogo degli eventi organizzati negli ultimi anni e il formulario di adesione all’associazione online all’indirizzo www.forum-elle.ch, all’interno della rubrica dedicata alla sezione Ticino.
Uno dei Fortini della fame di Camorino (fortini-camorino.com)
La manipolazione di materiali reali come l’argilla aiuta non solo a focalizzare l’attenzione, ma anche a riequilibrare mente e corpo (Freepik.com)
ATTUALITÀ
Storie paradossali
Ha fondato una catena di hamburger esplicitamente dedicata a Donald Trump, ma essendo libanese deve andarsene dagli Usa
Pagina 14
Salvare il giornalismo
Roger de Weck ha diretto per anni la SSR e oggi pubblica un saggio in cui perora la causa del giornalismo di qualità, «nonostante tutto»
Pagina 15
Sacri anniversari
Ha da poco compiuto novant’anni il Dalai Lama, figura spirituale seguitissima nel mondo di cui parliamo con il biografo autorizzato
Pagina 16
Israele ha scelto la guerra esistenziale
L’analisi ◆ Gli attacchi del 7 ottobre di Hamas hanno dato il pretesto ai suoi leader per puntare alla Vittoria Decisiva
Dopo quasi tre anni di guerra, Israele si trova di fatto in una guerra esistenziale. Per sua scelta. Il pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023 non era stato considerato dall’élite politico-militare israeliana come una minaccia all’esistenza stessa dello Stato ebraico. Ma è stato volutamente trattato per tale.
I sette fronti del conflitto in corso derivano dalla scelta strategica di Netanyahu e del suo governo – specie della sua ala iper-estremista rappresentata dai ministri Smotrich e Ben-Gvir – di far leva sulla inevitabile risposta all’attacco di Hamas per arrivare finalmente alla Vittoria Decisiva.
In termini geopolitici Netanyahu punta a un Paese esteso dal Giordano al Mediterraneo, dai confini ben più grandi di quelli attuali, giungendo fino a Damasco
In termini geopolitici, il Grande Israele dal Fiume al Mare – dal Giordano al Mediterraneo – dai confini peraltro indefiniti, ma certamente molto più estesi degli attuali. Damasco, ad esempio, è rivendicata dal ministro Smotrich come parte integrante di Eretz Yisrael. Infatti le avanguardie delle Forze di Difesa Israeliane (Tzahal) oltre il Golan sono a mezz’ora di carro armato dalla capitale di ciò che resta della Siria.
L’idea della Vittoria Decisiva è figlia di una lunga elaborazione strategica all’interno dell’IDF, le Forze di Difesa israeliane. Vuole rappresentare il superamento del paradigma del «tagliare l’erba». Metafora con cui s’intendeva finora la reazione di norma scatenata da Israele contro gli attacchi missilistici in provenienza dal Libano e dalla Striscia di Gaza. Contro bombardamenti e incursioni limitate, destinate a ripristinare la deterrenza. Ma senza azzardare la resa dei conti definitiva con Hezbollah o con Hamas.
Lo shock del 7 ottobre di due anni fa ha stravolto questa concezione. Serve risolvere una volta per tutte la questione di Gaza, via liquidazione di Hamas. Ma i fronti principali sono altri: si tratta di consolidare ed estendere la presa sulla Cisgiordania per impedirvi la nascita di qualsiasi abbozzo di Stato palestinese; di sbarazzarsi di Hezbollah almeno come forza armata; di avanzare in Siria oltre il Golan, alture strategiche a protezione del Lago di Tiberiade, principale riserva d’acqua dello Stato ebraico. Fra le altre emergenze, tra cui spicca quella degli huti in Yemen, la principale resta però la minaccia del nucleare iraniano.
A che punto siamo oggi? Quanto dista la Vittoria Decisiva, qualsiasi cosa si intenda con essa (e non c’è unanimità su questo a Gerusalemme)? Soprattutto, sulla via verso il trionfo non c’è il rischio che Israele si perda, se non addirittura si suicidi attraverso lo scoppio delle contraddizioni interne all’insieme ebraico? Insomma, dalla Vittoria Decisiva alla guerra civile eccitata dalla guerra esterna la distanza non è enorme.
Sul fronte di Gaza Israele non solo non è riuscito a eliminare Hamas, ma ha seriamente compromesso la sua reputazione e il suo rango internazionale soprattutto nell’intero Occidente
Il bilancio provvisorio, mentre Netanyahu scatena l’offensiva sulla Striscia per liquidare Hamas e occuparla, è il seguente. Sul fronte di Gaza Israele non solo non è riuscito a eliminare Hamas, ma ha seriamente compromesso la sua reputazione e il suo rango internazionale. Lo si chia-
mi genocidio o meno, ma il massacro di palestinesi, bambini inclusi, ha impresso uno stigma negativo sullo Stato ebraico anche in Occidente.
Persino negli Stati Uniti e nella locale diaspora ebraica. Il governo americano continua di fatto a sostenere Israele, ma le frizioni fra Donald Trump e Benjamin Netanyahu sono ormai evidenti. Comunque vada a finire, a Gaza il bilancio è tremendamente negativo per Gerusalemme. Quanto a Giudea e Samaria – alias Cisgiordania – niente sembra poter fermare l’avanzata dei coloni ebrei. L’annessione di gran parte di quei territori è solo questione di tempo. Ciò che comprometterà ancora più gravemente il posto di Israele nel mondo – ma questo non sembra togliere il sonno a Netanyahu e associati, strettamente legati al movimento dei coloni. Come detto, quel che conta di più per la strategia israeliana è però l’Iran. È convinzione generale che nei prossimi mesi Netanyahu riprenderà l’iniziativa contro Teheran per ritardarne il programma nucleare – sradicarlo parrebbe impossibile – colpito ma non distrutto dai raid israelo-americani.
Ma l’obiettivo strategico è il cam-
bio di regime a Teheran. Anzi, la disintegrazione dello Stato iraniano, ridotto in frammenti su base etnica (curdi, azeri, baluci, arabi…). Il paradosso è che contro le aspettative di Israele il regime può contare oggi sul sostegno di fatto di molti suoi oppositori e critici, per i quali prima viene lo Stato iraniano poi il tipo di governo al potere. Reazione patriottica prevedibile, difficilmente incrinabile da un secondo colpo di mano israeliano.
Il fronte principale per capire come evolverà questo insieme di partite che vertono sull’esistenza – non solo sulla sicurezza –di Israele, resta però quello interno. Emergono faglie domestiche
A prescindere dagli altri teatri già menzionati, e non sono pochi, l’impasse sul fronte persiano impedisce per il momento di configurare lo scenario della Vittoria Decisiva agognata dall’attuale Governo. Almeno se con questo si intende un Israele più grande e più sicuro di prima. Ovvero, un
Israele senza nemici nella regione che possano minacciarne l’esistenza. In più, queste guerre senza fine hanno riportato in evidenza la minaccia della Turchia. Infatti, oggi israeliani e turchi si fronteggiano nei dintorni di Damasco. E la retorica di Ankara, eccitata dall’islamismo militante, dipinge il leader israeliano Netanyahu come il nuovo Hitler. Il fronte principale per capire come evolverà questo insieme di partite che vertono sull’esistenza – non solo sulla sicurezza – di Israele, resta però quello interno.
La guerra ha riportato in evidenza le faglie domestiche. Ad esempio, quella degli haredim, gli ultraortodossi antisionisti in forte crescita demografica che si rifiutano di servire uno Stato che considerano violazione dei loro precetti religiosi. Per tacere degli arabi israeliani. E delle dispute fra sionisti laici e religiosi, in tutte le loro possibili variazioni. Il futuro prossimo dirà se l’aspirazione alla Vittoria Decisiva salverà Israele da se stesso oppure se ne accelererà le crisi interne, fino a minacciare di produrre l’effetto opposto a quello desiderato.
Palestinesi in piedi davanti al cratere creato da attacchi israeliani nel campo di tende per le persone dislocate nei pressi dell’ospedale Al-Aqsa Hospital, a Deir al-Balah. (Keystone)
Lucio Caracciolo
Quando
un panino non basta per imbonire Trump
Stati Uniti ◆ Ronald Beainy, fondatore della catena di fast food intestata al presidente, rischia di essere espulso poiché immigrato Angela Nocioni
Trump burger è una catena di fast food aperta negli Stati uniti da un entusiasta sostenitore del presidente statunitense. Ha sede in Texas, vende insieme a cheeseburger e patatine l’entusiastica agiografia di Trump, di sua moglie Melania e dell’ideologia «Make America great again» (Maga). Ma ha un problema. Il suo proprietario fondatore, un ventottenne con grande inventiva imprenditoriale, è libanese e rischia di essere espulso dagli Stati Uniti. L’imprenditore si chiama Ronald Beainy ed è finito vittima delle retate di immigrati ordinate dal presidente Trump.
La catena di fast food resterà intatta perché nel tempo il fondatore si è procurato dei soci investitori. Ma lui si ritrova in guai grossi.
Beainy è arrivato negli Usa nel 2019 con un visto temporaneo, sarebbe dovuto uscire dal Paese prima del febbraio del 2024
Nonostante la fotografia gigante del tycoon che troneggia sulla porta dei fast food. Nonostante le cinque lettere TRUMP leggibili su tutte le forme di panino appena uscite dal forno perché impresse a fuoco.
Nonostante il Trump Burger, un monumentale panino con formaggio, lattuga e pomodoro servito insieme alle «patatine fritte della libertà» il nome che i repubblicani dettero alle patatine fritte durante il regno di George W. Bush per non chiamarle col nome che avevano sempre avuto «patatine francesi». Spulciando il menù del Trump burger si trova il pollo con cipolla e maionese che si chiama Melania Crispy Chicken. «Approvato dalla first lady», assicura la ditta. Ci sono anche i Barron Burgers con carne di manzo e ketchup (Barron è il figlio più giovane del presidente), venduti come «un solido inizio per la grandezza». Il piatto più costoso, Kamala Burger, costa 50,99 dollari e viene descritto come una «promessa vuota» con «carne improbabile»: un «disastro totale» e un piatto che
è inutile ordinare perché non è mai disponibile.
Tutto l’ambiente dei Trump burger è un parco tematico suprematista che esalta il trumpismo, gli slogan dei Maga in un tripudio di bandiere con la faccia di Trump, tazze, magliette e souvenir tutti con stampato sopra il viso del presidente.
Beainy è arrivato negli Usa nel 2019 con un visto temporaneo. Secondo i documenti ufficiali sarebbe dovuto uscire dal Paese prima del febbraio del 2024. È rimasto. Come milioni di altri. Ed è stato arrestato a maggio dagli agenti dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE), il braccio armato della Casa Bianca contro gli immigrati che sta seminando il terrore in tutti gli States.
Un mese dopo, un giudice dell’immigrazione gli ha concesso la liber-
tà su cauzione, mentre era in corso il processo di rimpatrio nel suo Paese. «Nonostante le false affermazioni, Beainy non ha alcun beneficio migratorio che abbia impedito il suo arresto o l’espulsione dagli Stati Uniti», ha detto l’ICE gettando l’interessato nel più profondo scoramento. Continua il comunicato della potentissima forza con cui Trump sta facendo fare «rastrellamenti» ovunque cominciando dalla California, considerata dal presidente un pericoloso fortino liberal, «l’Eldorado degli immigrati» (negli Stati Uniti ci sono almeno 11 milioni di immigrati clandestini, stima per difetto del 2022). Sta scritto in un documento dell’ICE: «Sotto l’attuale amministrazione, l’ICE si impegna a ripristinare l’integrità del sistema migratorio della nostra Nazione, ritenendo responsabili tutte le
persone che entrano illegalmente nel Paese o che superano il termine per la loro ammissione. Questo è vero, indipendentemente dal ristorante che possiedi o dalle convinzioni politiche che hai».
Beainey, che possiede anche un altro ristorante chiamato Patti’s, ha aperto il suo primo Trump Burger nella città di Bellville, un piccolo centro a ovest di Houston, nel 2020, quando il tycoon ha perso la corsa Casa Bianca battuto da Joe Biden. L’attività ebbe successo, furono aperte altre tre filiali nella stessa zona del Texas, tra cui Houston. Quello che i detrattori del già abbastanza sfortunato imprenditore sostengono è che a Trump non è mai stato chiesto di dare il suo consenso all’utilizzo del suo nome e della sua faccia per scopi commerciali. Lo scorso febbraio gli
Come investire piccole somme di denaro?
avvocati del presidente hanno inviato una lettera alla catena di fast food accusandola di «ingannare il pubblico», poiché non c’è alcuna affiliazione tra Trump Burger e la Trump Organization. «Siamo rimasti sorpresi di vedere che hai violato palesemente il prezioso e consolidato diritto di proprietà intellettuale dell’Organizzazione Trump gestendo almeno tre ristoranti con il nome e il marchio Trump», si legge nel documento. Il quotidiano locale «The Fayette County Record» ha riferito che in quell’occasione fu richiesta a Beainy la rimozione di qualsiasi riferimento al presidente dai suoi ristoranti, con la minaccia di azioni legali. Azioni legali che non sono ancora state intraprese mentre l’imprenditore trumpiano si appresta ad essere espulso dal suo idolo.
La consulenza della Banca Migros ◆ A lungo termine anche l’investimento regolare di piccoli importi può andare a costituire un vero e proprio patrimonio
Anche piccoli importi, investiti regolarmente e a lungo termine, consentono di costituire un patrimonio. Per impiegare in modo efficace il proprio denaro si consiglia di seguire la seguente tabella di marcia:
1. Farsi un’idea generale: prima di cominciare a investire, è opportuno farsi un’idea precisa delle proprie finanze. A quanto ammontano le entrate mensili? Quanto si spende per affitto e spese accessorie, generi alimentari, telefono e Internet, assicurazioni, trasporti e attività ricreative?
In questo modo è possibile individuare il potenziale di risparmio nella vita di tutti i giorni e stabilire il budget da investire. Importante: si consiglia di mantenere una riserva di denaro pari ad almeno tre mesi di spese sul conto di risparmio per poter far fronte a costi imprevisti.
2. Stabilire l’importo: dopo essersi fatti un quadro preciso delle proprie finanze è ora possibile determinare l’importo rimanente da investire. L’obiettivo a lungo termine è quello di impiegare circa il 20% del budget mensile disponibile per risparmi e investimenti. Le disponibilità sono minori? Nessun problema, 50 franchi al mese sono già sufficienti per iniziare a creare un solido patrimonio. Dopo la riserva di liquidità e il rimborso dei crediti, i versamenti nella previdenza per la vecchiaia hanno la priorità. Le risorse rimanenti possono quindi essere utilizzate per investimenti mirati. Si dovrebbero investire solo riserve che non si necessitano a lungo termine.
3. Scegliere l’investimento: esistono diverse possibilità d’investimento, a seconda della durata e
del rischio che si è disposti a correre. Per gli importi minori è invece consigliabile optare per un «piano
di risparmio» presso una banca che prevede, ad esempio, l’investimento in un fondo tramite l’addebito mensile o trimestrale di un importo fisso sul conto. I fondi raggruppano le azioni di diverse società, obbligazioni o altri investimenti. Poiché in questo modo è possibile partecipare con uno strumento a più investimenti, si ottiene un’ampia distribuzione del rischio. I dividendi e gli interessi attivi sul denaro investito vengono subito reinvestiti. Così si può ottenere un rendimento sul rendimento (effetto dell’interesse composto).
4. Gestire il patrimonio: chi ha messo da parte un piccolo gruzzolo può prendere in considerazione una gestione professionale. Molte banche offrono alle persone interessate una gestione patri-
moniale digitale con risparmi già a partire da 5000 franchi, ad esempio la Banca Migros con la «Gestione patrimoniale Focus». Le persone che optano per questa variante non ricevono una consulenza individuale, ma i fondi nei quali investono vengono costantemente monitorati e ottimizzati da professionisti del settore.
Gestione patrimoniale digitale Maggiori informazioni sulla Gestione patrimoniale Focus della Banca Migros sono disponibili qui:
Pubblicità di un servizio finanziario secondo la LSerFi.
Barbara Russo, consulente alla clientela presso la Banca Migros ed esperta in tematiche d’investimento.
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«Il buon giornalismo? Va salvato dai media»
L’intervista ◆ L’ex direttore generale della SSR Roger de Weck racconta la sua appassionata difesa della professione nell’ultimo libro Das Prinzip Trotzdem
Carlo Silini
Il giornalismo è in crisi. Il calo costante della pubblicità costringe molte testate a chiudere, anche in Svizzera. E la gente sembra informarsi soprattutto sui social, che hanno vampirizzato i media tradizionali, risucchiando e rilanciando notizie che vengono poi mescolate a comunicazioni incomplete, poco significative o del tutto inventate, generando una bolla di disinformazione in cui il vero è indistinguibile dal falso. Come può difendersi il buon giornalismo da queste derive che lo soffocano e rischiano di indebolirlo mortalmente? Salvandolo dai media. È questa la provocatoria soluzione proposta da un saggio di recente pubblicazione, scritto con passione e lucidità da Roger de Weck, giornalista di lungo corso ed ex direttore generale della Radiotelevisione svizzera. Il volume, Das Prinzip Trotzdem – Warum wir den Journalismus vor den Medien retten müssen (che tradurremmo come: Il principio del nonostante tutto – Perché dobbiamo salvare il giornalismo dai media), edito da Suhrkamp, è un’analisi profonda dei mali che affliggono il giornalismo contemporaneo. E al tempo stesso un invito a resistere: a praticare un giornalismo serio nonostante le difficoltà economiche, la pressione dei social media, la disinformazione e l’ascesa del populismo autoritario. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Il giornalismo deve resistere alle difficoltà economiche, ai social, alla disinformazione e al populismo
Roger de Weck, lei scrive: «La democrazia ha bisogno del giornalismo, il giornalismo ha bisogno della democrazia». La crisi del giornalismo è quindi un riflesso logico della crisi della democrazia o è solo una conseguenza della mancanza di mezzi economici?
Le due crisi si sovrappongono. La crisi del modello di business degli editori indebolisce il giornalismo. A causa della mancanza di mezzi, esso perde competenza e indipendenza. Ciò danneggia la democrazia. Viceversa, l’ascesa dell’autoritarismo, che attacca la libertà dei media, aggiunge ulteriori difficoltà al giornalismo che, in ogni caso, ha perso il suo monopolio di «gatekeeper» (colui che decide quali notizie vengono pubblicate e quali no, ndr) nella diffusione delle informazioni.
Nel suo libro lei sostiene che il giornalismo si adatta ai meccanismi dei social media: «Boulevardigitalisierung». Il giornalismo si sta trasformando sempre più in marketing?
