ASA Magazine 15 - Gennaio 2021

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ASA Magazine Anno 5 – Numero 15 – Gennaio 2021 – Rivista Quadrimestrale

LA RIVISTA DELL’ ASSOCIAZIONE STAMPA AGROALIMENTARE ITALIANA Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 – Tutti i diritti riservati – Dir. Resp. Roberto Rabachino

Prosecco DOC Rosé Il lancio dal palco del Teatro Dal Monaco di Treviso, un evento poliglotta in diretta mondiale con un fitto programma glam.


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ASA al servizio della corretta comunicazione

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’Associazione Stampa Agroalimentare Italiana è uno strumento di raccordo e di sintesi, di stimolo e di supporto, di analisi e di costruttiva critica. La nostra mission è offrire supporto e collaborazione a tutti quei giornalisti e/o operatori dell’informazione che hanno nella serietà, nella moralità, nella sensibilità, nel rispetto e della deontologia professionale, le loro principali caratteristiche. Iniziative, progetti, eventi collegati ai nostri associati troveranno il giusto spazio all’interno del nostro sito, nei nostri social, nella nostra rivista e nella nostra newsletter inviata settimanalmente a più di 30.000 iscritti. Sensibile alle tematiche legate alla professionalità degli operatori della comunicazione di settore, ASA è anche uno strumento di formazione per i propri iscritti con un programma di corsi specialistici a loro dedicati in forma gratuita.

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ASA MAGAZINE n. 15/ 2021 – Gennaio 2021 – Rivista Quadrimestrale Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 Direttore Responsabile N.15 / GENNAIO 2021 Rivista Quadrimestrale

Roberto Rabachino direttore@asamagazine.it

Redazione Centrale e Editing Enza Bettelli redazione@asamagazine.it bettelli@asa-press.com

Proprietà - Editore Associazione Stampa Agroalimentare Italiana c/o Maria Teresa Bandera Via Ghedi, 1 – 25010 Isorella (BS) editore.asamagazine@asa-press.com P. IVA 13391650150

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Grafica e Impaginazione Lorenzo Bettelli redazione@asamagazine.it

Comitato di Redazione e Controllo Roberto Rabachino, Giorgio Colli, Patrizia Rognoni, Riccardo Lagorio e Saverio Scarpino

Hanno collaborato a questo numero Franca Dell’arciprete Scotti, Nicoletta Curradi, Silvia Donatiello, Jimmy Pessina, Giovanna Turchi Vismara, Carmen Guerriero, Paolo Alciati, Redazione Centrale

Per la fotografia Nicoletta Curradi, Jimmy Pessina, Franca Dell’Arciprete Scotti, Fox Photos-Getty Images, Consorzio di Tutela Pasta di Gragnano IGP, David Morsa, Molino Rastelli, Locanda del Marchese di Lagnasco, Johanna Jacobson, Enrico Paggiaro


Sommario TURISMO NAZIONALE Colli Euganei, una vacanza per rigenerarsi di Franca Dell’Arciprete Scotti

Alla scoperta di sapori, storia e cultura di Reggio Calabria di Nicoletta Curradi

Un week end nel Delta del Po ferrarese di Jimmy Pessina

Parco del Mincio: omaggio alla tradizione di Franca Dell’Arciprete Scotti

Nel Lazio la straordinaria Valle dell’Aniene di Franca Dell’Arciprete Scotti

Le tante sfumature di verde: a Pistoia piante decorative, terapeutiche e buone da mangiare di Nicoletta Curradi

Dai Comuni della Val d’Orcia i grandi vini DOC Orcia di Giovanna Turchi Vismara

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TURISMO INTERNAZIONALE Gran Canaria, patrimonio Unesco dei Cieli e della Biosfera di Silvia Donatiello

Nell’ultra millenaria e fiabesca Cina: Shangai, la metropoli delle meraviglie di Jimmy Pessina

Alla scoperta di La Rochelle e l’Isola di Ré di Giovanna Turchi Vismara

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AGROALIMENTARE NAZIONALE

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Prosecco DOC Rosé, un lancio in grande stile a cura di Redazione Centrale

Pasta, linguaggio universale di un’eccellenza tutta italiana di Carmen Guerriero

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Le ottime, sane, nutrienti farine di terra d’Irpinia

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Il fritto misto piemontese

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di Carmen Guerriero

di Paolo Alciati

Castagne e castagnaccio, ghiotte tipicità vanto del territorio reatino di Carmen Guerriero

AGROALIMENTARE INTERNAZIONALE

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L’italianità alla Tavola Turca di Carmen Guerriero

NEWS DALL’ITALIA

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Castiglion Fiorentino, sede prestigiosa del Premio Fair Play Menari 2020 di Nicoletta Currad

Il formaggio della ripartenza di Jimmy Pessina


COLLI EUGANEI una vacanza per rigenerarsi Alla scoperta del territorio al centro della pianura veneta: non solo i benefici di acque e fanghi termali apprezzati fin dall’antichità, ma anche i piaceri dell’arte e di paesaggi incantevoli. di Franca Dell’Arciprete Scotti

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ertamente il bacino termale più grande d’Europa potrebbe essere un motivo sufficiente per scegliere una vacanza sui Colli Euganei. Ma ben altre sono le attrattive qui presenti che permetteranno di rigenerarsi non solo nelle benefiche acque termali, ma anche contemplando le bellezze della natura, dell’arte e del paesaggio. Dolcissimi, morbidi, riccamente vitati, mossi da ville, città murate, borghi e castelli, i Colli Euganei formano un Parco Regionale, tutto in Provincia di Padova, che ha già

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incantato in passato artisti come Petrarca, Foscolo, Byron e Shelley. In un breve percorso si visitano le tappe più svariate. Vicino a Galzignano, paradiso ben noto agli appassionati del golf, è imperdibile Villa Barbarigo di Valsanzibio, con i suoi spettacolari giardini all’italiana: una “Piccola Versailles” con i suoi viali di bosso, archi, sculture mitologiche e religiose, giochi d’acqua, costruzioni simboliche allusive a un percorso di ascesi e redenzione e il famoso labirinto che sfida la superbia umana. Premiato come “Il più bel giardino

d’Italia” nel 2003 e il terzo più bello in Europa nel 2007. Monselice, invece, è una delle famose città murate di questo territorio. Qui un vero gioiello è il Castello Cini, oggi Museo Regionale, che si alza ai piedi del Colle della Rocca: un maestoso complesso architettonico che raggruppa in sé diverse tipologie di edifici costruiti tra l’ XI e il XVI secolo, la Casa romanica, il Castelletto, la Torre Ezzeliniana, un possente edificio difensivo voluto da Ezzelino III da Romano, Ca’ Marcello, un palazzo di collegamento fra le preesistenti strutture. Colpiscono nel castello

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A pagina 7, Colli Euganei, Castello del Catajo: facciata e Sala di Firenze (foto Enrico Paggiaro). In questa pagina , Villa Barbarigo di Valsanzibio e, in basso, Hotel Abano Ritz. A pagina 10, Hotel Abano Ritz, ingresso.

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i monumentali camini “a torre”, unici in Italia per forma e funzionalità, fatti costruire dalla signoria padovana dei Da Carrara nel secolo XIV. Nei dintorni di Battaglia Terme, invece, ecco ergersi l’imponente Castello del Catajo, la principesca dimora cinquecentesca degli Obizzi, arricchitisi enormemente come Capitani di Ventura al servizio delle Signorie italiane. Che derivi dal lontano Cataj di Marco Polo, oppure dalla Ca’ del Tajo ovvero “la tenuta del taglio”, il Castello, tra i più grandi d’Europa, un po’ castello militare e un po’ villa sontuosa, con 350 stanze, un vastissimo parco di 26 ettari, il Giardino delle delizie, di impianto romantico, una grande peschiera e numerose piante esotiche, si può finalmente visitare per merito del mecenate italiano che lo ha acquistato e fatto rivivere.

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n tesoro nascosto: Museo Villa Bassi Rathgeb

Tutto da scoprire il Museo Civico di Abano, Villa Bassi Rathgeb, che raccoglie la collezione del mecenate Sir Albert Bassi Rathgeb. Albert Rathgeb raccolse una prestigiosa Wunderkammer che include opere di pittura

e scultura dal 1400 al 1700, poi donate dal figlio adottivo Roberto Rathgeb al Comune di Abano Terme: ben 450 pezzi tra dipinti, arredi, sculture, reperti archeologici e armi. Tra i grandi nomi della collezione: Bassi Moretto, Palma il Giovane, Moroni, Fra Galgario, Baschenis, Magnasco. Esposti in questa splendida Villa Veneta del ‘500, luogo di svago e di armonia, in cui la Loggia accoglie il visitatore offrendo agli occhi uno spettacolo quasi magico e inatteso. Il visitatore viene accolto da Dei, Geni e Fama, Gloria, Fortuna e Virtù. Bacco dal soffitto inneggia alla vita agreste e alla natura, quasi un monito per l’uomo a non perdere di vista i valori veri dell’esistenza. Villa Bassi ha organizzato per il periodo del lockdown un contest dal nome energico e risoluto I’M HERO: Sir Albert Bassi stimola via social il pubblico ad esternare talento e creatività. Presentando i grandi capolavori stimola alla riflessione e alla creazione di dipinti, disegni, frasi letterarie che poi saranno sottoposte al giudizio di un giuria di prestigio. Il Contest I’m Hero è interamente dedicato al pubblico; il premio principale infatti sarà una vera e propria Mostra “fatta” dalle persone, composta dalle loro creazioni grafiche,

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pittoriche e letterarie che saranno premiate il 16 febbraio 2021. www.museovillabassiabano.it

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iaceri della cultura e del gusto

Arricchiti da fondamentali vantaggi per la salute con le benefiche cure delle Terme Euganee. Un’acqua termale salsobromo-iodica, ricchissima di sali minerali, mescolata con l’argilla, produce un fango maturo ricco di microorganismi, preziosissimi per efficacia antinfiammatoria. E’ questo il segreto, apparentemente semplice, del termalismo euganeo che si sviluppa nel territorio di Abano Montegrotto, immerso nel panorama verde dei Colli. Queste acque, provenienti dai bacini dei Monti Lessini, nelle Prealpi, defluite nel sottosuolo attraverso la roccia calcarea, trattenute ad alta temperatura e a forte pressione per un percorso di circa 80 chilometri, arricchite di sali minerali, arrivano agli stabilimenti termali del bacino euganeo, dove sgorgano alla temperatura di 87 °C. Qui, fenomeno probabilmente unico in tutta Europa, ogni hotel ha un proprio stabilimento termale interno, poiché l’acqua sgorga in mille polle di un territorio un tempo

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vulcanico. Questo, che si può definire un “villaggio termale” unico al mondo e il più grande d’Europa, era già famoso nell’antichità, quando i Romani scelsero il toponimo Aponus, (la futura Abano): “colui che toglie il dolore”. Tra gli hotel storici di Abano, il cinque stelle Abano Ritz ha già festeggiato 50 anni di successo nelle cure, assistenza al cliente, fidelizzazione di intere generazioni che continuano a sceglierlo per “stare bene”. La famiglia Poletto che lo guida da quattro generazioni di donne, ha fatto dell’ospitalità una vera vocazione. Ne deriva un hotel che ha fascino e familiarità, décor lusso e piccole attenzioni che fanno sentire a casa, hall e sale elegantissime e camere giocate sull’ironia e sulla giocosità. Su tutto, però domina la bontà e serietà delle cure termali che si praticano

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internamente: balneoterapia, idrokinesiterapia, fangoterapia, terapia inalatoria. Ai trattamenti medicali, riconosciuti dal Servizio Sanitario Nazionale, si aggiungono poi tutti i programmi di remise en forme e i trattamenti estetici. Un parco privato di 6000 metri quadrati, due piscine semi-olimpioniche, coperta e scoperta, angolo aquaFitness, zona idromassaggio e cascata cervicale, il percorso vita nel parco invitano a lunghe soste rigeneranti. E proprio l’Abano Ritz, si candida per un bel progetto adatto ai tempi che viviamo. Vivere un lungo soggiorno in un hotel cinque stelle è oggi un’esperienza possibile e indimenticabile soprattutto per la Silver Generation, individui oltre i 65 anni, ampiamente autosufficienti, ma talvolta soli e residenti in realtà complesse come le aree metropolitane. Se poi l’hotel è votato al termalismo

e presidio medico, si ha un elemento di rassicurazione in più: una straordinaria “quarantena” di lusso per far scorta di salute e benessere, tranquillità e comfort e per ricaricarsi di energie positive e preventive. Quale la proposta dell’Abano Ritz per questi ospiti? Terapisti, checkup, massaggi, fisioterapia riabilitativa e di rinforzo muscolare, fanghi antalgici e antiinfiammatori, cure inalatorie, beauty club, kinesi attiva, passiva e hydrokinesi, passeggiate in pedalata assistita o nordic walking per la riabilitazione cardiaca... Inoltre c’è la possibilità di avere una dama di compagnia, di organizzare gite, giocare a golf o tenere gli animali domestici, consci di come un gatto o un cane possano influire positivamente sulla salute mentale e fisica degli esseri umani. ▣ www.abanoritz.it www.collieuganei.it

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Alla scoper ta di sapori, storia e cultura

di Reggio Calabria Tratti di mura di età greca, terme romane, uno scenografico lungomare e ville liberty rendono la città un luogo affascinante da visitare. Testo e foto di Nicoletta Curradi

Ecco l’antica Reggio, le cui origini si perdono nella notte dei tempi! Ecco la Reggio della Magna Grecia, di cui ancora conservate le vestigia monumentali ed i preziosi cime­li nel vostro importante Museo Nazionale, che ora accoglie anche i due grandi bronzi di Riace.” Sono parole di papa Giovanni Paolo II che ben descrivono la città più grande della Calabria, l’antica Reghion, la città che è stata protagonista nel 2020 di uno dei due Undiscovered Italy Tours ideati da Daniela Corti per promuovere la Calabria con il patrocinio

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dell’Enit e in collaborazione col Tour Operator canadese Susan Barone di Luxury Weddings Worldwide e InStyle Vacations. La Calabria ha conosciuto negli ultimi mesi un grande successo sul piano turistico, fatto che fa ben sperare per il futuro in un momento critico come quello che stiamo vivendo. Proponiamo qui alcuni interessanti suggerimenti di visita del territorio partendo proprio da Reggio Calabria. La città ha una lunga e nobile storia, visibile nei tratti di mura di età greca e nelle terme romane, con frammenti di

mosaico, scampati a ben due terremoti. Fondata dai Greci della Calcide su indicazione dell’oracolo di Delfi e divenuta municipio romano nell’89 a.C., contesa nei secoli da Mori e Bizantini, Svevi e Borboni, oggi Reggio esprime pienamente la vocazione turistica di una terra che mantiene intatto il fascino delle origini magnogreche. Tra i monumenti da non perdere, le molte chiese che conservano opere senza tempo come quelle di Antonello da Messina, la Fortezza aragonese, la Pinacoteca civica e il Museo

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dedicato al bergamotto, agrume tipico del territorio. Tutte queste attrazioni fanno di Reggio un luogo affascinante da visitare. Insieme allo scenografico lungomare e alle ville liberty, questi luoghi della cultura rappresentano la ragione dell’attrazione esercitata sui tanti turisti che la visitano, soprattutto in estate, quando il mare e le spiagge si popolano di villeggianti. Il Museo Nazionale da sempre rappresenta uno dei musei archeologici più prestigiosi d’Italia, con importanti testimonianze T U RI S M O NAZ I ONAL E

delle colonie della Magna Grecia fiorite in Calabria. Una sala è stata dedicata esclusivamente ai Bronzi di Riace, le sculture bronzee raffiguranti due guerrieri rinvenute nei fondali del Mar Jonio, davanti a Riace Marina. Le due statue sono alte 1,98 e 1,97 metri e pesano circa 160 kg l’una. Originariamente ancorate a una base con colatura a piombo, rappresentano due uomini completamente nudi e armati di scudo, lancia ed elmo. La possente muscolatura e i particolari anatomici sono riprodotti con cura, evidenziando le

