Genova Impresa 2025 n.6

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE ECONOMICA, POLITICA E CULTURALE • I.P. • ANNO XXXVI • N. 6 • NOVEMBRE - DICEMBRE 2025 • POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% CB-NO/GENOVA

editoriale FABRIZIO FERRARI Buon cielo, buon vento

l’intervista ALBERTO TRIPI Intelligenza Aumentata

SOMMARIO 4

GENOVA IMPRESA Bimestrale Confindustria Genova N. 6 / 2025

di Fabrizio Ferrari

7

Editore AUSIND Via San Vincenzo 2 - 16121 Genova Direzione e Redazione Via San Vincenzo 2 - 16121 Genova tel. 010 8338 426 pponta@confindustria.ge.it www.confindustria.ge.it

Fabrizio Ferrari

Concessionaria Pubblicità: GGallery srl Piazza Manin, 2BR - 16122 Genova Tel. 010 888 871 genovaimpresa@ggallery.it Genova Impresa ospita articoli e opinioni che possono anche non coincidere con le posizioni ufficiali di Confindustria Genova.

L’editore è disponibile a riconoscere eventuali diritti su testi o immagini a chi ne rivendichi la proprietà.

INTELLIGENZA AUMENTATA di Piera Ponta

OUTBE

di Matilde Orlando

Comitato di Redazione Claudio Burlando Guido Conforti Leopoldo Da Passano Deborah Gargiulo Matilde Orlando Tiziana Traversa

Stampa Ditta Giuseppe Lang srl Via Romairone, 66 - 16163 Genova Tel. 010 726 1198 info@giuseppelang.it

10 L’INTERVISTA 14 STARTUP

Direttore Responsabile Piera Ponta

Progetto grafico e impaginazione Creattiva Via Dante 2/88 - 16121 Genova Tel. 010 595 68 39 info@creattivagenova.it

CONFINDUSTRIA CAMBIO AL VERTICE 80 ANNI DOPO

Registrazione presso il Tribunale di Genova N. 1-89 del 10-1-1989

Hanno collaborato Angelo Barabino Jacopo Callà Luciano Caprile Fabrizio Ferrari Francesco Ferrari Filippo Ferroni Maria Fontana Amoretti Raffaele Gareri Christian Gianni Federico Grasso Olivier La Rocca Gilberto Manfrin Roberto Manuelli Massimo Morasso Vanda Moroni Leonardo Parigi

EDITORIALE BUON CIELO, BUON VENTO

Alberto Tripi

6-2025 18 SVILUPPO E COMPETITIVITÀ SAFE & SMART

58 AMBIENTE

FARE I CONTI CON L’INCERTEZZA

di Angelo Barabino

GUIDARE, NON INSEGUIRE di Piera Ponta

di Federico Grasso

60 CONFINDUSTRIA IMPERIA OLTRE I CONFINI

BENVENUTI IN ALIAXIS! RIPENSARE L’INNOVAZIONE URBANA di Raffaele Gareri

di Gilberto Manfrin

62 CONFINDUSTRIA LA SPEZIA VISIONE E PRAGMATISMO

CREATIVITÀ ED ENGINEERING BREVETTI A PROVA DI IA di Filippo Ferroni

PIÙ IDROGENO PER TUTTI PERSONALITÀ, COMPORTAMENTI, MOTIVAZIONI di Roberto Manuelli

LE AZIENDE ITALIANE E LA NUOVA MAPPA DEI RISCHI di Christian Gianni

SOLUZIONI PER BAMBINI LIGURIA IN BORSA IN GARA, NEL MONDO di Olivier La Rocca

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70 GIOVANI

A METÀ STRADA di Jacopo Callà

72 COMUNICAZIONE

PER FAVORE NON CHIAMATEMI PR di Francesco Ferrari

74 FONDAZIONE ANSALDO CIBO E FATICA

di Vanda Moroni

UI SAVONA I NUMERI DI FABBRICHE APERTE® 2025

66 PICCOLA INDUSTRIA PMI DAY

LA FORESTA DI LUZZATI di Guido Conforti

78 LA CITTÀ

TECNOLOGIA DA VIVERE

VISIONI. REGOLARE L’OBIETTIVO di Maria Fontana Amoretti

82 CULTURA E SOCIETÀ

LUZZATI. I SENTIERI DELL’OTTOCENTO di Luciano Caprile

MOBY DICK. LA BALENA

87 INDUSTRIA E LETTERATURA FESTIVAL DELLA NARRAZIONE INDUSTRIALE di Massimo Morasso

SANITÀ DI PROSSIMITÀ ROTTA DI NORD-EST di Leonardo Parigi

COLUMBIA 5.0 I 100 ANNI DI CROCCO IMPRESA E IMPEGNO SOCIALE

In copertina Corniglia (La Spezia), antico borgo delle Cinque Terre

EDITORIALE

di Fabrizio Ferrari

Buon cielo, buon vento

Genova è una città complessa. Lo è sempre stata. È una città che non si lascia semplificare, che non ama le scorciatoie, che chiede tempo e coerenza a chi decide di investirvi energie, idee, capitale. Ma è anche una città che, quando riconosce un progetto serio, sa sostenerlo con una forza che pochi territori possiedono. Come presidente di Confindustria Genova vedo ogni giorno questa doppia natura. Da un lato, le difficoltà strutturali che conosciamo bene: la trasformazione del porto, le sfide della manifattura pesante, la pressione demografica, la necessità di rinnovare competenze e modelli industriali. Dall’altro, una densità di sapere tecnico, cultura del lavoro e capacità ingegneristica che rappresenta un patrimonio straordinario, spesso sottovalutato perfino da chi lo vive.

Genova è una città che ha sempre lavorato su sistemi difficili. Logistica, energia, acciaio, infrastrutture complesse. Qui l’industria non è mai stata decorativa, ma strutturale. È sempre stata fatta di responsabilità, continuità operativa, attenzione alla sicurezza e alla qualità. È per questo che iniziative come Generative Bionics non sono un corpo estraneo, ma si inseriscono in una traiettoria industriale coerente con la storia e con il carattere di questo territorio.

Il recente round da 70 milioni di euro annunciato da Generative Bionics rappresenta un segnale importante. Non solo per l’azienda, ma per l’intero sistema genovese. Indica che qui esistono le condizioni per competere in una trasformazione tecnologica globale che ridisegnerà industria, lavoro e produzione. La robotica umanoide e l’intelligenza artificiale “con un corpo” non sono più una prospettiva lontana, ma un settore industriale in rapida accelerazione, destinato a diventare uno degli assi portanti dell’economia dei prossimi decenni.

Generative Bionics nasce da un patrimonio scientifico costruito in oltre vent’anni di ricerca all’Istituto Italiano di Tecnologia e dalla scelta, tutt’altro che scontata, di trasformare quella conoscenza in industria. È un passaggio cruciale. Perché il valore della ricerca si misura davvero quando riesce a generare imprese, lavoro qualificato, filiere produttive. E questo è esattamente il tipo di traiettoria che, come Confindustria Genova, riteniamo strategica per il futuro del territorio.

Siamo però consapevoli che nulla di tutto questo è automatico. La competizione è globale, asimmetrica, veloce. Americani e Asiatici stanno investendo su scale imponenti, fissando standard, costruendo posizioni dominanti.

Per stare in questa partita servono disciplina industriale, capacità di esecuzione, continuità

negli investimenti e una forte integrazione tra ricerca, impresa e istituzioni.

In questo quadro, Genova non dovrebbe essere uno sfondo, ma una base operativa. Un luogo in cui si costruiscono tecnologie, si testano soluzioni, si formano competenze. Un territorio che offre rigore industriale, cultura del lavoro reale e una naturale diffidenza verso l’hype fine a se stesso. Elementi che oggi rappresentano un vantaggio competitivo, non un limite.

Negli ultimi anni si è parlato di Genova come possibile “Robot Valley”. Non come slogan, ma come modo per riconoscere un ecosistema in formazione: Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), università, imprese, capitali pubblici e privati che iniziano a muoversi lungo una stessa direzione. Non conta il nome. Conta la traiettoria. E quella traiettoria indica che Genova può tornare a essere un luogo in cui si costruisce industria ad alto contenuto tecnologico, radicata nel territorio ma capace di competere sui mercati internazionali. È chiaro che la tecnologia, da sola, non risolve i problemi strutturali della città. Non sostituisce politiche industriali, non annulla le complessità sociali, non cancella le difficoltà storiche. Ma può aprire nuove prospettive, attrarre competenze, generare lavoro qualificato, riportare Genova in alcune mappe industriali strategiche.

Perché questo accada, servirà uno sforzo collettivo. Ci aiuterà una pubblica amministrazione che comprenda i tempi dell’industria e dell’innovazione. Servirà un sistema imprenditoriale disposto a mettersi in gioco, a sperimentare, a collaborare. Serve un’università sempre più integrata con il tessuto produttivo.

Serve capitale paziente, ma anche decisione.

Serve, soprattutto, una comunità che scelga di sostenere i propri progetti migliori.

Generative Bionics non è un punto di arrivo. È una soglia. È uno dei progetti che possono contribuire a ridefinire il posizionamento industriale di Genova. Come Confindustria Genova, il nostro ruolo è creare le condizioni affinché iniziative come questa possano crescere, consolidarsi, competere. Perché il futuro industriale della città non si costruisce con singole operazioni, ma con una visione condivisa e con la capacità di accompagnare chi rischia e investe.

A Genova serve un cielo favorevole e un vento che spinga nella direzione giusta. Ma serve anche la responsabilità di saper governare entrambi. È con questo spirito che guardiamo alle sfide che ci attendono, augurandoci, come da tradizione, bon çéu e bon vento.● Fabrizio Ferrari è Presidente di Confindustria Genova

Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025 5

Qual è la somma

di due forze?

Sono molte le occasioni per far sentire la nostra voce: l’Assemblea pubblica, momento principale dell’anno di confronto con la Città, i dibattiti sui progetti per lo sviluppo del nostro territorio, gli incontri dei Club tematici (Ambiente Energia, Economia del mare, Finanza d’impresa, Formazione, Internazionalizzazione, Lavoro, Previdenza, Sicurezza, Studi e Ricerche, Territorio e Infrastrutture), della Piccola Industria e dei Giovani Imprenditori, i dossier su Genova Impresa e gli aggiornamenti su Genova Impresa settegiorninews, il sito e le pagine social.

L’offerta di co-branding di Confindustria Genova è articolata e modulabile in base alle proprie esigenze di comunicazione.

Co-branding.

Per essere più forti in due.

Per info: gdelucchi@confindustria.ge.it - Concessionaria di pubblicità in esclusiva GGallery: genovaimpresa@ggallery.it www.confindustria.ge.it

CONFINDUSTRIA

Cambio al vertice Mario Gerini, past president di Confindustria La Spezia, succede a Giovanni Mondini alla presidenza di Confindustria Liguria.

Giovanni Mondini

Mario Gerini è il nuovo presidente di Confindustria Liguria per il quadriennio 2025-2029, eletto dal Consiglio di Presidenza il 15 dicembre scorso.

Imprenditore del settore delle costruzioni e delle infrastrutture, già presidente di Confindustria La Spezia, raccoglie il testimone di Giovanni Mondini in un momento cruciale per il sistema produttivo regionale.

Gerini è presidente e amministratore delegato della Società Edilizia Tirrena SET Spa, realtà storica fondata nel 1922, protagonista di alcuni tra i più rilevanti interventi infrastrutturali, portuali e civili in Liguria e nel Centro-Nord Italia. Un percorso professionale costruito “sul campo”, che lo ha portato negli anni ad assumere ruoli di vertice anche in ambito associativo, da ANCE a Confindustria, fino all’esperienza più recente alla guida degli industriali spezzini.

Nel suo primo messaggio da presidente regionale, Gerini ha voluto ringraziare i colleghi per la fiducia accordata, sottolineando il valore della continuità: «Cercherò di operare portando avanti il lavoro svolto prima da Giuseppe Zampini e poi da Giovanni

Mario Gerini

Mondini». Un’impostazione che guarda alla solidità del percorso avviato, ma anche alle nuove sfide che attendono il territorio.

Tra le priorità indicate, particolare attenzione è riservata ai temi della portualità e della politica industriale europea. «Penso in particolare alla riforma dei porti - ha spiegato - che continueremo a seguire da vicino, così come il futuro dei fondi europei di coesione 2028-2034». Un passaggio cruciale, secondo Gerini, per evitare un eccessivo accentramento delle risorse: «L’obiettivo è scongiurare una perdita di centralità del ruolo delle Regioni».

Nei prossimi giorni il nuovo presidente entrerà nel merito dei dossier aperti, affiancato dalla struttura di Confindustria Liguria: «Seguirò tutti i dossier con il supporto del direttore generale Leopoldo Da Passano e di tutta la squadra che ha lavorato finora con il presidente Mondini».

Un mandato che si apre dunque nel segno della competenza industriale, della continuità istituzionale e di una forte attenzione ai nodi strategici dello sviluppo ligure.● Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025 7

CONFINDUSTRIA

Un pomeriggio con le aziende associate dal 1945.

ANNI

DOPO

Mercoledì 19 novembre, nella sede di Confindustria Genova, 29 aziende hanno ricevuto una targa ricordo per gli 80 anni di iscrizione all’Associazione: Andrea Gallo, Baretto Francesco, Biamino e Figli, B.N Marconi, Canepa & Campi, Cartiera Grillo, Columbia Motor Oil, Ditta Fuselli dei F.lli Fassio, Ditta Giuseppe Lang, Emilio Damiano, Erg, Ernesto Marini, F.lli Razeto & Casareto, Gennaro, Gerolamo Scorza, Iplom, Lagomarsino Anielli, Leonardo, Ludovico Martelli (già Saponificio Valobra), Minimax, Nobel Sport Martignoni, Pastorino Angelo, Pietro Romanengo fu Stefano, Pitturazioni Navali Industriali (già Luigi Amico), Ruths, San Giorgio Del Porto, Tassani, Ultraflex e Unicalce.

A ritirare il riconoscimento, i figli, i nipoti e i pronipoti degli imprenditori che, nel 1945, al termine del secondo conflitto mondiale, avevano aderito alla “nuova libera” Associazione degli Industriali della Provincia di Genova.

Nel volumetto “Oltre un secolo con le imprese”, pubblicato nel 2006 da Ausind Srl e ora disponibile online, si legge che il primo nucleo di associazionismo imprenditoriale a Genova risale al 29 aprile 1901, data di costituzione del Consorzio ligure delle industrie meccaniche e metallurgiche, navali e affini.

Il Consorzio stabilì la propria sede in via S. Luca, finché non si trovò una sede più adeguata a Palazzo Doria.

Al Consorzio aderirono 12 imprese, divise tra le maggiori famiglie imprenditoriali liguri: Bombrini, Odero, Piaggio, Raggio, Tassara. Fu questa generazione di industriali che contribuì a fondare, il 5 maggio dello stesso anno, a Torino, insieme con altre dieci associazioni, la Confederazione Italiana dell’Industria; poi, l’8 gennaio 1914, la Federazione degli Armatori Liberi Italiani e, infine, il 28 aprile 1919 (venti giorni dopo che la Confindustria, allo scopo di affermare la propria rappresentatività nazionale, si era trasferita da Torino a Roma), la Federazione Industriale Ligure, con competenza territoriale da Ventimiglia alla Spezia e da Genova a Novi.

Ma torniamo alla cerimonia del 19 novembre...

A consegnare le targhe, insieme con il presidente Fabrizio Ferrari, gli ultimi sette past president: Luigi Attanasio, Stefano Zara, Marco Bisagno, Giovanni Calvini, Giuseppe Zampini, Giovanni Mondini e Umberto Risso, in un’atmosfera carica di sincera commozione e di senso di appartenenza.

Grazie ancora di cuore per la calorosa partecipazione.●

“Oltre un secolo con le imprese”: può essere consultato o scaricato online: https://bit.ly/oltreunsecoloconleimprese

Per guardare il video della giornata: https://bit.ly/80anni-in-Confindustria-Genova

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L’INTERVISTA

di Piera Ponta

Le imprese non devono temere l’IA, perché non sostituirà la creatività, l’ingegno e l’empatia dell’uomo, ma ne amplificherà le capacità decisionali e operative.

Intelligenza Aumentata

“La sfida è costruire una sinergia tra pensiero umano e potenza computazionale” “La regolamentazione dell’IA non deve essere un freno, ma un alleato della trasformazione digitale ” “Serve un investimento massiccio in formazione e nella diffusione della consapevolezza dell’IA in tutta l’economia”

Alberto Tripi Azionista di maggioranza e Presidente di Almaviva Spa, gruppo italiano leader nell’Information e Communication Technology, Alberto Tripi è da sempre impegnato nel sistema Confindustria, dove oggi ricopre la carica di Special Advisor per l’Intelligenza Artificiale del presidente Emanuele Orsini e di Responsabile Studi e Strategie ICT di AnitecAssinform.

Presidente, come nasce e con quali obiettivi il “Sounding Board Intelligenza Artificiale” di Confindustria?

Il Sounding Board nasce dalla consapevolezza che l’intelligenza artificiale non sia più un’opzione, ma una condizione necessaria per la competitività del Paese. Abbiamo voluto creare un gruppo capace di raccogliere e raccontare le esperienze concrete delle imprese italiane, così da ispirare la trasformazione digitale del sistema produttivo. L’obiettivo è duplice: promuovere una visione dell’IA come tecnologia

trasformativa e fornire esempi pratici per chi vuole avvicinarsi al tema. Nel report “L’Intelligenza Artificiale per il Sistema Italia” abbiamo mappato oltre 240 applicazioni già operative in più di 70 aziende, in settori strategici come Manifatturiero, Salute e Scienze della Vita, Mobilità Sostenibile, Turismo e Pubblica Amministrazione. Gli esempi mostrano che l’IA è accessibile anche alle PMI, con progetti che, pur sembrando futuristici, sono già realtà produttive capaci di generare valore. Lavoriamo per diffondere la cultura dell’IA in tutto il Sistema Confindustria, collaborando con i Giovani Imprenditori e il mondo accademico. L’obiettivo è raccontare in modo pragmatico i benefici dell’intelligenza artificiale per il nostro tessuto industriale.

Nel loro libro “Il secolo dell’IA. Capire l’intelligenza artificiale, decidere il futuro”, gli autori Lorenzo Basso e Marco Bani scrivono che “l’IA non è più una semplice tecnologia, è un clima, una pressione silenziosa e pervasiva che ridisegna il modo in cui lavoriamo, impariamo, curiamo, decidiamo”: qual è la sua opinione al riguardo? È una definizione evocativa, ma l’IA che utilizziamo oggi non è una rottura radicale rispetto al percorso di digitalizzazione intrapreso dalle imprese da decenni: è l’evoluzione naturale degli strumenti digitali. Le aziende italiane hanno infatti integrato tecnologie che oggi rientrano nel perimetro dell’IA ben prima che il termine diventasse comune.

Basti pensare alla machine vision, conosciuta e utilizzata da anni nel manifatturiero. Per questo le imprese non devono temere l’intelligenza artificiale. L’approccio corretto è considerarla come “Intelligenza Aumentata”: uno strumento che amplifica le capacità decisionali e operative dell’uomo, senza sostituirne creatività, ingegno ed empatia. La vera sfida è costruire una sinergia tra pensiero umano e potenza computazionale, liberando le persone da compiti ripetitivi per concentrarsi su ciò che una macchina non potrà mai svolgere. È questa la logica dell’Intelligenza Aumentata: una collaborazione uomo-macchina che genera benessere diffuso.

Nel mese di settembre è stata approvata in via definitiva la legge italiana sull’Intelligenza Artificiale, che disciplina lo sviluppo, l’adozione e la governance dei sistemi di IA in piena coerenza con l’AI Act europeo. Quali opportunità e quali sfide (o criticità) per le imprese che si avviano in questo percorso?

La regolamentazione dell’IA è utile quando offre regole chiare e tutela i principi democratici. Il vero nodo oggi non è l’esistenza di norme, ma la loro applicazione pratica: serve una implementazione semplice, lineare, con meno ambiguità possibile. Alcuni rischi esistono e vanno gestiti, ma la sensazione è che la regolamentazione europea si sia concentrata soprattutto sulla prevenzione, talvolta rispondendo a timori generalizzati più che a problemi reali. Il rischio è limitare le potenzialità dell’IA anche dove i rischi non ci sono. Le semplificazioni introdotte con l’Omnibus Digitale vanno nella direzione giusta. Tuttavia, non basta intervenire su singoli punti: serve un approccio regolatorio pratico, che elimini incertezze e zone grigie. Le PMI, prive delle strutture legali delle grandi imprese, hanno bisogno di indicazioni semplici e precise; altrimenti, nell’incertezza, non investi-

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ranno. Dall’altro lato, regole chiare generano fiducia e favoriscono gli investimenti. Un imprenditore che sa cosa può fare innova più facilmente. La sfida è fare in modo che la regolamentazione non diventi un freno, ma un alleato della trasformazione digitale.

Il nostro Paese ha risorse (anche umane) e tecnologie adeguate per essere competitivo sul mercato internazionale dell’IA? L’Italia ha risorse e capacità per essere competitiva. La nostra industria possiede una straordinaria abilità nel gestire la complessità e adattarsi ai cambiamenti: una caratteristica distintiva in un contesto globale sempre più caotico. Le PMI, agili e specializzate, rappresentano un vantaggio competitivo in settori come mobilità, turismo, meccanica di precisione e design, dove il Made in Italy continua a distinguersi.

La sfida principale riguarda però le competenze digitali.

Oggi solo il 4% dei lavoratori italiani è impiegato nell’ICT e l’adozione dell’IA nelle PMI non supera l’8,2%. Nel 2025, secondo l’Eurostat il 20% delle imprese dell’Ue con 10 o più dipendenti ha utilizzato tecnologie di intelligenza artificiale per svolgere la propria attività, una crescita di 6,5 punti percentuali rispetto al 13,5% del 2024. In Italia la percentuale cresce rispetto al 2024, ma è ancora inferiore alla media Ue, al 16,4%. Le competenze digitali sono indispensabili per la competitività e per preservare il nostro modello sociale. Serve quindi un investimento massiccio in formazione - upskilling e reskilling - e nella diffusione della consapevolezza dell’IA in tutta l’economia, insieme a programmi di sostegno per le PMI e infrastrutture adeguate.

Gli Stati Uniti, nel 2024, hanno investito 109 miliardi di dollari in IA: l’Europa deve colmare il divario per non subire l’evoluzione tecnologica. Infine, il cambiamento più importante è culturale: le imprese devono accogliere l’innovazione con la stessa capacità di adattamento che le ha rese forti.

Il vero rischio è restare indietro. Se non diventiamo protagonisti, saremo costretti a subire le decisioni altrui. Ma se sapremo combinare consapevolezza, competenze e dinamismo, avremo nelle mani le chiavi della competitività dei prossimi decenni.●

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STARTUP

di Matilde Orlando

La filosofia dell’outdoor rigenerativo.

OutBe costruisce esperienze nella natura pensate per rigenerare, educare e trasformare. Dalle spedizioni ai nuovi format di team building, la startup sta ridisegnando il rapporto tra essere umano ed ecosistemi. Ne parliamo con Carola Dufour, Digital Strategist & Content Creator della startup.

Se dovessi mettere in luce tre caratteristiche di OutBe in altrettante parole, quali sceglieresti? E perché?

Esperienziale, perché OutBe nasce per ri-connettere le persone alla natura, non solo raccontarla. L’esperienza diretta è ciò che permette di creare un legame autentico con la terra e sentirsi parte di qualcosa di più grande. Trasformativa, perché il nostro obiettivo è generare cambiamento: negli immaginari, nelle abitudini, nel modo in cui percepiamo e viviamo il rapporto con la natura nella quotidianità.

Rigenerativa, perché vogliamo attivare processi che migliorino simultaneamente il benessere delle persone e quello degli ecosistemi, attraverso esperienze significative e pratiche più consapevoli.

Entriamo nel dettaglio: quale idea imprenditoriale è alla base di OutBe e quali riscontri avete ottenuto fino ad oggi del mercato?

OutBe nasce con una missione ambiziosa: accompagnare 10 milioni di persone in natura, per viverla, conoscerla e proteggerla. Vogliamo generare una rivoluzione culturale che riporti l’essere umano dentro la natura, superando la visione che ci vede come entità separate. La nostra storia affonda le radici in Outdoor Portofino, nato nel 2011. Senza ancora definirlo esplicitamente, portava già avanti la filosofia dell’outdoor rigenerativo, ovvero l’idea di vivere la natura come un alleato capace di ricaricare energia, stimolare creatività, rafforzare le relazioni e migliorare la salute

Carola Dufour

del pianeta insieme alla nostra. Con OutBe abbiamo trasformato quel seme in un ecosistema imprenditoriale composto da diverse realtà: Outdoor Portofino, centro outdoor per escursioni di riferimento nel Tigullio, cuore storico delle attività outdoor e dell’educazione ambientale; WildSteps, la prima piattaforma italiana per il team building aziendali in natura; Impact, dedicata ai progetti di reale impatto positivo; Wild Expeditions Liguria 2026, la spedizione alla scoperta del territorio ligure percorrendo 400km via terra e via mare; e altri percorsi che stanno prendendo forma, ampliando ulteriormente la nostra visione. I riscontri sono stati immediati: il tema del benessere - personale, aziendale e ambientale - è oggi centrale. In particolare WildSteps sta mostrando un grande potenziale, perché le aziende cercano esperienze autentiche per rafforzare senso di appartenenza, collaborazione e cultura interna.

A quali esigenze o nuove opportunità la startup intende rispondere e come?

L’esigenza principale è ricostruire un legame autentico tra persone e natura. Oggi viviamo un distacco crescente dagli ecosistemi, e questo ci rende più fragili, meno consapevoli e meno propensi a prendercene cura. OutBe interviene creando esperienze e percorsi che aumentano la consapevolezza; progetti e strumenti che avvicinano cittadini, scuole e istituzioni alla natura; contenuti che diffondono una nuova cultura del bene comune legato al vivere gli ambienti naturali. Sul fronte delle opportunità, il mondo aziendale rappresenta uno spazio enorme. In un mondo del lavoro dove solamente l’8% dei dipendenti si sente davvero coinvolto in azienda, cresce la richiesta di team building rigenerativi, programmi di benessere outdoor e iniziative di responsabilità sociale con impatto misurabile. WildSteps è una leva strategica per accompagnare questa trasformazione.

