ASA Magazine Anno 4 – Numero 13 – Maggio 2020 – Rivista Quadrimestrale
LA RIVISTA DELL’ ASSOCIAZIONE STAMPA AGROALIMENTARE ITALIANA Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 – Tutti i diritti riservati – Dir. Resp. Roberto Rabachino
Magica Toscana: Versilia ed Elba Un itinerario di grande suggestione, all’insegna di storia, natura, benessere.
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’Associazione Stampa Agroalimentare Italiana è la casa di tutti quei comunicatori che operano nel variegato mondo dell’agroalimentare e non solo. Non sindacale, libera e apolitica, ASA raggruppa tutti quei professionisti della comunicazione di settore che si riconoscono in questi fondanti valori. Formatasi nel 1992 e registrata legalmente nel 1993 con sede a Milano, è uno dei sodalizi più conosciuti e riconosciuti a livello nazionale ed internazionale. I suoi iscritti collaborano giornalmente in più di 600 testate giornalistiche nazionali e internazionali, in trasmissioni televisive, in blog e siti internet, negli uffici stampa e di promozione turistica del territorio, negli Enti di tutela del comparto agroalimentare. ASA è particolarmente sensibile a tutto il mondo del biologico con una redazione specifica dedicata all’argomento.
E S C L U S I VA M E N T E P E R G L I A S S O C I AT I A S A Tessera personale, pin e vetrofania auto con logo A.S.A. Pubblicazione sul sito istituzionale di ASA di articoli e reportage e possibilità di collaborare con la testata ASA Magazine. Partecipazione gratuita a stimolanti attività e approfonditi corsi di formazione organizzati da A.S.A.
ASA al servizio della corretta comunicazione
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’Associazione Stampa Agroalimentare Italiana è uno strumento di raccordo e di sintesi, di stimolo e di supporto, di analisi e di costruttiva critica. La nostra mission è offrire supporto e collaborazione a tutti quei giornalisti e/o operatori dell’informazione che hanno nella serietà, nella moralità, nella sensibilità, nel rispetto e della deontologia professionale, le loro principali caratteristiche. Iniziative, progetti, eventi collegati ai nostri associati troveranno il giusto spazio all’interno del nostro sito, nei nostri social, nella nostra rivista e nella nostra newsletter inviata settimanalmente a più di 30.000 iscritti. Sensibile alle tematiche legate alla professionalità degli operatori della comunicazione di settore, ASA è anche uno strumento di formazione per i propri iscritti con un programma di corsi specialistici a loro dedicati in forma gratuita.
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ASA MAGAZINE n. 13/ 2020 – Maggio 2020 – Rivista Quadrimestrale Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 Direttore Responsabile N.13 / MAGGIO 2020 Rivista Quadrimestrale
Roberto Rabachino C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 direttore@asamagazine.it
Redazione Centrale e Editing Enza Bettelli C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 redazione@asamagazine.it bettelli@asa-press.com
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Comitato di Redazione e Controllo Roberto Rabachino, Giorgio Colli, Patrizia Rognoni, Riccardo Lagorio e Saverio Scarpino
Hanno collaborato a questo numero Roberto Rabachino, Nicoletta Curradi, Franca Dell’Arciprete Scotti, Carmen Guerriero, Enza Bettelli, Silvia Donatiello
Per la fotografia Carmen Guerriero, Franca Dell’Arciprete Scotti, Tenuta Cavalier Pepe, Ente Turismo Alba
Sommario EDITORIALE Le bugie nel tempo di Covid 19 a cura di Roberto Rabachino, Presidente Nazionale ASA
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TURISMO NAZIONALE Da Cambiaso a Magnasco. “Sguardi genovesi” a Palazzo della Meridiana a Genova di Nicoletta Curradi
Magica Toscana: Versilia ed Elba di Franca Dell’Arciprete Scotti
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TURISMO INTERNAZIONALE Da Nord a Sud, un percorso gastronomico inedito a Gran Canaria di Silvia Donatiello
Essaouira, l’altro volto del Marocco di Carmen Guerriero
Scoprire Valencia: gastronomia e gioia di vivere di Franca Dell’Arciprete Scotti
Mani, il Peloponneso più autentico tra mare cobalto, torri di pietra e natura selvaggia di Carmen Guerriero
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AGROALIMENTARE NAZIONALE L’uovo: bello, liscio, delicato, semplicemente perfetto di Enza Bettelli
Storie di Aziende al tempo del Coronavirus: Tenuta Cavalier Pepe di Carmen Guerriero
Anteprime toscane: conferme positive per i vini del Granducato di Nicoletta Curradi
Sangiovese dal mondo, viaggio sensoriale in dieci calici di vino di Carmen Guerriero
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NEWS DALL’ITALIA La ‘Cerca e cavatura del Tartufo in Italia’ candidata a Patrimonio culturale immateriale di Carmen Guerriero
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38 infogrAfiche sui vitigni del Piemonte
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EBOOK SCRITTO DA LAURA NORESE ASSOCIATA ASA - ASSOCIAZIONE STAMPA AGROALIMENTARE ITALIANA @LAURANORESEWINE
LAURA@IDEASITI.WINE | IDEASITI.WINE
Le bugie nel tempo di Covid 19 Le fake news sui social network volano, soprattutto al tempo del Coronavirus: hanno costi molto bassi, un’alta redditività e permettono dunque un facile ricavo, sia commerciale che politico.
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ggi possono essere usate da chiunque, basta avere un certo numero di follower ed essere capaci di coinvolgere nomi importanti, perché l’animo umano è più disposto a credere ad una cattiva notizia, piuttosto che ad una buona. La proliferazione delle fake news ha comportato la necessaria ripresa dell’autorevolezza del ruolo dell’informazione giornalistica di qualità: c’è un maggior ascolto televisivo e radiofonico, il pubblico riconosce nel giornalismo una tipologia di informazione certificata, autorevole, seria e professionale. Pensiamo ai “novax”, che si cibavano di fake news facendo circolare sui social notizie false relative ai danni provocati dalle vaccinazioni: oggi non esistono più, né potrebbero avere il minimo spazio nel dibattito. Stiamo dunque assistendo ad un ritorno di fiducia verso le testate giornalistiche storiche. Secondo una ricerca del Censis, un Italiano su tre naviga in rete per cercare informazioni sulla salute: sono infatti oltre 15 milioni gli Italiani che ricorrono al web per cercare informazioni mediche, la metà dei quali finisce con l’incappare in fake news, notizie fuorvianti e prive di riscontri scientifici che possono mettere anche a serio repentaglio la vita stessa dei cittadini. Per contrastare la mole di informazioni sbagliate ed inaffidabili circolanti in rete, nasce ISSalute, il nuovo portale dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che ha lo scopo di fornire ai cittadini informazioni chiare e basate sulle sole evidenze scientifiche disponibili. Al suo interno, una apposita sezione
costantemente aggiornata è dedicata a falsi miti e bufale sul web: ad oggi sono già 150 le fake news segnalate di cui viene spiegata l’infondatezza, ma ogni giorno se ne aggiungono di nuove. Il portale rappresenta una sorta di enciclopedia digitale ed interattiva, scritta in un linguaggio semplice ed accessibile a tutti ed offre ai cittadini la possibilità di diffondere e condividere i contenuti su salute, stili di vita e ambiente tramite blog e social network. Walter Ricciardi, presidente dell’ISS afferma che “il portale nasce per spiegare ai cittadini il valore della ricerca e di tutta la conoscenza prodotta dall’intera comunità scientifica e renderla fruibile al maggior numero di persone possibile. È un’informazione certificata all’origine perché prodotta negli stessi luoghi in cui si fa ricerca e si produce conoscenza scientifica”. Tutti i contenuti pubblicati su ISSalute sono infatti realizzati da un Comitato Redazionale, composto da ricercatori e tecnici dell’ISS, e vengono valutati ed approvati dal Comitato Scientifico, in collaborazione con un Team di Esperti. “Scendiamo in campo contro le bufale online – conclude Ricciardi offrendo ai cittadini che sempre più spesso consultano il web per motivi di salute un approdo sicuro, un punto di riferimento rigoroso ed autorevole”. Fonte e testi: ImmunOncologia.org e Andrea Delogu, Vice Direttore Generale Informazione del Gruppo Mediaset, Alberto Dal Sasso, Presidente IAA e MD Nielsen AIS Media Italia. Info: www.issalute.it a cura di Roberto Rabachino, Presidente Nazionale ASA
Da Cambiaso a Magnasco
“SGUARDI GENOVESI”
a Pa l a zzo d ell a
Meridiana a Genova Sarà aperta fino al 28 giugno prossimo al Palazzo della Meridiana a Genova un’eccezionale mostra dedicata alla ritrattistica genovese dalla metà del Cinquecento alla prima metà del Settecento. di Nicoletta Curradi
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Da Cambiaso a Magnasco. Sguardi genovesi”, a cura di Anna Orlando, vuole raccontare Genova, fermando i volti del tempo. Stupisce da subito nella prima sala rivestita di specchi il capolavoro di Luca Cambiaso “Autoritratto mentre ritrae il padre”, datato dalla critica intorno al 1570. L’artista non rivolge lo sguardo allo spettatore e impugna l’attrezzo del mestiere con la sinistra
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nonostante usasse sempre la destra: probabilmente era stato realizzato allo specchio. Balza subito all’occhio il collaretto: una striscia di tessuto rettangolare che orna il collo con un’arricciatura. Le barbe sono arrotondate e “vecchio stile” per il padre, alla moda per il figlio secondo gli usi della fine degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo come viene anche dettagliato nel catalogo curato da Anna
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Orlando e Agnese Marengo con numerosi contributi scientifici. Seguono una quarantina di “sguardi genovesi” tra dogi, senatori, cardinali, capitani, poeti, dame, condottieri e bambini. I ritratti sono i selfie di allora, ha affermato Anna Orlando, una delle massime esperte di pittura genovese a livello internazionale, per definirli in modo anacronistico e banalizzante. In realtà i ritratti sono molto di più
dell’immagine di qualcuno fissata nel tempo. Sono testi semantici di fascinosa complessità che recano in sé, oltre ai caratteri fisionomici dell’effigiato, anche una quantità di messaggi, diretti o nascosti che siano”. La visione di un ritratto genera, in chi lo guarda, diverse emozioni suscitate dalle fattezze e dall’atteggiamento di colui che è effigiato. Tuttavia, comprenderne il significato intrinseco e il messaggio che reca in sé è un esercizio che richiede lunghe ricerche e un notevole bagaglio di conoscenze. Ciò è vero
soprattutto per la ritrattistica del Seicento, un’epoca in cui sia la letteratura, sia la pittura sono ricche di allegorie, ambiguità e doppi sensi. I ritratti non sono semplici “fotografie” del tempo, anche se facilmente godibili. Se ben osservati nascondono i messaggi che il committente e il pittore vogliono comunicare, rivelandoci il carattere dei personaggi raffigurati, sia conosciuti, sia ignoti. La nuova mostra di Anna Orlando per Palazzo della Meridiana, la quinta dal 2016 a oggi, restituisce così uno spaccato dinamico di Genova su più fronti. T URI S MO NAZ I ONAL E
In alto, Domenico Fiasella, Bambino con il suo cane. A pagina 10, Angelo Giacinto Bannchero, Il doge Giovanni Battista Cambiaso.