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vene di mani e piedi, i riccioli dei capelli, i capezzoli dei pettorali, gli occhi e i denti in lamina di argento. Non si può lasciare la città senza aver gustato la sua cucina tipica e per farlo quale posto migliore di L’A Gourmet Accademia dello chef Filippo Cogliandro? Gustare i suoi piatti è emozione, è dare risalto agli ingredienti utilizzati. Filippo Cogliandro crea percorsi gastronomici ispirati alla tradizione e alle materie prime del suo territorio, suscitando suggestioni che durano nel tempo. La stagionalità dei prodotti, selezione di qualità, reinterpretazione della cucina del territorio e il

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A pagina 13, lungomare di Reggio Calabria e, in basso, particolare di uno dei Bronzi di Riace. A pagina 14, piatti dello chef Filippo Cogliandro e, in basso, il bergamotto. In questa pagina, lo chef Filippo Cogliandro (foto di Johanna Jacobson).

gioco, sono la base della sua filosofia: suscitare emozioni. L’Accademia nasce nel 1995 come ristorante su prenotazione per onorare Jim Jansen, pittore di corte di re Baldovino del Belgio, trasferitosi a Lazzaro, paese di origine di Filippo Cogliandro, a 20 km da Reggio Calabria. Colpito dai colori forti dei paesaggi di Lazzaro, che sembrano rievocare le tecniche della scuola fiamminga, Jim decide di farsi costruire una villetta immersa nel verde: un ambiente semplice ma

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raffinato. Qui è nata la prima L’Accademia, che dal 2004 si trasferisce nell’antico Palazzo della Castelluccia. Il nome L’Accademia per il ristorante è stato scelto ispirandosi all’Accademia di pittura fondata con scarso successo da Jansen a Lazzaro. Filippo si cimentò nella pittura, ma si accorse ben presto di aver più talento in cucina. Da qui l’idea del ristorante che dal 2015 si trova al primo piano del Palazzo Mottareale, in stile liberty, situato sul corso principale di Reggio Calabria, in pieno centro storico. Una terrazza panoramica permette agli ospiti di gustare le pietanze davanti allo splendido scenario della città. Il ristorante è meta per appassionati gourmet globetrotter, per cultori di etichette rare e preziose, per amanti della raffinatezza e della grande cucina, un locale che continua a raccontare una sua storia e a tracciare un suo percorso che, oltre a mostrarsi al passo dei tempi, sembra spesso precorrerli con misura e intelligenza coinvolgendo prodotti ricchi di personalità come la nduja, il caciocavallo, il bergamotto, e non solo. Prodotti dai sapori intensi, che si possono utilizzare in diversi modi in cucina, rivisitandoli in chiave moderna. ▣ www laccademia.it

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Un week end nel Delta del Po ferrarese In motonave, con macchina fotografica, in bicicletta e alla scoperta di cultura e arte. Testo e foto di Jimmy Pessina

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l Parco Regionale del Delta del Po dell’EmiliaRomagna copre aree considerate tra le più produttive e ricche di biodiversità. Il Parco possiede la più

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vasta estensione di zone umide protette d’Italia, aree d’eccezionale valore ecologico. È un territorio ricco di ambienti naturali che ospitano centinaia di specie floristiche e faunistiche. L’elevato

numero di specie presenti è strettamente legato alla diversità degli habitat presenti, che si esprimono con forme e adattamenti peculiari in relazione alle diverse condizioni chimiche-fisiche del

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suolo e alle condizioni climatiche. La particolare geomorfologia del territorio, anche se non espressa con forme evidenti, se non a un occhio esperto, ha permesso l’insediamento di boschi con vegetazione a foglie caduche e sempreverdi. Dell’antico Bosco Elice, del quale si parla nei manoscritti storici, rimane solo un’esigua traccia sulle antiche dune del litorale ferrarese. Nel ravennate il bosco d’epoca più recente, si veste di pini domestici e marittimi: le pinete. Elementi di rilievo del paesaggio del Delta

sono le Valli e le Zone umide. Le Valli salmastre si sono originate per allagamenti da parte delle acque di mare di territori depressi o per l’opera di trasformazione dell’uomo a fini produttivi (pesca e saline). All’interno del perimetro del Parco si estende una delle poche testimonianze in Europa continentale di zone umide di acqua dolce: le Valli di Argenta e Marmorta, scampate alle bonifiche grazie alla fondamentale funzione idraulica come “casse di espansione”. Molte attività e iniziative sono state programmate

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per scoprire il Delta. Per esempio, si può decidere di partire da Gorino (Ferrara) al mattino e in motonave percorre il ramo del Po di Goro, sino all’Isola dell’Amore e l’Isola dei Gabbiani. Oppure dedicarsi alla fotografia naturalistica e al birdwatching, dopo una buona colazione alle sette presso Casa Conti Guidi di Bagnacavallo si potrà visitare Valle Mandriole, l’Ortazzo e l’Ortazzino, si sosterrà nei capanni testando la varia strumentazione a disposizione ed attendendo di cogliere colori e movimenti di aironi, poiane,

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martin pescatori, fischioni e tutto ciò che il Parco offre. La giornata si concluderà con una cena a base di prodotti tipici ravennati. Le Saline di Cervia aspettano invece tutti i visitatori sia nella mattinata per un’escursione in canoa, per pagaiare in silenzio, sia nel pomeriggio per un’escursione a piedi e per la visita al famoso MuSa (Museo del Sale) di Cervia. Per chi vuole dedicarsi un sabato di tutto relax e wellness, le Terme di Cervia dalle ore 9.00 offrono piscina termale, un percorso vascolare e la palestra attrezzata. E in serata una passeggiata nel Boscone della Mesola, partendo dalla stazione della Guardia Forestale. A Mesola da non perdere la sagra dei Sapori d’Autunno, tartufi, funghi e delizie del sottobosco, con un intenso programma di attività ed un ricco menù degustazione. Per domenica, solo l’imbarazzo della scelta. Alle 9.00, dall’Abbazia di Pomposa si parte per il corso di birdwatching sul campo. A Mesola alle 9,30 in bicicletta per una passeggiata ornitologica lungo la destra del Po. Sempre alle 9.30 dall’infopoint Birdwatching, presso l’azienda Prato Pozzo, ha avvio il percorso NatuRa, escursione a piedi e passeggiata in

bicicletta lungo l’argine verso Boscoforte e visita al Museo Ornitologico di Sant’Alberto, rientro in bicicletta ammirando il tramonto in valle. Per coloro che volessero visitare le saline di Cervia, è possibile farlo a filo d’acqua in canoa, ritrovo presso il Canoa Club di Milano Marittima alle 9.30 o in barca con partenza alle ore 14,30 dal Centro Visite delle Saline, e poi tutti a spasso per Zirvia, tra mercatino ed artigianato tipico della cittadina di Cervia. Per chi volesse passare due giorni diversi tra arte e cultura si può optare per Ferrara. “Donna del Po” la definì Torquato Tasso: Ferrara la città senza tempo collocata in una dimensione metafisica, fin dalle origini lega le sue alterne vicende di miseria e splendore alle mutevoli condizioni ambientali, di cui l’acqua è elemento principale. Una città anfibia, sorta fra lande e specchi d’acqua, immersa nella nebbia. Per una particolarissima alchimia di venti, i ricchi patriziati con le loro guerre palesi o intestine, nonché l‘illuminata politica di espansione e talvolta di contrazioni, legata per lo più a dinamiche composite nello scacchiere italico e europeo, portano lo sparuto borgo di capanne

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posate sul Po a strutturarsi in una città ricca di splendore. La bella e nobile Ferrara che i Duchi d’Este faranno assurgere a magnifica testimonianza del Rinascimento. Una bellezza che ha incantato per secoli, diventando suggestivo scenario, interiore ed esteriore, per l’anima di poeti e artisti. Ariosto, Tasso abituali frequentatori di queste contrade, in ideale compagnia di Dosso Dossi, Cosmè Tura, Leon Battista Alberti, precursori di altre ispirazioni che giungono dal recente passato da Carrà a De Chirico, fino ai ferraresi Boldini e Bassani. Tra gli edifici e le vie che fanno di Ferrara un modello di urbanistica unico al mondo, non si possono dimenticare, oltre al quattrocentesco Castello Estense, il Palazzo dei Diamanti, sede della Galleria Civica di Arte Moderna e della Pinacoteca Nazionale, Palazzo Massari, anch’esso sede di importanti musei, la delizia di Schifanoia, la chiesa di San Francesco, quella di San Giorgio, il Palazzo di Renata di Francia. E la caratteristica via delle Volte, forse la più medievale e lunga esistente in assoluto. ▣ Per informazioni: www.deltaduemila.net

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PARCO DEL MINCIO: omaggio alla tradizione Natura, gusto e cultura in uno splendido territorio mantovano, il Parco del Mincio e l’area dei Prati Stabili. Testo e foto di Franca Dell’Arciprete Scotti

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n territorio dove si proteggono le cicogne e si coltiva il foraggio come secoli fa. Dove corrono piste ciclabili e si risale lentamente il fiume. È il Parco regionale

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del Mincio, fondato nel 1984, che si estende lungo il Mincio dal lago di Garda alla confluenza nel Po, tutto in provincia di Mantova. Echi virgiliani e bucolici in tutto il territorio, che è perfetto per un turismo bike, slow e

del gusto, come vogliono le ultime tendenze. Se Mantova, città d’arte per eccellenza, già capitale della cultura nel 2016, merita la visita di una settimana, nel Parco del Mincio anche un weekend consente uno

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splendido, breve itinerario. Piccole tappe da percorrere in macchina, in bici o in camper, secondo interessi e abitudini, con numerose e piacevoli soste fotografiche. Dovunque ci accompagna la vista dell’acqua: i laghi di Mantova, il Mincio che scorre lento e sornione tra canneti, prati aperti e boschi fitti, formando cascatelle e canali che vanno a irrigare i campi e muovere le ruote dei mulini.

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l Parco delle Bertone

All’interno del Parco è un piccolo gioiello il Parco delle Bertone, un Parco Giardino tipico del periodo romantico. Vi si possono ammirare alberi esotici e autoctoni che possono avere fino a 150 anni di età. Il bosco, i suggestivi scorci e il piccolo

laghetto creano l’atmosfera giusta per una piacevole passeggiata nel verde. Dal 1994 in questo Parco è attivo un Centro reintroduzione della Cicogna Bianca.

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Prati Stabili

Davvero interessante poi l’area dei Prati Stabili, collocati in perfetta armonia tra l’area urbana di Mantova e l’area delle Colline Moreniche, protetti da una apposita normativa. Sono una grande area di colture tipiche della pianura mantovana formate grazie a un processo naturale, che non hanno mai subito interventi di aratura o dissodamento, lasciate a vegetazione spontanea e mantenute esclusivamente attraverso lo sfalcio e la concimazione. Mentre in

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un campo ci sono di solito mediamente 20 essenze vegetali diverse, nel Prato Stabile ce ne sono più di 60. I Prati Stabili rivestono perciò un ruolo molto importante sia per la biodiversità della flora sia per gli habitat. Il foraggio prodotto nei Prati Stabili quindi è ricchissimo di vegetali e fiori che rendono particolarmente ricco di aromi e profumi il latte delle mucche che se ne alimentano. www.naturalmentestabili.it

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a Latteria San Pietro di Goito

Questo latte andrà a formare il prezioso Grana Padana conosciuto in tutto il mondo. Tra le aziende che producono il Grana Padano Selezione da fieno c’è la Latteria San Pietro

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di Goito, la quale produce anche il Grana Riserva 20 mesi, il Biologico e il Kosher, riservato al mercato ebraico e che deve essere rigorosamente controllato da un rabbino in tutto il procedimento di produzione e confezionamento. Qui, come dice lo slogan, “il latte diventa arte”, perché il latte è lavorato come mille anni fa, viene affiorato naturalmente e spinato ancora a mano dal casaro. L’esperienza del casaro non è sostituibile da una macchina, ecco perché si conserva una lavorazione tradizionale in un caseificio tecnologico. www.latteriasanpietro.it

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a Riseria Schiavi di Roverbella

Un’altra azienda di eccellenza che continua a conservare la tradizione, la qualità dei prodotti e la tutela dell’ambiente, è la Riseria Schiavi di Roverbella, la più antica riseria del mantovano tra quelle ancora in attività, già presente nel lontano 1687, costruita dai Gonzaga di Mantova e poi passata ai marchesi Canossa. L’azienda ha mantenuto una lavorazione artigianale, ad esempio tutti i macchinari sono azionati da cinghie di cuoio e il riso è lavorato con l’elica nella macina di smeriglio. http://www.riseriaschiavi.it

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icchezza gastronomica

Con questa attenzione alla agricoltura e alla qualità delle materie prime, tutto il territorio eccelle anche per l’offerta gastronomica. Tipicità e tradizione sono le caratteristiche dei menu in piccoli e grandi punti di ristorazione. L’Agriturismo Eliodoro di Roverbella ospita al massimo 16 posti su prenotazione: piatti di stagione e ingredienti freschi, una rivisitazione della tradizione contadina con sapori e accostamenti inediti, e poi le mostarde di propria produzione, abbinate a formaggi delle latterie della zona. www.agriturismoeliodoro.it Il Ristorante Al Ponte di Goito, collocato proprio in riva al Mincio, offre, oltre ad una atmosfera piacevolissima, un pezzo di storia, poiché dal 1840 questo era “Al Bersagliere”. E non manca la tradizione culinaria mantovana che, se pur rivisitata in chiave moderna, è raccontata da piatti antichi, alcuni risalenti ai tempi dei Gonzaga e legati alla terra e alle tradizioni contadine. https://locandaalponte.com/ La Locanda Vittoria di Pozzolo, con il ristorante ricavato da un ex Convento del ‘500 di proprietà dei

Gonzaga, offre la cucina tipica mantovana, come Tortelli di Zucca e Bigoli al Torchio, salumi di propria produzione e il famoso Luccio in salsa, tipico della zona e piatto DECO del Comune di Marmirolo. http://www. ristorantelocandavittoria.it

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ille e palazzi

E infine, tante le testimonianze di storia e di eleganza nel territorio. Dalle ville storiche private di Porto Mantovano al bellissimo Palazzo Gonzaga-Guerrieri di Volta Mantovana, oggi sede del Comune e costruito verso il 1450 da Ludovico III Gonzaga e dalla consorte Barbara di Brandeburgo come villa di campagna. Infatti, posto fra le colline Moreniche e il vicino lago di Garda, è collocato su un’altura, quindi immerso in un clima più salubre di quello cittadino. All’interno, soffitti in legno con decorazioni cinquecentesche, pareti ricche di affreschi, un giardino all’italiana molto scenografico, disposto su quattro piani asimmetrici, con terrazza panoramica. Bellissima la mostra Rinascimento Quotidiano nelle sale della storica cucina con stoviglie e apparecchiature d’epoca. ▣ Info: www.parcodelmincio.it

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A pagina 20, Volta Mantovana, giardini di Palazzo Gonzaga. A pagina 21, Porto Mantovano, Parco Mincio. In questa pagina, Ristorante Al Ponte Goito e, in basso, Grana Padano nella Latteria San Pietro di Goito.

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Nel Lazio la straordinaria Valle dell’Aniene Ricca di acque, eremi, borghi e rocche alti sui colli, la Valle dell’Aniene rappresenta una meta alternativa nel turismo laziale. Testo e foto di Franca Dell’Arciprete Scotti

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hi penserebbe che a soli 60 chilometri da Roma si apre una valle poco conosciuta, ricca di tesori della natura e della cultura? E’ la Valle dell’Aniene, un territorio del Lazio tutto da scoprire. A breve distanza dall’immenso agglomerato urbano della capitale, si apre un ambiente completamente diverso. Siamo immersi nel verde foltissimo di faggete e cipressi all’interno del Parco Regionale dei Monti Lucretili e dei Monti Simbruini, dove il paesaggio è disegnato dalle trasparenti acque color

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smeraldo dell’Aniene. Una valle che è stata definita “antica” per le tracce della storia, “barbarica” perché incontaminata, “femminile” perché accogliente. Un ambiente perfetto per il turismo outdoor: con le sue acque cristalline, il fiume Aniene è luogo ideale per coloro che sono alla ricerca di esperienze adrenaliniche come il rafting e il canyoning, mentre verso l’area montuosa di Campaegli vicino a Cervara, dove anche il maestro Ennio Morricone possedeva una baita, una ricca rete sentieristica offre passeggiate nel verde, tra scorci mozzafiato.

