ASA Magazine Anno 3 – Numero 11 – Settembre 2019 – Rivista bimestrale
LA RIVISTA DELL’ ASSOCIAZIONE STAMPA AGROALIMENTARE ITALIANA Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 – Tutti i diritti riservati – Dir. Resp. Roberto Rabachino
Agromafie Salito a 24,5 miliardi di euro il volume d’affari
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ASA MAGAZINE n. 11/ 2019 – Settembre 2019 – Rivista Bimestrale Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 Direttore Responsabile N.11 / SETTEMBRE 2019 Rivista Bimestrale
Roberto Rabachino C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 direttore.asamagazine@asa-press.com
Redazione Centrale e Editing
Enza Bettelli C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 redazione.asamagazine@asa-press.com bettelli@asa-press.com
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Comitato di Redazione e Controllo
Roberto Rabachino, Giorgio Colli, Patrizia Rognoni, Riccardo Lagorio e Saverio Scarpino
Hanno collaborato a questo numero
Roberto Rabachino, Francesco Bruzzese, Michela Tassi, Enza Bettelli, Nicoletta Curradi, Jimmy Pessina, Giovanna Turchi Vismara, Franca Dell’Arciprete Scotti, Carmen Guerriero, Redazione Centrale
Per la fotografia
Nicoletta Curradi, Jimmy Pessina, Franca Dell’Arciprete Scotti, Enrico Romanzi, Giorgio Neyroz, Stefano Venturini, Carmen Guerriero
Sommario EDITORIALE Le mani della mafia sull’alimentare a cura di Roberto Rabachino, Presidente Nazionale ASA
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APPROFONDIMENTO Teresa Bellanova è la Ministra alle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali a cura Redazione Centrale
Gli Organi di Controllo nel settore agroalimentare in Italia di Francesco Bruzzese
Premio Casato Prime Donne, a Montalcino l’universo femminile protagonista di Michela Tassi
Dubbi e problemi di oggi a tavola, conoscerli per risolverli di Enza Bettelli
Anteprima dei Vini della Costa Toscana: appuntamento con le eccellenze di Nicoletta Curradi
Sulle orme del maestro Giacomo Puccini alla scoperta delle eccellenze gastronomiche lucchesi di Nicoletta Curradi
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BIO Agricoltura Biologica, i dati e le analisi del settore a cura Redazione Centrale
SANA 2019: oltre 900 espositori per un evento ancora più sostenibile a cura Redazione Centrale
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TURISMO NAZIONALE In Puglia turismo 365 giorni all’anno di Nicoletta Curradi
Cervinia, “capitale del paradiso della neve” di Jimmy Pessina
Giurdignano, il giardino megalitico del Salento di Giovanna Turchi Vismara
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Viaggio in Val d’Aosta
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Madonna di Campiglio, la perla delle Dolomiti del Brenta
di Franca Dell’Arciprete Scotti
di Carmen Guerriero
TURISMO INTERNAZIONALE
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Budapest, la città dei cinquecento caffè
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Kastellorizo, paradiso di luce e di emozioni
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Malta. Un’isola nel cuore del Mediterraneo
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di Jimmy Pessina
di Carmen Guerriero
di Giovanna Turchi Vismara
Algeria deserti e archeologia di Franca dell’Arciprete Scotti
Gobekli Tepe, la Stonehenge dell’Asia, tra mistero e stupore di Carmen Guerriero
AGROALIMENTARE NAZIONALE
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“Stoccafisso senza frontiere” ha concluso il programma della 27a edizione di Tipicità di Jimmy Pessina
Cheese: dal 20 al 23 settembre a Bra il naturale diventa protagonista a cura Redazione Centrale
AGROALIMENTARE INTERNAZIONALE
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Peperoncino, il frutto infuocato che accende i sapori di Enza Bettelli
NEWS DALL’ITALIA
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Il Circular Economy Manager fa le aziende green a cura Redazione Centrale
Le mani della mafia sull’alimentare Il volume d’affari complessivo annuale delle agromafie è salito a 24,5 miliardi di euro con un balzo del 12,4% nell’ultimo anno con una crescita che sembra non risentire della stagnazione dell’economia italiana e internazionale, immune alle tensioni sul commercio mondiale e alle barriere circolazione delle merci e dei capitali.
È
quanto emerge dal sesto Rapporto agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare e presentato a Roma. Una rete criminale che si incrocia perfettamente con la filiera del cibo, dalla sua produzione al trasporto, dalla distribuzione alla vendita, con tutte le caratteristiche necessarie per attirare l’interesse di organizzazioni che via via abbandonano l’abito “militare” per vestire il “doppiopetto” e il “colletto bianco”, riuscendo così a scoprire e meglio gestire i vantaggi della globalizzazione, delle nuove tecnologie, dell’economia e della finanza tanto che ormai si può parlare ragionevolmente di mafia 3.0. Le nuove leve mafiose in parte provengono dalle tradizionali “famiglie” che hanno indirizzato figli, nipoti e parenti vari agli studi in prestigiose università italiane e internazionali e in parte sono il prodotto di una operazione di “arruolamento”, riccamente remunerato, di operatori sulle diverse piazze finanziarie del mondo. I poteri criminali si “annidano” nel percorso che frutta e verdura, carne e pesce, devono compiere per raggiungere le tavole degli Italiani distruggendo concorrenza e libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta. Risultato: moltiplicazione dei prezzi, per l’ortofrutta anche triplicati dal campo alla tavola; pesanti danni di immagine per il Made in Italy in Italia e all’estero; rischi per la salute con 399 allarmi alimentari, più di uno al
giorno nel 2018 in Italia, secondo le elaborazioni Coldiretti sui dati del Sistema di allerta rapido dell’Ue Rasff, mentre le discariche abusive e le illegalità nella gestione dei rifiuti che fanno registrare oltre 30mila ecoreati all’anno in Italia. Dal 1° gennaio 2017 al 30 giugno 2018 (ultimi dati comunicati), la Guardia di Finanza ha sequestrato più di 4 milioni di kg di beni oggetto di frodi sanitarie e/o commerciali. All’interno di questo complesso di prodotti il 20,3% (circa 800 tonnellate) dei sequestri riguardano la categoria “pomodori, conserva di”, il 17% (circa 700mila kg) è rappresentato da “mosti uve parzialmente fermentati”, mentre la categoria “formaggi e latticini” si attesta al 12% (circa 450mila kg). Sempre nel periodo considerato la GdF ha sequestrato circa 1 milione di litri di bevande alcoliche ed analcoliche. A rivelarlo è il 6° Rapporto agromafie sui crimini agroalimentari in Italia elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, presentato a Roma. L’attività operativa dei Nas (Arma dei carabinieri – Comando carabinieri tutela della salute), tra il 2017 e il 2018 nel settore della “sicurezza alimentare” si caratterizza invece per i ben 53.526 controlli, di cui 19.218 con risultati di non conformità. Gli arresti sono stati 28 mentre le persone segnalate all’Autorità giudiziaria 2.509 e all’Autorità amministrativa 16.685. Sono state contestate sanzioni amministrative per oltre 26 milioni di euro per un valore dei sequestri pari a oltre 638 milioni di euro. A cura di Roberto Rabachino Presidente Nazionale ASA Fonte dati Agenzia Informazione SIR Europe ForUs
TERESA BELLANOVA è la Ministra alle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali “Ho sempre sostenuto la necessità di un’agricoltura finalmente attrattiva per le nuove generazioni e in questa direzione intendo spendermi“. a cura redazione Centrale – Fonte ANSA
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Ho sempre sostenuto la necessità di un’agricoltura finalmente attrattiva per le nuove generazioni e in
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questa direzione intendo spendermi“. “Nei giorni scorsi ho ribadito spesso come il da fare fosse enorme e non bisognasse sprecare tempo prezioso. Al
lavoro da subito, dunque, per rafforzare la strategicità per il nostro Paese di un segmento come questo per un agroalimentare moderno e di qualità, capace di attrarre
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occupazione qualificata e occupazione femminile soprattutto”. Queste le parole della senatrice Teresa Bellanova, neo Ministra alle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, dopo la cerimonia del Giuramento al Quirinale, ringraziando il Presidente Mattarella e il Presidente Conte per l’onore di “poter servire il mio Paese in un settore cruciale come l’agricoltura”. “C’è molto da fare - ha aggiunto - penso al sostegno all’export agroalimentare che dobbiamo portare dai 43 attuali a 50 miliardi entro i prossimi anni anche in un contesto difficile come quello attuale dove si parla più di di dazi e barriere”. “Export - ha proseguito la Ministra Bellanova - “ma anche investimenti nelle filiere per migliorare i rapporti tra agricoltori e trasformatori, vera chiave del Made in Italy, soprattutto nel Mezzogiorno”. E ancora: “Ho sempre sostenuto la necessità di un’agricoltura finalmente attrattiva per le nuove generazioni e in questa direzione intendo spendermi. A disposizione c’è uno spazio enorme. Agricoltura di qualità significa futuro, imprese, posti di lavoro, rigenerazione del paesaggio, tutela ambientale, innovazione, valorizzazione delle identità e tipicità, servizi di eccellenza: uno dei più importanti biglietti da visita del nostro Made in
Italy. Una grande occasione per le nuove generazioni. Soprattutto, ma non solo, quelle del Mezzogiorno. Per questo l’interlocuzione con le imprese sarà cruciale. Come quella con le Regioni che dovrà essere costante, alimentata dal riconoscimento reciproco e dalla leale collaborazione istituzionale”. “Abbiamo davanti una sfida importante anche a Bruxelles, per cambiare l’Europa e avvicinarla a cittadini, agricoltori, imprese”, ha aggiunto Bellanova, sottolineando che, “In Europa dobbiamo difendere l’agricoltura mediterranea, scrivere regole che diano futuro al lavoro di migliaia di giovani che stanno investendo la loro vita nelle nostre campagne. Anche per questo battaglia aperta al caporalato: il mio impegno in questa direzione sarà assoluto perché non dimentico Paola Clemente e le tante, troppe vittime di caporalato, italiane e migranti, uomini e donne. Il mio pensiero va a loro, costantemente”. “Naturalmente”, ha concluso la ministra Bellanova, “una delle priorità per me ineludibile sarà affrontare immediatamente l’emergenza xylella, verificare lo stato dell’arte dei provvedimenti e la loro attuazione, riprendere il filo con i territori, garantire il giusto sostegno alla rigenerazione del paesaggio
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salentino e pugliese e a quanti già si stanno spendendo con generosità e impegno in questa direzione”. Teresa Bellanova, del Partito Democratico, è il nuovo ministro dell’Agricoltura. Classe 1958 di Ceglie Messapica in provincia di Brindisi, è stata Vice Ministro dello Sviluppo economico nei governi Gentiloni e Renzi. Inizia giovanissima come sindacalista Cgil in Puglia ed è stata in prima linea nella lotta al caporalato. Il percorso nel sindacato la porta a ricoprire diverse funzioni: coordinatrice regionale delle donne Federbraccianti in Puglia, Segretaria generale provinciale della Flai (la Federazione lavoratori dell’agroindustria), componente della Segreteria nazionale della Filtea con delega alle politiche per il Mezzogiorno. Nel 2006 si candida alle elezioni della Camera dei Deputati per i Democratici di Sinistra e, una volta eletta, assume l’incarico di componente della XI Commissione Lavoro. Attività svolta fino all’ultima legislatura. “Allora come oggi la rappresentanza del lavoro e la difesa dei diritti delle persone costituiscono il tratto caratteristico ed irrinunciabile del mio impegno politico e sindacale e la mia stessa dirittura di vita”, scrive la Bellanova sul suo sito. ▣
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Gli Organi di Controllo nel settore agroalimentare in Italia In Italia esistono almeno 13 Organi di Controllo ufficiali che possono effettuare controlli nel settore agroalimentare. di Francesco Bruzzese
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utti gli addetti al settore agro alimentare, oltre a saper produrre i vari prodotti, devono adottare anche
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comportamenti e procedure che siano coerenti con tutte le normative che riguardano i vari settori per essere verificati dai vari Organi di Controllo. Pertanto si tende
a garantire cibi sicuri sia per l’igiene nella preparazione e nella conservazione, sia per i requisiti e qualità degli alimenti stessi, nonché di garantire l’affidabilità
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delle indicazioni su origine controllata e del made in Italy. In Italia, a differenza degli altri Stati dell’Unione Europea, esistono almeno 13 Organi di Controllo ufficiali che possono a vario titolo effettuare controlli nel settore agroalimentare con competenze specifiche. Un settore che in Italia può contare su un numero rilevante di controlli (siamo secondi solo alla Germania). Viene posta molta attenzione al fine di evitare eventuale sovrapposizione dei controlli attraverso una diffusa collaborazione con tutti i soggetti del comparto agroalimentare, per una efficace azione di prevenzione e controllo. Il sistema di controllo agroalimentare in Italia è uno dei più apprezzati all’Estero, infatti molte sono
le richieste di vari Stati per addestramento di personale e consulenze. Presso il Ministero della Salute è istituito dal 2008 il Comitato Nazionale della Sicurezza Alimentare (CNSA), un organo tecnicoconsultivo in materia di valutazione del rischio. E’ presieduto dal Ministro della salute o da un suo delegato ed è articolato in due sezioni: - Sezione per la sicurezza alimentare - Sezione consultiva delle Associazioni dei Consumatori e dei Produttori in materia di sicurezza alimentare. La Direzione Generale degli Organi collegiali per la tutela della salute svolge le funzioni di segreteria delle
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due Sezioni del CNSA ed è composta da 18 membri, individuati tra esperti del campo scientifico con elevata professionalità nelle materie attinenti la valutazione del rischio nella catena alimentare e in particolare nei settori: - additivi alimentari, aromatizzanti, coadiuvanti tecnologici e materiali a contatto con gli alimenti; - additivi e prodotti usati o sostanze usate nei mangimi; - salute dei vegetali, prodotti fitosanitari e loro residui; - organismi geneticamente modificati; - prodotti dietetici alimentazione e allergie; - pericoli biologici; - contaminazione nella catena alimentare;
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- salute e benessere degli animali. Il CNSA, formula pareri scientifici, su richiesta delle Amministrazioni Centrali, delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano. Il CNSA è affiancato dalla Consulta delle Associazioni dei Consumatori e dei Produttori in materia di sicurezza alimentare, collocate presso il Segretariato Nazionale della Valutazione del rischio della catena alimentare (SNVRA) del Ministero della Salute. Il Ministero della Salute
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provvede, unitamente all’Istituto Superiore di Sanità, a sviluppare le “Linea guida per l’elaborazione e lo sviluppo dei manuali di corretta prassi operativa, in materia di igiene e di applicazione dei principi del sistema HACCP” elaborati ai sensi del Reg. (CE) 852/2004. La Commissione Europea lavora a stretto contato con l’EUROPOL e con l’Ufficio Europeo per la lotta antifrode (OLAF). L’OLAF, entrato in funzione il 1giugno 1999, è lo strumento giuridico d’indagine di cui è dotata l’UE per garantire una
migliore tutela degli interessi comunitari.
Ripartizione Competenze di controllo agroalimentare per Ministeri Ministero della Salute
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a Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione (DGISAN) del Ministero rappresenta il Punto di contatto nazionale per il PNI e coordina le attività di predisposizione
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del Piano Nazionale e delle relazioni annuali. La relazione PNI (Piano Nazionale Integrato) illustra le attività svolte dalle differenti amministrazioni e organi di polizia nei settori dell’igiene, della sicurezza e della qualità per alimenti, mangimi, benessere animale, sanità animale, sanità delle piante, e rappresenta uno strumento per il coordinamento e la programmazione delle attività di controllo. In considerazione dell’ordinamento nazionale, le Regioni e Province autonome predispongono e coordinano i Piani Regionali Integrati (PRI) in coerenza con la struttura e con i criteri fondanti del Piano Nazionale Integrato.
Il Ministero opera a livello centrale, con la Direzione Generale della Sicurezza degli Alimenti e della Nutrizione e a livello territoriale, con i propri Uffici periferici, ovvero: - Uffici Sanità Marittima Aerea e di Frontiera (U.S.M.A.F.); sono deputati al controllo degli alimenti di provenienza non animale importati da Paesi extracomunitari. - Uffici Veterinari Periferici, che comprendono i Posti di Ispezione Frontaliera (P.I.F.); svolgono controlli veterinari ai valichi di frontiera su animali vivi e sui prodotti di origine animale provenienti da Paesi extracomunitari e destinati al mercato europeo; - Uffici Veterinari per gli
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Adempimenti Comunitari (U.V.A.C.); - Comando Carabinieri per la Tutela della Salute. Con competenza su tutto il territorio nazionale e con strutture articolate anche a livello periferico, agisce attraverso i 38 Nuclei Antisofisticazione e Sanità (N.A.S.) I Carabinieri del NAS agiscono su richiesta del Ministero della Salute o dei reparti dell’Arma territoriale, oppure su delega dell’Autorità Giudiziaria, su denunce o segnalazioni di associazioni consumatori o privati cittadini. Le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano operano a livello
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territoriale attraverso i Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende Sanitarie Locali (n. 97 ASL su tutto il territorio nazionale) che costituiscono le Autorità Sanitarie sul territorio con: - i Servizi di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione (S.I.A.N.); - i Servizi Veterinari (S.V.); - aziende Regionali per la Protezione Ambientale (A.R.P.A.); - laboratori di Sanità pubblica delle ASL istituiti in alcune Regioni; - n. 10 Istituti Zooprofilattici Sperimentali (I.Z.S.) per gli accertamenti analitici di laboratorio e addetti al controllo veterinario e dei prodotti di origine animale sul territorio nazionale,
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rappresentano la sezione operativa del Servizio Sanitario Nazionale per quanto attiene alla salute degli animali ed al controllo su condizioni igieniche e qualitative delle carni. Inoltre sorvegliano le condizioni igieniche negli allevamenti.
Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo
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uesto Dicastero opera a livello centrale con il Dipartimento dell’Ispettorato Centrale per il Controllo della Qualità e Repressione delle Frodi dei Prodotti Agroalimentari (ICQRF).
E’ organo ufficiale ministeriale incaricato di prevenire e reprimere le frodi relative ai prodotti agroalimentari ed ai mezzi tecnici per l’agricoltura (mangimi, sementi, fertilizzanti e prodotti fitosanitari) e riconosciuto come Organismo di Controllo Ufficiale dalla UE. Il Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari - ICQRF - è uno dei maggiori organismi europei di controllo dell’agroalimentare. L’ICQRF ha 29 uffici sul territorio italiano. Tra i suoi compiti a livello nazionale ci sono: - prevenzione e repressione
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delle frodi nel commercio dei prodotti agroalimentari e dei mezzi tecnici di produzione per l’agricoltura; - vigilanza sulle produzioni di qualità registrata (DOP, IGP, BIO ); - contrasto dell’irregolare commercializzazione dei prodotti agroalimentari introdotti da Stati membri o Paesi terzi, i fenomeni fraudolenti che generano situazioni di concorrenza sleale tra gli operatori e sanzioni per il corretto funzionamento degli accordi interprofessionali.
agroalimentari; - controlli durante le fasi di: trasformazione; magazzinaggio; trasporto; commercio; somministrazione e importazione degli alimenti e dei mangimi, inclusi quelli biologici; - controlli ufficiali sulla qualità, genuinità e identità dei prodotti agroalimentari e dei mezzi tecnici di produzione agricola (sementi, mangimi, fertilizzanti e fitosanitari); - analisi chimichemerceologiche.