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In questa pagina, Campioni di pizzi. A pagina 11, Dall’alto in basso, in senso orario: Gio. Enrico Vaymer, Bambina come Flora; Gio. Bernardo Carbone, Il cardinale Giulio Spinola; Domenico Parodi, Dama con mantello; Gio. Bernardo Carbone, Fanciulla in abito rosso.
Dedica pure un angolo ai bambini, ricreando una cameretta con un quadro in particolare ad altezza “0-12”: “Bambino con il suo cane” di Domenico Fiasella, detto il Sarzana, di straordinario impianto compositivo e stato di conservazione. Tra le curiosità il collarino risvoltato del bambino chiuso con nappine, dette pimpinelle e il giupponetto, la casacca chiusa da bottoni d’oro, che mostra anche la trama in
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un impressionante gioco di particolari. Altra magnifica opera “Annamaria Balbi Durazzo” di Giovanni Maria Delle Piane, detto il Mulinaretto, tra paesaggi, pennellate generose e una particolare attenzione al “Mantò”, al corpetto del “Grand-habit” che mostra la sontuosità degli indumenti tra broccati, pizzi e fuselli in oro e argento. Nelle altre sale una sfilata di
personaggi illustri accanto a volti sconosciuti. Diversi i prestiti importanti dalle sedi istituzionali come dai privati, tra cui Vittorio Sgarbi. Oltre a tele di Cambiaso e Magnasco, sono in mostra le opere di Domenico Fiasella, Giovanni Benedetto Castiglione, Giovanni Battista Gaulli, Gio. Enrico Vaymer, Domenico Piola, Gio. Bernardo Carobene, Jan Roos, Bernardo Strozzi, il Mulinarettto e molti altri. La mostra rimarrà visitabile fino al 28 giugno con orario dal martedì al venerdì dalle 12 alle 19; sabato, domenica e festivi dalle 11 alle 19. ▣
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Magica Toscana VERSILIA ED ELBA Un insolito itinerario in ambienti di grande suggestione, all’insegna di storia, natura, benessere. Testo e foto di Franca Dell’Arciprete Scotti
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er brevi o lunghi soggiorni, fuori dagli schemi più tradizionali, ci attendono due perle toscane, la Versilia e
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l’isola d’Elba. Famosa per il mare, con gli stabilimenti balneari più attrezzati e più chic e lo shopping più glamour, la Versilia offre anche
numerosi itinerari alla scoperta di storia, tradizioni, arte e natura. A parte il famoso Forte dei Marmi, amato dalle famiglie alto borghesi di
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A pagina 14, Elba, ripalte dei vigneti. A pagina 15, Elba, Portoferraio. In basso, Villa La Versiliana. In questa pagina , Elba, panorama delle miniere.
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primo Novecento, che “vestivano alla marinara”, a nord di Viareggio vale una visita “Il rifugio di Venere”, ultima dimora di Paolina Bonaparte, dove si trovano anche il Museo Archeologico, una ricca pinacoteca con opere del ‘900, e il Museo degli strumenti musicali. Imperdibile Pietrasanta, centro d’importanza internazionale per la lavorazione del marmo e del bronzo, punto d’incontro di scultori provenienti da tutto il mondo, ricco di botteghe
e gallerie. Suggestivi i numerosi eventi, anche musicali, organizzati in Piazza del Duomo o nella Chiesa di Sant’Agostino. Nel piccolo borgo del Cinquale, immortalato da Carlo Carrà, si aprono le Terme della Versilia, uno dei pochi esempi di termalismo sul mare in Italia, collegate all’Hotel Villa Undulna. Sono un’originale SPA tutta naturale che utilizza le virtù terapeutiche dell’acqua salsobromoiodica e della torba, preziosi elementi prodotti dal generoso
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territorio circostante, dalle proprietà miorilassanti e antinfiammatorie. La torba termale, infatti, estratta dal bacino del Lago di Massaciuccoli, è in particolar modo benefica per la pelle, illuminandola e apportando preziosi sali minerali. Alle spalle delle Terme si apre un entroterra ricco di deliziosi borghi e paesi arroccati sulle Apuane, la magia del Lago di Massaciuccoli e delle grotte dell’Antro del Corchia, con 53 chilometri di gallerie e pozzi! www.termedellaversilia.com
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postiamoci a sud lungo il mare per raggiungere l’isola d’Elba. Un braccio di mare la separa dalla costa livornese. 40 minuti di traghetto e sei già in vista delle sue scogliere intervallate da piccole spiagge. Un’antica leggenda narra che quando la Venere
Tirrenica nacque dagli abissi marini, la collana di perle che portava al collo si ruppe e le gemme, spargendosi nel mare, diedero vita alle isole dell’Arcipelago Toscano e tra queste all’Isola d’Elba. Oggi, l’Elba è il cuore del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, un’area protetta che si estende per circa 180 kmq, e della Riserva della Biosfera MaB UNESCO, un prestigioso programma dedicato alle risorse della biosfera e alla tutela delle riserve naturali. L’Elba, infatti, la più grande delle isole minori italiane, è un tesoro di minerali e vegetazione lussureggiante. Tra i profumi della macchia mediterranea, ospita una originale varietà di fauna selvatica: dai fenicotteri ai fieri rapaci, come il falco pellegrino, alle operose api; dalla piccola lucertola muraiola, endemica dell’Elba, alle colorate farfalle che sono ospiti e protagoniste del Santuario delle farfalle, creato in una
zona nei pressi del Monte Capanne. A Portoferraio l’ingresso è suggestivo, con la vista del faro, le fortezze medicee, il rosso bastione a mare, il porticciolo. Poi le strade panoramiche che si arrampicano tra cactus, ulivi, corbezzoli e vigneti di Vermentino e Aleatico. Panorami mozzafiato quando, salendo, si scopre il mare da entrambi i lati della strada perché l’Elba, lunga 27 km, in qualche punto è larga solo 4. Salendo ci si immerge nel verde folto di macchia mediterranea, pini marittimi e terra rossa. Oggi il turismo e l’enogastronomia sono la maggiore fonte di ricchezza. Ma fino a quarant’anni fa il lavoro era nelle miniere e nelle cave. A sud-est il Monte Calamita rivela tutto nel nome: lì, nelle miniere del Ginevro, ricchissimi giacimenti di magnetite pregiata che già estraevano gli Etruschi. In un giro dell’isola bisogna inserire naturalmente le Ville
UN PROFUMO SPECIALE Non si può partire dall’Elba senza un souvenir particolare: Acqua dell’Elba è una linea di profumi e di cosmesi per il corpo che utilizzano materie prime naturali ispirate alla freschezza del mare e dei fiori e lavorate da mani artigiane. www.acquadellelba.com
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Napoleoniche, Villa San Martino e Villa dei Mulini a Portoferraio, legate all’esilio di Napoleone Bonaparte che qui visse solo nove mesi, ma lasciò una forte impronta nella storia dell’isola. Oggi dunque l’Elba vive di turismo, un turismo esigente che non ama rumore, né musica, né discoteche. Perfetta per accogliere ospiti esigenti è la Tenuta delle Ripalte, nella parte più meridionale e orientale dell’isola a sud di Capoliveri. Una tenuta enorme di 450 ettari di paradiso e 12 chilometri di costa. Gli sportivi trovano qui la possibilità di praticare
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mountain-bike, equitazione, tennis anche a livello professionale, snorkeling, escursioni in gommone. Molto richieste anche lezioni di yoga e di apnea affidate a eccellenti istruttori. Nelle immersioni si scoprono scorci inaspettati, scogli sottomarini, passaggi di delfini e grandi tonni. Nuotando al largo con la maschera, si possono ammirare praterie di posidonie, triglie di scoglio e castagnole; polpi sinuosi e cavallucci marini; rombi e barracuda; pesci luna, gorgonie e aragoste. Ma i protagonisti del mare sono i cetacei, che spesso
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A pagina 18, Versilia, Cinquale. In questa pagina, in alto, Villa La Versiliana. In basso, villa a Viareggio.
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vengono avvistati intorno all’Isola e che con un po’ di fortuna è possibile ammirare anche da vicino durante piacevoli escursioni in barca. I trekking a piedi, invece, conducono su scogliere a picco coperte di lentischi, mirti, lavanda selvatica, elicriso e, quando è il momento della fioritura, tappeti di ginestre gialle, avvolti nei meravigliosi profumi della macchia mediterranea. Qui si arrampicano capre e cinghiali e nidificano
gabbiani e uccelli di passo nel loro viaggio dall’Africa verso il Nord Europa. Nel pomeriggio, al tramonto, non mancherà una degustazione sulla splendida terrazza della cantina progettata da Tobia Scarpa: materiali potenti, una alta struttura a parallelepipedo affacciata sulle vigne e sul mare, botti di rovere dipinte da artisti ospiti della tenuta, una galleria per mostre fotografiche, e soprattutto una ricca enoteca di Vermentino bianco e del
famoso Aleatico passito elbano, dove si trovano tutte le essenze del territorio. Ci si rilassa all’aperto, sotto i grandi pini nel giardino della villa centrale. È questo il cuore della tenuta: una villa dell’Ottocento, costruita dal conte svizzero Hofer, che acquistò la tenuta dalle Regie Miniere. ▣ Info sull’isola, la tenuta e le attività: www.visitelba.info www.tenutadelleripalte.it www.freedivingelba.org www.costadeigabbianibikecenter.com
PER VIAGGIARE Il mezzo migliore per andare all’isola d’Elba è senz’altro la macchina propria che consente di muoversi in libertà. La compagnia Corsica Sardinia Ferries offre un ottimo servizio di trasporto da Piombino a Portoferraio, oltre ad altre rotte verso la Provenza, la Costa Azzurra, la Sicilia, la Corsica, in tutto il mare Mediterraneo. www.corsicaferries.com www.elbaferries.com
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Da Nord a Sud, un percorso gastronomico inedito a Gran Canaria Alla scoperta degli angoli tra i meno conosciuti dell’isola, passando per la capitale e per tre ristoranti completamente diversi tra loro. di Silvia Donatiello
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uando si pensa alle Canarie, la prima immagine è quella di spiagge dorate, bel tempo tutto l’anno e turismo, tanto turismo. Non associamo quasi mai una destinazione turistica di sole e mare a una cultura gastronomica. E sbagliamo. La ricchezza e la cultura enogastronomica delle Isole, in particolar modo di Gran Canaria, sono un valore aggiunto che sorprende ogni volta. In questo articolo vi propongo un percorso da nord a sud, passando per la capitale e per tre
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ristoranti completamente diversi tra loro, così da scoprire angoli dell’isola tra i meno conosciuti.