Quale percorso personale e professionale ti ha portato qui e quali sono le altre professionalità coinvolte in OutBe? Il mio percorso con OutBe è iniziato in modo semplice e spontaneo: da una conoscenza e da un “Ehi, vieni anche tu oggi?”. Un’attività di coasteering è stata la scintilla che ha creato una connessione umana e professionale. Da quell’esperienza è nata una relazione, poi una proposta e infine il mio ingresso nel team come figura dedicata alla comunicazione. Oggi OutBe è sostenuta da un team interdisciplinare composto da business developer, operation manager, biologi marini, guide naturalistiche ed escursionistiche, e project manager dedicati ai progetti formativi e d’impatto. Una squadra eterogenea, perché la relazione uomo-natura richiede competenze tecniche, sensibilità e visioni diverse, unite da un obiettivo comune.

Guardando al futuro, quali sono le ambizioni di sviluppo e i progetti per la startup?

Abbiamo diversi progetti in sviluppo. Il più simbolico è Wild Expeditions, un nuovo format di valorizzazione territoriale che partirà nel 2026. Questo progetto rappresenta la sintesi pratica di ciò che OutBe promuove: vivere la natura in profondità, generare impatto e raccontare storie capaci di ispirare al cambiamento. Accanto a questo, stiamo lavorando a nuovi format esperienziali ed educativi legati all’outdoor rigenerativo, per aziende e comunità, con un obiettivo chiaro: raggiungere e superare i 10 milioni di persone coinvolte.

Una riflessione conclusiva: quali esperienze pregresse o inclinazioni personali ti sono state utili nel lavoro di startupper e, viceversa, cosa hai imparato in OutBe che vuoi portarti anche “a casa”?

Le qualità che più mi hanno aiutato sono state trasversalità, curiosità e adattamento. In una startup nulla è statico: si cresce rapidamente, si impara facendo e si impara insieme. È fondamentale mettersi in gioco, uscire dalla propria zona di comfort e sostenere la squadra. Da OutBe porto a casa una consapevolezza nuova: lavorare ogni giorno a contatto con la natura - vissuta, raccontata o progettata - insegna ad ascoltare, osservare e ridimensionare. La rigenerazione non è solo un obiettivo del progetto, ma un processo che riguarda anche noi.●

SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

di Angelo Barabino

Safe

& Smart Dal digitale sicuro nasce la fiducia che fa crescere la città.

L’evoluzione digitale delle città non riguarda solo infrastrutture, dati e servizi online, ma soprattutto le persone e la qualità delle relazioni che mantengono all’interno dello spazio urbano. Fiducia, percezione di sicurezza e benessere complessivo stanno diventando indicatori decisivi per capire se una città è davvero pronta al futuro.

Le comunità locali sono nel mezzo di una trasformazione epocale. Secondo le proiezioni internazionali, entro il 2050 oltre il 68% della popolazione mondiale vivrà in aree metropolitane, mentre il 90% delle città è già esposto a rischi legati ai cambiamenti climatici. Questa combinazione impone nuove priorità ai governi locali: resilienza, sostenibilità e sicurezza.

La crescente urbanizzazione si accompagna a un aumento diffuso delle paure quotidiane, soprattutto nei grandi centri urbani, dove la pressione della vita metropolitana si intreccia con timori per l’incolumità personale, l’accesso al lavoro e al tempo libero, la salute e la stabilità economica.

In questo contesto, una domanda accomuna amministrazioni pubbliche e industria: come gestire città sempre più complesse garantendo, allo stesso tempo, mobilità, lavoro, sicurezza e qualità della vita per i cittadini? Le risposte possibili sono molte, ma una sola è legata a filo diretto con il futuro: il digitale, capace di rendere più efficienti i servizi,

18 Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025

supportare le decisioni urbane, prevenire rischi e criticità e, soprattutto, tutelare i dati, proteggere le infrastrutture e alimentare la fiducia dei cittadini.

Perché senza fiducia non esistono città intelligenti, né comunità capaci di affrontare le trasformazioni che le attendono. Solo un ecosistema digitale affidabile può diventare il collante tra esigenze di governo e bisogni quotidiani delle persone, accompagnando le città verso un futuro più vivibile, sostenibile e umano.

La PA locale italiana sta giocando oggi le proprie carte vincenti per la sua rivoluzione digitale. I dati più aggiornati indicano che il 96% dei Comuni italiani ha servizi digitali attivi. In questo scenario, la maggioranza sceglie di affidare i propri dati a cloud provider italiani e a fornitori locali o in house, ricorrendo ai grandi player globali solo quando necessario e in funzione della criticità delle informazioni trattate. Si sta affermando così un modello “ibrido” e multi-cloud che unisce la prossimità al territorio con i benefici di scala dei big tech e testimonia una nuova sensibilità delle istituzioni locali verso i temi della sovranità digitale nazionale ed europea.

Questa infrastruttura cloud è abilitante per progetti concreti di safe & smart city: dal controllo del traffico alle ZTL digitali, dalla gestione energetica degli edifici pubblici ai sistemi di

monitoraggio di sicurezza e ambientale. È il terreno su cui prende forma la “città intelligente e sicura”, in cui dati e applicazioni dialogano per migliorare servizi esistenti e abilitarne di nuovi, un mercato che in Italia nel 2024 vale oltre un miliardo di euro e cresce del 5% rispetto all’anno precedente. Sebbene il dato sia inferiore alla media europea (+9%), è evidente che anche le città italiane stiano contribuendo a questo cambiamento. È comunque il digitale che rende gestibili nel tempo le trasformazioni urbane, anche nella loro dimensione fisica: sensori che monitorano la sicurezza degli spazi pubblici, di “gemelli digitali” - repliche virtuali di strade, ponti e infrastrutture - che ne misurano in continuo resistenza e usura, sistemi che regolano il traffico portuale di una città di mare come la nostra. Senza infrastrutture digitali robuste e interoperabili, la rigenerazione urbana “fisica” - piazze, strade, infrastrutture e servizi - rischia di non andare a buon fine.

L’AI rappresenta un capitolo a parte: potenzialmente è parte integrante dello sviluppo digitale cittadino e un acceleratore dei servizi digitali metropolitani, ma il suo livello di adozione reale da parte delle città italiane è ancora piuttosto basso e solo una quota ridotta dichiara un utilizzo evoluto di AI generativa, agenti e motori di analisi dati.

La cyber security svolge nello sviluppo digitale di una città

un ruolo determinante sia in termini di protezione reale che percepita, ma richiede un approccio integrato e tecnologicamente evoluto. Oggi gli attacchi cyber non assomigliano più a quelli anche solo di un anno fa: sono enormemente più scalabili e veloci, poiché l’uso dell’AI consente di lanciare centinaia o migliaia di attacchi simultaneamente, automatizzando la ricerca delle vulnerabilità e colpendo in modo coordinato interi ecosistemi di servizi. Anche le tecniche di social engineering diventano più efficaci: campagne di phishing mirato, deepfake audio e video, messaggi e-mail o vocali generati con AI, difficili da distinguere, per gli utenti non esperti, rispetto a comunicazioni legittime. Quest’anno Google ha rilevato ben cinque famiglie distinte di malware che sfruttano modelli di apprendimento automatico (LLM) per automatizzare attività come la ricerca di punti deboli, il movimento all’interno delle reti e il furto di informazioni: questo significa che anche gli attaccanti stanno compiendo ulteriori passi avanti. In questo quadro, gli attacchi generati e condotti in larga misura da agenti di AI non sono più fantascienza: in un recente cyber-attacco di matrice cinese condotto contro un’azienda americana, secondo le analisi preliminari, tra l’80 e il 90% delle attività operative - dall‘intrusione all’estrazione dei dati sensibili - sarebbe stato portato avanti da sistemi di intelligenza artificiale. Un salto di scala che conferma come l’uso offensivo dell’AI stia diventando un fattore centrale nei nuovi scenari globali di cyber-geopolitica. È evidente che le tecnologie non sono buone o cattive in senso assoluto: tutto dipende dall’uso che se ne fa e da come vengono gestite. In questo senso, l’intelligenza artificiale può diventare uno strumento prezioso anche nella difesa cibernetica, supportando l’analisi delle minacce e potenziando le capacità di risposta agli attacchi.

Per esempio l’intelligenza artificiale può abilitare la cyber observability, concetto che deriva dalla teoria matematica del controllo e indica la capacità di comprendere lo stato interno di un sistema a partire dai suoi output. Detto in modo semplice, significa raccogliere e leggere in modo intelligente log, metriche e tracce digitali per trasformarli in un quadro chiaro di ciò che accade nei sistemi, individuando più rapidamente anomalie e tentativi di attacco e passando da una gestione reattiva degli incidenti a una capacità proattiva e predittiva, in grado di prevenire impatti su istituzioni, aziende e cittadini.

Resta però un elemento spesso sottovalutato: una città che si dota della capacità di usare i dati in modo interoperabile, intelligente e protetto opera a vantaggio della qualità della vita in termini di sicurezza, mobilità, resilienza, protezione dei beni culturali locali, ma necessita della fiducia dei cittadini stessi nel digitale. Secondo Eurostat, nel 2024 il 70% dei cittadini UE ha usato almeno un servizio di e-government; in Italia la quota scende al 55,1%: un dato positivo, ma ancora lontano dai livelli europei.

E come si costruisce la fiducia digitale? Accrescendo le competenze delle persone, ma soprattutto impegnandosi, a livello istituzionale e industriale, in progetti digitali trasformativi per la città e nel favorire la fruizione di servizi sempre più evoluti e performanti, di cui le persone imparino nel tempo a fidarsi e ad affidarsi.● Angelo Barabino è Componente del Consiglio Direttivo del Gruppo Dixet di Confindustria Genova - Gruppo d’Imprese ad Alta Tecnologia

Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025 19

SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

Le trasformazioni portate dall’IA sembrano andare più veloci di noi. Ma non dobbiamo subirle: possiamo capire, partecipare, decidere, competere. di Piera Ponta

Guidare, non inseguire

Lorenzo Basso

Il libro “Il Secolo dell’IA. Capire l’Intelligenza Artificiale, decidere il futuro” offre strumenti concreti per comprendere la più grande rivoluzione del nostro tempo, che pone collettività e individui di fronte a trasformazioni cruciali.

Abbiamo affrontato alcuni dei punti salienti con Lorenzo Basso, autore del volume insieme a Marco Bani.

Nel libro sottolinea come la governance dell’intelligenza artificiale debba tenere insieme innovazione e tutela dei diritti. Alla luce dell’attuale quadro europeo, quali sono a suo avviso i margini reali - politici e industriali - per costruire un modello di regolazione che non penalizzi la competitività delle imprese italiane?

20 Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025

Il problema è la qualità e quantità delle norme, non le regole. La storia ci insegna che non esiste un bivio tra tutela e crescita. Le regole, se scritte bene, non sono freni, ma mappe: indicano la rotta sicura permettendo a chi guida di accelerare senza finire fuori strada. L’Europa, con l’AI Act, ha scelto un approccio basato sul rischio ma ha peccato di tecnicismi e di tempi lunghi; ora la vera partita si gioca sull’esecuzione. Non servono nuove barriere, ma un’applicazione pragmatica, settoriale e uno sportello tecnico-indipendente che trasformi la compliance della regolamentazione in un acceleratore di business, non in un costo fisso, soprattutto per le PMI. L’AI Office nasce per questo: creare sandbox, test in condizioni reali e buone pratiche, affinché

si possa sperimentare in sicurezza. E ovviamente la regolazione da sola non serve. Abbiamo bisogno di una politica industriale muscolare su tre assi: calcolo, dati e talenti. Qui Genova ha un vantaggio competitivo unico: ha già sviluppato e insediato potenza di calcolo. Penso al supercomputer davinci-1 di Leonardo e al cluster HPC dell’IIT. La sfida ora è aprire questa “potenza di fuoco” all’ecosistema produttivo locale. Senza accesso alle GPU, le regole restano un onere burocratico; con l’accesso al supercalcolo, diventano un vantaggio competitivo.

Definisce l’IA come una “tecnologia generale” che ridisegna processi, filiere e competenze. Quali sono, secondo lei, le condizioni minime che un territorio come Genova e la Liguria devono soddisfare per evitare di diventare utenti passivi di soluzioni sviluppate altrove?

Un territorio diventa competitivo solo quando tiene insieme offerta e bisogni. Genova ha carte che poche città europee possono calare contemporaneamente. Abbiamo l’infrastruttura fisica (i nuovi cavi sottomarini come BlueMed che fanno del porto un gateway digitale), la potenza di calcolo che ricordavo prima e le competenze di certificazione e validazione (penso per esempio a RINA e Leonardo). Sviluppo, rete e validazione nello stesso territorio. La condizione mini-

ma per vincere è mettere a sistema questi asset. Dobbiamo trasformare Genova in un living lab permanente: creare spazi dati condivisi su portualità, energia e salute e usare la città come terreno di prova dove i prototipi diventano standard di mercato. Ma l’infrastruttura è inutile senza la cultura d’impresa. Per una regione manifatturiera, questo significa puntare sul reskilling: servono dottorati industriali e percorsi che uniscano ingegneria dei dati e competenza di dominio.

Chi integra l’IA nei processi oggi, domani potrà competere ed essere protagonista; chi resta a guardare, diventerà un semplice consumatore di tecnologia altrui.

Nel volume evidenzia come l’IA non sostituirà semplicemente mansioni, ma riconfigurerà l’intero sistema delle competenze. Dove vede oggi il principale disallineamento tra ciò che le aziende chiedono e ciò che il sistema formativo sta effettivamente producendo?

Il disallineamento è strutturale, non numerico. L’errore è pensare che l’IA rimuova posti di lavoro; in realtà l’IA costringe a ripensare i mestieri. Oggi il mercato non cerca più solo il tecnico puro o il manager generalista, ma profili ibridi: ad esempio, serviranno product owner che parlino la lingua degli algoritmi e ingegneri che capiscano il business.

Il sistema formativo fatica perché produce ancora a compartimenti stagni. La soluzione? Non è semplice ma aiuterebbero certamente laboratori misti in azienda che valgano crediti formativi, micro-credenziali aggiornabili in tempo reale e docenze affidate a chi l’innovazione la porta davvero in produzione. E poi c’è una competenza fondamentale, spesso sottovalutata: il pensiero critico sui processi. La produttività non esplode aumentando il numero di algoritmi, ma sapendo esattamente quando fidarsi della macchina e quando no. Non sappiamo ancora come l’IA trasformerà il lavoro, ma siamo sicuri che le persone che sanno usare l’IA lo toglieranno a chi non lo sa fare.

Scrive che l’IA “non è un destino”, ma una scelta collettiva che richiede orientamento politico. Quali sono le domande che la politica italiana - e le associazioni d’impresa - dovrebbero finalmente avere il coraggio di porre per guidare questa trasformazione invece di inseguirla?

Guidare significa smettere di subire il cambiamento e iniziare a porre domande scomode: chi decide sui dati? Servono regole chiare per l’addestramento industriale. Chi ha accesso al calcolo? Serve una politica che possa democratizzare l’accesso alle GPU per le PMI o l’innovazione resterà un club per pochi giganti. Chi traduce i principi in realtà?

Serve una regia tecnica che usi l’AI Office come leva di velocità, non di controllo burocratico. In questo quadro, la partita della AI Gigafactory europea è decisiva. La mia posizione è netta: Genova non chiede favori, rivendica un ruolo basato sui fatti. Qui convergono supercalcolo, hub di certificazione, la rete sottomarina globale e la ricerca di vertice.

Escludere la Liguria o ridurla a un ruolo di contorno non sarebbe un torto locale ma un errore strategico nazionale.

Rischiamo di perdere una testa di ponte fondamentale e diventare satelliti di progetti pensati altrove. Per questo ho chiesto una mobilitazione compatta: Genova ha i numeri per competere in Europa e trainare l’Italia. È questo che dobbiamo pretendere, con coraggio e visione.● Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025 21

SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

Benvenuti in Studenti e imprenditori in visita alla FIP di Casella.

La sede di Casella del gruppo internazionale leader

Giada Giuffra, 2025 | Biennio Fotografia Accademia Ligustica, Genova Corso Documentazione fotografica, Prof. Andrea Botto

nella produzione di sistemi di tubazioni in plastica ha ospitato gli studenti del Biennio di fotografia dell’Accademia Ligustica, accompagnati dal prof. Andrea Botto, per uno shooting nello stabilimento, e una ventina di aziende del Gruppo Territoriale Valle Scrivia e Alta Val Polcevera, guidate dal presidente Andrea Ratto.

Per gli studenti dell’Accademia è stata l’opportunità di fare pratica sul campo, per gli Associati del Gruppo l’occasione di conoscere una delle realtà industriali “storiche” della Valle Scrivia e di apprezzarne il radicamento al territorio e il senso di appartenenza a Confindustria Genova.

Aliaxis è un gruppo globale leader nelle soluzioni per la gestione dei fluidi, presente in oltre 40 Paesi con più di 15.000 collaboratori. La nostra missione è creare soluzioni innovative e sostenibili per affrontare le sfide legate all’acqua e accelerare la transizione verso l’energia pulita, contribuendo a costruire un futuro migliore per le persone e per il pianeta. Offriamo sistemi avanzati di tubazioni in plastica e componenti per applicazioni in edilizia, industria e infrastrutture, anticipando le esigenze di un mondo in continua evoluzione. Innovazione, qualità e responsabilità sono al centro del nostro impegno quotidiano.

I nostri valori fondamentali guidano ogni azione. We Dare: sfidiamo lo status quo e innoviamo costantemente; We Care: ci prendiamo cura dell’ambiente, dei clienti e delle persone; We Deliver: raggiungiamo i nostri obiettivi con

Giulia Abrassi, 2025 | Biennio Fotografia Accademia Ligustica, Genova | Corso Documentazione fotografica, Prof. Andrea Botto

responsabilità e impegno. In Italia, Aliaxis è presente con cinque siti produttivi e commerciali: Casella (Genova), Zola Predosa (Bologna), Piombino (Livorno), Guardamiglio (Lodi) e Fiesso Umbertiano (Rovigo), per un totale di oltre 600 collaboratori. Il nostro obiettivo è offrire soluzioni affidabili e sostenibili, promuovendo la sicurezza, la crescita e lo sviluppo dei talenti.

Lo stabilimento di Casella, conosciuto storicamente come FIP, rappresenta una delle radici più solide del gruppo Aliaxis in Italia. Nato con una forte vocazione industriale, FIP ha costruito negli anni una reputazione di eccellenza nella produzione di valvole e raccordi in materiale plastico per applicazioni industriali. Oggi, con circa 300 collaboratori, il sito integra uffici e produzione, mantenendo vivo il legame con la sua storia e proiettandosi verso il futuro.

Il brand FIP è sinonimo di: innovazione e affidabilità; tradizione e competenza con una storia che ha consolidato know-how e qualità; ricerca e sviluppo di soluzioni all’avanguardia per rispondere alle sfide globali; sostenibilità e sicurezza, principi che guidano ogni processo in Aliaxis.

I nostri prodotti sono fabbricati con plastica durevole, progettata per garantire performance nel tempo e ridurre sprechi, come parte del nostro impegno verso la sostenibilità. La nostra attenzione al cliente è costante: ascoltiamo le esigenze, anticipiamo le sfide e offriamo soluzioni su misura. E soprattutto, sono le persone a fare la nostra azienda: il talento, la passione e la competenza dei nostri collaboratori sono la forza che ci permette di innovare e crescere ogni giorno.

Aliaxis Casella è profondamente radicata in Valle Scrivia, un territorio che consideriamo parte integrante della nostra identità.

Sosteniamo iniziative locali, collaboriamo con scuole e istituzioni per favorire la formazione e l’occupazione, e promuoviamo progetti sociali e ambientali per migliorare la qualità della vita nella comunità. Il nostro obiettivo è creare valore non solo per i clienti, ma anche per le persone e l’ambiente che ci circondano, contribuendo allo sviluppo sostenibile del territorio.●

Il Gruppo Territoriale Valle Scrivia e Alta Val Polcevera (una sessantina di aziende aderenti per quasi 3000 addetti) ha presentato in un recente Consiglio Generale di Confindustria Genova l’attività svolta dalla sua costituzione, a marzo 2025.

Segno distintivo delle iniziative promosse sotto la guida del presidente Andrea Ratto (Ratto Fixing Srl) è la volontà di coinvolgere le diverse realtà imprenditoriali presenti in Valle Scrivia e in Alta Val Polcevera, di favorirne la conoscenza reciproca e di farsi portavoce delle loro esigenze e aspettative, nei confronti delle Istituzioni locali e della stessa Confindustria Genova. La visita a FIP - Aliaxis a Casella, il16 ottobre scorso, è stata l’occasione per presentare alle aziende presenti i servizi offerti dall’Associazione con particolare riguardo ai temi della formazione. Foto di rito alla fine di un incontro denso di contenuti.n

Shooting ANDREA BOTTO Nel biennio di Fotografia dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, dove insegno Documentazione fotografica, cerchiamo di far sì che la didattica non resti confinata all’aula. Per noi, la formazione di studentesse e di studenti è bene passi anche attraverso il confronto diretto con il mondo del lavoro, con i suoi tempi, le sue regole e le sue responsabilità. È in questo quadro che è nata l’esperienza che abbiamo realizzato l’estate scorsa grazie alla collaborazione con Confindustria Genova e con FIP-Aliaxis, che ha accolto una classe dell’ultimo anno del corso all’interno del suo stabilimento di Casella per una giornata di shooting sul campo. Fotografare all’interno di un’azienda significa infatti confrontarsi con una “location” complessa, con vincoli logistici e di sicurezza, ma anche con una committenza precisa, che ha esigenze comunicative chiare; è un’occasione preziosa per comprendere cosa significhi lavorare professionalmente, anche dal punto di vista relazionale. Con il supporto di Lara Moretti (HR Business Partner & Internal Communication Expert dell’azienda NdR) e dei suoi colleghi, che ci hanno accompagnato con grande disponibilità, le studentesse hanno realizzato una serie di immagini dedicate agli ambienti di lavoro, ai macchinari e, soprattutto, alle persone, a operai e operaie durante le loro concrete attività quotidiane, sviluppando un proprio progetto fotografico in autonomia e con la consapevolezza di trovarsi in un ambito produttivo non simulato. Le immagini sono state successivamente organizzate in sequenze e condivise con l’azienda, che ne ha chiesto l’utilizzo per la realizzazione di pannelli destinati agli spazi interni dello stabilimento. Per noi si è trattato di un riscontro importante, che ha trasformato l’esercitazione in un’esperienza pienamente professionale. Dal punto di vista didattico, si è trattato di un momento di grande valore. Le studentesse hanno potuto misurarsi con una committenza reale, comprendere l’importanza del dialogo con chi, all’interno di un’impresa, si occupa di immagine e comunicazione, e sperimentare il delicato equilibrio tra libertà creativa e rispetto delle richieste di un “cliente”. All’azienda, l’incontro con un gruppo di giovani fotografe ha dato l’opportunità di confrontarsi con uno sguardo nuovo, “altro” sul proprio saper-fare, volto a restituirne la dimensione umana oltre a quella produttiva. Come professionista, oltre che come docente di un’istituzione storica qual è l’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, conosco bene il valore che le immagini possono avere nei processi di comunicazione aziendale. L’Accademia forma artisti e creativi che, nella società contemporanea, possono avere una funzione concreta, riconoscibile e fruttuosa anche in ambito industriale. La collaborazione con Confindustria nasce proprio da questa convinzione e dall’idea che il dialogo tra formazione artistica e impresa non solo sia possibile, ma rappresenti una risorsa per entrambi - come l’esperienza con Aliaxis dimostra in modo esemplare.n Andrea Botto è Docente di Documentazione Fotografica, Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova

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SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

EXPO WORLD CONGRESS

di Raffaele Gareri

Ripensare l’innovazione urbana Riflessioni dallo Smart City World Congress 2025.

Anche quest’anno ho avuto il piacere di partecipare allo Smart City World Congress di Barcellona, che si è svolto dal 4 al 6 novembre. Un evento che seguo sin dalla sua prima edizione, nel 2011: allora rappresentava una vera rivoluzione nel modo di intendere la città del futuro. Oggi la scena è più dominata dai racconti delle grandi aziende tecnologiche, e non sempre è immediato cogliere i segnali dell’innovazione emergente. Resta però uno dei luoghi più stimolanti per incontrare esperti e colleghi provenienti da tutto il mondo, e ogni anno offre spunti preziosi di confronto. Provo a condividere alcune riflessioni che stanno emergendo con sempre maggiore chiarezza nella community internazionale di esperti e operatori del settore.

Ripensare il modello di innovazione urbana Per troppo tempo l’innovazione nelle città è stata interpretata quasi esclusivamente come deploy tecnologico. Si è investito molto in piattaforme, sensori, dispositivi intelligenti. Ma, salvo poche eccezioni, non abbiamo visto un impatto sociale significativo. La lezione è evidente: la tecnologia da sola non basta. Serve un approccio più umano, più strategico e più orientato ai bisogni reali delle comunità. Serve anche più attenzione a una governance degli attori del territorio per impiegare al meglio le risorse disponibili e “remare” nella stessa direzione di sviluppo.

Le priorità stanno cambiando I temi tradizionali - mobilità, sostenibilità ambientale, servizi sociali, rigenerazione urbana - restano importanti, ma alla luce del mutato contesto macro economico e politico, si stanno affermando nuove urgenze: sicurezza urbana, resilienza climatica, gestione del rischio, continuità dei servizi essenziali. Le città del futuro dovranno essere capaci di affrontare eventi estremi, digitali e fisici, e garantire servizi

stabili anche in scenari complessi. Un aspetto critico sarà legato alla capacità degli attori locali di una comunità, pubblici e privati, di operare efficacemente nell’ecosistema territoriale garantendo integrazione dei dati e dei modelli di business.

Cosa manca? Bisogni, partecipazione, competenze La trasformazione urbana richiede tre ingredienti fondamentali: formazione continua, per chi opera nelle aziende private ma anche nelle amministrazioni pubbliche che hanno il compito non solo di offrire ai cittadini e imprese servizi moderni ma anche infrastrutture innovative in grado di sostenere l’economia locale; coinvolgimento dei cittadini, senza il quale ogni innovazione rischia di restare “calata dall’alto”; su questo tema bisognerà prestare particolare attenzione alla strategia di inclusione che garantisca la partecipazione di tutti i segmenti della popolazione, senza distinzioni di età o condizione socio-economica; analisi dei bisogni, il vero punto di partenza di qualsiasi progetto di valore. Valore sociale per soddisfare le aspettative dei cittadini ma anche valore economico per garantire un mercato reale alla nuova generazione di prodotti e soluzioni che verranno sviluppate in risposta a quei bisogni. È un messaggio importante rivolto ai nostri manager e designer: anteporre l’ascolto alla fase di progettazione e garantire un confronto costante e trasparente durante lo sviluppo delle iniziative, al fine di ricalibrare le azioni in presenza di nuove evidenze o necessità emergenti.