A livello europeo e mondiale, l’ICQRF è Autorità ex officio e autorità di coordinamento sul vino e difende il made in Italy di qualità in tutti i Paesi europei, contrastando le contraffazioni al di fuori dei confini UE anche con accordi di cooperazione. L’ICQRF svolge controlli sul web per la tutela delle produzioni di qualità italiane stringendo accordi con i principali players mondiali dell’e-commerce. Con 6 laboratori, tutti accreditati UE, l’ICQRF svolge inoltre controlli analitici su migliaia di prodotti all’anno. In particolare, l’ICQRF svolge un ruolo di:
Inoltre, svolge attività di: - autorizzazione delle strutture pubbliche e private operanti nell’ambito dei regimi di produzioni agroalimentari di qualità regolamentata, compreso quello biologico; - esercita le funzioni statali di vigilanza sull’attività di controllo delle suddette strutture; - emana sanzioni amministrative pecuniarie in materia agricola e agroalimentare di competenza statale; - esercita i compiti di unica autorità competente per le sanzioni sull’etichettatura dei prodotti alimentari.
- tutela dei consumatori e di salvaguardia dei produttori da fenomeni di sleale concorrenza lungo tutta la filiera produttiva dei prodotti
L’ICQRF si articola: - a livello centrale: Capo Dipartimento e due Direzioni Generali; - a livello territoriale: 12 uffici ispettivi con 17 sedi
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distaccate, 5 laboratori di analisi e un laboratorio centrale di revisione. I laboratori dell’ICQRF, ai sensi del D.lgs. n. 123 del 3.3.1993, art. 2, comma 3, sono incaricati dell’espletamento dei controlli ufficiali sul territorio nazionale, volti alla verifica della qualità merceologica dei prodotti agroalimentari e delle sostanze per uso agrario e forestale. Tutti i laboratori operano in conformità alla norma UNI CEI ISO/IEC 17025:2005 e sono regolarmente accreditati. Al laboratorio centrale di Roma è affidato, in particolare, il compito di espletare analisi di revisione, eseguite sulla base di specifiche procedure di legge (L. n.689/1981, art.44 del RDL n. 2033/1925), volte a garantire il diritto di difesa degli operatori del settore agroalimentare, i cui prodotti siano risultati non conformi alle normative specifiche del settore con le analisi di prima istanza. Gli stessi laboratori sono inoltre impegnati nell’acquisizione di metodiche analitiche specialistiche, nonché attività di ricerca di nuove metodiche di analisi su matrici agroalimentari, per contrastare l’attività illecita. Il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo svolge la
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propria azione di controlli, anche attraverso altri organismi: Il Comando Carabinieri per la Tutela Agroalimentare (CUFAA) è un “Reparto Specializzato” dell’Arma, che dipende dal Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari dei Carabinieri. Il Comando si articola su un Reparto Operativo e su 5 Reparti Carabinieri Tutela Agroalimentare con sede in Torino, Parma, Roma,
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Salerno e Messina. Gestisce il Numero Verde 800020320 ed opera su tutto il territorio nazionale e, se necessario, anche all’estero nel rispetto delle vigenti disposizioni di legge. Il reparto (ai sensi del comma 1 dell’art. 3 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n.143, del 17 luglio 2017, che novella le prerogative già previste dal D.P.C.M. n. 105/2013, al comma 2 dell’art.6) svolge
controlli straordinari sull’erogazione e percezione di aiuti pubblici nel settore agroalimentare, della pesca e dell’acquacoltura, sulle operazioni di ritiro e vendita di prodotti agroalimentari, ivi compresi gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo e indigenti. Il Comando concorre, concordandosi con l’ICQRF (Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari), nell’attività di prevenzione e repressione delle frodi
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nel settore agroalimentare. Nello svolgimento di tali compiti, il Reparto può effettuare accessi e ispezioni amministrative avvalendosi dei poteri previsti dalle norme vigenti per l’esercizio delle proprie attività istituzionali. In tale quadro, le finalità istituzionali del Reparto sono rivolte a tutelare la regolare erogazione delle sovvenzioni all’agricoltura, nonché la sicurezza, la qualità e la legalità nel comparto agroalimentare, corrispondendo alla più moderna “domanda di sicurezza” del cittadino che investe oggi anche la qualità della vita e la corretta destinazione delle risorse
pubbliche. La lotta alle frodi, specie in riferimento al nuovo fenomeno delle contraffazioni agroalimentari, alle pratiche commerciali ingannevoli, alla concorrenza sleale, alle alterazioni dei regimi di produzione regolamentata e l’azione di contrasto a tutti gli illeciti che comportano distorsioni nel mercato agroalimentare, ove si insidiano la corruzione e gli interessi della criminalità, rappresentano le principali declinazioni delle attività del Reparto, anche nell’ottica di tutelare il consumatore e valorizzare le produzioni agroalimentari nazionali nelle sfide della globalizzazione
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dei mercati. Inoltre, per le attività di coordinamento internazionale il Comando Carabinieri si avvale di un Ufficiale di collegamento all’OLAF (Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode) con sede a Bruxelles. La Capitaneria di Porto Reparto Pesca Marittima (RPM) è alla dipendenza funzionale della Direzione Generale della Pesca Marittima e dell’Acquacoltura – Mipaaft - Il Reparto Pesca Marittima del Corpo delle Capitanerie di Porto, istituito ai sensi dell’art. 4 del D. Lgs. n. 100 del 27 maggio 2005 presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, svolge attività di
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raccordo tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e del turismo ed il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera, quale Centro di Controllo Nazionale delle Pesca (CCNP), in tutte le questioni coinvolgenti i compiti svolti dal Corpo in materia di vigilanza e controllo della pesca marittima, dell’acquacoltura e delle relative filiere. Nell’ambito delle attività predette, il Reparto pesca marittima (RPM):
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a) espleta gli incarichi affidati dal Ministro e quelli per cui il Dipartimento delle politiche europee ed internazionali richiede la collaborazione; b) collabora con l’Ufficio di Gabinetto, l’Ufficio legislativo, il Dipartimento delle politiche europee ed internazionali, la Direzione Generale della pesca marittima e dell’acquacoltura nonché con gli uffici di diretta collaborazione del Ministro; c) svolge ogni altro incarico assegnato dal Ministro anche ai fini della cooperazione tecnica promossa dallo stesso
Ministro nell’ambito dei rapporti comunitari e internazionali. Le nuove strutture generali sono articolate negli Uffici di livello dirigenziale non generale previsti dal decreto ministeriale 8 aprile 2015, ai quali sono stati preposti dirigenti di II fascia o equiparati. Effettua i controlli previsti dalla normativa nazionale e comunitaria sull’intera filiera della pesca ai sensi del Reg. (CE) n.1224/2009 del 20.11.2009. Con l’entrata in vigore
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del Reg. (UE) n.404/2011 le competenze si sono ampliate, oltre ai tradizionali compiti di monitoraggio e contrasto alle attività illegali sull’intera filiera di pesca, a tutela dell’ecosistema e del consumatore, controllando anche le fasi di vendita al dettaglio e di somministrazione di prodotti ittici. Inoltre, nell’ambito degli enti controllati dal Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo operano alcuni enti di ricerca: - il Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA), che
svolge attività di ricerca, informazione nel settore degli alimenti e della nutrizione ai fini della tutela del consumatore e del miglioramento qualitativo delle produzioni agroalimentari; - l’Istituto di Servizi per Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA); - l’Ente Nazionale Risi. La Capitaneria di Porto è stata individuata quale Autorità responsabile della tenuta del Registro Nazionale delle Infrazioni (art. 15 del D.Lgs. 4/2012), ove confluiscono tutti gli atti riguardanti gli illeciti commessi in materia di politica comune della pesca.
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Inoltre, nell’ambito degli enti controllati dal Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo operano alcuni enti di ricerca: - il Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA), che svolge attività di ricerca, informazione nel settore degli alimenti e della nutrizione ai fini della tutela del consumatore e del miglioramento qualitativo delle produzioni agroalimentari; - l’Istituto di Servizi per Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA); - l’Ente Nazionale Risi.
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Ministero dell’Economia e delle Finanze
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Agenzia delle Dogane e dei Monopoli è un’agenzia fiscale, istituita ai sensi dell’art. 57 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.300, dotata di autonomia e sottoposta all’alta vigilanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze. E’ una organizzazione strutturata su tre livelli di responsabilità: centrale, con funzioni d’indirizzo e coordinamento, regionale (14 Direzioni) e territoriali (80 Uffici delle Dogane), con 176 sezioni operative territoriali e 15 laboratori propri che effettuano analisi su tutte le categorie merceologiche, di prodotti movimentati nei flussi di importazione e esportazione. Nell’ambito dell’Agenzia delle Dogane opera anche l’Ufficio Antifrode e i Laboratori Doganali. La Guardia di Finanza ha compiti di tutela degli interessi economici e finanziari attraverso la repressione delle frodi in materia tributaria, valutaria, doganale, di demanio e patrimonio statale, diritti d’autore, marchi e brevetti. In campo agroalimentare, svolge controlli diretti alla repressione delle frodi a danno del bilancio comunitario, con attività
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di controllo e vigilanza sui prodotti alimentari, principalmente alla prevenzione e repressione delle frodi di natura fiscale, con possibili risvolti sanitari e merceologici. Anche l’Agenzia delle Entrate si occupa di controlli nel settore agro-alimentare nel corso delle verifiche fiscali presso le aziende che operano nel settore agroalimentare.
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del mare
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volge le funzioni e i compiti relativi alla tutela dell’ambiente, del territorio e dell’ecosistema. Le ARPA sono le principali strutture che operano nel settore ambientale e in particolare per il controllo delle acque, ma anche di altri alimenti;
Altri Organismi che espletano attività di controllo
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GEA, ente pubblico non economico vigilato dal Mipaaft. L’Agenzia è responsabile nei confronti dell’Unione Europea degli adempimenti connessi alla gestione degli
aiuti derivanti dalla politica agricola comune. AGECONTROL, è l’Organismo di controllo che, per conto di AGEA, svolge le verifiche di conformità alle norme di commercializzazione applicabili nel settore degli ortofrutticoli freschi, ai sensi del D.L. 28 febbraio 2005 n.22 convertito con modificazioni nella legge 29 aprile 2005 n.71. Altre competenze riguardano il settore olivicolo, derrate alimentari agli indigenti dell’Unione Europea, programmi di promozione ed informazione dei prodotti agroalimentari e controlli su varie misure eccezionali di sostegno del mercato agricolo.
Ultime novità
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al 14 dicembre 2019, entrerà in vigore e applicazione il Reg. (UE) 2017/625 del 15 marzo 2017, relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari, recanti modifiche e abrogazioni di diversi Regolamenti. ▣
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Premio Casato Prime Donne, a Montalcino l’universo femminile protagonista Promosso da Donatella Cinelli Colombini e dalla sua cantina dall’organico totalmente al femminile che ha sede a Montalcino. di Michela Tassi
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n premio voluto dalle donne per le donne che si sono distinte nella lotta per i diritti, l’autodeterminazione, le capacità intellettuali e di affermazione in ambiti sportivi, scientifici, culturali e sociali, nonché per l’etica ed il coraggio di farsi portatrici di messaggi che scuotono le coscienze. E’ il Premio Casato Prime Donne, promosso da Donatella Cinelli Colombini e dalla sua Cantina dall’organico
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totalmente al femminile che ha sede a Montalcino (Siena). E proprio da essa prende il nome l’appuntamento che dal 1999 punta i riflettori sull’universo femminile e ne premia i successi, propone modelli positivi a cui ispirarsi e fornisce spunti di riflessioni su temi di attualità. Donatella Cinelli Colombini non è solo la padrona di casa di questo evento ormai radicato nel calendario di fine estate, ma altresì la Presidente della giuria che ogni anno si riunisce per convergere sul nome
della nuova Prima Donna, italiana o straniera, che si sia particolarmente distinta per coraggio ed eticità di comportamenti e che con il suo impegno abbia valorizzato la presenza femminile nella società e nel lavoro. Insieme a lei, in giuria, anche Rosy Bindi, Anselma Dell’Olio, Anna Pesenti, Stefania Rossini, Anna Scafuri e Daniela Viglione a cui si aggiungono la fondatrice del Premio Francesca Colombini Cinelli, il Sindaco di Montalcino Silvio Franceschelli ed il Presidente
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In questa pagina, la Cantina Casato Prime Donne a Montalcino (SI). A pagina 24, l’edizione 2018 del Premio Casato Prime Donne. In basso, Donatella Cinelli Colombini conferisce il premio Prime Donne 2018 a Sara Gama, capitano della nazionale di calcio femminile. A pagina 25, trekking nei vigneti.
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del Consorzio Fabrizio Bindocci: le competenze multidisciplinari messe in campo rendono la scelta della vincitrice e la conseguente assegnazione del Premio un importante strumento di promozione sociale e territoriale. Ogni anno, infatti, - questa edizione si terrà domenica 15 settembre nel Teatro degli Astrusi a Montalcino - contestualmente alla proclamazione della Prima Donna, il Premio Casato si compone anche di quattro ulteriori sezioni, riservate alla divulgazione e comunicazione del territorio
e della denominazione. Si tratta del Premio “Io e Montalcino” riservato a libri, servizi televisivi, radiofonici o pagine web che presentano Montalcino nei suoi aspetti storici, culturali, paesaggistici e agricoli; il Premio Consorzio del Brunello di Montalcino rivolto a giornalisti italiani o stranieri specializzati nel ramo vitivinicolo; il Premio “Montalcino, la sua storia, la sua arte, il suo vino” descritti da una donna, riservato ad articoli, libri, servizi televisivi o radiofonici o pagine web, a firma femminile, e il Premio
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Fotografico sul tema “Genti e terre dei vini Brunello e Orcia”, per il quale vengono selezionate precedentemente dalla giuria cinque foto finaliste da sottoporre al voto di una giuria virtuale del web. A rendere infine ogni edizione del Premio una pietra miliare della sua storia, la dedica della vincitrice incisa su un cippo di travertino e collocata tra i vigneti del Casato Prime Donne - che chiunque potrà leggere facendo trekking in vigna - ed una installazione artistica realizzata per l’occasione da artisti del territorio e collocata nella tenuta stessa. ▣
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Dubbi e problemi
di oggi a tavola, conoscerli per risolverli Intervista al dottor Renzo Pellati, Specialista in Scienza dell’Alimentazione e Igiene. di Enza Bettelli
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a dieta è ormai l’argomento di conversazione preferito dalla maggior parte della gente, ma pochi sanno che con il tempo si è perso il significato originale di questa parola che per gli antichi Greci designava l’insieme di alimentazione, attività fisica e riposo, cioè il tenore di vita raccomandato per vivere bene. Le informazioni che oggi attingiamo dai vari mezzi di comunicazione su cibo e alimentazione sono numerose, ma spesso solo nozionistiche se non addirittura contradditorie. Inevitabile, quindi, che si crei un po’ di
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confusione, soprattutto se non si ha un’adeguata conoscenza degli alimenti che compaiono ogni giorno in tavola. Per aiutarci a capire come interpretare e integrare queste informazioni abbiamo rivolto alcune domande al dottor Renzo Pellati, Specialista in Scienza dell’Alimentazione e Igiene, autore di numerose pubblicazioni scientifiche, insignito di importanti riconoscimenti per la sua attività di divulgazione nell’ambito dell’alimentazione e membro di Società Scientifiche che si occupano di Nutrizione umana (ADI, SINU, SISA), oltre che associato storico ASA.
Dottor Pellati, in tutte le sue numerose pubblicazioni lei dà grande risalto alla conoscenza degli alimenti come indispensabile approccio a una dieta equilibrata. Quanto è consapevole il consumatore moderno della necessità di “studiare” quello che si mangia? Purtroppo il consumatore moderno è scarsamente consapevole della necessità di conoscere i principi nutritivi di quello che mangia. Gli scaffali delle librerie e i periodici maschili e femminili traboccano di libri di ricette di cucina, di vini e liquori, di
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indirizzi di osterie, locande, ristoranti blasonati. Celebri cuochi svelano le loro alchimie scoperte fra le pentole. Personaggi dello spettacolo segnalano menù all’insegna del buon gusto e del “fai da te”. Tutte pubblicazioni curiose e in qualche modo interessanti. Però fra le pareti domestiche dovrebbe trovar posto anche una guida per una sana e corretta alimentazione dato che le indagini alimentari svolte dalle Società scientifiche che si occupano di Nutrizione Umana segnalano una scarsa conoscenza della composizione degli alimenti a livello di popolazione.
sedentarietà, se dobbiamo dare una risposta ai miti e ai pregiudizi che ci tormentano, dobbiamo aggiornare il nostro sapere. Di conseguenza la scuola è la seconda responsabile della scarsa educazione alimentare dei giovani.
Quanto contribuiscono scuola e famiglia all’educazione alimentare dei bambini? Si potrebbe fare di più?
La dieta per mantenere un peso ideale non deve essere intesa come una punizione, come un mezzo adatto esclusivamente per perdere i chili in eccesso. La dieta deve essere equilibrata e varia nei principi nutritivi e nella scelta dei cibi di origine animale e vegetale, nelle bevande, in modo che possa essere praticata per tutta la vita. A pagina 691 del mio libro “Tutti i cibi dall’A alla Z” ho indicato una serie di suggerimenti semplici e pratici di cosa si deve fare e di cosa non si deve fare. Se la dieta è equilibrata, varia e ipocalorica, ma non esageratamente ipocalorica, la riduzione di peso avviene lentamente e si instaurano abitudini alimentari migliori (e una conoscenza più approfondita degli alimenti).
Ovviamente i giovani apprendono le abitudini alimentari dalla famiglia ma, se la famiglia non è in grado di educare i bambini a tavola, risulta più difficile modificare la situazione. E’ piuttosto riduttivo limitarsi a sapere che la carne contiene proteine, l’arancia è ricca di vitamina C, lo zucchero ci dà energia, troppe calorie fanno ingrassare. Se dobbiamo combattere l’aumento del numero delle persone in sovrappeso e obese, se dobbiamo ridurre il colesterolo, se dobbiamo giudicare in modo corretto le nuove abitudini alimentari e l’esagerata
Mangiar sano è spesso recepito come insipido e noioso, mentre la dieta è perlopiù intesa come una specie di penitenza utile solo per ottenere l’agognata linea perfetta. Che consigli può dare a chi è in continua lotta con la bilancia?