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niziando dal versante settentrionale, nella cittadina storica di Gáldar troviamo il primo, il ristorante Agáldar ubicato nell’omonimo hotel Emblemático Agáldar. Entrare nelle mura di questo nobile edificio nel centro storico della Città Reale di Gáldar significa diventare testimone degli ultimi cinque secoli di storia ed evoluzione della cittadina. Durante i lavori di riconversione, nell’Hotel Emblemático Agáldar
sono stati rinvenuti i resti archeologici della chiesa originale di Santiago de los Caballeros nel seminterrato, che a sua volta fu costruita, secondo le cronache, sul Palazzo dei Guanartemes, i re aborigeni di Agáldar, uno dei due regni guanartemi in cui l’isola di Gran Canaria era divisa prima della conquista castigliana. Una volta completata la costruzione dell’attuale tempio giacobino (17761826) della città, la chiesa originale fu demolita e al suo posto fu eretto l’edificio dell’attuale Hotel Agáldar, completato nel 1850 dai Marchesi di Villanueva del Prado e
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che oggi conserva il suo piano originale come uno dei migliori esempi di architettura domestica del XIX secolo. Già nel 1896 fu utilizzato per alcuni
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anni come filiale dell’Hotel Santa Catalina de Las Palmas de Gran Canaria, dopo essere stato acquisito dalla società inglese Gran Canary Island Co. Ltd.
Negli anni ‘60 del secolo scorso l’edificio fu acquisito dal Comune di Gáldar e da allora ebbe diversi usi: da centro educativo, che ospitava fino ai primi anni 2000 la scuola del Gesù Sacramentato, a sale prove per gruppi. Nel 2017, il Comune di Gáldar ha iniziato il suo restauro per trasformarlo nel primo hotel della città, con l’obiettivo di rispondere all’elevata domanda di visitatori e di integrarlo all’ampia gamma di turismo ricreativo, attivo e culturale offerto dal comune. Il suo ristorante, aperto al pubblico, El Agáldar, offre una cucina contemporanea in cui i prodotti locali e stagionali sono i protagonisti. Sempre alla ricerca di nuovi sapori e creazioni per il piacere dei suoi ospiti. Tutto questo in una cornice architettonica d’eccezione e ricca di storia, l’Emblemático Agáldar Hotel. Il ristorante è l’ideale per merende, aperitivi e tapas dinner, con piatti come l’insalata tiepida di polpo, il “tartaki” di tonno alla cipolla o la lasagna di “ropa vieja” piatto tipico di Gran Canaria, a base di ceci, verdure e pollo... tutto originale e irresistibile. In cucina, lo chef David Aldrich e il suo team sono sempre pronti a innovare e sorprendere.
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roseguendo verso sud, ci fermiamo a Las Palmas de Gran Canaria, capoluogo dell’isola e città cosmopolita, anch’essa ricca di storia, di percorsi culturali, artistici, ed enogastronomici incredibili. Questa volta visiteremo Triana,
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il quartiere commerciale per eccellenza, per perderci nelle vie dello shopping tra palazzi del Settecento e dell’Ottocento, alcuni dei quali trasformati in boutique hotel. Triana è anche il quartiere delle proposte gastronomiche più innovatrici, dei bar de tapas, delle terrazze dove
prendere l’aperitivo. E proprio in una di queste storiche vie, la Calle Cano, che ci fermiamo per la nostra seconda tappa. La Calle Cano è famosa anche per essere la via che ospita la casa museo di Benito Pérez Galdós, scrittore e drammaturgo canario, una delle figure più emblematiche
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della letteratura realista della Spagna ottocentesca, unanimemente considerato lo scrittore spagnolo più importante dopo Cervantes. Lo scrittore nacque a Las Palmas de Gran Canaria nel 1843, proprio in questa casa che adesso ospita il museo a lui dedicato. La sua vita trascorse a Madrid, con lunghi soggiorni a Santander e non pochi viaggi in Spagna e in Europa. Morì a Madrid nel 1920, circondato dall’affetto popolare. Pochi metri più in là, troviamo il ristorante KANO Art & Food, ubicato in uno splendido e luminoso palazzo dalla fine del
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secolo XIX, con la sua terrazza sulla strada, la taverna al piano terra e l’elegante sala da pranzo al primo piano su questa stretta stradina pedonale così caratteristica. Il ristorante è elegante ed è uno dei più frequentati della zona commerciale di Triana, specializzato in cucina internazionale e locale di alto livello, con proposte che cambiano ogni giorno e in cui vengono utilizzate materie prime, come pesce e carne, di ottima qualità. Il suo chef, Ángel Palacios Fernández, propone in chiave moderna prodotti e piatti tipici, paella, pesce fresco e il sancocho canario, una sorta di bollito di carne e verdure e pannocchie di mais. T U RI S M O I NT E RNAZ I ONAL E
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roseguiamo verso la nostra ultima tappa, nel paesino di Mogán all’estremo sud dell’Isola, proprio alle spalle della famosa località turistica di Puerto de Mogán, una piccola Venezia, famosa per la sua marina sportiva e per i suoi edifici bianchi e bassi, la cui nota di colore viene
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data dalle bouganville che crescono esuberanti ovunque. Addentrandoci nella vallata, arriviamo al ristorante Valle de Mogán. Situato in una vecchia casa tipica, tutta imbiancata in calce e restaurata con gusto, disposta su più livelli, tra terrazze, giardini e zone coperte, questo ristorante guidato dallo chef Chema
Marrero propone un mix di cucine radicate nella gastronomia di Gran Canaria, ma con influenze di altre culture, soprattutto quelle orientali. Piatti pieni di tecnica, sapore e creatività che vengono proposti in un menù di degustazione che cambia regolarmente. L’esperienza è sempre appagante, non importa la stagione.
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UN OTTIMO ESEMPIO: IL VINO IL 1175 Scheda del vino: Il suo vitigno è formato da Baboso negro, Vijariego negro e Tintilla. Vanta 11 ettari di vigneti, in una posizione eccezionale nel Parco Rurale del Nublo, a un’altitudine di 1.000-1.100 metri, quindi lontano dalla contaminazione. È irrigato con acqua della sorgente della miniera di Tejeda, la cui canalizzazione è stata effettuata negli anni 15001501. Il sistema di irrigazione è a goccia computerizzato. Il terreno, tipico delle Isole Canarie, è
vulcanico e l’età media del vigneto è di 15 anni. La densità è di 4.000 viti per ettaro con tralicci di 2 x 1.5 m. L’orientamento dei filari è NE-SO, il clima è subtropicale. Le precipitazioni medie annue di 700 mm: abbondante pioggia in inverno, primavera dolce ed estate calda e secca. Orientate a sudovest, le viti ricevono in media 11 ore di sole al giorno. Possiamo dire che sussistono le condizioni ideali per coltivare uve di alta qualità. La vendemmia è manuale e si tiene la prima quindicina di settembre. L’invecchiamento è di 4 mesi in botti di rovere francese e se ne producono circa 12.000 bottiglie all’anno. Nota di degustazione: Vino dall’aspetto brillante e vivace, caratterizzato da bordi porpora e viola che incorniciano un attraente colore rosso ciliegia. Mentre ci avviciniamo al bicchiere, spicca la sua intensità aromatica, dove i frutti rossi maturi dell’inizio cedono il passo, dopo aver riposato, a una complessa sinfonia di note floreali e speziate con sottili ricordi di rovere, che non nascondono la personalità della miscela varietale che dà vita a questo vino. Con un inizio potente, il palato si evolve in modo avvolgente, con un buon equilibrio tra acidità e tannini maturi, lasciando un ricco ricordo dal retrogusto leggermente amaro, insieme agli aromi che avvolgono il palato. Va servito ad una temperatura di 16-18° C e ha un grado alcolico di 14% vol.