Un tempo la pubblicità e i piccoli annunci finanziavano il giornalismo per due terzi – tre quarti. Ora sono migrati verso le reti sociali, i motori di ricerca e i mercati online. Ormai il giornalismo deve finanziarsi con le sue vendite. Ma si vende solo ciò che ha sostanza. Per questo gli editori dovrebbero investire nelle redazioni. Ma per mancanza di soldi o di coraggio fanno il contrario: operano tagli netti. E queste ultime cercano di mascherare la loro perdita di sostanza con un sensazionalismo
crescente nella scelta dei soggetti e nella loro presentazione, anche perché ogni articolo deve essere «allettante» per attirare i lettori sui social network. Tuttavia, il tentativo di massimizzare i «clic» nel breve termine non fidelizza i lettori nel lungo periodo. Al contrario, una parte del pubblico prende le distanze da un giornalismo ipernervoso in un mondo ipernervoso. La maggior parte dei giornali regionali non ha i mezzi per
Chi è Roger de Weck
Il giornalista e autore Roger de Weck
è professore invitato al Collège d’Europe a Bruges. È stato direttore del «Tages-Anzeiger» e del settimanale tedesco «Die Zeit». Ha diretto la Società svizzera di radiotelevisione SSR e presieduto il Consiglio di fondazione dell’Institut des hautes études internationales et du développement a Ginevra.
Ha pubblicato per le edizioni Suhrkamp a Berlino, nel 2024, Das Prinzip Trotzdem – Warum wir den Journalismus vor den Medien retten müssen e, nel 2020, Die Kraft der Demokra -
rafforzare la propria redazione, motivo per cui dovrebbe ricevere aiuti agli investimenti da parte delle autorità pubbliche. Al contrario, alcuni grandi giornali ben dotati di capitale dimostrano che è perfettamente redditizio investire nel giornalismo nell’era digitale. «Le Monde» ha aumentato la sua redazione da 300 a 550 giornalisti. E il numero di abbonamenti è raddoppiato da 300’000 a 600’000.
Cosa è più pericoloso: la scelta delle priorità informative affidata agli algoritmi o l’uso strumentale dei media da parte di forze politiche populiste?
Tutti e due. C’è un’oggettiva alleanza tra i populisti e una parte del giornalismo: insieme puntano sulla provocazione, sulle emozioni, sulle paure. E gli algoritmi privilegiano proprio tutto ciò che è provocatorio ed emotivo. X, ad esempio, si è trasformato in una macchina per distruggere la democrazia.
Recentemente Trump ha intentato una causa da 10 miliardi di dollari contro il «Wall Street Journal», per un articolo che lo accostava a una presunta lettera di auguri inviata nel 2003 a Jeffrey Epstein, conte-
nente un disegno sessualmente allusivo. Cosa possono fare i media indipendenti americani quando vengono sistematicamente attaccati dal loro governo?
Resistere. E non temere – se necessario con il sostegno di ricche fondazioni – di ricorrere ai tribunali per difendere la libertà di espressione, sacra negli Stati Uniti, sancita dal Primo Emendamento della Costituzione.
I giornali usano i media per rendere virali i loro contenuti. Non è ora che i media si ritirino dai social media e smettano di dare gratuitamente le loro notizie?
Al contrario, il buon giornalismo deve mantenere una forte presenza sui social network: affinché ci sia un po’ più di informazione e un po’ meno disinformazione.
Lei scrive che «Klicks sind reaktionär», i clic sono reazionari. Per quale motivo?
Chi vuole – a tutti i costi – massimizzare il numero di clic gioca sempre il gioco dei reazionari: questo tipo di giornalismo vede scandali dove non ce ne sono; alimenta l’indignazione dove bisognerebbe mantenere la calma; vuole compiacere dove bi-
tie. Eine Antwort auf die autoritären Reaktionäre.
Bilingue francese e tedesco, ha studiato economia a San Gallo. Fra gli altri mandati, de Weck siede nel Consiglio del Premio internazionale Charlemagne ad Aix-la-Chapelle e nel Consiglio scientifico di «Critique internationale» presso Sciences Po a Parigi.
È inoltre membro della giuria dello «Swiss Press Award», il maggior premio di giornalismo in Svizzera. È infine dottore honoris causa delle università di Friburgo e Lucerna.
alleanza tra i
e una parte del giornalismo: insieme puntano sulla provocazione, sulle emozioni, sulle paure. E gli algoritmi privilegiano proprio tutto ciò che è provocatorio ed emotivo. (Freepik)
sognerebbe mantenere le distanze. E i populisti se la ridono.
Tra gli eccessi del giornalismo contemporaneo, lei cita l’«Ich-Journalismus» (giornalismo egocentrico) e il «life coaching». In cosa consistono?
Viviamo nella «società delle singolarità», secondo l’espressione del sociologo Andreas Reckwitz. Ognuno vuole distinguersi dalla massa e i social network rafforzano il narcisismo, l’esibizionismo, l’egomania. Tutto ciò non manca di trasformare anche il giornalismo, che imita i social network. Gli articoli super soggettivi o egocentrici sono inflazionati, è un festival dell’«I, me and myself». È come se il giornalista fosse più importante dell’argomento di cui tratta... E infatti, copiando i social network, il giornalismo copia anche quelle legioni di «influencer» che ci dicono come possiamo ottimizzare il nostro corpo, i nostri muscoli, la nostra pelle, il nostro viso, il nostro cibo, la nostra vita familiare, professionale o sportiva. Ci sono anche ragioni economiche alla base di questo giornalismo di «life coaching», perché è economico: si intervista rapidamente un esperto in modo poco critico e totalmente incompetente, e si ottiene già un articolo che probabilmente avrà successo.
Concludiamo con il titolo del suo libro. Che cos’è il «Trotzdem-Prinzip» e come può essere applicato dai professionisti dell’informazione? Quando un giornalista conduce un’indagine, spesso incontra resistenze, ostacoli, insidie, ma continua, persevera. È il principio del «nonostante tutto». Ebbene, il giornalismo nel suo complesso deve rimanere fedele a questo principio e a se stesso: perseverare contro venti e maree, non rassegnarsi. Il giornalismo manterrà un certo peso solo se punterà sulla serietà e sulla critica sostanziale. Il giornalismo è un mestiere così bello, a condizione di voler andare a fondo delle cose.
La copertina del saggio di Roger de Weck.
C’è un’oggettiva
populisti
Il Dalai Lama cerca un successore
L’intervista ◆ Il biografo ufficiale Pietro Verni racconta il ruolo di questa importante figura spirituale che dal 2011 ha rinunciato ai suoi poteri politici e continua a ispirare milioni di seguaci, come Richard Gere
Eliana Bernasconi
«Sua santità» Il 14° Dalai Lama, vero nome Tenzin Gyatso, guida spirituale del popolo tibetano e premio Nobel per la Pace per la sua lotta per la liberazione del Tibet, dall’anno 1959 vive in esilio a MacLeod Ganj, un piccolo villaggio dell’India settentrionale. Quando La Cina volle annettersi il Tibet fu costretto a lasciare l’amata Patria occupata dalle truppe di Pechino, fu un violento e doloroso trauma per lui e per il suo popolo. La sua attuale residenza è ben diversa dal maestoso palazzo di sette piani che domina la valle di Lhasa, in Cina, dal 17° secolo residenza ufficiale dei Dalai Lama. Nato il 6 luglio del 1935 nel Tibet nordorientale, da una famiglia di agricoltori, all’età di 2 anni Tenzin Gyatso è stato riconosciuto come reincarnazione del XIII Dalai Lama, Thubten Gyatsoi. Ora che ha compiuto 90 anni ancora si definisce un semplice monaco buddista. Sebbene abbia saputo instaurare un dialogo con importanti scienziati e capi spirituali delle grandi religioni, ha rinunciato alla sua autorità politica, non a quella spirituale. I seguaci del buddismo tibetano si trovano in tutto il mondo, in Svizzera se ne contano 20 mila. La questione delicata della sua successione resta in primo piano, in questo momento storico così cruciale per il Tibet. Ne abbiamo parlato
con Piero Verni, esperto del Tibet e biografo ufficialmente autorizzato dal Dalai Lama, sentito durante le recenti celebrazioni per il novantesimo compleanno.
Pietro Verni, nella cultura del popolo tibetano è molto radicata la credenza nella reincarnazione. Potrebbe spiegarci come si relaziona con la tradizione dei Dalai Lama?
La teoria della reincarnazione, come ha giustamente detto lei, è profondamente radicata all’interno della Civiltà del Tetto del Mondo. Secondo il pensiero buddista tutti noi ci reincarniamo attraverso un ininterrotto processo di nascite, morti e rinascite fino a quando non otterremo l’Illuminazione che ci libererà da questo ciclo karmico. La tradizione tibetana ha inserito, all’interno di questo
Il Dalai Lama con la star di Hollywood Richard Gere, suo seguace da trent’anni. (Keystone)
orizzonte, anche la figura dei “Tulku “(Corpi di emanazione), vale a dire degli esseri molto avanzati sotto il profilo delle proprie qualità spirituali che scelgono di tornare, esistenza dopo esistenza, per continuare ad essere di aiuto agli esseri senzienti e guidarli lungo il non semplice cammino che conduce alla Liberazione interiore. La stirpe dei Dalai Lama, iniziata con Gendun Drup (1391-1474), si situa in questo contesto, dal V Dalai Lama (Ngawang Lobsang Gyatso, 1617-1682) hanno guidato i governi del Tibet.
Quando terminò questa consuetudine?
Nel 2011, quando l’attuale Dalai Lama (il Quattordicesimo) ha formalmente rinunciato ai suoi poteri politici. Dal punto di vista spirituale, i Dalai Lama sono considerati una emanazione terrena del «bodhisattva Cenrezig», nume tutelare del Tibet, i tibetani si sentono da lui rappresentati e hanno nei suoi confronti una forma di venerazione particolarmente sentita. Mi riesce sempre difficile descrivere a parole l’intensità e la profondità del legame che lega il Dalai Lama al suo popolo. Tanto è intenso e sentito. In sintesi potremmo dire che Kundun (il più diffuso dei numerosi nomi con il quale i tibetani si riferiscono ai Dalai Lama), incarna l’essenza stessa dello spirito del Tibet. E la relazione tra questa figura spirituale e la sua gente, è puro amore. Nell’accezione più nobile del termine.
Ci parla dell’ultima edizione del suo libro, la biografia autorizzata del Dalai Lama, Il sorriso e la saggezza? L’edizione del 2021 è quasi esaurita, la Nalanda edizioni ha voluto pubblicarne una nuova, aggiornata al maggio di quest’anno in veste grafica particolarmente curata, un omaggio per i 90 anni di Sua Santità il Dalai Lama. Rispetto alla precedente edizione, abbiamo fatto alcuni cambiamenti nella struttura dei capitoli e degli «Approfondimenti» sulla cultura del Tibet che si intersecano con la vera e propria narrazione biografica della vita di Kundun. Questa edizione è disponibile dalla fine giugno e si può ordinare sia presso il sito della Nalanda (https://www.nalandaedizioni.it/) sia tramite le principali librerie
Lei ha anche scritto la biografia di
Jetsun Pema, la sorella minore del Dalai Lama: Amala-Jetsun Pema: Madre del Tibet, sorella del Dalai Lama, (Italia 2024) edito da Ubiliber e uscito nel novembre 2024. Ho il privilegio di godere dell’amicizia di Jetsun Pema da tre decenni. Il libro ha una struttura un po’ particolare… ho individuato, nella vita di questa donna eccezionale, alcuni “nodi“ particolarmente significativi e li ho collegati tra loro con tutta una serie di “puntini biografici“. Non dimenticando mai il contesto sociale e politico in cui questi “nodi“ sono inseriti. Sia Jetsun Pema sia il suo adorabile marito Tempa Tsering mi hanno fornito un aiuto incommensurabile riguardando il testo che io inviavo loro in una elementare traduzione inglese.
Quest’anno a Milano L’Unione Buddhista Italiana (UBI) con una serie di eventi ha celebrato l’importante ricorrenza del Vesak (che ricorda i tre principali momenti dell’esistenza del Buddha Sakyamuni: nascita, illuminazione e parinirvana). Lei ha coordinato una conversazione tra la signora Jetsun Pema e l’attore Richard Gere. In chiusura, il 25 maggio, c’è stata la prima visione italiana del film «Wisdom of Happiness» dedicato al XIV Dalai Lama del Tibet. Richard Gere è uno dei principali produttori. Ci parla dell’amicizia tra Richar Gere e il Dalai Lama? In Nepal a fine anni 70 Richard Gere incontrò le prime comunità di profughi tibetani quando, come tanti giovani della sua generazione (che è anche la mia!), viaggiavano in Oriente. Rimase molto colpito da quei rifugiati, dalla loro cultura e dal loro leader. In una nostra conversazione, quando lo conobbi personalmente una trentina di anni fa, Richard mi disse la data nella quale incontrò personalmente Kundun, credo si trattasse dei primi anni 80 del secolo scorso. Il Dalai Lama, con la sua umanità, compassione e saggezza gli fece un’enorme impressione. Gere divenne suo discepolo e continua ad esserlo ancora oggi, con immutata devozione. Per quanto mi è dato vedere, il rapporto così stretto con Sua Santità ha avuto un grande impatto sulla vita dell’attore americano. E mi pare lo abbia molto aiutato ad affrontare aspetti del mondo del cinema sovente poco gradevoli.
Che cosa ci può dire della successione del Dalai Lama? Il governo di Pechino in più occasioni ha detto di considerarsi l’unica autorità a decidere in merito.
Quando, nel marzo 2015, il Dalai Lama mi concesse una lunga intervista per il libro che stavo scrivendo sulla tradizione dei tulku (P. Verni-G.Mattolin, Tulku, le incarnazioni mistiche del Tibet, sec. ed. Italia 2018), affrontò anche il problema del futuro della tradizione dei Dalai Lama e delle eventuali modalità relative alla sua successione. In sintesi mi spiegò che al momento non aveva ancora preso una decisione al riguardo ma che pensava di affrontare il tema, consultando anche importanti personalità religiose tibetane, «fra una decina di anni». Adesso quella «decina di anni» è trascorsa, e il Dalai Lama ha confermato che avrà di certo un successore…
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Il Mercato e la Piazza
Dazi alla Svizzera: tanto rumore per nulla?
La guerra dei dazi, avviata dall’amministrazione Trump, ci ha abituato a considerare con prudenza ogni possibile giudizio. Dapprima perché non abbiamo esperienze recenti di protezionismo che possano permetterci di informarci. In secondo luogo perché sulla dimensione dei dazi da imporre Trump ha fatto, nel giro di pochi mesi, più di una giravolta rendendo così arduo ogni apprezzamento della sua politica. Quel che invece è constatabile è che, ad inizio agosto, imponendo un dazio del 39% su quasi tutti i beni esportati dalla Svizzera negli Stati Uniti, Trump è riuscito a spaventare più di una ditta esportatrice e più di un commentatore dei fatti economici del nostro Paese. Nei giorni che hanno seguito l’introduzione del muro daziario, poi, i mass media svizzeri hanno cercato di dare un’idea delle sue conseguenze negative, soprattutto andando a scovare
In&Outlet
esempi di aziende toccate da questa misura. Probabilmente questi esempi hanno seminato ancora più spavento senza che, per il momento, si possa valutare, con dati indiscutibili, l’impatto globale dei dazi americani. Tra qualche settimana, quando saranno rese note le previsioni per il 2026, ne sapremo certamente di più e con un grado di approssimazione migliore. Per il momento possiamo riferirci solo alle indicazioni che ci offre uno scenario, elaborato dalla Seco nel mese di giugno di quest’anno. Lo stesso si basa sull’ipotesi di un dazio americano del 31% per le esportazioni dalla Svizzera, di uno del 50% per quelle dai Paesi dell’Ue e di uno del 100% per le esportazioni dalla Cina. Il colpo di freno indotto dall’introduzione di dazi di questa portata veniva stimato, considerando come si è comportato l’indicatore settimanale dell’attività economica del nostro
Paese, a partire dal mese di aprile di quest’anno, cioè da quando Trump annunciò la sua strategia protezionista. Gli esperti della Seco comparavano poi l’ampiezza di questo colpo di freno (che concerne, lo precisiamo, i mesi da aprile a giugno e quindi un periodo in cui i dazi non erano ancora operativi) con le diminuzioni che l’indicatore settimanale aveva conosciuto in choc economici degli ultimi anni come la crisi bancaria internazionale del settembre 2008, la rivalutazione del franco del gennaio 2015 e la recessione dovuta alla pandemia del marzo 2020 giungendo a conclusioni tranquillizzanti. La pandemia e la crisi bancaria internazionale sono state vere e proprie scosse congiunturali con al seguito recessioni che durarono qualche semestre. Invece, la rivalutazione del franco del 2015, contrariamente alle attese, non ebbe praticamente nessun impatto negati-
Perché va fatto il Ponte sullo Stretto
Era il 2012. Si votava per le regionali in Sicilia. Beppe Grillo annunciò che sarebbe arrivato sull’isola a nuoto. Con altri cronisti lo aspettavamo sulla sponda siciliana dello Stretto. Chiesi ai curiosi in attesa se fossero favorevoli o contrari al Ponte. Risposero più o meno così: «Il Ponte l’abbiamo già pagato. Sono decenni che qui si fanno carotaggi, scavi preparatori, studi di fattibilità. Solo che il Ponte non c’è». Da allora sono passati tredici anni. Scavi preparatori, carotaggi, studi di fattibilità si sono intensificati. E il Ponte non c’è ancora. Il Ponte sullo Stretto è la perfetta metafora dell’Italia, che discute da una vita delle stesse cose, senza affrontarle mai. Lo si fa da almeno mezzo secolo. Oppositori e sostenitori citano sempre gli stessi argomenti. Un classico è ricordare lo stato penoso delle ferrovie siciliane: oltre tredici ore per percorrere i 300 chilometri che separano Trapani da Ragusa. Da trent’anni si
Zig-Zag
sente dire: «Prima del Ponte bisogna fare le ferrovie!». Ma nel frattempo non si sono fatte né le ferrovie, né il Ponte. L’unica novità è rappresentata da coloro che nel frattempo sono passati da un’opinione all’altra. Matteo Salvini, quando nel 2016 Renzi voleva il Ponte era contrario – «dobbiamo prima costruire le ferrovie in Sicilia!» – , e ora che è ministro delle Infrastrutture è favorevole.
Tuttavia, non è possibile accettare la logica per cui, se una cosa la dice Salvini, allora è sbagliata. Sul Ponte (e, a mio avviso, su poco altro) Salvini dice una cosa giusta. Il Ponte – sempre a mio avviso – va fatto. In Paesi che da sempre si confrontano con il rischio sismico, come in Giappone, sono stati fatti ponti dieci volte più lunghi. L’idea per cui in Italia le cose non si possono fare è inaccettabile. È un modo per arrendersi preventivamente alla mafia senza combatterla. Il Ponte sullo Stretto
Il lupo è tornato e ci guarda
Seduto in poltrona mi fa un po’ ridere scoprire di avere la stessa posa dell’iconico Kevin Spacey (avete presente la serie «House of Cards»? Ecco, quello). L’idea della somiglianza mi arriva di sguincio, assieme al sottotitolo della serie («Gli intrighi del potere») richiamato alla mente dalla lettura della notizia del giorno («La gestione del lupo in Ticino è un disastro che ricade interamente su Claudio Zali») e della pronta replica della Lega («Altro che lupo: ciò che davvero terrorizza certi partiti è perdere il controllo. Infatti, non è il lupo a far paura: è Claudio Zali che dà fastidio»). Di colpo cinquant’anni di giornalismo arrivano a suggerirmi di circumnavigare gli intrighi, tutti, in particolare quelli politici. Però alla fine la tentazione vince e mi affaccio su uno dei più surreali tormentoni cantonticinesi, quello del lupo.