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Fake news e pubblicità ingannevole spesso esaltano o condannano prodotti di uso comune, contraddicendosi e confondendo il consumatore, per non parlare delle cosiddette diete miracolose. Come difendersi? Bisogna tener presente che la Scienza dell’Alimentazione, come tutte le scienze, richiede un aggiornamento continuo, perché le conoscenze progrediscono incessantemente. Le vitamine, per esempio, all’inizio del secolo scorso non erano ancora conosciute. Pensiamo alla patata. Fino al 1700 nessuno voleva mangiarla, sebbene la fame fosse endemica: era brutta, sporca, cresceva sotto terra dove… c’era il diavolo… munito di forcone. Oggi i consumi di patate hanno raggiunto cifre iperboliche, grazie agli studiosi di alimentazione che hanno segnalato i pregi di questo vegetale. Anche il pomodoro, che riteniamo indispensabile per condire gli spaghetti e preparare la pizza, è entrato da poco in cucina. Fino al 1800 si teneva in casa come pianta ornamentale. E anche in questo caso i consumi sono esplosi grazie agli studi e alle ricerche degli studiosi di alimentazione. In altre parole, occorre convincersi che per star bene, mantenere la linea e vivere più
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a lungo il metodo più sicuro si chiama “prevenzione” e si fonda su un corretto stile di vita con aumento dell’attività fisica nel limite del possibile e una scelta razionale di cibi e bevande a dosi adeguate. A proposito di prodotti ingiustamente demonizzati, lei ha spezzato una lancia in favore del burro con il suo interessante libro “Conoscere e gustare il burro”. Si può dire qualcosa anche a favore dell’olio di palma? Il burro è un ottimo condimento non sempre ben apprezzato. Tuttavia questo non significa che si possa gustare sempre
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e in qualsiasi quantità. Le dosi vanno sempre rispettate e lo stesso dicasi per tutti gli altri condimenti. L’olio di palma è frequentemente utilizzato dall’industria alimentare per il suo basso costo e perché ha un sapore neutro che non influenza altri ingredienti. Inoltre resiste al calore e all’ossidazione, per cui aumenta la durabilità dei prodotti in cui è presente. Non bisogna però credere che sia simile ad altri oli vegetali (esempio: oliva, arachidi, semi di girasole, ricchi di acidi grassi mono e polinsaturi). L’olio di palma è più simile ai condimenti grassi di origine animale per l’elevata
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presenza di acidi grassi saturi. Rispetto ai grassi di origine animale, l’olio di palma ha il vantaggio di non contenere colesterolo, però nei processi di raffinazione può verificarsi la presenza di sostanze contaminanti che richiedono prudenza nell’impiego e nelle dosi. Coltivare e mangiare biologico fa bene alla nostra salute e a quella del pianeta, ma anche i prodotti tradizionali possono essere “buoni”. Leggendo l’etichetta, cosa ci fa capire che invece è meglio lasciarli sullo scaffale? Il termine “biologico” è una garanzia del produttore sull’impiego di sostanze chimiche di sintesi (fertilizzanti, anticrittogamici, pesticidi). Poiché costano mediamente il 20 % in più dei prodotti normali, occorre leggere attentamente l’etichetta per non spendere dei soldi inutilmente. In altre parole, dobbiamo sempre fare attenzione alle etichette dei cibi e delle bevande presenti nello scaffale del negozio o del supermercato, perché possono essere presenti delle denominazioni ambigue come “mele naturali”, “burro di fattoria”, “miele genuino”, tutti termini che non indicano affatto prodotti biologici. Per individuare gli alimenti biologici in etichetta deve comparire il nome dell’organismo autorizzato dal Ministero per le Politiche
Agricole Forestali e del Turismo a effettuare il controllo. Va detto anche che non sempre sono evidenti delle diversità nutrizionali e organolettiche tra i prodotti biologici e quelli tradizionali. Ciò deriva dal fatto che non sempre il rispetto dei divieti nell’uso dei pesticidi offre alla fine un risultato ottimale per qualità. C’è chi usa bene i fertilizzanti naturali e chi non dà il nutrimento alla pianta, per cui ottiene un prodotto senza residui, ma di qualità inferiore. Oltre ai prodotti biologici, si trovano anche in commercio altri alimenti provenienti dall’agricoltura non convenzionale. Cito, per esempio, l’agricoltura “biodinamica”, in cui l’alimento è coltivato senza prodotti chimici, in equilibrio con i ritmi cosmici e con i calendari lunari che influenzano i tempi della semina, della coltivazione e della raccolta. Turismo di massa, ricette sul web, facilità di reperibilità d’ingredienti esotici, ci invogliano ad assaggiare i sapori di altri Paesi. La cucina “fusion” può rendere ancora più completa la nostra dieta mediterranea? La dieta mediterranea è una garanzia di buona salute ormai collaudata da tutti gli organismi internazionali. Non bisogna, infatti, confondere la dieta mediterranea con le numerose diete che vengono citate per perdere i chili corporei in tempi
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brevi. La dieta mediterranea è riconosciuta come patrimonio immateriale dell’umanità perché è stata paragonata ad altre diete di sette paesi importanti come Stati Uniti, Finlandia, Paesi Bassi, Grecia, Italia, Giappone, Iugoslavia, nel famoso studio messo a punto dal fisiologo americano Ancel Keys con particolari indagini sulle scelte, abitudini, conseguenti ricoveri ospedalieri, decessi. Tuttavia, la facilità con cui oggi possiamo reperire cibi provenienti da varie parti del mondo (chantilly, Sacher, sushi, kebab, Krapfen, roquefort, tanto per citarne alcuni scelti a caso) ci consentono di rendere più completa e varia la nostra dieta, sempre tenendo sotto controllo le dosi e la frequenza di utilizzo. Oggi si parla tanto di cibo, ma in pratica non abbiamo più il tempo per sederci a tavola e gustare in tranquillità un pasto in famiglia o con gli amici. Oltre a spegnere cellulare e tablet, cosa dovremmo fare per recuperare almeno in parte questo piacere che ci viene negato dalla frenetica vita moderna? Purtroppo il classico pranzo all’italiana sta lentamente scomparendo e le persone che, per motivi di lavoro, sono costrette a mezzogiorno a mangiare fuori casa sono sempre più numerose. Recentemente il problema è stato molto discusso (vedi
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quotidiani e periodici) per le mense scolastiche quasi sempre studiate e seguite da dietiste qualificate e quindi preferite ai panini confezionati fra le pareti domestiche. Esaminando le scelte alimentari compiute da un gruppo di persone che consumano un pasto in mensa e un gruppo di persone che consumano un pasto al bar, si è visto che l’introito calorico è all’incirca sovrapponibile. Però nei soggetti che consumano il pasto al bar la quantità di proteine di origine animale è superiore (basta pensare agli ingredienti dei panini: prosciutto, salumi, formaggio, frittate, roastbeef) e conseguentemente i grassi di origine animale sono consumati in quantità superiore rispetto al pasto in mensa. Il consumo di frutta è piuttosto scarso e quello di verdure appare insignificante nel pasto consumato al bar. Di conseguenza diminuisce anche l’apporto di fibra. Ecco quindi l’importanza dell’educazione alimentare per introdurre negli altri pasti della giornata i principi nutritivi carenti nel pasto di mezzogiorno, oppure per equilibrare la dieta. Inoltre, per mantenere una buona salute e una buona efficienza lavorativa, è determinante una corretta distribuzione dei pasti lungo la giornata. In particolare al mattino occorre dedicare almeno 15-20 minuti alla colazione che deve essere costituita da latte, yogurt,
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frutta fresca, pane, burro, miele o marmellata, in modo che a mezzogiorno non si senta la necessità di un pasto abbondante. Avendo poco tempo a disposizione e dovendo in alcuni casi mangiare in piedi, occorre prestare attenzione anche alla masticazione. La saliva non ha solamente lo scopo di lubrificare i cibi per consentire una loro più facile deglutizione, ma contiene anche un enzima (amilasi salivare) che inizia a disgregare le molecole
dell’amido trasformandole in molecole più semplici. La digestione è più rapida se vengono consumati cibi liquidi (latte, succhi di frutta, una tazza di brodo). Il vino e la birra vanno gustati con prudenza perché l’alcool diminuisce la prontezza dei riflessi e la capacità di attenzione. Il tè e il caffè possono essere gustati con tranquillità, purché le dosi rientrino nella normalità. La cena può essere più varia, però non va consumata molto tardi per non appesantire la digestione. ▣
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ANTEPRIMA DEI VINI
della Costa Toscana: appuntamento con le eccellenze È tornato a Lucca, ai primi di maggio, l’appuntamento per scoprire in anteprima le produzioni vinicole 2018 e per degustare le annate migliori dei vini nati lungo la costa Toscana. Testo e foto di Nicoletta Curradi
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ha richiamato all’ex Real Collegio di Lucca moltissimi appassionati e addetti ai lavori per degustare l’esclusiva produzione dei produttori delle province di Grosseto, Livorno, Pisa, Lucca e Massa Carrara. Una manifestazione che quest’anno si è arricchita di novità, la più importante delle quali è la rassegna “Artisans of Taste”, in un percorso gastronomico che proponeva prodotti, combinazioni e laboratori degli artigiani del gusto. E’ il mare con i suoi venti e i suoi profumi a rendere l’area della costa assolutamente unica, perché se il comune denominatore dei vini è l’influenza della
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ttocento etichette per un totale di oltre 100 viticoltori provenienti dalle province toscane bagnate dal Mar Tirreno. Vini da assaggiare in anteprima e annate che hanno fatto la storia per un percorso enologico unico che ha portato a Lucca tutte le produzioni migliori del territorio costiero. Sono stati questi i numeri della
diciottesima edizione di Anteprima Vini della Costa Toscana, la più grande rassegna enologica dedicata ai vini della zona, organizzata dai Grandi Cru della Costa Toscana e da Event Service Tuscany, che
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costa che ne forma il carattere, dall’altra ogni zona di produzione possiede una sua originale caratteristica dovuta alla conformazione geologica.
tempo di voler fortemente diffondere l’idea di una coscienza unica, sia per intenti, sia per obiettivi. Dare valore per queste aziende significa crescere Quello che ha spinto i all’interno di un vero e produttori della Costa proprio sistema di eccellenza, Toscana a definire con rappresentato dai vini, chiarezza la loro identità, è dal paesaggio, dall’arte e la consapevolezza di essere da chi assume un ruolo a tutti gli effetti diversi ma uguali, di far parte di un terroir determinante per la diffusione dei nostri valori. eterogeneo ma allo stesso
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Tra i grandi cru della Costa ci sono nomi eccellenti che non hanno bisogno di presentazione, nomi che hanno fatto la storia dei cru di Toscana e che sono stati capaci di superare la tradizione di questa regione, allargandone le prospettive. Insieme ai grandi ci sono però molte altre realtà piccole, ma assolutamente importanti e destinate ad un grande futuro, con le loro storie personali da raccontare e da far conoscere. Grandi e piccoli hanno pensato che la terra a cui appartengono aveva bisogno di una voce comune capace di saper spiegare cosa ci fosse dietro ognuno di loro: un microclima, un vitigno
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antico, una caratteristica del terreno ma anche una storia familiare, un percorso produttivo, una ricerca o una riscoperta. Nei saloni del piano nobile dell’ex Real Collegio è stato allestito un gran numero di banchi di assaggio dove si è potuto incontrare direttamente l’artigiano del vino. Anteprima Vini ha presentato una galleria di produzioni della Costa, da Massa Carrara fino a Grosseto, passando per Lucca, Pisa e Livorno. Non solo le più note etichette che confermano la reputazione della Toscana nel mondo, ma anche giovani aziende che scelgono una strada di autenticità nelle proprie produzioni, esplorano i temi del biologico e del biodinamico e decidono di presentarsi attraverso i volti dei vigneron che personalmente raccontano le loro storie d’impresa. Non sono mancate le masterclass, sempre più prestigiose. È tornato anche quest’anno, dopo il successo dell’edizione 2018, il Sassicaia nell’orizzontale “2015: la grande vendemmia”, che si sviluppa intorno al Sassicaia 2015, eletto vino dell’anno nel mondo, e valorizza altri vini della costa Toscana di quella stessa annata. Si è proseguito poi con grandi cantine e grandi annate, con il laboratorio “Bordeaux vendemmia 1998”, grazie al quale si è potuto
scoprire l’invecchiamento dei nobili vini francesi. Due verticali per raccontare due storie di prestigiose aziende e prestigiosi rossi toscani: la verticale di costa “Nambrot. 1996-2016; 20 vendemmie” di Tenuta di Ghizzano; e “Trefiano: il vino di Vittorio, annate 1999-2015” della Tenuta di Capezzana. Con “1968, un vino, un territorio, una Doc”, sono stati celebrati i 50 anni di vita della Doc Colline Lucchesi, nata dalla sinergia di 5 aziende: Fattoria Sardi Giustiniani, Colle di Bordocheo, Fattoria Maionchi, Valle del Sole, Fattoria La Maulina. La verticale di Nambrot ha rappresentato un evento unico con cui la Tenuta di Ghizzano, di proprietà di Ginevra Venerosi Pesciolini, si è messa a nudo, come ha affermato Antonio Boco che ha condotto la degustazione. Il Nambrot è un vino che nasce nel 1996, ma da allora è cambiato radicalmente il modo di fare viticoltura, selezionando i vitigni in base alle zone, la cui tipologia è spesso differente. Ginevra, con la sua tenacia, ha incrementato la promozione facendo arrivare questo prezioso elisir fino in America e in Giappone. Il nome del vino è mutuato da quello di un nobile antenato della famiglia, un paladino di Carlo Magno. L’azienda si trova su un crinale a 200 metri di altezza. Il vitigno Merlot in purezza caratterizza l’annata 1996, mentre in quella
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del 1997 troviamo Merlot e Cabernet Sauvignon: è un vino vivace e corposo con note tostate e speziate di garrigue. Nel 2000, Merlot, Cabernet Franc e Petit Vetrdot rendono il vino più volatile, ma sempre equilibrato. Dal 2003 l’azienda, da sempre caratterizzata da spirito innovativo, inizia la coltivazione biologica e in seguito biodinamica. L’annata 2004 esprime pienamente il territorio. Il 2007 è di una precisione appagante della stagione, mentre il 2008 evidenzia i molti problemi, dovuti al clima, che hanno provocato la perdita del 30 % della produzione. In seguito si fa più selezione, producendo poche bottiglie e usando più il legno vecchio come strumento per far maturare il vino. L’annata 2013 è fresca e immatura, mentre il 2015 più strutturato e fa sentire un frutto più maturo. Nel 2016 si avvertono la ciliegia e il pepe nero. Deve maturare nei prossimi anni, ma promette una grande evoluzione. In questa verticale si nota un filo conduttore che va oltre le scelte agronomiche: la sensazione è quella di una certa continuità. Il territorio c’è e si avverte: non è sempre così nelle verticali. Con queste premesse appuntamento al 2020 per scoprire le nuove annate dei vini della Costa Toscana. ▣
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SULLE ORME del Maestro Giacomo Puccini alla scoperta delle eccellenze gastronomiche lucchesi Un suggestivo itinerario pucciniano consente al visitatore di conoscere luoghi ed eccellenze gastronomiche della provincia di Lucca. Testo e foto di Nicoletta Curradi
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l percorso può iniziare da una visita a Torre del Lago, che fu l’ultima dimora del Maestro lucchese, quella dove il suo estro trovò un ambiente favorevole e al tempo stesso l’occasione di distrarsi nella prediletta caccia alle folaghe. A Torre del Lago si trova la sua villa, oggi museo. La semplicità dell’esterno contrastacon le ricche decorazioni eclettiche degli interni che caratterizzano ogni stanza in base alla sua funzione: la sala del pianoforte o della scrittura, il salottino, il soggiorno, con un pannello ceramico di Chini sul caminetto, e la cappella dove è sepolto il musicista insieme alla moglie, al figlio, alla nuora e alla nipote, ultima erede, scomparsa nel 2017. Una stanza pare unasingolare armeria dove sono custoditi i fucili da caccia: “Dopo il pianoforte confessava Puccini agli amici - lo strumento che preferisco è il fucile”. Da pochi mesi è stato concluso il restauro del piano superiore della villa. Il piccolo giardino, che
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originariamente era lambito dal lago, si ispira nelle dimensioni e nelle aiuole ornate di pietre, al giardino giapponese. Giacomo è sempre stato attento ai piaceri della buona tavola e coltivò spessol’arte del cucinare, soprattutto per la rumorosa schiera degli amici di Torre del Lago. Con loro condivise la passione per le battute di caccia e le allegre tavolate che ne
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seguivano, fatte a base di lepre in salmì, fagiani arrosto, folaghe rosolate o pernici fritte. Un’altra sua passione erano i fagioli cotti al fiasco che venivano preparati nel convento di Lucca in cui viveva sua sorella, suor Angelica. La vita di Giacomo inizia però a Lucca. Infatti, in via di Poggio si trovala sua casa natale, in cui sono esposti molti preziosi
manoscritti. Numerosi anche gli oggetti, altri documenti e memorie: dal pianoforte della “Turandot” al cappotto del Maestro, alle medaglie, alle lettere che ricordano la vicenda dell’uomo e dell’artista. Nella vicina Basilica di San Paolino l’organo è lo stesso sul quale il giovanissimo Puccini si esibiva durante le funzioni religiose per raggranellare qualche soldo. Sempre
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a Lucca si trova il Teatro del Giglio dove il giovane Puccini, studente presso l’Istituto Musicale “G. Pacini”, nel 1878 poté esibirsi come pianista accompagnatore di una cantante emergente. Puccini tornò al Teatro del Giglio alcuni anni dopo, come autore delle opere che lo hanno reso celebre. Tra i piatti tipicida assaggiare a Lucca spiccano i tordelli, un tipo di
pasta ripiena di una farcia di carne, dalla forma a semicerchio di dimensioni importanti. Leggenda vuole che la preparazione di questo piatto avvenisse di lunedì, raccogliendo gli avanzi della domenica. A questi si aggiungevano uova, formaggio, bietola, mortadella e pane bagnato. Tradizionalmente i tordelli vengono accompagnati col classico ragù di carne.