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Anche la Carta dei vini è molto interessante, tra i vini locali vale la pena citare gli Agala, delle cantine Bentayga, che vantano i vitigni più alti d’Europa e sono denominati con i metri d’altitudine a cui è cresciuto il vitigno da cui sono stati prodotti. I vitigni crescono nella regione centrale dell’Isola. Circa 14 milioni di anni
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fa, l’età dell’isola di Gran Canaria, dopo una fase iniziale di eruzioni durata 5 milioni di anni il centro dell’isola affondò dando origine a un’imponente caldera, la Caldera di Tejeda. Il famoso scrittore del tardo Ottocento, Miguel de Unamuno, nella sua visita a Tejeda nel 1910 descrisse questo tormentato paesaggio nel cuore dell’isola come “la
tempesta pietrificata”. Come risultato dell’erosione di quest’area vulcanica, emersero alcuni monoliti basaltici, simboli geologici dell’isola tra cui il Roque Bentayga, a cui si rifà il nome delle cantine, il Roque Nublo, simbolo di Gran Canaria, con 1.813 m di altitudine e 70 metri di altezza. Il Fraile, la cui sagoma ricorda un frate con le sue mani in
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posizione di preghiera, e la Rana. Il Roque Bentayga, che raggiunge i 1.404 m, sovrasta i vigneti e la cantina. Si ritiene che sia stato un luogo di culto per gli antichi Canari, anche se altre fonti ipotizzano che fosse una fortezza militare da cui era
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controllata l’intera caldera di Tejeda e uno degli ultimi luoghi di resistenza durante le battaglie che si tennero per la conquista dell’isola, durata 5 anni (1478-1483), da parte della Corona di Castiglia (I Re Cattolici). Nelle grotte del Roque
Bentayga sono stati trovati alcuni petroglifi, incisioni sulla roccia, realizzati dagli aborigeni delle Canarie. Sebbene il loro significato non sia noto, ne sono stati adottati alcuni come immagine di questi vini, ad esempio le croci che compaiono sulle
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etichette, sulle capsule e sui tappi dei vini Agala. L’area di Tejeda si trova al centro, sulla vetta dell’isola di Gran Canaria, nel versante sud-ovest, protetto dalle nuvole che sono trasportate dai venti Alisei e che sono intrappolate sul versante nord. Ciò garantisce la presenza di cieli blu puliti durante tutto l’anno. La temperatura media annuale è di circa 19°C e le precipitazioni medie annuali sono di 700 mm. A nord confina con il comune di Artenara, con un clima identico e anche con aree di elevato interesse archeologico, come la Mesa de Acusa. Entrambi i comuni sono stati dichiarati dall’UNESCO nel 2005 Riserva Mondiale della Biosfera, riconoscendo il loro alto valore paesaggistico e culturale. La cantina si trova vicino al vigneto più alto. Parte delle sue strutture sono scavate
nella pietra naturale. È precisamente in una delle grotte che si trova la sala di maturazione e invecchiamento, con condizioni naturali di temperatura e umidità stabili. I vini rossi riposano qui, in barriques nuove di età inferiore ai 5 anni, di rovere americano, ungherese e francese delle foreste di Allier. La scelta del tipo di botte per ogni tipo di uva risponde a un’attenta decisione dell’enologo. Attualmente la cantina ha una capacità produttiva di 55.000 litri e i vini sono imbottigliati direttamente nella proprietà.
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gni sapore, che sia vino o un piatto tipico di Gran Canaria è carico di storia e delle sue origini, vulcaniche, del suo clima unico, della sua terra fertile e del suo ricco oceano Atlantico. E come diceva il poeta di Gran
Canaria, Tomás Morales, nella sua Ode all’Atlantico, Canto XXIV: “¡Atlántico infinito, tú que mi canto ordenas! Cada vez que mis pasos me llevan a tu parte, siento que nueva sangre palpita por mis venas y, a la vez que mi cuerpo, cobra salud mi arte...” Atlantico infinito, tu che ordini la mia canzone! Ogni volta che i miei passi mi portano a te, Sento nuovo sangue pulsare nelle vene e, allo stesso tempo che il mio corpo, anche la mia arte recupera la salute... Un consiglio, o un suggerimento del poeta, che ci invita a scoprire questa terra vulcanica che non solo ci farà star bene, ma stimolerà la nostra vena artistica. ▣
INDIRIZZI Ristorante Hotel Agáldar Plaza de Santiago, 14, 35460 Gáldar, Las Palmas Tf. +34 928 89 74 33 Email: info@hotelagaldar.com Ristorante Kano Art & Food C/ Cano nº31. Las Palmas de Gran Canaria Tlf.: +34 928.431.331 Email: kano31@kano31.es
Ristorante Valle de Mogán Los Pasitos, 2, 35140 Mogán, Las Palmas, España Teléfono: +34 928 56 86 49 Cantine Bentayga C/ El Alberconcillo, s/n - 35360 Tejeda Telf: (34) 928 426 047 Responsabile: Sandra Armas e-mail: info@bodegasbentayga.com
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urante le tre ore di autobus che separano Essaouira da Marrakesh, cercavo di figurarmi come potesse essere la piccola città marocchina a sud del Marocco, affacciata sulle sponde dell’Oceano Atlantico verso cui ero diretta. Man mano che ci avvicinavamo, il paesaggio, tra il Sahara e la pianura del Souss, scorreva sempre meno sbiadito e più interessante, fino all’inattesa foresta di argania (spinosa, famiglia delle Sapotacee), una piana di circa 800.000
ESSAOUIRA l’altro volto del MAROCCO Una bella cittadina, fondata da mercanti cartaginesi, eccezionale esempio di città fortificata e costruita secondo principi dell’architettura militare dell’epoca. Testo e foto di Carmen Guerriero
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ettari di alberi di argan a sud del Marocco, tra le città di Essaouira, Agadir e Taroundant, da cui si ricava un pregiato olio nutritivo, impiegato in farmaceutica e in cosmetica. Stupore nello stupore, le folte chiome degli alberi ondeggiavano sotto il peso delle... capre!, che per mangiare le foglie ricche d’acqua ed i frutti dell’albero, col tempo hanno imparato ad arrampicarsi sui rami lunghi anche a 10 metri d’altezza, contribuendo, così, alla diffusione della pianta. Non a caso si chiama anche “albero delle capre”!
Dal 1996 la foresta di argania è stata dichiarata patrimonio dell’umanità e riserva della biosfera. Poco oltre, l’azzurro intenso dell’oceano disvelò, tra le quinte del bianco abbagliante delle nuvole, il profilo dell’antica città di Essaouira. Avevo letto di questa bella cittadina, fondata da mercanti cartaginesi, eccezionale esempio di città fortificata e costruita secondo principi dell’architettura militare dell’epoca, fin dall’antichità, unico porto marocchino aperto al commercio estero lungo le
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rotte per il golfo di Guinea, ma non mi aspettavo fosse così singolare! Nel 1764 il sultano Muhammad ben Abd Allah dispose una trasformazione urbanistica radicale di strade e edifici della precedente cittadina portoghese di Mogador, dandole il nome attuale di Essaouira, che in arabo significa ‘la ben disegnata‘, ed un’impronta decisamente moderna in stile europeo dotata di un fiorente porto commerciale. Essaouira sembra uscita da un delicato acquerello, che verga di tenui colori un Marocco ancora autentico, arroccato sugli scogli delle mura merlate della cittadella fortificata a difesa del porto con i cannoni spagnoli dei secoli XVII e XVIII, tra gli spruzzi della spuma dell’Oceano ventoso, il blu della prua delle barche, il bianco volteggiare dei gabbiani, il candore dell’intonaco delle case nel dedalo di vicoli acciottolati che portano all’antica Medina, cuore pulsante della città, dal 2001 iscritta nella lista dei patrimoni mondiali dell’umanità dell’Unesco, interrotto soltanto dai colori sgargianti dei tappeti berberi e delle spezie intensamente profumate. Diversamente dalle altre città del Marocco, pullulanti di questuanti insistenti ed, a tratti, quasi sfrontati, Essaouira stupisce per la sua compostezza e sottile
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A pagina 38, tappeti berberi tra i vicoli e, a destra, Essaouira. In questa pagina, bazar sotto le vie fortificate. A pagina 41, chiosco di spezie e, in basso, cannoni spagnoli sulla cittadella fortificata.
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eleganza: nessun bambino a rincorrerti, nessun negoziante ad insistere per l’acquisto della sua mercanzia. Decisamente un altro Marocco, dove rispetto e cortesia per il turista appaiono le chiavi di approccio ideali per rapporti distesi e sicuramente più proficui, invitando alla tranquillità di scoprire ogni
angolo della città ed a curiosare nei tanti bazar ricchi di merci eccellenti. Come il prezioso Olio di Argan, che viene lavorato ed etichettato da piccole cooperative di donne locali in maniera ancora manuale, a garanzia della purezza e freschezza del prodotto, i manufatti di legno di tayu, le bellissime lampade intarsiate, i tappeti tessuti
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a mano e tinti con colori naturali, le belle ceramiche artigianali. E, ovviamente, le spezie di qualità, come il pregiato zafferano, nonché differenti declinazioni di quelle comuni, come il curry, che solo qui ho trovato nella variante “al limone”, base fondamentale di piatti tipici della cucina locale, come zuppe calde di fave o di ceci e carne, pasticci di pollo o di
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A pagina 42, bastioni per la cittadella fortificata. A pagina 43, ingresso della città. In questa pagina, piatti tipici e, in basso, tajin.
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piccione, couscous e tajin di carne o di verdure. Un caleidoscopio di sensazioni inattese che rapisce i sensi, tra il nitore architettonico della città, i profumi salmastri dell’oceano, i festosi stridii
dei gabbiani, l’intenso aroma delle spezie preziose e la luce abbagliante che pervade ogni cosa e rende indimenticabile questa piccola città costiera del Marocco. ▣
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Scoprire Valencia: gastronomia e gioia di vivere Tanta fantasia nelle proposte della città spagnola: dalla ricchezza gastronomica ai monumenti barocchi e liberty. Testo e foto di Franca Dell’Arciprete Scotti
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ensiamo in grande e cerchiamo di programmare i nostri futuri viaggi a lunga scadenza. Il 2020 è ancora lungo e speriamo di poterci muovere almeno in autunno. Può essere l’occasione, allora, di scoprire Valencia dove, a parte qualche giornata rigida e grigia, si può contare sul sole e sull’aria tiepida quasi tutto l’anno. A Valencia uno dei piaceri del viaggio sarà senz’altro il piacere gastronomico. Paradiso in assoluto il Mercado Central, proprio nel cuore della città, uno dei più grandi in Europa, con oltre 1200 banchi al
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suo interno, nato nel 1920, un gioiello dell’architettura liberty, sormontato da una spettacolare cupola di 30 metri d’altezza. Una vera cattedrale della gastronomia, lucente di maioliche smaltate rosse e celesti, vetri piombati, piastrelle a fiori, ferro battuto, colonne di ghisa. Dentro, un mondo di sapori, colori e profumi. Dai gamberoni giganti ai magnifici succhi di frutta spremuti al momento, a tutte le carni, pile di frutta secca, dolci, sacchi di spezie colorate come in un suk nordafricano e la famosa horchata ricavata dalla chufa, un tubero speciale che si coltiva solo nella campagna valenciana. Tutti comprano,
scelgono o mangiano nei baretti, ma c’è anche un bar stellato di design dove si servono al bancone tapas e aperitivi speciali. Un vero paradiso per golosi e fotografi. Fuori, il quartiere è un trionfo gastronomico, ma Valencia è una città che invita sempre e ovunque a soste golose. Tipica la tradizione mediterranea di mangiare fuori, comprare cibi cotti e mangiare all’aperto, anche in pieno inverno. Il piatto che trionfa ovunque, anche sui grembiuli e dipinto su mattonelle, è la paella alla valenciana. Perché proprio qui? Gli Arabi introdussero nel settimo secolo la coltivazione del riso nei pressi del Parco
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stand distribuiti su 2000 mq e, oltre alla grande offerta culinaria, spettacoli dal vivo, mostre culturali e attività parallele per offrire intrattenimenti per tutti i gusti. Da tenere presente per i grandi buongustai anche le due nuove stelle Michelin nel firmamento valenciano: il ristorante El Poblet di Quique Dacosta ha ottenuto la seconda stella Michelin e salgono così a quota cinque le stelle ottenute dai suoi ristoranti, mentre si aggiudica la sua prima stella Michelin la Chef Begoña Rodrigo del ristorante La Salita, che mira a promuovere la cucina locale e i prodotti del territorio. A Valencia, comunque, c’è ben
naturale dell’Albufera. In questo ambiente gli abitanti della zona inventarono uno stufato a base di riso cucinato con altri prodotti locali, creando così la paella. Il nome del piatto proviene dal contenitore in cui viene cotto e, anche se esistono diverse varianti derivate da questa ricetta, l’originale comprende, insieme al riso D.O. Valencia, pollo, coniglio, fagiolini verdi, fagioli grandi bianchi, pomodoro,
olio d’oliva, zafferano, aglio e sale. La tradizione vuole che la paella sia cotta su un fuoco a legna. Ma la novità del 2020 è l’apertura del Mercato di San Vicente, il nuovo tempio gastronomico della città: 19
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A pagina 47, Palacio Dos Aguas, e, in basso, centro storico. In questa pagina, Cittadella Oceanografica. A destra, Cattedrale.