Il ruolo decisivo delle imprese e delle startup locali Un altro elemento emerso con forza a Barcellona è che la trasformazione urbana non può essere delegata solo al settore pubblico. Serve una nuova alleanza con il mondo produttivo, in particolare con: imprese del territorio, startup innovative, giovani talenti. Coinvolgerli nella definizione delle soluzioni e orientare l’imprenditoria verso i bisogni locali significa creare opportunità economiche concrete e allo stesso tempo valorizzare nuove professionalità. È anche un modo per dare ai nostri giovani una ragione in più per restare nelle nostre città e sentirsi parte attiva del cambiamento.

Guardare al locale senza perdere di vista il globale “Locale” non significa chiudersi. A livello europeo, temi come Citiverse, AI applicata ai servizi urbani e Sovereign Data Spaces sono centrali. L’Italia partecipa al consorzio EDIC, che ha l’obiettivo di sviluppare infrastrutture e standard comuni per la gestione dei dati urbani e dei servizi digitali avanzati.

In aggiunta a questi cinque spunti, non si può evidentemente dimenticare il ruolo rivoluzionario che sta giocando l’Intelligenza Artificiale nella nostra società ed economia. Per le imprese che sviluppano soluzioni di Intelligenza Artificiale, il percorso da seguire appare ormai ben definito. È fondamentale partire dall’analisi dei bisogni reali del mercato, comprendendo a fondo le esigenze dei territori e delle amministrazioni. Allo stesso tempo, è indispensabile muoversi con consapevolezza all’interno del quadro normativo, in continua evoluzione, per garantire sicurezza, conformità e sostenibilità giuridica alle soluzioni sviluppate. L’innovazione, inoltre, trova la sua massima efficacia quando nasce da partnership pubblico-private solide e orientate al risultato, capaci di coniugare competenze diverse. In questo processo diventa sempre più importante poter sperimentare in contesti protetti, come le “sandbox” regolamentari, che consentono di testare nuove tecnologie in modo controllato. Infine, le imprese devono inserirsi in un ecosistema realmente “glocal”, capace cioè di valorizzare il radicamento locale senza perdere la connessione con le dinamiche e le opportunità del panorama internazionale. Infine, una nota sull’AI nella Pubblica Amministrazione. Cresce l’attenzione verso il ruolo dell’AI nella PA. La preoccupazione dominante riguarda la protezione dei dati e l’aderenza al GDPR. L’AI potrà esprimere il suo potenziale solo se accompagnata da trasparenza, governance chiara e strumenti che garantiscano fiducia ai cittadini. Il futuro delle nostre città non sarà fatto solo di tecnologia, ma di capacità di ascolto, collaborazione, governance e innovazione culturale. La sfida è aperta: creare città più intelligenti, più sicure e più umane.● Raffaele Gareri è Co-Founder & Ceo a Urban Futures

SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

Creatività

ed engineering IRC Srl: dall’eccellenza motociclistica all’ingegneria del calore.

Giovanni Landro

IRC Srl nasce come produttore di componentistica per il mondo motociclistico, elettronica e termocoperte, un settore che ancora oggi rappresenta il principale mercato in termini di volumi. «È però un ambito che è destinato progressivamente a ridursi: lo sport motociclistico - osserva Giovanni Landro, amministratore unico della società -non ha più la stessa capacità di attrarre nuove generazioni e i numeri si stanno lentamente contraendo. Da questa consapevolezza è iniziata una transizione strategica verso l’industria».

Oggi IRC Srl sviluppa soluzioni riscaldanti industriali ad alto contenuto tecnologico, in tutti quei contesti in cui il semplice prodotto non basta e diventa centrale l’ingegnerizzazione del sistema. L’azienda lavora su applicazioni complesse, dove il controllo della temperatura è critico, e collabora con realtà industriali e scientifiche di primo piano. Tra le esperienze più rilevanti figurano progetti realizzati con ASG Superconductors nell’ambito del programma ITER di Cadarache, inclusa la fornitura di centinaia di riscaldatori ad alta tecnologia per il controllo termico.

La capacità di rispondere rapidamente a sfide non convenzionali è uno dei tratti distintivi di IRC. «A ridosso del varo di Luna Rossa - racconta Landro -, l’azienda è stata coinvolta nello sviluppo di un sistema riscaldante degli stampi utilizzati nella lavorazione di lastre in plexiglas al fine di eliminare le aberrazioni visive tipiche di un plexiglas inclinato.

Il risultato ha contribuito all’ottenimento di una commessa successiva nel settore nautico di fascia alta e ha portato alla realizzazione di un forno dedicato, progettato e installato appositamente».

Un altro ambito di sviluppo riguarda l’abbigliamento tecnico avanzato. IRC è partner di Racing Force (già OMP) nello sviluppo di un sottotuta raffreddato per la Formula Uno, utilizzato da Mercedes. Dal 2026, infatti, i piloti sono obbligati a indossare sistemi di raffreddamento attivo, basati su veri e propri circuiti refrigeranti. «Il progetto - spiega Giovanni Landro - ha richiesto competenze multidisciplinari: dalla medicina allo studio dei flussi termici, fino alla collaborazione con l’Università di Genova e all’acquisto di macchinari specifici per l’integrazione dei tubi nel tessuto. Il layout finale è stato definito anche grazie ai feedback diretti dei piloti».

Questo approccio, fondato sull’ingegneria applicata, è lo stesso che IRC ha adottato nello sviluppo di sistemi elettronici per airbag da competizione motociclistica e sciistica.

Nel primo caso, l’azienda ha lavorato a stretto contatto con

un’azienda di abbigliamento sportivo e con matematici specializzati in machine learning, raccogliendo e analizzando dati direttamente in pista. Le stesse competenze sono state poi trasferite al mondo dello sci agonistico, dove oggi i sistemi elettronici dialogano con i dispositivi di sicurezza per gestire sganci e attivazioni in modo controllato.

«Le persone che lavorano in IRC - aggiunge Landro - condividono alcune caratteristiche chiave: curiosità, capacità di project management e attitudine a collaborare con università, centri di ricerca e aziende molto diverse tra loro. Il team conta oggi otto persone in Italia e una in Francia, dedicata alle vendite».

Nel 2023 IRC ha vinto lo Smart Cup Liguria nella categoria industriale, presentando anche un progetto innovativo di boiler elettrico compatto, pensato per un futuro senza caldaie a gas. Il sistema, che ha terminato la fase di sviluppo e sperimentazione, promette dimensioni ridotte e consumi inferiori rispetto alle soluzioni tradizionali, utilizzando componentistica standard ma con un’architettura radicalmente diversa. La ricerca sul raffrescamento ha inoltre aperto un nuovo fronte: lo sviluppo di indumenti refrigeranti per i lavoratori esposti a temperature elevate. È un ambito complesso, non solo dal punto di vista tecnico ma anche normativo. IRC collabora con centri di ricerca, università e INAIL, e partecipa ai tavoli UNI-ISO sugli indumenti di protezione, con l’obiettivo di contribuire alla definizione di future linee guida. Parallelamente, l’azienda sta sviluppando sensori indossabili in grado di monitorare temperatura, umidità, posizione e parametri fisiologici, per individuare precocemente situazioni di stress termico.

IRC Srl opera anche sui mercati internazionali attraverso piattaforme B2B come Alibaba, dove propone prodotti per il settore moto, sportivo e industriale, valorizzando il Made in Italy e instaurando un rapporto strutturato con la piattaforma stessa. «IRC Components è stata una delle quattro aziende italiane con le quali il presidente di Alibaba.com, Kuo Zhang, ha chiesto un colloquio privato - conclude Giovanni Landro - durante il quale mi ha chiesto, tra l’altro, la mia opinione su Trump, sull’impatto dei dazi, sulla Cina, sulla Russia... A differenza di altre piattaforme di e-commerce, Alibaba è estremamente proattiva nei confronti delle aziende clienti, che vengono incentivate e addirittura premiate in base alle loro performance. Grazie ad Alibaba IRC Srl sta entrando anche nel mondo della bicicletta downhill».● (P.P.)

SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

di Filippo Ferroni

Brevetti a prova di IA La proposta di Metroconsult per tutelare l’innovazione ai tempi dell’intelligenza artificiale.

L’attuale contesto storico è fortemente caratterizzato dalla crescente diffusione dell’intelligenza artificiale (IA), ormai presente in modo trasversale e pervasivo in numerosi ambiti applicativi. Tale espansione è riconducibile al rapido incremento della potenza di calcolo, alla disponibilità di grandi quantità di dati e allo sviluppo di modelli neurali e tecniche di apprendimento, in grado di svolgere attività che fino a pochi anni fa risultavano prerogativa esclusiva dell’uomo, quali il riconoscimento delle immagini, la traduzione linguistica o l’elaborazione di analisi complesse. La versatilità dell’IA, ulteriormente amplificata dall’integrazione con cloud, IoT, banche dati e infrastrutture di rete avanzate, ne favorisce l’impiego in quasi ogni settore tecnologico.

La Quarta Rivoluzione Industriale si fonda sulla produzione massiva di dati, la cui interpretazione è resa possibile proprio dai sistemi intelligenti, capaci di individuare schemi e correlazioni non immediatamente percepibili dall’analisi umana. Le applicazioni sono in costante espansione: diagnostica clinica, bioinformatica, ricerca farmacologica, veicoli autonomi, industria 4.0, manutenzione predittiva, controllo qualità. Il crescente interesse si riflette anche nell’incremento delle domande di brevetto nel settore IA. Uno studio del European Patent Office ha mostrato nel 2020 che il numero di famiglie di brevetti internazionali nelle tecnologie IA applicate agli oggetti connessi intelligenti è aumentato a un tasso medio annuo del 54,6% dal 2010, sebbene con numeri assoluti relativamente bassi. A fronte di tale scenario, è naturale interrogarsi su quale sarà il ruolo futuro dell’intelligenza umana: ci sarà ancora spazio?

La risposta non può che essere positiva. La storia dimostra infatti che l’uomo ha sempre saputo governare le transizioni tecnologiche - dall’avvento dell’elettronica alle rivoluzioni comunicative - attraverso la propria capacità di adattamento, il capitale umano e l’ingegno, elementi non replicabili artificialmente. I sistemi di IA possono essere acquisiti e addestrati, ma non possono sostituire l’esperienza e le conoscenze industriali, culturali e produttive di un territorio, di una nazione o di una Regione come la nostra.

La Liguria evidenzia tuttavia uno scenario non pienamente allineato al potenziale del territorio. Nel 2025 (dato aggiornato a novembre) risultano ottenute poco più di venti privative di brevetto (italiani, europei, modelli di utilità) da titolari di Genova e meno di dieci complessivamente da quelli di Savona, La Spezia e Imperia. Più dinamico appare il settore dei marchi: oltre 500 registrazioni a Genova, circa 240 a Savona, 170 a Imperia e 140 alla Spezia, indice di vivacità imprenditoriale soprattutto nel comparto delle PMI. La Liguria dispone comunque di competenze significative in materia di IA. Un esempio è la Sanità, dove all’Ospedale San Martino di Genova i sistemi intelligenti vengono utilizzati nella pratica clinica per il rilevamento di lesioni polmonari, tumori, ictus, fratture e anomalie cardiache. Ma anche a livello amministrativo la riduzione delle liste di attesa viene affrontata dalla struttura regionale con strumenti di IA. Lo stesso vale per l’Istituto Italiano di Tecnologie e l’Università che ricorrono all’IA nei loro programmi di ricerca, mentre le imprese genovesi che operano in ambiti finanziari, assicurativi, oppure le professioni tecniche e legali, la sfruttano per la semplificazione dei processi e la riduzione dei tempi e costi decisionali. Non c’è quindi potenzialmente

limite alle applicazioni della IA se non fosse per la sua caratteristica intrinseca principale, ovvero quella di elaborare i dati con cui viene allenata e alimentata, che ne definisce inevitabilmente un asintoto.

Per esempio, se i dati che vengono forniti all’IA sono errati o (magari volutamente) falsi è inevitabile che anche le risposte da essa fornite saranno errate o fasulle: chi controlla queste conclusioni? L’uomo? Un’altra IA? Inoltre, essendo i dati forniti ai sistemi di IA (qualunque sia il loro campo di applicazione) delle informazioni appartenenti allo stato della tecnica, non si vede come la loro elaborazione da parte di algoritmi sia pure di grande complessità, possa generare soluzioni inventive nella accezione che si riconosce a questo termine nella proprietà industriale.

Infatti, è requisito fondamentale per brevettare un prodotto, un processo e più in generale una innovazione tecnica, l’attività inventiva cioè il fatto che non risulti in modo evidente alle persone esperte del ramo.

Ora, è chiaro che le conoscenze di queste ultime risultano oggi notevolmente aumentate dalla IA, la quale di fatto sarà sempre più uno strumento di lavoro impiegato dalle persone nei loro compiti quotidiani.

Uno strumento di lavoro non può sostituirsi all’uomo che ne fa uso: saranno sempre le persone che con le loro conoscenze e competenze (i.e. l’intelligenza “naturale”) alla fine faranno la differenza, proprio come succede oggi e come è sempre accaduto in passato. In questo scenario si inserisce il ruolo di Metroconsult, società con sedi a Genova, Milano, Torino e Modena, da oltre quarant’anni attiva nella consulenza in proprietà industriale e intellettuale. Lavoriamo a fianco di grandi gruppi, PMI, start-up ed enti pubblici in settori che spaziano dall’elettronica ai trasporti, dalle TLC all’energia, fino alle tecnologie green. La nostra missione è supportare imprese e istituzioni nella definizione di strategie di PI efficaci, sostenibili e orientate alla creazione di valore, soprattutto in un momento storico in cui l’innovazione corre più veloce che mai.

Crediamo infatti che proprio in questo momento storico le nostre conoscenze e competenze possano essere messe favorevolmente al servizio dei clienti, per supportarli e aiutarli a orientarsi nelle nuove sfide portate dalla IA. Per questo scopo abbiamo messo a punto una offerta tariffaria particolare per le aziende associate a Confindustria Genova, che si può facilmente consultare sulla nostra pagina aziendale pubblica e accessibile agli associati dalla piattaforma interattiva digitale DAS. La sfida dei prossimi anni sarà integrare al meglio intelligenza artificiale e intelligenza umana, tecnologia e creatività, automazione e visione. Ma un elemento rimane certo: senza protezione della proprietà intellettuale, nessun territorio potrà competere nell’economia globale della conoscenza. La Liguria ha talento, storia industriale, centri di ricerca e capacità tecniche per essere protagonista e noi siamo pronti a sostenerla in questo percorso.●

Confindustria Genova - METROCONSULT Partner Convenzione Confindustria Genova: https://bit.ly/METROCONSULT-Convenzione

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SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

Più idrogeno per tutti

Secondo Accelleron, è necessaria una collaborazione intersettoriale per far crescere i combustibili a zero emissioni nello shipping.

In occasione della London International Shipping Week (LISW25), Accelleron ha presentato il suo primo report dedicato alla decarbonizzazione marittima, “Accelerating to Net Zero - Deadlock: What’s Stopping Shipping’s Carbon-Neutral Fuel Transition?”.

Secondo l’analisi di Accelleron, gli sforzi congiunti del settore in termini di efficienza delle navi, digitalizzazione e retrofit potrebbero ridurre collettivamente le emissioni di CO2 di oltre il 30% entro il 2030 - un livello sufficiente a superare gli obiettivi IMO di breve termine - ma si tratta solo di un guadagno temporaneo. Da soli, questi interventi non sono sufficienti a raggiungere il target net-zero al 2050 fissato dall’International Maritime Organization (IMO). Per decarbonizzare completamente, il settore deve aumentare in modo significativo la produzione e l’utilizzo di idrogeno verde e dei suoi derivati. Il report stima che il solo trasporto marittimo avrà bisogno, entro il 2050, di 100-150 milioni di tonnellate di idrogeno verde all’anno, e di 2-3 trilioni di dollari di investimenti da oggi al 2050.

Nel frattempo, altri settori ad alta intensità energetica - tra cui acciaio, cemento, aviazione e agricoltura - richiederanno complessivamente circa 500-600 milioni di tonnellate di idrogeno verde, per un investimento stimato di 9 trilioni di dollari necessari a renderlo disponibile su larga scala. Tuttavia, gli attuali progetti in pipeline a livello globale rappresentano appena 38 milioni di tonnellate, sostenuti da meno di 320 miliardi di dollari già investiti.

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«Ma proprio questo divario è la faglia che si trova al centro della transizione energetica bloccata dello shipping - afferma Daniel Bischofberger, CEO di Accelleron -. La parte più complessa del nostro percorso di decarbonizzazione è la scalabilità dell’idrogeno verde come base degli e-fuel, una sfida resa esponenzialmente più difficile dal fatto che nessun settore può affrontarla da solo. Ed è proprio questa fase a determinare se riusciremo a raggiungere il net zero in tempo - o se non ci riusciremo affatto».

Il report afferma che il settore marittimo non può - e non deve - sostenere da solo i costi della rivoluzione dell’idrogeno. Accelleron invita a una collaborazione tra settori che tradizionalmente operano a compartimenti stagni. Aggregando la domanda di idrogeno insieme a settori quali acciaio, agricoltura e produzione di energia, lo shipping può contribuire a ridurre i rischi dei mega-progetti e rendere economicamente sostenibile una produzione su larga scala.

La domanda aggregata, secondo lo studio, potrebbe trasformare l’attuale competizione per e-fuel scarsi in un impegno collettivo verso la decarbonizzazione globale. Schemi di investimento condivisi, contratti di acquisto congiunti e infrastrutture integrate accelererebbero la disponibilità dei combustibili, stabilizzerebbero i prezzi e ridurrebbero i rischi della supply chain.

Questo approccio trasversale si allinea alle discussioni più recenti all’interno della comunità energetica, sempre più orientata a considerare gli ecosistemi dell’idrogeno come

interdipendenti e non specifici per settore. Il trasporto marittimo, grazie alla sua dimensione globale e all’esperienza logistica, può svolgere un ruolo catalizzatore nella produzione, distribuzione e logistica dei combustibili sintetici e a base di idrogeno.

Quali sono le barriere interconnesse - o stalli - che impediscono al settore di affrontare autonomamente la transizione energetica?

Innanzi tutto, l’incertezza sui percorsi energetici: il settore dello shipping si trova di fronte a una domanda frammentata, dovuta alla presenza di diversi percorsi competitivi per i combustibili (GNL, biocarburanti, e-fuel), che impedisce di far crescere su larga scala un singolo combustibile a zero emissioni. In secondo luogo, i modelli di produzione di idrogeno verde ed e-fuel, basati sulla concentrazione dell’offerta in specifiche aree geografiche, che limita la flessibilità tradizionale dello shipping, in particolare per gli operatori bulk e tramp che seguono rotte imprevedibili. Un altro stallo è determinato dal fatto che nonostante trilioni di dollari vengano investiti globalmente in fondi ESG, solo una piccola parte raggiunge lo shipping, a causa della frammentazione della proprietà, della lunga vita delle navi e dell’incertezza normativa.

Il Net Zero Framework dell’IMO è ambizioso, poiché prevede l’introduzione di un prezzo globale del carbonio, ma incentivi e finanziamenti non saranno disponibili prima del 2028 - troppo tardi per progetti che richiedono investimenti immediati. Il disallineamento tra regolamenti globali e regionali (ad esempio IMO vs UE sui biocarburanti) frammenta domanda e segnali di investimento.

Ma anche disponendo di finanza e regolamentazione adeguate, i combustibili non possono essere distribuiti senza infrastrutture portuali sufficienti, che includano energia, acqua, stoccaggio e condotte. I porti devono affrontare la competizione per le risorse e bilanciare i sistemi di bunkeraggio tradizionali con quelli destinati ai nuovi combustibili.

Lo shipping da solo non può innescare lo sviluppo dell’idrogeno verde; la chiave per sbloccare la transizione energetica è la collaborazione tra aviazione, acciaio, cemento, chimica, energia e agricoltura. I porti si trovano naturalmente al cen-

tro di questa collaborazione e possono assumere ruoli diversi a seconda delle loro caratteristiche: alcuni come produttori autosufficienti di combustibile, altri come connettori, punti di ricezione o fonti di esportazione, in base a geografia, risorse e flussi commerciali.

Sebbene le navi siano tecnologicamente pronte - con le unità dual-fuel ormai dominanti nei portafogli ordini - l’offerta di e-fuel resta ben al di sotto dei livelli necessari per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione. L’idrogeno verde è indispensabile: lo shipping ne richiederà tra 100 e 150 milioni di tonnellate entro il 2050, competendo con altri settori.

I biocarburanti, pur utili nel breve periodo, rappresentano solo una soluzione temporanea, a causa della disponibilità limitata e della competizione con i settori alimentare e aviazione. La cattura del carbonio sarà cruciale, sia per la produzione di e-fuel sia per contenere le emissioni fossili durante la transizione. Per colmare il divario nella finanza verde, è necessario sviluppare nuovi strumenti finanziari e consolidare la domanda, così da liberare i trilioni di dollari oggi disponibili nei capitali ESG. Tutti i player della catena del valore hanno un ruolo chiave nel superamento degli stalli.

Armatori e operatori dovrebbero puntare a migliorare l’efficienza delle navi tramite aggiornamenti tecnologici e sistemi avanzati di monitoraggio digitale. I produttori di combustibili devono accelerare lo sviluppo dei progetti e collaborare strettamente con porti multi-settoriali per consentire

la distribuzione su larga scala dei combustibili alternativi.

I porti sono fondamentali per aggregare la domanda, coordinare le infrastrutture e favorire la collaborazione tra settori industriali diversi. Allo stesso tempo, governi e autorità regolatorie devono armonizzare incentivi e sistemi di certificazione, garantendo stabilità politica a lungo termine per attrarre investimenti e dare chiarezza al mercato.

Infine, gli investitori sono invitati a sviluppare strumenti di finanza mista e fondi aggregati che coinvolgano più settori, contribuendo a ridurre i rischi dei progetti iniziali e a mobilitare capitali su larga scala.● Il rapporto completo “Deadlock: What’s Stopping Shipping’s Carbon-Neutral Fuel Transition?” è disponibile sul sito di Accelleron per il download e si rivolge a chiunque sia interessato a conoscere le sfide e le opportunità della transizione energetica globale.

Una partnership fondata sulla formazione In un mondo industriale in profonda trasformazione, la formazione continua e la specializzazione sono due pilastri per mantenere competitività e conoscenza. Tema caro anche ad Accelleron, solida realtà nel cuore del porto di Genova, che considera la formazione un vettore di crescita e di sviluppo sistemico. Anche per questo motivo nel 2021 è stata varata la partnership con la Fondazione Accademia Italiana della Marina Mercantile, che nel corso di questi quattro anni ha saputo dare - tramite la TurboAcademy di Accelleron - preziose specializzazioni agli allievi dell’Accademia, che hanno infatti potuto accedere a un percorso formativo specializzato sui sistemi di sovralimentazione con turbocompressori a gas di scarico installati sui motori endotermici, un ambito tecnico di grande rilevanza per le pro-

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fessioni marittime del futuro. Il valore aggiunto dell’Academy risiede nella possibilità di integrare teoria e pratica grazie alla presenza dell’officina, che consente agli allievi di sperimentare direttamente quanto appreso in aula, osservando e intervenendo sui componenti reali dei sistemi di sovralimentazione. Questa sinergia tra formazione accademica ed esperienza operativa permette di costruire un percorso didattico solido, capace di preparare i futuri professionisti alle sfide tecniche ed operative del mondo marittimo. Ma non solo, perché la connessione tra le due realtà è stata anche lo spunto per una tre giorni di formazione interna all’azienda, grazie alle specificità didattiche sviluppate dal nuovo dipartimento dell’Accademia, ovvero dalle sue precise competenze in ambito soft-skills. Grazie alla particolare attenzione al mondo marittimo e industriale, infatti, i formatori dell’Accademia della Marina Mercantile hanno sviluppato un corso interno all’azienda per migliorare la comunicazione efficace e diverse attività di negoziazione strategica. Corsi adatti anche ad altre realtà del settore, perché negli ultimi anni le competenze trasversali - le cosiddette soft skills - hanno assunto un ruolo sempre più centrale, affiancandosi alle competenze tecniche e specialistiche tradizionalmente richieste dal mercato del lavoro. Questa evoluzione riflette i profondi cambiamenti che hanno trasformato i processi produttivi: le funzioni aziendali sono sempre più integrate, le interazioni con interlocutori diversi e eterogenei si moltiplicano, e l’innovazione tecnologica impone modalità di lavoro fondate su team multidisciplinari capaci di dialogare e operare in modo coordinato. Attività e necessità che l’integrazione tra Accelleron e l’Accademia Italiana della Marina Mercantile hanno saputo raggiungere con sincronia e visione d’insieme, anche grazie a un lungo percorso di formazione specializzata.●

SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

di Roberto Manuelli

Personalità,

comportamenti,

motivazioni L’assessment per crescere come individui e come organizzazioni.

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Valutare le persone è uno dei compiti più delicati e strategici per chi lavora nel settore delle risorse umane, nessuna organizzazione può pianificare la propria crescita senza avere chiara la presenza di talenti, energie e potenzialità interni.

Negli ultimi anni il mondo del lavoro è cambiato notevolmente tra digitalizzazione, smart working e nuove forme di leadership rendendo la valutazione ancora più complessa. Il modo in cui osserviamo, collaboriamo e prendiamo decisioni è cambiato, ma resta fondamentale basare la gestione delle risorse su basi oggettive e condivise.

Ignazio Messina & C. ha investito in strumenti di sviluppo per conoscere meglio le persone, valorizzare le loro potenzialità e accompagnarle nella crescita in modo coerente con i valori aziendali. In questo ambito rientra anche l’uso del Test Hogan per il quale siamo certificati da oltre dieci anni, sia per la somministrazione che per la restituzione dei risultati, con una gestione autonoma e costante dello strumento all’interno della funzione HR. L’assessment della personalità citato, riconosciuto a livello internazionale, si basa su tre aree di analisi: la personalità che emerge in condizioni lavorative ideali, i comportamenti sotto pressione e le motivazioni profonde che influenzano le scelte professionali.

Combinando queste tre dimensioni di analisi, il modello offre una visione a 360º della persona, non si limita cioè a dire cosa sa fare una persona, ma analizza anche come agisce e perché. Fornisce indicazioni predittive, ad esempio su come si comporterà nelle relazioni, come affronterà le difficoltà, come cercherà di affermarsi, se seguirà regole e procedure, se sarà aperta al cambiamento o più conservatrice, se preferirà l’apprendimento pratico o la formazione teorica e altro ancora.