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Da Lucca, attraverso Ponte a Moriano, costeggiando il Serchio, nella media valle, più in alto detta Garfagnana, fino a Diecimo e poi deviando verso Pescaglia, si giunge a Celle dei Puccini, a 300 metri di altezza. Da Celle ebbero origine gli avi di Puccini, che vi andò un mese prima di morire, il 26 ottobre 1924, per presenziare alla inaugurazione di una lapide sulla casa degli avi
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ora trasformata in museo. Vi sono esposti numerosi cimeli quali il pianoforte su cui il Maestro compose parte di “Madama Butterfly”, il letto matrimoniale dei genitori, una culla, un abitino da neonato, ritratti di famiglia, la cucina. Non si può dire di essere stati in questa zona senza aver assaggiato il biroldo, un salume cotto, preparato
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a partire dai tagli meno nobili e costosi del maiale. Realizzato a partire dal sangue del suino, è parente stretto di molti altri salumi italiani, i cosiddetti salami di sangue. Altro prodotto di eccellenza è la farina di neccio, castagne della Garfagnana Dop. Dulcis in fundo, il buccellato è un dolce tipico dall’impasto
morbido con uva passa e anice, fuori spennellato con zucchero e uovo per conferire un colore lucido marrone scuro. A Viareggio, dove il maestro ha vissuto a lungo, si trova un’altra dimora pucciniana di grande valore storico a pochi passi dalla pineta. Purtroppo attualmente non è visitabile. ▣
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A G R I C O LT U R A BIOLOGICA i dati e le analisi del settore Evoluzione positiva. Attenuazione effetti dei cambiamenti climatici. a cura Redazione Centrale – Fonte “Il quotidiano della Pubblica Amministrazione”
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l settore del biologico in Italia sta vivendo in questi ultimi anni un periodo di crescita e di conferme, dimostrando che il modello agricolo italiano è tra i più sostenibili in Europa. Tale evoluzione è il risultato dell’attività politica e legislativa che, in tutto il Paese, sostiene l’agricoltura biologica. L’agricoltura biologica è non solo una risposta valida in termini di produzione e di sicurezza alimentare per i consumatori, ma sta dimostrando di poter contribuire alla definizione della strategia per attenuare gli effetti dei cambiamenti climatici, i quali possono pregiudicare la produzione
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agricola e la disponibilità delle forniture alimentari. I dati del biologico nel loro complesso indicano che è necessario continuare a sostenere le filiere bio, i controlli e la promozione delle produzioni. L’agricoltura biologica si consolida come settore d’interesse economico e produttivo per il Paese e costituisce un fiore all’occhiello nel panorama della qualità agroalimentare italiana. I dati elaborati dal SINAB (Sistema di Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica) per il Mipaaft relativi all’anno 2018 lo dimostrano: dal 2010 gli ettari di superficie biologica coltivata sono aumentati di
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oltre il 75%, e il numero degli operatori del settore di oltre il 65%. Ad oggi, La superficie biologica raggiunta nel 2018 nel territorio italiano equivale all’estensione della Regione Puglia. Secondo le analisi effettuate dal SINAB per il Mipaaft, infatti, nel 2018 in Italia si è arrivati a sfiorare i 2 milioni di ettari di superfici biologiche, con un incremento rispetto al 2017 di quasi il 3%. Ciò si è tradotto in 49 mila ettari in più in soli 12 mesi: una crescita non solo in termini di superfici ma anche di soggetti coinvolti nel settore, che hanno raggiunto le 79.000 unità, con un incremento rispetto all’anno precedente di oltre il 4%.
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L’incidenza della superficie biologica nel nostro Paese ha raggiunto nel 2018 il 15,5% della SAU nazionale, e questo posiziona l’Italia di gran lunga al di sopra della media UE, che nel 2017 si attestava al 7,0%: i dati confermano il primato dell’Italia in Europa per quanto riguarda il numero di operatori.
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ercato: consumi +102% dal 2013 a oggi
L’evoluzione positiva del settore è stata confermata anche dai primi dati sul
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mercato del biologico (ISMEA). I consumi crescono da oltre 5 anni senza soluzione di continuità (+102 % dal 2013 a oggi). Secondo le stime ISMEA gli acquisti di prodotti bio sono aumentati di un ulteriore +1,5% nei primi mesi dell’anno. Un risultato positivo soprattutto se valutato in relazione ai quantitativi di merce presenti sul mercato, che vede ormai vicino il traguardo dei 3mld di valore del comparto a fine 2019. A trainare le vendite la GDO, con un +5,5%, a scapito delle quote dei negozi tradizionali (-7%).
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Significativa anche la crescita del bio nei Discount (+20,7%). Relativamente alle importazioni di prodotti biologici da Paesi terzi, dopo anni di continua crescita, nel 2018 si è verificata una flessione complessiva del 10% dei volumi importati. Tale diminuzione è da attribuire principalmente alla categoria dei prodotti industriali, che hanno registrato un calo del 50% rispetto al 2017. Continua invece la crescita delle importazioni di cereali e di ortaggi e legumi, rispettivamente del 14% e 11%. ▣
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oltre 900 espositori per un evento ancora più sostenibile Dalla rivoluzione verde alla rivoluzione bio: a Bologna gli Stati Generali del bio. a cura Redazione Centrale (Fonte Ufficio Stampa SANA)
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a 31esima edizione di SANA, Salone internazionale del biologico e del naturale, si terrà a Bologna dal 6 al 9 settembre 2019. Organizzato da BolognaFiere, in collaborazione con AssoBio e FederBio, con il patrocinio del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il supporto di ITA, Italian trade agency, SANA è molto di più di un evento fieristico: è la destinazione per il business collegato al mondo del biologico, la piattaforma di confronto culturale sui temi a
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esso collegato, il luogo in cui incontrare operatori provenienti da tutto il mondo. Evento business oriented, dunque, che si avvale dell’esperienza di BolognaFiere, secondo operatore fieristico nazionale, fra i primi a livello europeo con un forte know-how nell’organizzazione di eventi b2b leader internazionali nei rispettivi settori. “La nostra Società – dichiara Gianpiero Calzolari, presidente di BolognaFiere – ha sviluppato un know-how che ci posiziona ai primissimi posti su scala internazionale e
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ci connota come destinazione e partner privilegiato per il business fieristico. Anche il Salone del biologico e del naturale è dimostrazione di questa specificità che si esplicita in un costante trend di crescita in termini di espositori e operatori e in un confronto sempre più incisivo con i buyer internazionali. Le novità dell’edizione 2019 rafforzeranno ulteriormente SANA come piattaforma di confronto per il biologico e per la discussione di temi fondamentali per il futuro, in termini economici e ambientali.”
Sana 2019: tre macro settori, oltre 900 espositori e 52.000 mq di esposizione
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ANA 2019 si distingue anche in questa edizione per l’ampia proposta espositiva – oltre 900 gli espositori, su una superficie di più di 52.000 metri quadrati nei settori: • FOOD, che avrà per protagoniste le più importanti aziende del settore alimentazione biologica italiana e internazionale (padiglioni 29 e 30); • CARE&BEAUTY sarà lo spazio dedicato ai produttori di: cosmetici biologici e naturali, prodotti per la cura del corpo, integratori alimentari, prodotti/servizi naturali per la cura della persona (padiglioni 25 e 26);
• GREEN LIFESTYLE proporrà, infine, tecnologie, prodotti e soluzioni ecocompatibili, per uno stile di vita sano e responsabile (padiglione 28). Convegni, workshop e seminari: a SANA il confronto sul Bio
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offerta espositiva di SANA si completerà con un ricco programma di convegni, workshop e seminari e un’importante azione di incoming di delegazioni commerciali estere; nel 2018 sono stati più di 2.000 gli incontri programmati tra le aziende espositrici e i buyer internazionali. Confermata, anche nel 2019, la presentazione dell’osservatorio Sana con un focus dedicato BI O
al dimensionamento dell’export italiano dei prodotti agroalimentari biologici (a cura di Nomisma) e gli incontri dedicati alla formazione di Sana Academy che nell’ultima edizione hanno registrato il +27 per cento di partecipanti. SANA 2019 “plastic free”
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er essere ancora più coerente con i temi al centro della manifestazione, SANA 2019 si trasformerà in evento “plastic free” negli ambiti della ristorazione riducendo così, ulteriormente, l’impatto ambientale dell’evento. Al bando la plastica monouso, via libera al vetro e ai materiali compostabili per contenitori e suppellettili; l’acqua minerale
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sarà erogata in modalità freebeverage da distributori dedicati e i visitatori potranno utilizzare speciali borracce messe a loro disposizione. Anche le proposte di food and beverage avranno una declinazione bio, proponendo snack, panini, brioches, pizze, insalate, frutta e bevande, vini inclusi, rigorosamente bio e in contenitori compostabili. Piccoli gesti, che diventano significativi per l’ambiente quando diventano scelte che ognuno di noi porta nel vissuto quotidiano. Dalla rivoluzione verde alla rivoluzione bio: a bologna gli stati generali del Bio
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edizione 2019 di SANA vede riconosciuta e accresciuta la sua centralità per il mondo del biologico dallo svolgimento a Bologna - nelle giornate del 5 e del 6 settembre - dell’iniziativa dalla rivoluzione verde alla rivoluzione bio, due
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giornate di “stati generali del bio”, con confronti ad altissimo livello in cui si delineeranno le scelte strategiche per il futuro dell’agricoltura e di ambiti fondamentali come la sostenibilità, il rispetto dell’ambiente e il corretto utilizzo delle risorse. L’evento, promosso da BolognaFiere in collaborazione con FederBio e AssoBio, andrà a stimolare una riflessione sul ruolo del biologico per l’agricoltura italiana e sulla sua correlazione con fattori essenziali in chiave prospettica come: la biodiversità, la protezione delle acque e il climate change. Nella prima giornata di lavoro dalla rivoluzione verde alla rivoluzione bio andrà a toccare, con un approccio multidisciplinare, i temi d’interesse fondamentali per lo scenario 2030 dell’agricoltura biologica e, nella seconda giornata, attiverà un momento di dibattito con le principali istituzioni e i più rilevanti attori nazionali e
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internazionali della filiera. Lo svolgimento degli “stati generali del bio” parallelamente a SANA darà vita a un momento di massima visibilità per il biologico, ribadendo la manifestazione quale accreditata sede in cui, ogni anno, le associazioni e le istituzioni di competenza, gli esperti, gli operatori e le aziende del settore si danno appuntamento per confrontarsi sugli ambiti di maggior importanza per la tutela dell’ambiente e la sua salvaguardia. SANA si inserisce in una piattaforma espositiva di networking e confronto negli ambiti rivolti al largo consumo che si completa con MARCAbyBolognaFiere, l’evento di riferimento europeo per i prodotti a marca del distributore, che coinvolge la quasi totalità delle insegne della MDD, e ZOOMARK INTERNATIONAL, leader per l’industria del pet. ▣
In Puglia turismo 365 giorni all’anno È durata tre giorni la quinta edizione di BTM, Business Tourism Management, che si è svolta in alcune locations d’eccellenza di Lecce: il Castello di Carlo V, il foyer del Teatro Politeama Greco e il nuovo padiglione BTM Gusto. Testo e foto di Nicoletta Curradi
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Sono molto soddisfatto e orgoglioso del risultato raggiunto – ha affermato Nevio D’Arpa, patron della manifestazione – BTM è cresciuto tanto ed è per questo che la V edizione si è dislocata in più sedi, ospitando espositori di importanti aziende nazionali e internazionali. Si è registrato un incremento dei visitatori di circa il 20% rispetto alla precedente edizione; un flusso continuo di persone, tra espositori e buyers, ha dato vita ad un evento ritenuto ormai di forte importanza e riferimento del Sud Italia, organizzato e animato da uno staff giovane, dinamico e professionale. Molto apprezzata la parte dedicata al turismo
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enogastronomico, con presentazioni e show cooking. È stato registrato un aumento del 30% di accessi ad Instagram con il 55% di donne e il 44% di uomini, per una fascia media di età compresa tra i 25 e i 55 anni. La nazionalità del pubblico vede al primo posto l’Italia, poi a seguire Regno Unito, Svizzera, Spagna, Germania, Stati Uniti, India, Francia, Turchia e Azerbaigian. Un ringraziamento particolare per il supporto va a Puglia Promozione e all’assessore regionale Loredana Capone.” Il tema ormai dominante in campo turistico è la proposta di destagionalizzazione, per far sì che i turisti non vedano la Puglia
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esclusivamente come meta estiva per le vacanze balneari. È vero, il mare pugliese è eccezionale, può quasi dirsi caraibico, ma la regione ha anche molto altro da offrire. Per scoprire le ricchezze del territorio si può partire da Trani, dove si ammira una stupenda cattedrale sul mare, vicino al porto che pullula di pescherecci. La cattedrale in stile romanico pugliese è dedicata a San Nicola Pellegrino, le cui vicende risalgono al periodo normanno. L’edificio è in tufo calcareo
tipico della zona, il marmo bianco-roseo locale e si distingue per il suo transetto e per l’uso dell’arco a sesto acuto nel passaggio situato sotto il campanile, fenomeno non molto diffuso nell’architettura romanica Sosta irrinunciabile nel Salento è Otranto, che è il punto più ad est dello stivale, ma anche la città dei Martiri, un ponte fra Occidente ed Oriente, un territorio pieno di spiagge bianchissime e ricco di storia, arte, cultura. Si entra in città dalla Porta Alfonsina e si incontra
subito l’imponente Castello Aragonese, fatto costruire tra il 1485 e il 1498 da Fernando I D’Aragona. Dal castello si dirama il labirinto di viuzze del borgo antico che portano alla Cattedrale di Santa Maria Annunziata, altra fantastica opera dall’immenso valore artistico e storico, risalente all’XI secolo: la chiesa conserva i resti del massacro degli 800 fedeli che durante l’invasione dei Turchi nel 1480 tentarono la resistenza, non volendo rinnegare la propria fede. Il massacro dei martiri
A sinistra, facciata della Cattedrale di Otranto. A pagina 53, interno della Cattedrale di Otranto e, in basso, la facciata e l’interno della Cattedrale di Trani. A pagina 54, la Cappella dei Martiri nella Cattedrale di Otranto e, in basso, la Basilica di San Nicola da Bari.
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è una delle pagine più dolorose della città e ammirare all’interno della Cattedrale la Cappella dei Martiri, con le ossa a vista, è un’esperienza sconvolgente. Altro tesoro custodito nella chiesa è il mosaico pavimentale, vero e proprio capolavoro che raffigura l’Albero della Vita, e ritenuto da molti esperti un’enciclopedia del cristianesimo con episodi dell’Antico Testamento. Nei dintorni di Otranto l’offerta ricettiva è ottima e diversificata. Altra sosta consigliata a circa 40 km di distanza è a Tricase, che ha un bel centro storico con la
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chiesa madre della Natività che conserva la tela raffigurante il Bambino e i Santi Matteo e Francesco da Paola, attribuita a Paolo Caliari, detto “il Veronese”. Ai lati dell’altare maggiore vi sono le pale della Deposizione dalla Croce e dell’Immacolata Concezione, opere autografe di Jacopo Palma il Giovane. La chiesa di San Domenico è un piccolo gioiello barocco con un coro ligneo settecentesco in noce intagliato. Il Castello o Palazzo dei Principi Gallone risale al XVII secolo. Una sosta alla bottega del ceramista Agostino Branca, specializzata in ceramiche artistiche, è vivamente consigliata. Solo 40 km separano Tricase da Gallipoli, sulla costa ionica. Nella cosiddetta “perla dello Ionio” non c’è solo il mare, quindi, anche lontano dalla stagione estiva, si può visitare la concattedrale di Sant’Agata, stupendo esempio del barocco del XVII secolo. L’interno a tre navate contiene pregevoli altari barocchi e numerose tele che ne fanno una vera e propria pinacoteca. Nella chiesa di San Francesco d’Assisi si trova la statua lignea del ladrone crocifisso accanto a Gesù, il noto Malladrone. ▣ Info: www.btmpuglia.it T URI S MO NAZ I O NAL E
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CERVINIA
“capitale del paradiso della neve” La località valdostana offre praticamente un anno di sci su piste tra le più invidiate d’Europa. Testo e foto di Jimmy Pessina
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n paesaggio superbo a duemila metri di quota e una garanzia neve tutto l’anno. Da godere grazie a uno dei più vasti comprensori sciistici, comune anche con i ghiacciai della vicina Zermatt. Questi gli atout della località valdostana a cui nessuno, soprattutto se straniero, è in grado di resistere. Da novembre a giugno. E, ancora, in quota, da luglio a settembre. Praticamente un anno di sci su piste tra le più invidiate d’Europa. E non solo d’Europa, come vedremo. Spettatore severo e attento, il Cervino, proprietà sul versante italiano, secondo un’antica legge valdostana, di
due famiglie, i Maquignaz e i Frazzy. Per una tradizione che assiste impassibile il trascorre del tempo, tanti cambiamenti sono avvenuti, altri sono annunciati in quella che è la capitale di questo “paradiso della neve”, Cervinia. La centralissima via Carrel, la strada dei negozi più eleganti, per esempio, sfoggia un nuovo abito. Completamente rinnovata, è ora illuminata da lampioni in stile vecchio Ottocento. Ma la sorpresa della cittadina valdostana è la funivia in partenza dai 2816 metri di quota dei Laghi Cime Bianche che raggiunge, in un’unica campata, i 3480 metri del Plateau Rosa. Costata oltre 10 milioni di
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A pagina 54, il Cervino visto dal Plateau Rosa. A pagina 56, il Cervino e, in basso, il centro abitato di Cervinia. In questa pagina, il Cervino visto dal Lago Blu di Cervinia.
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In alto, pista al Col del Theodul. A destra, piste al Plateau Rosa. A pagina 60, il Cervino visto dalla pineta di Cervinia e, a destra in basso, il Cervino si specchia nel lago alpino.
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euro, dispone di due cabine in grado di trasportare 140 persone ognuna, il che ne fa la più grande in Italia e la terza in Europa. L’autorevole quotidiano londinese “The Indipendent”, in uno speciale inserto-neve, ha accreditato Cervinia tra le venti migliori stazioni invernali del Vecchio Continente. Ad accorgersi, però, di questo “paradiso” non sono soltanto i sudditi di Elisabetta II. Infatti, all’arrivo degli impianti di risalita echeggiano dei let’s go dall’inconfondibile accento yankee. E i ritiri lungo le piste allineano panini allo speck e hot dog di origine controllata.
Gli stranieri, a Cervinia, sono di casa e costituiscono quasi il 50% dei turisti. Le armi di seduzione, d’altronde, sono irresistibili: 2 mila metri di quota con impianti di risalita fino a 3500 m, stagione quasi annuale con una garanzia neve che ben poche altre località al mondo possono vantare, un comprensorio sciistico in comune con i ghiacciai della svizzera Zermatt, impianti fra i più moderni e oltre 120 km di piste. Una selva di tracciati che si distinguono in 11 piste nere, 20 rosse, 9 azzurre e 5 verdi. Si va dalla più difficile, la Furggen-Plan Maison che
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Paolo Bich, “maestro” dei maestri di sci, raccomanda a chi ha molta confidenza con gli sci, alla Plateau RosaPlain Maison, abbordabili anche dai principianti. Senza dimenticare la mitica “Ventina”, la pista più lunga, 13 km, che dal Plateau Rosa arriva fino in paese, dove dal 1932, per trent’anni, si è disputata una delle più classiche gare di discesa libera, il “Trofeo Cervino”. Tra i dominatori di quella competizione figurano Zeno Colò, Leo Gasperl e Karl Schranz. Quanto agli impianti, Cervinia dispone di 7 funivie, 3 telecabine, 10 seggiovie e 17 skilift. Il biglietto internazionale permette di utilizzare anche gli impianti di Zermatt e naturalmente di
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Valtournanche. Tradizione e modernità anche la base dell’interessante offerta alberghiera, che in totale dispone di oltre 3000 posti letto in albergo, oltre a due residence. Per lo shopping di classe e per imbattersi nello stesso tempo, in una personalità più in vista di Cervinia, l’indirizzo giusto è quello della boutique di Giuliana Minuzzo. Leggenda vivente dello sci tricolore. Infatti, Giuliana
Minuzzo è un’ex sciatrice italiana, e prima donna del Paese, a vincere una medaglia in discesa libera femminile alle Olimpiadi di Oslo nel 1952. Quattro anni più tardi, ai Giochi di Cortina d’Ampezzo del 1956, fu anche la prima donna della storia a pronunciare il giuramento olimpico. Dalla moda alla golosità, ovvero la Bottiglieria Capanna Alpina. Un trionfo di specialità valdostane:
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grappe, vini, confetture, erbe aromatiche, miele e dolci a volontà. Le prelibatezze della cucina della Valle d’Aosta, ovviamente, vanno gustate anche standosene comodamente seduti a tavola apparecchiata dai numerosi ristoranti. Per la serata c’è l’imbarazzo della scelta tra i tanti ritrovi che Cervinia offre, oppure ci si può divertire scorrazzando in motoslitta su una pista artificiale innevata o nei boschi circostanti. ▣
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GIURDIGNANO
Il giardino megalitico
del Salento Religiosità e laboriosità s’intrecciano in questa terra salentina dove tra ulivi secolari e meraviglie naturali spiccano i misteriosi dolmen e i menhir che ne fanno “il giardino megalitico d’Italia”. di Giovanna Turchi Vismara
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el Salento, terra ricca di ulivi secolari e meraviglie naturali, Giurdignano, piccolo centro in
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provincia di Otranto, possiede un tale patrimonio d’arte, di cultura e di devozione che merita di essere conosciuto su vasta scala. Passeggiando tra le vie e le
piccole piazze del borgo o nella campagna circostante, si incontrano le testimonianze di varie epoche storiche. Risalgono all’età dei metalli (V-III millennio a.C.) i
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misteriosi dolmen e i menhir che fanno di Giurdignano “il giardino megalitico d’Italia”. Si possono contare ben dieci menhir e un rilevante numero di dolmen. I menhir, detti anche pietrafitta, sono enormi blocchi di pietra a forma di parallelepipedo conficcati nel terreno, che segnalavano nell’antichità o incroci di vie o presenza d’acqua nel sottosuolo.