Tanti piccoli borghi appaiono distesi sui crinali o arrampicati ai piedi di una rocca imponente. Tanti nomi poco noti: Vicovaro, Roviano, Anticoli Corrado, Cervara. Borghi di qualche centinaia di abitanti, ma tutti con la loro storia. Dovunque scorci pittoreschi di vie acciottolate e in salita, balconi e terrazzini fioriti, insegne d’epoca, stemmi sui portali di pietra, tracce di un passato importante. Frutto dell’”incastellamento” medievale, la rocca in alto ricorda una storia di difesa contro i Saraceni oppure di lotte tra casate nobiliari come gli Orsini, i Colonna, i Borghese, i Borgia.

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Accanto alla rocca di solito si alza il campanile della chiesa madre in cui talora, come a Riofreddo o ad Affile, si scoprono affreschi sorprendenti. Perché qui

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siamo nelle terre dello Stato Pontificio, un tempo feudo delle più blasonate famiglie romane. Ma la Valle dell’Aniene è anche terra di eremi e di

profonda religiosità. Sono in particolare gli eremi benedettini, culla del monachesimo occidentale e quindi in un certo senso della stessa identità

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europea. Il fondatore della regola “Ora et labora”, che comprese per primo il valore della preghiera associata all’attività pratica al servizio degli uomini e della terra, San Benedetto, visse a lungo proprio in questa terra. Il Cammino di San Benedetto che lega Norcia a Cassino ha proprio in questa valle una tappa fondamentale. E’ Subiaco, uno dei Borghi più belli d’Italia, che contiene tesori imperdibili, il Monastero di Santa Scolastica con un chiostro cosmatesco, il Monastero di San Benedetto o Sacro Speco,

scavato incredibilmente sul fianco della montagna per contenere la grotta, ricco di affreschi di scuola senese, l’imponente Rocca dei Borgia costruita sulla cima di una collina per scopi strategici dove il Museo della Stampa ricorda che qui fu stampato il primo libro italiano, ad opera di due allievi di Gutenberg, il laghetto di San Benedetto tra querce secolari e bellissime faggete. Molto suggestiva anche la zona degli eremi benedettini splendidamente restaurata presso l’Oasi francescana di San Cosimato a Vicovaro, non a caso presenti in

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A pagina 25, dall’alto: Eremo di San Cosimato, Scalinata degli Artisti di Cervara, rafting sul fiume Subiaco. A pagina 26, gastronomia di Roviano. In questa pagina, Fagiolina di Arsoli.

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una valle profondamente scavata e modellata dall’acqua. A Vicovaro si visita anche un luogo unico: l’interno dell’acquedotto Claudio che si percorre per 300 metri circa, chiusi fra le pareti di cocciopesto ancora perfettamente a tenuta stagna. Parte dei famosi acquedotti romani, veri capolavori di architettura, che incanalavano le acque dell’Aniene e delle sorgenti vicine per portarle alla capitale. Fu proprio l’acqua il motivo principale della conquista di questa terra, un tempo occupata dagli Equi, da parte dei Romani nel corso del 3º secolo a. C. E l’acqua fu certamente anche uno dei fattori di attrazione per la costruzione delle ville e dei giardini imperiali, di Nerone, dei Flavi, di Traiano. E fu motivo di attrazione per Orazio, legatissimo alla villa ricevuta in dono da Mecenate, i cui resti sono stati scavati da Lugli nei pressi di Licenza. Affettuosi e commossi i versi che Orazio dedica alla villa, l’”angulus” prediletto, e alla vicina fresca Fonte Bandusia. Dai versi di Orazio agli acquerelli e alle incisioni degli artisti del Settecento. Anche in quest’epoca la Valle dell’Aniene è stata una terra di grande attrazione. Durante il Grand Tour, Goethe e i maggiori

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intellettuali del Nord Europa definivano la Valle dell’Aniene come esempio della “campagna ideale”: ondulata dolcemente, verdissima, punteggiata da rovine archeologiche, greggi, sorgenti, pastori e contadine dai costumi colorati. Come nota il Marchese Del Gallo, proprietario del Castello Del Gallo a Mandela, affacciato su questo scenario ideale “è proprio quel paesaggio che riconosciamo nelle vedute del Settecento, da Poussin a Lorrain fino ad Hackert, che le rese celebre in tutta Europa”. Una vera moda culturale che attrasse in questa terra artisti di varie generazioni sino ad Arturo Martini, Pablo Picasso e Marcel Duchamp. Artisti che arrivavano qua attratti non solo dai paesaggi, ma anche dalle bellissime modelle di Anticoli Corrado, aprendo, per dipingerle, decine di atelier. Artisti che si sono fermati a lavorare e hanno lasciato qui le loro opere: come quelle suggestive che a Cervara, un vero “nido d’aquila” spettacolare a mille metri, sullo sfondo dei Monti Simbruini, formano la Scalinata degli Artisti e la Scalinata della Pace. Non solo tesori d’arte e di storia. La valle dell’Aniene offre anche altri tesori. Sono quelli della terra, frutto di un lavoro appassionato e

secolare, come si scopre nel Museo della Civiltà Contadina di Roviano e di Arsoli. Frutti della terra preziosi e protetti: la Fagiolina di Arsoli, presidio Slow Food dal 2014, i fagioli di Vallinfreda, il vitigno autoctono Cesanese di Affile, l’olio DOP. Prodotti tutelati anche attraverso l’opera intelligente delle aziende associate a “Terrenove”, che vogliono promuovere lo sviluppo del mondo rurale e montano, nel recupero delle biodiversità e nel rispetto delle risorse ambientali. E poi formaggi di pecora e di capra, salumi, paste fatte a mano, mille varietà di verdure: il tutto declinato in ricette tradizionali e gustose, fettuccine e le sagne, la pasta di farro dei Monti Lucretili, i maltagliati con i fagioli, la polenta “rencocciata”, ovvero riscaldata in pentola, condita con sugo di cinghiale, i fasoli co lle coteche, le ciambelline al vino. Si possono assaporare in alcuni ristoranti davvero notevoli: il Ristorante “La Panarda” di Subiaco, il Rifugio Montano “Il Tartufo” a Campaegli, il Ristorante “La Cucina di Rio” a Riofreddo. ▣ www.galfuturaniene.eu www.parcomontisimbruini.it www.oasifrancescana.it www.collinediaffile.it

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Bevi responsabilmente

OGNI PROSECCO DOC È IL FRUTTO DI GRANDE PASSIONE, SAPERI E CREATIVITÀ. MA SOLO SE HA ORIGINE QUI.

SOLO PROSECCO DOC ORIGINALE HA IL CONTRASSEGNO. Quando brindate, siate originali: scegliete il vero Prosecco DOC, solo quello in bottiglia, proveniente dal territorio unico delle nove province di Veneto e Friuli Venezia Giulia, la Dreamland. Lo riconoscete dalla bottiglia col contrassegno sul collarino. E dal suo gusto inconfondibile.


Le tante sfumature di verde: a Pistoia piante decorative, terapeutiche e buone da mangiare Piante profumate, aromatiche e dalla fioritura prolungata sono al centro del percorso con un’azione diretta sulla cura del paziente. di Nicoletta Curradi

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ati 1909, a Pistoia da 4 generazioni, si distingue nella produzione vivaistica di piante ornamentali, anche di grandi dimensioni, nella progettazione e realizzazione di piccoli e grandi giardini, nella promozione della cultura del verde e del food agrituristico toscano. In

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Italia e nel mondo, nei giardini, nei parchi, nelle città e nelle più importanti organizzazioni, ci sono piante provenienti da questi vivai. La famiglia Mati, per tradizione, le produce con cura e con tecnologie avanzate fin dal 1909. Ma questa azienda così longeva si impegna attivamente anche nel sociale. Infatti, ha inaugurato da qualche

tempo un giardino terapeutico dedicato ai malati di Alzheimer, promuovendo un progetto interessante. Esistono i Giardini Terapeutici o Healing Gardens: sono quelli che hanno un effetto positivo sull’umore e la salute del paziente, avendo, in alcuni casi, la capacità di diminuire la somministrazione di farmaci. Non si

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In questa pagina, giardino terapeutico dedicato ai malati di Alzheimer. A pagina 32, un’opera della collezione Gori.

tratta di giardini in cui “parcheggiare” il paziente, ma di luoghi che sono stati studiati specificatamente per certe patologie. Nel caso di malati di Alzheimer vengono offerti stimoli a tatto, olfatto, udito, vista, che aiutano i pazienti a rilassarsi. Spinti da questa idea, Mati 1909 insieme a Generali Arredamenti, azienda specializzata T U RI S M O NAZ I ONAL E

nella progettazione e realizzazione di arredi per residenze sociali, ha creato un giardino terapeutico dimostrativo. Piante profumate, aromatiche e dalla fioritura prolungata sono al centro del percorso con un’azione diretta sulla cura del paziente. Una zona di sosta munita di sedute ergonomiche contribuisce alla calma del paziente, favorendo la presenza di assistenti o parenti. “Per Mati 1909 si tratta di una nuova frontiera nel cammino di ricerca e specializzazione sui giardini. – spiega Andrea Mati – La sensibilità che in questi anni abbiamo sviluppato e messo a disposizione verso persone con disagi e marginalità, in esperienze con San Patrignano o la Comunità Incontro, ci ha rafforzato nella sperimentazione di tecniche di utilizzo delle piante e del verde a livello terapeutico. La natura, sapientemente utilizzata, offre tutti gli strumenti per la cura delle persone”. Recentemente è stato inaugurato il Parco Terapeutico della Comunità Incontro di Amelia, progettato da Andrea Mati. Il parco si articola in tre giardini destinati ad utenze diverse:

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Giardino terapeutico per le Dipendenze con una estensione pari a 1000 mq, Giardino terapeutico per Autismo che si sviluppa, invece, su una superficie pari a circa 400 mq e infine Giardino terapeutico per Alzheimer con una copertura di circa 500 mq. Le piante si coltivano anche nell’orto, riscoprendo i sapori di una volta. Paolo Mati, con l’appoggio dei fratelli Andrea e Francesco, ha creato Toscana Fair in un vecchio capannone agricolo che è stato trasformato in un ambiente moderno e confortevole. Il ristorante agrituristico si trova all’interno del vivaio della sede storica di “Piante Mati dal 1909”, vicino all’uscita dell’autostrada e alle porte di Pistoia. Qui viene proposto un menù semplice che varia in funzione dei prodotti di stagione. Le materie prime, accuratamente scelte, provengono da produzioni proprie o da aziende agricole del territorio. L’intento è quello di riportare sulla tavola sapori e ricette della tradizione toscana come ad esempio la ribollita o il pepiso, tipico piatto semplice da un’antica ricetta rinascimentale che una leggenda fiorentina associa a Filippo Brunelleschi.

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Grazie a Tuscany Quintessence si può visitare questa azienda spostandosi con moderne e-bike. Nelle vicinanze di Mati 1909 una sosta è consigliata alla Fattoria di Celle che ospita la collezione Gori di arte ambientale, realizzata dal 1970 dal collezionista Giuliano Gori, aperta al

pubblico dal 1982. Ottanta opere sono state appositamente create per gli spazi del parco dai maggiori artisti della scena contemporanea, quali Robert Morris, Anselm Kiefer, Golba, Giuseppe Penone e altri ancora. ▣ Info: www.piantemati.com www.goricoll.it

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Dai Comuni della Val d’Orcia i grandi vini DOC Orcia Sono piccoli centri splendidi che risalgono al mondo etrusco, romano e medievale e con un’incontaminata bellezza paesaggistica. di Giovanna Turchi Vismara

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el cuore della Toscana, nella provincia di Siena, in un territorio di colline ove da oltre mille anni il lavoro degli agricoltori ha disegnato meravigliosi paesaggi, 12 comuni collegati tra loro, a partire dal febbraio 2000 hanno dato vita al Consorzio del Vino Orcia DOC. I 12 comuni sono: Buonconvento, Castiglione d’Orcia, Pienza, Radicofani, San Quirico d’Orcia, Trequanda e parte dei comuni di Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Montalcino, San Casciano dei Bagni, Sarteano e Torrita di Siena. Sono piccoli centri splendidi che vantano testimonianze di storia e di arte che risalgono al mondo etrusco, romano e medievale, unitamente ad una bellezza paesaggistica rimasta ancora incontaminata. In epoca etrusco-romana il territorio era percorso dalla via Cassia e vantava castrum, ville e terme. In epoca medievale lo stesso tratto era diventato Via Francigena e collegava l’Europa settentrionale a Roma, con gran passaggio di mercanti, pellegrini e soldati. E’ di quel periodo la costruzione di castelli e rocche finalizzata anche a proteggere i raccolti dai frequenti assalti dei briganti. Le tracce di quel passato

sono visibili ancora oggi. Tra dolci colline punteggiate da file di cipressi si alternano castelli, abbazie, poderi e borghi, e nelle vaste ondulate distese dominano vigne, ulivi secolari, campi di cereali e ampi pascoli. La gente di questi territori vocati da sempre all’agricoltura e legati alla mezzadria, in seguito alle grandi trasformazioni economiche e sociali che hanno caratterizzato la seconda parte del secolo scorso, a partire dagli anni Sessanta si è trovata a vivere momenti di grande difficoltà e tanti giovani hanno lasciato le terre per trovare altrove una vita migliore. Ma è grazie alla forza di quanti hanno voluto credere nelle potenzialità di questa terra d’Orcia, una delle campagne più belle del mondo, inserita nel 2004 dall’Unesco nel patrimonio dell’Umanità, che la vita è tornata a fiorire con le coltivazioni di viti e di ulivi, accostate a tante altre attività collaterali, tra cui anche il recupero di allevamenti bradi di maiali medievali “Cinta senese”. E tanti di quelli che si erano allontanati sono tornati. La denominazione Orcia è nata il 14 febbraio 2000 e comprende le varietà Orcia ottenute da uve rosse con almeno il 60% di Sangiovese e Orcia “Sangiovese” con almeno il 90% di questo

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vitigno, entrambe anche nella tipologia “Riserva”. A seguito dell’istituzione della denominazione sono sorti nuovi vigneti specializzati e hanno ripreso l’attività circa 70 cantine di cui 40 associate al Consorzio. Protagonista indiscusso dei vini d’Orcia è il Sangiovese, nobile vitigno strettamente legato alla storia enologica di questi luoghi. Le tipologie principali sono vini rossi di notevole struttura, armonia, complessità e capacità di invecchiamento. Di colore rubino scuro, sono da abbinare a piatti di carne e formaggi stagionati, nonché ai tartufi bianchi di cui è ricco il territorio. La denominazione Orcia comprende anche le tipologie Bianco, Rosato e Vin Santo. Orcia Bianco, Trebbiano toscano (minimo 50%) più altri vitigni autorizzati, ha colore giallo paglierino, gusto asciutto, è ottimo con antipasti e carne bianca. Orcia Vin Santo, Trebbiano toscano (minimo 50%) più vitigni autorizzati, è prodotto da uve sottoposte ad appassimento naturale. Ha colore dorato. E’ un vino per le feste e si sposa con i dolci senesi di origine medievale, le copate, i cavallucci, il panforte speziato. Il turista che ama l’esaltante bellezza della campagna toscana e gustare prodotti

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A pagina 34, Rocca d’Orcia, vigne. In questa pagina, panorama della Val d’Orcia.