altro da fare, oltre alle soste da buongustai. Come molte città spagnole è invitante, allegra, movimentata. E ricca di monumenti di storia. Stratificata nei secoli dall’epoca romana
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in cui fu fondata alla contemporaneità, brilla soprattutto nelle sue epoche d’oro. Nel 1500 era una delle città più importanti d’Europa, sia per i commerci sia per
A pagina 50, Marina Real.
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la lavorazione della seta. Questa è l’epoca in cui Valencia si arricchì di palazzi imponenti che manifestavano la potenza di casate nobili, in una gara di sfarzo e grandiosità. Tra tutti i palazzi del centro storico, magnifico è quello del Marques de dos Aguas, ora Museo Nacional de Ceramica y Artes suntuarias Gonzalez Marti, del 15º secolo e restaurato nel 1700. Colpisce la porta d’ingresso principale in alabastro e tutto l’esterno talmente ricco di stucchi, marmi, bassorilievi, statue, putti, festoni da lasciare stupefatti. Le chiese parlano per lo più lo stile barocco, ma stranamente in confronto con l’architettura civile sono quasi più austere e la stessa Cattedrale, e la Basilica de la Virgen de los Desamparados cioè dei derelitti, esternamente barocche, all’interno conservano un severo stile gotico, rivelando la ricchezza solo nei dipinti
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dell’abside e dell’altare. Da Valencia partivano navi per l’Europa e il Mediterraneo, piene di merci e al ritorno cariche di denaro e d’oro. La Lonja de la Seda o Borsa dei mercanti, patrimonio dell’Unesco dal 1996, testimonia questa epoca di splendore nel Salone delle Contrattazioni, splendida sala con 24 colonne tortili, culminate da una volta a crociera. Proprio i mercanti valenciani finanziarono Isabella di Castiglia. Da qui cominciò paradossalmente il declino di Valencia e dei traffici del Mediterraneo. Valencia riprese quota alla fine dell’Ottocento. È questo il periodo di nuovo fulgore architettonico con i palazzi in stile modernista, ispirati alla Secessione viennese. Esempio notevole la Estacion del Nord, patrimonio storico, con il famoso salone decorato a piastrelle floreali, vetri
colorati, colonnine in ottone, lampadari a bulbo in perfetto stile art nouveau. Ancora un periodo d’intensa fioritura a livello internazionale è stato quello della fine del secolo scorso, quando, sia per la presenza dell’America’s Cup nel 2007, sia per la progettualità di importanti architetti, in primis il valenciano Santiago Calatrava, la città ha conosciuto lo sviluppo di grandi opere. Sono la Marina Real, dedicata al re Juan Carlos, con l’edificio simbolo Veles e Vents e il nuovo porto capace di ormeggiare ottocento mega yacht, che va ad aggiungersi al porto dell’Ottocento, con il palazzo della dogana e i Tinglados, i grandi magazzini in mattoni rossi, ghisa e decori, testimonianze ormai di archeologia industriale. La Marina Real valorizza al massimo tutta la Valencia sul mare
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ricca di sterminate spiagge bianche e di lunghissime passeggiate, che in estate è frequentata da una clientela internazionale. L’altra grande opera che ha trasformato la città è la famosa Cittadella delle Scienze e delle Arti, progettata da Calatrava, un grandissimo centro ludico culturale, forse il più grande d’Europa, esteso per quasi 2 km, in un contesto di grandi viali, paseos e avenidas, giardini ricavati dal letto del fiume Turia. Qui si possono trascorrere giornate intere per divertirsi e imparare. L’enorme complesso comprende, oltre
al Museo delle Scienze, al Palazzo delle Arti e all’Hemisferic che ospita la sala di proiezioni più grande della Spagna, il famoso Oceanografic, il più grande acquario d’Europa, al cui interno sono stati riprodotti i principali ecosistemi marini del pianeta e che contiene 45.000 esseri viventi appartenenti a 500 specie diverse. ▣
A pagina 51, Mercado Central. A sinistra, Lonja de la Seda. In questa pagina, Estacion Norte.
Per informazioni sulla città: www.visitvalencia.com/it www.visitvalencia.com/it/ blog/ www.facebook.com/ VisitaValencia/ twitter.com/VisitaValencia
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Mani, il Peloponneso più autentico tra mare cobalto, torri di pietra e natura selvaggia Fertile terra di antichi sentieri vitivinicoli che, già nell’antichità, Omero definiva con l’appellativo di Ampelóessa, ovvero piena di vigneti. Testo e foto di Carmen Guerriero
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ra da tempo che meditavo di visitare il Peloponneso, quella singolare conformazione rocciosa della Grecia continentale che, come una mano nodosa, distende tre lunghe dita verso le Cicladi per tuffarsi nell’azzurro dell’Egeo. A meno di due ore da Atene, dall’Istmo di Corinto, stretta lingua azzurra che dal 1893 unisce Egeo e Ionio, la nuovissima e veloce autostrada Olimpia attraversa tutto il Peloponneso fino a Kalamata, attraversando immensi siti archeologici, scorci mozzafiato, borghi addormentati, pergolati straripanti di spettacolari bouganvillee, muretti a secco oltre i quali debordano vigneti e kafeneion dove, all’ombra degli alberi, gli anziani amano chiacchierare per ore davanti
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ad un caffè. Ovunque profumi inebrianti di salsedine, di resina e di erbe aromatiche, e regnano la vite, il fico e l’ulivo e una lussureggiante macchia mediterranea. E’ il Peloponneso, fertile terra di antichi sentieri vitivinicoli che, già nell’antichità, Omero definiva con l’appellativo di Ampelóessa, ovvero piena di vigneti. Nemea è, con Mantinia e Patrasso, la regione del Peloponneso a maggiore vocazione vinicola, con oltre 12.000 ettari di filari, per la maggior parte piantati ad Agiorgitiko, (in greco Agios Ghiorghios, San Giorgio), una varietà autoctona di colore rubino scuro e profumo delicato, tradizionalmente chiamata “il sangue di Ercole”. Il mito di Ercole e delle sue
A pagina 54 e 55, chiesa sulla spiaggia di Marmari. In questa pagina, Vathia. A destra, torre ad Aeropoli. A pagina 58, porticciolo di Gythio. A pagina 59, psarotaberna e, in basso, sentiero e Faro a Capo Tànaro.
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storiche fatiche ha un ruolo centrale in questa terra… ma questa è un’altra storia. Senza dimenticare le varietà a bacca bianca di Moscofillero, Kydonitsa, quella aromatica della Malvasia di Monemvasia e quella a bacca rossa di Mavroudi, autoctoni della Laconìa, terra dell’antica Sparta, come ricordano certe speciali etichette celebrative delle gloriose gesta dei “300”, gli indomiti guerrieri al comando di Re Leonida. Tornerò per tre anni consecutivi, proprio come le tre dita, ognuna con la sua Storia, con i suoi miti e la sua struggente Bellezza. Dalla graziosa cittadina costiera di Githio, l’antico porto di Sparta, il Mani si dipana tra scorci di terra arida e aspra, dove la pietra domina ogni cosa, pur riuscendo a confondersi abilmente con il paesaggio. E’ la patria dei Manioti, fieri combattenti dai lunghi baffi neri, alti stivali di pelle scura e sguardo diretto, discendenti degli antichi Spartani e guerrieri mai sottomessi agli Ottomani, come ricorda il motto sulla bandiera del Mani “Vittoria o morte”. Il Mani è una regione per spiriti forti, per chi non teme i silenzi ed è capace di dominare lo sgomento che assale, a volte, di fronte alla vastità di un territorio impervio, racchiuso tra gole strettissime e dirupi vertiginosi che corrono verso il mare che spunta, all’improvviso, dietro una curva o un colle. Man mano che si T U RI S M O I NT E RNAZ I ONAL E
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scende lungo la costa, la strada si fa più stretta e moltiplica le curve, fino a diventare sterrata. Porto Kagio è l’ultimo avamposto di civiltà, se così si può definire una località che offre tre taverne affacciate su una graziosa piccola baia. Non è posto di movida, ma solo di tranquillità e pace. A pochi chilometri Capo Tànaro o capo Matapàn, non è solo la punta più estrema della Grecia continentale, ma anche il luogo dove la leggenda pone l’ingresso dell’Ade, ove Orfeo entrò per cercare la sua Euridice. E’ un posto spettacolare, con calette di fredde acque cristalline in cui si specchiano i resti dell’antico Tempio di Poseidone che serba ancora, ben conservati, alcuni dei pavimenti a mosaico riccamente decorati con richiami del mondo marino.