Il menhir di San Vincenzo, incastonato su una base di rocce e situato al centro del paese, nei pressi della cripta di San Salvatore, con i suoi 3,50 metri di altezza è uno dei più elevati del territorio. In piazzetta Vico Nuovo si trovano i due “menhir gemelli”, uno è alto due metri e mezzo ed è caratterizzato dal fusto ottagonale, l’altro ha un’altezza di due metri e quaranta ed è a pianta
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quadrangonale. Nei pressi del “Trappitello del Duca” si trova il maestoso “menhir vicinanze 1”, che deve il suo nome alla preesistenza di un casale che sorgeva nelle vicinanze. Supera i tre metri d’altezza e successivamente all’epoca pagana è stato cristianizzato e integrato nei riti di matrice cristiana fino a diventare meta di processioni la Domenica delle Palme.
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L’integrazione nel culto cristiano dei menhir è confermata dalla frequente presenza su questi monumenti di incisioni di croci o fessure scavate nella pietra per inserirvi croci. A collegare il mondo megalitico con la devozione religiosa è la Cripta di San Paolo, scavata nel banco di roccia che ospita l’omonimo menhir. All’interno si trova un affresco di San Paolo, santo tutelare contro i morsi di animali velenosi. Non a caso vicino all’immagine dell’apostolo è raffigurato un ragno che tesse la sua ragnatela, a indicare il rapporto che lega il santo al fenomeno del tarantismo. Nella campagna, invece, si incontrano i dolmen, considerati uteri di pietra per deporre i corpi dei defunti, oppure aree sacrificali o centri di studi astrali intorno al tremila a.C. Un tempo erano molto numerosi ma successivamente sono stati smantellati dagli abitanti dei luoghi per coltivare i campi. Oggi se ne contano 23. Situato tra i confini di Giurdignano e Giuggianello si trova il maestoso “dolmen quattro macine” o “dolmen stabile”. Individuato nel 1893 dall’archeologo Pasquale Mangiulli, il monumento supera un metro d’altezza, conta due metri e sessanta di larghezza e un metro e ottanta di profondità. E’ caratterizzato da una
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possente lastra di roccia posizionata su blocchi di pietra laterali, alla maniera di un altare, e alcuni segni incisi sulla sua superficie indicano la direzione da cui sorge il sole nel solstizio d’estate. Nelle sue vicinanze si trova un enorme ammasso di blocchi di pietre a testimonianza dei tanti dolmen smantellati. Risalendo nei secoli, nel territorio di Giurdignano sono ricche anche le testimonianze che risalgono al mondo italo-greco salentino e al dominio imperiale bizantino. Databile tra l’VIII e il X secolo è la cripta bizantina di San Salvatore. Fu scavata nel tufo dai monaci bizantini, vero gioiello di architettura rupestre, e all’interno contiene tre altari e sulle pareti vari affreschi, purtroppo alquanto rovinati, e quello al centro raffigura la Madonna con Gesù Bambino affiancata dagli arcangeli Michele e Gabriele. Religiosità e laboriosità si intrecciano in questa terra salentina strettamente legata alla produzione di un olio particolarmente prezioso ed esportato fin dai secoli passati in varie parti d’Europa. A testimonianza di ciò Giurdignano vanta il caratteristico “Trappitello del Duca”, frantoio ipogeo realizzato nel 1518 e l’unico ancora visibile degli otto presenti nel paese. E’ stato attivo fino agli anni Quaranta
del Novecento. Al suo interno conserva le attrezzature originali utilizzate per secoli e sulle pareti ampi poster illustrano al visitatore la storia di uomini e di fatiche. Nella sua grande cavità all’interno della roccia, e raggiungibile con una ripida scalinata ipogea, si possono ancora vedere la macina per la molitura delle olive, i camini per la raccolta dell’olio, i poderosi torchi alla calabrese e le varie cripte per creare le migliori condizioni di temperatura e umidità. Per secoli la produzione olivicola è stata alla base dell’economia del territorio e ancor oggi l’olio prodotto dalla spremitura di queste olive primeggia nel settore agroalimentare salentino per genuinità e squisitezza. Ma anche la fertilità della campagna circostante è prodiga di numerosi prodotti che caratterizzano la tradizione culinaria giurdignanese, ricca di ortaggi ma anche dei più diversi tipi di formaggi e ottime carni legate alla pastorizia e agli allevamenti. La cucina tipica di Giurdignano diventa protagonista in occasione di una festa che risale alle antiche usanze del territorio nel periodo feudale. Sono le celebri “tavole di San Giuseppe” che ogni anno il 19 marzo per la festa del santo vengono imbandite nelle case e in particolare nella piazza Municipio, cuore
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della cittadina, caratterizzata dai simboli dell’autorità ecclesiastica e del potere temporale degli antichi feudatari: il cinquecentesco Palazzo Baronale, la Chiesa di San Salvatore, edificata tra il 1756 e il 1759, e l’obelisco con la statua di San Rocco, patrono della città. Qui, davanti all’immagine di San Giuseppe, circondata da fiori e ceri accesi, su una tavolata riccamente imbandita vengono presentati i prodotti locali, alcuni con significato simbolico e rituale, che successivamente saranno distribuiti ai poveri. Ci sono i “lampagioni”, tipici cipollotti amarognoli che vengono conservati sotto aceto; il famoso “tortino”, un gustoso pane dalla forma circolare del peso dai 5 ai 7 chili, e ogni pane è contrassegnato da un simbolo diverso; la pasta
con i ceci “i vermiceddhri; E poi le verdure lessate, il pesce fritto, lo stoccafisso in umido e bottiglie di olio e ottimo vino. In una serata piena di entusiasmo, una folla immensa che riempie la piazza assiste al rituale banchetto di 13 santi guidati da San Giuseppe e interpretati in una atmosfera di profonda religiosità da personaggi locali ed anche da ospiti importanti. I festeggiamenti legati al culto di San Rocco, che salvò il paese dalla peste, si svolgono invece ogni anno dal 16 al 18 agosto con una grande festa con luminarie, bancarelle, concerti bandistici e spettacolari fuochi d’artificio. ▣
A pagina 63, immagine di San Giuseppe. A pagina 65, la Cripta di San Salvatore. A pagina 66, il Menhir di San Paolo.
Per informazioni turistiche: Piazza Municipio, 1 Tel. 389.5368789
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VIAGGIO IN VAL D’AOSTA In una piccola regione un po’ defilata dalle grandi rotte del turismo, tesori da scoprire: monti altissimi, ghiacciai, giardini botanici, tesori archeologici. di Franca Dell’Arciprete Scotti
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ra celebri montagne e incantevoli paesaggi la più piccola regione d’Italia custodisce tesori che non tutti conoscono. Borghi e castelli, centri
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termali, siti archeologici e i “quattro giganti delle Alpi”: il Monte Bianco, il Monte Cervino, il Monte Rosa e il Gran Paradiso. Dall’alto dei loro quattromila metri circondano le dolci vallate, conservano i ghiacciai
e i laghi alpini, proteggono boschi e riserve naturali. L’autunno può essere proprio la stagione ideale per un viaggio in Val d’Aosta, anche per un ricco calendario di eventi tradizionali ed enogastronomici.
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Dalla désarpa, il 29 settembre, con la discesa delle mucche dagli alpeggi a fondo valle, a “Lo Pan Ner” – il pane delle api, il 5 e 6 ottobre, con la cottura del pane di segale nei forni di oltre 50 paesi, alla Festa delle mele, il 6, 12, 13 ottobre a Gressan e Antey-SaintAndré, al famoso Marché au Fort, il 13 ottobre, ai piedi del suggestivo Forte di Bard, tradizionale mercato di prodotti enogastronomici e vetrina dei sapori valdostani. Poi, più avanti nella stagione, feste di allevatori, concorsi sul migliore miele della Valle d’Aosta, esposizioni di vini della cosiddetta viticoltura eroica, fatta ad alta quota, con particolari condizioni climatiche che rendono unico il prodotto finale.
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ccasioni intriganti, dunque, per scoprire la regione. Una regione che è sempre più attenta al tema del turismo ecosostenibile. Ne è prova l’ultimo interessante progetto “Alpine Green Experience”, sviluppato grazie a una visionaria intuizione di Andrea Celesia, proprietario dell’Eco Wellness Hotel Notre Maison di Cogne. Il progetto nasce dall’idea di coinvolgere l’ospite in un percorso virtuoso: le strutture coinvolte offrono agli ospiti, in abbinamento ai servizi alberghieri, un’autovettura elettrica che potrà essere ritirata presso l’Aeroporto di Torino Caselle o presso le
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Stazioni ferroviarie di Torino Porta Susa e Torino Porta Nuova, per raggiungere la Valle e spostarsi durante il soggiorno, vivendo l’emozione della guida elettrica completamente sostenibile e apprezzandone il silenzio. D’altronde la salvaguardia e la valorizzazione dell’ambiente sono da tempo al centro dei valori del turismo valdostano. Nella regione sono presenti Chamois, raggiungibile solo in funivia, e Cogne due bellissime “Perle alpine”, inserite nel circuito internazionale virtuoso che invita alla mobilità dolce, mettendo a riposo la propria auto e scoprendo il fascino delle passeggiate, delle pedalate e delle escursioni
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d’Europa), oltre 100 km di a cavallo. Le stagioni gallerie e impianti originali, trascorrono quindi in slow per un tuffo nel passato di motion per assaporare ogni generazioni di minatori. istante, in un paesaggio Anche in inverno Cogne ha incontaminato e protetto dai le sue attrazioni: più di 70 ritmi frenetici delle grandi km di piste per lo sci di fondo città. (per cui è una delle grandi Un’estesa rete di sentieri località valdostane dello sci permette di camminare nordico, piste per lo sci di in ogni stagione nel discesa, con alcune piste cuore del Parco di media difficoltà che dalle nazionale Gran pendici del Montseuc arrivano Paradiso: questa fino in paese, e infine oltre è la ricchezza di 150 cascate di ghiaccio Cogne, il comune naturali tra Lillaz, Valnontey più esteso della e Gimillan, che ne fanno una Valle d’Aosta, affacciata sull’ampio meta eccezionale per lo sciprato di Sant’Orso, a alpinismo e per l’arrampicata su ghiaccio. 1.500 metri di altezza. Da non perdere, per www.cogneturismo.it conoscere la varietà della www.alpine-pearls.com flora alpina, è il giardino botanico Paradisia, che ospita oltre 1.000 specie botaniche nche La Thuile delle Alpi e di altri gruppi è imperdibile, montuosi di tutto il mondo, il comune più una collezione di licheni e un occidentale giardino delle farfalle. Fino a della Valle ottobre continuano le visite d’Aosta, a 1500 metri circa alla miniera di magnetite di altezza, dominata dai di Cogne (tra le più alte 3800 metri del massiccio del
A pagina 68, la Thuile, panorama. A pagina 69, l’anfiteatro romano di Aosta. A pagina 70, la Thuile, ghiacciaio del Rutor e Monte Bianco. In basso, Cogne. In questa pagina, Aosta, Criptoportico forense.
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Rutor con il suo fantastico ghiacciaio e dalla maestosità della catena del Monte Bianco. Una grande conca soleggiata, appena sotto il Colle del Piccolo San Bernardo, attraverso il quale si passa in Francia: 220 km di itinerari in Mountain Bike, strade di grande suggestione, anche attraverso un vecchio villaggio minerario, classiche passeggiate da trekking di differenti difficoltà, verso il Belvedere di Arpy, stupenda balconata sulla catena del Bianco. Molti itinerari portano a scoprire anche una storia antica di grande interesse culturale. Nel Colle del Piccolo San Bernardo si trovano un Cromlech, uno dei rari cerchi megalitici presenti in Italia, un tempietto gallico,
la Columna Jovis, un’alta colonna di porfido grezzo che ora sostiene la statua di San Bernardo, una Mansio, che, sulla “Via delle Gallie”, garantiva accoglienza, ristoro e pernottamento ai viaggiatori e agli animali da trasporto. www.lathuile.it
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nfine Aosta, il capoluogo, per un viaggio nel tempo! C’è la celebre Aosta romana e l’Aosta medievale. Ma soprattutto è sorprendente l’Aosta megalitica che, solo da due anni, offre alla visita turistica un sito di eccezionale importanza. Per giunta allestito con una concezione
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all’avanguardia, di grande impatto visivo e didattico. È il sito di Saint Martin de Corléans, praticamente un sobborgo della città, dove, nel 1969, una ruspa urtò per caso una stele antropomorfa. Oggi, sotto un’enorme struttura di più di mille metri quadrati, sono esposti, così come si trovavano all’origine, monumenti e reperti che risalgono al 4000 a.C. e hanno rivoluzionato le conoscenze della preistoria europea. Appaiono sorprendenti testimonianze di civiltà misteriose dal Neolitico all’Età del Rame: dolmen e straordinarie stele antropomorfe, riti antichissimi come la semina dei denti e la perforazione dei crani nei vivi, numerosi oggetti di uso
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A pagina 72, dolmen nell’area megalitica. (Foto: Enrico Romanzi) A pagina 73, pane nero di Seissogne. (Foto: Enrico Romanzi) A sinistra, “Reina di cornes” (regina delle corna) decorata con un “bosquet”. (Foto: Giorgio Neyroz) In questa pagina, Borgo medievale di Bard, Marché au Fort. (Foto: Stefano Venturini)
quotidiano, solchi d’aratro, non si sa se tracciati da un aratro a trazione animale o umana. Colpiscono l’attenzione soprattutto le 46 stele antropomorfe che raffigurano divinità, eroi e capi guerrieri, rimaste per millenni a guardia di un mondo inghiottito dal tempo. Dopo la visita al sito megalitico, il Museo Archeologico di Aosta introduce a tutto il patrimonio della regione, dall’età del ferro fino al Medioevo, ricostruendo le vicende dei Salassi, popolazioni celtoliguri, la conquista romana, le ceramiche, i marmi, i vetri, i sarcofaghi, le iscrizioni e i gioielli.
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Da qui parte il percorso nella Aosta romana, una colonia strategica, per controllare l’accesso dalle Prealpi alle fertili terre della Pianura Padana: il Decumanus Maximus, l’attuale via Porta Prætoria, era la prosecuzione naturale della Via consolare delle Gallie che da Milano arrivava fino al Piccolo San Bernardo. Perfetta testimonianza di questa città romana, nata come colonia militare e poi abbellita e ingrandita con funzioni civili, l’arco di Augusto, la magnifica porta Pretoria, il Teatro e il Cripto portico. ▣ www.regione.vda.it www.lovevda.it
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Madonna di Campiglio, la perla delle Dolomiti del Brenta Lusso ad alta quota tra montagne, ristoranti gourmet e chalet esclusivi. Testo e foto di Carmen Guerriero
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adonna di Campiglio è una delle capitali del Turismo mondiale in Trentino. Elegante cittadina a 1550 metri di quota nella bellissima conca tra il gruppo delle Dolomiti di Brenta e i ghiacciai dell’AdamelloPresanella, è giustamente famosa per la sua mondanità ma pochi passi fuori dal centro abitato regalano panorami mozzafiato tra laghi, valli verdissime, ruscelli, malghe e rifugi
immersi in natura e silenzi irreali. È difficile fare i conti con tanta bellezza, si rischia sempre un confronto impietoso. Eppure l’ing. Domenico Schiavon, per 40 anni tecnico della Società Funivie di Madonna di Campiglio, nel 2006 ha, insieme alla moglie biologa, raccolto una sfida impegnativa con la costruzione dello Chalet “Il Sogno”, elegante e tradizionale luxury hotel 5 Stelle a pochi passi dalle piste da sci, dal centro di Madonna di Campiglio,
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nel cuore delle Dolomiti di Brenta. Oggi l’hotel è gestito dal figlio Alberto Schiavon, atleta poliedrico, distintosi più volte in gare olimpioniche e mondiali in varie specialità agonistiche, anche estreme, come Espn Winter X-Games, la competizione internazionale dedicata agli sport estremi dove vengono invitati i 25 migliori atleti al mondo per ogni disciplina invernale, nonché appassionato di snowboard che lo vede protagonista anche in free ride estremi e spettacolari, oltre che di surf, climbing, boulder, montain bike e downhill. Laureato in Finanza all’Università Bocconi di Milano attualmente, oltre a dirigere l’hotel, è maestro di snowboard e guida di mountain bike. Concept all’avanguardia, secondo canoni di bioarchitettura e geotermia, linee armoniche dai bei colori pastello, legno e pietra e un’esposizione a sud contribuiscono a regalare ambienti particolarmente luminosi e confortevoli, dall’atmosfera calda ed accogliente tipica delle case di montagna ed affaccio su un bosco di altissimi abeti, su parte del gruppo del Brenta, del Doss del Sabbione e del paese. Il pavimento è in moquette di lana e la boiserie in cirmolo, una particolare tipologia di legno che dona un naturale e delizioso profumo di resina e di bosco. Alcune suites, come quella Arancio,
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hanno vari ambienti in circa 50 mq ed una splendida Stufa in maiolica decorata a mano. L’hotel vanta anche un ristorante gourmet, Due Pini, condotto dal giovane talentuoso chef Stefano Righetti, con portate e menu che valorizzano i prodotti locali ed ingredienti selezionati principalmente dalle montagne, dai laghi, dalle valli e dai fiumi circostanti. Classe 1988, bresciano, lo chef Stefano Righetti, da Abu Dhabi (Yas Island) fino a Piacenza (Antica Osteria del Teatro, una stella Michelin), sorprende i palati più esigenti e raffinati,
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regalando vere emozioni di sensi, come la Tartare di coregone, carpaccio di rapa rossa all’arancio, chutney di pompelmo; il Risotto al ragù di lumaca, clorofilla di prezzemolo, polvere all’aglio dolce, crema acida al latte; i Ravioli del plin all’anatra, frutti rossi e cicoria di campo. Una spa con hammam, sauna, piscine e massaggi completano l’offerta per viaggiatori esigenti che desiderano vivere un sogno in totale armonia con la natura ed il benessere dei sensi. Da qui, parte l’itinerario escursionistico Geoparco, due gruppi montuosi differenti che si affacciano l’un l’altro:
da un lato la porzione trentina dell’Adamello con le rocce magmatiche intrusive e, dall’altro, le Dolomiti di Brenta, una serie di rocce sedimentarie dalla “lettura verticale” del tempo, dal Paleozoico inferiore (350 milioni di anni fa), passando per l’Oligocene (30 milioni di anni fa) e l’ultimo Massimo Glaciale (circa 15.000 anni fa) e della Piccola Età Glaciale (dal 1850 al 1550), fino ai giorni nostri, talmente belle e straordinariamente importanti che dal 2009 sono state dichiarate Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO. A breve distanza, il lago Nero
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A pagina 76, le Dolomiti. A pagina 77, Alberto Schiavon, titolare dello Chalet del Sogno. A pagina 78, lo chef Stefano Righetti del Ristorante I Due Pini. A destra, il Parco Naturale Adamello Brenta. In questa pagina, in basso: ravioli del Plin, anatra, cicoria e lampone.