Come traccia – obbligata, poiché ufficiale – ero convinto di poter usare un recente rapporto presentato nel corso di due serate (Pregassona e Bellinzona, fine maggio) organizzate per coinvolgere i cacciatori nell’ambito della regolazione del lupo. Facilmente reperibile sul sito web cantonale, il contenuto di quel documento in effetti è utile per confutare l’affermazione che Zali non si sia impegnato nella lotta o che, mentre attendeva luce verde da Berna, stesse addirittura aiutando il lupo! Ma quel rapporto ha un difetto: viene dai controllori, cioè dal dipartimento del Territorio, quindi è di parte, impresentabile. Cerco allora un supporto neutro e, sempre «googlando», risalgo a La Fontaine e alla favola in cui un lupo magrissimo e affamato incontra in un prato un cane «grasso, tondo e bello» che propone all’a-
di Angelo Rossi
vo a livello degli aggregati dell’economia. Per la Seco, infine, l’impatto negativo dei dazi di Trump, se ci sarà, non dovrebbe raggiungere, per l’insieme dell’economia svizzera, l’ampiezza delle recessioni del 2008 e del 2020 o del colpo di freno del 2015. Vi sono diversi fattori che concorrono a spiegare perché potrebbe essere così. Il primo è che, a differenza della rivalutazione del franco del 2015, che determinò un aumento dei prezzi di tutti i beni esportati pari al 10%, i dazi di Trump, pur essendo elevatissimi, non concernono che meno di un quinto delle esportazioni dalla Svizzera. Gli urti maggiori, osservano gli esperti della Seco, si ebbero però nel caso della crisi finanziaria internazionale del 2008 e nel caso della pandemia da Coronavirus del 2020. Nel 2020 perché, in seguito alla chiusura delle frontiere, il commercio internazionale ristagnò
per diversi mesi mentre nel 2008 perché, sempre per un periodo abbastanza lungo, i crediti bancari restarono congelati. In queste due crisi, l’indice settimanale di attività scese sotto lo zero. Nel caso della presente crisi ancora non si è manifestata una diminuzione della stessa ampiezza. Tanto rumore per nulla, quindi? Attenzione! I segni di un rallentamento congiunturale sono già percepibili. Il tasso di crescita del Prodotto interno lordo è sceso, nel 2025, dallo 0,8% del primo, allo 0,1% del secondo trimestre. Fino alla fine di giugno, cioè fino alla fine del periodo considerato nello scenario Seco, la nostra economia continuava ad essere leggermente in crescita. Difficilmente lo resterà però nel secondo semestre anche perché i dazi, che sono ora operativi, determineranno un rallentamento della congiuntura in altre economie nazionali, buone clienti della nostra.
è il più annunciato – e costoso – tra i ponti che non sono mai stati costruiti. Ne parlavano già gli antichi romani, che ne fecero uno, provvisorio, di barche. Già prima dell’unità d’Italia i Borbone ci avevano pensato e rinunciato. Nel 1866 l’Italia unita elaborò un progetto, ma piantare i piloni nel mare sembrò troppo difficile, e si pensò a un tunnel sottomarino; ma il terremoto di Messina del 1908 bloccò tutto.
Da allora, un governo proclama di volere il ponte, e quello successivo lo blocca. Nel 1985 Bettino Craxi, presidente del Consiglio, e Romano Prodi, presidente dell’Iri, insieme annunciano: «Avremo il Ponte tra dieci anni». Viene creata una società per il Ponte, ma il ponte non si fa. Silvio Berlusconi è favorevole; il centrosinistra contrario. Tutto sembra pronto nel 2011; però l’austerity voluta dal governo guidato da Mario Monti blocca i lavori.
Approdato sulla sponda siciliana dello Stretto, dopo averlo attraversato a nuoto, Beppe Grillo proclamò che il Ponte non serviva. Però non possiamo farla tutti a nuoto, come lui. Adesso ci riprova Salvini. Ma i nordisti della Lega sono contrari. Anche molti siciliani. Il Ponte spazzerebbe via la piccola ma florida economia dei traghetti. Ma darebbe un grande impulso al turismo: Malta, che è 82 volte più piccola, ha un fatturato e un indotto maggiore; le Baleari e le Canarie hanno quattro o cinque volte i turisti della Sicilia. Il Ponte sarà un grande volano per l’economia calabrese e siciliana, soprattutto se sarà accompagnato dall’alta velocità ferroviaria. In questi anni in Sicilia si sono mosse molte cose. Non in politica. Sull’isola i partiti hanno fallito tutti. Ha fallito la sinistra con Crocetta. Ad attendere il Grillo nuotatore c’era un gruppo di militanti dei 5 Stelle, capitanati da un
giovane ribelle anti-sistema: Giancarlo Cancelleri, che adesso sta con Schifani, il presidente di Forza Italia. La riscossa della Sicilia non verrà dalla politica, ma solo dai siciliani, dal loro lavoro, e dalla valorizzazione di un concetto largo e alto del turismo: non solo alberghi e ristoranti, ma infrastrutture, cultura, spettacoli. Il turismo non ha bisogno solo di cuochi e albergatori ma di architetti, ingegneri, interpreti, guide, attori, artisti. E di enologi: il vino siciliano è cresciuto moltissimo, sull’Etna hanno investito i grandi produttori piemontesi da Gaja a Farinetti, Tasca d’Almerita esporta in tutto il mondo; e molti enologi siciliani sono donne. I teatri greci di Siracusa e Taormina sono più belli di quelli greci e ospitano rassegne importanti. Poi ci sono luoghi meravigliosi poco valorizzati, come Piazza Armerina con i suoi mosaici romani. Il Ponte servirà anche a questo.
nimale selvatico di porre fine alla sua «vita infame, sempre in guerra». Il lupo dapprima sembra convinto, ma appena vede la catena alla quale il cane è legato, sceglie la libertà e scappa via. Facile smontare anche questa mia scelta: parla del Seicento; poi i cani non c’entrano visto che in gioco ci sono capre e pecore; poco importa se anche quelle sono «grasse, tonde e belle» e spesso obbligate, seppur senza catena, a stare a ridosso degli abitati per curare il sottobosco e l’altezza dell’erba... E allora? Inevitabile ricorrere a colui che condivido con Michele Serra come «unico reazionario di riferimento»: lo scrittore appenninico Giovanni Lindo Ferretti. I suoi giudizi sulla contesa allevatori - lupo nell’Appennino si attagliano benissimo al Ticino, dal momento che anche da noi «si è verificato un brusco passaggio, to-
talizzante ed estraniante: da paesani a cittadini, da ora et labora a produci/consuma. Da sradicati a sradicanti». Ferretti ricorda anche che il lupo era l’animale totem dei Longobardi e proclama: «Il lupo è dei nostri. È tornato e ci guarda con occhi nuovi, stupiti (…) I lupi sono ecologicamente perfetti, protetti dalla legge, dai buoni sentimenti, devono essere controllati e difesi (…) I pastori, si sa, sono negletti, rozzi e primitivi, devono essere controllati e scoraggiati. Possono solo chiamare le guardie per la verifica e i giornalisti per la denuncia (…) Controllori e controllati. Lo sapessero i lupi starebbero con i pastori, ma come insegnarlo ai lupi?». Come dire: i lupi ci guardano, ci studiano, e non tarderanno a capire che, sia pure indirettamente, in Ticino preferiamo candidare pecore, becchi e capre come
nuovi totem di un cantone che avanza. Mi fermo qui. Circumnavigo gli intrighi del mini-arrocco che ha finito per coinvolgere anche il lupo e faccio un censimento (dati recenti) di quanti grandi predatori abbiamo in Ticino: Onsernone tre adulti; Val Colla due (forse tre) adulti; Carvina due adulti (forse tre, e per fortuna il lupo malcantonese in odore di fucilazione è di Arosio e non di Aranno...); Lepontino tre adulti; Gridone quattro adulti. Ad eccezione del branco Lepontino, sono tutti transfrontalieri e si stima che in totale si arriva a circa 26-28 lupi adulti o capobranco. Sono numeri striminziti, soprattutto se confrontati con quelli di Vallese e Grigioni; e dovrebbero farci capire che, ancora una volta, stiamo correndo il grosso rischio – a dirla con i francesi – di «friser le ridicule».
di Ovidio Biffi
di Aldo Cazzullo
CULTURA
Presto in TV, la serie The Deal Jean-Stéphane Bron porta sullo schermo un racconto immaginato nel 2015 che oggi sembra cronaca
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Il volto delle storie
Per Creutzmann, dietro ogni fotografia ben riuscita conta la relazione più che la tecnica
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Ottant’anni di musica
Piemontesi lascia la direzione artistica delle Settimane musicali di Ascona, in scena dal 2 settembre
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Della profondità della superficie
Una corte per tutti Il Festival Facciamo la corte! di Muzzano è stato insignito di uno dei Premi svizzeri di musica 2025
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Mostre ◆ Una delle più complete retrospettive europee dedicata a Vija Celmins, l’artista dei «cieli stellati»
«Il mio lavoro non è l’espressione di qualcosa esterno a se stesso»: sono parole della pittrice americana Vija Celmins, nata a Riga nel 1938, fuggita con la sua famiglia durante la Seconda guerra mondiale in Germania e da lì, nel 1948 emigrata negli Stati Uniti. Cresciuta a Indianapolis, Celmins ha studiato arte a Los Angeles e oggi vive e lavora a Long Island, dove gli artisti-registi Bêka e Lemoine hanno girato il ritratto video in cui la pittrice tenta di sottrarsi alle domande, delegando ironicamente a volte il suo gatto. Una reticenza che non è una forma di snobismo, perché – come scrive – il suo lavoro è accessibile «only by inspection. Of object. Perception + thought + whatever relation that has to feeling ».
Intenzione della pittura di Vija Celmins è quella di calarsi nell’apparente insondabilità della superficie
Percezione, pensiero, sentimento: le parole sembrano strumenti inadeguati a spiegare un’arte che si situa ai confini dell’estetica e della filosofia; osservando i suoi lavori ci si addentra nei sottili misteri della percezione dello spazio pittorico, ma anche degli enigmi dell’infinito e del tempo. Per la retrospettiva basilese si segue una classica impostazione cronologica per presentare la selezione di novanta lavori (tra dipinti, disegni e sculture) che coprono sessant’anni di carriera, dai primi lavori degli anni sessanta fino ai dipinti più recenti; occasione unica, se si pensa che Celmins ha realizzato soltanto 220 opere in tutta la sua vita; lei stessa si è paragonata a un ragno che tesse lentamente la sua tela (e proprio alle tele di ragno ha dedicato una serie di disegni). In questo caso però le prime sale appaiono propedeutiche alla comprensione delle sale successive, dove sono esposte le famose serie dei cieli notturni, fino a quelle dedicate al tema che attualmente la sta appassionando di più, ovvero le nevicate (Snowfall 2022-2024).
Si ha infatti uno sguardo più consapevole dopo aver osservato attentamente le «nature morte» degli anni Sessanta, in cui Celmins ritrae oggetti della vita quotidiana, del suo atelier di Venice, in una luce e con una gamma cromatica di marroni e grigi, influenzata dalla scoperta della pittura di Giorgio Morandi durante un viaggio in Italia. E mentre Warhol in quegli anni presenta le sue sgargianti Campbell’s Soup Cans, Celmins resta nel suo atelier e isola dal flusso del tempo gli oggetti quotidiani, creando nature morte di piccolo formato slegate da ogni composizione, gesto, colore artificiale, liberate soprattutto dalla ingombrante presenza di un
«io»: una lampada, un piatto, un radiatore che emana bagliori arancioni. Bagliori di interni in interni domestici, che trovano una corrispondenza nei bagliori degli incendi che divampano all’esterno, nelle strade delle città americane in quegli anni segnati da contestazione e violenti scontri. Burning Man è l’unica immagine con una figura umana di Celmins, tratta dalla cronaca segna una svolta metodologica; da allora le fotografie diventano il punto di partenza delle sue opere, offrendole una sorta di liberazione emotiva che le permette di porre nuova distanza tra lei e la storia, personale e collettiva. Nel 1968 una seconda svolta, con l’abbandono – temporaneo – della pittura per il disegno: con il segno delicato e preciso della matita l’artista riesce a far risuonare gli echi della violenza distruttrice della guerra – quella combattuta e quella minacciata; una cartolina da Bikini con il riconoscibile «fungo» atomico è riprodotta con accurata precisione. Le esplorazioni spaziali ampliano gli orizzonti dell’umanità così come lo sguardo di Celmins che comincia a collezionare le immagini della superficie lunare, punto di partenza una lunga ricerca
che fino a oggi l’ha portata a indagare la densa e misteriosa complessità della superficie nel tentativo di realizzare «l’immagine impossibile», quella che racchiude la vastità dell’infinito nella finitudine della tela.
D’ora in poi il suo sguardo si muove fra cieli e terra, fra la superficie cangiante dell’oceano osservato da Venice Beach e il suolo arido e brulicante «di cose» del deserto di Arizona e New Mexico. In queste immagini non c’è linea d’orizzonte; si perdono i riferimenti spaziali, si gioca tra distanza e vicinanza. Importa la forma che è anche tecnica, quella del disegno a matita da cui si sprigiona «la potenza della linea» che riesce a rendere la complessa trama del visibile: perché la capacità della linea è quella di «esporre e dimostrare il tangibile con maggiore acutezza dell’occhio medesimo di fronte all’oggetto reale» (John Berger, Ritratto di un pittore). Negli anni Settanta Celmins lavora alle sculture: significativa la serie
To fix the image in memory, costituita da undici pietre accostate a undici riproduzioni perfette che costituiscono una sfida lanciata all’osservatore, che cerca – invano – di scoprire delle minuscole differenze tra originali e co-
pie. Più che per la riflessione sull’arte come mìmesi, si percepisce l’interesse dell’artista per l’esperienza visiva innescata da questi accostamenti, come accade anche nella serie delle vecchie lavagne di scuola, che con la loro superficie nera non sono così lontane dagli spazi notturni dei cieli stellati che fanno la loro apparizione a metà degli anni Ottanta. Che si tratti dei dettagli di un frammento di un piatto di ceramica o di un vaso di porcellana, l’intenzione della sua pittura è quella di calarsi nell’apparente insondabilità della superficie, attirando l’attenzione su quella che la scrittrice Rachel Cusk definisce la «morale della superficie»: una morale che consiste nell’oggettività e nel tempo di cose che esistono indipendentemente dallo sguardo umano. In questa loro neutralità risiede la loro forza: sono testimoni imparziali del nostro essere. Affondando il nostro sguardo in queste superfici, le scopriamo inesauribili e allo stesso tempo ci scopriamo sempre più consapevoli di una realtà fuori dal nostro controllo, sfuggente come quella dello spazio cosmico. La serie dei suoi famosi Night Sky ci porta nel mezzo degli spazi incom-
mensurabili generati dal caos primigenio, dove – sappiamo oggi – si muovono le forze della misteriosa materia oscura. Eppure Vija Celmins è in grado di riprodurre con metodica precisione, partendo dalle immagini fornite dal telescopio Hubble e grazie a una tecnica particolare, la danza silente dei punti luminosi di stelle e pianeti. Non c’è traccia di romanticismo in questi cieli notturni; emerge solo un acuto interesse per la materialità della superficie e per le sue caratteristiche di astrazione. Eppure, dietro a un’apparente ripetitività, ognuna di queste visioni è in grado di rinnovare un sentimento di meraviglia, analoga a quella che si prova oggi di fronte alle prime immagini digitali elaborate dall’osservatorio astronomico Vera Rubin; una piccola porzione di spazio profondo scandagliata fino a rivelare per la prima volta milioni di colorate galassie, laddove si distinguevano indistinte scie luminose.
Dove e quando
Vija Celins, Basilea, Fondazione Beyeler. Fino al 21 settembre 2025 Orari: lu-do 10.00-18:00; me 10.00-20.00. fondationbeyeler.ch
Incontri ◆ Il regista svizzero Jean-Stéphane Bron debutta nella serialità – su La1 – con The Deal
Nicola Mazzi
The Deal, la prima serie di finzione del regista svizzero Jean-Stéphane Bron, è un ottimo thriller politico ambientato a Ginevra nell’aprile 2015, durante le delicate negoziazioni internazionali sul nucleare iraniano. In un clima di alta tensione, Stati Uniti e Iran si confrontano per cercare un accordo che possa evitare l’escalation verso un conflitto. L’azione si svolge principalmente tra le mura di un hotel di lusso, in cui ogni parola, gesto e silenzio può influire sugli equilibri del negoziato. Al Locarno Film Festival (dove è stato presentato in anteprima) abbiamo incontrato il regista.
Jean-Stéphane Bron, cosa l’ha spinta ad adottare questo formato per raccontare la storia? Non è stata la storia a portarmi al formato, ma l’inverso: è stata la forma a guidarmi verso la storia. La RTS aveva indetto un concorso aperto agli autori indipendenti per progetti seriali con un formato preciso: sei episodi. È stato questo a spingermi a cercare un’idea con un forte ancoraggio svizzero e un’aura internazionale. Nel 2015 avevo letto molto sull’argomento, anche perché un amico giornalista seguiva le negoziazioni internazionali e mi raccontava di come, a volte, passasse giornate intere ad aspettare i diplomatici per porre loro un paio di
domande. Mi interessava quel contesto, e quando ho pensato al formato seriale ho capito che le trattative potevano diventare la «mia» arena. Nella serialità, l’arena è fondamentale: è il mondo in cui si muovono i personaggi. In questo caso, il mondo della diplomazia, a Ginevra. Ho pensato: posso raccontarlo con un punto di vista diverso, scoprire cosa succede dietro le quinte, attraverso la protagonista Alexandra Weiss, a capo del protocollo della missione svizzera. Ho sempre pensato che le «spalle» – in senso cinematografico – siano un ottimo modo di raccontare ciò che accade in scena: se le filmi bene, il fuori campo diventa narrativo e centrale. I negoziatori svizzeri – che in realtà si definiscono «facilitatori» (termine tecnico della diplomazia), non negoziano direttamente: aiutano le parti a trovare un terreno comune – sono diventati il nostro fuori campo.
E il legame con l’attualità? È stata una coincidenza incredibile. Nella nostra serie, l’Iran bombarda Israele; nella realtà, è stato Israele a colpire l’Iran. La questione centrale — il nucleare iraniano e il rischio di attaccare i siti nucleari — nella nostra storia si risolve con un negoziato, non con un’azione militare come è successo realmente. Quando abbiamo iniziato a scrivere, il mon-
do era ancora quello dell’era Obama: multilaterale, con russi, cinesi, europei, iraniani e statunitensi seduti allo stesso tavolo. Immaginarlo oggi è impossibile, sembra quasi di essere tornati al XIX secolo, con la forza, le minacce, la pressione militare come strumenti primari.
Ha anche reso umano il potere… È fondamentale e un aspetto che avevo osservato anche in un mio documentario sul Parlamento svizzero: una deputata ecologista non voleva essere ripresa con un collega dell’UDC. Ma un giorno il cavallo della prima si ammalò, e l’altro, che era contadino, le chiese come stesse. Quel momento di connessione umana li avvicinò oltre la differenza politica. Sono i piccoli gesti a creare grandi accordi.