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Un lunghissimo sentiero sul ciglio di un dirupo porta, con una passeggiata di un’ora, al Faro che, come una sentinella, presidia la costa, guardando quella libica. Il vento è sferzante e carico d’intensi profumi salmastri e di erbe tipiche delle macchia mediterranea, come timo e rosmarino selvatico. Lo sguardo, avido, assapora l’infinito! Riprendendo la strada, fra speroni di roccia e alte colline si giunge alla sabbiosa spiaggia di Marmari, stretta in una lunga insenatura dominata da una piccola chiesetta di pietra, dove sventola la bandiera greca. E’ molto graziosa, ma troppo attrezzata per i miei gusti. Volgendo lo sguardo al dorso delle colline, si intravedono le alti torri di pietra di Vathia che, alte ed austere, dominano il
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panorama. Poco più di mezzora e sono nel borgo fantasma che un progetto, rimasto purtroppo sulla carta, prevedeva recuperare con il sistema dell’albergo diffuso. Da qui il panorama lascia senza parole e
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il tempo sembra dipanarsi tra le pieghe di un passato in cui questi borghi di pietra dominavano tutta l’area fino al mare con le loro alte torri, le case fortificate a tre o quattro piani, gli archi che, ancora oggi, resistono in mezzo alle macerie, muti testimoni di una storia dissoltasi, lentamente, sotto il sole e il peso dei secoli. Proseguendo verso Aeropoli, la “capitale” del Mani, si incontrano Gerolimenas e, poco oltre, Limeni, due graziose località che offrono baie tranquille, come la ciottolosa spiaggia di Oitilio, con mare cristallino e ottimi ristoranti di pesce locale, con
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A pagina 60, stretto di Corinto e, in basso, mosaico del tempio di Poseidon, Capo Tànaro. In questa pagina, etichette celebrative dei 300 e, in basso, olive di Kalamata. A pagina 62, sentiero per Capo Tànaro, e in basso, pescatori in una taberna a Limeni.
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festosi pavesi di filari di tentacoli di octopus stesi al sole a seccare, come vuole la tradizione, per squisiti piatti di polpo all’insalata, da gustare al tramonto ammirando il mare calmo. Areopolis è una cittadina
decisamente vivace, molto animata nelle sere d’estate e piena di localini di artigianato locale, di taberne e kafeneion, dove i pochi turisti amano confondersi con la gente del posto. All’ombra di alberi secolari, le piazzette affollate sono sovrastate da torri altissime, segno inconfondibile dell’architettura maniota votata alla difesa. Questo è l’ultimo avamposto
del Mani, quello autentico che ancora resiste, strenuamente, alla modernità e alle tentazioni di un mondo che ha bisogno di sostegno economico per conservarsi e continuare a vivere. Più avanti, la strada corre tranquilla tra psarotaberne e piccole località marine, come la graziosa Kardamili, dove soggiornò fino alla sua morte il grande scrittore e viaggiatore inglese Patrick
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Leigh Fermor, il primo a far scoprire e amare la regione del Mani al mondo. Un vento più mite e pacato anticipa la dolcezza del golfo di Messinia, alimentando, man mano, il piacere della scoperta di nuove terre e nuovi miti. Kalamata è a meno di un’ora, con le sue superbe olive nere e l’inimmaginabile maestosità dell’antica Messene… ma questa è un’altra storia. ▣
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L’uovo: bello, liscio, delicato, semplicemente perfetto Un alimento prezioso, che racchiude un eccezionale potere nutritivo in pochi grammi, piacevoli da gustare e molto facili da utilizzare in cucina. di Enza Bettelli
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all’antichissima dottrina dell’Uovo Cosmico, che avrebbe dato origine all’Universo intero, all’umile uovo di gallina indispensabile per la preparazione di innumerevoli ricette alla base della nostra alimentazione. Sono passati millenni, l’uovo è rimasto immutato ma ormai siamo così abituati alla sua discreta, pur se fondamentale, presenza in cucina che la sua perfezione non ci meraviglia più. Ma cosa si nasconde all’interno del guscio? Sono parecchi gli strati che si sovrappongono, ma si
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possono semplificare in modo grossolano in tuorlo, la parte più nutriente posta al centro, e albume che avvolge il tuorlo e a sua volta è racchiuso da due sottili membrane sovrapposte che fanno da barriera agli agenti esterni. Infatti, il guscio è poroso e l’uovo appena deposto è ricoperto da una cuticola esterna che fa da ulteriore barriera. Con il passare del tempo la cuticola esterna scompare e le membrane interne si ritirano formando una specie di camera d’aria che si può vedere tenendo l’uovo controluce, uno dei parametri più immediati per valutarne la freschezza.
Il guscio, così come il tuorlo, può avere colori diversi che però non influiscono sulla genuinità e sul valore alimentare dell’uovo. Il colore del guscio è legato infatti alla razza della gallina, mentre quello del tuorlo dipende dal tipo di alimentazione con cui i volatili sono allevati. Nel nostro Paese il consumo di uova è in continua crescita, tra diretto e indiretto, cioè inclusi gli ovoprodotti, ed è di circa 214 uova pro capite all’anno, che nel 2018 corrispondono a circa 13 miliardi di pezzi. Attualmente, la produzione italiana copre quasi interamente la richiesta nazionale.
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resco, freschissimo
L’uovo si può considerare una vera e propria perfetta concentrazione di nutrienti, che però può diventare nociva se non è conservato correttamente o troppo a lungo. Il primo passo è quindi accertarsi che sia fresco. Sull’imballaggio delle uova confezionate è sempre indicata la data di deposizione o di scadenza, quest’ultima fissata per legge al massimo entro il ventottesimo giorno dalla
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In questa pagina, meringhe. A pagina 67, eggnog. A pagina 68, insalata russa e, in basso, timbratura.
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deposizione. Se le uova sono vendute sfuse, il contenitore nel quale sono esposte dovrebbe comunque riportare alcune delle indicazioni base. Esistono tuttavia vari metodi più o meno casalinghi per valutare l’età di un uovo. Prima di tutte l’ampiezza della camera d’aria, cioè lo spazio lasciato libero dalla membrana nella parte tondeggiante dell’uovo, e più questo spazio è ampio più l’uovo è vecchio. La verifica si può fare facilmente in un ambiente buio esponendo l’uovo a un fascio di luce (p.e. una torcia elettrica). Immergendo invece l’uovo
in acqua salata (25 g di sale per ogni litro di acqua) si può stabilirne la freschezza a seconda della posizione che assume: • freschissimo, da bere, se si deposita sul fondo • fresco, 1-4 giorni, se galleggia sul fondo • non fresco, 20 giorni circa, se galleggia senza affiorare • non commestibile, se galleggia in superficie. L’esame visivo dell’uovo sgusciato è ugualmente utile per determinarne la freschezza. Se è freschissimo il tuorlo ha una bella forma a
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cupola, senza macchie, mentre l’albume è chiaro e traslucido, ben raccolto e compatto intorno al tuorlo. Con il passare dei giorni il tuorlo tende ad appiattirsi e l’albume ad allargarsi divenendo sempre più liquido. Naturalmente l’insieme deve essere privo di qualsiasi odore. Per evitare brutte sorprese è perciò consigliabile sgusciare l’uovo su un piattino per controllarlo prima di utilizzarlo.
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erché arrivino alla loro naturale scadenza nelle condizioni migliori, è indispensabile conservare le uova correttamente, riponendole in frigorifero subito dopo l’acquisto, AGROAL I ME N T ARE N AZ I ONAL E
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nella loro confezione originale o in un contenitore ermetico per evitare che odori estranei possano alterarle penetrando attraverso il guscio poroso. A meno che non si voglia conferire a tuorlo e albume un aroma particolare, in tal caso prima della cottura si lasciano le uova in un contenitore con tartufo, funghi o erbe aromatiche per qualche ora. Un altro utile accorgimento consiste nel sistemare le uova con la punta in basso poiché è l’estremità più resistente del guscio.
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U N C O N C E N T R AT O D I N U T R I E N T I Di tanto in tanto vengono pubblicati nuovi studi sui pro e i contro del consumare uova, ma spesso i risultati sono contraddittori perché gli stessi esperti non sono d’accordo tra di loro. Come sempre, la virtù sta nel mezzo e come per ogni cibo un consumo regolare ma moderato non può che essere vantaggioso se si tiene conto che un uovo del peso medio di 50 g contiene 64 calorie, 6,2 g di proteine nobili, 4,4 g di lipidi (per il 70% insaturi), un’alta percentuale di sali minerali (soprattutto potassio, calcio, fosforo) e vitamine A, B1, D, E (fonte tabelle CREA www.crea.gov.it). Fatte salve intolleranze e patologie
che ne sconsigliano il consumo, sarebbe un peccato togliere questo prezioso alimento dalla nostra dieta. Sono raccomandate 5-6 uova alla settimana ma non più di 2-3 al giorno. Naturalmente anche il tipo di cottura ha la sua importanza, un uovo non eccessivamente cotto, come per esempio alla coque, è più digeribile dell’uovo sodo. Però l’uovo intero crudo è meno digeribile di quello cotto, ma il solo tuorlo crudo (all’ostrica) e l’albume leggermente coagulato, come nell’uovo al tegamino con il tuorlo ancora fluido, hanno il massimo della digeribilità.
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grandi classici
E’ impossibile calcolare in quante ricette salate e dolci l’uovo entra come ingrediente più o meno protagonista. La più nota è sicuramente la maionese, in tutte le sue varianti, utilizzata come salsa a sé o come base per altre preparazioni, come per esempio l’insalata russa. Ma c’è anche la raffinata salsa olandese e tra le preparazioni dolci lo zabajone, la crema pasticciera e quella inglese, giusto per citarne alcune. Gli albumi avanzati possono diventare fantastiche
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Le cotture: a pagina 70, uova sode. In questa pagina, uovo alla coque e, in basso, in camicia. A pagina 72, uovo strapazzato e, in basso, al tegamino. A pagina 73, uovo bazzotto e, in basso, omelette.
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meringhe o delicati biscottini come le lingue di gatto. E per le fredde serate d’inverno, un corroborante eggnog è la bevanda giusta per riscaldarsi. Senza contare tutte le cotture di base per gustare le uova con
il sapore il più possibile naturale. Eccole. Alla coque: immergere l’uovo (freschissimo) per 3-5 minuti in acqua a leggerissima ebollizione. Oppure immergerlo in acqua fredda e calcolare
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un minuto circa dal momento di ebollizione prima di estrarlo. Bazzotto: aumentare di 1-2 minuti la cottura dell’uovo alla coque perché il tuorlo sia meno fluido.