è uno dei luoghi iconici più famosi del Trentino nella selvaggia Valnambrone, con lo spettacolare riflesso delle Dolomiti del Brenta riflesso nelle sue acque. Il Geoparco è anche espressione di geodiversità con circa 1500 specie floreali disseminati tra i 477 m e i 3.558 m di altitudine, tra fitte foreste di abeti, di faggi e di larici, praterie, pascoli, dirupi e strapiombi. In alta quota il paesaggio muta e non è insolito incontrare l’orso bruno, camosci, cervi, caprioli, aquile, stambecchi, volpi, tassi, martore, galli cedroni, marmotte, pernici bianche. I grandi ghiacciai T URI S MO NAZ I O NAL E
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dell’Adamello-Presanella sono serbatoi straordinari di acque dolci sorgive che rotolano a valle con fiumi, come il Sarca e il Chiese e spettacolari cascate, tra cui quelle della Val Genova e di Vallesinella, e formano ben 51 laghi alpini, tra cui il celebre lago di Tovel, nell’omonima valle. Qui, nei pascoli delle montagne del Parco Naturale Adamello Brenta, tre sorelle, eredi dell’antica distilleria Giovanni Boroni, seguendo una tradizione familiare iniziata nel 1849, raccolgono la preziosa radice di genziana la lavorano a mano e, dopo la fermentazione, la distillano con un alambicco a bagnomaria alimentato
a legna, producendo uno speciale distillato di genziana, ginepro, imperatoria, mela rossa, rosa canina e lamponi, dal sapore caratteristico secco, equilibrato e persistente, con finale amaricante. La montagna è un ecosistema fragile che interagisce con la vita delle persone che vi abitano e con i turisti che la visitano. Fondamentale è, da parte di tutti, agire con responsabilità sociale ed ambientale e comunicare il territorio anche attraverso la qualità dei suoi prodotti unici, come i vini dell’Agricola Eredi di Cobelli Aldo, azienda vitivinicola in località Sorni di Lavis, nel cuore del Trentino,
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A pagina 80, Bocenago e, in basso, la Cantina agraria Riva del Garda. In questa pagina, Distilleria Genziana, azienda Boron. A pagina 82, il Lago Nero e, in basso, una bottiglia di vino Nosiol dell’azienda Cobelli.
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fondata dal capostipite Aldo, scomparso improvvisamente all’inizio di una vendemmia, al quale è stato dedicato Aldo, metodo classico 50 mesi sui lieviti, dosaggio zero, da sole uve Chardonnay della collina di Sorni. Oggi l’azienda è gestita da tre fratelli Devis, Tiziano e Ivano Cobelli che producono cinque vini, di cui Nosiol, da Nosiola, un antico vitigno tradizionale, oggi poco diffuso. Qualità e territorialità anche per vini e olio extravergine della Cantina Frantoio Agraria Riva del Garda, una cooperativa di Riva del Garda che vanta numerosi premi e riconoscimenti, e per le
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carni lavorate dell’Azienda F.lli Ballardini fondata nel 1929, da bovini della pregiata razza Rendena, presidio Slow Food, che vengono frollate per 60 giorni utilizzando una speciale “grotta moderna” con un vortice di aria controllato al sale di Cervia, acquistando maggiore qualità e tenerezza. In pochi anni, le scelte dei viaggiatori hanno fatto registrare un’inversione di tendenza con preferenze in cui il vero lusso è un’esperienza ricca di emozioni da vivere e condividere. Il Trentino si conferma sicuramente un’entusiasmante promessa. ▣
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BUDAPEST
la città dei cinquecento caffè L’effervescenza ungherese non ha uguali nei Paesi dell’Europa orientale, e la gran gioia di vivere della capitale è palpabile anche se i suoi abitanti non la esibiscono troppo, forse per scaramanzia. Testo e foto di Jimmy Pessina
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a chiave di uno dei locali più prestigiosi di Budapest, il caffè New York, giace chissà dove dentro il letto del Danubio. Venne buttata lì da un gruppo di scrittori, assidui avventori del caffè, per chiedere che il locale restasse sempre aperto, di giorno come di notte. Per l’occasione i buontemponi, tra i quali c’era anche Ferene Molnar (chi non ricorda il suo romanzo: ”I ragazzi della via Pal”?), organizzarono una processione portando la
mitica chiave in giro per la città. Erano i primi anni del secolo e Budapest era nota come città dei cinquecento caffè, intellettualmente vivace e in forte sviluppo nella rincorsa alla capitale gemella dell’impero asburgico: Vienna. Sono passati quasi cent’anni, si sono alternati diversi regimi, ma quello spirito bon vivant non si è spento. Anzi, sembra ancora più diffuso, oggi che Budapest vive un periodo di rinascita anche grazie agli ingenti capitali stranieri accorsi alla
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fiera delle privatizzazioni del post-comunismo. Non fatevi ingannare da certi Ungheresi anzi, pardon, Magiari (così vogliono essere definiti) che assecondando la loro indole malinconica si lamentano per la crisi dell’economia, la corruzione, l’incertezza del futuro e altro ancora. Alle biglietterie dei teatri, poi, trovate il tutto esaurito, nei caffè fate la fila per un tavolino, al ristorante è sempre meglio prenotare, le terme sono gremite, e i locali notturni, tra i quali si contano ben dieci
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A pagina 84, il ponte delle Catene. A pagina 85, Piazza degli Eroi. A sinistra, giardini del Palazzo del Governo. In questa pagina, il Danubio al tramonto dalla Cittadella e, in basso, Caffé nella zona pedonale.
casinò, fanno grandi affari. Se il reddito medio degli Ungheresi fosse davvero quello delle statistiche non si spiegherebbe come molti possano permettersi l’automobile nuova, le piccole, vecchie Trabant sono sempre più rare o quasi scomparse,
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e uno stile di vita così perfettamente occidentale. Si sa, l’economia sommersa o l’arte dell’arrangiarsi, di cui gli Ungheresi sono maestri, un po’ come noi Italiani, sfugge sempre alle statistiche. Per questo al turista non resta che seguire
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In alto, Palazzo del Governo visto dalla Cittadella.
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passo passo i Budapestiani se davvero vuole godersi la città e scoprire i suoi aspetti migliori. Il centro della vita mondano non è più il New York, oggi diventato piuttosto un santuario del turismo, ma non si trova nella miriade di locali e caffè, ben
più di cinquecento, sorti o risorti negli ultimi anni negli eleganti edifici del centro o in più modeste cantine o nei seminterrati, sui barconi ormeggiati in riva al fiume oppure ancora all’Opera, alla Filarmonica, all’accademia Liszt, in uno dei teatri della
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“Broadway” di Pest e persino alla bellissima Sinagoga, dove ogni sera l’offerta di spettacoli musicali è davvero sorprendente. Come tutti i regimi comunisti, anche quello ungherese ha amato e coltivato la musica, sovvenzionando teatri e
scuole per mantenere viva la tradizione Liszt e Bartok. Queste stesse scuole oggi temono i tagli che inevitabilmente verranno operati in nome dell’economia di mercato, anche se un segnale di continuità viene dalla costruzione di un
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nuovo teatro dell’Opera. Solo il cabaret è davvero in crisi, d’idee naturalmente. Quando governavano i comunisti la satira aveva di che alimentarsi, oggi ha perso il suo mordente. Nei pub, la sera, è facile trovare band di ottimo livello, spesso
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A sinistra, l’Opera e, in basso, il Central Market. In questa pagina, le Terme di Széchenil e, in basso, i giardini della Cittadella.
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composte da musicisti non più giovanissimi che di giorno fanno un lavoro qualsiasi o insegnano musica e di sera, per arrotondare, suonano. E come suonano! Attenti, perché se cercate di fare la loro conoscenza, vi racconteranno di quando la musica, la loro passione, poteva bastare a tirare la fine del mese. Ecco che riaffiora la malinconia ungherese della generazione di mezzo, quella che ha avuto più difficoltà a riciclarsi nella giovane economia di mercato e che oggi, passati ormai 30 anni, si sente un po’ out cercando consolazione, sfogo o soltanto comprensione nel turista occidentale. ▣ SETTEMBRE 2019 ASA MAGAZINE
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KASTELLORIZO paradiso di luce
e di emozioni Una delle più affascinanti, ma anche più piccole, isole greche del Dodecanneso, a sud di Rodi. Testo e foto di Carmen Guerriero
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hi non ricorda il film Mediterraneo, con le sue atmosfere serene, i colori intensi e l’incanto dell’isola greca
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di Kastellorizo? Scheggia di paradiso nell’azzurro del mare Mediterraneo, Kastellorizo è una delle più affascinanti, ma anche più piccole, isole greche del Dodecanneso, a sud di Rodi
che, nel corso dei secoli, ha subito molte dominazioni: greca, italiana, turca e, dal 1948, definitivamente greca. È per questo che è chiamata in tre lingue diverse: Meis, turco, Megisti, greco e
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Kastelorizo, italiano, riferito al castello sulla roccia rossastra sopra il porto, un’antica fortezza con spesse pareti e merli eretta, nel Medioevo, dai famosi Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni, quelli dei palazzi di Rodi, per intenderci. L’isola è facilmente raggiungibile dalla Turchia con 22 euro a/r, con partenze giornaliere dalle 10,00 e fino alle 18,00. Poi, 2 volte a settimana, ci sono le partenze pomeridiane alle 18,00 e rientro in Turchia alle 23,00, per chi desidera una serata by night… ed è quella che vivamente consiglio. Visitare Kastellorizo, avvolta nella luce dorata del tramonto è emozione pura: cenare nella semplice
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taverna delle scene del noto film di Abatantuono, mentre il buio cala e piccole luci illuminano scalinate e stradine imbiancate; passeggiare semplicemente sul molo, pieno di negozietti caratteristici e localini a sfioro sull’acqua (finto cheap, occhio ai prezzi!); vedere affiorare dall’acqua una tartaruga gigante e, magari, imbattersi, per caso, in un autentico gioioso “matrimonio greco”!
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Tutto l’abitato dell’isola, costituito anche da molti stranieri, si allunga intorno alle acque del piccolo porticciolo, su cui si specchiano eleganti palazzi neoclassici a due o tre piani, declinati in delicati toni pastello che, insieme al minareto ed alla cupola rossa della moschea del 1755 e la tavolozza vivace delle barche da pesca, creano scorci di vita e di colore dal fascino indimenticabile.
Antiche, in pietra e bianchissime, le scale a Kastellorizo, sono la muta declinazione di passato, presente e futuro che proiettano, chi le percorre, in scorci insperati, stretti tra viuzze lastricate, chiese imbiancate e piazzette di singolare bellezza. Dal porto, salgono vicoli acciottolati tra le case con i tipici balconi aggettanti in legno in stile anatolico. In cima, dall’alto della rocca
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diruta dell’antico Castello rosso, si staglia nel cielo lo sventolio bianco e azzurro della fiera bandiera greca. Sovrana, la luce si distende ovunque, tra declinazioni tonali di struggente bellezza. Un paradiso di emozioni! ▣ T U RI S M O I NT E RNAZ I O NAL E
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MALTA Un’isola nel cuore del Mediterraneo Con le sue isole, per il clima temperato e la purezza cristallina del mare, offre al visitatore delle vere vacanze indimenticabili. di Giovanna Turchi Vismara
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alta, piccola isola nel cuore del Mediterraneo, è invece un incredibile crogiolo di culture e di civiltà, perché, per la sua posizione inserita tra Europa e Asia, nel corso della storia è stata ponte tra popoli, culture e tradizioni diverse. Unitamente alle sue isole sorelle, Gozo e Comino, è in grado anche di unire ad una notevole varietà di siti storicoculturali una vasta serie di attività godibili in ogni periodo dell’anno. Risalgono alle più lontane epoche preistoriche, intorno a 7000 anni fa, i numerosi templi megalitici costruiti da una civiltà misteriosa. Via via nei millenni si sono avvicendati sul territorio tanti popoli. Intorno all’870 a. C. si insediarono i Fenici, popolo di esperti marinai e abili commercianti. Seguirono poi i Cartaginesi, e i Romani. Proprio in epoca romana, nel 60 d.C., come è dichiarato negli Atti degli Apostoli, l’apostolo Paolo, naufragato sull’isola, intraprese l’evangelizzazione delle popolazioni locali. Si avvicendarono poi sul territorio gli Arabi, che vi rimasero per circa 220 anni. La loro influenza è tuttora presente nelle radici semantiche della lingua maltese e in numerosi toponimi. Nel 1091 ebbe inizio la dominazione normanna durante la quale
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prese il via il graduale passaggio dalla cultura araba a quella europea. Testimonianza di tale periodo di reciproche influenze è la città fortificata di Mdina di origine medievale. Seguirono poi gli Aragonesi quando l’arcipelago entrò a far parte del Regno delle Due Sicilie. Malta raggiunse il suo momento di massimo splendore divenendo anche una fortezza inespugnabile dopo che fu ceduta ai Cavaleri di San Giovanni alla ricerca di una nuova Patria, dopo essere stati cacciati da Rodi. I Cavalieri di San Giovanni, chiamati anche Cavalieri di Malta, appartenenti alle più nobili famiglie europee, ospitarono sul territorio i migliori artisti del tempo tra i quali Caravaggio, di cui si conservano presso la cattedrale di San Giovanni a La Valletta i capolavori “La decollazione di San Giovanni Battista” e il “San Girolamo”. Proprio grazie anche all’introduzione delle tendenze culturali più aggiornate, e alle ricche architetture di case, palazzi e tante chiese, la capitale divenne un vero museo a cielo aperto, riconosciuta in tutto il modo come la perla del barocco. La città prese questo nome in onore del Gran Maestro Jean Parisot de La Valette che condusse le truppe maltesi alla vittoria contro le armate ottomane che avevano assediato l’isola T U RI S M O I NT E RNAZ I O NAL E
nel 1565. Successivamente, il potere dei Cavalieri andò declinando fino al 1798 quando l’isola cedette all’invasione della flotta di Napoleone. I Maltesi però si ribellarono ai Francesi ed entrarono a far parte dell’impero britannico di cui divennero un’importante base navale. La dominazione britannica si concluse nel 1964 quando Malta ottenne l’indipendenza e nel 1974 fu proclamata Repubblica. Oggi Malta fa parte dell’Unione europea e ha adottato l’euro come valuta ufficiale. L’inglese è la seconda lingua ufficiale e sono validissime le scuole che offrono agli studenti, anche nei corsi estivi, la possibilità di imparare un inglese perfetto. Malta con le sue isole, per il clima temperato e la purezza cristallina del mare, offre al visitatore delle vere vacanze indimenticabili. Il popolo maltese è uno dei più accoglienti del Mediterraneo. Il mare rappresenta per Malta la principale fonte di sostentamento. Non solo nelle profondità incontaminate vivono specie marine di ogni genere, ma sulle sue acque gli appassionati possono praticare i più diversi sport acquatici, ed è un vero spettacolo esplorare le aspre scogliere rocciose, le baie e le insenature che punteggiano la costa. È veramente emozionante immergersi nelle acque di Golden Bay (Baia D’Oro) e
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di Paradise Bay (Baia del Paradiso). Il calendario annuale di eventi culturali e sportivi è ricchissimo e spazia da gare sportive internazionali a serate dedicate a teatro, opera, musica, danza e nelle discoteche si trovano i migliori DJ. I resort sul lungomare, in un’atmosfera cosmopolita offrono una vita notturna vivace e alla moda, arricchita da un’eccellente cucina. Uno dei principali ingredienti della cucina maltese è il pesce, ma è gustosissimo anche il tradizionale coniglio stufato nel vino rosso e insaporito all’aglio. Croccantissimo fuori e soffice all’interno è il particolare pane tradizionale, e sono veramente sorprendenti i sapori della cucina locale nei ristorantini a gestione familiare. Anche l’entroterra offre intense emozioni con le calme piazzette dei villaggi, le dimore di campagna e le cappelle, le vallate e gli spettacolari paesaggi marini. Nella campagna ci sono anche tanti percorsi ideali per chi ama andare in bicicletta o a cavallo e per i più avventurosi c’è la possibilità di dedicarsi al free climbing su suggestive pareti rocciose. Anche le due piccole isole, Gozo e Comino, offrono centri eccellenti per praticare immersioni in mare, sia per esperti che per principianti. È semplicemente magico il
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fascino di Gozo, a soli 25 minuti di traghetto da Malta. Gozo è l’isola della ninfa Calipso che, secondo la leggenda, tenne prigioniero per ben sette anni Ulisse. Sono veramente suggestive le sabbie rosse di Ramla I-Hamra Bay che brillano al sole davanti alla leggendaria grotta della ninfa. Anche questa piccola isola è caratterizzata da tanti siti culturali e paesaggi naturali. È imponente la cittadella che domina Victoria, il centro commerciale e amministrativo, ed è sorprendente il misticismo religioso che avvolge la
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basilica di Ta’ Pinu. Malta vanta tre siti patrimonio dell’UNESCO: l’ipogeo di Hal Saflieni, nella località di Paola, include un tempio preistorico sotterraneo e una necropoli risalenti al 3600-2400 a.C.; i templi megalitici di Ggantija, considerati i monumenti più antichi al mondo, situati a Gozo e risalenti al 3800 a.C.; La Valletta, città tardorinascimentale collocata all’interno di una fortificazione muraria tale da resistere a qualsiasi minaccia esterna. ▣ Per saperne di più: www.visitmalta.com
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ALGERIA deserti e archeologia Infinite distese del deserto algerino dell’Hoggar e del Tassili e poi, vicino alla costa, le città romane. Testo e foto di Franca Dell’Arciprete Scotti
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ulla come la visione del deserto confonde le idee, nell’apparente immobilità e monotonia: un mare di sabbia a perdita d’occhio, pietre, dune mobili come i colori, cespugli spinosi e, in lontananza, miraggi. Il Sahara, il più grande deserto del mondo, occupa in Algeria i quattro quinti del territorio ed è proprio qui, in Algeria, che presenta le sue più belle sfaccettature. Un mondo pieno di mistero, poco conosciuto da parte del pubblico italiano, itinerario perfetto per un viaggio invernale. Clima caldo e secco di giorno, notti fredde e frizzanti, cieli stellati
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da toccare con le mani, avventure per tutti, trekking, passeggiate fotografiche, corse sulle dune, spettacoli impagabili all’alba e al tramonto. E sullo sfondo, quando capita, cammelli al pascolo e uomini blu. Tamanrasset, capoluogo della regione del sud algerino, è la mitica città dove sono passati popoli e popoli: i Romani che avevano colonizzato il Nord Africa e spingevano i loro commerci fino all’Africa nera; le tribù arabe che portarono l’Islam tra il 7º e l’8º secolo, i Berberi o Touareg, gli affascinanti uomini blu, prima nomadi poi stanziali, famosi per le loro carovane di cammelli lungo la via del Sudan, che portava dalle coste del Mediterraneo alla città di Timbuctù, nel centro dell’Africa.