Ci riferiamo a uno strumento di tipo psicometrico, un test che utilizza un metodo standardizzato e scientificamente validato per misurare in modo quantitativo aspetti della mente, come abilità cognitive, tratti di personalità, attitudini e comportamenti. A differenza dei classici assessment di gruppo o di quelli che si basano sull’osservazione, questo strumento misura in modo oggettivo tratti, valori e comportamenti, offrendo una fotografia molto realistica di una persona. In tal modo ci aiuta a superare percezioni soggettive e a ridurre l’influenza dei bias cognitivi che spesso influenzano le nostre decisioni.

Come ad esempio l’“effetto alone” che porta a considerare “bravo” qualcuno che fa una buona prima impressione o al “bias di conferma” che ci porta a cercare solo elementi che confermano le nostre convinzioni o l’“effetto Pigmalione” dove le aspettative del capo, positive o negative, possono influenzare le performance di un collaboratore.

Come sappiamo questi meccanismi, per lo più inconsci, possono influenzare le decisioni che riguardano le persone. L’utilizzo dell’assessment è un valido supporto in tutti i processi di selezione, restituendo informazioni che aiutano a verificare l’allinea-

mento di un candidato, oltre che alla posizione specifica, anche alla cultura aziendale. Con pari efficacia viene utilizzato nello sviluppo e nella crescita personale o per identificare quale collaboratore è più indicato per guidare nuove sfide o team aziendali.

In fase di selezione i risultati dell’assessment sono un valore da condividere anche con la funzione aziendale che ha fornito la job description per la posizione ricercata. I molteplici spunti che se ne ricavano aiutano a comprendere meglio l’allineamento tra il profilo ricercato e le caratteristiche individuali dei candidati, semplificando il dialogo tra la funzione richiedente e quella HR. Un momento importante è la restituzione dei risultati del Test, il momento cioè in cui l’assessor incontra il partecipante per discutere i risultati, una fase delicata poiché tocca aspetti molto personali, la motivazione, lo stile di leadership, le interazioni con gli altri. L’orientamento della restituzione deve sempre essere orientato alla consapevolezza e mai al giudizio, questo per l’azienda si traduce in scelte più consapevoli, team più coesi, mentre per il singolo rappresenta l’occasione di trasformare un feedback in un progetto di sviluppo concreto.

L’esperienza dell’assessment è stata accolta con grande interesse e apprezzamento dai collaboratori coinvolti nella nostra azienda i quali hanno sottolineato come il percorso, che include il test e il colloquio di restituzione, sia stato utile, professionale e stimolante. La maggior parte dei partecipanti ha dichiarato di riconoscersi nei profili emersi e di aver tratto beneficio in termini di consapevolezza. Molti hanno messo in evidenza l’importanza del colloquio personalizzato come un momento di confronto costruttivo, in cui i dati diventano strumenti di crescita personale e professionale.

I feedback raccolti confermano la validità dello strumento, che risulta essere utile sia per l’azienda, che ne trae spunti per lo sviluppo organizzativo, sia per le persone che lo vedono come un’opportunità di autoanalisi e valorizzazione del proprio potenziale.

Un ulteriore beneficio dell’assessment è la possibilità di utilizzare la restituzione dei risultati come punto di partenza per un percorso individuale di sviluppo, trasformando così le informazioni raccolte in piani di crescita personalizzati. Affinché questo percorso produca risultati concreti è indispensabile però che il partecipante scelga di mettersi davvero in gioco e accetti di “crescere”, rompendo gli automatismi e traducendo la consapevolezza in comportamenti nuovi. Sappiamo infatti che non tutti sono disposti a riconoscere che devono ancora crescere.

Sebbene non sia ancora diffuso in modo capillare, riteniamo che l’assessment della personalità sia destinato a una rapida crescita in quanto valido strumento a supporto delle aziende, oltre a essere un’opportunità di sviluppo personale, contribuendo alla crescita di individui e organizzazioni.● Roberto Manuelli è Responsabile Formazione in Ignazio Messina & C.

Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025 35

SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

di Christian Gianni

Le aziende italiane e la nuova mappa dei rischi I risultati della Global Risk Management Survey 2025.

36 Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025

In un contesto economico globale caratterizzato da volatilità e trasformazioni profonde, le aziende si trovano ad affrontare sfide senza precedenti. La decima edizione della Global Risk Management Survey di Aon, condotta tra aprile e giugno 2025 intervistando quasi 3.000 decision maker e risk manager in 63 Paesi, offre una panoramica su come le organizzazioni stanno ridefinendo le proprie strategie di gestione del rischio per trasformare l’incertezza in un vantaggio competitivo.

Gli attacchi cyber e i data breach continuano a dominare la classifica delle sfide maggiormente percepite dalle imprese, confermandosi al primo posto sia a livello globale che europeo. Questa persistente preoccupazione non è casuale: la cybersecurity rappresenta ormai una priorità strategica essenziale, poiché una singola violazione può interrompere le attività, compromettere la fiducia dei clienti e generare conseguenze finanziarie e reputazionali. I dati della survey evidenziano come il 13,9% delle organizzazioni globali abbia subito perdite concrete legate a cyber attacchi negli ultimi dodici mesi, mentre ben l’89,2% delle aziende dichiara di aver implementato piani formali di mitigazione per questo specifico rischio.

Per l’Italia, il quadro presenta alcune peculiarità significative.

Il rischio legato all’incremento del prezzo delle materie prime e alla scarsità dei materiali si posiziona al primo posto scavalcando il rischio cyber - tra le preoccupazioni attuali delle aziende italiane, con il 63% degli intervistati che ha dichiarato di aver subito perdite in tale ambito. Questo dato riflette la forte dipendenza del tessuto produttivo nazionale dalle catene di approvvigionamento globali e la particolare vulnerabilità del settore manifatturiero alle fluttuazioni dei mercati delle commodity.

La volatilità geopolitica emerge come uno dei rischi in più rapida ascesa, entrando per la prima volta nella top ten delle minacce per le aziende ed evidenziando un’accresciuta sensibilità verso l’instabilità internazionale e il suo impatto sulla performance economica, sulla resilienza delle supply chain e sulle dinamiche commerciali e regolamentarie.

Un ulteriore elemento di interesse riguarda l’ingresso dei cambiamenti climatici nei cinque rischi futuri principali per il nostro Paese, segnalando una crescente consapevolezza dell’importanza delle tematiche ambientali e delle implicazioni a lungo termine della transizione ecologica.

Si riscontrano, inoltre, segnali positivi sul fronte della governance del rischio: il 46,2% delle aziende italiane dichiara di avere un Comitato del Consiglio di Amministrazione dedicato alla gestione dei rischi, mentre il 73,1% dispone di un dipartimento formale di risk management.

L’approccio italiano alla gestione del rischio si caratterizza per un forte affidamento sulla consulenza specialistica: il 92,2% delle organizzazioni italiane valuta i propri programmi assicurativi attraverso la consulenza del broker assicurativo, percentuale significativamente superiore alla media globale del 81,1%. Questo dato sottolinea l’importanza di affidarsi a partner esperti e specializzati nella gestione di scenari rischiosi sempre più complessi.

Altro fattore che sta plasmando lo scenario è la pervasività di tecnologie come l’intelligenza artificiale e i Big Data che hanno già trasformato il modo di fare business. Oggi, la sfida non è più se adottare queste tecnologie, ma come gestirne i rischi associati in modo efficace, compresi quelli connessi alla sfera del capitale umano.

In sintesi, come sottolineano i risultati del report, le organizzazioni devono ripensare il concetto stesso di rischio e resilienza per sbloccare vantaggi competitivi in un panorama globale in rapida evoluzione.

La decima edizione della Global Risk Management Survey conferma una verità fondamentale: in un mondo caratterizzato da disruption continua, la capacità di anticipare, comprendere e gestire i rischi non è solo una questione di protezione, ma la base per costruire un vantaggio competitivo sostenibile. È possibile consultare i risultati della Global Risk Management Survey visitando il sito Aon.com/grms.● Christian Gianni è Area Manager & Board Member di Aon

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SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

Soluzioni per

bambini L’asilo nido del Club calcistico Virtus Entella, a Chiavari, e il servizio di educatore domiciliare in azienda offerta da Santagata 1907: due iniziative virtuose a supporto della genitorialità.

I Diavoletti Un anno fa a Chiavari è nato un progetto capace di rispondere in modo concreto a un’esigenza sempre più sentita dalle famiglie: la carenza di servizi dedicati alla prima infanzia.

Si chiama “I Diavoletti” ed è il primo asilo nido italiano sostenuto da un club calcistico, la Virtus Entella. Un’iniziativa che unisce formazione, sport e welfare territoriale, configurandosi come un modello innovativo e replicabile.

L’idea nasce dalla volontà della società calcistica di restituire valore al territorio, investendo in un servizio utile e accessibile. In un’area come il Tigullio, dove trovare posto al nido è molto complesso, l’apertura di una nuova struttura ha rappresentato un aiuto concreto per moltissime famiglie.

Solo un numero ristretto di posti, infatti, è riservato a calciatori e dipendenti del club.

La gestione dell’asilo è affidata ad Hakuna Matata, realtà attiva da anni nel settore educativo. La struttura accoglie bambini dai 3 ai 36 mesi e, tra gli elementi distintivi, spicca la sala di psicomotricità, uno spazio attrezzato in cui i piccoli possono sviluppare equilibrio, coordinazione e prime forme di socialità attraverso percorsi guidati.

L’iniziativa è sostenuta anche dalla FIGC, che punta a rendere “I Diavoletti” un progetto pilota da proporre ad altre società di Serie A e B, tanto che all’inaugurazione era presente anche il presidente Gabriele Gravina.

Grande attenzione è riservata anche all’alimentazione: il menù è elaborato con il supporto di un nutrizionista.

Non manca un tocco identitario: ogni bimbo riceve un piccolo kit biancoceleste, simbolo del legame tra il nido e la società sportiva.

Il progetto dimostra come un club di calcio possa svolgere un ruolo attivo anche sul piano sociale. La Virtus Entella ha scelto di investire non solo sul piano sportivo, ma sull’intera comunità. È un esempio concreto di responsabilità sociale d’impresa, un club che interpreta il proprio ruolo in modo moderno, contribuendo allo sviluppo di servizi richiesti con forza dal territorio.

La risposta delle famiglie è stata immediata e positiva. Oggi la struttura accoglie circa 50 bambini, con la possibilità di arrivare a 70 nei prossimi anni.

“I Diavoletti” non è semplicemente un asilo nido: è un progetto che dimostra come la collaborazione tra privato e mondo del calcio possa generare servizi utili, innovativi e di qualità, riducendo le difficoltà organizzative delle famiglie e rafforzando il senso di comunità.●

Le Piccole Olive Il servizio di educatore domiciliare in azienda “Le Piccole Olive” nasce nel settembre del 2024 dalla volontà di Santagata 1907 di favorire la conciliazione tra vita lavorativa e familiare. «La nostra è una realtà molto piccola - spiega l’AD Cristina Santagata -, ma c’erano le condizioni per far partire il progetto: da una parte, alcuni dipendenti con bimbi nella fascia di età da asilo nido, dall’altra, la disponibilità di spazi all’interno dei nostri uffici. Abbiamo così cominciato a lavorare con la Cooperativa Sociale A.S.C.U.R. arl onlus, tra le più attive in Val Polcevera nel settore dei servizi educativi e socio-assistenziali, per definire i contorni di un progetto compatibile con la normativa vigente e sostenibile per la Società».

La strada che ha portato all’inaugurazione degli spazi riservati a Le Piccole Olive, il 22 novembre scorso, e all’apertura delle iscrizioni è stata piuttosto tortuosa, con verifiche continue e puntuali con gli uffici competenti del Comune di Genova e della ASL. «Il supporto di A.S.C.U.R. è stato fondamentale nel disbrigo delle pratiche burocratiche così come nella gestione di aspetti più tecnici del progetto, nella realizzazione del quale è stato coinvolto anche il personale dell’azienda».

Le Piccole Olive è stato qualificato “servizio di educatore domiciliare in azienda” ai sensi della normativa regionale vigente. «La nostra struttura - precisa Santagata - può ospitare fino a 8 bambini di età compresa tra i tre e i trentasei mesi, con due educatrici responsabili e una coordinatrice pedagogica, ma a regime potremo arrivare a 10 bambini.

Il servizio è rivolto in prima battuta ai dipendenti di Santagata 1907, ma con la prospettiva di offrire l’utilizzo della nostra struttura anche ad altre aziende della zona o a privati cittadini, creando così una connessione con il territorio. Per i dipendenti di Santagata 107, il servizio rientra nel protocollo di welfare aziendale, mentre per gli utenti esterni sarà a pagamento, con tariffe in linea con il mercato».

Un’iniziativa virtuosa che testimonia la capacità dell’azienda di interpretare i tempi che cambiano, rispondendo a esigenze concrete che oggi sono diventate priorità.●

Cristina Santagata

SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

Liguria

in Borsa Opportunità e incentivi per le PMI verso Euronext Growth Milan.

Il mercato dedicato alle piccole e medie imprese cresce in numeri e in opportunità, anche grazie a strumenti regionali innovativi.

PMI liguri e quotazione: l’opportunità di Euronext Growth Milan Il tessuto economico ligure si caratterizza per la significativa presenza di piccole e medie imprese, che rappresentano oltre il 90% delle aziende presenti sul territorio. Circa tremila realtà imprenditoriali altamente specializzate e, in taluni casi, di nicchia (Fonte: Cerved, Rapporto regionale PMI 2023), che svolgono un ruolo cruciale nel sostenere lo sviluppo dell’economia della Regione e che necessitano di strumenti validi per accelerare la propria crescita e l’innovazione. In un contesto nazionale in cui le PMI sono alla ricerca di strumenti di finanziamento alternativi al credito bancario tradizionale, la quotazione su Euronext Growth Milan (EGM), il mercato di Borsa Italiana dedicato alle PMI, rappresenta un’opzione strategica per accedere al mercato dei capitali e per dare un impulso significativo alla gestione dell’impresa. In particolare, l’EGM offre un percorso di quo-

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tazione semplificato e caratterizzato da requisiti di accesso più snelli e da un processo di collocamento più veloce rispetto al mercato principale, inoltre è destinato prioritariamente a investitori istituzionali e prevede adempimenti amministrativi proporzionati alla dimensione e alla struttura organizzativa delle PMI. Nato per supportare le imprese in percorsi di crescita senza imporre dinamiche di diluizione del controllo (meccanismo volto a preservare l’autonomia imprenditoriale), EGM rappresenta un’opzione evoluta ed efficace per rafforzare la struttura patrimoniale aziendale.

Oltre alla raccolta di capitale per finanziare i progetti di sviluppo, ci sono anche altri importanti vantaggi derivanti dall’intraprendere un processo di questo tipo, non sempre considerati dagli imprenditori, tra cui: il miglioramento dello standing, della visibilità e della brand awareness, soprattutto nel caso di società operanti con clienti B2B; il conferimento di flessibilità e liquidità all’azionariato, consentendo ad alcuni soci di liquidare, in tutto o in parte, la propria partecipazione; favorire la motivazione e il coinvolgimento del management nei risultati aziendali e supportare il rafforzamento della struttura manageriale attraendo i migliori

talenti, con dei piani di stock option con sottostante quotato; la possibilità di utilizzare azioni come moneta, per future alleanze e acquisizioni strategiche; garantire un valore oggettivo e trasparente alla società, in particolare la valorizzazione di mercato segue l’effettivo perseguimento degli obiettivi.

L’EGM, negli ultimi sei anni, si è evoluto e ha catalizzato la maggioranza delle operazioni di IPO in Italia, anche grazie all’intervento governativo legato al Bonus IPO ovvero il Credito di Imposta pari al 50% dei costi di consulenza sostenuti per la quotazione delle PMI (Legge 27 dicembre 2017, n.

205, art. 1, commi 89-92) - fino a un massimo di 500 mila euro, misura più volte rifinanziata negli anni e prorogata dalla Legge di Bilancio 2025 fino al 31 dicembre 2027.

Quota Liguria: lo strumento per far crescere le PMI della regione In questo contesto si colloca Quota Liguria, l’innovativo strumento sperimentale promosso dalla Regione Liguria a sostegno della quotazione delle PMI, prevedendo una dotazione complessiva di 4 milioni di euro volto a dimezzare i costi di quotazione e post quotazione. Il Bando, pubblicato il 21 luglio 2025 nell’ambito del Programma Regionale FESR 2021-2027, prevede per le imprese liguri contributi a fondo perduto pari al 50% delle spese ammissibili fino a un massimo di 600 mila euro per impresa, per progetti finalizzati alla quotazione su Euronext Growth Milan, e l’erogazione di un massimo di 300 mila euro per i costi per servizi di consulenza legati alla quotazione nei tre anni successivi.

Possono accedere alla misura le PMI con sede legale e operativa in Liguria che completino un’operazione di quota-

L’ESPERIENZA DI

KT&Partners, IPO Partner di Borsa Italiana, dal 2010 affianca le imprese come Advisor Finanziario in ogni fase di apertura al mercato dei capitali. Grazie al solido background in finanza aziendale e mercati dei capitali, si pone al fianco degli imprenditori dalle prime valutazioni di fattibilità, mettendo al centro dei loro progetti di sviluppo il proprio know-how e l’esperienza pluriennale, con un supporto operativo nel progetto di quotazione su Euronext Growth Milan e nella raccolta di risorse per finanziare lo sviluppo. L’obiettivo di KT&Partners è trasformare la strategia di crescita in un percorso concreto: dalla costruzione dell’equity story al dialogo con gli investitori, fino alla due diligence e alla strutturazione di operazioni straordinarie. Negli anni, ha accompagnato numerose PMI italiane nel processo di IPO, in particolare su EGM, o in operazioni di crescita per linee esterne, con approccio analitico e strutturato. KT&Partners svolge anche attività post-IPO: è il primo Equity Research Provider indipendente, con oltre 30 società quotate seguite, e si occupa di Investor Relations, garantendo una visione attenta e oggettiva sul mercato delle quotazioni.n

zione su Euronext Growth Milan di cui almeno il 50% sia in aumento di capitale e con un processo da concludere entro 6 mesi, estendibili di ulteriori 6 mesi, dalla presentazione della domanda. Quota Liguria può cumularsi con il Bonus IPO, fermo restando che la percentuale di contributo derivante dalle due misure non può superare il 50% delle spese ammissibili.

Le imprese della Liguria quotate su EGM, il mercato azionario delle PMI di Borsa Italiana Euronext Group Al 30 settembre 2025 risultano quotate 209 società su EGM, di cui 205 (98%) con sede legale e/o quartier generale in Italia e 4 all’estero, in Europa. Le società italiane sono prevalentemente localizzate in Lombardia (43%), Lazio (10%) ed Emilia-Romagna (8%). La Liguria conta 6 società quotate su EGM, pari al 3% del totale, rientrando nelle prime dieci regioni per rappresentatività su EGM, ma con un potenziale per incrementare notevolmente il numero di società del listino. Secondo le analisi dell’Ufficio Analisi di KT&Partners, le aziende liguri quotate su EGM registrano una capitalizzazione di mercato totale pari a 326 milioni di euro, a fronte di capitali raccolti in media pari a 8,4 milioni di euro per società, superiori rispetto ai 7,8 milioni di euro di media delle 209 società del listino. Le società liguri su EGM riportano un fatturato medio al 31/12/2024 pari a 41 milioni di euro.

Il ruolo dell’Advisor Finanziario per la quotazione su EGM La quotazione in Borsa rappresenta un passaggio importante e delicato nella vita societaria. Richiede competenze tecniche, conoscenza dei mercati e capacità di affrontare valutazioni strategiche di lungo periodo. La presenza di un Advisor Finanziario indipendente, a fianco dell’impresa per tutelarne gli interessi, si rivela un fattore determinante per comprendere le alternative di accesso al mercato, affrontare le questioni tecniche, regolamentari e predisporre una struttura societaria e finanziaria funzionale all’operazione. L’Advisor Finanziario garantisce un giudizio critico e trasparente, utile a supportare decisioni consapevoli in un contesto mutevole e incerto. La quotazione è spesso accompagnata da previsioni e analisi della società e delle investment bank coinvolte: è importante disporre di un interlocutore capace di valutarne la solidità e i limiti e, se necessario, rivederne le assumption. L’Advisor Finanziario contribuisce a bilanciare tali dinamiche, offrendo all’azienda un controllo più rigoroso su valutazioni, tempistiche e condizioni di mercato. Per molte PMI, inoltre, rappresenta un supporto essenziale nell’affrontare il passaggio verso nuove responsabilità: governance, obblighi informativi, comunicazione con gli investitori, procedure con le autorità di vigilanza. Si tratta di un alleato strategico, in grado di coniugare visione critica, indipendenza di giudizio e vicinanza agli interessi dell’impresa per operazioni strategiche e di crescita a lungo termine, a beneficio di tutti gli azionisti.

Un servizio attuale per le imprese liguri, soprattutto per le PMI che vogliono crescere valorizzando il proprio capitale.

Il mercato, sostenuto da istituzioni e nuovi strumenti, offre la possibilità di considerare la quotazione come valida opzione strategica per rafforzare la competitività regionale.● Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025 43

SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

di Olivier La Rocca

In gara, nel mondo Partecipare a tender nazionali e internazionali con le informazioni che servono. Quelle giuste.

TENDERBLADE è un servizio di consulenza strategica, sviluppato da Europartners Srl (www.europartnersnetwork.eu) su piattaforma proprietaria, che nasce dall’esigenza evidenziata da soggetti privati e pubblici di aprirsi a nuovi mercati, attraverso anche la partecipazione a procedure di gara nazionali e internazionali. TENDERBLADE seleziona solo le opportunità più rispondenti al profilo del cliente ed elabora, a richiesta, un’approfondita analisi strategica su tender simili che sono stati già pubblicati, segnala se il tender è stato riproposto, e individua i principali competitors del cliente, compresi quelli che più frequentemente partecipano o vincono tender analoghi lanciati da una specifica Amministrazione. A tre giorni dalla richiesta di analisi, il cliente riceverà un report sintetico con tutte le informazioni utili per decidere se partecipare o meno a quel tender.

Il servizio prevede anche la possibilità per il cliente di ricevere un supporto consulenziale per la presentazione dell’offerta tecnica; tale supporto comprende anche l’indicazione da parte di Europarnters di partner settoriali in grado di aggiudicarsi la gara, così come di esperti (la presenza dei quali è spesso richiesta esplicitamente dal bando) al fine di rafforzare la proposta.

La visione delle selezioni ha una durata media di 10 minuti, al termine della quale il cliente sarà in possesso delle informazioni necessarie per decidere consapevolmente se partecipare o meno alla gara. A tale scopo, Europartners fornisce inoltre sia l’accesso all’intero archivio presente sul portale sia un’App dedicata per consentire alle diverse figure aziendali di ricercare e gestire i dati a seconda delle proprie specifiche esigenze. Abbiamo, infatti, rilevato che, per esempio, il top management spesso seleziona, tra le opportunità presentate, quella più utile per attivare o implementare rapporti con possibili partners, mentre i responsabili tecnici operativi si focalizzano soprattutto sulla fattibilità della gara, condividendo le proprie considerazioni con colleghi o fornitori.

Ulteriore elemento da tenere in conto è che nel mese di settembre 2025 il Parlamento europeo ha adottato la risoluzione n. 2024/2103 (INI) nella quale sono evidenziate le priorità - e le aspettative - per la prossima revisione delle direttive UE sugli appalti pubblici. La risoluzione individua diversi obiettivi strategici, principali sfide, aree di miglioramento e diverse raccomandazioni, oltre a sottolineare l’importanza di un’accelerazione nella digitalizzazione degli appalti pubblici.

Il servizio TENDERBLADE risponde a molte delle necessità evidenziate nella risoluzione, tra le quali: aumentare la partecipazione delle PMI ai tender; dare maggiore visibilità ai tender per evitare che vadano deserti; fornire il supporto di partner ed esperti tecnici per superare le “barriere di entrata” ai bandi; proporre la partecipazione a tender promossi da altri Stati; favorire la comprensione del DGUE (Documento di Gara Unico Europeo, ndr) grazie a una sintesi puntuale delle informazioni in esso contenute.● Olivier La Rocca è Presidente del Consiglio di Amministrazione di Europartners Srl

Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025 45

SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

Sanità di prossimità Parte dal Levante ligure il modello di PureLabs e VivoLab per una sanità moderna, integrata e vicina al paziente.

Nino Lo Iacono

46 Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025

Nel settore della sanità territoriale si sta consolidando un modello organizzativo che unisce investimenti industriali, innovazione tecnologica e radicamento locale. È l’approccio adottato da PureLabs Spa, Gruppo attivo nella diagnostica clinica avanzata, che si propone di rendere i servizi sanitari ambulatoriali accessibili in modo capillare e sostenibile attraverso reti integrate di prossimità. L’obiettivo è duplice: uniformare gli standard qualitativi sul territorio e garantire continuità assistenziale attraverso soluzioni tecnologiche e organizzative di nuova generazione.

Fondata nel 2022 da Nino Lo Iacono con il supporto di primari gruppi imprenditoriali e family office, PureLabs opera con una strategia che vede al centro la digitalizzazione dei percorsi diagnostici, la valorizzazione delle competenze locali e l’impiego di modelli operativi orientati alla prevenzione e alla longevità. Il gruppo si muove secondo alcuni principi chiave: maggiore equità nell’accesso ai servizi sanitari, sviluppo di reti territoriali efficienti, attenzione alla sostenibilità ambientale e utilizzo di tecnologie avanzate per migliorare la qualità della vita dei pazienti.

In questo quadro si inserisce l’acquisizione, nel giugno 2023, di undici storiche strutture del Levante ligure confluite nel network VivoLab, realtà attive da oltre trent’anni nel tessuto sanitario di Chiavari, Lavagna, Sestri Levante, Rapallo, Recco, Genova e Cicagna. L’integrazione ha permesso di tutelare il patrimonio di competenze radicato sul territorio e, al contempo, di costruire un polo organizzato secondo logiche industriali, in grado di generare efficienza e valore condiviso. I risultati sono significativi: 83.000 utenti unici, oltre 1,67 milioni di prestazioni e un posizionamento consolidato che conferma VivoLab come principale operatore della diagnostica nel Levante ligure.

«Con VivoLab abbiamo voluto valorizzare l’eredità sanitaria del territorio, preservando il radicamento locale dei centri

e costruendo una partnership solida con i professionisti che li hanno fondati e che continuano a rappresentarne il motore operativo. Il nostro impegno è quello di affiancare queste realtà con l’esperienza industriale di PureLabs, portando know-how organizzativo, tecnologie innovative e una visione basata sulla capillarità e sulla vicinanza al paziente afferma Lo Iacono -. Crediamo che la sanità del futuro debba nascere da qui: dalla forza delle competenze locali, unite a un modello capace di garantire servizi più tempestivi, accessibili e personalizzati».