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genuini può visitare questi luoghi percorrendo la “Strada del Vino Orcia” che ha la sua sede ai piedi della Rocca a Tentennano di Castiglione d’Orcia. (www. consorziovinoorcia.it) Passeggiando per le vigne si può godere di degustazioni di vino, gustare bruschette con olio extravergine d’oliva, tipici salumi e formaggi locali tra cui l’ottimo cacio pecorino. Inoltre il soggiorno può essere prolungato nelle accoglienti strutture agrituristiche inserite in

antichi edifici perfettamente restaurati e aperti tutto l’anno. Oggi i 12 comuni dell’Orcia sono tra le destinazioni turistiche più esclusive grazie anche alla presenza di centri termali d’eccellenza. Venendo a contatto con le località della DOC Orcia, oltre ad ammirarne le bellezze e usufruire degli ottimi prodotti del territorio, c’è anche la possibilità di fare shopping presso le numerose simpatiche botteghe di artigianato artistico. ▣

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Gran Canaria, patrimonio Unesco dei Cieli e della Biosfera Un riconoscimento molto importante, che ha permesso negli ultimi 15 anni di mantenere intatto l’equilibrio tra la protezione dell’ambiente e lo sviluppo economico e sociale sostenibile. di Silvia Donatiello

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ran Canaria è un continente in miniatura con una collezione di paesaggi davvero insoliti, situato nel mezzo di un arcipelago estremamente variegato. È uno dei motivi per cui l’Unesco ha deciso nel 2005 di conferire all’isola il titolo di Riserva della Biosfera, riconoscendone così la qualità ambientale, il prestigio e la vocazione internazionale.

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ran Canaria, Riserva della Biosfera

Le Riserve della Biosfera sono zone dalle caratteristiche peculiari, costituite da ecosistemi terrestri, marini o costieri in cui la conservazione della biodiversità è promossa con una fruizione sostenibile da parte delle persone. Il suo obiettivo principale è favorire e guidare un’integrazione armoniosa tra gli esseri umani e la natura, per raggiungere uno sviluppo sostenibile che consenta un progressivo adattamento della società ai cambiamenti nell’ambiente e nel pianeta. Un riconoscimento molto importante, che ha permesso negli ultimi 15 anni di mantenere intatto l’equilibrio tra la protezione dell’ambiente e lo sviluppo economico e sociale sostenibile in questo continente in miniatura.

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Quasi la metà dello spazio geografico di Gran Canaria (circa il 46%) è stato incluso nella Riserva della Biosfera, e comprende sei centri abitati rurali fortemente legati alle attività tradizionali. “Le nostre tradizioni, i costumi e la gastronomia ... insieme a flora, fauna e orografia inconfondibili, creano un ambiente unico da scoprire”. Per ottenere il riconoscimento di Riserva della Biosfera, l’area deve presentare una combinazione di speciali sistemi ecologici e antropologici, oltre a rigorose misure di conservazione della biodiversità. Tre aree sono state identificate dall’UNESCO

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all’interno della Riserva di Gran Canaria. Zona centrale (zona nucleo) È la zona più centrale, il cuore, nota anche come “territorio di riserva”, ed è composta dalle seguenti aree: la Riserva Naturale Integrale di Inagua, la Riserva Speciale di Güi-Güi, il Parco Naturale di Tamadaba, il Parco Naturale di Pilancones e il Monumento Naturale Risco di Tirajana. Zona cuscinetto La zona cuscinetto circonda il nucleo, fungendo da “scudo protettivo”. È composta da: il Parco Rurale del Nublo, il Monumento Naturale del Roque Nublo, il Monumento

Naturale di Tauro e il Lugo di Interesse Comunitario Amurga. Zona di transizione Agendo come un ponte tra la zona nucleo della Riserva e l’esterno, la zona di transizione confina con il resto dell’isola e comprende: il Paesaggio Protetto delle Cumbres (le cime), l’area perimetrale che circonda il Parco Naturale di Pilancones e l’area marittima formata dal litorale occidentale tra la spiaggia di Mogán e la spiaggia di La Aldea. Mille climi e mille specie naturali che danzano insieme su un’isola Riserva della Biosfera e un riconoscimento

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essenziale per il patrimonio dell’isola, che dev’essere protetto, promosso e mantenuto con l’obiettivo di consegnarlo alle generazioni future il più intatto possibile.

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ran Canaria, una destinazione Starlight dell’Unesco

L’Unesco, attraverso la sua Starlight Foundation, ha classificato l’isola come Starlight Destination, un segno distintivo che inserisce Gran Canaria sulla mappa internazionale dei migliori luoghi al mondo per osservare le stelle. Gran Canaria offre un gran numero di osservatori astronomici ed eccezionali belvedere da cui ammirare la volta stellata. I migliori punti di osservazione per il cielo notturno si trovano sulle cime più elevate, a un’altitudine di 1800 metri. Come il belvedere del Picco de Las Nieves, la pianura di Garañón o il Centro astronomico Roque Saucillo. Un altro dei principali punti di osservazione è l’Osservatorio astronomico di Las Temisas, ubicato nel comune di Agüimes, da cui si gode di una delle migliori vedute del sud-est dell’isola. Inoltre, nei fine settimana, sono disponibili visite guidate in ogni periodo dell’anno. Sul versante occidentale

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dell’isola, nel comune della Aldea de San Nicolás, si trova, incastonato tra i suoi incredibili canyon, l’Osservatorio Astronomico di Tasartico. Su scala più piccola, possiamo trovare un osservatorio didattico presso l’Hotel Meliá Tamarindos, a Playa de San Agustín, normalmente destinato ai turisti che vi soggiornano, anche se è possibile richiedere una visita tramite AstroEduca, la società che lo gestisce.

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uando è possibile osservare le stelle?

Grazie alla purezza del cielo e al nostro clima mite, si possono osservare le stelle in qualsiasi momento dell’anno. Tuttavia, ci sono momenti di maggiore interesse osservazionale, come la notte delle Perseidi, note anche come “lacrime di San Lorenzo”, la cui visibilità maggiore coincide con queste feste durante il mese di agosto. Le prime notti di primavera concentrano il maggior numero di stelle luminose nell’emisfero settentrionale e, volgendo invece lo sguardo al mezzogiorno, si può osservare la famosa costellazione della Croce del Sud. È in estate, però, che l’area più luminosa della Via Lattea attraversa l’intera

volta celeste, offrendo un impagabile spettacolo visivo. Per godersi l’osservazione del cielo notturno in totale comfort e sicurezza, l’ideale è indossare abiti comodi e caldi (poiché i punti di osservazione sono sulle cime più alte), portare con sé cibo e bevande, un binocolo, una mappa del cielo, una torcia e una fotocamera reflex con treppiede. Alcune agenzie e osservatori astronomici sull’isola offrono materiale supplementare appositamente indicato per questo tipo di attività. Alcuni dei punti di osservazione fanno parte di aree protette, quindi la raccomandazione è di contattare sempre in anticipo uno degli osservatori o le agenzie specializzate nello svolgimento di questa attività per verificare se sia necessario richiedere un permesso specifico. Il primo consiglio per una corretta osservazione delle stelle è di stare lontano da fonti di luce e scegliere una notte di luna nuova o, in alternativa, con poca incidenza lunare. Anche queste attività richiedono spazio, quindi si consiglia di scegliere un luogo aperto, confortevole e abbastanza ampio da non limitare il campo visivo. Ora non resta che godersi la vastità del cielo, in una nuova notte piena di stelle. Benvenuti nella vastità dell’Universo. ▣

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Nell’ultra millenaria e fiabesca Cina:

Shanghai, la metropoli

d e l l e m e rav i g l i e La più popolata città del pianeta, con oltre 27 milioni di abitanti e la biciletta come mezzo privilegiato: un enorme, ininterrotto sciame e un autentico spettacolo per il fruscio delle ruote e il tintinnio dei campanelli. Testo e foto di Jimmy Pessina

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uando si parla della Cina affiorano nella memoria le reminiscenze scolastiche, particolarmente

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quelle legate al Milione di Marco Polo, autore di un eccezionale diario di viaggio, del 1373, corredato da carte geografiche, etnografiche, con minuziose descrizioni

di usi costumi, tradizioni, arte, cultura, lingua e religioni dell’immenso territorio asiatico, allora conosciuto come Khatai. La straordinaria affermazione

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della civiltà cinese, fondata sulla sacralità del culto della memoria, si deve alla capacità di sviluppo delle nuove tecnologie determinate dalla rivoluzione industriale e sociale nella prima metà del secolo scorso. Un esempio eloquente, per certi aspetti stupefacente, è rappresentato da Shanghai, la più popolata città del pianeta, con oltre 27 milioni di abitanti: (erano 13 milioni e 300 mila nel censimento del 1990) e li

vedi e li senti. Nonostante l’efficienza dei trasporti sotterranei e di superficie, il mezzo privilegiato da milioni di cittadini è la bicicletta. E’ un autentico spettacolo l’enorme, ininterrotto sciame, lento e persino armonioso per il fruscio delle ruote e il tintinnio dei campanelli. Nel fiume di bici e di pedoni di Shanghai galleggiano molti bus (tutti con la pubblicità sulle fiancate), molti taxi e, cosa impensabile nella Cina

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Popolare di qualche anno fa, moltissime auto private, addirittura Ferrari e Maserati, che suscitano capannelli di stupore. Anche questo è un segnale del grande balzo in avanti spiccato da Shanghai, forse non in sintonia con quello indicato dal “grande Timoniere”, per lo sviluppo economico della “sua” Cina Popolare. Secondo i progetti governativi, Shanghai, entro la seconda decade del

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Duemila, sarà il maggior centro finanziario, bancario e commerciale del mondo, come la “Grande Mela” degli USA. Utopia? Intanto la città si è aperta al consumismo e al grande capitale internazionale. Stanno avendo fortuna altri simboli del lusso o semplicemente del modo di vivere all’occidentale. Lungo Nanjing Lu, la strada più trafficata, ma anche la più elegante, si trovano prodotti occidentali e giapponesi accanto a quelli tipici locali, in particolare la splendida seta. Nei grandi magazzini, super affollati, hanno fatto la loro inevitabile comparsa anche i telefoni cellulari. Da

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segnalare, tra le curiosità, la ricomparsa dei rivenditori di animali domestici, attività, fino a qualche anno fa, severamente proibita e pesantemente sanzionata, così come il semplice possesso da parte di chiunque.

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e origini del miracolo economico

Chi conosce la storia degli anni ‘30, afferma che la Shanghai di oggi ricorda molto quella d’allora, quando era un porto franco per le cosiddette “concessioni internazionali”, vere e proprie enclave straniere (di Gran

Bretagna, Francia e Stati Uniti). Anche l’Italia ne ebbe una, dal 1902 al 1945: non a Shanghai, ma a Tientsin, che la traslitterazione d’oggi, il sistema pinyin, vuole sia Tianjin. Le “concessioni” erano in pratica quartieri che godevano d’una extraterritorialità non formale, bensì di fatto, costituendo il polo attorno al quale ruotavano sia il ricchissimo asse commerciale sia la vita mondana, che le cronache dipingevano frivola e corrotta. Oggi a Shanghai ci sono, come allora, animazione e vita e si vedono i segni, ancora erratici ma inconfondibili, di ricchezza.

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Non c’è più il senso di “colonia”, status al quale le “concessioni” fatalmente condannavano la città. La riva sinistra del fiume Huangpu è costeggiata dallo Zhongshan, cioè dal Bund, il viale dove si affacciano i palazzi dell’epoca coloniale, forse l’arteria più famosa dell’Estremo Oriente. Bund vuol dire argine, terrapieno, è una parola hindi, probabilmente importata dai Britannici. Le vaste terrazze che danno sul fiume e i palazzi di stile eterogeneo, ma tutti trasudanti di

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capitalismo ottocentesco, mantengono al Bund un volto occidentale.

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a City della finanza: la scalata al cielo

Di fronte al Bund, sulla riva destra dello Huangpu, sorge Pudong. E’ il nuovo quartiere finanziario-industriale, parchi tecnologici, grandi spazi verdi, complessi di abitazioni e uffici. Sovrasta Pudong la Shanghai Tower, alta 632

metri, è il grattacielo più alto della Cina e il secondo al mondo. Lo Shanghai World Financial Center, alto 492 metri, è il secondo grattacielo più alto della Cina e il sesto al mondo; segue la Jin Mao Tower, alta 421 metri, è il terzo grattacielo più alto della città. Infine, la Oriental Pearl Tower, alta 468 metri, è un altro simbolo della metropoli ed è la quarta torre più alta al mondo. Lo Huangpu finisce col gettarsi nel canale più meridionale,

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l’unico navigabile da bastimenti di grande pescaggio dalla foce del Chang Jiang, il fiume forse più noto col vecchio nome Yangtze (Fiume Azzurro). E per questa via che, ancora oggi, le navi raggiungono Shanghai.

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l fascino di un immenso mare

Ancora oggi arrivare via mare nelle ore dell’alba è uno spettacolo. Ma ormai esiste solo l’aereo e gli orari non sono trattabili. Non rimane che spendere circa 5 euro per prendere un battello all’imbarcadero del Bund e farsi una mini crociera

sullo Huangpu. Le acque sono irrimediabilmente giallastre, ma il resto vale senza dubbio l’alzataccia mattutina.

L

’incanto dell’arte

Da non perdere, oltre al Bund, il Giardino del Mandarino, risalente alla metà del XVI secolo che è stato restaurato negli anni 60. Di notevole interesse il Museo di Shanghai: bronzi, ceramiche, porcellane e pitture. Sosta obbligata anche allo YufoSi, o tempio di Buddha, di giada dal curioso colore, una via di mezzo tra il giallo e il rossastro.

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a Venezia sulle orme di Marco Polo

A 85 chilometri di distanza c’è Suzhou: per i numerosi canali che l’attraversano e per i suoi ponti. Marco Polo la definì la “Venezia d’Oriente”, ma è anche conosciuta come la Città Giardino, ben 150 quelli aperti al pubblico.

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na rete di trasporti da primato

Il sistema di trasporto rapido di Shanghai, costituito dalla metropolitana, incorpora le linee ferroviarie di

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superficie e si estende a ogni distretto urbano così come ai limitrofi quartieri periferici. Al 2019 vi erano 12 linee della metropolitana, 273 stazioni e più di 420 km di binari in esercizio (la terza rete più lunga al mondo). Da ricordare il viaggio sul treno Maglev (Transrapid) che raggiunge una velocità massima di 431 km in uscita dal Shanghai Pudong International Airport per la città.

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e escursioni

Da Shanghai, un’escursione nello Xinjiang non dovrebbe mancare. Con frequenti e comodi voli si raggiunge Urumqi, la capitale. Da Urumqi ci si sposta a Turfan, un’oasi con il Lago Aydingkol a 80 metri sotto il livello del mare, la più profonda depressione della Cina. Da qui si potranno visitare anche le Bozikeli Qianfo Dong, le Grotte dei

Mille Buddha, costituite da un tempio e da un monastero molto antichi scavati sul fianco delle montagne Huo Yan Shan, conosciute come “Montagne Fiammeggianti” e così chiamate perché la pietra argillosa che le compone assume al tramonto una sfumatura rosso fuoco. Al centro della valle si trova il termometro più grande del mondo, dove la temperatura oscilla tutti i giorni dai 50 ai 58 gradi centigradi. La visita prosegue con l’Emin

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Ta, il Minareto a Eminhoja, costruito nel 1778, in stile afgano, per commemorare un comandante militare che soppresse la ribellione di un gruppo di aristocratici. A conclusione il Karez, un caratteristico sistema di irrigazione.