Un’immagine tratta dalla serie TV The Deal, che mette in scena il dietro le quinte dei negoziati sul nucleare tra America e Iran, in un intreccio che oggi sembra più che mai toccare l’attualità
Lei viene dal documentario politico. Cosa ha portato di quell’esperienza nella realizzazione della serie?
Quando faccio documentari ho un’ossessione: per ogni scena mi chiedo quale sia la grammatica visiva: camera a spalla? In movimento?
Fissa? Qui abbiamo deciso che sarebbe stata la scena a decidere: a volte camera a spalla, altre camera fissa. Un altro aspetto che ho portato dal documentario è l’uso dello sguardo in camera. Nei miei film documentari chiedo spesso ai protagonisti di guardare direttamente nell’obiettivo: questo crea un contatto intenso con lo spettatore. Nella serie ho fatto lo stesso in molte scene di confronto tra il Ministero degli Esteri iraniano e la diplomatica americana: gli attori guardavano in camera, un po’ come
in un western dove i personaggi si scrutano negli occhi.
Quali sono state le scene più complesse da girare?
Sicuramente quelle delle negoziazioni, ai tavoli delle trattative. Volevo che fossero credibili al 100%, con una tensione costante e una continuità narrativa solida. Perciò ho chiesto di girarle in continuità, durante alcuni giorni di riprese, in modo che gli attori – ricordando ciò che avevano fatto nei giorni precedenti – potessero immergersi completamente nel loro ruolo.
Quanto è durato il lavoro di scrittura e produzione?
La scrittura è durata circa sei anni, senza interruzioni, con aggiustamenti sulla sceneggiatura fino alle riprese e il montaggio è stato terminato nel mese di marzo di quest’anno. Per le location abbiamo girato in cinque hotel svizzeri e due in Lussemburgo: a volte una scena inizia in un hotel, continua in un altro e finisce in un terzo, ma sullo schermo non sono riconoscibili e il tutto sembra svolgersi nello stesso albergo ginevrino.
Informazioni
la serie TV The Deal è disponibile su PlaySuisse e sarà trasmessa dalla RSI La1 il 31 agosto, il 7 e il 14 settembre.
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Relazioni umane a sviluppo istantaneo
Film Festival Workshop ◆ Un’aula, nove partecipanti internazionali, altrettanti progetti, un maestro, Sven Creutzmann: così a Locarno la fotografia diventa esercizio di empatia e costruzione di storie
Manuela Mazzi, testo e foto
Si fa quello che si può con quello che si ha, il resto è relazione umana. Basta una frase per riassumere la grande lezione del fotografo Sven Creutzmann, invitato a tenere il workshop Storytelling Through the Lens (Raccontare storie attraverso l’obiettivo) nell’ambito del recente Film Festival di Locarno. Ma ai suoi partecipanti servirà una vita di appassionata dedizione per metterla a frutto.
«Le persone cercano i volti di altri esseri umani nelle immagini: mostrate i volti dei vostri soggetti. Per farlo dovrete ottenere la loro fiducia, che potrete conquistare solo se sarete davvero interessati alle loro storie. È fondamentale: i volti esprimono le emozioni, le emozioni stanno alla base delle narrazioni vere».
Nove, i partecipanti selezionati. Giovani, i loro volti (dai 22 ai 32 anni). Tutte intriganti, le storie dei loro progetti. Così, la macchina del festival cinematografico di Locarno, grazie al programma di Factory, investe nelle nuove generazioni.
Il più giovane è un brasiliano residente in Argentina, che si è focalizzato sui margini del Festival, dai karaoke agli eventi collaterali. Legato al Festival è anche il progetto della ragazza cinese che vive nel Regno Unito: specializzata nella fotografia sportiva, durante il corso ha cercato di catturare il senso di perdita e vulnerabilità sul volto di un regista vinto
Fotografare non è solo una questione di tecnica, ma la capacità di entrare in contatto con le storie delle persone ritratte
Un’emozione autentica, come quelle inseguite dall’azera in cerca di confessioni mai fatte, da immortalare nel momento in cui avvengono. Intimità emotive difficili da cogliere, non meno di quelle fisiche: la compagna di banco russa residente in Spagna ha infatti puntato l’obiettivo sulle docce serali di persone provenienti da vari ceti sociali. C’è poi il libanese che ha ritratto chi, durante il Festival, lavora dietro le quinte, e l’indiana residente in Inghilterra che si è dedicata all’adattamento degli anziani alla modernità, mentre il suo conterraneo rimasto in patria ha realizzato una serie di ritratti sul legame emotivo che le persone instaurano con gli oggetti, in quanto scrigni di ricordi, perdita, desiderio o identità.
Siamo stati un’intera mattinata con loro, in un’aula dell’ex Magistrale di Locarno, dove tutti i giorni del Festival, dalle nove alle tredici, si sono radunati per discutere e analizzare gli scatti prodotti tra il pomeriggio e la notte precedente: un tour de force! Un massimo di venti fotografie al giorno, scattate con una fotocamera a sviluppo istantaneo consegnata dall’organizzazione. La stanchezza già accumulata, la frustrazione per alcuni scatti non riusciti, il desiderio di fare meglio, nulla di tutto questo ha compromesso l’entusiasmo del docente e la curiosità dei partecipanti, dato l’evidente fermento di idee, la volontà di condividere aneddoti e i consigli tecnici elargiti con infinita generosità. Di questa esperienza abbiamo parlato con due italiani non ancora citati tra i partecipanti: Elena Tonon, 24 anni, di Conegliano (TV), e Francesco Attivissimi, 26 anni, di Ronci-
glione (VT). Lei ha studiato cinema per cinque anni a Milano, lui si è laureato in Filosofia all’Università di Bologna, e da tempo coltiva una passione molto forte per il mondo audiovisivo. Entrambi aspirano a raccontare la realtà, con sguardi diversi, entrambi vogliono fare questo per mestiere, entrambi proseguiranno il loro progetto anche dopo il workshop. A riprova del buon investimento formativo offerto dal Film Festival.
Elena – che ha uno sguardo delicato, aperto all’errore, e alla ricerca di contrasti – ama stare a contatto con persone diverse da lei «e allontanarmi il più possibile da ciò che conosco e che mi è familiare». Il suo progetto riguarda la prostituzione: «Mi interessano soprattutto i momenti in cui non succede niente, i momenti di attesa, di noia, di stallo, cercare una dimensione di intimità per riconsegnare un ritratto che possa far emergere le ipocrisie di questa professione: non ho mai capito fino in fondo
quale fosse la mia opinione al riguardo. Voglio avere uno sguardo diretto su questo mondo. Ho in mente di proseguire il progetto, ampliarlo andando anche in altre zone d’Italia, come Milano, o all’estero, visitando altre città in cui la prostituzione è legale, come Amsterdam per esempio». Una vera sfida: «Ho riflettuto molto su come raccontare contesti difficili senza scivolare in vittimismi o moralismi. Con Sven ho imparato che l’unica strategia vera è l’empatia: la fiducia nasce da un interesse sincero, non da artifici. All’inizio temevo fosse impossibile trovare qualcuno disposto ad aprirsi, ma ho scoperto che con tenacia e ascolto il progetto diventa possibile. Sul piano tecnico ho imparato a essere più diretta nell’avvicinarmi ai soggetti, a cercare i volti e le espressioni, a comporre con maggiore consapevolezza. L’esperienza, che temevo insormontabile, si è rivelata invece accogliente e intensa: sono riuscita a entrare in sintonia con diverse
persone, vivendo momenti di grande arricchimento umano. Il legame con una coetanea prostituta e la confidenza ricevuta da un’altra ragazza sul suo passato sono stati gli episodi più forti e toccanti. Oggi credo che la fotografia narrativa possa creare mondi simbolici, a patto che non tradisca mai la verità della storia».
Anche per Francesco l’insegnamento più importante ha che fare con il relazionarsi al soggetto: «Quando Sven ce l’ha spiegato è stato come se mi avesse letteralmente aperto la testa, ci avesse messo dentro quest’idea, e avesse richiuso. Ho scoperto che riesco a connettermi con le persone: ho sempre fotografato senza parlare con la gente… e invece ora so che posso relazionarmi con il soggetto».
Tutti i lavori di Francesco, che elogia la distrazione creativa, hanno sempre a che vedere con il sociale, la denuncia di situazioni di vita meno agiate nel pieno rispetto dell’umanità tutta, tant’è che il suo progetto si
Cinque domande a Sven Creutzmann
Nato nel 1962 e cresciuto fino all’età di dieci anni nella Germania dell’Est, per essere poi ceduto dal regime, con tutta la famiglia dissidente, all’Ovest durante la Guerra Fredda, Sven Creutzmann (https:// svencreutzmann.com) ha mosso i primi passi negli studi fotografici e da libero fotoreporter, prima di trovare a Cuba il suo osservatorio privilegiato come unico tedesco ufficialmente accreditato. Corrispondente Reuters e autore pubblicato sulle pagine di «GEO», «Stern», «Der Spiegel» e «The New York Times», ha saputo raccontare con la stessa intensità Olimpiadi e rivoluzioni, sport e politica. Quattro libri e una grande retrospettiva a Colonia hanno consacrato il suo lavoro, mentre l’attività didattica, soprattutto tra Europa e America Latina, lo conferma come mentore di una generazione di fotografi di ogni parte del mondo, in un percorso formativo che porta avanti da più di quindici anni.
Cosa la spinge a dedicare tempo ed energie alla crescita di giovani talenti?
Mi piace molto lavorare con persone che hanno una passione per la fotografia, qualunque essa sia. So per esperienza diretta quanto sia fan-
tastico, da un lato, poter entrare in contatto con altri attraverso l’obiettivo – perché la macchina fotografica diventa essenzialmente la mia chiave per accedere alle storie altrui – dall’altro ottenere in dono l’immagine che mantiene vivi i momenti vissuti. Poter trasmettere un po’ di questo è per me una grande gioia.
Le sue lezioni sono molto concentrate sull’autenticità e sulla ricerca nella vita reale: come coltiva questo atteggiamento in un’epoca in cui le immagini sono spesso filtrate e costruite?
Questo è un ulteriore motivo per essere autentici nel mondo di oggi, dove ogni immagine che vediamo può essere falsa. È ancora più importante affermarsi come narratori autentici e cercare piattaforme per le pubblicazioni che abbiano standard etici.
Durante il workshop l’abbiamo vista fotografare momenti della lezione: fa parte di un progetto preciso o è un’abitudine istintiva, una necessità di documentare a cui non può rinunciare?
Non passa giorno nella mia vita senza che io scatti fotografie. Per me, ci sono sempre tanti piccoli momenti, anche a casa, che vedo e voglio cattu-
basa «sulla ricerca della bellezza nella vita lenta delle persone della terza età in risposta al turbocapitalismo: voglio ritrarre gli anziani che sono ontologicamente lenti, fornendo una risposta ribelle alla frenesia di oggi». Per farlo «sono andato nelle Case di riposo e ho chiesto all’ATTE. Ritrarre la lentezza è stato abbastanza facile, mentre lo è stato molto meno cercare di scattare foto a quegli anziani più agiati con stili di vita più lussuosi, che a volte sono stati anche sgarbati». Pure Francesco, come detto, proseguirà il suo progetto spostandolo da Locarno a Sant’Erasmo: «un’isola vicino a Venezia, dove si vive in una maniera anticapitalista, godendo di quello che la natura offre, senza consumismo e frenesia: adotterò tutti gli apprendimenti di questo workshop, soprattutto creando connessioni con le persone».
Fondamentale è stata la presenza multietnica e multiculturale dei compagni, come riassume Elena: «L’incontro con altri allievi, con sensibilità e sguardi diversi, è stato prezioso quanto l’acquisizione di una maggiore consapevolezza tecnica e umana».
Chiediamo loro di regalarci un’ultima riflessione, e Francesco ci dona un’immagine: «Mi ha veramente toccato tantissimo vedere Sven triste per la fine di questo workshop, triste a causa del paradosso intrinseco al mestiere stesso che fa e che ci ha insegnato: tu racconti le storie degli umani, entri in contatto con loro, ma non hai mai la stabilità di questi rapporti, proprio perché il tuo lavoro ti porta sempre altrove».
Eppur tuttavia, come ci ricorda Elena, «l’essenza resta. Nel nostro caso in un quaderno-carnet che ci è stato donato e che noi abbiamo riempito con le immagini scattate in questi giorni, ma anche nella frase di Sven: “Una fotografia è una dichiarazione d’amore a un momento”».
rare, anche solo un raggio di luce che filtra attraverso le persiane del mio ufficio. E se questo è sufficiente per scattare una foto, lo è ancora di più quando sono con nove ragazzi, parliamo di fotografia e per ore discutiamo di come avanzano i progetti a cui stanno lavorando. Che regalo!
Che tipo di racconto visivo si porta a casa dal Locarno Film Festival? Purtroppo ho avuto pochissimo tempo per il Festival in sé. Quindi le mie foto di questi dieci giorni sono solo istantanee che ho scattato durante il
tragitto da e per il Centro SUPSI. Ma va bene così, perché ho comunque raccolto molte foto durante il workshop al Locarno Film Festival: è questa la storia visiva che mi porto a casa.
C’è ancora spazio per i fotogiornalisti nel mondo di oggi?
Come dicevo, proprio perché siamo inondati di immagini IA (e ancora di più da Veo3 – ndr generatore di video artificiali –, che per me rappresenta uno spartiacque), penso che ci saranno sempre più persone stanche e sature di ciò che l’intelligenza artificiale era fin dall’inizio: un’attrazione. Se non si può più essere certi di cosa sia reale o falso, la gente desidererà sempre di più il vero giornalismo. Vedo questa come una grande opportunità. Certo, il settore oggi è diverso rispetto a dieci anni fa. Ottenere un incarico della durata di mesi per una rivista importante come «Geo» o «Stern» sta diventando sempre più irrealistico al giorno d’oggi, perché molte delle riviste più importanti sono scomparse o sono state emarginate. Ma sono convinto che ci saranno altri modi per finanziare il giornalismo, e questo rappresenta un’opportunità per i giovani fotogiornalisti che verranno dopo la nostra generazione.
Sven Creutzmann mentre discute le fotografia di Elena Tonon.
Creutzmann e Francesco Attivissimi dopo un commento divertente.
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Intese armoniche alle Settimane Musicali
Incontri ◆ Francesco Piemontesi dopo dodici anni lascia la direzione artistica del festival con amicizie artistiche e grandi orchestre
Enrico Parola
Le Settimane Musicali di Ascona e Locarno festeggiano i loro primi ottant’anni con un’edizione storica, che è anche l’ultima (di dodici) disegnata da Francesco Piemontesi.
Maestro, perché lascia la direzione artistica?
Perché è giusto, dopo un lungo periodo, che i festival cambino: sono convinto che il mio successore, Christoph Müller, saprà rinforzare la struttura organizzativa della rassegna. E perché, a 42 anni (è nato nel 1983 a Locarno, ndr.), sono entrato nella stagione che un grande pianista quale Alfred Brendel identificava come la più feconda per un musicista, quella tra i quaranta e i sessant’anni. Voglio mettermi nelle condizioni di esprimere tutto ciò che posso dare. È già indicato da critica internazionale e principali istituzioni concertistiche come uno dei grandi pianisti d’oggi. Dove vuole arrivare?
Non è una carriera sportiva, non si tratta di traguardi da raggiungere; è il piacere di suonare nel miglior modo possibile. Suonare con le grandi orchestre trasmette un’energia pazzesca, è quasi diabolica la potenza emotiva che mi suscita l’essere avvolto dagli strumenti di certe meravigliose orchestre. D’altronde, è anche bello il recital solistico, dove tutto dipende dal solista e ci si prepara per calamitare il pubblico per novanta minuti; e come rinunciare alla musica da camera, con quel dialogo con altri musicisti che, una volta scattata la sintonia, sgorga quasi improvvisando?
La sintonia con certi grandi artisti sembra essere all’origine del cartellone 2025.
Lo è infatti: per la mia ultima edizione ho voluto invitare colleghi-amici con cui si è creato un legame particolarmente profondo.
Inaugurazione il 2 settembre con Robin Ticciati sul podio della Chamber Orchestra of Europe. Una volta, a Istanbul, in una sala piena di gatti, suonammo il Concerto K 466 di Mozart tra i miagolii: fu difficilissimo rimanere concentrati, soprattutto nella delicatezza del secondo movimento. Al termine, in camerino, scoppiammo a ridere da non riuscire più a smettere. Un episodio buffo, che rinsaldò un rapporto già ricco di grande affinità artistica.
Suonò Mozart, il K 503, anche con Gianandrea Noseda, che l’accompagnerà nell’Imperatore di Beethoven dal podio della Mahler Chamber Orchestra. Fu uno di quei momenti in cui la forza dell’orchestra mi travolse; eravamo a New York, tre serate, il pubblico sempre entusiasta; Noseda ha un’energia debordante, e la sa trasmettere agli orchestrali e al solista.
Perché il quinto concerto di Beethoven come addio al festival?
Perché lo suono da poco; avevo più volte eseguito i primi quattro, ma per l’Imperatore non mi sentivo ancora
Programma dal 2 settembre al 23 ottobre
MA 2.9, ore 20
Chiesa San Francesco, Locarno Chamber Orchestra of Europe
Robin Ticciati direttore
Golda Schultz soprano Il concerto inaugurale dell’80a Edizione. Da Stravinsky alle luci di Broadway
ME 10.9, ore 19.30
Sala della Sopracenerina, Locarno Le Consort
Note segrete di corte: il barocco svelato delle donne Versailles
DO 14.9, ore 18
Chiesa Collegio Papio, Ascona Entrata gratuita
Festival Strings Lucerne Mozart, Schumann, Tchaikovsky. Concerto gratuito per gli 80 anni
ME 17.9, ore 19.30
Chiesa Collegio Papio, Ascona Il Pomo d’oro
Maxim Emelyanychev direttore e fortepiano. Capolavori mozartiani su strumenti d’epoca
VE 19.9, ore 19.30
Chiesa San Francesco, Locarno Mahler Chamber Orchestra
Gianandrea Noseda direttore
Francesco Piemontesi pianoforte Beethoven, Mendelssohn e Schumann: un viaggio nel Romanticismo
MA 23.9, ore 19.30
Chiesa San Francesco, Locarno
Budapest Festival Orchestra
Ivan Fischer direttore
Guy Braunstein violino
Dal flauto magico
alla Settima di Beethoven
VE 26.9, ore 19.30
Chiesa San Francesco, Locarno Orchestra della Svizzera italiana
Charles Dutoit direttore
Coro Filarmonico di Brno
G. Leporatti, O. Schnyder
C. Pescia, T. Gheorghiu pianoforte
Bach, Stravinsky, Bruckner: 4 pianisti, un coro monumentale e Dutoit sul podio dell’OSI
DO 28.9, ore 19.30
Chiesa Collegio Papio, Ascona
Chouchane Siranossian violino
Sonia Wieder-Atherton violoncello
Dialogo tra anime: da Bach a Ravel
SA 27.9, ore 17
Cinema GranRex, Locarno
Lo Schiaccianoci
Solisti Orchestra
Sinfonica G.Rossini
Spettacolo gratuito per le famiglie
LU 29.9, ore 19.30
Chiesa Collegio Papio, Ascona
Sir Andras Schiff pianoforte
Francesco Piemontesi pianoforte
Schubert e Mozart a quattro mani
GI 2.10, ore 19.30
Chiesa Collegio Papio, Ascona
Piotr Anderszewski pianoforte
Da Brahms a Bartók.