Il cuore operativo del network è la sede di Chiavari, un hub di 700 metri quadrati dotato di tecnologie di ultima generazione - frutto di 4 milioni di euro di investimenti - che coordina i centri del comprensorio. Questo assetto consente di rispondere in modo più efficace alle esigenze sanitarie del territorio, caratterizzato da un progressivo invecchiamento della popolazione, da una domanda crescente di screening e medicina preventiva e dalla necessità di supportare i flussi turistici della riviera.

L’evoluzione del network passa anche dall’introduzione di servizi ad alto contenuto innovativo, come la radiologia digitale a domicilio, che permette di effettuare esami direttamente presso l’abitazione dei pazienti, con trasmissione immediata delle immagini e refertazione in tempo reale.

Rimane inoltre attivo il servizio di medicina del lavoro, che coinvolge circa 1.900 aziende liguri e del basso Piemonte con attività di prevenzione e consulenza specialistica. Completano il quadro le collaborazioni con il mondo sportivo locale, tra cui Virtus Entella e Pro Recco Waterpolo, per servizi diagnostici dedicati agli atleti. Dopo aver consolidato la propria presenza nel Tigullio, PureLabs guarda ora a un piano di ampliamento nel resto della Liguria, con l’obiettivo di estendere ulteriormente un modello di sanità moderna, sostenibile e vicina alle persone.●

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SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

di Leonardo Parigi

Rotta

di Nord-Est A Genova la presentazione di un dossier dedicato ai potenziali impatti sui porti italiani.

Nel settembre 2013 la nave Yong Sheng della compagnia statale cinese Cosco fece ingresso nel porto di Rotterdam dopo essere partita da Shanghai alcune settimane prima. Pur non trattandosi del primo cargo a riuscire nell’impresa, la Yong Sheng dimostrò con chiarezza le potenzialità della Northern Sea Route (NSR), la rotta marittima di Nord-Est che corre lungo le coste russe attraverso il Mar Glaciale Artico. La nave impiegò 35 giorni invece dei circa 50 necessari lungo le rotte tradizionali, registrando così un risparmio di tempo e costi significativo. Sono passati dodici anni da quel primo risultato, e molto è cambiato nel mondo. Ma gli investimenti russi e cinesi sullo sviluppo della Rotta di Nord-Est non si sono fermati, anche se hanno subito rallentamenti dovuti alle sanzioni internazionali contro il Cremlino. L’estate del 2025 ne è stato un esempio plastico.

Per la prima volta, un operatore cinese ha lanciato una nuova linea di collegamento dal Far East alle coste europee grazie alla nave Istanbul Bridge, che ha impiegato solo 20 giorni per collegare Qingdao e Felixstowe, in Gran Bretagna. Il Cremlino ha iniziato a investire nella NSR molti anni fa. Circa il 14% del Pil russo proviene infatti dalle attività estrattive di combustibili fossili nell’Artico. Una quota tale da spingere Vladimir Putin, già all’inizio del secolo, a promuovere il potenziamento dei porti e delle infrastrutture logistiche della regione. La strategia di sviluppo della rotta di Nord-Est al 2035, presentata nel 2022, prevedeva oltre 29 miliardi di 48 Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025

dollari di investimenti in dieci anni, destinati soprattutto alla creazione di una rete infrastrutturale affidabile, alla navigabilità annuale e alla costruzione di nuovi terminal. Tra questi, numerosi terminal di gas naturale liquefatto e il potenziamento di diversi porti già esistenti, ma anche nuovi centri di stoccaggio, reti stradali, facilities portuali e gru. Una vera e propria “collana di perle”, per usare un’espressione cara alla Cina, che integra porti, reti energetiche, sistemi di sicurezza e strutture logistiche necessarie a sostenere la crescita economica dell’Artico. Nel frattempo, il cambiamento climatico sta accelerando la trasformazione della regione. La riduzione dei ghiacci modifica gli ecosistemi marini e terrestri, riduce l’albedo e contribuisce al riscaldamento globale.

In ambito NSR, tuttavia, ciò significa un maggior tratto di mare libero dalle nevi. I piani russi e cinesi dell’ultimo decennio si basavano sull’ipotesi di un Artico quasi privo di ghiacci in estate entro il 2040, ma la rapidità del processo sta già offrendo nuove opportunità strategiche a Mosca e Pechino.

Se i rapporti con la Russia dovessero in futuro normalizzarsi, non sarebbe sorprendente vedere un numero sempre maggiore di navi fare rotta verso il Mare di Barents. Questo mare, come scrivevano Isabelle Autissier ed Erik Orsenna nel 2014 in “Passer par le Nord. La nouvelle route maritime”, è un ecosistema unico, dove la mescolanza tra acque calde e salate da Ovest e acque fredde e dolci da Nord crea condizioni favorevoli alla proliferazione del plancton e della fauna marina. La parte occidentale, riparata dalla Novaja Zemlja, funge da bacino di transizione con temperature relativamente miti, mentre l’area orientale resta esposta alle acque polari. Qui si trova la penisola di Yamal, destinata a diventare celebre quanto l’Arabia Saudita per le sue risorse

energetiche, e poco oltre le vaste foci dell’Ob e dell’Enisej, porte d’accesso ai grandi complessi minerari. La Northern Sea Route si configura come uno dei principali fattori di trasformazione dell’Artico, insieme alla crescita del turismo, allo sviluppo economico dei Paesi rivieraschi e ad altri ambiti di intervento. L’evoluzione di questi elementi resta però strettamente legata ai trend ambientali e climatici, destinati a modellare una regione che rimane in gran parte chiusa, poco popolata e spesso difficilmente accessibile. Nel paper del 2022 “Simulation for evaluating New Polar Routes and their Strategic Impact on Port Networks and Shipping Lines”, curato da un gruppo di esperti e firmato in prima battuta dal Prof. Agostino Bruzzone, si evidenziava come la Northern Sea Route presenti, nel breve periodo, una convenienza ancora incerta. Pur potendo garantire risparmi di carburante alle navi ice-class 1, l’elevata variabilità delle condizioni e la presenza di ghiaccio limitano infatti la possibilità di rendere la rotta realmente competitiva su scala globale.

La stessa ricerca, condotta attraverso un modello comparativo tra la rotta tradizionale via Suez e quella di Nord-Est sottolineava inoltre come la limitata apertura stagionale, gli alti costi assicurativi e la scarsità di hub di transshipment lungo il percorso mantengano la NSR una possibile opzione di crescita del traffico, ma difficilmente un’alternativa in grado di sostituire le rotte Far East-West attualmente in uso.

La riduzione del traffico nel Canale di Suez a causa della guerra a Gaza ha causato una perdita diretta di traffico in diversi porti mediterranei, compresi quelli italiani. Un fenomeno che, combinato con le incertezze economiche, ambientali e geopolitiche, rischia di mettere in discussione la solidità degli investimenti nazionali nel settore portuale e terminalistico. Questo però non significa che la Rotta Marittima di Nord-Est diventerà immediatamente un sostitutivo della rotta classica a Sud, e così i porti italiani non devono certo guardare a questa ipotesi con terrore. Ma neanche con scetticismo. Secondo il Servizio Federale delle Dogane russo, nel 2022 gli scambi commerciali tra Russia e Cina hanno raggiunto i 190 miliardi di dollari, un record favorito in larga parte dalle sanzioni occidentali successive all’invasione dell’Ucraina. Nel 2023 il volume degli scambi è ulteriormente cresciuto del 26,3%, arrivando a 240,11 miliardi.

In questo quadro, lo sviluppo del progetto “Arctic Express”, di cui la Istanbul Bridge è stata solo la prima espressione, rappresenta un nuovo tassello della cooperazione russocinese nel settore dei trasporti. Quello che l’Italia può fare è studiare e analizzare le radici profonde, guardare con maggiore interesse a ciò che avviene nell’Artico, perché le attuali dinamiche sono solo l’inizio di un processo che né Mosca né Pechino hanno intenzione di fermare. Per questo motivo Osservatorio Artico, primo giornale italiano dedicato all’Artico e alla regione polare, ha presentato a Genova lo scorso 4 novembre un dossier dedicato al tema, rivolto ai decisori politici, alle istituzioni e all’intero settore logistico e portuale. Il dossier “La Rotta del Nord. Presente e futuro della Northern Sea Route e del suo potenziale impatto sulla logistica italiana”, ricco di mappe, numeri e dettagli sugli investimenti in materia, racchiude numerose analisi approfondite sui vari attori in gioco. Una carta in più per conoscere da vicino un mondo lontano, che punta a ritagliarsi una fetta sempre più rilevante del grande gioco globale.● Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025 49

SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

Carlo Logli

Columbia 5.0 L’azienda guidata da Carlo Logli è pronta ad affrontare le sfide dell’innovazione.

A un anno di distanza dall’intervista pubblicata su Genova Impresa, torniamo a dialogare con Carlo Logli per fare il punto sul percorso di trasformazione avviato in Columbia Motor Oil. Un cammino che coniuga radicamento territoriale e apertura internazionale, continuità industriale e nuove traiettorie di sviluppo, in un contesto geopolitico complesso e in rapida evoluzione. Dalla crescita sui mercati esteri al ruolo delle nuove tecnologie nei processi commerciali, Logli offre una lettura concreta e strategica delle sfide che attendono le imprese manifatturiere italiane.

Un anno fa, su questa rivista, abbiamo scritto del “nuovo corso” di Columbia Motor Oil, avviato con il suo ingresso in azienda. Quali novità, da allora?

Columbia è saldamente radicata sul territorio, con una storia fatta anche di fasi alterne che hanno portato al mio arrivo due anni fa. Quest’anno l’azienda ha compiuto 91 anni ed è da sempre fedele alla propria presenza in Liguria, anche attraverso Confindustria Genova, di cui è associata da oltre 80 anni. E qui intende continuare a creare lavoro, far crescere il capitale umano e contribuire all’economia locale. Allo stesso tempo, considero assolutamente strategico lo sviluppo sui mercati esteri. Columbia era poco presente fuori dall’Italia; oggi oltre il 70% del fatturato è realizzato all’estero. Questo ha richiesto un’organizzazione industriale più strutturata e costante, con standard elevati in termini di sicurezza, qualità e puntualità, soprattutto nei rapporti con i mercati internazionali. Qualcuno osserva che siamo molto focalizzati sull’estero e che “trascuriamo” l’Italia. Non è così: resteremo in Italia, ma il mercato domestico è estremamente competitivo, dominato da grandi player, dove per noi rimane una quota di nicchia. All’estero, invece, siamo meno di nicchia e possiamo competere alla pari anche con i grandi produttori.

Quali sono le vostre prospettive di sviluppo sui mercati esteri, anche alla luce dell’attuale contesto geopolitico?

Nei grandi mercati dell’Unione Europea ogni Paese ha produttori locali molto forti. Siamo invece presenti nell’Est Europa, un’area interessante: auspichiamo che la situazione in Ucraina si risolva al più presto, perché rappresenta un mercato di enorme potenziale. Un altro bacino di grande interesse è il Nord Africa e il Medio Oriente: siamo attivi in Iraq, Iran, Egitto. La vicinanza geografica è un fattore chiave: possiamo consegnare in Libia in circa otto ore e in meno di dodici ore in Tunisia e Algeria; in alcuni casi facciamo prima a raggiungere Tripoli che Catania. I risultati non sono ancora quelli che vorrei e per questo investirò molto in questi Paesi, dove circolano flotte di automobili con qualche anno di vita: un contesto in cui i nostri oli sono particolarmente adatti, più che nei mercati di alta gamma, dove i costruttori tendono a raccomandare prodotti proprietari o convenzionati.

In Nord Africa, inoltre, stanno nascendo nuove industrie, sia per effetto di delocalizzazioni europee sia per iniziativa di imprenditori locali, con la conseguente realizzazione di nuovi impianti: il mercato è quindi sicuramente interessante.

Non siamo presenti in Nord America, mentre operiamo nella Repubblica Dominicana e continuiamo a espanderci nei Caraibi; Porto Rico e Cuba rappresentano i prossimi passi.

Per quanto riguarda la congiuntura internazionale, i dazi

non ci hanno creato particolari problemi, mentre abbiamo risentito delle tensioni in Libano, Libia e Iran.

Qual è la sua opinione sulla figura del Temporary Export Manager?

Le piccole e medie imprese spesso non possono permettersi un export sales manager strutturato: si tratta di figure di alto profilo, con competenze linguistiche e professionali non facili da reperire e con costi elevati. In questo senso, il Temporary Export Manager può rappresentare una valida alternativa. Tuttavia, per fare vero business è necessario viaggiare: non si può gestire tutto da un ufficio. Personalmente mi sono recato in Europa orientale , Medio Oriente e Nord Africa, perché il rapporto personale con i grandi distributori è fondamentale. Ho valutato l’opzione del TEM, ma per prodotti come i nostri occorre essere presenti nel Paese. Sta però emergendo con forza il ruolo dell’Intelligenza Artificiale. Se l’IA viene alimentata con tutte le informazioni aziendali - cataloghi, listini, clienti, piano strategico - può diventare un vero e proprio venditore virtuale: cerca clienti, scrive e-mail, risponde in un inglese eccellente, aggiorna e coinvolge il responsabile commerciale quando serve. Ho già fatto alcuni test su specifici Paesi. I primi passaggi che normalmente svolgerebbe un TEM l’IA li esegue in modo estremamente efficace. Il TEM potrebbe quindi essere affiancato, o in parte sostituito, da un AI sales manager, supervisionato da un venditore esperto che mantenga le relazioni con i clienti nei diversi Paesi. Di fatto, l’IA può svolgere il lavoro più faticoso: profilare i potenziali clienti e individuare i prospect, riducendo perdite di tempo e delusioni. L’IA non si demotiva, impara rapidamente e, in pochi minuti, conosce l’impresa in modo profondissimo. Inserita in un sistema controllato dall’uomo, può davvero fare la differenza, soprattutto per le piccole imprese, perché non sostituisce il venditore, ma gli toglie tutto ciò che lo distrae dal vendere davvero.● (P.P.) Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025 51

SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

I 100 anni di Crocco

La grande impresa partita da un negozio: progettazione e costruzione di impiantistica elettrica e meccanica da Genova alla dimensione nazionale, senza esternalizzazioni.

Riproduciamo di seguito l’articolo a firma di Giovanni Laterza sui primi cento anni di Crocco Impianti, pubblicato su Il Secolo XIX il 9 dicembre scorso.

••• Ci sono storie imprenditoriali che compiono cent’anni, come quella di Crocco Impianti. Storie che danno lustro alla loro città, in una parabola che le proietta nell’eccellenza dell’impiantistica civile e industriale, anche oltre i confini di Genova e della Liguria.

Così bisogna salire a bordo di un’ideale macchina del tempo e puntare la lancetta esattamente su un secolo fa, sul 7 dicembre 1925, per ricostruire la vicenda di quest’azienda.

Una storia che s’intreccia con quella della città e si dipana per cent’anni, accompagnandone le trasformazioni.

Una storia tutt’altro che conclusa, che anzi si protende nel futuro nel segno dell’eccellenza. Con un forte radicamento al territorio che si riveste anche di affetto. La sede si è ingrandita via via ma è sempre rimasta dov’era nata, in via Bobbio a Genova: «Non abbiamo mai voluto spostarci da qui», spiega oggi Luciano Trebbi, punto di riferimento insieme a Cristina Crocco, discendente del fondatore Emanuele Crocco e figlia di Luigi.

La prima sede è un negozio, un negozio con le vetrine che

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si affacciano sulla strada. Dal lato opposto il torrente Bisagno e oggi, guardando un po’ di sbieco, lo stadio Ferraris. È un’attività di materiali elettrici: si vendono e si realizzano gli impianti. Le giornate scorrono così. Nella bottega resta sempre Maria, la moglie di Emanuele, a vendere resistenze, fornelletti, tutti i materiali antesignani degli elettrodomestici di oggi. Il marito invece è fuori tutto il giorno, sui luoghi dove il lavoro lo porta. Come recita l’intestazione di una delle prime fatture, «impianti e riparazioni in genere, illuminazione, forza motrice, riscaldamento, telefoni e campanelli».

Lei arrivava da Montoggio. Si era innamorata di Emanuele, elettricista, e a Genova erano arrivati solo loro due. Rimarrà nel suo negozio fin quasi a novant’anni, mentre tutt’intorno le cose cambiano, si ingrandiscono, prosperano e quella rimane un’attività marginale. È una bella storia d’amore che si intreccia con il lavoro. Da quell’unione salda nascono due figli. Luigi e il secondogenito Rinaldo. È il 1954 quando, con la morte del nonno, entrano nell’azienda che diventa una Snc e ancora puntano la rotta sul futuro sempre nel campo degli impianti elettrici.

Inizia una serie di committenze sempre più importanti.

L’azienda lavora per le ferrovie, per il Comune, per enti pubblici, per gli ospedali. Si fa forza della fidelizzazione del personale. Ci sono operai entrati quarant’anni fa e ancora oggi

lavorano nella Crocco, prossimi alla pensione. Un dipendente andrà in quiescenza dopo 43 anni: era stato assunto direttamente dal padre di Cristina. Un altro lo seguirà a ruota. Una vita intera, e con questa tutta l’esperienza accumulata nei decenni, per l’azienda.

La ricetta di un successo passa anche da questo. Così spiega Trebbi: «Poter contare su personale proprio, esperto, specializzato, fortemente fidelizzato, non dovendo ricorrere ad appalti, è la garanzia migliore di qualità delle realizzazioni». È così: stiamo parlando di una classica azienda familiare che nel passare del tempo ha testardamente voluto conservare questa caratteristica. Si partì con una quindicina di operai.

Dal 1972 iniziano a salire di numero per arrivare ai 50 di oggi. Negli anni Settanta un’altra trasformazione. L’azienda diventa una Srl. Rammenta Cristina Crocco: «Quando ero giovane ricordo la realizzazione del primo impianto di incenerimento alla Volpara. Un primo eco-impianto, quando prima l’immondizia veniva semplicemente bruciata».

Il lavoro, visto l’alto livello di specializzazione, non manca.

Prima la Srl si cimenta con il mercato dell’impiantistica elettrica e dell’illuminazione pubblica. Ricorda Trebbi: «Abbiamo realizzato il 50 per cento degli impianti elettrici presenti sul territorio cittadino». È così: un ruolo fondamentale nella realizzazione degli impianti in vari quartieri di Genova, per arrivare fino al G8 del 2001. E quando nel capoluogo ligure nel 1999 nasce Aster, che assorbe diverse competenze, non mancano le occasioni per diversificare. C’è il comparto autostradale che attende per il passaggio all’illuminazione a led: sull’A26, la A12, la A7, la A10. Ci sono gli ospedali e la sanità pubblica, come gli impianti realizzati per il policlinico San Martino e la Asl3.

L’esperienza accumulata e la qualità garantita permettono a Crocco Srl di dare il suo contributo agli impianti elettrici, idrici, di condizionamento per la Fondazione IIT, il Parco tecnologico di Erzelli, il Museo di Palazzo Rosso di Genova, Villa Zanelli a Savona. Perché l’evolversi dei tempi fa sì che sia sempre più necessario lavorare intrecciando varie competenze per ottenere il risultato migliore. In questo campo saper fare il lavoro di squadra è un’esigenza sempre più imprescindibile.

Oggi questa azienda è impegnata in un grande numero di realizzazioni. È un vanto particolare avere lavorato al Memoriale delle vittime della tragedia del ponte Morandi.

Un lavoro non facile, quello dell’impianto fotovoltaico sul tetto, complicato anche da un progetto modificato all’ultimo momento. Nel porto di Savona vengono costruiti impianti fotovoltaici sul tetto dei capannoni e l’energia viene immagazzinata con il sistema Bess. Ricordate i lunghi blackout che hanno colpito la Spagna e la Francia, lasciandole a lungo al buio? È accaduto per l’eccessiva immissione di energia pulita.

Qui, prima azienda italiana, Crocco dà software che gestiscono le energie prodotte e mettono in sicurezza l’intero sistema. Ma ormai i confini regionali non rappresentano più un ostacolo. Crocco Srl si occupa anche di edifici a Milano, delle università torinesi. Commesse delicate e impegnative, ma la volontà rimane sempre di concentrarsi sulle commesse locali, sugli interventi finanziati dal PNRR. Questo secolo è stato solo un capitolo. Si volta pagina e si riparte con ancor più determinazione.●

SVILUPPO E COMPETITIVITÀ

Impresa e Impresa impegno sociale Tra potenza produttiva e vicissitudini umane, storia e metamorfosi della Conceria Bocciardo.

Ritratto postumo di Sebastiano Bocciardo (di Pietro Dodero, 1881-1967)

Lo stabilimento a Genova negli anni ‘60

Per oltre un secolo la Conceria Bocciardo è stata un pezzo via via sempre più decisivo della geografia economica e sociale di Genova. Già più di cent’anni fa era diventata un colosso industriale, capace di trasformare un intero quartiere, Marassi, imprimendo sul territorio un’identità fatta di lavoro, sacrificio, speranza e - come spesso accade nelle grandi storie d’impresa - anche orgoglio. Oggi, pur a distanza di decenni dalla chiusura definitiva e dall’implosione del grande complesso di via Canevari, nel 1997, la sua memoria non è del tutto scomparsa: e torna, anzi, a riprendere forma grazie a uno studio appassionato e capillare che Ettore Bocciardo e Anna Serra Conforti, eredi della famiglia di imprenditori che le diedero vita, hanno dedicato all’avventura industriale iniziata nel 1861 dal fondatore Sebastiano. Si tratta di una ricerca fondata su un importante materiale d’archivio di diversa provenienza, che, quando verrà pubblicata, promette di restituire alla città una parte importante della sua storia produttiva.

La Conceria Bocciardo nacque all’indomani dell’Unità d’Italia, quando Sebastiano, giovane imprenditore dotato di una visione rara per l’epoca, decise di dar vita a un’azienda specializzata nella lavorazione delle pelli. Scelse come sede un’area di Marassi allora poco più che periferica, una zona

paludosa e ancora estranea ai processi di urbanizzazione: uno spazio che l’attività della conceria avrebbe trasformato radicalmente. Con il passare dei decenni l’impresa crebbe in modo impressionante, arrivando tra gli anni Venti e Cinquanta del secolo scorso a diventare la seconda conceria d’Europa per produzione e fatturato. Nei periodi di massima espansione nel secondo dopoguerra giunse a dar lavoro a 850 maestranze, numeri che la collocavano tra le principali realtà industriali dell’intera Liguria.

Ma la Bocciardo non è stata solo un luogo di produzione: è stata anche un laboratorio sociale. Il fondatore e i suoi successori - una famiglia che si è distinta sempre per sensibilità e attenzione ai bisogni degli operai - introdussero forme ante litteram di welfare aziendale, culminate, nel più recente dopoguerra, nelle iniziative a sostegno di chi dipendeva dall’attività della conceria: nelle pagine dello studio, di questo dà contezza sintomatica la dettagliata relazione di Giorgio Bocciardo al suo Consiglio di Amministrazione alla fine di agosto 1948.

In un quartiere che cresceva quasi a vista d’occhio attorno alla fabbrica, la Bocciardo ha rappresentato per più generazioni una sorta di architrave morale oltre che economica: un riferimento per centinaia di famiglie e un modello di sviluppo locale.

La ricerca di Bocciardo e Serra Conforti non ricostruisce solo le vicende imprenditoriali e tecniche dell’azienda, ma, in filigrana, anche quest’intrigante tessuto umano. Il loro studio - frutto di una paziente raccolta di documenti, testimonianze, fotografie e materiali d’archivio - si muove con piglio informativo tra storia familiare ed economica e sociologia del lavoro, e trova i suoi acmi narrativi in due circostanze diversamente interessanti: da un lato (il lato “frivolo” della storia del costume) là dove racconta di quando, nei tardi anni ‘20, la conceria ampliò e diversificò la sua gamma produttiva e, grazie alla genialità di Giovanni Bocciardo, si cimentò pure nella concia al silice, ottenendo un cuoio da suola bianco unico al mondo, e nella concia di pelli di squaLavorazione rasatura

lo per la produzione del marchio “Sea-Kid”, destinato a diventare articolo di culto presso gli artigiani parigini esperti nella confezione di calzature eleganti e borse di pregio per signora; dall’altro (il lato, ben più significativo, dell’etica tout court) quando, riferendosi al dramma dell’occupazione tedesca di Genova, a seguito dell’armistizio del 1943, accenna all’incarcerazione dell’allora Amministratore Delegato Giorgio Bocciardo, il padre di Ettore, che rischiò la vita per avere fornito dati alterati sulla produzione corrente al fine di scongiurare la deportazione in Germania di parte dei suoi dipendenti.

Gli anni del declino arrivarono più avanti, quando la crescita esponenziale della sensibilità ecologica e animalista e, più in generale, la crisi del settore manufatturiero costrinsero la conceria a una progressiva riduzione dell’attività. Anche quello che oggi chiamiamo “impatto ambientale” concorse ad accrescere le difficoltà di convivenza fra fabbrica e città: con gli anni, data la forte espansione urbanistica di Genova, Riunione di lavoro con un cliente militare: a destra l’amministratore delegato Giorgio Bocciardo e, secondo da sinistra, il dirigente dell’ufficio tecnico Paolo Bocciardo

lo stabilimento, con il suo grande fabbricato di sette piani, si trovava, infatti, ormai inglobato nel centro cittadino...

Negli anni ‘70 iniziò così un lento processo di dismissione e trasferimento, che finì al centro del dibattito politico locale, con forti tensioni sindacali (Giorgio Bocciardo si batté, senza successo, per il trasferimento dell’azienda oltre Appennino) e portò allo spostamento dell’attività di conceria in alta val Bisagno, al Giro del Fullo - dove cessò definitivamente a metà degli anni ‘80.

Acquistato dalla Provincia di Genova che rilevò, in parte, la proprietà comunale dell’area, lo stabilimento di Marassi rimase per anni un relitto industriale, ingombrante e malinconico. La metamorfosi dell’area iniziò con la sua spettacolare demolizione “all’americana” nel 1997, quando, con un’esplosione controllata, la fabbrica venne completamente rasa al suolo attraverso migliaia di microcariche. Al suo Nella prima fase della lavorazione, le pelli venivano immerse in acqua e tenute in movimento negli aspi di rinverdimento

posto sorge ora l’Istituto Firpo Buonarroti: una “fabbrica del sapere” che opera là dove si era prodotta per generazioni una diversa, più materiale forma di ricchezza.