L

o spettacolo della natura

Il giorno seguente la destinazione è la Riserva Naturale Kanas, Situata in Burqin County di Altay, città all’interno della Regione autonoma del Xinjiang Uygur, confina con il Kazakistan, la Russia e la Mongolia. La Riserva Naturale di Kanas vanta uno straordinario

ecosistema generato da laghi, fiumi, ghiacciai, foreste e praterie. Kanas, che significa “ricco e bellezza, misteriosa ed enigmatica” in mongolo, potrebbe essere la località più affascinante nel nord del Xinjiang. Il clou della riserva naturale è il Lago Kanas, proveniente dall’omonimo ghiacciaio, si trova a 1.375 metri di altezza sopra il livello del mare e si estende su una superficie di 45.73 chilometri quadrati (11.300 acri). Il colore del lago varia a seconda delle stagioni e del tempo, come una perla che brilla a volte è blu, a volte verde, mentre altri periodi è bianco come il latte. Questi colori sono l’effetto del territorio ricco di caolino. Continuando il

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percorso, il fiume Kanas attraversa la città di Altay e le montagne per circa 125 chilometri (77,7 miglia). Imperdibile il tramonto delle “Montagne Lucenti”, situate nella parte più settentrionale del Xinjiang. Il suo capoluogo, Burqin Town, è alla confluenza dei fiumi Irtysh e del suo affluente di destra Burqin. La maggior parte della contea è all’interno del bacino del fiume Burqin, che raggiunge, nei monti Altay, al confine dello Xinjiang con la Mongolia e la Russia. Un luogo che vi permetterà di trascorrere 1 o 2 giorni e visitare i villaggi circostanti per osservare, in prima persona, come i residenti si intrecciano con la natura. ▣

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Alla scoperta di La Rochelle e l’Isola di Ré Un viaggio tra il fascino della storia, l’incanto della natura e la ricchezza dei prodotti del territorio. di Giovanna Turchi Vismara

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a Rochelle, detta anche ”Città sulla Rocca”, è una deliziosa cittadina marinara che con le sue bianche case di ardesia è tutta protesa dal golfo di Biscaglia verso l’Oceano. Oggi attivo porto commerciale e sede di industrie metalmeccaniche e tessili, vanta con orgoglio un passato ricco di storia in cui fu protagonista di eventi legati a lotte di indipendenza, di religione e a floridi commerci con le terre d’oltre oceano. Nata nel X secolo su paludi salate (i marais) seppe ben presto organizzarsi come porto. Feudo della casa di Aquitania, nel secolo XII passò per matrimonio alla corona inglese a cui rimase legata sino alla fine del secolo XIV. Con abili

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giochi di equilibrio riuscì comunque ad affrancarsi dalle tutele feudali sino a diventare uno dei massimi porti di Francia per il traffico transatlantico e capitale della Riforma protestante nei secoli XVI e XVII. Nel 1627 Richelieu, deciso a farla cadere, la circondò con un terribile assedio. Gli abitanti opposero una eroica resistenza, ma l’anno successivo furono costretti ad arrendersi per fame. La coraggiosa città riuscì successivamente a riprendersi grazie alle nuove rotte marittime e commerciali verso la “Nouvelle France”, l’attuale Canada e le Antille. Seguirono ancora decenni di grave crisi economica durante la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche. La ripresa ci fu nel 1857

con l’inaugurazione della prima linea ferroviaria e la creazione del nuovo porto commerciale sorto sulle acque profonde di La Pallice. La recente apertura del nuovo porto turistico Des Minimes per 3500 barche ha ridato alla città e ai suoi abitanti una vera gioia di vivere. Il cuore pulsante de La Rochelle si svolge oggi intorno al Vieux Port davanti al quale si innalzano gli antichi simboli della città, i possenti torrioni della trecentesca Tour St. Nicolas e della Tour de la Chaine e a poca distanza la svettante guglia ottogonale della Tour de la Lanterne. Passando attraverso la gotica Porta del Grande Orologio ci si immette tra vie strette che alternano ad antiche case a graticcio e in ardesia, appartenute

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A pagina 55, La Rochelle. A pagina 56, Île de Ré. A pagina 59, Saline e, in basso, ostriche.

a ricchi commercianti, altre case in pietra bianca-dorata adornate di sculture mitologiche, simboli marini, prue di navi, simboli nei secoli XVI e XVII dell’opulenza dei proprietari. Sempre nel centro storico, oltre alle strade piene di folla e negozi, se ne snodano altre più silenziose con palazzi signorili che sembrano far rivivere le atmosfere che furono care a Simenon che proprio a La Rochelle nel mitico Café de la Paix ambientò “I fantasmi del cappellaio”. In pieno centro si erge il Municipio, che intreccia nella sua architettura feritoie e torrette e all’interno, sul soffitto della galleria, porta incise in sequenze ricorrenti le iniziali di Enrico IV e Maria de Medici. Caratteristico nella Place du Marché per quel suo alone antico è il Mercato coperto ottocentesco, ove tra i vari prodotti del territorio fanno bella mostra di sé le bancarelle piene di freschissime e invitanti ostriche. Tra i numerosi musei che raccontano i tanti eventi storici e culturali, particolarmente interessante è il Museo Marittimo suddiviso in due settori. In “Neptunea” viene percorsa la vita del mare in tutti i suoi settori, dalla navigazione alla pesca

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sino alle avventure dei sottomarini. L’“Aquarium”, spettacolare e tra i più grandi d’Europa, comprende un vascello in vetro che contiene oltre 10.000 animali marini dell’Atlantico, del Mediterraneo e dei Tropici. L’Ile de Ré, o Isola Bianca per la sua luminosità, di fronte a La Rochelle, è collegata alla terraferma con un viadotto di tre chilometri. Anticamente le isole erano quattro. Successivamente nel Medio Evo, a causa di alluvioni e argini costruiti dall’uomo, le terre si sono fuse sino a formare questa parte di terra lunga 30 chilometri, larga dai 5 metri ai 5 chilometri e che con La Rochelle ha condiviso non solo la storia e le guerre di religione ma anche l’economia, ed oggi eccelle nella produzione di vino, sale, ostriche e fiori. L’isola si presenta piatta, ma la sua bellezza è legata a tanti fattori. Ci sono le case bianche dei villaggi affacciati sull’oceano e sulle quali spiccano gli intensi blu e verdi degli infissi. Le coste sono caratterizzate prevalentemente da spiagge lunghe e sabbiose che vantano alle spalle estese verdi pinete, interrotte da zone più selvagge con dune cespugliose mosse dal vento. La vegetazione, grazie alla corrente del golfo,

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è rigogliosa. All’interno, girando per il territorio, si incontrano grandi spazi ricolmi di fiori dai colori più vivaci, coltivazioni di patate, vasti vigneti e incredibili estensioni di saline. Queste ultime, unitamente ai numerosi allevamenti di ostriche, costituiscono la preziosa ricchezza offerta dal mare. L’uomo ha cominciato a creare le saline nel secolo XVI su terreni sottratti al mare, costruendo una rete di bacini poco profondi e perfettamente geometrici ove viene catturata l’acqua che, evaporando, regala il prezioso prodotto tra cui il “fior di sale”, l’oro bianco considerato tra i migliori al

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mondo. Quanto alle ostriche, girando in bicicletta tra i numerosi sentieri dell’isola si può far visita allo stabilimento di ostriche “La Cabane à James” a Saint Martin de Ré, ove si possono degustare direttamente tali golosi prodotti. È da segnalare anche la eccellente gastronomia a base di ogni tipo di pesce che si può gustare sia nei piccoli ristoranti che nei grandi alberghi, accompagnata dall’ottimo vino prodotto sull’isola. Sono presenti sul territorio anche testimonianze di momenti d’arte e di vita passata. Emanano un

fascino particolare i ruderi gotici dell’Abbazia di NotreDame-de-Ré che si ergono severi e solitari nell’ampia estesa campagna. Altre attrattive presenti sull’isola sono i vari fari che nel passato dovevano impedire ai naviganti di incagliarsi tra le insidiose rocce del pertuis, per rendere più sicuro il commercio tra La Rochelle e le isole. Tra questi spicca il Faro delle Balene che con i suoi 57 metri d’altezza e una superba scala elicoidale con 257 gradini porta alla terrazza da cui si può godere un panorama mozzafiato sull’isola e sull’immensa estensione oceanica. ▣

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Prosecco DOC Rosé,

un lancio in grande stile In scena, in diretta dal palco del Teatro Dal Monaco di Treviso, il lancio del Prosecco DOC Rosé seguito da Italia, Germania, Regno Unito, USA e Canada, fino all’estremo Oriente. La storia, i numeri, gli aneddoti, di un successo senza uguali tra spiegazioni tecniche, contributi glam e apporti musicali. a cura di Redazione Centrale – Fonte Ufficio Stampa

G

iornata storica per il Consorzio di tutela del Prosecco DOC che il 25 novembre 2020 ha celebrato il suo nuovo nato, il Prosecco DOC Rosé, con un primo lancio riservato alla stampa effettuato in diretta dal palco del Teatro Dal Monaco di Treviso. Un contesto non scontato per un vino, idoneo a

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sottolineare l’amore per la cultura e per l’arte in tutte le sue espressioni, di una Denominazione nata nel 2009, capace in dieci anni di consolidarsi, successo dopo successo, fino a raggiungere le attuali dimensioni che la pongono, in Italia, al vertice tra tutte con 24.450 ettari, 500 milioni di bottiglie circa e un volume d’affari di un paio di miliardi. Un territorio

distribuito tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, regione che può vantare la piccola quanto famosa località di Prosecco da cui deriva il nome della stessa Denominazione che ha trovato in Veneto, negli ultimi secoli, il suo territorio d’elezione e di conseguenza il meritato successo internazionale. L’evento ha preso il via alle ore 18.00 ora italiana, orario insolito

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ma necessario per consentire anche al pubblico statunitense di seguire la diretta condotta da Pietro Polidori, anchorman poliglotta cui è stato affidato il compito di guidare in tre lingue diverse un fitto programma arricchito da interventi istituzionali e tecnici, testimonianze glamour e intermezzi musicali. Una rassegna ricca di endorsement nazionali e internazionali, dal Giappone agli USA, che ha coinvolto chef, sommelier, Master of Wine e influencer, che hanno voluto salutare a modo loro il neonato Prosecco DOC Rosé. Una maratona durata poco più di un’ora, seguita in diretta dalle Case Prosecco, le sedi operative del Consorzio dislocate nel mondo, che a New York, Londra, Amburgo, hanno coinvolto giornalisti e operatori selezionati nel proprio bacino di competenza. Il programma è stato caratterizzato da interventi incalzanti di esperti lifestyle internazionali come l’influencer italiana Giulia Gaudino o la scrittrice e fumettista giapponese Mari Yamazaki, e impreziosito da intermezzi musicali sulle note di Donizetti (con le arie Buone

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Nuove Norina e Pronta io son…) interpretate dal soprano Federica Gasparella e dal baritono Nicola Zanibon, accompagnati al pianoforte da Paolo Polon. Dopo l’intervento di apertura, doverosamente affidato al Presidente del Consorzio Stefano Zanette per tracciare un excursus storico di questa grande denominazione riportando i motivi degli attuali risultati dalla programmazione dell’offerta, all’obbligo del contrassegno e dalle attività di promozione a quelle legate all’ambiente - e le ragioni che hanno portato alla scelta di includervi la nuova tipologia rosé, si sono avvicendati con le proprie testimonianze personaggi del calibro dello chef Carlo Cracco - che ha illustrato una ricetta appositamente elaborata per essere abbinata al Prosecco Doc Rosé - e Lidia Bastianich che da New York ha attestato il grande interesse e la grande attesa degli Americani per il Prosecco DOC Rosé. È poi toccato al Direttore Luca Giavi dettagliare l’intensa attività di tutela e promozione portata avanti dal Consorzio “La nostra presenza in questo

teatro - ha spiegato Giavi - esprime la nostra vicinanza al territorio, alla cultura e all’arte, oltre che allo sport. Al territorio al quale apparteniamo - e al quale dobbiamo tanto - dimostriamo la nostra riconoscenza attraverso iniziative di sostegno e collaborazione come questa, avviata con il Teatro Stabile Veneto. Il nostro obiettivo, ora, è quello di intensificare le operazioni di valorizzazione delle peculiarità delle diverse aree della nostra denominazione, a cominciare dalla provincia di Trieste dove la denominazione Prosecco trova le sue radici”. Il Vice Direttore Andrea Battistella ha portato la sua esperienza di enologo nel guidare la degustazione alla scoperta del Prosecco DOC Rosé: dalla corretta apertura della bottiglia, passando per l’analisi del colore, che ricorda il bocciolo di rosa e i fiori di ciliegio e degli aspetti sensoriali, suggerendo agli ospiti collegati on line di “cercare con il naso le delicate note di fragola e lampone e con il palato la cremosità delle bollicine insieme a raffinatezza ed eleganza delle sensazioni gustative garantite da una permanenza sui lieviti”. ▣

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PROSECCO DOC ROSE’, LE PRIME VENDITE Ad oggi si contano: • 12,2 milioni di bottiglie di Prosecco Doc Rosé imbottigliate a partire dal 25 novembre 2020 • 84 aziende coinvolte nella nuova produzione Stime: • 2020: 20 milioni di bottiglie imbottigliate e vendute entro il 31.12 • 2021: 40-50 milioni di bottiglie imbottigliate e vendute entro il 31.12.2021 • Italia: 15-20% la quota assorbita dal mercato domestico • Export: tra l’80 e l’85% la quota destinata ai mercati stranieri Mercati esteri principali (in ordine decrescente): • USA • UK • Canada • Paesi nordici • Francia • Asia orientale Canali distributivi: • GDO: 55-60% assorbito dalla Grande Distribuzione Organizzata • Horeca: 30-35% destinato al mondo della Ristorazione • In azienda: 1% vendita diretta in cantina • Altro: 10-15% (es. vendita on line) Ad oggi si contano 85 aziende per un totale di 12.200.000 bottiglie prodotte, ed è ragionevole supporre di giungere a 20 mln di bottiglie entro il 31/12/2020. Dai dati raccolti presso gli operatori in questi primi mesi, appare che la quota destinata all’export sia più alta rispetto a quella riservata al Prosecco DOC. Calcolando che tale quota export si attesti all’80% dell’intera produzione, possiamo ragionevolmente ipotizzare che 16 milioni di bottiglie di Prosecco DOC Rosé varcheranno i confini nazionali entro la fine dell’anno in corso.

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Prose cco D O C Rosé: ca ra tte r i st i c h e ge n e ra l i La Denominazione di Origine Controllata Prosecco nasce il 17 luglio 2009 dall’unione dei viticoltori, vinificatori ed imbottigliatori di 9 Province tra le regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia al fine di legare indissolubilmente questo vino al suo territorio di origine. Prosecco, quindi, rappresenta un territorio con specifiche regole raccolte nel disciplinare di produzione, che determinano tutti i passaggi della filiera: dalla definizione dell’area di produzione all’etichettatura. La DOC consente di verificare il rispetto delle regole previste dal disciplinare, grazie all’intervento di un ente terzo che certifica il prodotto a Prosecco solo quando tutti i requisiti vengono soddisfatti, in particolar modo quelli relativi alle caratteristiche di consumo. Solo i vini che possiedono i requisiti di qualità richiesta possono fregiarsi del nome della denominazione. Prosecco DOC Prosecco DOC Treviso e Trieste Prosecco Asolo DOCG Prosecco Conegliano Valdobbiadene DOCG

IMMAGINE DEL PROSECCO DOC ROSÉ: Il Prosecco è un vino fresco e vivace che richiama la gioventù, la primavera, la freschezza. I profumi sono floreali e di frutta fresca ed il sapore riporta altrettanta freschezza e vivacità.

V I S TA : Si presenta di colore rosa tenue più o meno intenso.

PERLAGE: Fine e persistente.

PROFUMI: I profumi sono eleganti con ricordo di fiori bianchi e di frutta rossa. Nello specifico sono riconoscibili: il sentore di fiori di acacia, glicine e sfumature di violetta. Ancora i fruttati: in prevalenza fragola e lampone, con ricordo di mela verde, agrumi e frutta esotica.

SAPORE: La sensazione effervescente si manifesta in modo piacevole e carezzevole, mai aggressiva. La veste tipica è quella di una vivace acidità che dona freschezza e l’intensità gustativa è caratterizzata da sapidità in una struttura morbida e raffinata, conferita da un maggiore affinamento sui lieviti. Il retrogusto richiama altrettanto i profumi floreali e fruttati. Le versioni previste sono:

> Brut Nature: è la versione dove non è presente il dosaggio zuccherino, caratterizzata da note gustative intense;

> Extra Brut: è la versione con un residuo zuccherino limitato, dove prevalgono note sapide e acidiche; > Brut: è la versione più moderna dal gusto deciso, adatta a grandi piatti anche delle cucine internazionali; > Extra Dry: è la versione tradizionale, ideale per l’aperitivo e con piatti dai sapori delicati. N O R M E P E R L A V I T I C U LT U R A E L A V I N I F I C A Z I O N E : Metodo Martinotti - Charmat che prevede la seconda fermentazione naturale del vino per un periodo minimo di 60 giorni da uve Glera (85 – 90%) e Pinot Nero (10 – 15%), vinificato in rosso. In etichetta è obbligatorio indicare il termine “Millesimato”, seguito dall’annata di riferimento di almeno l’85% delle uve.