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Intorno a Tamanrasset si distende il deserto dell’Hoggar, un mare di sabbie infinite, montagne granitiche e vulcaniche, oasi rilassanti, una tela di fondo azzurro cielo su cui si disegna il color ocra del deserto. E chi avrebbe detto che nel deserto si stende una prateria di fiori rosso viola tra le pietre nere, ai piedi di picchi altissimi scavati verticalmente da secoli di erosione? Tra i siti più famosi dell’Hoggar c’è l’Assekrem, che si raggiunge attraverso una pista sterrata con potenti macchine 4 × 4: in cima, a circa 3000 metri, si assiste alle più belle albe e
ai più bei tramonti del mondo. Ma, al di là del contesto naturalistico così sorprendente, l’Assekrem conserva in cima il tesoro dell’eremitaggio del Padre Charles de Foucauld, un personaggio eccezionale, fondatore del gruppo dei “Piccoli fratelli del Sacro Cuore”, testimone dei valori della carità e della fraternità. Il suo messaggio sopravvive attraverso la presenza di alcuni giovani monaci che raccontano con gioia, davanti alla porta dell’eremitaggio, la storia del Padre e i valori in cui credeva. Nel profondo sud, Djanet è
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la porta sul deserto del Tassili N’Ajjer, Patrimonio dell’Unesco e Riserva della Biosfera dal 1986, una delle zone più affascinanti del Sahara. Rocce scolpite dalla sabbia e dal vento in forme surreali, altissime dune di sabbia bianca e dorata, altopiani, massicci montagnosi e vulcanici, depressioni coperte di sale, un paesaggio spesso lunare punteggiato da oasi, canyon altissimi che ricordano il Far West. Ma soprattutto incanta qui la più grande concentrazione di pitture e incisioni rupestri
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di tutto il Sahara. Un museo incredibile a cielo aperto che corrisponde al periodo in cui il Sahara, dal 9000 al 2500 a.C. circa, era una zona umida
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e lussureggiante, dove vivevano cacciatori e pastori, e animali selvaggi come coccodrilli, elefanti, ippopotami, giraffe. La famosa incisione
rupestre imperdibile per ogni spedizione turistica è “la vache qui pleure” che ricorda forse il periodo in cui le mandrie venivano ad abbeverarsi ad un bacino
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d’acqua che si apriva ai piedi della parete rocciosa. Questo è naturalmente il regno dei Touareg, o uomini blu, un tempo dediti alla vita nomade e carovaniera e oggi impegnati nel turismo per la loro profonda conoscenza del territorio. Appare infatti incredibile la loro capacità di orientarsi guidando potenti fuoristrada su piste non segnate, un orizzonte di sabbia a perdita d’occhio in cui a noi Europei mancherebbe ogni punto di riferimento. Ma si può anche scegliere l’esperienza più lenta e affascinante del trekking sul cammello accompagnati dai portatori. Il cammino è comunque lungo, le piste dissestate permettono di contemplare con lentezza i panorami grandiosi, le soste sono frequenti. Pranzi e cene secondo tradizione locale: tappeti per terra, piccoli tavolini bassi, grandi vassoi pieni di verdure, couscous, carne di montone alla brace, datteri, banane e uva. Per finire l’immancabile tè alla menta, amaro e forte, che i Beduini preparano con cura e servono poi con un rituale tutto loro, versando la teiera da un metro di altezza sopra bicchierini minuscoli. L’alloggio nel deserto sarà spartano, ma nulla da rimpiangere, di fronte allo spettacolo impagabile del cielo stellato notturno,
luminosissimo e protettivo. E di notte grande escursione termica che abbassa anche di 20 °C la temperatura del giorno. Un lungo volo ci porta a Nord, alle città romane di Timgad e Djemila, patrimonio Unesco, che ricordano il tempo della Numidia conquistata e alleata dei Romani, i tempi delle guerre puniche, della conquista dell’Africa romana. A Timgad un’iscrizione riassume il modo di vivere dei Romani: “cacciare, bagnarsi, giocare, ridere: è vivere” Nate come guarnigioni militari, spesso sugli altipiani a 1000 m di altezza, ottimi posti di guardia e di controllo del territorio, divennero poi colonie e città romane nel corso del primo millennio, tra il 1º e il 3º secolo dopo Cristo. Archi di trionfo perlopiù dedicati ai Severi, terme grandiose, imponenti templi dedicati alla triade capitolina, pietre delle strade che portano i segni delle ruote dei carri, sistemi di raffreddamento e riscaldamento delle acque, bagni pubblici, biblioteche, tavoli per le misure nelle taverne, statue su alti basamenti, il teatro, colonne. Nei musei inseriti nei siti archeologici colpiscono soprattutto la ricchezza e la magnificenza dei mosaici del Nordafrica: Nettuno, Diana, delfini,
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cavalli, pesci, intrecci vegetali. E poi un battistero cristiano costruito negli anni successivi con i segni simbolici del pesce e della croce. D’altronde non dimentichiamo che proprio qui, a breve distanza, nacque Sant’Agostino di Ippona. Città conservate perfettamente dalla sabbia e dall’oblio, definite Pompei africane, dove si cammina a lungo, guidati da brave guide locali che poi spesso organizzano il pranzo nelle loro case private. Visite che fanno capire l’intelligenza di certe scelte strategiche, tra corsi d’acqua, cave di pietra, alture aperte e soleggiate, terreni fertilissimi ricchi di frutti e cereali. Consigli di viaggio: indispensabile il visto turistico da chiedere per tempo, rilasciato dall’Ambasciata o dal Consolato algerino in Italia. Per il viaggio in Algeria, che di solito è scortato da due camionette di polizia, è consigliabile affidarsi a T.O. specializzati. Ottimo Visa Travel. http://visatravelalgerie. blogspot.com Per ogni informazione turistica www.ont.dz in lingua francese e inglese. ▣
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Gobekli Tepe, la ‘Stonehenge dell’Asia’, tra mistero e stupore Costruito prima dell’invenzione della ruota, della nascita della scrittura, della lavorazione della ceramica, è il sito più antico del mondo. Testo e foto di Carmen Guerriero
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uando nel 1958, nella provincia turca di Konya, venne scoperto il sito di Çatalhöyük, il mondo scientifico esultò: con una superficie di 13 ettari, in 18 livelli stratigrafici dal 7400 al 5700 a.C. circa era il più antico insediamento umano abitato di epoca neolitica dell’Anatolia e, nel 2012, il sito neolitico fu riconosciuto Patrimonio Unesco. Ma il primato durò relativamente poco. Nel 1963, cumuli di frammenti di selce rivelarono a un gruppo di ricercatori turchi e americani la presenza umana in un sito ancora più antico, dell’età della pietra, su una collina artificiale alta circa 15 metri
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A pagina 112, Gobeklitepe, veduta d’insieme dei cerchi. A pagina 113, la collina di Gobeklitepe. In basso, particolare di una stele. In questa pagina, ricostruzione del trasporto dei megaliti.
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e con un diametro di circa 300 m, vicino alla pianura di Harran, a soli 18 chilometri dalla città di Şanlıurfa, al confine con la Siria. Era Göbekli Tepe, un sito archeologico straordinario e misterioso, il più antico luogo di culto mai scoperto, risalente tra l’11.500 e l’8000 a.C, costituito da un santuario monumentale megalitico, contenente, a sua volta, quattro cerchi concentrici, all’interno dei quali vi sono misteriosi megaliti a forma di T alti tra i 3 e i 6 metri, del peso compreso tra le 40 e le 60 tonnellate, in piedi e disposti a cerchio, con raffigurazioni di animali e, quelli più alti, di uomini con le braccia
conserte insieme ad altri in assemblea. Luogo di culto eretto circa 12.000 anni fa da generazioni di cacciatori dell’età della pietra e costruito prima dell’invenzione della ruota, della nascita della scrittura, della lavorazione della ceramica, è il sito più antico del mondo e rappresenta un punto di svolta della storia umana: più precisamente, il luogo in cui l’uomo scelse di diventare stanziale, di riunirsi in comunità, di trasformarsi da cacciatore in agricoltore. Ma è un sito tutt’altro che chiaro e, malgrado dal 1995 gli scavi proseguano ininterrottamente, su Göbekli Tepe ci sono diverse interpretazioni.
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Come per tutte le grandi costruzioni megalitiche disseminate in vari punti del globo e del tempo, sembra inimmaginabile che dei semplici uomini primitivi, senza nemmeno conoscere la ruota, abbiano potuto realizzare l’impresa del trasporto di enormi blocchi di pietra dal peso di oltre 10 tonnellate per siffatte costruzioni, durante un periodo da tre a cinque secoli. Altro mistero è il motivo che spinse, nell’8000 a.C., gli uomini ad abbandonare velocemente il sito, seppellendolo volontariamente sotto strati di terra. Perché? Alcune teorie ipotizzano di un luogo considerato maledetto per i culti sciamanici praticati per secoli. TU RI S M O I NT E RNAZ I O N AL E
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Altre teorie, invece, propendono a favore di uno sciame di comete che colpì la Terra nell’11.000 a.C. portando morte e distruzione e che, modificando l’inclinazione dell’asse di rotazione del pianeta, causò l’estinzione di molte specie come quella dei mammut e l’era glaciale per mille anni. Tanto si rinviene in alcune steli nel sito che, attraverso simbolismi animali, riproducono costellazioni celesti e la loro posizione nel cielo, tra cui quella detta dell’avvoltoio, che segna la caduta dello sciame di
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comete e un uomo senza testa, ad indicare la perdita di molte vite umane. Grazie ad un computer, gli studiosi hanno potuto ricostruire la mappatura celeste così come indicata e stabilire che le stelle si trovavano in quel punto esattamente nel 10.950 a.C. Ecco perché Gobekli Tepe è considerato verosimilmente il più antico osservatorio astronomico di comete e meteoriti ed ha costretto archeologi e storici a rivedere la Storia dell’umanità. Quest’anno 2019, in Turchia è stato dichiarato «l’anno di Gobeklitepe», Patrimonio
Mondiale dell’UNESCO, definita la ‘Stonehenge dell’Asia’ e si prevede che sarà visitata da più di un milione di persone. Per una migliore comprensione del sito, ho apprezzato molto la visita allo spettacolare nuovo Museo Archeologico di Şanliurfa, inaugurato alla fine del 2014, sviluppato su tre ampi piani che comprendono sculture, vasellame e gioielli di Göbekli Tepe, oltre a una straordinaria ricostruzione di uno dei templi circolari in dimensioni fedeli e tante scene di vita quotidiana, incredibilmente realistiche. ▣
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A pagina 116, ricostruzione di uno dei templi circolari. In basso, ricostruzione di un tagliatore di megaliti. In questa pagina, il Museo Archeologico di Şanliurfa.
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STOCCAFISSO SENZA FRONTIERE
ha concluso il programma della 27a edizione di Tipicità Un evento che, com’è ormai tradizione, ha chiuso il sipario sul Festival marchigiano. In passerella una quindicina di cuochi giunti a Fermo da tutto il Belpaese con la propria ricetta del succulento merluzzo artico. Testo e foto di Jimmy Pessina
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ome da tradizione, anche la 27a edizione di Tipicità, contraddistinta da ben 130 eventi in tre giorni, si è conclusa con uno special event, un autentico “evento nell’evento” unico nel suo genere e molto atteso dai gourmet: Stoccafisso senza frontiere. Una singolar tenzone dei sapori che richiama nelle Marche un esercito di cuochi provenienti dai ogni angolo dello Stivale,
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quantomeno da quei territori che tradizionalmente amano gustare lo stoccafisso, alias il pregevole merluzzo artico della specie Gadus morhua, un pesce pescato nei gelidi mari del circolo polare artico ed essiccato dai pungenti venti polari. Un imperdibile appuntamento che si perpetua ogni anno, all’inizio del mese di marzo, proponendo un inconsueto “Giro d’Italia”, ma dello stocco! Dalla Venezia Giulia alla Sicilia, dalla Liguria alla Calabria, dal Friuli al Veneto,
toccando Emilia Romagna e Marche, l’appetitosa carovana approda nelle località che esprimono le differenti abitudini in uso nella Penisola, caratterizzate da ingredienti, sapori, profumi e colori diversi, ma con un comun denominatore: lo stoccafisso. Festival nel festival, singolare ed esclusivo, Stoccafisso senza frontiere è considerato il “campionato mondiale dello stocco” in prova unica, anche se non competitiva. Tranquilli! L’appellativo mondiale non
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è un’esagerazione, credete! Infatti, sul pianeta, questo straordinario prodotto viene consumato quasi esclusivamente in Italia e nelle sue immediate vicinanze, come la penisola istriana, frutto della dominazione veneziana, ed il Principato di Monaco. Con un’eccezione che conferma la regola: la Nigeria. Nel resto del mondo, infatti, è diffuso esclusivamente l’uso del baccalà, ovvero lo stesso merluzzo artico, ma conservato tramite salagione. E così, ancora una volta (per le cronache la quattordicesima), a Fermo è andata in scena questa curiosissima e gustosissima “prova iridata”, un originale ed amichevole confronto al quale ha preso parte una quindicina di cuochi provenienti da altrettante località italiane, ciascuno con la sua ricetta tipica di stoccafisso, ognuno orgoglioso del proprio piatto. E giustamente! Tutti eccellenti, tutti originali, tutti con ingredienti rigorosamente locali, tutti ambasciatori della propria regione! Un tripudio di sapori che, anche in questo campo, conferma una vera e propria sfilata del gusto, una fantastica celebrazione dell’ineguagliabile merluzzo nordico essiccato che ha visto protagonisti gli chef: Luciano ed Elena Odorico, con “Stoccafisso ai profumi friulani”; Norberto Magnani, con “Frittelle di baccalà alla modenese”; Gabriele e
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Alessio Ferron, con “Risotto al baccalà mantecato”; Michela Polverini, con “Stoccafisso all’anconitana”; Guido Gennaro, con “Stoccafisso alla fermana”; Sabrina Attanasio, con “Stoccafisso all’elpidiense”; Alessandro Giuseppe, con “Stoccafisso allo sfincione siciliano”; Nicola Alessi, con “Stoccafisso di Calabria con verdure gentili, zafferano Siberene e note di bergamotto all’olio extravergine d’oliva”; Paolo Ghione, con “Buridda”; Alessandro Capecci, con “Stoccafisso in salsa”; Massimo Cirone, con “Stoccafisso dei benedettini di Parma (sec. XVIII)”; Davide Spanghero, con “Stoccafisso alla Bisiaca”; Elio Bertoldo, con “Bacalà alla vicentina”.
Gli chef sopra citati hanno realizzato i piatti di stoccafisso in rappresentanza di Confraternite, Accademie e Associazioni dedite alla promozione e diffusione della gastronomia legata al succulento pesce artico. Rispettivamente: Confraternita friulana del bacalà, di Varmo (UD); Consorzio balsamico acetaia, di Nonantola (MO); Strada del riso vialone nano veronese IGP, di Isola della Scala (VR); Accademia dello stoccafisso all’anconitana, di Ancona; Accademia dello stoccafisso alla fermana, di Fermo; Istituto superiore “C. Urbani” & Amici dello stocco, di Porto Sant’Elpidio (FM); Associazione “Lo sperone”, di Alcamo (TP); Accademia dello Stoccafisso
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di Calabria, di Cittanova (RC); Associazione “San Giovanni Battista-Cantalupo 1907 A.P.S.”, di Cantalupo di Varazze (SV); Museo della civiltà contadina e artigiana di Ripatransone
(AP); Macaronicorum Collegium-Amici di Merlin Cocai, di Bassano del Grappa (VI); Pro loco di Turriaco (GO); Venerabile Confraternita del bacalà alla vicentina, di Sandrigo
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(VI). L’intera degustazione di piatti di stoccafisso è stata accompagnata da una selezione di pregiati vini dell’azienda Terre Cortesi Moncaro di Montecarotto (AN). ▣
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CHEESE dal 20 al 23 settembre a Bra il naturale diventa
PROTAGONISTA A Cheese 2019 sotto i riflettori non sono solo i formaggi naturali, ma anche i salumi, i pani, i vini nel cui processo di produzione non si fa uso di fermenti selezionati, nitriti e nitrati, additivi. a cura Redazione Centrale (Fonte Slow Food)
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on è un concetto facile né immediato, ma proviamo a spiegarlo, com’è nello stile di Slow Food, nei modi più diversi: il ciclo di conferenze “Naturale è possibile” dedicate all’argomento, all’interno dello spazio dedicato alle piccole produzioni fermiers, che fanno della naturalità il proprio “marchio di fabbrica”
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e in numerosi Laboratori del Gusto. La formazione per i produttori - Il tema dei naturali sarà anche il focus della formazione rivolta ai produttori e organizzata il 19 settembre, a un giorno dall’evento vero e proprio. A condurla sarà Giampaolo Gaiarin, tecnologo e insegnante all’Istituto agrario di San Michele (Tn).