Nel 2023, un progetto didattico dell’Istituto ha portato all’allestimento di una mostra dedicata al ruolo della fabbrica e delle sue eredità. Anche il convegno “Sebastiano Bocciardo: impresa e impegno sociale”, che si è tenuto esattamente un anno fa nel municipio della Bassa val Bisagno, ha riportato l’attenzione su tanto straordinaria esperienza. È in questo contesto di riconsiderazione e tutela della memoria della Bocciardo come patrimonio culturale collettivo che lo studio di Ettore Bocciardo e Anna Serra Conforti si inserisce come un tassello fondamentale. Non si tratta, perciò, solo di un gesto affettivo verso la storia della loro famiglia, ma di un lavoro che restituisce dignità a un pezzo di storia locale: si tratta di un modo lungimirante, cioè, per ricostruire le radici di un quartiere che non può essere compreso appieno nella sua natura economica, urbanistica, antropologica e psicosociale senza conoscere l’impronta che la grande conceria gli ha lasciato.

Quando avverrà, la pubblicazione dello studio offrirà alla città un nuovo strumento per rileggere la propria identità.

Perché, occorre forse tornare a ricordarlo?, la memoria industriale non è un semplice capitolo di archeologia urbana: è ciò che permette di comprendere come le comunità si siano formate, come abbiano vissuto, lavorato, sofferto, progredito. E la Conceria Bocciardo - con la sua potenza produttiva, la sua forza sociale, le sue vicissitudini umane è uno dei casi più significativi di quella Genova di ieri che seppe crescere sia grazie alla fatica delle mani di chi ci lavorava sia grazie all’ingegno degli imprenditori che ci investivano del loro.

Raccontarne oggi la parabola significa anche ricordare che il passato, quando viene studiato e condiviso, non è mai davvero passato.● (R.M.R.) Veduta parziale della mensa aziendale

AMBIENTE

di Federico Grasso

Modelli, limiti, potenzialità e curiosità sulle previsioni meteo in Liguria.

Fare i conti con l’incertezza

58 Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025

In occasione delle recenti celebrazioni per ricordare l’alluvione genovese del 4 novembre 2011 la mamma di Serena Costa (una delle sei vittime insieme a Evelina Pietranera, Angela Chiaramonte, Shpresa Djala con le figlie Janissa e Gioia) ha dichiarato «Vedo sempre troppe polemiche sulle allerte e mi arrabbio quando leggo commenti come “a cosa serve l’allerta se non piove?”».

Purtroppo, le polemiche - troppo spesso strumentali - fanno perdere tempo prezioso che potrebbe essere utilizzato in maniera più proficua. Ci saranno sempre, fin quando si raggiungerà la consapevolezza che le pre-visioni (e non certezze) hanno dei limiti intrinsechi insuperabili.

In particolare in Liguria, territorio dalla posizione e dall’orografia dalla complessità senza eguali per chi deve effettuare previsioni, usata per valutare la bontà di un modello meteo. Per validarli si prende una terra con monti di 15002000 metri vicino al mare, caratterizzata da valli con forme e angolazioni differenti: ognuna interagisce con i bassi strati dell’atmosfera in modo diverso. Inoltre la Liguria si trova nel punto di incrocio di venti caldi e umidi da sud (Scirocco e Libeccio) contrapposti a venti freddi e secchi da nord (Tramontana): il “Genoa low” è una particolare depressione meteo studiata dai fisici dell’atmosfera in tutto il mondo.

Esistono decine di modelli differenti, dalla scala globale (si aggiornano ogni sei ore) all’alta risoluzione centrata sul Nord Italia, ognuno con pressoché infinite possibilità di modifica dei parametri di calcolo.

Il centro meteo ligure, nato in ambiente universitario prima di entrare in Arpal (l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure che quest’anno celebra i 30 anni di istituzione) è stato il primo in Italia ad accoppiare modelli meteo (simulano il comportamento dell’acqua prima che tocchi terra) a modelli idro (predicono come si comporta una volta atterrata). Ma non solo: dopo le alluvioni del 2011 in Italia è stata introdotta l’allerta meteo colorata, dopo l’alluvione del 2014 l’allerta temporali. In Liguria siamo stati i primi ad attivare l’allerta a ore e a effettuare quotidianamente la doppia valutazione delle uscite modellistiche.

Il giorno dopo è facilissimo trovare la singola simulazione che aveva previsto come si sono svolti gli accadimenti; ma, come per i sei numeri vincenti al superenalotto giocati all’indomani, l’utilità di questa informazione non paga in alcun modo. Fondamentale partire da un’altra informazione condivisa: non tutti i fenomeni meteo hanno la stessa predicibilità. Un’ondata di calore può essere prevista già la settimana prima, mentre i temporali, l’incubo di ogni previsore, anche solo due ore prima possono rap-

presentare un’incognita: non si può dire quanto pioverà, con che intensità e dove. Più i fenomeni atmosferici sono intensi e improvvisi, più è difficile prevederli con precisione.

Il 9 ottobre 2014 a Genova Geirato sono caduti 141 millimetri di pioggia (ossia 141 litri per metro quadrato di terreno) fra le 22.10 e le 23.10, mentre il Bisagno è iniziato a esondare a Borgo Incrociati alle 23.15; nella stessa ora a Pegli, che dista meno di 15 km in linea d’aria, non è caduta nemmeno una goccia. Non esisterà mai un modello matematico capace, il giorno prima, di darci con certezza questo tipo di informazione. L’atmosfera è intrinsecamente caotica: è rappresentata da equazioni differenziali irrisolte (nella loro forma completa, quelle di Navier-Stokes) e l’inizializzazione dei modelli globali è affetta da disomogeneità delle sorgenti e imprecisioni di misura: più l’evento meteo è spazialmente e temporalmente piccolo, più il margine di errore associato è grande.

Non perché i previsori non siano capaci, ma perché così è fatta l’atmosfera e la scienza, con statistica, probabilità e incertezze di misura.

Avere un’allerta di un colore diverso non ferma la pioggia, così come non aiuta fare polemiche sul presunto mancato avviso.

Il prodotto primario del Centro Meteo Arpal è il bollettino di vigilanza, che si trasforma in avviso meteo quando contiene la previsione di un fenomeno potenzialmente pericoloso: già dal nome si capisce come saranno le ore a venire nella nostra regione.

L’eccezione che conferma la regola? La “bassa probabilità di temporali forti”, talvolta riportata nella “semplice” vigilanza meteo: segnala la possibilità che si verifichi su una piccola porzione di territorio un temporale anche da 40 o 50 mm in un’ora, più che sufficienti ad allagare le strade asfaltate e i sottopassi, o addirittura a far uscire un piccolo canale. Tutte le regole dell’allerta meteo si trovano nel libro blu di Regione Liguria; tutte le informazioni sono sul sito: https://allertaliguria.regione.liguria.it/.

Una curiosità che pochi conoscono? La differenza di colore (che per i temporali arriva all’arancione) riguarda soprattutto l’estensione del territorio potenzialmente interessato dagli effetti al suolo delle precipitazioni, non dalla pioggia che cade. Perché conta quanta acqua cade, in quanto tempo, e su che tipo di territorio, non il fatto che piova o meno. È possibile consultare i dati in tempo reale o da pc fisso sul portale https://omirl.regione.liguria.it/ o sulla app METEO3R, sviluppata insieme a Piemonte e Valle d’Aosta per tre ragioni: prevedo, osservo e allerto. In entrambi si consulta anche il radar, lo strumento più importante per seguire l’evoluzione dei temporali mentre si stanno svolgendo.● Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025 59

CONFINDUSTRIA IMPERIA

di Gilberto Manfrin

Oltre

i confini L’Assemblea Generale 2025 ha aperto una nuova stagione di cooperazione transfrontaliera.

L’Assemblea Generale 2025 di Confindustria Imperia svoltasi mercoledì 15 ottobre alla Expo Salso alla Marina di Porto Maurizio ha scelto di guardare lontano.

Non per inseguire astratti scenari globali, ma per costruire un nuovo baricentro territoriale fondato su relazioni concrete, solide e strategiche. È in questa prospettiva che il Ponente ligure ha volto lo sguardo oltre i propri confini, verso il Basso Piemonte e la vicina Francia - Monaco e Costa Azzurra in particolare - immaginando un modello di coope-

razione transfrontaliera capace di contrastare l’incertezza dei mercati internazionali e rafforzare la competitività delle imprese. La tavola rotonda, cuore pulsante dell’assemblea, ha messo attorno allo stesso tavolo rappresentanti istituzionali e attori economici di primo piano. Ne è emerso un confronto ricco, pragmatico, fondato sulla consapevolezza che i territori, per crescere, devono oggi pensarsi come sistemi integrati.

Un territorio unico oltre gli steccati amministrativi Gli interventi dei relatori hanno delineato una visione comune: costruire una “macro-area” capace di valorizzare le complementarità tra Imperia, Cuneo, le Alpi Marittime francesi e il Principato di Monaco. Le economie coinvolte mostrano infatti vocazioni sinergiche: la dimensione portuale e turistica del Ponente, la forza industriale e agroalimentare cuneese, l’innovazione e la logistica avanzata della Costa Azzurra, la capacità finanziaria del Principato. Nelle parole dei protagonisti - Marco Scajola (assessore ai Trasporti della Regione Liguria), Giuliana Cirio (direttore generale Confindustria Cuneo), Agostino Pesce (direttore Camera di Commercio Italiana Nizza, Sophia Antipolis, Costa Azzurra), Luciano Tesorini (presidente Confindustria Imperia), Barbara Amerio (UE Trade Champion Network e past president di Confindustria Imperia) e Justin Highman (vice direttore generale Monaco Economic Board) - è parso evidente come sia quanto mai necessario puntare su una

cooperazione che non sia di facciata, ma un’alleanza strutturata, sostenuta da strumenti europei, da una governance stabile e da una rete di attori economici capaci di attivare progettualità condivise. La necessità di non limitarsi ai protocolli formali, ma di dare continuità programmatica e operativa, è stata sottolineata con decisione.

sulla nostra testa. L’alleanza delle Alpi del Sud, se non si ridurrà a un mero protocollo ma, come è previsto, sarà supportata da un tavolo tecnico, potrà essere un ottimo modello per cominciare a pensare in termini di macroregione e sviluppare una visione programmatica indirizzata al bene comune».

Investimenti in infrastrutture ferroviarie L’assessore regionale Marco Scajola ha fatto il punto, in particolare, sulle infrastrutture in regione: «Entro la fine dell’autunno, grazie a un investimento complessivo di 9,5 milioni di euro di cui 4,5 derivanti da fondi regionali, avremo, finalmente, la possibilità di far arrivare a Ventimiglia, e quindi nel Ponente Ligure, tutti i treni della flotta regionale, compresi i convogli di ultima generazione. Due degli otto binari saranno, infatti, adeguati elettricamente con l’impegno di RFI di completare l’opera entro il 2027. A questa si va ad aggiungere il recentemente inaugurato quadruplicamento del nodo di Genova tra Voltri e Sampierdarena che porterà già benefici, nelle tempistiche di viaggio, al nostro Ponente. Miglioramenti che saranno ancor più evidenti con l’apertura del sestuplicamento, prevista per settembre 2026. La Regione, come noto, sta inoltre dando il proprio contributo all’interno della Conferenza dei servizi per il fondamentale raddoppio ferroviario Albenga-Finale, opera imprescindibile. Ai cantieri infrastrutturali si sommano iniziative come il treno turistico Marsiglia-Roma che è stato un autentico successo e che, nel 2026, insieme a FS Treni Turistici, riproporremo, aumentandone le corse fino a tre alla settimana».

Liguria e Piemonte necessari per lo sviluppo Sollecitato sul tema anche Agostino Pesce: «Nizza e la Costa Azzurra sono un territorio importante. Abbiamo bisogno di Liguria e Piemonte per svilupparci. Le aziende monegasche e francesi vengono in Italia per investire, si spostano, hanno necessità di manodopera e noi italiani siamo capaci di essere efficienti sotto questo punto di vista. Ma le infrastrutture, effettivamente, sono un problema per assicurare questa efficienza. In particolare, riteniamo strategica per il territorio l’alta velocità». Per il presidente degli industriali, Luciano Tesorini, «occorre lavorare per proseguire e rafforzare il dialogo tra territori confinanti, in particolare per tener vivo il dibattito sulle infrastrutture, che sono un problema.

Per muoversi gli imprenditori hanno bisogno di ottime infrastrutture, ma non dimentichiamo lo sviluppo del bilinguismo: oggi è una barriera che va ancora superata».

Pensare in termini di macroregione Un tema, quello delle infrastrutture sempre attuale, ma molto complicato, per Giuliana Cirio: «La distanza tra la provincia di Cuneo e quella di Imperia si misura unicamente in termini infrastrutturali, poiché la complementarità dei due territori è chiara: il Ponente ligure è un indispensabile sbocco sul mare per le nostre merci, la provincia di Cuneo rappresenta il retroterra “piano” per la compagine ligure, un naturale retroporto di stoccaggio e logistica. La carenza infrastrutturale è però un’annosa questione, che purtroppo anche decenni di lobby confindustriale sono riusciti poco a scalfire. Si ha spesso l’impressione che le decisioni passino

Una macroregione europea E proprio di limiti da valicare e nuove opportunità per i territori hanno parlato nella seconda parte della tavola rotonda Barbara Amerio e Justin Highman: «Stiamo ormai disegnando una sorta di macroregione europea - ha detto Amerio -, ma questa cosa va sfruttata. I limiti sono la digitalizzazione, la sostenibilità, che i nostri territori devono saper trattare. Senza dimenticare la formazione: i nostri ragazzi devono poter andare oltre confine e noi dobbiamo accogliere gli studenti francesi che vogliono venire a formarsi e poi a lavorare in Italia». «Lavoriamo per aiutare le imprese che vogliono stabilirsi nel Principato di Monaco, che è molto internazionale ed è alla ricerca di opportunità per espandersi - ha sottolineato Highman -. L’obiettivo è migliorare la relazione con Liguria, Piemonte, provincia di Imperia e Cuneese. Come? Guardiamo ai settori di nicchia come l’agrifood e la nautica, ma ravvisiamo una mancanza di conoscenza di questi settori, che invece hanno grandi potenzialità».●

CONFINDUSTRIA LA SPEZIA

Le priorità di Confindustria La Spezia nelle linee guida del neo presidente Alessandro Laghezza.

Visione e pragmatismo Alessandro Laghezza

Il 3 dicembre scorso, Alessandro Laghezza, Presidente e AD di Laghezza Spa, è stato eletto Presidente di Confindustria La Spezia per il mandato 2025-2029, succedendo a Mario Gerini. Nell’intervista in queste pagine, Laghezza torna su alcune delle priorità evidenziate nelle sue linee programmatiche per l’industria e, più in generale, per il territorio della provincia spezzina.

Presidente, nei mesi che hanno preceduto la sua elezione ha avuto modo di confrontarsi con molti imprenditori associati: quale feedback ha ricevuto relativamente alle loro priorità e aspettative?

Parto da un fatto curioso: le linee programmatiche che ho presentato in Assemblea sono state scritte il 19 agosto, quando mi sono candidato, e non è stato necessario modificarle, perché già contenevano le indicazioni espresse dagli imprenditori incontrati nei mesi che hanno preceduto la mia elezione. Ho colto grande affetto e stima per Confindustria La Spezia, che gli Associati, grazie all’ottimo lavoro del past president Mario Gerini e da tutta la struttura, considerano la loro “casa”. Le nostre imprese sono in crescita praticamente in tutti i settori - dalla difesa alla cantieristica navale, dalle costruzioni alla portualità e alla logistica, per finire con la meccanica e con il turismo, con eccellenze assolute a livello nazionale e alcune anche a livello mondiale; le preoccupazioni manifestate riguardano i fattori produttivi, come la difficoltà di reperire personale qualificato, la mancanza di aree, alcune carenze infrastrutturali.

62 Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025

E Confindustria La Spezia?

Io penso che l’Associazione si debba muovere su un piano strategico, come soggetto che propone alle Istituzioni del territorio una “visione” per affrontare e tentare di risolvere problemi come quello del capitale umano, delle aree produttive, delle infrastrutture, e, parallelamente, su un piano complementare, più concreto, offrendo servizi alle aziende in risposta alle loro esigenze di informazione e di formazione, per guidarle sui temi della sostenibilità, della digitalizzazione, della transizione tecnologica ecc. Confindustria La Spezia è un punto di aggregazione delle migliori energie della città, il luogo dove si possono elaborare quelle progettualità a medio-lungo termine da proporre a politica ed istituzioni. Lo ha già dimostrato, per esempio, con lo studio sulle infrastrutture commissionato da ANCE e Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Orientale a Confindustria Advisory (Centro Studi) e Università La Sapienza di Roma al quale ha collaborato Confindustria La Spezia insieme a Provincia e Comune della Spezia. Nello studio sono state avanzate proposte di interventi (non solo grandi opere, ma anche soluzioni di piccola e media caratura) per migliorare la viabilità e connettere il territorio. È importante ricordare che lo studio è stato condiviso da 11 comuni e assunto a base della pianificazione regionale. Questo “modello” di collaborazione con le Istituzioni possiamo applicarlo anche per affrontare il nodo delle aree, per trovare un punto di incontro tra un’offerta di spazi scarsamente attrezzati o inutilizzati, da un lato, e aziende che vogliono espandersi,

dall’altro. Tra le aree più interessanti, per esempio, c’è l’Arsenale. Io sono profondamente affezionato alla Marina Militare e ritengo che svolga un ruolo strategico per il territorio, ma sarebbe auspicabile l’utilizzo di parte di quegli spazi a uso industriale, ad iniziare dalle imprese della filiera della difesa, valutando nel contempo, ulteriori necessità. In provincia della Spezia ci sono poi altre aree che, adeguatamente connesse, possono costituire polmoni importanti per le attività produttive in crescita.

Poi c’è la questione della mancanza di personale.

Si tratta di un’emergenza non solo spezzina, chiaramente, ma dobbiamo comunque impegnarci di più per rendere il territorio attrattivo, in primis per i giovani, i quali devono

CONSIGLIO DI PRESIDENZA 2025-2029 PRESIDENTE Alessandro Laghezza Presidente e AD Laghezza Spa

VICE PRESIDENTI Salvatore Aven Amministratore Delegato, La Spezia Port Service Srl

Alberto Bacigalupi Amministratore Unico, GBT Costruzioni Srl / Seib Srl Paolo Bertetti - Chief Innovation Officer, Sanlorenzo Spa

Alessandro Biggio Amministratore Unico, Fluid Global Solutions Srl

Renato Goretta Presidente Consiglio di amministrazione, Gesta Società Benefit Srl

Luca Perazzo Defence Systems Deputy Managing Director, Leonardo Spa (Divisione Elettronica)

Paolo Povesi Socio e Consigliere di Amministrazione, Sire Srl

Antonio Quintano Direttore Cantiere Integrato Muggiano-Riva Trigoso, Fincantieri Spa

COMPLETANO IL CONSIGLIO DI PRESIDENZA Silvia Costa (AU di GCE Srl) Presidente Gruppo Giovani Imprenditori e Vicepresidente di Diritto

Sara Filippetti (socio Filippetti Assicurazioni Sas) Presidente Comitato PI e Vicepresidente di Diritto

Mario Gerini (AD di S.E.T Società Edilizia Tirrena Spa) Past President Confindustria La Spezia

essere consapevoli delle opportunità di studio e di lavoro che la nostra provincia può offrire loro. Un ruolo di primo piano lo giocherà il Polo Nazionale della Dimensione Subacquea, che, sono certo, saprà attrarre importanti investimenti per attività di ricerca e sviluppo, oltre a contribuire alla crescita del nostro polo universitario specializzato nella blue economy. Ma dobbiamo riuscire a fare sistema tra le scuole, gli istituti tecnici, l’Università e le imprese, e comunicare tutti i punti di forza in modo efficace. In questo contesto si inserisce anche un altro progetto ambizioso, avviato durante la presidenza di Mario Gerini, che riguarda l’housing.

L’obiettivo è soddisfare la domanda di alloggi da parte di quella manodopera che verrà nel nostro territorio richiamata dal forte sviluppo - in particolare - dell’industria cantieristica, attraverso un “veicolo” che possa garantire, da un lato, la certezza dell’incasso ai proprietari degli immobili e dall’altro, una sistemazione economicamente sostenibile al lavoratore.

Grandi aziende - Fincantieri, Leonardo, Intermarine... - e PMI di filiera sul territorio: a suo parere l’Associazione può agire come facilitatore per ampliare, da una parte, il bacino dei potenziali fornitori (soprattutto in questo momento di forte domanda del settore difesa) e, dall’altra, affiancare le piccole imprese in un percorso di crescita che le renda sempre più compliant alle esigenze di capi filiera internazionali?

Le grandi aziende che ha citato stanno gestendo importanti commesse che richiedono una supply chain altamente qualificata. L’Associazione è a disposizione delle PMI per sostenerle, con propri servizi e iniziative formative ad hoc, a superare i passaggi necessari ad accedere o a consolidarsi nella filiera di queste realtà. Il settore della difesa, per le componenti di ricerca e innovazione che lo caratterizzano, è un volano di crescita davvero unico per il territorio, ma per cogliere a pieno tutte le opportunità di sviluppo e di business le PMI devono ragionare anche in termini di possibili aggregazioni. Nel volume “Lavoro e benessere. Gli archivi d’impresa raccontano il welfare”, pubblicato a cura dell’Associazione Museo della Melara (Gruppo Leonardo) e presentato qui, In Associazione, nelle scorse settimane, si ripercorre la storia di successo di Oto Melara, eccellenza dell’industria meccanica spezzina: ecco, oggi sembra proprio di rivivere quei tempi di grande dinamismo e voglia di crescere.

Lo stesso vale per porto della Spezia?

Il nostro porto è il secondo gateway italiano per volumi, per efficienza, per connessioni intermodali. Vanta inoltre un alto livello di sostenibilità al quale contribuisce uno share ferroviario del 35% del trasporto merci e una viabilità che, anche attraverso la galleria Subalvea, lo collega direttamente alla ZLS e al polo logistico di Santo Stefano Magra, evitando il passaggio dei camion sulle strade cittadine. Questa è sicuramente una delle ragioni per cui alla Spezia il rapporto tra porto e città è meno conflittuale che altrove. E poi la città riconosce al porto il merito di essere stato la principale fonte di benessere economico negli anni ’90 e inizio 2000, quando altre filiere industriali non avevano intrapreso un trend di sviluppo.● (P.P.) Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025 63

UI SAVONA

Unione Industriali della Provincia di Savona

I numeri di

Oltre 1.150 studenti e 28 aziende visitate.

A Savona e Cairo Montenotte la premiazione, con 56 classi e 19 istituti comprensivi della provincia.

Si sono celebrate al Teatro Chiabrera di Savona e al Teatro Chebello di Cairo Montenotte le tre cerimonie di premiazione della diciottesima edizione di Fabbriche Aperte®: il progetto che, quest’anno, ha portato più di 1150 studenti a visitare e raccontare le aziende del territorio savonese. Gli eventi si sono svolti nei due teatri gremiti di giovanissimi, entusiasti per la condivisione del lavoro svolto in questi mesi.

Alle giornate hanno preso parte il sindaco e vice sindaco di Savona rispettivamente Marco Russo ed Elisa Di Padova, il sindaco di Cairo Montenotte Paolo Lambertini; monsignor Marino Calogero vescovo della Diocesi di Savona-Noli; il dirigente Ufficio Scolastico Provinciale Nadia Dalmasso; il presidente della Provincia di Savona Pierangelo Oliveri e i promotori dell’iniziativa: Caterina Sambin - presidente dell’Unione Industriali Savona; Luciano Pasquale - presidente Fondazione De Mari; Leonardo Picozzi e Alfredo Angrisano dell’Autorità di Sistema Portuale Del Mar Ligure Occidentale; Paolo Sottili direttore generale ALFA Agenzia Regionale per il lavoro e la formazione e accreditamento. Tutti hanno rivolto il loro messaggio di futuro ai giovani e il loro apprezzamento per il lavoro svolto da studenti e insegnanti che ogni anno partecipano con grande entusiasmo a Fabbriche Aperte®. Anche quest’anno si è condiviso il viaggio fatto all’interno delle 28 aziende rivedendo tutti insieme il TG Fabbriche Aperte®: condotto da giovanissimi studenti che hanno visitato e raccontato reparti di produzione, centri di ricerca, sale di controllo e centri logistici, intervistando i lavoratori e imprenditori. Grande emozione e applausi poi per la premiazione dei vincitori del gioco “Professionista del futuro”. Fabbriche Aperte®, progetto voluto dall’Unione Industriali di Savona, è stato realizzato grazie al sostegno della Camera di Commercio Riviere di Liguria - Imperia La Spezia Savona, della Fondazione De Mari, con il contributo dell’Autorità Portuale del Mar Ligure Occidentale, ed è cofinanziata da Regione Liguria con il contributo del Fondo

Sociale Europeo con il progetto di orientamento approvato con DGR 978/2022. Ideata da Noisiamofuturo®, con il format originale di gioco più TG realizzato dagli studenti e dalle studentesse, l’iniziativa si è avvalsa anche del supporto operativo dell’Associazione Giovani per la Scienza e del Consolato Provinciale di Savona della Federazione dei Maestri del Lavoro d’Italia. Le classi partecipanti sono state 56 da 19 Istituti Comprensivi del territorio: Istituto Comprensivo Alassio, Istituto Comprensivo Albenga I, Istituto Comprensivo Albenga II, Istituto Comprensivo Albisole, Istituto Comprensivo Cairo Montenotte, Istituto Comprensivo Carcare, Istituto Comprensivo Finale Ligure, Istituto Comprensivo Loano Boissano, Istituto Comprensivo Millesimo, Istituto Comprensivo Pietra Ligure, Istituto Comprensivo Quiliano, Istituto Comprensivo Savona I, Istituto Comprensivo Savona II, Istituto Comprensivo Savona III, Istituto Comprensivo Savona IV, Istituto Comprensivo Spotorno, Istituto Comprensivo Vado Ligure, Istituto Comprensivo Val Varatella, Istituto Comprensivo Varazze - Celle, M.G. Rossello.

Le aziende visitate sono state 28: A.D.R Aziende Dolciarie Riunite Spa, ALSTOM Ferroviaria Spa, Autorità di Sistema del Mar Ligure Occidentale, Bitron Spa, Cabur Srl, Continental Brakes Italy Spa, Dema Spa, ESI Srl, Esso Italiana Srl, First Plast Srl, Ente Sistema Edilizia, Gruppo Pirotto, ICOSE Spa, Infineum Italia Srl, La Filippa Spa, Loano Due Village, Noberasco Spa,Baykar Piaggio Aerospace, Reefer Terminal Spa, Semar Electric Srl, Tirreno Power Spa, TPL Linea Srl, Trench Italia Srl, Trenitalia, Vado Gateway S.p.A, Vernazza Autogru Srl, Vetreria Etrusca Spa Come ogni anno nel corso della cerimonia sono stati premiati gli studenti vincitori, uno per classe, del gioco a tappe, “Professionista del futuro”, articolato in due fasi: quiz sulle aziende di Fabbriche Aperte® e racconto di una giornata di lavoro in azienda in cui lo studente si immagina professionista del futuro. In foto i vincitori premiati dalle aziende.●

PICCOLA INDUSTRIA

Scegliere il proprio percorso.