Francesco Piemontesi è diventato direttore artistico delle
Settimane musicali di Ascona nel 2013. (Luca Sangiorgi)
pronto, l’ho tenuto anche dopo il Secondo di Brahms, da tanti ritenuto l’Everest pianistico. Quando ho iniziato l’avventura alla guida delle Settimane Musicali non l’avevo ancora suonato, mi sembrava bello chiudere questa esperienza proprio con questo brano.
In generale, come sono nati i programmi dei vari concerti?
Dialogando con gli artisti. Ad esempio, per l’inaugurazione Ticciati accompagnerà il soprano Golda Schultz in arie e canzoni di Gershwin, Weill, Stravinsky, Korngold e Bernstein: ci teneva tantissimo e sono sicuro che ci incanterà. Le voci del Mala Punica (6 ottobre, ndr.) prendendo spunto dagli affreschi giotteschi conservati al Papio, hanno impaginato un’antologia di compositori coevi al pittore e attivi nel padovano, da Cicogna a Matteo da Perugia e Ortiz. Chouchane Siranossian desiderava cimentarsi durante la stessa serata (28 settembre) col violino barocco e quello moderno, e così suonerà la Ciaccona di Bach e poi il Duo di Ravel con la violoncellista Sonia Wieder-Atherton.
Il 17 riproporrà il concerto che lei suonò a Istanbul, ma ad eseguirlo, nella doppia veste di pianista e direttore, sarà Maksim Emel’janyčev, alla guida del Pomo d’Oro.
Un musicista straordinario. La prima volta che suonammo assieme fu a Brema; in programma, il primo concerto di Beethoven, che prevede una lunga introduzione orchestrale. Appena attaccò mi stregò per le sonorità che riusciva a ottenere dall’orchestra, ma guardandolo sembrava non fare nulla: era incredibile, contro le leggi della fisica, ma quei suoi movimenti, così inconsueti per un direttore, facevano suonare l’orchestra in modo semplicemente meraviglioso.
A proposito di formazioni che suonano meravigliosamente, il 23 sbarcherà a Locarno la Budapest Festival Orchestra, col suo fondatore Ivan Fischer che accosterà la settima sinfonia di Beethoven a un suo brano, la Dance Suite per violino e orchestra.
Anche qui potrei citare la prima volta che suonammo insieme: mi ritrovai avvolto da timbri, fraseggi e colori incredibili, mi sentivo deliziato, eppure Fischer continuava a dare indicazioni, e in maniera talvolta anche piuttosto brusca; e vedevo che ognuno dei due orchestrali che condividevano il leggio si affannava ad appuntarle a matita sullo spartito, segno che la qualità già incredibile dell’orchestra poteva crescere ancora
E la prima volta con Ton Koopman, che chiuderà la rassegna il 23 ottobre guidando la sua Amsterdam Baroque Orchestra and Choir nell’oratorio Athalia di Händel?
Una manifestazione di piccola taglia, ma di grande tradizione e prestigio. Si dice che quasi tutti i più celebri artisti del mondo siano stati almeno una volta alle Settimane Musicali di Ascona, attratti anche dal clima familiare e caloroso del festival. Parliamo di grandi interpreti come Yehudi Menhuin (che si esibì a 10 riprese dal 1952 al 1974), Isaac Stern (otto apparizioni dal 1954 al 1997), Martha Argerich (1980, 1994, 2019), Mstislav Rostropovich (1984, 1985, 1989), Yo-Yo Ma (1983, 90), Anne-Sophie Mutter (1984, 88), Cecilia Bartoli (1993, 95, 99, 2001), Alfred Brendel (1981, 2013), Daniel Barenboim (1971, 2000), Claudio Abbado (1985, 87, 88), Zubin Mehta (1987), Riccardo Muti (2006), Neville Marriner (1996, 2000), Teodor Currentzis (2017), solo per citarne alcuni.
Un grande pianista in recital
LU 6.10, ore 19.30
Chiesa Collegio Papio, Ascona Mala Punica
Voci dal Medioevo che illuminano
il presente
MA 14.10, ore 19.30
Sala della Sopracenerina, Locarno
Quatuor Diotima
Beethoven, Furrer, Ravel: l’evoluzione del quartetto
SA 18.10, ore 11
Sala della Sopracenerina, Locarno
Guillaume Bellom pianoforte
Stéphanie Huang violoncello
Schumann, Fauré, Franck per un duo di talenti emergenti
GI 23.10, ore 19.30
Chiesa San Francesco, Locarno
Amsterdam Baroque
Orchestra & Choir
Ton Koopman direttore
Suzanne Jerosme soprano
Ilse Eerens soprano
Tim Meand tenore
Andreas Wolf basso
Sete di potere, fede e redenzione: l’«Athalia» di Händel
Il programma può essere soggetto a modifiche. Per studenti e apprendisti sotto i 26 anni entrata gratuita.
Info
www.settimane-musicali.ch
Mi colpì il suo modo di dare indicazioni ai musicisti: meticoloso, preciso, ma ironico; dettava e poi commentava: «Ecco un’altra osservazione del professor Koopman», scherzando sulla sua fama di pioniere della filologia musicale. In effetti è stato lui a stimolarmi verso l’esecuzione filologicamente informata. Chiuderemo con un oratorio bellissimo, che entrambi desideravamo portare al Festival, pieno di cori splendidi.
Lei suonerà una seconda volta, in duo con un altro grande pianista, András Schiff.
Anche questo era un progetto cullato a lungo. È stato uno dei primi grandi artisti che ho invitato alle Settimane, come me ha eseguito l’integrale delle Sonate di Schubert, forse il mio autore prediletto; non vedo l’ora di suonare con lui il Grand Duo.
Charles Dutoit guiderà l’Osi e il coro della Filarmonica Ceca di Brno tra Stravinskij e i Mottetti di Bruckner. Fu lui a farmi debuttare con un’importante orchestra svizzera, che all’inizio non mi voleva, forse proprio perché svizzero. Lui disse che se lo volevano sul podio dovevano prendere anche me come solista.
Dirigerà un altro festival? Ne riparliamo dopo che avrò superato i sessant’anni.
Un sogno da coronare da qui al 2043? Suonare il concerto di Busoni, difficilissimo, e quello di Schumann ad Amsterdam con l’orchestra del Concertgebouw diretta da Harding.
1946 – Nascono le Settimane Musicali di Ascona La prima edizione si svolge dal 25 aprile al 2 maggio 1946 nella sala da ballo della «Taverna» di Ascona. Nel concerto inaugurale, l’Orchestra della Radio Svizzera Italiana, diretta da Otmar Nussio, esegue brani di Vivaldi, Busoni, Mozart e la Sinfonia Incompiuta di Schubert. 1949 – Cambio sede I concerti si spostano nella Sala del palazzo scolastico (la palestra delle nuove scuole comunali).
1951 – Si cambia stagione
Le Settimane si spostano dalla primavera all’estate e il cartellone si allunga: da una settimana a più settimane (fra agosto e settembre).
1968 – Le chiese, sedi ufficiali I concerti sono ospitati nelle chiese del Collegio Papio ad Ascona e di San Francesco a Locarno 1976 – Fine di un’era, inizio di un’altra
Scompare il fondatore Leone Ressiga Vacchini. L a direzione artistica passa a Dino Invernizzi, professore: guiderà la rassegna per quasi 50 anni. Le SMA si affermano come festival di prestigio internazionale. 2013 – Francesco Piemontesi diventa direttore artistico Pianista ticinese di fama mondiale, introduce aperture alla musica contemporanea e sperimentale. 2015 – Nasce la Fondazione Settimane Musicali di Ascona Presidente: Francesco Ressiga Vacchini, nipote del fondatore, già sindaco di Ascona. 2025 – 80esima edizione 15 concerti tra settembre e ottobre con grandi artisti e orchestre coronano l’80esima edizione. Dopo 13 anni, Francesco Piemontesi conclude il suo mandato per dedicarsi alla carriera concertistica. 2026 – Nuova direzione: Christoph Müller
Gli subentra Christoph Müller, manager basilese di grande esperienza, direttore del Menuhin Festival di Gstaad per 24 anni. La sua sfida: traghettare le SMA nel futuro.
Pubbliredazionale
Un premio che fa la corte alla cultura popolare
Riconoscimenti ◆ Il curioso festival di musica delle corti di Muzzano ha vinto uno dei Premi svizzeri di musica 2025
Viviana Viri
Dieci edizioni dopo la sua nascita quasi per caso, Facciamo la Corte! continua a essere un festival che non assomiglia a un festival. Ed è forse proprio questa sua natura fuori formato ad avergli fatto ottenere uno dei Premi svizzeri di musica 2025, assegnati dall’Ufficio federale della cultura. Un riconoscimento che va oltre la qualità della programmazione musicale – che negli anni ha portato a Muzzano nomi importanti della scena indipendente svizzera – ma riconosce soprattutto la capacità di trasformare un’intuizione semplice in uno spazio collettivo, libero e necessario.
Come molti altri, anche il festival Facciamo la corte! è nato «in casa» a Muzzano dalla geniale idea di tre amici di lunga data
La prima edizione, nel 2014, organizzata letteralmente nel cortile di casa a Muzzano, da tre amici di lunga data: Simone Bernardoni, Paride Bernasconi e Damiano Merzari, è all’origine del nome: Facciamo la Corte!. Alla base, la volontà di ricreare lo spirito delle vecchie feste di paese, ma con la musica degli amici. Senza grandi pretese, con una gestione quasi artigianale. Negli anni, il festivalino campestre, come amano definirlo, è cresciuto in modo spontaneo, spingendosi oltre
i confini della corte e coinvolgendo piazzette, lavatoi, giardini e passaggi del nucleo storico del paese. «Quando abbiamo iniziato non sapevamo nemmeno se sarebbe arrivato qualcuno. Volevamo solo creare un momento in cui le persone si incontrano, si sentono bene. Far succedere qualcosa», racconta Merzari. «La cosa più significativa è che è successo davvero. Forse perché nasce in un luogo familiare, in cui ci conosciamo tutti. Gli artisti vengono alloggiati dai nostri genitori, dai nonni. È un tipo di ospitalità che non si spiega, la vivi se cresci in un paese. E le origini del festival sono proprio lì, in quelle feste di piazza che da piccoli aspettavamo tutto l’anno. Abbiamo provato a ricreare quello spirito, dove la semplicità delle cose di paese – quell’innocenza da periferia che poi periferia non è – può essere ancora uno spazio fertile per qualcosa di autentico». Il premio federale, arrivato quasi a sorpresa, manda un segnale forte all’interno del dibattito sulla cultura indipendente e sulla mancanza di spazi di aggregazione, soprattutto in Ticino. «Stupisce che venga riconosciuta una realtà così piccola, distante dai modelli culturali consolidati. Ma forse si sta iniziando a capire che la cultura può essere anche qualcosa di vicino, accessibile, di popolare nel senso più autentico del termine. E che ci sono esperienze piccole che hanno
un impatto reale. Negli ultimi anni si percepisce una maggiore attenzione verso il Ticino, forse la voglia di capire meglio cosa succede da questa parte. Fin dall’inizio, il nostro obiettivo è stato semplice: condividere ciò che ci piace con le persone vicine», racconta Merzari. «La cultura, troppo spesso, è percepita come qualcosa di distante, persino inaccessibile. Eppure, a volte,
basta poco: anche la musica o il cinema più complessi possono trasformarsi in esperienze immediate, se vissuti e condivisi nel contesto giusto. È nella semplicità, spesso, che si deposita ciò che resta».
La pandemia ha interrotto due edizioni, ma non ha fermato lo slancio. Al contrario: ha spinto il festival a ripensarsi, scegliendo di puntare sul-
la scena svizzera, con un’attenzione particolare alle realtà emergenti e indipendenti. L’edizione 2025, in programma il 29 e 30 agosto, ospiterà artisti come Tatum Rush, Tendinites e Dino Brandão. A Muzzano, da dieci anni, succede questo: una festa che non cerca di diventare qualcos’altro. E che, proprio per questo, lo è già diventata.
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Un concerto di un’edizione passata. (@Facciamolacorte!)
L’importanza di condividere storie
Radiodrammi ◆ Mancano poche settimane alla chiusura del mitico Studio 4 di Besso, culla della prosa radiofonica
Olmo Cerri
Camminando lungo i corridoi degli studi radio di Besso si respira aria di dismissione. Molti uffici vuoti, le ditte di trasloco imballano materiali e attrezzature. Dopo 63 anni, la storica sede, progettata dagli architetti Camenzind, Tami e Jäggli, e inaugurata il 31 marzo 1962, cambia volto. Le attività radiofoniche si trasferiscono a Comano, dove già si trovano gli studi televisivi. Una decisione del Consiglio di amministrazione della SSR che risale al 2008 e che risponde a esigenze di razionalizzazione di costi e spazi, grazie a una maggiore integrazione tra radio, tv e digitale e alla riduzione delle superfici. Motivi comprensibili, certo, ma la malinconia che si respira alle macchinette del caffè, è difficile da ignorare. Sui muri dei corridoi sono comparsi versi poetici scritti con il pennarello indelebile, come ultimo gesto d’affetto verso un luogo che ha ospitato idee, voci e progetti per oltre sei decenni. A partire dal prossimo autunno, questo edificio, definito al momento dell’inaugurazione «tra gli istituti radiofonici più moderni d’Europa» cambierà funzione, diventerà una cittadella della musica, accogliendo sotto lo stesso tetto diverse istituzioni legate alla classica. «Ma poco spazio per la musica “attuale” e la scena contemporanea…» commenta con una punta di amarezza un giovane fonico sorseggiando il caffè.
La storica sede progettata dagli architetti Camenzind, Tami e Jäggli, dopo 63 anni cambierà volto e le attività si sposteranno a Comano
L’interno di questo grande stabile, che con la sua struttura lunga e compatta ricorda un transatlantico, è un vero labirinto. E proprio nel ventre della nave (laddove, seguendo la metafora marinaresca, si troverebbe la sala macchine) c’è uno spazio poco conosciuto, quasi magico: lo Studio 4. È qui che, per decenni, si è registrata la prosa radiofonica. Da questo studio, sono passati i più importanti professionisti del mondo teatrale e letterario di lingua italiana. Ma non immaginatevi uno studio classico: «il quattro» è una vera bottega delle meraviglie, progettata per dare vita all’universo sonoro dei racconti radiofonici. Vi si trovano porte e finestre, pavimenti in materiali che scricchiolano in maniera differente, scale, rubinetti che gocciolano, stoviglie, forzieri di vecchie monete, macchine da scrivere, un pianoforte, campane e campanelli. L’inventario sembra infinito, e il solo elenco fa girare la testa. In questo spazio, gli attori recitano
in movimento, usando lo spazio dello studio, come un set cinematografico. Il risultato è un racconto sonoro profondamente «spaziale», dove ogni gesto ha un’eco concreta. Uno studio unico nel suo genere, capace di trasformare ogni storia in un’esperienza immersiva, soprattutto se ascoltata in cuffia, grazie al sistema di registrazione «binaurale» che mira a creare un’esperienza sonora tridimensionale, simile a come il suono viene percepito dall’orecchio umano.
«Nel periodo di massimo splendore della prosa radiofonica, negli anni Settanta e parte degli Ottanta, si poteva contare su diversi produttori: Alberto Canetta per il teatro classico; Ketty Fusco per i radiodrammi; Vittorio Ottino per il teatro sperimentale e Sergio Maspoli con Fernando Grignola per quello dialettale» racconta Francesca Giorzi, attuale responsabile della fiction radiofonica della RSI. «C’era anche una compagnia stabile, quella dei radioattori, che registrava in questo studio ogni giorno, a ciclo continuo. Una cosa impensabile ai giorni nostri, dove comunque abbiamo mantenuto un nucleo produttivo stabile con Sara Flaadt e Flavio Stroppini che si occupano di regia e scrittura, il sound designer Thomas Chiesa e Angelo Riviezzi assistente di produzione».
Ma la storia del radiodramma affonda le proprie radici ben più lontano. Potremmo farla risalire alla notte dei tempi, quando ci si raccoglieva attorno al fuoco per raccontarsi storie. Oppure, meno romanticamente, al 1924, quando in Inghilterra la BBC trasmise Danger, scritto da Richard Hughes, considerato il primo vero esperimento radiofonico in questo senso. Nella Svizzera italiana, il
primo radiodramma risale al 1931: I maestran, di Ulisse Pocobelli e Giotto Cambi. Raccontava il ritorno degli emigranti da oltre Gottardo a Carona, loro villaggio d’origine.
Uno dei protagonisti della prosa radiofonica degli ultimi decenni è Antonio Ballerio, classe 1941, tra le voci più riconoscibili della nostra radio. «A partire dalla metà degli anni Ottanta, quando sono arrivato in Ticino, ho fatto un po’ di tutto, non solo
13 aprile 1979,
l’attore», racconta, «mi è capitato anche di curare alcune regie. Lo Studio 4 ha segnato la mia vita, anche quella personale. È un luogo mitico». Anche perché c’è differenza tra recitare su un palco e farlo invece per i radiodram mi: «La radio ti insegna a diventare più vero. Non devi portare la voce fi no alle ultime file: puoi essere auten tico e meno enfatico, perché parlare al microfono è come essere vicino all’o recchio del tuo ascoltatore».
Con la conversione dello studio al digitale nel 2002, la produzione è cambiata profondamente. Pur evolvendosi, nel tempo la fiction radiofonica ha continuato a esplorare generi e tematiche diverse, dando voce, accanto ai classici, a storie del territorio e offrendo spazio anche ad autori e autrici emergenti. «Negli anni abbiamo raccolto un archivio sterminato di radiodrammi», ricorda Giorzi, «in gran parte già digitalizzato, ma forse ancora poco conosciuto e valorizzato sulle nostre piattaforme». Lo Studio 4 è stato, per decenni, la casa di queste storie. Ora sarà necessario riorganizzare tutto nei nuovi studi di Comano. «Faremo di necessità virtù. Dovremo cambiare modalità di lavoro: potremmo uscire, registrare in esterni, quasi come in una produzione cinematografica» afferma con convinzione Giorzi. «Il radiodramma ha ancora un ruolo importante e attuale. Negli anni abbiamo sperimentato nuove forme di racconto per raggiungere un pubblico più ampio, aggiornando i linguaggi: a volte non li chiamiamo più radiodrammi, ma podcast. Quello a cui però non vogliamo rinunciare è la qualità tecnica, e soprattutto quella Segnaliamo un’ultima occasione per visitare lo Studio 4 grazie alle porte aperte della sede radio di Besso, in programma sabato 20 set-
Una serie di radiodrammi per commemorare lo Studio 4 «Ciao Studio 4 »: l’idea è quella di salutare il mitico spazio di creazione audio, con una serie di racconti radiofonici a esso dedicati. Uno di questi La falsa storia vera di quel che accadrà ai radiodrammi, già disponibile sul sito della RSI e sulle piattaforme di streaming, è stato recentemente premiato al XIII International Audio Drama Festival di Bucarest, uno degli appuntamenti più importanti per questo genere di narrazione. Un racconto distopico, con chiari echi orwelliani, che immagina un futuro, forse non così lontano, in
cui i radiodrammi non prodotti dall’intelligenza artificiale, saranno dichiarati illegali. Fra le righe filtra una riflessione sull’importanza del servizio pubblico nella costruzione della nostra identità. «La narrazione aiuta a definirci in quanto società, regala un momento per specchiarci e forgiarci in qualcosa di nuovo;» commenta Flavio Stroppini, autore del radiodramma premiato, «in tempi di recessione tutto questo sembra un lusso. Credo invece che proprio in questi momenti sia ancora più necessario condividere storie».