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L A C A R TA D ’ I D E N T I TA’ D E L L E U O VA Le uova commercializzate per uso alimentare sono quelle di gallina non fecondate e vengono suddivise in categorie che tengono conto di vari fattori. Freschezza A Extra: uova freschissime non refrigerate, utilizzabili entro il nono giorno dalla deposizione o al settimo giorno dall’imballaggio A: uova fresche, consegnate al consumatore non oltre 21 giorni dalla data di deposizione B: destinate esclusivamente all’industria di trasformazione Peso grandissime o XL, oltre 73 g grandi o L, tra 73 e 63 g
Sodo: immergere l’uovo in acqua fredda e calcolare 10 minuti dall’inizio dell’ebollizione, che dovrà essere appena accennata. Per sgusciarlo più facilmente raffreddarlo sotto l’acqua corrente. In camicia: portare a lieve ebollizione acqua leggermente acidulata con aceto bianco, sgusciarvi l’uovo e rigirarlo con il cucchiaio finché l’albume si sarà rappreso avvolgendo il tuorlo (2-3 minuti). In tegamino: fare fondere del burro e quando sarà
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medie o M, tra 63 e 53 g piccole o S, inferiore a 63 g Sistema di allevamento delle galline 0 biologico 1 all’aperto 2 a terra 3 in gabbia Altre notizie su identificazione dell’allevamento e dello Stato di provenienza e altro ancora sono riportate sulla confezione o direttamente sull’uovo con una timbratura che riunisce vari codici informativi. Sono una vera e propria carta di identità del prodotto e ne consentono la tracciabilità.
ben caldo sgusciarvi l’uovo e cuocerlo fino a quando l’albume sarà rappreso. Per ottenere un tuorlo più fluido, iniziare la cottura del solo albume e non appena inizia a rapprendersi sgusciarvi al centro il tuorlo. In ogni caso, salare a fine cottura e solo l’albume per non macchiare il tuorlo. Strapazzato: sbattere tuorlo e albume insieme con un cucchiaio di latte o di panna e cuocere velocemente ma a fuoco basso e poco burro,
mescolando finché l’uovo non sarà rappreso. Frittata: le uova vanno sbattute solo per lo stretto necessario per evitare che inglobino aria in eccesso e a fine cottura la frittata perda la sua morbidezza. Omelette: come per la frittata, dopo avere sbattuto le uova, le si versa nella padella con il burro ma non appena il composto inizia a rapprendersi da un lato si sposta la preparazione con una paletta o due forchette per piegarla o arrotolarla su se stessa. ▣
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Storie di Aziende
al tempo del Coronavirus:
Tenuta Cavalier Pepe Al bando inconcludenti lamentele, oggi occorre rimboccarsi le maniche, dando fondo a tutte le energie, la forza e la determinazione di cui si è capaci. Testo di Carmen Guerriero – Foto Tenuta Cavalier Pepe
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’emergenza Coronavirus registra ovunque dati allarmanti in ogni settore, con previsioni economiche davvero molto preoccupanti per privati e aziende di tutto il mondo. In Italia, gli imprenditori vitivinicoli e agroalimentari sono avvezzi ad affrontare difficoltà e crisi legate in primis alla terra, alle “bizzarrìe” delle stagioni, al propagarsi di questo o quell’insetto distruttore di raccolti, ma questo momento storico è ben altra cosa ed ha colto tutti alla sprovvista. Un durissimo colpo che giunge proprio quando il comparto delle eccellenze
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produttive faceva registrare in tutto il mondo crescenti apprezzamenti di valore del brand Italia. Lo scorso 9 marzo, la Corte Suprema di Cassazione si era pronunciata a favore della tutela e dei diritti di consumatori, produttori e del vino italiano (ne abbiamo parlato qui: https://www. turismodelgusto.com/blog/ wine-kit-la-corte-supremadi-cassazione-sentenzialilliceita/). Al bando inconcludenti lamentele, oggi occorre rimboccarsi le maniche, dando fondo a tutte le energie, la forza e la determinazione di cui si è capaci per far fronte a questa terribile emergenza, consapevoli del fatto che
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ognuno di noi, nel suo piccolo, può e deve dare un contributo di idee che possano essere spunto, stimolo ed esempio per tutti gli altri. E’ di questo parere anche la dottoressa Milena Pepe, co-titolare con il padre Cavalier Angelo Pepe dell’azienda vitivinicola Tenuta Cavalier Pepe, una delle più importanti aziende vinicole irpine, che, grazie alle produzioni di eccellenza delle tre DOCG della Campania, Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Taurasi, è molto apprezzata non solo in Italia, ma anche all’estero. Ha sede nel piccolo comune dell’Irpinia di Luogosano, provincia di Avellino, area che, a dispetto
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pianificazione. Come sta affrontando la sua azienda questo arresto forzoso?
l’internazionalizzazione. Aspettiamo molte altre misure di aiuti mirati per la nuova campagna agricola dallo stato italiano e Nell’immediato, se non ci Quanto sta influendo dall’Europa. Tutta questa sono entrate, il problema nella sua attività l’attuale situazione rischia di essere più grande per le aziende emergenza Coronavirus? agricole che lavorano è come un incubo per l’umanità. affrontare le spese ordinarie È una brutta situazione per Il lavoro in vigna non si e gli stipendi – precisa tutte le aziende – esordisce ferma: quali gli obiettivi e Milena Pepe. Abbiamo ridotto Milena Pepe. Attendiamo i progetti per il prossimo le applicazioni pratiche il personale, in cantina e in futuro senza Coronavirus? ufficio, cercando di lavorare il delle misure del decreto ministeriale del 17 marzo più possibile da casa per Per l’azienda è sicuramente 2020 per attuare la strategia quanto riguarda la gestione un vero peccato, proprio amministrativa. Le visite e le di gestione a livello ora che sono in uscita attività di degustazione sono finanziario ed economico strepitosi bianchi e rosati per resistere durante la crisi sospese. Le vendite sono della vendemmia 2019, molto e anche per la ripresa. In bloccate, sia in Italia che espressivi e ben equilibrati. effetti, se non si hanno all’estero. Le entrate Il lavoro in vigna non può risorse a sufficienza, finanziarie ordinarie si sono fermarsi e nemmeno il nostro ridotte drasticamente, poiché sarà difficile ripartire per impegno a far crescere la affrontare la ripresa. Più i clienti non riescono a presenza dei nostri vini sulle durerà questo “coprifuoco” onorare i pagamenti per gli buone tavole in Italia e nel dovuto al Coronavirus e più ordini già evasi. Malgrado le mondo. vendite siano ferme, il lavoro ci saranno aziende che non si rialzeranno. in vigna prosegue. La vigna Grazie a Milena Pepe per va curata. Non possiamo questa breve intervista e un Pensa che gli interventi abbandonarla, altrimenti grande “in bocca al lupo” per disposti in decreto dal perderemmo l’intera annata. la sua azienda! Governo siano adeguati Non ci sono rischi per la salute e rispettiamo le misure e sufficienti a sostenere Tenuta Cavalier Pepe ha imprese come la sua o si di sicurezza governative, potrebbe fare molto di più? attivato una raccolta fondi però si lavora con la paura a sostegno del Sistema e con lo stress. Le imprese sanitario nazionale nella L’aiuto del Governo e del Made in Italy rischiano lotta al Coronavirus dell’Europa è necessario. di perdere quote di mercato attraverso la destinazione all’estero che non riusciranno Occorre predisporre del 20% del ricavato adeguate misure finanziarie a recuperare a breve e delle vendite del vino a per aiutare tutti. Ho letto il medio termine. favore della Protezione decreto ministeriale è una civile. Un bell’esempio di prima risposta per aiutare Questa crisi rischia di solidarietà e un messaggio tutti gli Italiani nell’urgenza creare un eccesso di di ringraziamento per chi, di questa epidemia. Nel giacenza in cantina a quotidianamente, lotta per settore agricolo ci sono ridosso della prossima salvare vite umane mettendo aiuti per lavoratori fermi e vendemmia, rallentando a repentaglio la propria. ▣ per la promozione e anche qualsiasi tipo di del nome, non è stata risparmiata dall’emergenza e dalla paura.