PMI DAY Lo scorso 14 novembre si è tenuta la Sedicesima Giornata Nazionale delle Piccole e Medie Imprese PMI DAY, iniziativa organizzata da Piccola Industria di Confindustria Genova, in collaborazione con Confindustria e tutte le Associazioni del Sistema.

Il fine è far conoscere alle nuove generazioni il mondo dell’impresa e le sue opportunità coinvolgendo le scuole secondarie superiori in incontri e visite guidate in azienda.

“Scegliere” è stato il tema di questa edizione: scegliere cosa diventare e quale strada intraprendere per costruire il proprio percorso personale e professionale; scegliere, soprattutto, in modo consapevole e informato - anche grazie alle iniziative che, come questa, mettono in diretto contatto mondo della formazione e mondo del lavoro.

Il PMI DAY, coordinato per Genova dal Vice Presidente di Piccola Industria Genova Christian Ostet, quest’anno ha coinvolto 5 scuole (Odero, Einaudi, Gastaldi Abba, Montale, Liceti) con oltre 400 alunni.

Le aziende associate che hanno aderito al progetto accogliendo le classi presso la propria sede sono 20: Aitek, Aizoon, Banca Passadore, Cosme, Cosmet, Costa Edutainment, DuePi Automation Service, Edisoftware, Fibercop, FIP-Aliaxis, Hi-Lex, Hitachi Rail, Innoval, Mallei, Mantero Sistemi, Many Designs, Netafim, Servizi Italia, Siat, Zwickroell.

Ecco alcune foto dell’esperienza.● 66 Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025

Elezioni nazionali Il Consiglio Centrale di Piccola Industria ha eletto Fausto Bianchi, Presidente di Unindustria Latina, alla guida della Piccola Industria di Confindustria per il quadriennio 2025-2029. Succede alla precedente governance ed entra nella squadra del Presidente Emanuele Orsini come Vice Presidente di Confindustria.

Bianchi ha annunciato la composizione della squadra di presidenza che lo affiancherà per fino al 2029, composta da otto vicepresidenti e sette consiglieri delegati.

I vicepresidenti sono Giammaria De Paulis (Persone, Formazione e Competenze); Anna Del Sorbo (Unione Europea e rapporto con le Confindustrie Europee); Luca Fiorini (Semplificazione normativa e amministrativa); Mattia Macellari (Transizione digitale, Innovazione e Intelligenza artificiale); Roberto Marti (Trasporti, Logistica e Infrastrutture); Fausto Mazzali (Mercati Esteri e Rapporti internazionali); Christian Ostet (Rapporti associativi e Organizzazione); Filippo Sertorio (Credito, Finanza e Fisco).

I consiglieri delegati sono Roberto Franchina (Politiche strategiche per il Mezzogiorno); Gianluca Giordano (Operazioni straordinarie d’Impresa e Transizione generazionale); Michele Da Col (Comunicazione, Marketing e Community); Matteo Assolari (Business Continuity); Cristiano Dionisi (Economia del Mare); Renato Goretta (Aerospazio, Difesa e Sicurezza); Gianni Tardini (Rapporto Scuola-Impresa).n

Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025 67

PICCOLA INDUSTRIA

di Guido Conforti

Aroldo “Chicco” Luzzati

La foresta

di Luzzati Ricordo di una iniziativa extra-ordinaria ideata, a fine anni ’90, da un indimenticabile Presidente della Piccola Industria di Confindustria Genova.

68 Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025

L’idea era stata ovviamente la sua.

Il professionista del crazy-marketing, l’imprenditore innovativo che era riuscito a rovesciare le tradizioni conservative della gente più tradizionalmente conservativa d’Italia imponendo sulle loro tavole il marchio Latte Tigullio al posto di quello della “Centrale”, non poteva accontentarsi delle solite cose.

Divenuto Presidente della Piccola Industria di Confindustria Genova a fine degli anni Novanta per una congiunzione di consensi tanto plebiscitari quanto (almeno da lui) inaspettati, si era posto il problema di come rappresentare questa realtà che dopo il crollo della grande industria a partecipazione statale era diventata la spina dorsale dell’economia genovese.

Era un problema di comunicazione, come tale ben più chiaro a lui che alla massa degli altri imprenditori, tradizionalmente conservativi non solo nelle scelte alimentari, ma anche nell’erigere impenetrabili cortine fumogene sui loro affari e sulle loro aziende.

Chicco Luzzati, invece, la pensava al contrario e si era posto il problema di come fare, senza rifugiarsi nella banalità della solita pubblicazione o del solito convegno pubblico di cui il giorno dopo nessuno si sarebbe più ricordato.

E così l’idea fu quella di chiamare a raccolta le centurie dei suoi piccoli imprenditori e con loro piantare un piccolo albero sulle alture di Genova: un albero per ogni impresa, un gesto simbolico della moltitudine, della laboriosità e della tenacia delle piccole imprese genovesi, ma al tempo stesso un contributo concreto e duraturo per migliorare almeno di un poco l’ambiente in cui tutti viviamo.

Da uomo pratico e al tempo stesso perfezionista, aveva concordato con il Comune e con una pletora di espertissimi agro-bio-silvo-cultori il luogo, il tempo e il tipo di alberi che si sarebbero dovuti piantare, affinché il tutto fosse fatto per bene, per durare e resistere agli imprevisti del clima e del fuoco.

L’indicazione degli espertissimi agro-bio-silvo ecc. ecc. era tassativamente di non andare oltre la fine del mese di aprile per mettere a dimora le pianticelle, affinché potessero usufruire di un periodo ancora piovoso e scampare il primo sole a capofitto. E quindi la première si fece per l’appunto un ultimo sabato di aprile in cui (fatalità?) Giove pluvio pensò bene di contribuire del suo a preparare il terreno. Un cielo plumbeo alla Capo Horn, una pioggerellina insistente e appiccicosa da lustrare il Righi quanto le colline del Connemara, un maestrale fuori stagione che giocava a spegnere il cerino con cui Chicco Luzzati cercava di riattivare la sua pipa, il legittimo dubbio che mai e poi mai nessuno si sarebbe avventurato con quel tempaccio su per lo sterrato delle Baracche.

E invece, come per incanto, un quarto d’ora prima dell’orario stabilito per il rendez-vous ecco l’ultima gomitata del maestrale spingere di lato l’ultima nube, un incredulo raggio di sole intrufolarsi tra le conifere e in fondo alla curva apparire prima una coppia, poi un manipolo, un drappello e alla fine tutta una fila di sagome che si avvicinavano di buon

passo. Non più grisaglie e doppiopetti, gessati e finissimi tailleur, ma stivalacci di gomma e giacche a vento, pantaloni di fustagno e guanti da lavoro e badili e picconi e pale e un sorriso largo così con cui salutavano il loro Presidente: «Quando si comincia?».

Da qualche parte, negli archivi dei giornali o delle televisioni genovesi, deve esserci ancora qualche immagine di quella mattina, di una moltitudine di imprenditori arrampicati su un costone erboso, dei fratelli Attanasio in una perfetta mimetica da marines, della Titti Farina o della Rossana Revello con il fard inzaccherato, di Gianni Calcagno con il furore stachanovista del futuro Presidente, di un mirabile Titti Oliva in ginocchioni a piantare anche lui il suo albero e intorno il suo cane a saltare, felice di tanta libertà. Quando il mio presidente Luzzati, anni dopo, è mancato, sono tornato un giorno a controllare per lui quel costone erboso e l’ho rassicurato che qualche pianta non ha attecchito, qualche altra è seccata, qualche altra ancora si è divelta, ma la maggior parte ha resistito, ha piantato le sue radici, chi più chi meno è cresciuta e continua a fare il suo lavoro, per oggi e per domani.

Come le nostre imprese.● Guido Conforti è Direttore Generale di Confindustria Genova

INTITOLAZIONE LARGO AROLDO CHICCO LUZZATI Il 28 ottobre scorso a Santa Maria del Campo (Rapallo) si è svolta la cerimonia di intitolazione ad Aroldo Luzzati del largo antistante il Centro latte Rapallo, azienda di cui lo stesso Luzzati fu Amministratore Delegato dal 1990 al 2003, anno della sua prematura scomparsa. L’iniziativa è stata promossa da parenti e amici di “Chicco” (come veniva chiamato) Luzzati e concessa dal Comune di Rapallo per ricordare l’opera e l’ingegno dell’imprenditore.n

Dal libro Rapallesi & Rapallini

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GIOVANI

di Jacopo Callà

A metà

strada Il Gruppo under 40 di Confindustria Genova raddoppia: più associati, più partecipazione, più valore. E non finisce qui.

Negli ultimi due anni il nostro Gruppo Giovani Imprenditori ha vissuto una crescita che, prima ancora che nei numeri, si misura nell’energia e nella partecipazione che oggi si respirano ad ogni incontro. Siamo passati da circa 50 a 110 iscritti, più che raddoppiando la nostra base in meno di ventiquattro mesi. Un risultato tutt’altro che scontato, che racconta di un gruppo vivo, attrattivo, capace di intercettare bisogni reali e di offrire occasioni concrete di confronto, crescita e relazione.

Quando ci siamo dati l’obiettivo di arrivare a 200 iscritti, qualcuno lo ha definito ambizioso. Oggi quel traguardo non solo appare realistico, ma rappresenta una direzione chiara che continua a guidare le nostre scelte. Non si tratta di “fare numeri”, ma di costruire una comunità imprenditoriale sempre più ampia, eterogenea e rappresentativa, in cui giovani imprenditori e imprenditrici possano riconoscersi, portare valore e trovarne altrettanto.

La crescita del Gruppo va di pari passo con un calendario sempre più ricco di appuntamenti e progetti, che nei prossimi mesi coinvolgerà sia la nostra territoriale sia il livello nazionale. Vogliamo essere protagonisti, non spettatori: presenti nei luoghi in cui si costruiscono visioni, si condividono esperienze e si affrontano insieme le sfide dell’impresa contemporanea. Il dialogo con il sistema Confindustria, a tutti i livelli, è per noi una leva fondamentale per amplificare l’impatto delle iniziative e offrire ai nostri associati opportunità di valore crescente.

In questo percorso confermiamo e rafforziamo alcuni format che hanno dimostrato di funzionare. “Un aperitivo con” resta uno dei momenti più apprezzati: informale, accessibile, ma al tempo stesso capace di generare confronto autentico con imprenditori, manager e rappresentanti delle istituzioni. È proprio in questi contesti che spesso nascono le conversazioni più interessanti e le relazioni più durature.

Continua anche il programma di mentoring in collaborazione con l’Università, un progetto in cui crediamo molto perché mette in relazione mondi diversi ma complementari: quello accademico e quello dell’impresa. Un’iniziativa che non solo supporta i giovani talenti, ma arricchisce anche gli imprenditori coinvolti, stimolando uno scambio reciproco di competenze, punti di vista ed esperienze. Un altro elemento distintivo del nostro modo di fare associazione sono i direttivi ospitati nelle aziende. Entrare nei luoghi in cui l’impresa prende forma ogni giorno, confrontarsi direttamente con chi li vive e li guida, ci permette di mantenere un approccio concreto, aderente alla realtà e lontano da ogni astrazione.

Guardando avanti, l’obiettivo è chiaro: continuare a crescere, in modo sano e sostenibile, mantenendo al centro le persone, le relazioni e la qualità delle proposte. Il percorso verso i 200 iscritti non è solo un traguardo numerico, ma il simbolo di un Gruppo che vuole contare sempre di più, mettendosi al servizio del territorio e del sistema imprenditoriale con entusiasmo, competenza e visione.● Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025 71

COMUNICAZIONE

di Francesco Ferrari

35 anni di professione nella comunicazione d’impresa tra storia, aneddoti, personaggi e curiosità.

Di seguito pubblichiamo la prefazione, a cura di Francesco Ferrari, del libro “Per favore non chiamatemi PR”, edito da Sagep, in cui Roberto Stasio ripercorre con sensibilità e ironia oltre trent’anni di esperienza nel campo della comunicazione. Presentato a novembre, il ricavato della vendita del libro sarà interamente devoluto alla Comunità di Sant’Egidio per la “Scuola della Pace”, iniziativa dedicata ai bambini che vivono in situazioni di fragilità.

••• Quando si dice: «Ne fanno uno e buttano via lo stampo».

Ecco, Roberto Stasio è esattamente quel tipo di esemplare.

Uno che oggi non si trova più nemmeno nelle migliori botteghe artigiane della comunicazione. Non perché sia un pezzo da museo - benché qualche aneddoto qui dentro potrebbe meritare un’esposizione permanente - ma perché appartiene a un’epoca, che poi è anche la mia, in cui il mestiere del comunicatore, come quello del giornalista, si faceva con la voce, lo sguardo, la stretta di mano. Con il caffè al bar, la chiacchierata fuori dalla redazione, i pranzi

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che duravano il tempo di spiegarti una notizia. Leggere queste pagine è un po’ come sfogliare l’album di famiglia di una professione che, senza che ne accorgessimo, ha attraversato nel giro di tre decenni altrettante epoche. La comunicazione aziendale - oggi tutta algoritmi, slide, brand identity e report da 98 pagine infarcite di engagement e KPI - fino a non molto fa era fatta soprattutto di nomi e cognomi. Di persone vere, spesso anche un po’ ingombranti. Di telefonate fatte per il piacere di parlare, non per “calendarizzare un brief”. Era una comunicazione che non si accontentava di comunicare. Doveva creare relazioni, storie, affinità elettive. E, quando le condizioni lo permettevano, amicizie.

Roberto, in questo, è stato un pioniere. Ma non uno di quelli con la bandiera e il machete. Ha scelto piuttosto di essere, come ha fatto l’amico comune Luca Barabino, un esploratore gentile. Ha frequentato aziende e giornali con la curiosità di chi sa che ogni storia merita di essere raccontata, e con l’invidiabile leggerezza - quasi zen - di chi non si prende mai troppo sul serio, ma prende terribilmente sul

serio le persone che incontra lungo la sua strada. Chi ha avuto la fortuna di lavorarci insieme, anche dall’altra parte della barricata come il sottoscritto, lo sa: con Roberto non si parlava solo di bilanci, comunicati stampa e conferenze.

Si parlava, come succede ancora adesso, di vino, di famiglia, di cronaca, di calcio. Dei nostri rifugi liguri: la sua Val d’Aveto e la mia Val di Vara. Di quel vecchio cronista che aveva fatto la guerra e fino all’ultimo giorno di lavoro correggeva le bozze con la matita blu. Di quell’armatore che sembrava un personaggio di Verga, ma con il Blackberry. O di quell’imprenditore ligure che sapeva riconoscere un bravo comunicatore da come ordinava il pesce al ristorante.

E poi, naturalmente, ci sono i tanti episodi vissuti, che Roberto racconta con magistrale ironia in questo libro. Che si aggiungono ai tanti altri che non racconta, perché se c’è una cosa che i nostri mestieri ci hanno insegnato è che lo spazio è sempre tiranno. Come quella volta in cui mi accompagnò a intervistare un pezzo grosso dell’economia italiana. Uomo importante, scrivania imperiale, intervista molto attesa. A metà dell’incontro, però, squilla il telefono: è uno dei figli. In pochi secondi, l’atmosfera da “Forbes” si trasforma in quella di un pranzo di Natale con gli zii litigiosi.

Una lite furiosa, parole grosse, tutto in diretta. Io, attonito.

Roberto mi guarda con quello sguardo da “abbiamo visto di peggio”, e fa un piccolo cenno, come a dire: fai finta di niente. Io capto il segnale al volo. Simulo una telefonata, mi alzo ed esco dalla sala. Lui sussurra un “grazie” liberatorio. Non per aver salvato la situazione - l’aveva già salvata lui con il suo aplomb - ma per aver capito. Per aver avuto la delicatezza di sparire nel momento giusto. Anche questo, in fondo, è comunicare.

Questo libro è una raccolta di aneddoti, certo. Ma è anche una cartografia sentimentale di un mondo che ha cambiato pelle. Il giornalismo oggi corre, si aggiorna, rincorre i social, conta i click, misura i caratteri, accorcia i tempi. E probabilmente è giusto così: in fin dei conti, fermare il progresso è

Roberto Stasio con gli ex colleghi

un esercizio illusorio che se non controllato sfocia rapidamente nel grottesco. La comunicazione, nel frattempo, si è fatta fluida, digitale, predittiva. Ma non è certo diventata più umana. Il tempo per raccontarsi si sta riducendo a una caption su LinkedIn, a un pollice alzato su Facebook. Il margine per sbagliare è diventato un rischio calcolato da una piattaforma. Le relazioni? Quelle, ammesso che esistano, si tengono in piedi con i reminder del Crm, altro che aperitivi al bar Mangini.

Ecco perché il libro di Roberto, senza volerlo, è anche un piccolo manifesto di resistenza. Un invito gentile, e mai nostalgico, a ricordare che dietro ogni logo, ogni articolo, ogni azienda, ci sono le persone. Quelle vere. Con la loro voce, i loro tic, le loro passioni, i loro silenzi, le loro debolezze. Quelle che non ti mandano una mail per dirti “sei importante per noi”, ma ti chiamano. Magari all’ora di pranzo, il sabato, o a ferragosto. E magari solo per sapere come stai.

Chi leggerà queste pagine troverà uno stile che è tutto suo: ironico, affilato, a volte persino irriverente. Perché Roberto è così. Dice le cose come stanno, ma senza ferire. Ti fa ridere mentre ti fa pensare. Ti racconta una storia e, senza che te ne accorga, ti insegna qualcosa su come si comunica, e su come si vive. Non aspettatevi quindi un manuale, né un memoriale. Questo libro è qualcosa che assomiglia a un viaggio in compagnia di un narratore che ha la rara qualità di non pretendere di insegnare nulla al lettore, pur avendo una carriera che potrebbe riempire tre LinkedIn e due curriculum in formato europeo. È un viaggio dentro una memoria professionale che, a differenza delle email aziendali, vale la pena di conservare.

E allora buona lettura, buon divertimento. E soprattutto: grazie, Roberto, per avere raccontato in modo così leggero un mondo tanto complicato.● Il libro è in vendita online (Amazon, Ibs, Feltrinelli, Mondadori, Wuz, Hoepli ecc.) oltre che nelle principali librerie della città.

FONDAZIONE ANSALDO

di Vanda Moroni

Cibo

e fatica

Questo piccolo viaggio parte dall’Ottocento, che in Italia è stato un periodo di profonde contraddizioni e di fermento storico. La vita, e di conseguenza l’alimentazione, era influenzata dalla geografia, dal clima e da un forte divario tra le classi sociali.

La maggioranza della popolazione era costituita da contadini, braccianti e dalle classi povere urbane, la cui dieta era, per necessità, semplice e prevalentemente vegetale. La base dell’alimentazione era stabilmente costituita da cereali, spesso sotto forma di pane grezzo o farinate, da legumi come fagioli, ceci, lenticchie e da verdure di stagione disponibili localmente. Il concetto di “cucina del recupero” non era una condotta morale, ma una necessità, non esistevano scarti, e ogni avanzo era valorizzato al limite.

La povertà era diffusa, non solo un disagio economico, ma una minaccia costante alla salute pubblica. Il quadro era completato da periodiche carestie, cattivi raccolti e dalla diffusione di malattie legate alla malnutrizione e alla carenza di vitamine. Nel Nord Italia la polenta di mais era un alimento fondamentale. Economica, nutriente e semplice da

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La dieta della classe operaia.

preparare, divenne il pilastro della dieta contadina, ma era povera di vitamine, la cui carenza scatenava la temuta pellagra. Questa malattia con sintomi dermatologici, digestivi e neurologici divenne un tragico simbolo della miseria del Nord Italia decimando intere comunità.

Al Sud, il perno centrale era il grano duro: pasta e pane, con un consumo significativo di olio d’oliva e pesci locali, una dieta certamente più bilanciata ma non per questo meno segnata dalla fame.

Il consumo di carne era, per tutti, limitato a poche occasioni festive come Natale, Pasqua e matrimoni, o a tagli meno pregiati come frattaglie e carni grasse, mentre più frequentemente si consumavano insaccati e formaggi a pasta dura, fonti di grassi e proteine. Il vino, spesso di produzione domestica, era una bevanda comune a ogni età, anche per ragioni igieniche perché più sicuro dell’acqua non depurata, e come fonte calorica aggiuntiva. Lo zucchero era un bene di lusso, e il suo utilizzo limitato alle fasce più ricche della popolazione e alle ricorrenze straordinarie.

Solo le classi più agiate potevano permettersi un maggior

Mensa refettorio delle Officine Allestimento Navi Ansaldo Molo Giano Porto di Genova, 1913 Parete del pittore Domenico Cantatore nella mensa sala pianterreno dello stabilimento Ansaldo San Giorgio di Campi,1955.jpg Parete del pittore Domenico Cantatore nella mensa sala pianterreno dello stabilimento Ansaldo San Giorgio di Campi,1955

Mensa impiegati della Compagnia Generale di Elettricità di Milano, 1950 circa

consumo di carne, anche di diverse tipologie, pesce, latticini, uova e dolci, le occasioni sociali erano spesso accompagnate da banchetti ricchi di portate. Il cibo era inteso come status sociale e fenomeno politico-culturale.

L’Italia non era un’unica nazione culinaria, ma un mosaico di tradizioni regionali rigidamente separate e spesso isolate, una totale frammentazione culturale e politica, ancora divisa in diversi Stati, ognuno con le proprie tradizioni.

I trasporti lenti e costosi, basati su carrozze e carri, aggravavano questa frammentazione, limitando la diffusione di alimenti freschi sulle lunghe distanze, ma l’avvento di rotaie e binari, come un sistema vascolare che irrora un corpo, crea un primo abbozzato scheletro metallico, collegando località prima irraggiungibili, spostando merci e uomini.

Le persone, per poter lavorare e nell’ottica di un futuro migliore, vennero catapultate in un mondo industriale sconosciuto. A milioni, spinti dalla speranza di una vita più felice o semplicemente dalla disperazione di una terra che non bastava più, furono sbalzati dal paesino sperduto a picco sul mare o dalle lande desolate del Sud, in un mondo urbano e industriale a loro sconosciuto: la fabbrica.

La dieta “mediterranea” come la intendiamo oggi, con i benefici dell’olio d’oliva, del pesce e di un abbondante consumo di frutta e verdura, era ancora in fase di evoluzione e non rappresentava l’alimentazione quotidiana per la maggior parte degli italiani, e per lavorare in fabbrica era necessario un grande apporto di calorie, per sostenere uno sforzo fisico massiccio e continuativo.

Prima dell’avvento delle mense aziendali, il pranzo degli operai rifletteva le dure condizioni di lavoro e di vita dell’epoca.

Non esisteva un sistema organizzato dalle aziende, la responsabilità ricadeva interamente sul lavoratore e sulla sua famiglia, il pranzo di solito era ridotto agli avanzi della sera precedente e consumato in condizioni igieniche precarie.

Il cibo si portava da casa in una pentola, in un piatto infagottato e poco pratico, consisteva in avanzi di pane, polenta e qualche verdura, consumato direttamente sul posto di lavoro accanto a macchinari sporchi e rumorosi, in fretta per non perdere tempo. Un miglioramento fu l’introduzione di stufe o piastre messe a disposizione, che consentivano ai lavoratori di scaldarsi il pasto.

A partire dai primi anni del ‘900 in alcune fabbriche si diffusero i refettori, non erano ancora mense con servizio, ma

portapranzo, divenne rapidamente un’icona del boom economico simboleggiando la modernizzazione delle abitudini.

Non solo un recipiente, ma un pezzo della storia italiana.

L’oggetto, noto come “La 2000” è esposto permanentemente al Museo del Design della Triennale presso la Villa Reale di Monza.

Dal pane e polenta mangiati in fretta accanto a un tornio, l’operaio italiano conquista un pasto caldo e igienico, segnando il passaggio definitivo dalla semplice sussistenza alla possibilità di una vita più organizzata e più salubre.

Le aziende iniziarono a comprendere che la salute e l’alimentazione dei dipendenti potevano influenzare direttamente la produttività, fornire un pasto caldo e sano agli operai significava avere lavoratori meno assenti, più energici e motivati.

In Italia, in particolare, le mense si diffusero in maniera significativa negli anni ‘60, un periodo di grande fermento economico e trasformazione sociale. Questa espansione fu resa possibile grazie anche alle importanti conquiste sociali ottenute dai sindacati, i quali, in un’ottica di miglioramento del benessere e della produttività, le inclusero attivamente tra i diritti dei lavoratori, un simbolo concreto del progresso nei rapporti tra capitale e manodopera.

In anni recenti entra in scena un nuovo protagonista: il buono pasto. È figlio della tecnologia, dei nuovi ritmi e di una società sempre più mobile. Da strumento di welfare, pensato per sostenere l’economia famigliare, diventa presto anche un segnale di trasformazione profonda, perché da un lato amplia le possibilità - la pausa pranzo non è più vincolata alle mura dell’azienda - dall’altro erode, quasi impercettibilmente, quella socialità spontanea che per decenni aveva fatto delle mense un luogo di confronto, scambio, piccole alleanze quotidiane.

La scena cambia: il tavolo condiviso lascia il posto a pause individuali e rapide. In quella rarefazione si avverte l’eco di una società che corre veloce, dove la comunità si fa più leggera, meno sedimentata. Così, il percorso delle mense aziendali racconta in controluce l’evoluzione del lavoro stesso, in cui il pasto non è più solo nutrimento ma termometro dei legami interni all’azienda.● Mensa Ansaldo di Molo Giano, 1913

sale spoglie con grandi tavoli di legno in cui gli operai potevano riunirsi per mangiare il cibo portato da casa, mentre altre, come l’Ansaldo, si attrezzarono per servire il pasto.

Nel 1917 il direttore della Fabbrica Tubi Ansaldo di Genova Fegino richiese di aumentare gli spazi destinati al consumo dei pasti dei dipendenti, suggerendo l’utilizzo dello Chalet Cervisia, un edificio adeguato alle esigenze e nelle vicinanze dello stabilimento.

In linea con le tendenze architettoniche e sociali del tempo, vennero quindi realizzati o pianificati appositi edifici, l’uso dello stile modernista e le grandi dimensioni di questi fabbricati non solo rispondevano all’esigenza di sfamare un elevato numero di dipendenti, ma li trasformavano anche in luoghi per manifestazioni pubbliche.

Il servizio mensa organizzato dalla Olivetti, istituito nel 1936 a Ivrea, in un periodo in cui l’azienda contava circa 2.000 dipendenti, era stato ideato per servire i lavoratori che provenivano da fuori e non potevano tornare a casa per la pausa pranzo.