A ben vedere, sono pochi i cittadini svizzeri che hanno motivo di risparmiare. Alla domanda sul proprio tenore di vita, il 42% degli intervistati ha dichiarato di avere risorse finanziarie sufficienti, ma di non essere in grado di soddisfare tutti i propri desideri. Il 36% dichiara addirittura di non avere alcuna preoccupazione finanziaria o di essere almeno in grado di realizzare quasi tutti i propri desideri. Il 22% è costretto a fare tagli drastici o dichiara che il proprio reddito non è sufficiente a coprire tutte le spese. Questa distribuzione è la stessa in tutte le regioni linguistiche.
2Ecco quanto risparmiano gli svizzeri
Chi risparmia, quando e perché? La stampa Migros risponde a queste domande in un sondaggio rappresentativo. Sembra che un famoso detto si stia avverando.
Testo: Kian Ramezani
Come dice il proverbio: «Se vuoi essere ricco pensa a risparmiare oltre che a guadagnare.» Per molto tempo, la creazione di riserve in tempi favorevoli è stata essenziale per la sopravvivenza umana. Da allora il progresso tecnologico (e le assicurazioni obbligatorie) hanno messo in secondo piano questo aspetto: ciò che è rimasto è la parsimonia come virtù. Ma chi risparmia davvero nella vita quotidiana, in quali situazioni e perché? La stampa Migros ha intervistato 1000 persone in Svizzera. Questi sono i risultati:
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3
Motivi per essere parsimoniosi
Nonostante una rete di sicurezza a maglie strette, molti cittadini svizzeri mantengono un alto livello di responsabilità personale: quasi la metà risparmia per essere preparata alle emergenze o alle spese impreviste. Il 36% associa la parsimonia a un senso di sicurezza e il 34% ritiene che sia fondamentalmente importante mettere da parte del denaro. Quest’ultimo argomento è citato più frequentemente nella Svizzera tedesca e francese rispetto al Ticino. Il 30% ha in mente un obiettivo di risparmio specifico e il 26% è parsimonioso perché altrimenti non sarebbe in grado di gestirsi finanziariamente.
Settimane del risparmio Migros con grosse riduzioni
Chi ha le risorse, ne fa comunque un uso oculato (tranne chi non ha figli) Un altro detto popolare dice che i ricchi insegnano a risparmiare. I risultati del sondaggio sembrano confermarlo: la stragrande maggioranza, ovvero il 77%, risparmia «abitualmente» o «sempre» nella vita quotidiana. Le persone che godono di un elevato tenore di vita secondo la loro autovalutazione (vedi punto 1) sono significativamente più propense a dire che risparmiano «abitualmente» o «ogni volta che se ne presenta l’occasione». Le persone con un tenore di vita medio-basso, invece, sono più propense a dire che risparmiano solo «raramente». Le persone senza figli sembrano avere una maggiore indipendenza finanziaria e sono significativamente più propense di quelle con figli a dichiarare di «non prestare alcuna attenzione al risparmio». 20 10 10 10 20 10
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Dal 26 agosto all’8 settembre Migros aiuta a risparmiare con riduzioni fino al 50% e azioni 2x1. Un’ottima occasione per riempire la dispensa.
CONSIGLI Finanze
Perché risparmi?
Per emergenze o per spese impreviste
Mi dà un senso di sicurezza
Per me è importante mettere soldi da parte
Vorrei concedermi più in là qualcosa di particolare
Sono di principio un risparmiatore
Perché altrimenti
non potrei sostenermi
Non risparmio in modo specifico
Altri motivi
Per le vacanze la maggior parte delle persone spende senza prestare troppa attenzione ai prezzi.
Il sondaggio
Chi è stato intervistato?
Il sondaggio è stato condotto online dall’Istituto Innofact di Zurigo per conto della stampa Migros dal 14 al 21 luglio 2025 Il gruppo rappresentativo d’intervistati comprendeva 1024 persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni residenti nella Svizzera tedesca, romanda e italiana.
Chi ha un budget mensile?
Secondo la cosiddetta regola del 50-30-20, si dovrebbe spendere il 50% del proprio reddito per ciò che serve, il 30% per ciò che si desidera e mettere da parte il 20%. Ciò richiede un budget, e il 43% degli intervistati ne ha uno. La stragrande maggioranza (79%) si attiene ampiamente a questo principio.
Dove si lasciano tentare di più
Alla domanda su quale sia stata l’ultima volta che gli intervistati si sono concessi qualcosa senza badare al prezzo, la risposta spontanea più comune è stata viaggi o vacanze (31%), seguita da una visita al ristorante (10%). I viaggi e le vacanze, così come le visite ai ristoranti, sono menzionati con particolare frequenza dagli svizzeri-tedeschi. I romandi, invece, sono stati più propensi a dichiarare di non prestare attenzione al prezzo quando fanno shopping o acquistano vestiti e scarpe (12%), mentre solo il 5% degli svizzeri-tedeschi ha menzionato questo aspetto.
Se aggiungi poco al poco, ... Solo 100 anni fa, le persone spendevano circa la metà del loro reddito per acquistare alimenti. Oggi la media in Svizzera supera di poco il 6%! Ciononostante, il prezzo dei generi alimentari e dei beni di uso quotidiano è il fattore più considerato nella vita di tutti i giorni, ovvero da poco meno della metà degli intervistati (49%). Anche l’abbigliamento è citato di frequente (39%), così come le visite ai ristoranti e le uscite (33%).
5Risparmiare sugli acquisti
Le promozioni sono di gran lunga il modo più comune per risparmiare quando si fanno acquisti. Alla domanda corrispondente, due persone su tre hanno spuntato la casella «Promozioni e offerte in confezioni multiple». Quasi la metà, inoltre, sceglie le marche proprie al posto dei prodotti di marca o acquista nei discount. Ci sono differenze regionali: gli svizzero tedeschi sono molto più propensi a prestare attenzione alle azioni e alle confezioni multiple rispetto ai ticinesi. Inoltre, rispetto agli svizzeri di lingua francese, tendono maggiormente ad acquistare marche proprie o a rivolgersi a un discount. Il turismo dello shopping è un problema soprattutto in Ticino, dove il 44% ha dichiarato di fare regolarmente acquisti nei Paesi vicini, cioè in Italia.
Come risparmi durante gli acquisti?
Guardo le azioni
e le confezioni multiple
Acquisto marche proprie
spesso nei Discount Con articoli ridotti poco prima della chiusura del negozio
Quando è stata l’ultima volta che ti sei concesso qualcosa di speciale senza badare a spese?
etc.
Consigli per risparmiare ogni giorno
Creare un budget
Chi vuole risparmiare dovrebbe dapprima farsi un’idea complessiva delle sue finanze. Il primo passo è elencare tutte le spese. Le app specifiche per il cellulare permettono di farlo facilmente e velocemente. L’offerta è ampia. Molto popolari sono, ad esempio, MoneyControl e Mein Budget.
A caccia di occasioni
La Migros è piena di occasioni, in particolare gli oltre 1000 prezzi bassi aiutano a risparmiare 365 giorni all’anno. A ciò si aggiungono le azioni settimanali, valide dal martedì al lunedì sera. Per scoprire ogni volta i prodotti scontati basta consultare il volantino allegato al settimanale Azione o la tua app Migros. Se ami la praticità, ogni domenica puoi informarti sulle azioni previste tramite WhatsApp.
Salvare il cibo a prezzo ridotto
Troppo cibo finisce nella spazzatura. È ora di darci un taglio! L’app Too Good To Go ti permette di trovare gli alimenti avanzati e non venduti dei tuoi negozi e ristoranti preferiti a un prezzo equo. La Migros dà il suo contributo, e tu?
Usare il filtro «risparmio» di Migusto
Lo sapevi che su migusto.ch è possibile filtrare le ricette in base agli articoli in azione e ai prodotti M-Budget? O che è possibile preparare molti piatti economici per quattro persone a meno di dieci franchi? In pochi clic puoi trovare l’ispirazione per il tuo prossimo menù fai da te, risparmiando allo stesso tempo.
Portarsi dietro il pranzo
Un panino qui, un pranzo là, un caffè to go: quel che consumiamo in una giornata (lavorativa) a poco a poco si accumula e grava sul budget. Se vuoi percepire velocemente gli effetti del risparmio, per un po’ puoi fare a meno di acquistare fuori casa i pasti e portare invece cibo e bevande da casa.
Affittare invece di comprare
L’elettronica ricreativa può essere molto costosa, per non parlare delle automobili. Allora perché non noleggiare invece che acquistare? Con il car sharing di Mobility, l’auto è tua solo quando ne hai davvero bisogno. E su Sharely si possono noleggiare computer, proiettori e molto altro ancora. Se poi preferisci acquistare, vale la pena dare un’occhiata ai prezzi che Revendo propone per la sua elettronica ricreativa d›occasione.
Robinia delle Valli: il teatro sale sul treno
Lo spettacolo itinerante Centovalli-Cento ricordi siglato
Dimitri riporta la memoria e la fantasia lungo i binari mettendo in scena clown, musicisti, attori… e pubblico
Una fattoria che prende forma a colpi di filo
Mucche, conigli, pecore, gatti e api prendono vita grazie a una divertente attività creativa ispirata alle tradizioni artigiane, pensata soprattutto per i bambini
Dalla Liguria all’Olanda, e ritorno
Editoria ◆ L’autore italiano Marino Magliani firma una trilogia che unisce memorie personali e mappe urbane
Angelo Ferracuti
Comincia in sella a una bicicletta la trilogia di Romanzo olandese (Scritturapura, 2025), trittico narrativo sul quale l’autore italiano Marino Magliani ha scritto e continuato a scrivere nell’arco di vent’anni. È il tipo di scrittura che più gli si addice, quella del flâneur, del viaggiatore sentimentale, dell’esploratore e dell’inventore di luoghi. Sì, perché i viaggi interiori, quelli alla scoperta del Genius loci sono i più infidi, i più pericolosi, pieni di atti mancati, di ricostruzioni arbitrarie e di abbagli della memoria, fantasmatici come recita la celebre poesia di Giorgio Caproni: «Tutti i luoghi che ho visto, che ho visitato, / ora ne sono certo: / non ci sono mai stato». Questo per dire della loro tenace inafferrabilità, e una città come Amsterdam è soprattutto una città di luce, attraversandola Magliani deraglia, associa, depista, e mentre progetta il libro, una guida della città, scrive all’editore e al suo traduttore Roland Fagel, che lo raggiunge per accompagnarlo nel suo viaggio.
Magliani a Fagel parla delle meridiane, degli spazzacamini, e insieme
si dirigono verso i quartieri orientali, dove vorrebbe «guardare la notte di Amsterdam dall’alto, dal tetto di qualche edificio abbandonato». Ci avverte sul fatto del «vizio di buttare giù le case» degli olandesi, il loro non avere radici, palazzi demoliti e rialzati ogni trent’anni, «una specie di cancellazione legalizzata della memoria», ci guida nei caffè e mentre descrive certi palazzi dà conto anche di notazioni storiche, racconta degli emigranti arrivati qui dall’Est europeo che si imbarcavano per le Americhe, va al Vondel, «un parco alberato dai viali pieni di biciclette», così come si sofferma su alcune chiese importanti, come quella dei Santi Pietro e Paolo.
La sua scrittura procede prestabilitamene ondivaga cercando di impossessarsi di spazi di complessità, mette insieme reportage di viaggio e di osservazione, fonti storiche e letterarie, come quelle del passato coloniale, descrizioni di palazzi, vie, quartieri, luoghi curiosi, negozi di caffè, librerie, così come il racconto dell’esperienza in tempo reale ed en plein
air. Sottotraccia c’è anche una mappa di ristoranti, bar, bistrò, locali dove si ferma a bere e mangiare, ne descrive talvolta i piatti, le abitudini, la clientela.
Nella seconda parte, intitolata Le vetrate di Rembrandt, invece, Magliani descrive il luogo dove vive dal 1998, il quartiere di Zeewijk Passage a Ijmuiden, città del Mar del Nord a venticinque chilometri da Amsterdam. È una periferia silenziosa e spaesante ai lati della tangenziale fatta di strade larghe con grandi palazzine, il cielo plumbeo e, oltre il porto dei pescherecci, il più grande dell’Olanda, la zona industriale con gli altiforni e i fumi bianchi delle acciaierie che si alzano nel cielo. Un luogo che gli ricorda la sua Liguria, «la provincia di Imperia, appendice di un corpo piegato davanti al Mediterraneo», luoghi che hanno «la stessa forma, la stessa curvatura, persino gli stessi spigoli».
Sì, perché come gli ricorda Roland Fagel nel primo libro intitolato La talpa: «È della tua Liguria, ancora una volta, che vuoi scrivere». Ogni via di quel quartiere prende il nome
di una stella o costellazione, satellite o nebulosa, lui abita con la famiglia in Bellatrixstraat 175, tutte insieme formano la Via Lattea, è li che Magliani scrive e ha lavorato al porto, «a scaricare il pesce nelle stive si faticava a trenta gradi sottozero, quando arrivavo a casa – l’appartamento di un palazzo che non c’è più da anni – non riuscivo a scrivere più di mezza pagina» racconta.
Scritto in forma diaristica, è l’autobiografia e il racconto di uno spaesamento, il microcosmo dove l’autore ha portato la sua vita, narrato con senso d’estraneità e insieme di appartenenza, la condizione di uno che quando va a bere una birra al «club del buon vicino» sta sulle sue come «un perfettamente integrato poco sociale», così si definisce. Accompagnato dal suo sodale Piet Van Bert, «una vita da disoccupato professionista», a Zeewijk Magliani passeggia, e come Walser annota nel suo taccuino frammenti di vita e di paesaggio, sfida la nebbia in un paese dove «è grigia anche la clorofilla e le case sono di mattoni altrimenti sarebbero grigie anche quel-
le», un luogo freddo e ventoso dove si perde al Parco nazionale Zuid-Kennemerland, un polder (terra rubata all’acqua) che dalla spiaggia prosegue verso Haarlem, riparato dal vento, lì va a camminare tutti i giorni, a fare «la ginnastica degli occhi», osservare per immaginare nuove storie. Nell’ultimo libro della trilogia, Biografia di un paesaggio anfibio, l’intento è quello di raccontare il Noordzeekanaal, un canale di collegamento tra il porto di Amsterdam e il mare del Nord. Ogni giorno percorre a piedi un pezzo di canale e, come il Celati di Verso la foce, descrive quello che vede, le persone che incontra, la vita che scorre.
Reporter lirico e scrittore di luoghi misteriosi come Biamonti, con questo trittico Marino Magliani conferma la sua originale figura di narratore di paesaggi, narrazioni che ricordano Le storie naturali di Jules Renard.
Bibliografia
Marino Magliani, Romanzo olandese, Scritturapura Casa Editrice, 2025, 312 p.
Vista sulla
città dallo Sky Lounge del Mint Hotel, oggi ribattezzato Double Tree Hotel.
(Screenpunk Flickr)
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Un’intrigante avventura su rotaia
Itinerario ◆ La Centovallina diventa palcoscenico itinerante grazie a Robinia delle Valli che rende il pubblico complice del racconto
Giorgio Thoeni
L’estate è una stagione fra le più ricche di iniziative quando si tratta di sfruttare al meglio la bellezza dei nostri territori. Se a ciò aggiungiamo il fascino di uno spettacolo all’aperto e l’empatia che sviluppa grazie alla contagiosa magia di un racconto… il teatro prende vita.
Certamente occorre mettere assieme molti ingredienti. A cominciare dalla scelta di uno scenario naturale che sappia sorprendere anche nel più timido dei suoi scorci, a cui va aggiunta una storia fatta rivivere attraverso i suoi protagonisti in contesti narrativi dove la memoria è fondamentale.
Da sempre la nostra attenzione si rivolge maggiormente alla dimensione teatrale di alcune iniziative che hanno il merito di attrarre il pubblico con spensieratezza e che soprattutto si lasciano ricordare.
A distanza di anni dalla sua prima edizione, abbiamo voluto ripercorrere un tratto della Centovallina (Ferrovia Vigezzina-Centovalli) nello spettacolo che il Teatro Dimitri ha creato chiamando a raccolta una trentina di persone di ogni età fra attori, comparse, musicisti, ferrovieri e cuochi per un teatro itinerante su rotaia con festa finale.
Centovalli-Cento ricordi nasce nel luglio del 2012 per iniziativa di Dimitri, una sorta di omaggio alla sua terra voluto dal popolare clown con una storia che viene raccontata da Verscio a Camedo, a bordo di un treno e nelle stazioni. Il successo fu immediato tanto da essere replicato l’anno seguente.
Nel 2019 nasce una seconda edizione con il titolo La canzone della valle e, sebbene fosse venuto a mancare il suo ideatore scomparso nel 2016, lo spirito non cambia come pure il cast multigenerazionale degli interpreti e il nucleo creativo composto da Masha Dimitri con il regista Livio Andreina, la
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scenografa e costumista Anna Maria Glaudemans e il compositore Oliviero Giovannoni. È ancora un grande successo interrotto però dalla pandemia. Si arriva così, a grandi falcate, a luglio 2025 con il debutto della terza tappa di Centovalli-Cento ricordi. C’è un nuovo titolo, Robinia delle Valli, ed è una storia movimentata e avvincente che vede protagonista una figura femminile ispirata a Robin Hood: un’eroina forte e coraggiosa decisa a lottare contro le ingiustizie.
Tutto ha inizio a fine pomeriggio. Il raduno è nella corte del Teatro Dimitri di Verscio: famiglie al completo di villeggianti e un buon numero di indigeni non vogliono mancare all’appuntamento. La canicola sembra proporre una tregua quando i potenziali viaggiatori vengono invitati a spostarsi nel parco adiacente dove alberi e sculture ricordano i grandi clown del passato: da Grock ai Fratellini, da Marceau a Dimitri sotto un grande arbusto piantato da lui stesso.