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L A T I P O L O G I A R O S É È P R E V I S TA E S C L U S I VA M E N T E C O M E S P U M A N T E ( M A G G I O R E D I 3 B A R ) N E L L E V E R S I O N I D A B R U T N A T U R E A E X T R A D R Y.

Residuo zuccherino

BRUT NATURE 0 g/l

EXTRA BRUT 3 g/l

EXTRA DRY

BRUT 6 g/l

12 g/l

17 g/l

Temperatura di conservazione: 8/12 gradi al massimo - Temperatura di servizio: preferibile 6/8 gradi

C O M E R I C O N O S C E R E I L P R O S E C C O D O C R O S É - L’ E T I C H E T TA : Nome della denominazione e relativo termine di riferimento (DOC)

Nome del marchio

Tipologia Rosé Riferimento geografico se la raccolta dell’uva e l’imbottigliamento avvengono in provincia di Treviso o Trieste

Prosecco

Identificativo del lotto

L. xx 75 cl. e

Indicazione del volume nominale

Consorzio Prosecco DOC Rosé Treviso / Trieste Brut Nature Millesimato 20XX Prodotto da Consorzio 11% Vol. Treviso - Italia Prodotto in Italia

Contiene solfiti

Residuo zuccherino: Brut Nature, Extra Brut, Brut, Extra Dry

Denominazione di Origine controllata (o D.O.C.)

Riferimento al produttore o al distributore con indicazione all’indirizzo della sede sociale e dicitura «Prodotto in Italia»

Indicazione della presenza di allergeni Indicazione del termine «Millesimato» seguito dall’annata di riferimento Titolo alcolometrico volumico (%)

I L C O N T R A S S E G N O D I S TATO : Il Prosecco DOC viene prodotto esclusivamente in bottiglie di vetro, nelle quali deve essere apposto obbligatoriamente il contrassegno di Stato a garanzia dell'origine e della qualità.

C O N TAT T I :

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#ProseccoDOC

@proseccodoc

#TasteProsecco

@proseccodoc

#ItalianGenio

@ProseccoDOC

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AREA DI PRODUZIONE / CLIMA I vitigni che danno origine al Prosecco si trovano esclusivamente nei territori dell’Italia nord-settentrionale, tra le Dolomiti e il mar Adriatico. Grazie alla particolare interazione tra clima, suolo e tradizione vinicola nasce il Prosecco DOC, un vino unico. CENNI STORICI “Ed or ora immolarmi voglio il becco con quel meloaromatico Prosecco”; così recitava Aureliano Acanti nel suo “Roccolo Ditirambo” nel 1754. Il Prosecco, però, era conosciuto già dai romani come cita Plinio nella sua “Historia Naturalis”, ma è verso la fine dell’Ottocento che, grazie alla spumantizzazione, il Prosecco diventa come oggi tutti lo conosciamo. FATTORI UMANI Nella fertile area del Prosecco, l’arte nella coltura dei vigneti, sviluppata nei secoli, e la particolare tecnica di produzione dei vini spumanti, affinata negli ultimi anni, si sono unite alla passione dei produttori dando origine a un vino di qualità eccellente. DAL 17 LUGLIO

2009 2REGIONI 9PROVINCE

2019

RICONOSCERE IL PROSECCO D.O.C.

VENETO - FRIULI VENEZIA GIULIA

TREVISO PORDENONE

BELLUNO

UDINE GORIZIA

VICENZA VENEZIA

24.450

1.192

PADOVA

AZ. VINIFICATRICI

ETTARI DI VIGNETO

11.460

347

www.prosecco.wine info@consorzioprosecco.it

CASE SPUMANTISTICHE

AZIENDE VITICOLE

SPECIFICITÀ PRODOTTO, TIPOLOGIE Vino dal colore giallo paglierino brillante con perlage fine e persistente, caratterizzato da profumi di fiori bianchi, mela e pera. Al gusto si presenta fresco ed elegante con moderata alcolicità. -Spumante (>3 atm) Residuo zuccherino (g/l): 0

BRUT NATURE

3

EXTRA BRUT

BRUT 6

TRIESTE

12

EXTRA DRY

-Frizzante (1 - 2,5 atm) -Tranquillo (<1 atm)

DRY 17

DEMI-SEC 32

50

CONSUMO Si abbina ai piatti della grande tradizione gastronomica italiana. Il carattere versatile lo rende perfetto per l’esplorazione di nuovi orizzonti gastronomici della cucina internazionale. Grazie alla moderata alcolicità il Prosecco DOC si presta ad aperitivi, brindisi e a momenti di ritrovo.

LA SOSTENIBILITÀ NELLA DOC PROSECCO Il Consorzio persegue un miglioramento continuo, legato al progresso tecnologico e alle esigenze del territorio e dei consumatori, per la valorizzazione della denominazione relativamente agli aspetti: - Ambientali - Sociali/Etici - Economici Infatti sostiene e promuove: Produzione Biologica (il Consorzio incentiva tali produzioni mediante iniziative di carattere sia viticolo, sia promozionale).

COME RICONOSCERE IL VERO PROSECCO DOC? - Indicazione Prosecco DOC in etichetta - Fascetta di Stato - Prodotto in Italia METODO DI PRODUZIONE 1. Vendemmia delle uve; 2. Diraspatura (separazione acini dai raspi); 3. Pressatura (separazione mosto dalla buccia); 4. 1° fermentazione (trasformazione mosto in vino); 5. 2° fermentazione o spumantizzazione in autoclave (il vino diventa spumante o frizzante); 6. Imbottigliamento e etichettatura;

Standard Equalitas per giungere alla certificazione territoriale della denominazione. Produzione integrata (il Consorzio incentiva tali produzioni mediante iniziative di carattere sia viticolo, sia promozionale).

Vietata la vendita alla spina

Viene promossa la costituzione di siepi e boschetti, al fine di incrementare la bellezza e la biodiversità della denominazione (gli ettari di siepi certificati e aderenti a mosaico verde sono 77).

1

4 3

2

5

6


NUMERI PRODUZIONE TOTALE DI PROSECCO DOC 2019

2,4

MILIARDI

di € di fatturato*

*valore stimato al consumo.

486

MILIONI

di bottiglie di cui:

83,58% SPUMANTE Brut: 29,8% Extra Dry: 65% Dry: 4,9% Demi-sec: 0,3%

2019

Rifermentato in autoclave: 99,8% Rifermentato in bottiglia: 0,2%

0,03% TRANQUILLO

CANALI DISTRIBUTIVI

22,2%

di bottiglie

MERCATO ITALIANO

MILIONI

58%

530

378

77,8%

MILIONI

di bottiglie

1.870

MERCATO ESTERO

MILIONI di euro

VENDEMMIA: 3.9 MLN hl < 0,01%

9%

ALTRO

PERERA

GLERA

HO.RE.CA

2019

108

MILIONI

87,35%

32%

IN AZIENDA

VENDITE

di euro

16,39% FRIZZANTE

1%

I seguenti dati sono stati raccolti da fonti ufficiali e attraverso un questionario somministrato alle aziende

<0,01%

2019

7,37%

PINOT GRIGIO

BIANCHETTA

0,02% VERDISO

3,64%

CHARDONNAY

GDO

1,28%

0,06%

PINOT BIANCO

DISTRIBUZIONE IN ITALIA

GLERA LUNGA

0,29%

PINOT NERO

ESPORTAZIONI

44,6% NORD

EST

NORD 36,7% OVEST

2019

3,3%

24,1%

AREA NIELSEN

CENTRO 11,6%

2019

0,5%

1,9%

SUD E ISOLE 7,1%

0,1%

FONTE: elaborazione questionario presso i produttori.

70,1%

FONTE: elaborazione questionario presso i produttori.

Il Consorzio di Tutela ritiene di fondamentale importanza la salvaguardia ambientale, infatti realizza il proprio materiale promozionale esclusivamente in formato elettronico o stampato in carta riciclata.


Pasta, linguaggio universale di un’eccellenza tutta italiana Uno dei prodotti più iconici della tavola italiana celebrato a Parigi in occasione della quinta edizione della Settimana della Cucina Italiana. di Carmen Guerriero

P

ane e pasta sono gli alimenti che forse più di altri hanno scandito la vita dell’uomo, sin dalle origini, ovvero da quando, abbandonata la vita nomade, decise di essere stanziale ed iniziare la coltivazione dei campi, circa 9000 anni fa. Nel Mediterraneo, la coltura dei cereali, specie frumento, orzo, segale e farro, fu introdotta dal Medioriente, come ha rivelato il ritrovamento di grani di cereali risalenti a

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7000 anni a.C. Il pane, in particolare, è stato al centro di uno speciale “viaggio in Italia” attraverso storia, cultura e nutrizione della quinta edizione della Settimana della Cucina Italiana a Parigi, promossa dall’Ambasciata d’Italia e dal Consolato Generale d’Italia a Parigi. Un evento organizzato da Laura Giovenco Garrone e Andrea Fesi, delegata e vice delegato dell’Accademia Italiana della Cucina di ParigiMontparnasse, con la

collaborazione della Coordinatrice regionale AIC della Sicilia Occidentale, Rosetta Cartella, per celebrare il prodotto più iconico della tavola italiana con Storie, interviste e videotestimonianze sulla centralità del pane nella cultura gastronomica italiana. Il pane non è solo alimento nutritivo per il corpo, ma anche per lo spirito, come recita nel Vangelo secondo Giovanni 12,24-26 una delle note parabole di Gesù sul chicco di grano:

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“In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo

onorerà.” In origine, i primigeni progenitori di pane e pasta erano costituiti da un vago impasto a base di semi di grano autoctono, pestati grossolanamente e mescolati ad acqua, poi cotto. Una sorta di polenta grezza molto simile concettualmente, ma più evoluta, alla puls (dal rumore che faceva nel cuocere) preparata col farro, per secoli alimento

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base dei Romani, come descrive Virgilio nel canto VII dell’Eneide, quando racconta di grandi focacce di farro che servivano come vassoio per contenere pietanze e che, poi, venivano mangiate insieme. A seconda dei tempi di cottura, la puls assumeva caratteristiche differenti: riscaldata su pietre roventi diventava pane azzimo, mentre lasciata

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A pagina 69, Essiccazione di pasta su canne nel 1929 (Fox Photos, Getty Images) In questa pagina, Gragnano, Valle dei Mulini, Foto Consorzio di Tutela della Pasta di Gragnano IGP. A pagina 72, Leon Augustin Lhermitte, lavoratrici nei campi di grano.

fermentare qualche giorno diventava pane. Per trovare, invece, qualcosa di più simile alla nostra idea di pasta, dobbiamo riferirci ai Greci che, già nel I secolo a.C. producevano una sfoglia, “laganon”, un foglio grande e piatto di pasta tagliato a strisce, da cui deriva il nostro termine per lasagne. L’influenza orientale dell’Impero romano, seguita dall’avvento della dominazione araba fu, poi, determinante per la diffusione in tutto il Mediterraneo della produzione di pasta

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filiforme e secca, specie in Sicilia dove veniva prodotta già nel IX secolo. Nel Medioevo, spostamenti e carestie imposero l’adozione di strumenti di lavorazione della pasta capaci di lunghissima conservazione, introducendo l’utilizzo del grano duro coltivato nel Sud Italia, rivelatosi più adatto rispetto a quello tenero. In particolare, in Campania, presso Gragnano, piccolo borgo in provincia di Napoli, nella seconda metà del XIII secolo, i feudatari e signori di quelle terre, per aumentare la produzione

di farina, concessero la costruzione di mulini in una valle, poi, ribattezzata Valle dei Mulini, un’antica mulattiera che conduceva ad Amalfi. I mulini fecero la fortuna dei suoi abitanti sia per la posizione, per la vicinanza con il mare, il porto di Castellammare di Stabia era infatti il luogo dove arrivava il grano e da dove veniva esportato il prodotto finito, sia per la copiosità delle sorgenti e delle acque del torrente Vernotico. Ma non si deve pensare ai classici mulini, quanto, piuttosto, a piccoli edifici in pietra di tufo, vere opere di ingegneria

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idraulica e attivi ancora fino al secolo scorso, che con la forza dell’acqua delle antiche sorgenti di Gragnano macinavano la migliore selezione di grano duro. In breve tempo la piccola cittadina di Gragnano divenne una delle principali fonti di approvvigionamento di farina per i forni di Napoli e dintorni per oltre 600 anni. Dalla fine del Settecento, però, l’invenzione dei mulini cilindrici azionati a vapore prima e la tassa sul macinato, poi, progressivamente determinarono un

lento abbandono dei mulini, cedendo il passo all’industria della pasta, complice anche l’abbondanza di acqua sorgiva purissima delle fonti vicine e il microclima mite e ventilato per la vicinanza del mare, ideale per asciugare al meglio la pasta. Nell’arco di poco meno di un secolo si passò dai circa 30 mulini di fine Ottocento agli oltre 80 opifici manifatturieri di pasta che lavoravano il grano duro impegnando il 75 per cento della popolazione nel settore, tant’è che foto dell’epoca ritraggono i corsi principali

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della città come un gigantesco essiccatoio naturale, pieni di grossi scanni al sole per l’essiccazione della pasta, spaghetti soprattutto. La consacrazione di Gragnano a “capitale della fabbricazione della pasta” avvenne, però, il 12 luglio del 1845, ad opera del re del Regno di Napoli, Ferdinando II di Borbone, che concesse ai fabbricanti gragnanesi l’alto privilegio di fornire la corte di tutte le paste lunghe. Da allora, i pastifici di Gragnano aumentarono di numero fino a 110 e iniziarono a gareggiare tra di loro, in competizioni

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anche all’estero. Stipata nelle famose casse di legno, la pasta di Gragnano iniziò rapidamente a fare il giro del mondo, conquistando le tavole più importanti dell’epoca, tant’è che

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nel 1885, per favorire gli scambi commerciali, il Re Umberto I di Savoia fece costruire la stazione ferroviaria di Gragnano, una delle prime dell’intero territorio napoletano.