La centralità della mensa fu evidenziata anche dalla progettazione strutturale. Nel 1953, Adriano Olivetti commissionò all’architetto Ignazio Gardella (in collaborazione con l’urbanista Roberto Guiducci) il progetto per la nuova mensa aziendale, completata intorno al 1961.

L’Ansaldo, molto sensibile al tema della comunicazione, si avvalse di artisti per la decorazione degli ambienti, tra cui il pittore Domenico Cantatore che affrescò la grande parete nella sala mensa al pianterreno dell’Ansaldo San Giorgio di Campi.

Nel 1952 Renato Caimi inventò e brevettò la mitica “schiscetta”, un termine milanese ormai entrato nel vocabolario nazionale. In alluminio, materiale leggero e buon conduttore di calore, e con chiusura ermetica, impediva al cibo di rovesciarsi o di essere contaminato durante il trasporto, permetteva ai lavoratori di immergere questi recipienti, spesso dotati di un manico o gancio, in vasche di acqua calda, riscaldando il cibo a bagnomaria e consumandolo direttamente dal contenitore stesso, eliminando la necessità di piatti e riducendo il disordine.

La “schiscetta”, detta anche gamella, o più comunemente

LA CITTÀ

Tecnologia da vivere Genova Smart Week, quasi 10mila partecipanti all’11ª edizione che per la prima volta ha abbracciato tutta la città.

L’11ª edizione della Genova Smart Week - “A new vision for urban living” si conclude con un bilancio di quasi 10mila partecipanti complessivi tra conferenze ed eventi diffusi, avendo riunito 188 speaker e 93 partner e presentato a cittadini e addetti ai lavori più di 50 progetti e nuove sinergie nati dalla collaborazione tra istituzioni, imprese e mondo della ricerca.

Per la prima volta la rassegna ha abbracciato tutta la città: accanto alle immancabili conferenze a Palazzo Tursi con cui, ogni anno, Comune di Genova e Associazione Genova Smart City fanno il punto sui progetti di innovazione tecnologica e digitale in atto, infatti, la Smart Week si è articolata in una serie di appuntamenti da levante a ponente.

Tra questi, l’evento finale del Genoa Global Goals Award al Palazzo della Borsa, l’edizione zero di “Crazy for Startup” all’ex ospedale psichiatrico di Quarto, le dimostrazioni della piattaforma Intelligent Urban Mobility al Mobility Lab del Porto Antico, la sessione sui progetti di partecipazione dal basso al Memoriale 14 Agosto 2018 di via Argine Polcevera e la visita alla Casa delle Tecnologie Emergenti all’ex stazione ferroviaria di Genova Pra’.

A coronamento di questa settimana di iniziative, l’immancabile Smart City Experience che nel weekend ha portato in piazza De Ferrari veicoli elettrici e ibridi di nuova generazione, a disposizione di tutti per una prova su strada.

«La Genova Smart Week dimostra come la trasformazione digitale della nostra città sia ormai un percorso condiviso e partecipato - commenta Francesca Coppola, Assessora all’Urbanistica e alla Smart City del Comune di Genova -.

Portare gli appuntamenti da levante a ponente ha significato coinvolgere realmente i territori, valorizzando esperienze, competenze e progettualità che stanno rendendo

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Genova un laboratorio urbano sempre più innovativo e sostenibile. La grande partecipazione di cittadini, imprese e mondo della ricerca conferma che la Smart City non è un modello astratto, ma un impegno concreto nel migliorare i servizi, favorire la mobilità intelligente, promuovere l’inclusione e costruire spazi pubblici più vivibili. Continueremo a lavorare affinché l’innovazione sia un motore di crescita accessibile a tutti, capace di connettere persone, idee e opportunità per la Genova del futuro».

«In questa settimana - riflette Nicola Valentino Canessa, presidente dell’Associazione Genova Smart City - abbiamo fatto conoscere cos’è una Smart City, ma soprattutto cosa può essere, in preziosi momenti di incontro con le aziende, le associazioni, i ricercatori, gli studenti e i semplici cittadini.

Lo abbiamo fatto nel solco del nuovo corso che vogliamo imprimere alla nostra Associazione, privilegiando un approccio urbano capace di tenere insieme tutti i fronti su cui costruire il futuro della città: la sostenibilità ambientale e sociale, il rilancio del verde pubblico e il coinvolgimento attivo della cittadinanza. L’innovazione tecnologica, infatti, non deve essere fine a sé stessa, ma mettersi a disposizione della comunità per renderla più giusta, inclusiva ed efficiente, migliorando i servizi offerti ai cittadini e, in definitiva, la loro qualità della vita. Perché la Smart City deve essere un mezzo, e non il fine».

La Genova Smart Week è stata promossa dall’Associazione Genova Smart City e dal Comune di Genova con il supporto organizzativo di Clickutility Team, la partecipazione dei main partner Banca Passadore e TIM e dei gold partner Enel e Movyon, e con il patrocinio di RAI Liguria.

Sul sito ufficiale www.genovasmartweek.it sono disponibili gli atti ufficiali e le registrazioni delle sessioni.● (M.G.)

ph Bardelli

Genova Impresa -

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LA CITTÀ

di Maria Fontana Amoretti

Progettazione culturale ed educativa per creare valore e benessere.

Dal 20 al 22 novembre si è svolta a Palazzo Ducale la quarta edizione della rassegna Visioni: tre giornate di incontri, spettacoli e laboratori dedicati al tema della progettazione culturale ed educativa.

Organizzata dai Servizi Educativi di Palazzo Ducale, la rassegna è diventata, in soli quattro anni, un punto di riferimento e un appuntamento molto atteso da parte di un’ampia e variegata comunità di stakeholder - progettisti culturali, educatori museali, docenti, atelieristi e famiglie.

Il titolo scelto per questa edizione, Regolare l’obiettivo, è allo stesso tempo una dichiarazione programmatica e metodologica: una metafora fotografica che allude alla capacità di compiere una scelta, di prendere posizione. Un gesto apparentemente tecnico che implica invece consapevolezza, capacità di osservazione, senso critico.

Nel regolare l’obiettivo riconosciamo l’importanza dell’inquadratura, ovvero la scelta del punto di vista, consapevoli che ogni prospettiva è solo una tra le tante possibili e che il confronto con angolature diverse arricchisce la comprensione. Sicuramente, sviluppare nel pubblico, a maggior ragione quello scolastico, queste competenze e questo livello di consapevolezza costituisce uno degli obiettivi principali della programmazione educativa di Palazzo Ducale.

Con queste premesse, penso sia importante sottolineare, innanzitutto, il format della rassegna Visioni, costruito per rendere evidente una convinzione che ci accompagna da sempre: la progettazione educativa è una pratica complessa

80 Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025

e deve intrecciarsi, fin dalle prime fasi, con la progettazione culturale. Per questo gli incontri di Visioni coinvolgono non solo esperti di didattica, ma anche professionisti di diversi ambiti: direttori e conservatori di musei, architetti e progettisti di allestimenti, grafici e visual designer, artisti, scrittori, pedagogisti e musicisti.

Da questo dialogo polifonico nasce una riflessione condivisa sull’importanza di pensare alla progettazione culturale ed educativa in termini non solo di valore assoluto ma di valore per la comunità.

Proprio su questi aspetti si è concentrata la relazione di Luca Dal Pozzolo, architetto e presidente di Fitzcarraldo Engeneering, che ha aperto la prima giornata affrontando il tema di porre il visitatore al centro della progettazione di un allestimento museale: sembra banale, ma nella pratica non sempre gli allestimenti tengono conto del pubblico, seguendo altre priorità e altri metri di paragone.

Come ha detto Dal Pozzolo, è necessario abbracciare l’alterità per poter progettare con gli occhi degli altri e rendere un allestimento realmente efficace per chi ne fruisce. È in questa prospettiva che nasce la necessità di coltivare il rapporto con il pubblico - anzi, con i pubblici, nella loro straordinaria varietà - per poterne cogliere gli umori e gli interessi, per stimolarne le curiosità, per suscitare passioni: e, in ultima analisi, per creare valore.

Un valore multidimensionale e misurabile, che non si esaurisce nella quantificazione numerica dei risultati, ma che si

allarga alla dimensione del benessere apportato alla collettività: un benessere fisico ed emotivo, che nasce dal raggiunto equilibrio tra sé, gli altri e l’ambiente circostante.

Annalisa Cicerchia e Silvia Mascheroni hanno affrontato entrambe, secondo prospettive diverse ma complementari, il tema del welfare culturale: la capacità di cura che la cultura di per sé possiede, il potenziale di rigenerazione, il grado di gioia e di appagamento che riesce a offrire a chi ne fa esperienza. Valutarne l’impatto può offrire indicazioni

preziose per una progettazione mirata, in grado di rispondere alle necessità dei pubblici.

A questo proposito, è significativo che l’incontro di Massimiliano Tappari, Stupore a km zero - un fotografo che è anche un po’ poeta e sa guardare a ogni piccolo aspetto della quotidianità con sguardo ironico e sensibile - sia stato inserito anche nel programma dei Venerdì per la cultura del Creamcafé, progetto che ha lo scopo di far condividere le problematiche legate alla possibilità di preservare per quanto possibile le attività cognitive cerebrali riunendo, in un ambiente non escludente e partecipativo, le persone con e senza disturbi cognitivi, partendo dal presupposto scientifico che lo svolgere con assiduità attività cognitive potrebberitardare la comparsa dei sintomi legati alle malattie cronico degenerative cerebrali.

In ogni caso, al termine delle sessioni seminariali, bastava osservare i partecipanti ai workshop per coglierne l’effetto a dir poco rigenerante.

Per ogni laboratorio, lo spunto delle attività era sempre un’esperienza culturale - la visita alla mostra Moby Dick.

La balena o a quella Paolo Di Paolo. Fotografie ritrovate o, ancora, la lettura di alcune pagine di un libro.

Da queste esperienze, opportunamente condotte da artisti, compositori, fotografi, illustratori, sono scaturiti intensi momenti di gruppo, di quelli che creano comunità, condivisione: attività gestuali, in grado di liberare l’espressività e suscitare empatia e senso di partecipazione; spunti di riflessione, da condividere con il gruppo; azioni visive di forte impatto immersivo. Un modo per vivere in prima persona i contenuti culturali e trarne motivo di benessere.● Maria Fontana Amoretti è Responsabile Servizi Educativi e Culturali di Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura

CULTURA E SOCIETÀ

di Luciano Caprile

Emanuele Luzzati

Viaggio incantato tra alcuni capolavori letterari reinterpretati dal genio del Maestro genovese.

Lele Luzzati abitava in uno degli ultimi palazzi di via Caffaro. Tanti anni fa andai a suonare alla sua porta: mi venne ad aprire la madre novantenne che, introducendomi nel suo studio, disse: «È lì che si diverte», come se si trattasse di un bambino alle prese coi giocattoli. In effetti Lele stava collocando su un fondale di cartone, illuminato dalla sua straordinaria fantasia, i personaggi da fotografare nei vari movimenti per creare quei film di animazione che lo avrebbero reso celebre. E si divertiva; come si divertiva coinvolgendomi nelle sue storie in perpetuo divenire!

La mostra intitolata “Luzzati. I sentieri dell’Ottocento”, che sarà visitabile fino al 24 maggio del prossimo anno alla Casa Luzzati di Palazzo Ducale, va goduta, come sempre, affidandosi a quell’incomparabile approccio creativo che gli permetteva di affrontare ogni argomento con la stupefa-

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zione di una eterna fanciullezza. Una stupefazione, innanzitutto sua, nel veder nascere e crescere tali immagini, in grado di far recuperare a tutti gli osservatori certe magie svanite con la prima infanzia.

Anche la rivisitazione, come in questo caso, di certi capolavori dell’Ottocento diventava per lui un modo dilettevole di tradurre un mito in un rito di ricomposizione fantastica.

Un caso emblematico riguarda i “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni illustrati nel 1842 da Francesco Gonin.

Ebbene Luzzati trasforma la riverente solennità di quelle immagini in gioiosa e giocosa allusione o illusione narrativa.

Invece il “Pinocchio” di Carlo Collodi si ritrova qui reinventato in acqueforti, serigrafie e in una serie di bozzetti che hanno costituito la base scenografica dello spettacolo “Pinocchio lirico” rappresentato nel 1985 al Teatro della

Tosse con la regia di Tonino Conte. Con “Alice nel paese delle meraviglie”, il capolavoro di Lewis Carrol, Luzzati entra nello spirito visionario e surreale dell’autore aggiungendo meraviglia e libertà interpretativa a questo inno al nonsense. Ne scaturisce un rinnovato incanto per i bambini e per gli adulti che possono tornare a loro volta bambini. Quindi egli interpreta le melodie di Gioachino Rossini con una sequenza di bozzetti, stampe, incisioni e serigrafie: così rinascono in incomparabili rappresentazioni capolavori come “L’italiana in Algeri”, “Semiramide” e il “Barbiere di Siviglia”. La sua fantasia si appropria anche dell’atmosfera leggera e poetica trasmessa da “L’elisir d’amore” di Gaetano Donizetti. E non potevano mancare in questa rassegna ottocentesca le fiabe di Jacob e Wilhelm Grimm: nel 1988 sarà raccolta la magica versione di Luzzati in un volume edito da Olivetti.

Questa mostra è anche un omaggio a Sergio Noberini, recentemente scomparso, che l’aveva ideata. Ed è un prezioso omaggio a tutti noi che in tal modo possiamo rivivere e ripercorrere con lui lontane, inenarrabili emozioni.●

Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025 83

CULTURA E SOCIETÀ

MobyLaDick.

Balena Dall’antichità all’arte contemporanea, un’immersione tra avventura e allegoria dell’esistenza.

Nel passato la balena ha sempre affascinato l’uomo come esempio di una mostruosità che poteva ergersi all’improvviso di fronte alle imbarcazioni che solcavano i mari col rischio di diventarne il repentino nutrimento. D’altro canto la sua maestosa imponenza da regina dell’oceano poteva suscitare in chi l’ammirava da lontano un ossequioso rispetto.

La mostra “Moby Dick. La balena. Storia di un mito dall’antichità all’arte contemporanea”, a cura di Ilaria Bonacossa e Marina Avia Estrada, ospitata al Palazzo Ducale di Genova fino al prossimo 15 febbraio, affronta compiutamente l’argomento prendendo spunto dal romanzo di Herman Melville, pubblicato nel 1851. In questo capolavoro il capitano Achab insegue con ossessione una gigantesca balena bianca in un racconto prodigo di simbolismi e di riflessioni filosofiche. E l’avvio espositivo riguarda le versioni in diverse lingue dell’opera di Melville tra cui la prima edizione tradotta in italiano da Cesare Pavese e, compiendo un balzo temporale nell’arte contemporanea, riguarda anche una copia concepita da Emilio Isgrò cancellando in alcune pagine una parte di frasi per far emergere le immagini del racconto sul mastodontico cetaceo.

Ma la storia proposta al Ducale possiede mille sfaccettature espositive e interpretative. Raffigura nei passi iniziali anche un rimando al racconto di Giona inghiottito dalla balena ripreso da Melville, qui preceduto da un incontro con fanoni e altre parti di scheletro con l’accompagnamento dei “canti” delle Emilio Isgrò - Tail, 2023 - tecnica mista su tela montata su legno - 118 x 81 cm Collezione privata Alessandrini - Courtesy Archivio Emilio Isgrò e M77, Milano

Carsten Höller - Red Walrus, 2011 - Red-tinted soft polyurethane, blue glass eyes, giraffe tail hair 35x110x50 cm - Thyssen-Bornemisza Art Contemporary Collection Photo: Alessandro Zambianchi | Courtesy the artist, © Bildrecht, Vienna (2025)

Wu Tsang - Of Whales, 2022 - Real-time video, multi-channel audio installation 4+ hours, dynamic real-time loop - TBA21 Thyssen-Bornemisza Art Contemporary Collection Installation view: Wu Tsang of Whales. Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, 2023 - Photo: Roberto Ruiz

Wu Tsang - Of Whales, 2022 - Real-time video, multi-channel audio installation 4+ hours, dynamic real-time loop - TBA21 Thyssen-Bornemisza Art Contemporary Collection Installation view: Wu Tsang of Whales. Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, 2023 - Photo: Roberto Ruiz

Utagawa Kuniyoshi - Cattura e dissezione delle balene nel paese di Hizen, 1840 c. stampa xilografica policroma su carta - 38x77,9 cm Courtesy Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone, Comune di Genova Marzia Migliora - Paradossi dell’abbondanza #65, 2025. Diorama, collage e disegno su carta, elementi tridimensionali su tre basi rotanti di legno, 53, 35 cm, sacco di sale da 5 kg, piedistallo di acciaio cromato 139x200x130 cm. Courtesy: dell’artista; Palazzo Ducale, Genova; Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli.

Foto di Mariano Dallago

Marzia Migliora - Prey, 2020 - blocco di salgemma, arpione, corda, teca vittoriana - 290x193x84 cm Courtesy dell’artista; MUCIV-Museo delle Civiltà, Roma - opera acquisita grazie al Piano per l’Arte Contemporanea 2024 promosso da Direzione Generale Creatività Contemporanea, Ministero della Cultura - Foto di Mariano Dallago Janaína Tschäpe - Dormant (Bellidea), 2016 - Injekt on paper - 86.3 x 101.6 cm TBA21 Thyssen-Bornemisza Art Contemporary Collection

stesse balene che trova il suo culmine espressivo ed emozionale nella Cappella Dogale. Una sala è dedicata a “Prey”, un’opera di Marzia Migliora che riproduce un blocco di salgemma trafitto da un arpione: una metafora dell’intervento dell’uomo che cerca di utilizzare la forza della natura riducendola a semplice trofeo. E si procede tra immagini e rimandi concreti con presenze di piroghe, di oggetti, di manufatti e domande o risposte allusive come l’opera di Teresa Solar, proveniente dalla collezione Thissen-Bornemisza Art Contemporary, composta da due grandi chele a evocare contemporaneamente forme marine e meccaniche. E non poteva mancare un ricordo del “Moby Dick” portato in scena nel 1992 da Vittorio Gassman in occasione delle Colombiane.

«Per me la Balena Bianca è questo muro, che mi è stato spinto accanto. Talvolta penso che al di là non ci sia nulla, ma mi basta». Il bianco come muro invalicabile; l’importanza del bianco abbagliante, allucinante, impenetrabile di Melville identificato nel mostro che sembra attenderlo al varco come un replicabile destino. A questo inquietante bianco la rassegna del Ducale dedica un ampio vano che offre una sequenza artistica di opere concettuali e minimaliste: propongono un plissettato “Achrome” di Piero Manzoni, una sospesa estroflessione di Agostino Bonalumi, intitolata per l’appunto “Bianco”, una “Superficie bianca” nel lieve sussurro di Turi Simeti, le “Costellazioni” di Dadamaino che emergono come intermittenti e accennate tracce rosse dal candido sfondo che le genera.

Seguono sale con ulteriori installazioni che manifestano, tra l’altro,il contatto talora conflittuale tra l’uomo e la natura, quindi è la volta di opere provenienti dal Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone che documentano la caccia alla balena nell’Ottocento, poi si ammira un diorama di Marzia Migliora a evocare lo sfruttamento dei mari e il mito di Moby Dick. Chiude l’intero percorso un video immersivo di Wu Tang dove viene esibita la singolare interpretazione del mondo visto dalla prospettiva della balena. A corredo un breve filmato che accompagna virtualmente lo spettatore all’incontro con la Balena Bianca.

Come si vede quella di Moby Dick non è soltanto una storia avventurosa nutrita dalla fervida creatività del suo autore, ma è anche o soprattutto una spietata allegoria dell’esistenza voluta dallo stesso Melville.● (L.C.)

Joan Jonas - Moving Off the Land, 2016/2017 - Lecture performance with Joan Jonas, Ikue Mori, and Francesco Migliaccio - Commissioned by TBA21-Academy

86 Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025

Tra incontri, reading, mostre e voci diverse, il ruolo della manifattura nella cultura pubblica.

C’è un nuovo spazio, nel paesaggio culturale italiano, in cui l’industria, oltre a dare forma a beni e servizi, riesce a rappresentarsi per quello che può essere; un materiale vivo, capace di generare visioni, domande, coscienza critica.

Tale spazio è il Festival della Narrazione Industriale, un appuntamento che, in soli due anni, ha già conquistato un ruolo di rilievo nel panorama degli eventi “di sintesi” che mettono al centro il mondo del lavoro, la memoria riflessa della pratiche produttive e le forme contemporanee della sua narrazione. Il Festival si tiene a Parma in modalità “diffusa” (coinvolge diverse location in conferenze, mostre, laboratori, spettacoli) ed è organizzato da una rete di soggetti, in collaborazione tra mondo accademico, associativo, istituzionale e imprenditoriale. Fra i co-organizzatori figura l’Università locale, che partecipa attivamente alla costruzione del programma e alla definizione del Comitato Scientifico, presieduto dalla Prorettrice Isotta Piazza.

L’edizione 2025 del Festival si è appena conclusa con (prevedibile e meritato) successo.

Dopo sei giorni di iniziative le più varie - chi abbia interesse a consultare il programma completo può andare sul sito

www.festivalnarrazioneindustriale.it -, gli ultimi incontri si sono tenuti il 29 novembre scorso a Palazzo Soragna, sede dell’Unione Parmense degli Industriali, e hanno visto protagonisti Beppe Severgnini in dialogo con la sua collega giornalista Patrizia Ginepri su “La letteratura e l’industria americana” e... il grande Primo Levi, ispiratore dall’ombra, al teatro Europa, di un reading a due voci costruito da Carlo Varotti e Saverio Mazzoni (in veste di voce di Levi fuoriscena) sulla base del romanzo La chiave a stella.

L’ultimo Monitor sul Lavoro di Federmeccanica ha mostrato una “dissonanza cognitiva” nella comprensione che i cittadini hanno dell’importanza delle fabbriche per il sistemaPaese. Stando alle rivelazioni del Mol gli italiani, insomma, attribuiscono all’industria un ruolo ancora centrale per lo sviluppo, ma molto marginale nel loro immaginario. Detto in soldoni, non sanno connotare e qualificare cosa sia un’industria e, ancor meno, una fabbrica. Tanto che l’impressione è che queste due entità organizzative del lavoro siano uscite dalle rappresentazioni sociali di buona parte della popolazione, dopo che per tutto il Novecento avevano rappresentato il paradigma del Lavoro (con la L maiuscola).

Genova Impresa - Novembre / Dicembre 2025 87

INDUSTRIA E LETTERATURA

di Massimo Morasso

In un’epoca in cui l’industria è scivolata ai margini dell’immaginario collettivo, iniziative quali quella messa in campo a Parma sono tanto più utili e meritorie quanto più servono a sviluppare attenzione (anche mediatica) su ciò che altrimenti molto di rado riesce a emergere nella comunicazione mainstream: l’idea che l’industria non sia solo un agente economico, ma anche un prisma attraverso cui leggere la storia, la società, i territori che la ospitano, con i quali interagisce e sui quali incide.

Il cuore del Festival è la convinzione - che anche “Genova Impresa” ha maturato da anni e cerca, per quanto può, di veicolare - che letteratura e industria condividano un destino narrativo. Le fabbriche, gli uffici, gli imprenditori e le loro “storie” personali e/o di famiglia, i lavoratori che, spesso, ne affiancano le sorti, le trasformazioni tecnologiche, le riconversioni, i quartieri cresciuti attorno agli stabilimenti, i fallimenti e le rinascite: tutto ciò costituisce un repertorio narrativo ricco, complesso, pieno di potenzialità a diversi livelli. Eppure, dopo il volatile focus produttivo ed editoriale dei primi ani ‘60, storicizzato col nome-formula di “letteratura industriale”, la narrazione d’industria è stata sottovalutata, percepita perlopiù come materia minore rispetto ai prodotti e ai generi letterari centrati sull’individuo o su temi più universalmente riconosciuti.

Il Premio Biella Letteratura e Industria (dal 2001) e il Premio Letteratura d’Impresa (dal 2021), con poche altre iniziative analoghe di minor respiro sparse lungo lo Stivale, stanno provando a ribaltare questa gerarchia implicita, mostrando come raccontare l’industria significhi, in realtà, raccontare l’Italia. Con la sua natura ibrida, divulgativa e multifocale, il Festival di Parma ha il merito di aver osato allargare lo spettro del pubblico e dei media da coinvolgere e fidelizzare, portando allo stesso tavolo scrittori, storici, urbanisti, economisti, fotografi, operai, manager e studenti. Questa pluralità di voci e presenze è la cifra più forte dell’iniziativa: che non vuol essere una celebrazione autocelebrativa del mondo dell’industria, ma un luogo dove la storia e la memoria si confrontano con la ricerca, dove la testimonian-

za (tanto della proprietà, quanto dal lato impiegatizio o operaio) dialoga con la letteratura, e la critica sociale incontra l’analisi dei processi tecnologici. L’idea è che solo attraverso un intreccio di linguaggi sia possibile restituire alla dimensione industriale la complessità che le inerisce.

L’ottimo esito di questa lungimirante manifestazione di public awareness ci spinge a una riflessione sulle ragioni strategiche per cui, a nostro avviso, investire nel rapporto tra industria e letteratura sarebbe un “affare” per tutti: investitori, stakeholders e target di riferimento - target che, in questo caso, coincide con la società civile nel suo insieme.

Si tratta di ragioni che sono “culturali” esattamente per quanto sono “economiche” e “sociali”.

Riassumendo una serie di considerazioni di dettaglio, che rimandiamo come ovvio ad altra sede, queste ragioni sono quantomeno quattro: 1) la letteratura è un eccellente dispositivo di conoscenza della realtà industriale: i numeri raccontano cosa produce un’azienda; la letteratura può raccontare come e chi. Investire in progetti narrativi significherebbe quindi migliorare la comprensione pubblica dell’industria, colmando un vuoto di senso che dati, grafici e report non possono riempire; 2) la narrazione industriale può rafforzare l’identità delle aziende; 3) le storie industriali possono generare valore educativo; 4) la narrazione (la riflessione) può essere anche una forma d’innovazione, poiché può portare alla luce criticità e stimolare miglioramenti, in termini di auto-percezione.

Che le storie industriali possano generare valore educativo, lo attesta con forza d’esemplarità un’interessantissima esperienza nata in senso al Festival di Parma: una residenza artistica in fabbrica, che ha coinvolto il drammaturgo Emanuele Aldrovandi, della scuderia Einaudi. Chiamato ad affiancare per una settimana gli addetti di produzione della Laterlite (un’azienda produttrice di argilla espansa e di soluzioni per l’edilizia), Aldovrandi ha poi prodotto un monologo ad hoc, che è stato musicalizzato, teatralizzato e presentato al Museo Lombardi di Parma nel corso della kermesse.●