A far da pronuba c’è la Capostazione Giuseppina (Masha Dimitri),
figura sorridente e indispensabile per unire tutti i fili del racconto e accompagnare gli spettatori. A poco a poco i personaggi principali vengono presentati in una versione bilingue perfettamente equilibrata, con scene che riassumono il clima della vicenda e sulle note dell’orchestrina che accompagna l’intero spettacolo. Le Centovalli che ci vengono descritte sono abitate da poveri contadini che devono sottostare alle tasse ingiuste di un Conte che comanda nella regione oltre a subire gli appetiti finanziari di un commerciante di mais. Tutto ciò genera scontento e desiderio di ribellione a cui si aggiunge la presenza del brigantaggio.
Nonostante l’evidente ispirazione dall’eroe di Sherwood, l’adattamento e la regia di Livio Andreina restituiscono molti aspetti della storia locale e ci ricordano le condizioni di miseria che la popolazione subiva in passato. Emerge il personaggio di Robinia (l’eccellente Benedetta lele), ragazza forte e decisa, un’arciera formidabile e paladina degli oppressi. Non esita a
creare la banda degli Uccel di bosco, ladruncoli e poveracci con cui fomentare la ribellione per riscattare la popolazione dalla la miseria. Robinia viene da subito inseguita dai buffi sgherri del Conte (Emerson Vergel e Veronica Naretto) mentre sua figlia Mary scappa di casa rincorsa dalla Contessa-madre (Sissi Coppe). Saranno le due costanti d’animazione per tutto il viaggio. E il pubblico si fa subito complice, sin dal momento di salire a Verscio sulla Centovallina quando la narrazione si caratterizza con una prossimità vivace e ben articolata. I personaggi attraversano il pubblico scandendo slogan e messaggi ripetuti in nome della libertà, dell’uguaglianza. Rivendicano un mondo migliore e protestano contro gli affaristi improvvisati e le tasse che dovrebbero pagare i più ricchi rispetto ai meno abbienti.
La storia prosegue, anche sulle note dell’orchestrina che punteggia l’itinerario e accompagna canzoni corali. Una sosta a Intragna si trasforma in un teatro all’aperto dove si ricorda
Donkey Kong torna in 3D con Bananza
un passato di emigrazione in cui i giovani spazzacamini partivano per l’Italia del Nord in cerca di lavoro. Nel frattempo alla banda dei ribelli si aggiunge Little John (Marco Cupellari) che, nonostante un acrobatico duello con i bastoni, nasconde un debole per Robinia. A Camedo tutti scendono. I briganti riescono a scoprire il tesoro nascosto nelle scarpe del mercante di mais, un evasore fiscale e ladro di contadini: verrà messo alla pubblica berlina. Il pubblico viene infine fatto accomodare nella grande sala di Kaiopoli per assistere all’epilogo. Un finale a cui segue una festa popolare con gli applausi più che meritati ai numerosi interpreti che per oltre tre ore hanno tenuto alta la tensione narrativa.
Un bell’esempio di come la fantasia può sostenere la memoria in un rito collettivo vissuto attraverso le suggestive gole centovalline e una natura impervia, selvaggia, affascinante. Uno spettacolo leggero ma intenso, animato da uno straordinario affiatamento. Dopo una ventina di repliche lo spettacolo si è concluso il 23 agosto.
Videogiochi ◆ Dopo 26 anni lo scimmione di Nintendo scava, distrugge e colleziona tesori in un’avventura piena di sorprese
Davide Canavesi
Con l’uscita della nuova console di Nintendo, Switch 2, i giocatori si aspettavano grandi ritorni. E grandi ritorni hanno ottenuto, visto che dopo una pausa di ben 26 anni, ritorna in tre dimensioni Donkey Kong. Un gioco d’avventura ed esplorazione che porterà il beniamino goloso di banane a scoprire un nuovo, fantastico, mondo sotterraneo.
Donkey Kong Bananza, questo il titolo della nuova avventura, fa calare i giocatori nei panni dello scimmione Donkey Kong impegnato in scavi minerari come solo lui sa fare: a suon di pugni. Dai primi istanti di gioco si è incoraggiati a distruggere tutto ciò che si trova attorno alla ricerca di tesori: oro, forzieri, fossili rari e, ovviamente, banane.
Certo, come spessissimo accade nei giochi Nintendo, la storia non è nulla di più di una scusa per lanciare il player alla scoperta del mondo di gioco. Questa volta Donkey deve sventare i piani di una corporazione mineraria chiamata Void Company, la quale ha messo le zampe (è il caso di dirlo!) su tutte le gemme di Banadium, preziose pietre a forma di banana. Il nostro eroe sarà catapultato letteralmente all’interno della Lin-
gottisola, in un mondo sotterraneo zeppo di misteri e dalla profondità in apparenza sconfinata. Nei suoi viaggi incontrerà tantissimi personaggi piuttosto buffi e una compagna d’avventure alquanto chiacchierona, Pauline. La ragazzina diventerà ben presto una preziosa alleata grazie alle sue spettacolari abilità canore in grado di sconfiggere una strana tecnologia della Void Company.
Donkey Kong Bananza è un gioco decisamente facile, adatto ai più
giovani ma che strizza l’occhio ai più grandicelli offrendo qualche sfida, facoltativa, più impegnativa. Fondamentalmente si tratterà di completare i vari mondi, con un occhio di riguardo per i vari collezionabili che permetteranno sia di migliorare le abilità di Kong sia di cambiare abiti per i due protagonisti, sbloccando al contempo qualche utile abilità passiva.
Nelle trenta orette necessarie per portare a termine l’avventura, senza esagerare con la caccia ai tesori nasco-
sti, avremo modo anche di incontrare tantissimi personaggi della serie, come Diddy, Diky o Cranky Kong. Un cenno d’intesa ai fan di lunga data della serie senza caricare troppo il gioco per non annoiare i nuovi giocatori, potenzialmente molto numerosi. Ogni livello, o sottolivello visto che ci addentriamo nelle profondità della terra, è contraddistinto da un tema. Dalla giungla al deserto, passando per mondi acquatici e altri decisamente più astratti. Ogni sottolivello è riempito di collezionabili ma anche di nemici e di sfide. Il gioco prende la forma di un platform in tre dimensioni e dà una grande libertà ai giocatori: non solo è possibile, come dicevamo in apertura, distruggere quasi ogni cosa ma è anche possibile sfruttarla per raggiungere posti inaccessibili. Ben presto saremo impegnati a surfare sulle rocce, saltare e farci catapultare in un turbine di distruzione, pepite d’oro e banane. Pur non offrendo una fisica realistica, i livelli sono stati pensati per un elevato grado di distruzione, ricompensando frequentemente il giocatore che, preso dalla curiosità, decida di smantellare una collina invece di passarci sopra.
Non mancano nemmeno i poteri speciali. Come il nome del gioco suggerisce, la Bananza è il centro focale di questo titolo. Donkey Kong può entrare in modalità bananza, il che lo rende ancora più inarrestabile e distruttore, cosa spesso molto utile contro i tanti boss fight o durante specifiche sfide. Avanzando nel gioco scopriremo che ci sono diversi tipi di bananza, come ad esempio la versione struzzo o zebra, ciascuna con speciali poteri.
Visivamente, pur non essendo al pari con la grafica offerta da altre ben più potenti piattaforme, è molto cartoonesca e colorata. Oltre alla magnifica distruzione che potremmo causare, dobbiamo citare le espressioni visive sia di Donkey Kong sia quelle di Pauline, sempre più vicine al cartone d’animazione. Per non parlare della colonna sonora, azzeccata, divertente e sempre variata. Ci siamo ritrovati spesso a canticchiare durante la partita!
Donkey Kong Bananza è un gran gioco. Non molto difficile, quindi forse non adatto a coloro che cercano la sfida. Per tutti gli altri, il ritorno di Donkey Kong è un trionfo di colori, di caos e di tanta allegria.
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Ricamo creativo con animali della fattoria
Crea con noi ◆ Bricolage con cartone riciclato e fili colorati per insegnare ai bambini una tecnica antica in chiave giocosa
Giovanna Grimaldi Leoni
Con questo semplice bricolage, potrete creare delle schede di ricamo su cartone raffiguranti simpatici animali della fattoria. C’è la mucca, la pecora, il gatto, il coniglio e una tenera ape. I bambini potranno «ricamare» seguendo i buchi pre-forati con ago senza punta e fili colorati. Un’attività educativa, sostenibile e divertente che ricorda i giochi di un tempo e insegna una tecnica antica. Adatto a partire dai 5 anni con la supervisione di un adulto.
Procedimento
Tagliate le basi in cartone 24x24cm. Stampate i cartamodelli e scegliete il vostro preferito con cui iniziare.
Fissate col nastro adesivo il foglio dell’animale scelto sulla base. Appoggiate tutto su un tappetino da taglio o un cartone per proteggere il tavolo e con lo spiedino di legno fate i fori, distanziandoli tra loro di circa 1-1,5 cm circa. Forati tutti i contorni, togliete il cartamodello (da conservare per uso futuro) e ripassate le righe con un pennarello o una matita. Questo permetterà ai bambini di non confondersi tra i tanti fori presenti. Potete anche, per maggior chiarezza, usare colori diversi per le varie parti dell’animale. Come usarlo: Preparate ago e filo: infilate il filo scelto nell’ago e fate un nodino alla fine.
Giochi e passatempi
Cruciverba
Il punto più profondo sulla Terra è l’abisso Challenger nella…
Trova il resto della frase risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 5, 5, 8)
ORIZZONTALI
1. Buco...Romano
4. Semi su pane e dolci
9. Ascolta... una poesia
10. Letto a Monte Carlo
11. Lo Stanislaw di «Solaris»
12. Discorso senza capo né coda
13. Antichi veicoli
15. Interprete del famoso nonno Libero (iniz.)
16. Difficili, faticosi
18. La tredicesima ora
20. I primi premi olimpici
21. L’anima scientifica
22. Fanno parte del folklore
23. Un colpetto con le nocche
24. Lo è la terra d’origine
26. Può essere offensivo
28. Tener fede agli impegni
VERTICALI
1. Teme l’orso bianco
2. Profumata
3. Una nota
4. Il titolo di Falstaff
5. Lo era il dio Tinia
6. Le iniziali di Lincoln
7. Un famoso Gibson
Il filo non deve essere troppo lungo. Una misura di circa 40 cm è più che sufficiente. Iniziate il ricamo. Mostrate al bambino come passare l’ago da un foro all’altro, seguendo le linee del disegno. Fissate il filo alla fine: quando il filo è
terminato, annodatelo sul retro e tagliate l’eccesso. Se volete riutilizzare le schede e i fili, questo ultimo passaggio non è necessario.
Guida punti:
Se volete una linea tratteggiata con il punto dritto
1. Uscite con l’ago nel primo buco (A).
2. R ientrate nel secondo buco (B) –avete fatto il primo punto.
3. Ora uscite nel terzo buco (C), più avanti, e rientrate nel quarto (D).
4. Continuate così: andate sempre avanti, punto dopo punto.
Se volete una linea continua con il punto indietro
1. Uscite con l’ago dal retro nel primo buco (A).
2. Entrate nel secondo buco più avanti (B) – come se steste facendo un punto dritto.
3. Ora uscite dal terzo buco ancora più avanti (C).
4. Poi rientrate nel secondo buco (B), quello del punto precedente.
5. R ipetete: uscite dal buco successivo (D), rientrate nel buco da cui siete usciti prima (C), e così via. Ogni punto «torna indietro» per collegarsi al precedente, creando una linea continua e ordinata.
Proponete ai bambini le basi già pronte, con i fili necessari tagliati a misura e arrotolati su mollette di legno. Questo li aiuterà a lavorare in autonomia.
Materiale
• Cartone riciclato (da scatole da imballaggio)
• Pennarello nero o matita
• Spiedino di legno per fare i buchi
• Pennarello nero
• Ago di plastica o ago da lana (punta arrotondata)
• Fili di lana, cotone spesso o spago colorato
• Taglierino e righello
• Stampante per i cartamodelli
• Nastro adesivo
(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage)
Pronome relativo 14. Termine di diminutivo maschile plurale
17. Un furbacchione
19. Le iniziali dello scultore Canova 21. Poco, ma non del tutto
Cola nella leccarda
Lago etiopico
25. Il pupo che commuove Iris 27. Le iniziali
Soluzione della settimana precedente Un ragazzo al futuro suocero: «Sono venuto a chiedere la mano di vostra figlia» «Quale, la grande o la piccola?» Risposta risultante: «NON MI ERO ACCORTO CHE AVESSE MANI DIVERSE!»
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku cliccando sull’icona «Concorsi», homepage in alto a destra Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano . Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
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Viaggiatori d’Occidente
È finita l’era delle spiagge-azienda
Le spiagge italiane hanno infiammato le polemiche d’agosto. Dato che sono un po’ anche le nostre, per mancanza di accesso al mare, provo a riassumere quel che ho capito. Per cominciare pare confermata una diminuzione dei clienti italiani negli stabilimenti balneari intorno al 15%. Normalmente si ritiene che il calo sia legato a un generale impoverimento della popolazione. Il 31,4% degli italiani (secondo i dati Eurostat), più di 18 milioni di persone, non riescono a sostenere economicamente una vacanza di sette giorni, mentre in Europa ci si ferma a un pur considerevole 27%. Una quota crescente del ceto medio, alle prese con gli effetti dell’inflazione e con l’aumento costante dei costi, viene risucchiato nella povertà. È una tendenza generale: negli Stati Uniti per esempio la crescente differenza tra viaggi di lusso e viaggi economici sta escluden-
do la fascia media della popolazione.
Al tempo stesso stanno cambiando le abitudini di vacanza.
Anche l’anno scorso agosto aveva segnato un calo di presenze, compensato poi dagli altri mesi. Complice il clima, la stagione balneare si estende ormai per metà dell’anno. Inoltre le lunghe vacanze al mare nei mesi più caldi sono ormai un ricordo del passato. Durante la settimana, molte spiagge sono deserte e si riempiono solo nel week end: dunque soggiorni più brevi e frequenti.
Al di là di queste tendenze, l’intero sistema degli stabilimenti balneari appare superato. Certo hanno avuto un loro tempo e una loro funzione. Nel secondo dopoguerra le coste italiane erano in larga parte in stato di abbandono e a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso le spiagge furono affidate ai privati a canoni molto moderati, perché potessero investire
Cammino per Milano
Bagni misteriosi di De Chirico
Amo camminare per ore, senza meta, nelle grandi città in agosto. In cerca solo di scorci, per un momento, come dipinti metafisici. Trovo più interessante un tuffo in mare in ottobre. Per ora avvisto, avanzando lento nel parco Sempione, la cabina balneare di Giorgio De Chirico (1888-1978). Il primo degli otto elementi dei Bagni misteriosi: «composizione pintoscultorea» la definisce lo stesso pittore famoso per le piazze-enigmi, inaugurata, per la XV Triennale, verso la fine dell’estate 1973. Estate 1934, con frontone da tempio e le bandierine sopra, sospesa come palafitta, appare già – oltre al cigno, palla, Dioscuri, sorgente – in tutte le dieci litografie stampate a Parigi per accompagnare le poesie di Jean Cocteau. Una corre con il suo pomerania che le trotterella dietro, turisti giovani sfiancati dall’afa siedono sulle panchine del più grande parco di Milano
risalente a fine Ottocento. Più vicino, da dietro il recinto del giardino della Triennale, scorgo, in pietra di Vicenza come tutto quanto il resto, la scala – dentro la cabina balneare – che scende nell’acqua di questa vasca curvilinea di ventitré metri di lunghezza massima e dodici di larghezza. Il ricordo all’origine di questa scala, racconta De Chirico, è stato scatenato da un’acquaforte di Max Klinger del 1894: dal palcoscenico di un pianista che suona Brahms una scala scende in mare. Come le scale degli stabilimenti balneari nel golfo pagaseo che da piccolo, De Chirico, credeva dovessero scendere nel cuore delle tenebre oceaniche. Vicino alla cabina c’è la palla balneare-semisfera a righe. Faccio acrobazie, per agguantare con gli occhi, sul fondo giallo ocra della «piscina orribile di De Chirico» come la denigra all’epoca su «Paese Sera» il critico
Sport in Azione
in servizi (cabine, ombrelloni, ristoranti) e migliorie. Il sistema funzionò dapprima molto bene, favorendo la diffusione delle vacanze in tutti gli strati sociali. I lavoratori trovavano ad accoglierli spiagge ragionevolmente attrezzate a costi moderati. Col tempo però il carattere popolare della vacanza marina si è perduto e anche per questo i costi sono saliti moltissimo, specie in alta stagione. Oggi gli stabilimenti balneari sono vere e proprie aziende, volte principalmente al profitto. Inoltre il rinnovo automatico delle concessioni con canoni bassi rispetto ai valori di mercato e alle possibilità di guadagno ha trasformato le rive in feudi intoccabili, limitando la disponibilità di spiagge libere. Dal 2006 la Direttiva Bolkestein dell’Unione europea ha chiesto gare pubbliche e durata limitata, ma la vicinanza dei balneari al Governo in carica
ha ritardato le necessarie riforme. Non è solo una questione di equità. Nel Novecento la spiaggia è diventata un luogo d’incontro tra l’uomo e il mare, tra la civiltà e il selvatico. Uno spazio naturale all’apparenza (il sole, il vento, la sabbia, l’acqua) gestito però attraverso convenzioni sociali: lo spazio privato delimitato dal proprio asciugamano, l’esposizione dei corpi al sole nonché allo sguardo altrui e così via. Negli ultimi anni tuttavia la moltiplicazione dei servizi ha aumentato le comodità, rendendo le spiagge sempre più «borghesi» e facendo esplodere i costi. Tutto ciò proprio mentre la crisi del ceto medio ha diradato i potenziali clienti. Tale modello di spiaggia sembra superato e da più parti si invoca un cambiamento. Per cominciare l’accesso al mare è un diritto. Dunque almeno la metà dei litorali dovrebbe essere libera, o con pochi servizi es-
senziali assegnati di anno in anno. Le comunità locali inoltre dovrebbero essere maggiormente coinvolte, con la possibilità di dare la propria impronta agli stabilimenti e di puntare su una clientela diversa. Per esempio alcune spiagge potrebbero essere a tema. La locale squadra di pallavolo potrebbe essere coinvolta nella gestione di una spiaggia molto orientata allo sport, a cominciare dal beach volley. Altre potrebbero essere dedicate alla meditazione e allo yoga, altre a esperienze culturali o naturalistiche, o ancora spiagge per chi ha animali e così via.