Oggi, dopo 500 anni di Storia, Gragnano continua a detenere con orgoglio il primato mondiale di “Capitale della Pasta” unica ad aver ottenuto l’importante riconoscimento IGP. ▣

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Le ottime, sane, nutrienti farine di terra d’Irpinia La molitura a pietra, insieme alla qualità del grano coltivato in una terra incontaminata, permette al chicco di conservare tutte le sue proprietà nutritive. Testo di Carmen Guerriero – Foto di Carmen Guerriero, David Morsa, Molino Rastelli

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uando acquistiamo pasta, pane pizza e dolci siamo tutti molto attenti a scegliere tra i migliori brand o bravi

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artigiani, pastai, pasticcieri, pizzaioli. Una scelta, però, che troppo spesso privilegia il gusto, anziché la salute, che è garantita dall’integrità di prodotti sani e di qualità,

come la farina, ingrediente principe di tutti i succitati lavorati. La legge italiana detta una specifica normativa per la produzione della farina di frumento tenero che

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In questa pagina, David Morsa e Teobaldo Acone.

dev’essere classificata in 00, 0, 1, 2 ed integrale, mentre gli sfarinati di frumento duro sono, invece, classificati come semola di grano duro, semolato di grano duro, semola integrale di grano duro e farina di grano duro. Durante i millenni, il chicco di frumento (in greco: ὁ κόκκος τοῦ σῑ́ του), composto per l’83% di

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endosperma che contiene amido e proteine insolubili in acqua (glutine) e per il 3% di germe, oltre vari strati esterni (crusca), ha subìto notevoli mutazioni genetiche, specie nell’ultimo secolo, con l’eliminazione di geni adduttori di malattie per la pianta o per l’uomo, che hanno creato un prodotto più resistente, più sicuro ma meno nutriente e salutare, spesso causa di intolleranze, come quella al glutine, di cui tanta parte della popolazione mondiale è afflitta. Nei famosi taccuini d’Ontignano “il chicco intero di frumento viene descritto come “un alimento completo […] Ma la farina viene raffinata e sterilizzata ormai da un secolo; si fabbrica così un pane bianco senza valore nutritivo, quasi completamente sprovvisto di vitamine e diastasi, senza germe, senza lo “strato meraviglioso”, e composto quasi solamente di amido indigesto e fermentescibile, per la mancanza di “predigestione” da parte delle diastasi”. Lo screening territoriale con Teobaldo Acone, Ambasciatore dell’Associazione Nazionale di Città del Vino (nella foto con David Morsa), ci ha condotti a Montemarano, in provincia di Avellino, per conoscere l’Azienda agricola Morsa David, che si estende in una

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zona montuosa dell’Alta Irpinia per circa 12 ettari, con coltivazioni esclusive di cereali: Grano Duro “Saragolla”; Grano Tenero “Illico” (prodotto adatto alla pastificazione) e Segale “Dankowskie” (prodotto adatto alla pastificazione e alla panificazione). Una bella scoperta, che merita di essere raccontata e valorizzata per l’impegno, il sacrificio e il lavoro speso da questo giovane che, invece di arrendersi e lasciare la propria terra per cercare opportunità altrove, ha deciso, caparbiamente, di impegnarsi sul suo territorio, l’Irpinia. Appena trentenne, dopo gli studi, David Morsa ha

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deciso di restare sulle terre di famiglia per impiantare un’azienda tutta sua, di cui segue tutte le fasi di coltivazione, produzione e relative trasformazioni del grano in farina, grazie alla collaborazione di un mulino di fiducia nel vicino paese di Gesualdo, in cui le farine prodotte sono molite in macine in pietra, senza alcuna aggiunta di conservanti o additivi. La molitura a pietra, insieme alla qualità del grano, è fondamentale in quanto le macine in pietra, girando lentamente, consentono all’endosperma di impastarsi con il germe e gli olii propri, molto sensibili al calore, conservando tutte

le proprietà nutritive del chicco di grano nella farina. Diversamente, con i mulini a cilindri di metallo, usati comunemente nella produzione industriale, le scanalature “sbucciano” progressivamente il chicco di grano, spogliandolo, di fatto, della maggior parte, quella più buona!, delle sue proprietà nutritive. Il calore prodotto dall’attrito dei cilindri “scalda” inesorabilmente la farina, raffinandola come la conosciamo nel tipo 00 e 0, quest’ultima detta anche manitoba o farina americana. Dopo anni di sacrificio, oggi David è giustamente fiero di produrre farine sane, nutrienti, ottime, coltivate in una terra incontaminata, ricca di sole e accarezzata dal vento costante, fattori che assicurano frutti di alta qualità e pieni di sapore, oltre che sicuri, esenti da OGM e privi di ogni contaminazione. Caratteristiche imprescindibili per il benessere vitale e per fare scelte consapevoli e responsabili per noi, per chi amiamo e per l’ambiente, perché, come recita un noto antico adagio, la salute si conquista a tavola! ▣ Info: Azienda Agricola Morsa David – Montemarano (AV) aziendaagricolamorsa@ gmail.com

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OSA IL ROSA:

INNAMORATI DEL NUOVO PROSECCO DOC ROSÉ. Il Prosecco DOC Rosé rappresenta l’evoluzione di un vino già famoso nel mondo: Prosecco DOC. Il suo successo va ricercato in una formula fatta di tradizioni secolari, saperi antichi tramandati da generazioni uniti alla vocazione enologica di un territorio per molti aspetti unico al mondo, a cavallo tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia: la Dreamland. Il Prosecco DOC Rosé rappresenta un modo nuovo e differente di vivere l’incontro, la condivisione, i momenti di relax e disimpegno, la socialità in generale. Il suo colore evoca già una personalità originale che sa muoversi in ogni ambiente con sorprendente classe ed eleganza.

S i contraddisti ngue

Un g usto uni co i n d i ffe re nt i t i p o l o g i e.

d a l contrasse gno.

Il Prosecco DOC Rosé è prodotto solo nella tipologia Spumante

Sul collarino di ogni bottiglia è applicato

e nelle versioni più secche: dal Brut Nature all’Extra Dry.

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ed autenticità.

Vista: rosa tenue con perlage fine e persistente, grazie Vi tign i e m etod o di

ad una maggiore sosta

p ro d uzion e : u n connubio

sui lieviti (60 gg).

fe lice. E gu stoso. Il Prosecco DOC Rosé nasce dal connubio

Olfatto: si ritrovano

tra uve Glera (minimo 85%) e Pinot Nero

i principali descrittori del

(vinificato in rosso, tra il 10% e il 15%).

Prosecco, ovvero fiori

La spumantizzazione avviene con

bianchi, mela e agrumato,

fermentazione naturale attraverso

arricchiti da sentori di

il metodo Martinotti/Charmat.

frutta rossa, come fragola

Il Prosecco DOC Rosé si fregia del

e lampone, conferiti dal Pinot Nero.

titolo ’Millesimato’ perché sempre

Gusto: rotondo, morbido

e solo prodotto con almeno l’85% di uve della stessa annata:

e con maggiore struttura rispetto

caratteristica riportata in etichetta.

alla versione bianca.

Residuo zuccherino

BRUT NATURE 0 g/l

EXTRA BRUT 3 g/l

EXTRA DRY

BRUT 6 g/l

12 g/l

17 g/l


Il fritto misto PIEMONTESE Uno dei piatti più caratteristici e rappresentativi della grande tradizione gastronomica piemontese, nato dalla creatività delle cuoche delle case contadine. di Paolo Alciati

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iatto unico di antica tradizione popolare e contadina, nasce in relazione al rito della macellazione degli animali

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di grossa taglia (come l’agnello, il maiale o il vitello) nelle cascine e all’esigenza di consumare in fretta frattaglie e parti non idonee alla lunga conservazione, a differenza delle parti

nobili da insaccare. Queste frattaglie venivano impanate in pan grattato e fritte in olio bollente ed in seguito servite con sanguinacci nel giorno festivo successivo alla macellazione.

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A sinistra, Il Fritto misto Piemontese proposto dalla Locanda del Marchese di Lagnasco (CN).

Come si dice… “la necessità aguzza l’ingegno” e le cuoche delle case contadine, che hanno la praticità come prima virtù, diedero vita ad un grande piatto utilizzando anche i tagli meno nobili, il cosiddetto “quinto quarto”. Ed ecco che in quei giorni di grande abbondanza di

carni, in contrapposizione agli altri di costante carenza, si radunava tutta la famiglia per una vera e propria festa gastronomica. E per renderla ancora più festosa e golosa si impanavano nel pan grattato e si friggevano le polpettine di carne mista, il fegato, il polmone, le animelle, i rognoni, i filoni, la cervella e i testicoli e tanto altro, aggiungendo altri alimenti poveri, come le patate, i semolini o le mele e creando in questo modo il contrasto dolce-salato che è la principale caratteristica di questo piatto che è l’unico, fra tutti i piatti piemontesi, che mescoli ingredienti dolci e salati, frutta, verdura e carne. La ricetta del fritto è in gran parte comune a tutto

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il Piemonte, anche se ogni area ha assunto le proprie caratteristiche e non si può risalire ad una “ricetta originale”. È un po’ come il dialetto: è simile su gran parte del territorio regionale, ma ogni zona ha suoi termini, pronunce, modi di dire e ne “Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi”, un testo scritto da un autorevole cuoco e stampato per la prima volta a Torino nel 1766, si descrivono ben quindici diversi fritti, prevalentemente dolci, con abbondante utilizzo di acqua di cedro, canditi, zucchero ecc., con la foglia di vite come involucro, usanza oramai desueta. Il fritto misto può essere servito sia come piatto d’entrata sia come secondo

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Q U A L E V I N O A BB I N A R E A L F R I T T O M I S T O P I E M O N T E S E ? L’untuosità della frittura va generalmente mitigata da un vino brioso che pulisca il palato, d i b u o n a a c i d i t à e n o n t ro p p o strutturato. Tr a i t a n t i p ro p o n i b i l i , l a m i a scelta in questo caso è per la Barbera del Monferrato DOC frizzante. Un vino vivace che gode di una importante tradizione nello stile di vita piemontese per la sua immediata piacevolezza e la sua grande facilità di abbinamento. È

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vinificata in acciaio, con una seconda fermentazione per la p re s a d i s p u m a , h a u n b e l c o l o re ro s s o v i v o , p ro f u m o i n t e n s o e fruttato, con sentori di frutti ro s s i . A l p a l a t o è f re s c a , a m p i a e morbida con lievi sentori di mandorla e piacevole finale di viola. S i a p p re z z a g i o v a n e , a l l a temperatura di 15-17 °C e si abbina gradevolmente a cibi saporiti, salumi, primi e secondi piatti, carni alla griglia.

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piatto, ma nel corso degli anni questa prelibatezza è stata arricchita nel numero delle portate tanto che si può considerare un piatto unico. Un vero e proprio rito gastronomico molto impegnativo. Gli ingredienti tradizionali che non devono mai mancare sono: fegato (fricassà nèira), polmone (fricassà bianca), rognone, salsiccia, cervella, lacetto o animelle, filoni, testicolo, cotoletta di vitello, costolette d’agnello, “croquettes” di pollo, melanzane, zucchini, funghi porcini, punta di cavolfiore, amaretti di Mombaruzzo e semolino dolce (friciulìn). In molte versioni compaiono anche le “frisse” (polpette fatte con carne e frattaglie di maiale, pasta di salsiccia, grissini, uvetta e bacche di ginepro avvolte nell’omento o retina di maiale); i “batsoà” (deriva dal francese “bas de soie” che significa “calze di seta” perché la carne del principale ingrediente, il piedino di maiale, cucinata in questo modo, prima di venir fritta, risulta essere talmente morbida che sembra davvero seta); i “caponèt” langaroli (fiori di zucca o di zucchino farciti con avanzi di bollito e di arrosto, salame cotto, prezzemolo, aglio, uova e formaggio grattugiato e fritti. Il nome allude ai capponi perché dello zucchino si usano le infiorescenze sterili); “sobrich” (crocchette) di patate zuccherate. Il tutto

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servito con carote al burro.

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reparazione:

Per preparare il semolino portate a ebollizione il latte con lo zucchero e la scorza di limone grattugiata e aggiungete a pioggia la semola amalgamandola con la frusta. Cuocete per cinque minuti, rovesciate in uno stampo e lasciate raffreddare per un giorno. Le cervella, i filoni e il lacetto sono fondamentali e richiedono una lunga preparazione. Bisogna lavare le cervella con acqua corrente fredda, spellatele dopo aver eliminato le vene più grosse e mettetele a bagno in acqua fredda acidulata con limone per circa un’ora; portate poi a bollore l’acqua, immergetevi le cervella, il filone e il lacetto e sbollentateli per un minuto. Sgocciolateli, poneteli su un piatto e asciugateli tamponando con carta da cucina, tagliateli a pezzi, infarinateli, passateli nell’uovo sbattuto leggermente salato e poi nel pane grattugiato. Tagliate le carni a fettine e il semolino freddo a losanghe. Sbattete due uova, immergetevi le verdure, gli amaretti infarinati e i semolini e passate il tutto nel pane grattugiato. Passate le carni in altre due uova sbattute e nel pane grattugiato. Ogni ingrediente deve avere il suo

preciso tempo di cottura, facendo in modo che tutte le fritture siano pronte nello stesso momento friggendole in una padella di ferro, con olio extravergine di oliva bollente: prima il dolce, poi il salato, curandovi di cambiare olio ogni volta. La frittura deve essere fatta a più riprese, poco prima di servire. Friggete la salsiccia e poi gli amaretti, prima ammorbiditi nel latte (attenzione al tempo di frittura, che deve essere rapido!), e il semolino. Successivamente le mele, i fiori di zucca e le fette di melanzana impastellate. Friggete la carne cominciando con vitello e fegato e completate con rognone, polmone, cervella e filone. Disponete tutti i pezzi fritti su ampi vassoi coperti da carta assorbente da cucina per eliminare il grasso in eccesso. Le polpette di carni miste, con aggiunta di cervella e prosciutto cotto, rosso d’uovo e pastella, devono essere poi infarinate, passate nel pan grattato e fritte. Salate i pezzi fritti solo al momento di servire in tavola. A parte, rosolate nel burro il fegato infarinato e la salsiccia. Servite caldissimo con un contorno di carote al burro, come tradizione vuole. Il semolino dolce e le mele, queste ultime servite verso la fine delle portate, andranno spolverate di zucchero semolato. ▣

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Castagne e castagnaccio, ghiotte tipicità vanto del territorio reatino Il progetto di promozione territoriale “Tipicamente Rieti” della Camera di Commercio di Rieti. di Carmen Guerriero

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ici castagna e la mente rimanda subito al tepore del fuoco su cui, nelle fredde serate invernali, arrostiscono le caldarroste. Magia e dolcezza di un frutto prezioso e salutare che, nei secoli, ha sfamato intere generazioni, che la creatività domestica ha sperimentato poi, in tante ricette tipiche e ricche di gusto. L’Italia è un Paese ricco di castagneti e di Riserve Naturali, come quelli della provincia di Rieti: la Riserva dei Laghi Lungo e Ripasottile, frammenti del grande lago Velino che anticamente ricopriva la Piana Reatina e la Riserva dei Monti Navegna e Cervia, circondati dai bacini idrografici dei fiumi Salto e Turano, affluenti del Velino, nonché la Riserva della Duchessa, distesa tra il comune di Borgorose e la provincia di Rieti, al confine con l’Abruzzo, caratterizzata dal magnifico Lago della Duchessa, di origine carsica, dall’insolita forma ad otto delle due doline. In una grotta del territorio reatino, località Val di Varri (comune di Pescorocchiano), sono stati ritrovati i primi resti carbonizzati di castagne risalenti all’età del bronzo, ma il consumo sistematico

delle castagne tra le popolazioni è acclarato fin dall’VIII secolo, quando iniziò ad essere nutrimento prezioso e fondamentale nell’alimentazione delle genti montane, soprattutto nel periodo invernale, quando, a causa delle rigide temperature, la scarsità del cibo innalzò le castagne a sostentamento pressoché primario. In seguito, la predilezione crescente dell’impianto di nuovi castagneti nella zona determinò una sostanziale modifica anche del paesaggio rurale compreso nelle tre vallate del reatino: Velino, Salto e Turano, tant’è che, ancora oggi, è rimasto il detto “Allo Burghittu (Comune di Borgovelino) se non fosse pe’ li frutti (castagne) se sarianu morti tutti” ovvero “nel comune di Borgovelino se non fosse per le castagne sarebbero morti tutti”. Proprio qui, all’interno della sezione etnografica e naturalistica del museo civico, è stata istituita una mostra permanente sul Marrone di Antrodoco, varietà pregiata e dalle grandi proprietà nutritive. Le castagne sono anche l’eccellenza che ispira itinerari turistici legati a cibo, turismo e cultura che si sviluppano attraverso le “strade della castagna”, tra i comuni di forte produzione: Accumoli, Amatrice, Antrodoco, Ascrea,

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Borbona, Borgorose, Borgo Velino, Cantalice, Castel Sant’Angelo, Cittaducale, Cittareale, Collalto Sabino, Collegiove, Concerviano, Fiamignano, Longone, Marcetelli, Micigliano, Nespolo, Orvinio, Paganico, Pescorocchiano, Petrella Salto, Posta, Pozzaglia, Roccasinibalda, Turania, Varco Sabino. Ancora oggi, infatti, la castanicoltura da frutto è fonte di reddito, specie nei comprensori del Cicolano e dell’Antrodocano, in cui troviamo rispettivamente la castagna “rossa” del Cicolano e il marrone di Antrodoco, varietà molto pregiate con cui si preparano non solo dolci, ma anche tante pietanze tipiche, come zuppe con i legumi o, anche, il baccalà “tipo vicentina”, cotto nel latte insieme alle castagne, secondo un’apprezzata ricetta locale degli anni ’70. Si tratta di piccoli produttori che recentemente, grazie al progetto “Tipicamente Rieti”, ideato dalla Camera di Commercio di Rieti in collaborazione con l’Azienda Speciale Centro Italia Rieti, cofinanziato da Unioncamere Lazio hanno potuto avere visibilità attraverso il coinvolgimento, da Nord a Sud, circa cinquanta giornalisti e blogger di tutta Italia con show cooking virtuali di piatti tipici reatini, preparati con i prodotti di eccellenza.