Trasmettere conoscenza, comunicare passione Partiamo proprio di qui, parlando di chi è Giampaolo Gaiarin, e di cosa fa. Prima di insegnare ero responsabile del controllo qualità del Consorzio Trentingrana. Scegliendo l’insegnamento mi sono rimesso in gioco ed è una bella esperienza. Quello che so nel mondo del latte e
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dei formaggi io l’ho studiato in parte, ma in gran parte lo devo ai produttori, ai trasformatori, ai casari e agli allevatori. Questo per me è diventato un sapere, non sono informazioni, sono conoscenze che fanno parte della mia vita. Trasmetterle a mia volta ai ragazzi è una sfida bellissima. Perché devi essere preciso, devi essere tecnico e scientifico, ma dall’altra parte è altrettanto importante trasmettere una passione. I saperi vanno trasmessi non come nozioni, informazioni – per avere informazioni è sufficiente fare una ricerca su internet –, ma per capire come tutte queste cose si
calano concretamente nel processo di trasformazione. Il latte crudo - Perché dovremmo scegliere un formaggio a latte crudo? Se possiamo nutrirci – non semplicemente alimentarci – portando qualcosa dentro il nostro corpo con un formaggio a latte crudo, naturale, è la cosa migliore che possiamo fare in un mondo così tecnologicamente evoluto e che così intensamente ha modificato quello che mangiamo. La scelta del latte crudo significa che quello che la natura – la capra, la pecora, la vacca, la bufala – ci mette
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In questa pagina, l’agordino di malga - Arca del Gusto - e altri prodotti degli alpeggi bellunesi. (Foto: Marco Bruzzo) A pagina 124, la razza bovina pezzata rossa di Oropa - Arca del Gusto - in alpeggio (Foto: Valerie Ganio Vecchiolino). In basso, la razza rendena, Presidio Slow Food. (Foto: Manuel Cosi)
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a disposizione nel latte noi lo possiamo facilmente utilizzare. Nutrirsi significa fare sì che il nostro corpo si accresca, tragga beneficio da quello che introduciamo. È diverso dall’alimentarci, che è semplicemente introdurre qualche cosa. Quello che l’animale ha mangiato lo trasferisce al latte e, se noi applichiamo una tecnologia rispettosa usando il latte crudo, lo ritroviamo nel formaggio. Se ha mangiato l’erba di un determinato pascolo, all’inizio della stagione degli alpeggi, che è diversa da quella che si trova tre settimane dopo, tutte
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queste cose le ritroviamo nel formaggio a latte crudo, come piacevolezza di aroma e odore. Batteri buoni, batteri cattivi - Spesso, però, i formaggi a latte crudo sono additati come pericolosi… Un altro aspetto che ci fa scegliere il latte crudo è poco visibile: sono i batteri. Ogni stalla ha i suoi: buoni, tristi, favorevoli, non favorevoli nella caseificazione. L’industria procede azzerando le differenze. Quello che noi chiediamo a chi lavora a latte crudo è di essere rispettoso del latte, di
A pagina 125, il silter, formaggio naturale lombardo. (Foto: Valerie Ganio Vecchiolino). In basso, Il caciofiore della campagna romana, Presidio Slow Food. (Foto: Alberto Peroli) In questa pagina, una pecora della razza ovina frabosanaroaschina. (Foto: Valerie Ganio Vecchiolino)
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produrlo bene, di conservarlo in modo adeguato, di non contaminarlo con attrezzature sporche, di custodirlo. In questo custodire ci sono aspetti odorosi e aromatici e batteri utili che fanno sì che il formaggio sia più variato, più elaborato dal punto di vista delle caratteristiche aromatiche. Buono o non buono è un’altra cosa, ma io voglio la libertà di poter scegliere un prodotto che mi dia delle sensazioni, delle percezioni che un formaggio a latte pastorizzato, che pure è prodotto bene, possiede costantemente nel tempo. A me, invece, piace sentire il formaggio fatto in quell’alpeggio all’inizio di luglio e alla fine di luglio, mettermi in gioco e ascoltare le differenze. Naturali e industriali - È corretto definire come naturali i formaggi che non fanno uso di fermenti selezionati, industriali? E che differenza c’è fra fermenti industriali e naturali? Se prendo una bustina di fermenti industriali abbasso il profilo odoroso e aromatico del formaggio. I fermenti industriali contengono una tipologia di batteri, al massimo due. I lieviti selezionati mi danno esattamente il profilo del formaggio che mi aspetto. Se invece prendo i batteri buoni che ho nella mia stalla – o nelle mie stalle, se ho
un caseificio – e li uso nel processo di lavorazione, attivo un processo naturale in cui i batteri fanno pochissima strada: dalla stalla al caseificio. In un fermento industriale che magari è prodotto in Australia, i batteri fanno moltissima strada in più. Il loro impatto ambientale è completamente diverso. Dal punto di vista della qualità, inoltre, in un latte innesto abbiamo tanti batteri diversi, e tutti concorrono a dare odore e aroma al formaggio. In un processo naturale li ritrovo, negli aspetti positivi, se il latte è stato curato, e negativi, se è stato maltrattato. In un processo industriale il latte può essere prodotto un po’ come si vuole, entro determinati riferimenti normativi. Se non è prodotto bene, con il processo di pastorizzazione azzero tutte le caratteristiche negative. Se uso il latte crudo, invece, nel bene e nel male le caratteristiche vengono accentuate, esaltate, e si ottengono risultati diversi. Il formaggio è naturale se rispecchia la natura. In natura non c’è sempre il sole, o le nuvole. La natura ha il suo ciclo, la sua vita, le sue sorprese in senso positivo e negativo. Fare un formaggio a latte crudo e naturale significa avere la possibilità di gustare, tutti i giorni, un tramonto o un’alba particolare. Le razze - Qual è la razza da latte migliore?
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La razza migliore è quella che meglio si adatta in quella stalla, con quell’allevatore, a quell’altitudine o a quella pianura e con quel foraggio che le viene dato da mangiare. Se noi prendiamo una vacca frisona della Pianura Padana e la portiamo a 2000 metri di altezza, lei che è abituata a fare quattro passi e in montagna deve iniziare a fare chilometri, si troverà in grosse difficoltà. Dall’altra parte se prendo una vacca grigio alpina, che è abituata a guardare le montagne negli occhi e a inciampare più nei sassi che nei fili d’erba e la porto in Pianura Padana, anche lei si troverà in grossa difficoltà. Dobbiamo conservare la razza adatta a quel territorio, a quell’ambiente, conservare la biodiversità legata alla razza, e conservare la biodiversità legata al foraggio, la biodiversità legata al sapere del casaro, al tipo di formaggio che si fa in un determinato luogo. Gli occhi di Giampaolo si illuminano, quando racconta le sue esperienze, e dalle ultime parole che dice capisco pienamente il perché: «Il formaggio è vita, il formaggio è emozione. Se noi pastorizziamo il latte e usiamo i fermenti perdiamo tutto questo. Conserviamoci questo modo di produrre che è un modo diverso, naturale, rispettoso dell’ambiente, e che ci dà emozioni». ▣
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PEPERONCINO
il frutto infuocato che accende i sapori E’ arrivato in Europa con le caravelle di Cristoforo Colombo e ha dato una sferzata di gusto e di colore ai piatti del Vecchio Continente. di Enza Bettelli
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l peperoncino era conosciuto in Centro America già parecchie migliaia di anni fa e Aztechi, Maya e Inca lo utilizzavano in ogni momento della giornata: per cucinare, come medicinale, afrodisiaco e per riti sacri. Sbarcato in Europa dopo il secondo viaggio di Cristoforo Colombo, il peperoncino vi si è rapidamente diffuso, conquistando poi anche Asia e Africa, grazie anche alla sua facilità di coltivazione, per rimbalzare infine in Sud America al seguito dei colonizzatori che vi importarono gli ibridi ottenuti in Europa. A favorire il
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successo del peperoncino è stato il suo insolito gusto piccante, in grado di dare un tocco di vivacità e maggiore personalità a ogni piatto, anche il più “noioso”. Senza contare che era molto più economico di pepe, cannella, noce moscata e altre costose spezie che solo le classi agiate si potevano permettere. Colombo lo battezzò pimento poiché lo ritenne una valida alternativa al pepe (il cui nome in spagnolo è pimiento) che aveva sperato di trovare nel Nuovo Mondo. Per lungo tempo il peperoncino fu chiamato in Europa anche pepe d’India.
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n piccante arcobaleno
Il peperoncino appartiene alla famiglia delle Solanacee, la stessa di pomodoro e patata, genere Capsicum. Esistono migliaia di varietà di peperoncino coltivate in tutto il mondo, compreso il nostro Paese dove la produzione più rinomata è in Calabria. Lo scorso agosto, in occasione del Peperoncino Day® a Viareggio è stato ottenuto il Record del Mondo con una collezione di 1133 varietà di peperoncino allineate lungo quasi cento metri. Quasi tutte le varietà di peperoncino
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sono commestibili, ma molte vengono coltivate a scopo ornamentale per la bellezza della forma e del colore. I frutti (o bacche) possono, infatti, essere grossi e carnosi o piccolissimi e fragili; a punta, a ciliegia o arrotondati; rossi, verdi, gialli, porpora, viola, crema, marroni, neri. Anche il piccante può variare, da appena accennato o addirittura dolce fino a estremamente pungente o amaro. I peperoncini sono venduti freschi, essiccati, in pasta, in salamoia, marinati e perfino affumicati. Ricordiamo alcune delle varietà più note: Calabrese: ha forma a ciliegia, di colore rosso, piccante con una punta di dolce. E’ chiamato anche “Bacio di Satana” ed è
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spesso servito farcito con tonno. Ungherese: è piuttosto grosso, ha colore giallo ceroso ed è corto con forma conica; la varietà a forma lunga e appuntita è invece dolce. Serrano: piuttosto carnoso, croccante e piccante, molto piccolo, è verde scuro quando è immaturo per cambiare il suo colore in giallo, arancio, rosso o marrone con il procedere della maturazione. Tabasco: utilizzato soprattutto per le salse, è anch’esso piccolo e molto piccante, con il colore che va dal verde pallido passando al giallo e all’arancione fino al rosso. Habanero: ha una particolare forma che ricorda quella di una piccola lanterna; può
essere verde giallo, rosso, arancio; è molto piccante e va dosato con attenzione. Jalapeño: piccante, lungo e a punta arrotondata è verde, ma diventa rosso quando è maturo; se è essiccato si chiama chipotle. Cayenna: molto lungo e sottile, a punta, assai piccante, è venduto di solito essiccato e macinato. Si utilizza per curry indiano e il chili con carne texano. Ancho: ha forma a cuore ed è dolce e fruttato; di colore marrone-rossiccio ed è spesso reidratato e ridotto in pasta come base per salse. Espelette: prende il nome da un piccolo paese dei Paesi Baschi francesi dove è intensamente coltivato. E’ più dolce del Cayenna ma molto profumato; viene utilizzato soprattutto con il pesce.
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MA QUANTO E’ PICCANTE? Ogni varietà ha la sua piccantezza che può variare a seconda del grado di maturazione e perfino del metodo di coltivazione, ma è data in primis dalla quantità di capsaicina, un alcaloide presente nel peperoncino. Alcuni peperoncini sono dolci o solo lievemente piccanti ma sempre con un gusto ben definito. Per valutare l’intensità del piccante si utilizza la Scala di Scoville, dal nome del suo ideatore. L’intensità si calcola in SHU (Scoville Hot Unit) e parte dallo zero dei peperoni dolci fino alle 2.200.000 unità a cui possono arrivare alcuni esemplari di Carolina Reaper, originario del Sud Carolina, nel Guinness dei primati
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da alcuni anni come peperoncino più piccante al mondo. Per evitare spiacevoli inconvenienti la quantità di peperoncino va dosata con attenzione perché la pietanza che si insaporisce abbia un grado di piccantezza sopportabile dal palato. L’assaggio di un seme è il metodo più semplice e diretto per valutarne la piccantezza, tenendo presente che in genere più il peperoncino è piccolo, sottile e scuro più è piccante; quello fresco e acerbo è meno piccante di quello maturo e quello essiccato è più forte di quello fresco. Eliminare semi e nervature contribuisce a renderlo meno piccante.
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struzioni per l’uso
Per spegnere il bruciore lasciato da un intingolo troppo piccante è inutile bere acqua ma è consigliato, invece, mangiare formaggio fresco o yogurt o bere latte poiché la capsaicina è liposolubile; può essere utile anche masticare della mollica di pane. In ogni caso è buona norma dopo aver maneggiato i peperoncini evitare di toccarsi
occhi e viso e lavare mani e utensili con cura per eliminare ogni traccia di piccante. Ma bisogna anche conoscere il peperoncino di buona qualità e se non si coglie direttamente dalla piantina coltivata sul balcone di casa è importante sapere che il peperoncino fresco deve avere un colore brillante, senza macchie. Se invece comincia ad essere un po’ secco non vi sono problemi purché non abbia un
aspetto “vecchio”. Il colore di quello acquistato già essiccato non deve essere troppo smorto né polveroso mentre il frutto deve essere integro e leggermente cedevole al tatto. Il colore determina la freschezza anche di quello essiccato e macinato: più è smorto più è lontana la data di macinatura. Colore brillante anche per il peperoncino in pasta, che deve inoltre essere morbido e non secco.
UNA SPEZIA PREZIOSA Il peperoncino favorisce la digestione, migliora la circolazione, è antinfiammatorio, cardioprotettivo, anticolesterolo, antiossidante, antidepressivo e sembra che aiuti anche a mantenere la linea attivando
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il metabolismo. E’ ricco di vitamina C e vitamina E. Un giusto dosaggio, soprattutto con le varietà più piccanti, è il modo più semplice e immediato per dare gusto e vivacità a un piatto.
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a tradizione italiana
La consuetudine al piccante è più presente nelle nostre regioni meridionali con in testa la Calabria, dove questa usanza è più radicata e il peperoncino, chiamato diavolillo, rende infuocati moltissimi piatti e anche olio e aceto. Tra i prodotti calabresi più tipici ci sono la ‘nduja, un salame a pasta morbida, e la salsiccia, entrambi molto piccanti per la presenza del peperoncino nell’impasto. La rosamarina è invece una piccantissima pasta di peperoncino e bianchetti che
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si gusta spalmata sul pane. A portare avanti la tradizione calabrese è da 25 anni l’Accademia del Peperoncino che ha sede a Diamante in provincia di Cosenza (www. peperoncino.org). Basilicata e Abruzzo sono le altre due regioni dove il piccante è presente e quasi in tutte le preparazioni, e a volte viene addirittura fritto e aggiunto con il suo olio al piatto di pasta insieme alla spolverata di formaggio grattugiato. In Campania friarelli, zuppa di pesce napoletana e salsicce sono le preparazioni piccanti tra le più tipiche. In Sicilia, invece, l’agrodolce predomina sul piccante
e il peperoncino si ritrova soprattutto nelle conserve, come per esempio le olive schiacciate, mentre in Sardegna di piccante c’è la zuppa di pesce, o cassola. Risalendo verso Nord, troviamo sporadiche ricette tradizionali con il peperoncino, oltre a quei piatti che ormai sono entrati nell’uso comune in tutta Italia, come gli spaghetti aglio, olio e peperoncino e le penne all’arrabbiata. Per fare qualche esempio, i Livornesi lo aggiungono al loro cacciucco, gli Emiliani alla salsiccia matta, i Romani alla coda alla vaccinara e i Piemontesi ai tomini sott’olio.
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In Friuli Venezia Giulia e in Trentino Alto Adige è il gulasch che è più o meno piccante, a seconda del tipo di paprica (peperone e peperoncino macinati) che vi viene aggiunta.
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l piccante nel mondo
In cima alla lista c’è ovviamente la cucina messicana che ha nel chili con carne, che condivide con il vicino Texas, il più tipico esempio di cucina tex-mex. Peperoncino anche nella salsa nella quale si intingono i triangoli di tortilla e tortilla, echiladas e tacos farciti con carne o con verdure. Messicano è anche l’abbinamento di frutta e peperoncino e cioccolato e peperoncino e, oltre alle classiche tavolette, si confezionano dolci dal gusto intrigante, come i morbidi cupcakes. In Perù, Papa a la Huancaina è una insalata fredda di patate servita con una salsa piccante. L’Asia non è da meno, c’è il riso fritto ed è più che famosa la zuppa thai Tom Yam Goong, un piatto a dir poco infuocato di gamberi profumato con lemon grass e altre erbe. In India vari curry sono piccanti, per non parlare di vindaloo (di origine portoghese a base di maiale) e di phaal, uno stufato di carne che un mix di diversi tipi di peperoncino rende indimenticabile. Mix di A G R O A L IM E NT ARE I NT E RNAZ I O N AL E
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peperoncini anche per il Sambal Oelek indonesiano. E non dimentichiamo l’Harissa, una piccantissima pasta di peperoncino di Cayenna che viene aggiunta a molte preparazioni. Nei Caraibi il piatto più famoso è lo Shrimp Creole, di pollo e gamberi con pomodoro, peperoni e naturalmente molto peperoncino. Nelle Isole preparano anche un rum aromatizzato al peperoncino che ha funzioni polivalenti: dalla cucina a rimedio per il raffreddore. Infine, ma l’elenco potrebbe proseguire all’infinito, in Africa il berberè è una salsa a base di peperoncino di Cayenna con olio d’oliva e aglio, mentre il piri piri è una salsa ugualmente piccantissima che è molto popolare anche in Portogallo e accompagna il pollo. ▣
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A pagina 135, dall’alto: gamberi piccanti, chili con carne, green curry. A sinistra, dall’alto: riso fritto, salsiccia calabrese, cupcake al cioccolato. In questa pagina, in alto, tortilla. In basso, alcune varietà di peperoncino.
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Il Circular Economy Manager fa le aziende green Sostenuto anche dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, il settore green, con la circular economy in testa, ha avuto negli ultimi anni una significativa ascesa tanto che vanta un mercato da più di 2 trilioni di euro per 19 milioni di posti di lavoro. a cura di Redazione Centrale (Fonte Cia - Agricoltori Italiani)
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on a caso, anzi anche in questo caso a dar man forte, l’Europa può contare su un ambizioso pacchetto dedicato proprio all’economia circolare e
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redatto dalla Commissione Ue, con un piano d’azione e misure relative all’intero ciclo di vita dei prodotti: dalla progettazione, all’approvvigionamento, alla produzione e al consumo fino alla gestione dei rifiuti e al
mercato delle materie prime secondarie. Obiettivo: avere un effetto pratico sulla vita dei cittadini, obbligando, infatti, i Paesi membri a riciclare almeno il 70% dei rifiuti urbani e l’80% dei rifiuti da imballaggio, vietando di
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gettare in discarica quelli biodegradabili e riciclabili. Il tutto dovrebbe entrare in vigore dal 2030 dando però tempo di avviare un quanto più efficace processo di crescita in materia di gestione dei rifiuti e riciclo.
Un percorso che l’Agenda Onu e i suoi promotori spingono su più campi, coinvolgendo i più svariati interlocutori, sensibilizzando l’intera opinione pubblica e innescando di fatto un cambiamento nell’approccio
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che sempre più richiede nuove competenze. Ecco allora che si parla di figure professionali come il Circular Economy Manager e a tal riguardo, La Stampa Tuttogreen propone un focus interessante su cinque linee
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guida operative, utili anche per capire compiti e ruolo di questa nuova figura all’interno delle aziende. Il Circular Economy Manager ha sicuramente tra le sue responsabilità le seguenti: diffondere i principi dell’economia circolare a tutti i livelli dell’organizzazione aziendale attraverso
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workshop, conferenze con ospiti provenienti da diverse realtà del mercato ed altre attività formative al fine di diffondere i principi alla base dell’economia circolare. Applicare il Circular Thinking - Pensiero Circolare nella review dei fornitori e dei processi interni in ottica circolare. Analizzare il portfolio dei prodotti
e servizi offerti ai clienti approfondendo quali dei modelli di business della Circular Economy sono applicabili per ciascun proprio prodotto. Infine, fondamentale a monte, è poter misurare il livello di economia circolare sia dei prodotti e servizi che dell’azienda e collaborare attivamente con l’unità d’Innovazione. ▣
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