Naturalmente alcune esperienze vanno già in questa direzione, ma in futuro potrebbero diventare la regola e non l’eccezione, così da restituire alla spiaggia la sua natura di luogo d’incontro, di sperimentazione, di socialità. Una spiaggia viva invece di una spiaggia-azienda. Poveri ma belli.
d’arte Nello Ponente, il movimento elettrizzante delle onde disegnate a zig zag. In realtà il motivo deriva dal parquet. Un pomeriggio De Chirico – fratello tra l’altro di Alberto Savinio, autore del libro-faro che ci ha illuminato spesso la via gironzolando per Milano e non perderemo certo di vista – vede un signore camminare su un parquet appena lucidato con la cera. E ha l’impressione che egli vi potesse affondare in quel pavimento come in una piscina, parla poi di «acqua-parquet» e «piscina-pavimento». Il ricordo del mare d’infanzia, a Volos, dove nasce, in Grecia, completa l’opera. Oltre alle cabine balneari-palafitte, c’era, a fianco della spiaggia, la foce del fiume Anavros dove nuotavano i cigni. Qui, tra le fronde del cedro, ora osservo nuotare il cigno gigante multicolore. Un cigno-plesiosauro, secondo Fagiolo dell’Arco (ma che nomi certi critici d’arte)
che rintraccia una curiosa somiglianza del cigno di parco Sempione con l’illustrazione di Edouard Riou in copertina di un libro d’infanzia di De Chirico. Non lontano nuotano i due Dioscuri, uno biondo uno moro. Sono delle riproduzioni fedeli in occasione del restauro di non molti anni fa; gli originali sono esposti al museo del Novecento, in compagnia del pesce. Fuor d’acqua come quello attuale, identico, all’ombra del cedro. Abbraccerei i bagni misteriosi con lo sguardo molto meglio nel giardino del palazzo della Triennale, opera di Muzio conosciuto in primavera per via del suo tennis club, però che bambo, mi sono dimenticato: lunedì la Triennale è chiusa. «Vabbé, fa lo stesso» canta Achille Lauro dalla radio del baracchino mobile. Del resto con tutta la roba che inquina lo sguardo lì nel giardino, preferisco quasi conquistarmi l’opera, pezzo per pezzo, dal
Hockeiste sulle orme delle calciatrici per maggior dignità
Quando penso alle disparità salariali fra uomini e donne, mi dico che abbiamo una cultura piuttosto retrograda. Quando invece penso a ciò che accade nello sport, convengo che, in confronto, il mondo del lavoro generico non è messo così male. I recenti campionati europei, vinti dalle inglesi, ci hanno regalato emozioni sorprendenti. Ci hanno mostrato anche un mondo, quello del calcio femminile, in costante evoluzione tecnica, atletica, tattica e manageriale. Se la passano relativamente bene le ragazze-star del pallone. Aitana Bonmatí incassa il suo assegno annuo di 1 milione di euro, oltre alle entrate dei contratti di sponsorizzazione. Daryl Watts, stella della Professional Women’s Hockey League viaggia invece attorno ai 150mila dollari.
Se la ride il calcio femminile. O per lo meno ha motivi per pensare posi-
tivo. Si rallegra decisamente meno l’hockey su ghiaccio, che da noi è pur sempre la disciplina a squadre più seguita. Certamente la più amata, la più chiacchierata, se declinata al maschile. Ne abbiamo parlato con Benjamin Rogger, allenatore capo delle ex HCAP Girls, e con Nicole Bullo, 38enne icona dell’hockey svizzero, bronzo olimpico 11 anni fa a Sochi: «Alla mia età come potrei essere considerata una girl ? Dalla prossima stagione questo appellativo sparirà. Non è una questione di data di nascita, bensì di pari opportunità. Noi siamo l’Ambrì, avremo lo stesso logo dei nostri compagni uomini e gireremo sugli stessi account social». «Il nostro è un progetto che entra nel suo terzo anno» replica Rogger. «Si è sovrapposto all’uscita di scena delle Lugano Ladies. Molte delle ragazze, che avevano scritto la storia della gloriosa società bianconera, si sono
trasferite in Leventina. In Ticino, diversamente da quanto accade nel settore maschile, non ci sono i mezzi e i numeri per due squadre d’élite. Stiamo lavorando con l’intento di valorizzare l’hockey femminile, e di dare prospettive alle giovani per giocare qui ad alti livelli. In questo senso ci fa piacere che ragazze nel giro della Nazionale, come ad esempio Lena Marie Lutz, abbiano accettato di varcare il San Gottardo per venire a giocare da noi». Il progetto HCAP è pienamente condiviso da Nicole Bullo, famiglia biancoblu e cuore profondamente ticinese. «Mi sento legata all’hockey cantonale. Collaboro con la Federazione ticinese per un progetto che mira a incrementare il contingente di ragazze nei quadri delle sezioni giovanili. È fondamentale per crescere. Mancano i numeri (una cinquantina di ragazze in tutto il Cantone), ma la
qualità non manca. Lo scorso anno, con la Selezione, abbiamo vinto un torneo internazionale U14 a Bressanone. Noi ragazze, abbiamo accolto con gioia le nuove regole che ci consentiranno i Body Check. Ne uscirà un gioco forse meno elegante, ma senza dubbio più veloce, più intenso, con meno interruzioni arbitrali. In una parola, più appassionante». Le cifre sono tuttavia ingenerose. Benjamin Rogger e Nicole Bullo sono concordi. È il gatto che si morde la coda. Poco pubblico, scarsa copertura mediatica, tv assenti. Quindi meno sponsor. «Se continueremo sulla scia tracciata dal nostro team marketing, sono certo che cresceremo. L’hockey femminile propone uno spettacolo di qualità. Si tratta di convincere il pubblico – sostiene Rogger – l’UEFA ci ha provato col calcio, e ha vinto la scommessa, replica Nicole Bullo.
parco. Quasi più misteriosi i bagni così che del resto preferivo anni fa in stato di degrado, scoloriti. Alle spalle della sorgente noto i due vani per il meccanismo di aspirazione dell’acqua e sento appena lo scorrere dell’acqua. Mi sposto in un punto, per vedere, flebile, la sorgente-cascata. Ecco anche la piattaforma circolare con scala e cordicelle dove in una scena di Una sera c’incontrammo (1975), sbuca, rincorsa, un’attrice non conosciutissima di nome Lia Tanzi. Sul tema dei bagni misteriosi spuntano teorie di vasche come intestini umani o collegamenti alchemici, viaggi verso lo spazio o Dio. «Non si dovrebbe andare così lontano nell’interpretazione di queste opere che, pur nella loro semplicità d’ispirazione giocosa, celano sicuramente misteri» sostiene un esperto di De Chirico. Un tempo forse solo i cani e i bambini li avevano capiti: giocandoci dentro.
Ci vorrebbe uno sponsor importante che sia disposto a rischiare, consapevole di perderci su tempi brevi, ma con la prospettiva di guadagnare sulla distanza. Nel nostro piccolo, metteremo in vendita a 200 franchi la HCAP Woman Card che consentirà di seguire tutte le nostre partite nella lounge della Biascarena, buffet e bibite comprese». Mancano i mezzi. Ci sono una cultura e una mentalità da rivedere, ma quanto a passione, le donne dell’hockey sono da podio. Guadagnano poco o nulla, nonostante ritmi e carichi di lavoro da professionisti. La 23enne finlandese Jenna Kaila, per integrare il salario, e per rimanere in una regione di cui si sta innamorando, ha trascorso il periodo della pausa estiva lavorando come cameriera in una locanda della Valle Bedretto. Se non è passione questa…
di Giancarlo Dionisio
di Oliver Scharpf
di Claudio Visentin
Hit risparmio
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1.25 invece di 2.10 Le Gruyère piccante AOP per 100 g, prodotto confezionato 40%
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Prugne rosse Extra Spagna/Italia, vaschetta da 600 g, (100 g = 0.29) 40%
penne o trivelli, M-Classic in conf. speciale, 1 kg, per es. penne, 1.90 invece di 3.80, (100 g = 0.19) 50%
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Uva bianca senza semi Migros Bio Spagna/Italia, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.55), offerta valida dal 28.8 al 31.8.2025
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Olio di girasole M-Classic 1 litro, 2.80 invece di 4.30, (100 ml = 0.28), offerta valida dal 28.8 al 31.8.2025 a partire da 2 pezzi 35%
Settimana Migros Risparmiare con Miggy
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7.20 invece di 12.–
Ali di pollo Optigal al naturale e speziato, Svizzera, al kg, in self-service 40%
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Rösti XL M-Classic in conf. multipla, 3 x 750 g, (100 g = 0.31), 2 + 1 gratis 2 + 1
Pipe, penne o trivelli, M-Classic in conf. speciale, 1 kg, per es. penne, 1.90 invece di 3.80, (100 g = 0.19)
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Scaloppine di lonza di maiale IP-SUISSE per 100 g, in self-service
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Pizze Da Emilio, refrigerate Quattro stagioni o Margherita, in conf. multipla, per es. Quattro stagioni, 3 x 440 g, 17.90 invece di 26.85, (100 g = 1.36), 2 + 1 gratis
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Grana Padano grattugiato Da Emilio in conf. multipla, 3 x 120 g, (100 g = 1.69), 2 + 1 gratis
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Tortelloni Anna's Best, refrigerati ricotta e spinaci o alla carne di manzo, in conf. multipla, 3 x 300 g, (100 g =.0.88), 2 + 1 gratis
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Tutti i cornetti Fun prodotti surgelati (art. spacchettati esclusi), per es. fragola, 8 x 145 ml, 6.57 invece di 10.95, (100 ml = 0.57) 40%
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Snacketti Zweifel XXL Paprika Shells, Dancer Cream o Bacon Strips flavour, 2 x 225 g, (100 g = 1.56)
14.95
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Tavolette di cioccolato Frey
Tourist Lait o Noir Special 72%, 10 x 100 g, (100 g = 1.50)
invece di 18.–Zucchero cristallizzato M-Classic, IP-SUISSE 10 x 1 kg, (100 g = 0.11) conf. da 10 40%
Tutto l'assortimento di bicchieri Kitchen & Co. (articoli Hit esclusi), per es. Longdrink Basic, 6 x 38 cl, 10.77 invece di 17.95, (1 pz. = 1.80) a partire da 2 pezzi 40%
Ancora più risparmio
Tutti i detersivi Total (confezioni multiple e speciali escluse), per es. 1 for all in conf. di ricarica, 2 litri, 7.98 invece di 15.95, (1 l = 3.99) a partire da 2 pezzi 50%
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Tutti i Pants Pampers (confezioni multiple escluse), per es. Dry Pants, tg. 5, 37 pezzi, 11.97 invece di 19.95, (1 pz. = 0.32) a partire da 3 pezzi 40%
Tutto l'assortimento di biancheria intima da donna e da uomo, Sloggi per es. slip da donna Tai nero, 2 pezzi, 17.37 invece di 28.95 40%
Smacchiatore in polvere Vanish Oxi Action bianco, rosa o Hygiene, in confezione speciale, 2,16 kg, (1 kg = 9.70) 46% 19.90 invece di 29.85
Detersivi Ariel in confezioni speciali, per es. Universal+, 3,6 litri, 25.90 invece di 51.80, (1 l = 7.19) 50%
Fazzoletti Tempo, FSC® Classic o Soft & Sensitive, in confezioni speciali, per es. Classic, 56 x 10 pezzi, 9.70 invece di 16.24 40%
Carta per fotocopie A4 Paper & Co., FSC® bianca, 80 g/m2, in confezione multipla, 3 x 500 fogli, 2 + 1 gratis 2 + 1
Fresche, colorate e saporite
Sapore intenso
CONSIGLIO FRESCHEZZA
4.40 invece di 5.95
Nettarine a polpa bianca Extra Italia/Francia/Spagna, al kg 26%
3.80 invece di 4.50
Pomodorini
ciliegia a grappolo Svizzera/Paesi Bassi, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.76)
Carote Svizzera, sacchetto da 1 kg 20% –.90 invece di 1.40 Kiwi Gold Extra Nuova Zelanda, il pezzo 35%
1.20 invece di 1.50
2.30 invece di 2.95 Melone retato Italia, al pezzo 22%
3.95 invece di 5.35
I funghi si conservano meglio se vengono riposti in frigorifero all’interno di un cartone o avvolti da carta. Devono essere utilizzati il più possibile freschi. Sono adatti per la pasta o il risotto, ad esempio. Dopo averli puliti, scottarli a fuoco vivo e solo dopo aggiungere il sale.
Funghi pregiati Migros Bio per es. Pleurotus eryngii, Svizzera, vaschetta da 150 g, 3.56 invece di 4.45, (100 g = 2.37) 20%
Fagiolini verdi, Migros Bio Svizzera, 500 g, confezionati, (100 g = 0.79) 26%
Zucchine Ticino, al kg 30%
2.60 invece di 3.75
Migros Ticino
Prelibatezze dall’acqua
9.95
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Filetti di salmone con pelle Migros Bio d'allevamento, Norvegia, 300 g, in self-service, (100 g = 3.32) 21%
11.90
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1.50 Mini Twister chiaro Migros Bio 100 g, in vendita sfusa
Filetto dorsale di salmone affumicato Scotland d'allevamento, Scozia, 300 g, in self-service, (100 g = 3.97) 40% 2.75
3.45
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Filetti di tonno pinna gialla M-Classic pesca, Pacifico occidentale, per 100 g, in self-service 30%
Gamberi, anelli di calamaro e cozze già cotti
Frutti di mare misti Costa prodotto surgelato, in conf. speciale, 750 g, (100 g = 1.51) 33%
11.30
invece di 16.88
Direttamente dal forno alla tua tavola
Cruschello di segale, sesamo e semi di lino conferiscono al Twister note di tostatura dal profumo lievemente dolce. La mollica è soffice e saporita.
2.80 Corona di Sils IP-SUISSE
350 g, prodotto confezionato, (100 g = 0.80)
3.20 Twister rustico cotto su pietra Migros Bio
360 g, prodotto confezionato, (100 g = 0.89)
4.10
Biscotti prussiani Petit Bonheur in conf. speciale, 516 g, (100 g = 0.79) Hit
20%
Tutti i dessert refrigerati in coppetta (prodotti Daily esclusi), per es. coppetta ai vermicelles, 95 g, 2.– invece di 2.50, (100 g = 2.11)
Senza conservanti
2.55 invece di 2.95
5 pezzi, 200 g, (100 g = 1.28) 13%
Cornetti al burro precotti M-Classic, IP-SUISSE
I preferiti della famiglia direttamente dal frigo
1.85
Raclette al naturale Raccard, IP-SUISSE in blocco maxi o a fette in conf. da 2, per es. in blocco, per 100 g, 1.80 invece di 2.25, prodotto confezionato 20% 4.60
Migros Ticino
Riserve di fiducia
a partire da 3 pezzi 33%
Tutto l'assortimento Blévita per es. Gruyère AOP, 6 x 38 g, 2.65 invece di 3.95, (100 g = 1.16)
a partire da 3 pezzi 30%
Tutte le barrette singole sport e lifestyle (prodotti Alnatura, Farmer e Ovo esclusi), per es. Protein Bar Crispy Cookie Chiefs, 55 g, 2.28 invece di 3.25, (10 g = 0.41)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutto l'assortimento Fiesta Del Sol per es. tortillas integrali, 8 pezzi, 320 g, 3.36 invece di 4.20, (100 g = 1.05)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutti i caffè istantanei (prodotti Nescafé e Starbucks esclusi), per es. Cafino Voncoré, 200 g, 6.16 invece di 7.70, (100 g = 3.08)
Passata di pomodoro Longobardi 3 x 700 g, (100 g = 0.25) conf. da 3 30%
5.25 invece di 7.50
a partire da 2 pezzi 2.–di riduzione
17.95
invece di 19.95
Tutti i brodi Knorr in barattolo per es. brodo di verdure, 500 g, (100 g = 3.59)
Tutto l'assortimento di caffè Migros Bio in chicchi o macinato, per es. Crema macinato, Fairtrade, 500 g, 7.36 invece di 9.20, (100g = 1.47) 20%
Miele di fiori Fairtrade cremoso o liquido, per es. cremoso, 2 x 550 g, 11.10 invece di 13.90, (1 kg = 10.09) conf. da 2 20%
Classici croccanti e hit ghiacciate
20%
Bastoncini alle nocciole, Zampe d'orso o Schiumini al cioccolato, M-Classic in confezioni speciali, per es. bastoncini alle nocciole, 1 kg, 6.40 invece di 8.–, (100 g = 0.64)
In 3 gusti diversi
conf. da 3 33%
6.95 invece di 10.50 Gomme da masticare M-Classic Spearmint, Menthol o Strawberry, 3 x 100 g, (100 g = 2.32)
8.55
invece di 11.90
Gelato Mars o Snickers prodotto surgelato, in conf. speciale, 12 x 50 ml, (100 ml = 1.43) 28%
conf. da 12 33%
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Evian Sport 12 x 750 ml, (100 ml = 0.97)
100% succo di frutta
conf. da 10 30% SPLITT-ANGEBOT
Tutte le tavolette Frey Suprême per es. Noir Satin, 100 g, 2.80 invece di 3.50 a partire da 2 pezzi 20%
13.95 invece di 19.95
Succo d'arancia M-Classic 10 x 1 litro, (100 ml = 0.14)
Tutto per cura, freschezza e rasatura
5.80 Rasoio usa e getta Gillette Simply Venus in conf. speciale, 8 pezzi, (1 pz. = 0.73)
Tutto l'assortimento Candida (confezioni multiple e da viaggio escluse), per es. dentifricio Multicare 7 in 1, 75 ml, 2.65 invece di 3.95, (100 ml = 3.53)
LO SAPEVI?
Da oltre 75 anni, Candida è la marca propria della Migros esperta nel settore dell'igiene orale. I suoi prodotti di alta qualità sono sviluppati per soddisfare tutte le esigenze di igiene orale. Grazie alla sua competenza scientifica e alla pluriennale esperienza, Candida è raccomandata dai dentisti.
partire da 3 pezzi
Lame di ricambio Gillette Venus in confezioni speciali, per es. Venus Spa Breeze, 8 pezzi, 26.95 invece di 33.90, (1 pz. = 3.37) 20%
Rasoi usa e getta Gilette Blue II o Blue 3, in confezioni speciali, per es. Blu II, 20 pezzi, 8.95 invece di 11.20, (1 pz. = 0.45) 20%
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Tutto l'assortimento Sanactiv per es. spray nasale all'acqua di mare, 20 ml, 2.75 invece di 4.10, (10 ml = 1.38)
Tutto l'assortimento Lavera (protezioni solari, confezioni multiple e da viaggio escluse), per es. dentifricio Complete Care senza fluoro, bio, 75 ml, 3.71 invece di 4.95, (100 ml = 4.95) a partire da 2 pezzi 25%
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Tutto l'assortimento Molfina e Gynofit (confezioni multiple e sacchetti igienici esclusi), per es. Bodyform Air Molfina, FSC®, 46 pezzi, 1.40 invece di 1.75
Eroi di tutti i giorni per la tua casa
Carta igienica o salviettine umide, Soft in confezioni multiple o speciali, per es. Comfort Recycling, 30 rotoli, 14.35 invece di 20.50 30%
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Tutto l'assortimento Handymatic Classic (sale rigeneratore escluso), per es. Classic All in 1, 50 pastiglie, 11.60 invece di 14.50
Tutto l'assortimento di stoviglie Kitchen & Co. in porcellana e in vetro (prodotti Hit, bicchieri e bicchieri da tè esclusi), per es. tazza verde, il pezzo, 3.47 invece di 4.95
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Per grandi avventurieri con mani piccole
Tutti i prodotti Tonies per es. Le folli avventure di Globi, il pezzo, 13.97 invece di 19.95 30%
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Tutti i biberon, le tettarelle e i succhietti Milette per es. succhietto 16+, 2 pezzi, 3.64 invece di 5.20
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Tutte le bustine morbide bio Holle per es. Banana Lama Demeter, 100 g, 1.56 invece di 1.95