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L A R I C E T TA O R I G I N A L E R E AT I N A Ingredienti: 500 g di farina di castagne 1 5 0 g d i z u c c h e r o olio d’oliva 1 pizzico di sale 150 g di uva passa 120 g di gherigli di noce 1 bicchierino di mistrà rosmarino P r o c e d i m e n t o : 1. Mettere ad ammorbidire l’uvetta in poca acqua tiepida, strizzarla e tenerla da parte. 2. Mettere in una terrina la farina di castagne, poi aggiungere lo zucchero e un pizzico di sale. Mescolare tutti gli ingredienti per amalgamarli bene. 3. Aggiungere lentamente circa

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750 cl di acqua, un bicchierino di mistrà, 75 cl. di olio (mezzo bicchiere) e continuare a mescolare per far amalgamare bene tutto, che deve rimanere comunque morbido e cremoso, senza grumi. 4. Aggiungere l’uva passa e le noci spezzettate. 5 . Ve r s a r e l ’ i m p a s t o i n u n a t e g l i a unta d’olio e spruzzare d’olio la superficie del dolce, perché serve per non farlo spaccare, quindi si bagna bene tutta la superficie con altro olio. 6. Decorare con gherigli di noce e rosmarino 7. Mettere in forno già caldo a 200 °C per circa 50 minuti. Quando la superficie inizia a fare delle piccole crepe, il castagnaccio è pronto.

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Tra questi, il Castagnaccio, dolce tradizionale in tutta Italia, un piatto “povero” delle zone appenniniche a base di farina ricavata dalla macina delle castagne essiccate nell’arate, una specie di griglia di frasche del castagno posta sul camino, ma che poteva avere ingredienti diversi a seconda della disponibilità dei prodotti locali, come l’impiego di uva passa e noci, in luogo dei pinoli, presenti, invece, nel castagnaccio toscano. La ricetta del castagnaccio delle case del Cicolano e dell’Alta Valle del Velino, tramandata oralmente, prevede oltre alla farina di castagne, come quella

dell’azienda agricola Collaralli, anche l’uva passa che veniva fatta essiccare in casa, le noci, di cui abbondano ancor oggi i boschi intorno alle Riserve Naturali della provincia di Rieti, il mistrà, liquore aromatico legato ad una tradizione artigianale nella zona di Antrodoco, dove negli anni ’30 nacquero una serie di opifici, tra cui Chinzari, che utilizzano erbe montane della zona, e l’olio extra vergine di oliva Sabina Dop, dell’azienda Petrucci. ▣ Info a questo link https://www.ri.camcom. it/P42A0C4288S173/ Tipicamente-Rieti.htm

Rieti, piazza San Rufo, Umbilicus Italiae. AGROAL I ME N T ARE N A Z I ONAL E

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L’Italianità alla Tavola Turca La Settimana della Cucina Italiana 2020 a Istanbul, un focus significativo che ha dato il grado di percezione e di gradimento della cultura gastronomica italiana in Turchia. di Carmen Guerriero

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talianità alla Tavola Turca è stato l’appuntamento conclusivo dell’interessante ciclo digitale di incontri e

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masterclass organizzato dal Consolato Generale d’Italia in Istanbul, l’Ambasciata d’Italia in Turchia ed il Consolato d’Italia in Izmir in occasione della quinta

edizione della Settimana della Cucina Italiana 2020, un viaggio virtuale per celebrare il patrimonio della cucina italiana, le sue eccellenze e la sua qualità.

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Un focus significativo che ha dato il grado di percezione e di gradimento della cultura gastronomica italiana in Turchia, grazie anche alle testimonianze di tre chef italiani d’eccezione che lavorano in diversi segmenti del mercato: Claudio Chinali, Ambasciatore del

gusto ed executive chef di Eataly, Gıuseppe Pressani (Papermoon) e Giancarlo Gottardo (executive chef del gruppo Divan), considerati tra i più noti chef italiani in Turchia. Dopo i saluti istituzionali del Console Generale d’Italia Elena Sgarbi, nel segno

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della storia e dell’identità culturale condivisa da Italia e Turchia, il dott. Livio Manzini, presidente della Camera di Commercio Italiana in Turchia, ha moderato l’incontro, sottolineando come la Turchia offra buone opportunità di investimento

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In questa pagina, In alto, il Console Generale Elena Sgarbi. In basso, Livio Manzini.

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agli stranieri e come, negli ultimi anni, siano crescenti gli investimenti da parte di aziende ed imprenditori italiani in tutti i settori, specie quello gastronomico. Ogni professionista ha narrato il proprio percorso, le scelte, le difficoltà incontrate, in primis per la lingua e, poi, per la reperibilità dei prodotti d’eccellenza italiana, i consensi, i successi di oggi e di quanto sia apprezzata la cucina italiana in Turchia, secondo tre prospettive diverse: nel menù

internazionale, nel menù nostrano e nell’acquisto dei prodotti. Giancarlo Gottardo, oggi executive Italian chef del ristorante “Divan Lokanta” all’interno del noto gruppo turco Divan, ha raccontato l’importanza di aver potuto “affinare il palato” sin dall’infanzia alla cucina di casa della mamma e della zia, complice le sue origini palermitane, in Sicilia, culla di tradizioni e culture mediterranee. Il coraggio, poi, di lasciare affetti e

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casa per trasferirsi prima a Milano e, successivamente, a New York, Chicago e Las Vegas, per fare esperienze lavorative in ristoranti raffinati, incontri con personaggi famosi, particolarmente amanti del buon cibo. L’occasione di lavorare ad Istanbul è arrivata dal prestigioso gruppo Four Seasons, come executive chef e, nel 2012, dal Divan Group, pioniere nella cultura gastronomica turca con una filosofia alimentare fondata su una

cucina semplice, sana ed equilibrata. Altro chef italiano, Claudio Chinali dal 2013 è executive chef di Eataly Istanbul, noto brand internazionale dedicato alle eccellenze agroalimentari italiane. Dopo gli studi in ingegneria, la sua passione lo ha dirottato ai fornelli di cucine pluripremiate, come quella dello chef Igles Corelli, a Ostellato in provincia di Ferrara, e poi di chef Bruno Barbieri, grazie al quale, nel 2009,

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è approdato ad İstanbul, in occasione di un evento all’interno del ristorante italiano del Ritz Carlton. “Mi ritengo particolarmente fortunato perché ho una madre romana e un padre mantovano e questo mi ha permesso di avere un’ampia visione della gastronomia italiana.” Dopo dieci anni, Claudio Chinali è perfettamente integrato e felice con la sua famiglia e lavora con passione come Chef e Ambasciatore del Gusto italiano e conduce un programma televisivo di cucina molto seguito in Turchia. Origini tutte partenopee per Giuseppe Pressani, detto Pino, executive chef al Paper Moon, ristorante italiano di fama mondiale ad Akmerkez, Istanbul, dal 1996 joint venture turcoitaliana dopo Milano e New York e frequentato da una clientela dell’alta società di Istanbul. Erede di tre generazioni di ristoratori, chef Pressani ha iniziato a lavorare nel ristorante di famiglia del padre, a Milano. La svolta professionale è arrivata nel 1989, contattato dal famoso gruppo Paper Moon di Milano, con cui ha iniziato un sodalizio lavorativo che lo ha portato, in pochi anni, in giro per il mondo, tra New York come Executive Pizza Chef, Tokyo, in Giappone, come Executive Chef per sei mesi de La Ranarita, Tel Aviv,

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Israele, Mosca, Russia. L’arrivo a Istanbul nel 1996 è stato magnetico, “catturando” lo chef per l’immensa bellezza dell’antica capitale della Turchia. “Condivido pienamente l’affermazione di Pressani, il popolo turco è molto ospitale e ricorda tanto quello napoletano!” Negli ultimi tre anni, però, la Turchia sta vivendo, a vario titolo, una crisi economica che, di fatto, si è tradotta anche in maggiori dazi sul prezzo dei prodotti importati, con conseguenti difficoltà delle compagnie di importazione per l’approvvigionamento dei prodotti di eccellenza

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italiani e di reperibilità degli stessi per gli chef. “Reperire i prodotti italiani oggi è diventato complicato” – ha sottolineato chef Giancarlo Gottardo. “Fare un menù richiede una ricerca e due o tre prodotti di eccellenza per fare una buona cucina. La recessione di questi ultimi anni ha creato la triste realtà di avere pochissimi ristoranti italiani in una città come Istanbul che conta venti milioni di abitanti. Com’è possibile avere un numero di ristoranti italiani che si contano sul palmo della mano? Così non c’è competitività e, dunque, si annulla la creatività che è il motore della gastronomia!

La cucina italiana per riattivarsi ha bisogno di Istituzioni, di fiere, di destinazioni turistiche, di organizzare slow food, agriturismi, e tante altre cose. Abbiamo bisogno di investitori che promuovano e arricchiscano la città con il Made in Italy com’era nel passato”. Significativo, sul punto, l’impegno della Camera di Commercio italiana ad Istanbul “affinché gli accordi commerciali tra Turchia ed Italia vengano avviati, in particolare per quanto riguarda l’unione doganale, per permettere un’importazione più semplice dei prodotti alimentari,

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ovviamente europei, ma in particolare italiani”. “Cosa si può fare per promuovere la cucina italiana anche al di fuori dei confini di Istanbul, in particolare in Anatolia? In Italia siamo legati alla terra, alle usanze, alle tradizioni. Per far conoscere la cucina italiana in città di provincia bisogna ridurre le tasse, trovare un accordo per l’importazione di alcuni prodotti e, soprattutto, organizzare più fiere ed eventi gastronomici per far conoscere la cucina italiana – ha precisato chef Pressani, cui ha fatto eco Giancarlo Gottardo: “In passato abbiamo provato

a fare delle piccole fiere gastronomiche che sono state di successo. Essendo una cucina semplice, pizza, pasta, gli antipasti siciliani sono molto apprezzati e, poi, queste città che hai nominato sono piene di studenti, giovani, piene di vita. Dico sì, si può fare fuori “le mura” di Istanbul”. Il confronto è stato un’importante testimonianza di vita e di impegno soprattutto per tanti giovani che si affacciano al mondo della ristorazione, come gli studenti della Turkish Culinary Academy di Ankara e della facoltà di Scienze Applicate, Dipartimento Turismo e Amministrazione

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Alberghiera Università di Ankara (Bilkent) e della facoltà di Gastronomia Università di Istanbul (Özyeğin), cui nel mese di dicembre, grazie alla collaborazione tra l’Ufficio ICE-Agenzia Istanbul, l’importante scuola di cucina MSA di Istanbul e l’Associazione Ambasciatori del Gusto, verrà proposto un corso di cucina italiana per evidenziare non solo l’importanza di utilizzare prodotti made in Italy di qualità, ma anche di cogliere opportunità di lavoro e di valore di altre culture e tradizioni, per coltivare il talento e sviluppare la creatività. ▣

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CASTIGLION FIORENTINO, sede prestigiosa del Premio

Fair Play Menarini 2020 Tra i premiati a Castiglion Fiorentino molti nomi illustri dello sport, come José Altafini, Zibgniew Boniek, Arrigo Sacchi e Louis Van Gaal, ma anche Manuel Poggiali, Dominik Paris e molti altri. di Nicoletta Curradi

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torie, emozioni, personaggi illustri e grandi nomi dello sport italiano e internazionale hanno arricchito la cerimonia di premiazione del XXIV Premio internazionale Fair Play – Menarini, che si è svolta a settembre a Castiglion Fiorentino in provincia di Arezzo. Anche in questo critico

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2020, segnato dal dolore e dalle difficoltà dovute all’emergenza sanitaria, la kermesse dedicata all’etica e al fair play ha voluto essere presente in calendario, lanciando un messaggio di fiducia. “Anche quest’anno la cerimonia ci ha riservato grandi emozioni” ha dichiarato Angelo Morelli, presidente dell’associazione Premio Fair Play. “Tutti

coloro che hanno ricevuto un riconoscimento incarnano i valori dell’etica e del rispetto e spero siano di grande esempio per le nuove generazioni, soprattutto in questo periodo storico. Nei mesi scorsi, a tutti è capitato di perdere la speranza, ma ritrovarci qui stasera è per noi motivo di grande orgoglio e fiducia”. Quindi i premi vanno

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dall’ex pallavolista cubano Joel Despaigne a grandi calciatori del calibro di José Altafini e Zibgniew Boniek, dagli allenatori di calcio Arrigo Sacchi e Louis Van Gaal, al tecnico del Settebello Alessandro Campagna; e poi il motociclista Manuel Poggiali, la giovane nuotatrice Benedetta Pilato, la golfista Federica Dassù, le sorelle dello sci Elena e Nadia Fanchini e il velista Andrea Stella. Assente il pilota Giancarlo Fisichella che, impegnato in una corsa con la Ferrari, aveva già ritirato il premio alla conferenza stampa della manifestazione. Tra i premi speciali, il

‘Sustenium Energia e cuore’ allo sciatore Dominik Paris, ‘Impegno Sociale e civile’ alla Fnomceo e alla Fnopi per la loro lotta contro il Covid-19, il Fiamme Gialle ‘Studio e sport’ alla ginnasta Gaia Di Trapani. Ricordato il giornalista Franco Lauro: alla sua memoria è intitolata la categoria ‘Narrare le emozioni’, premio ricevuto dal giornalista Dario Ronzulli. “La XXIV edizione del Premio Fair Play Menarini è sicuramente la più complessa che abbiamo affrontato” ha dichiarato Ennio Troiano, direttore corporate delle risorse umane del gruppo farmaceutico Menarini. “A

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causa del Coronavirus e del lockdown, il 2020 è stato un anno difficile, probabilmente il più duro per l’Italia dal Dopoguerra in avanti. Con questa manifestazione abbiamo voluto dimostrare che, attraverso i valori del fair play, del rispetto e dell’altruismo, la collettività riesce a raggiungere risultati importanti. Al tempo stesso, abbiamo voluto regalare un sorriso ai presenti, a quanti guarderanno la trasmissione in televisione o leggeranno di questo premio. Vedere tanti campioni tutti insieme, in un momento così difficile, è un messaggio di fiducia davvero significativo”. ▣

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IL FORMAGGIO della

Ripartenza

E’ nato “Dolce Agricola”, il formaggio tutto solidale: una squisitezza arricchita da note di amicizia, collaborazione e fiducia nel futuro. Testo e foto di Jimmy Pessina

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l suo vero nome è «Dolce Agricola», ma da tutti è stato ribattezzato il «Formaggio della Ripartenza» perché dietro a quella forma di squisitezza, fatta con latte di capra, c’è una storia di solidarietà. Di quella solidarietà contadina che contraddistingue da sempre chi lavora i campi e si occupa degli animali da

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allevamento. Tutto ha inizio durante il lockdown, quando una azienda agricola di Roccaforte Ligure, in provincia di Alessandria lancia un SOS. A causa della cessazione delle attività e del divieto di spostamento l’azienda agricola ha rischiato di dover buttare il latte pregiato delle sue capre.

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A destra, Andrea Santacatterina, Roberto Precisvalle e Aldo Santacatterina.


Appresa la notizia, Aldo Santacatterina e i dipendenti dell’Agricola non ci hanno pensato due volte. «Ci siamo detti quel latte non deve essere sprecato, lo prendiamo noi» - afferma il titolare dell’Agriturismo di Lainate (Milano) -. È in questo modo che è nato il «Dolce Agricola» in edizione limitata che, dopo un periodo di stagionatura,

ha fatto il suo ingresso sugli scaffali della «Bottega del Cuore Contadino». «Le caratteristiche di questo nostro nuovo cavallo di battaglia, ma in una nuova veste tutta solidale, sono la sua classica squisitezza arricchita da note di amicizia, collaborazione e fiducia nel futuro - afferma Aldo Santacatterina -. Oggi, dopo il periodo di

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stagionatura, è finalmente pronto per essere venduto e per essere messo nei pacchi di Natale che come ogni anno prepareremo per i nostri clienti». La Bottega Contadina è da sempre il luogo dove è possibile scoprire le novità dell’Agricola ovvero: pasta fresca, pizze, focacce, carne, frutta, verdura e pasticceria artigianale. ▣

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