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ANTEPRIME TOSCANE:
conferme positive per i vini del Granducato Crescono le esportazioni di vini DOP toscani, mentre si amplia il bacino dei Paesi importatori. di Nicoletta Curradi
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ltre il 50% della produzione di vini DOC e DOCG della Toscana vola sui mercati esteri, rappresentando circa il 19% del totale export di vini DOP fermi nazionali. Il dato emerge dalla ricerca Ismea presentata a Firenze in occasione della tavola rotonda di inaugurazione della Settimana delle Anteprime 2020, svoltasi nell’ambito di PrimAnteprima, collettiva regionale promossa dalla Regione Toscana insieme a Camera di Commercio di Firenze e organizzata da PromoFirenze, Azienda Speciale della Camera di Commercio di Firenze e Fondazione Sistema Toscana. Crescono le esportazioni di
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vini DOP toscani, mentre si amplia il bacino dei Paesi importatori. Se Stati Uniti e Germania si confermano i due principali Paesi di destinazione e assorbono insieme oltre il 50% del mercato, l’Estremo Oriente guadagna quote importanti. Tra il 2010 e 2014, infatti, solo l’1% del prodotto veniva spedito in Cina, mentre nella seconda parte del decennio è stato superato il 2%. In lieve progressione anche il Giappone, dal 2,7 al 3,2 %. È aumentata notevolmente anche la domanda di Hong Kong, Singapore e Taiwan, anche se in termini assoluti il peso a valore passa dallo 0,6 all’1 %. L’Est Europeo, con la Russia in testa, mostra una discreta attenzione alle denominazioni toscane, ma
mantiene un ruolo marginale. Positivo il trend in Brasile, Messico, Australia e Nuova Zelanda. Numeri che fanno ben sperare, nonostante le incognite rappresentate dalla minaccia dei dazi degli USA, primo importatore di vini toscani, dalla Brexit e dall’allarme Coronavirus, oltre che dal sensibile rallentamento dell’economia tedesca. Per il momento, però, l’industria del vino made in Tuscany tiene, anche dal punto di vista dei prezzi, nonostante il 2019 abbia fatto segnare una battuta d’arresto dopo 10 anni di aumenti consistenti. Sono 58 i riconoscimenti tra DOP e IGP che interessano la produzione regionale, per una produzione annua di 2,1
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milioni di ettolitri in media (11% circa delle produzioni IG italiane): dei circa 59mila ettari del vigneto toscano, ben 56mila risultano destinati a denominazioni certificate, per una percentuale del 96%, che supera di gran lunga la media nazionale del 62%. In controtendenza anche la vendemmia 2019: secondo i dati diffusi da Artea la produzione toscana si attesta a 2,6 milioni di ettolitri, con un incremento dell’11% rispetto all’anno precedente, mentre a livello nazionale si registra un calo del 19% (stima Ismea/ Uiv). Traducendo i volumi in valore, limitatamente ai vini IG, Ismea stima che la produzione imbottigliata valga complessivamente quasi un miliardo di euro: 793 milioni di
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euro circa per le DOP a cui si aggiungono i 168 milioni delle IGP. Infine, il progetto del Consorzio di tutela del vino a denominazione di origine “Orcia” nasce per coniugare produzione e turismo, trasformando le cantine in luoghi di shopping, cultura, esperienza e sperimentando un modello riproducibile. La proposta è semplice ma rivoluzionaria: il vino si trasforma in cartolina
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da degustare, capace di arricchire il viaggio, raccontare il territorio, potenziare il mercato locale di esportazione di un intero pezzo di regione. Proprio nella Val d’Orcia si avvia grazie al Progetto integrato di filiera della Regione Toscana, un progetto per avvicinare i turisti al vino della denominazione, servendolo in maniera adeguata: una serie di cantinette d’autore saranno distribuite gratuitamente in
tutto il territorio tra cantine, supermercati, enoteche, ristoranti e wine bar e permetteranno di degustare un calice alla temperatura ottimale, conoscendo al tempo stesso le informazioni relative al produttore e alla storia del vino. Il progetto mira a valorizzare quello che nella Val d’Orcia, riconosciuta a livello Unesco per la sua bellezza, viene detto “l’export sotto casa”, ovvero la presenza tutto l’anno di
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turismo internazionale. Ma il crescente connubio tra vino e turismo riguarda tutta la regione: non a caso la Toscana è stata la prima Regione ad adottare una specifica legge, declinando le indicazioni nazionali contenute nel DM del 12 marzo 2019 in tema di enoturismo. Le Anteprime toscane sono proseguite con “Chianti Lovers”, l’anteprima del Consorzio Vino Chianti, sempre alla Fortezza da
Basso di Firenze. L’iniziativa, realizzata in collaborazione con il Consorzio Tutela Morellino, ha confermato il grande successo dell’ultimo anno registrando oltre 4mila presenze. In vetrina 122 aziende, 488 etichette in degustazione e 206 in anteprima. Protagonisti di questa 6a edizione, realizzata con il cofinanziamento FEASR-PSR 2014-2020 della Regione Toscana. Sono state degustate le nuove annate Chianti DOCG 2019 e Riserva 2017 e Morellino di Scansano DOCG Annata 2019 e Riserva 2017. Il 2019 si è rivelato un anno importante anche sul fronte della qualità, come afferma Giovanni Busi, Presidente del Consorzio Vino Chianti: “La vendemmia è in linea con le aspettative, abbiamo raggiunto l’obiettivo della riduzione del 10% delle quantità che ci eravamo dati per mantenere i magazzini in linea con l’andamento commerciale. La qualità è ottima. Il merito di tutto ciò è delle aziende che negli anni scorsi hanno fatto importanti investimenti e oggi oltre il 75% dei vigneti è stato rinnovato”. All’indomani della notizia della scelta del governo americano di escludere l’Italia dai dazi, il Consorzio continua a guardare con grande attenzione all’export. Da qui l’appello alla Regione e al Governo: “Abbiamo tirato un sospiro di sollievo che ci permette di guardare con più
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serenità ai prossimi mesi. E’ certo che, anche alla luce di ciò che sta accadendo in Cina, serve maggiore flessibilità nella gestione dei fondi messi a disposizione per la promozione del vino in modo da rispondere tempestivamente a scenari - e questi mesi ne sono una conferma - che possono cambiare all’improvviso. Non possiamo permetterci di restare indietro: poter riadeguare i nostri investimenti in tempi rapidi può significare davvero molto per l’export e i bilanci”, ha concluso Busi. Si è poi svolta la 27a edizione della Chianti Classico Collection con grande successo di pubblico, professionisti del settore e stampa specializzata e di settore. Il Chianti Classico si è raccontato con le parole del Presidente del Consorzio Giovanni Manetti, che ha riassunto lo stato di salute della denominazione. Il 2019 si chiude in maniera positiva per il Gallo Nero: tutti i numeri sono in crescita. A livello economico, è fin dalla vigna che si registra un aumento del valore: la vendemmia 2019 ha visto le quotazione delle uve aumentare del 10% e negli ultimi tre mesi le vendite delle bottiglie sono cresciute di un altrettanto 10%. Si può dire che il traino economico siano le due tipologie premium, il Chianti Classico Riserva e il Chianti Classico Gran Selezione, che rappresentano complessivamente il 42% dei
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volumi di mercato e il 55% del fatturato complessivo del 2019. La sola Gran Selezione guadagna 15 punti percentuali sul valore del venduto. “Soddisfazione è la parola chiave per il nostro 2019, con cui inauguriamo anche questo 2020.”, ha dichiarato Giovanni Manetti. “La famiglia di noi produttori si allarga sempre
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più (515) e siamo sempre più uniti: ci presentiamo uniti in manifestazioni come questa, condividendo non solo un marchio ma una progettualità comune, legata a un territorio e a un percorso di qualità. Segnale evidente di questo è l’adesione sempre maggiore al progetto della Gran Selezione: in un solo anno le aziende che la
producono sono salite da 95 a 144. La vera essenza di questo territorio e di questa denominazione è l’impegno di noi tutti viticoltori per produrre qualità: vini sempre più autentici e territoriali, che sanno riflettere nelle sue varie sfaccettature così come le varie sfaccettature di una pietra preziosa riflettono la luce”! ▣
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Sangiovese dal mondo,
viaggio sensoriale
in dieci calici di vino
Un’interessante degustazione e approfondimento sulle peculiarità internazionali del Sangiovese alla scorsa V edizione senese di Sangiovese Purosangue. Testo e foto di Carmen Guerriero
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Viaggiare apre la mente”, recita una famosa poesia di Konstantinos Kafanis, noto poeta e giornalista greco. Il viaggio emoziona e arricchisce sempre, ovunque conduca. Il più usuale è quello che ognuno di noi compie, quasi inconsapevolmente, con la fantasia, proiettando i suoi desideri in una dimensione virtuale, coltivando timide speranze. Poi c’è il viaggio reale, quello che conduce attraverso terre e persone sconosciute quanto più siamo curiosi di scoperta e di avventura. Infine, c’è il viaggio sensoriale,
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realizzato attraverso stimoli specifici del tatto, del gusto, della vista, dell’udito e del naso. Al pari della tessitura musicale di un brano, anche cibo e vino si sostanziano di una trama complessa di percezioni sensoriali che vibrano all’unisono man mano che riescono ad essere in equilibrio. Il discrimen, allora, è nel fattore territoriale che, a parità di prodotto, può rivelare sfumature inattese rispetto all’originale. Questa la premessa dell’interessante degustazione e approfondimento sulle peculiarità internazionali del
Sangiovese, condotto dal Collega giornalista Roberto Lepori e da Davide Bonucci, presidente Enoclub Siena, alla scorsa V edizione senese di Sangiovese Purosangue. Il fitto programma di appuntamenti tematici e degustazioni dell’edizione 2019 ha previsto, infatti, anche approfondimenti dedicati al Sangiovese, non solo in termini di caratteristiche peculiari del vitigno ma anche in considerazione della sua storia ampelografica, agronomica e enologica, con interessanti momenti di confronto con produttori
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anche dal resto del mondo, per una complessiva e poliedrica panoramica sul Sangiovese, che ha messo in luce la straordinaria versatilità di questo antico vitigno autoctono, in Italia diffuso non solo in Toscana, ma anche in Umbria, Marche ed Emilia Romagna dove evolve in circa cinquanta biotipi diversi. Vitigno a bacca rossa, il Sangiovese era ben noto agli Etruschi, che ne traghettarono la vite dalle aree dell’Egeo (Turchia e Creta) in Italia per, poi, diffondersi in tutta Europa e nel mondo. Il nome Sangiovese ancora
oggi è oggetto di discussione: Sanguis Jovis, ovvero sangue di Giove, per alcuni, mentre per talaltri sarebbe stato mutuato da arcaici lemmi o forme dialettali del termine “San Giovanni”, “San Giovéto”. Dalle sue uve nascono vini famosi, ricchi di storia e tradizione, come Chianti, Brunello di Montalcino, Nobile di Montepulciano o Morellino di Scansano. L’intrigante degustazione condotta da Roberto Lepori sui Sangiovese prodotti al di fuori dei confini nazionali, ha messo in evidenza come, a parità di vitigno, vinificazioni e terroir differenti determinano evoluzioni
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parimenti diverse che “tradiscono” la provenienza dei vini, in alcuni casi, con esiti sorprendenti. Tra i vini in degustazione, come Krgovic Winery Anthonto Rose’ (85% Sangiovese, 20% Montepulciano e Lambrusco) del MONTENEGRO, Villasenor Vineyards Riserva 2014 e 2018 del Cile, Bovin Winery 2016 della MACEDONIA e Bottega Family Sangiovese Idiom 2015 del SUDAFRICA, i vini d’alta quota dell’azienda Viña El Escorial de Panquehue, Viña de Escorial 2018 Panquehue e 2017, del Cile, sono stati, a mio
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A pagina 87, El Escorial, Sangiovese 2018. In questa pagina, Satera Kacha Valley 2016. A pagina 89, Idiom 2015 Bottega Family e, in basso, da sinistra: Carmen Guerriero, Rodrigo Espinoza, Roberto Lepori e Davide Bonucci.
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sommesso giudizio, tra i più sorprendenti. Con vigneti situati nella Valle dell’Aconcagua, a 1.600 metri sul livello del mare, la Viña El Escorial è il terroir più alto della regione di Valparaíso, terzo in Cile. Il proprietario Rodrigo Espinosa Carey gestisce l’azienda di famiglia, iniziata nel 1880, di centotrenta ettari, chiamata a quel tempo come Hacienda El Escorial de Panquehue perché situata nel distretto di Panquehue (un’ora da Santiago e cinque minuti dalla città di San Felipe). Dal 2009 Rodrigo porta avanti il progetto di recupero non solo degli antichi vitigni
autoctoni come Carmenère, Cabernet Sauvignon e Syrah, ma anche di Chenin Blanc, Zinfandel, Petit Syrah 100%, Cabernet Franc 100% e, ovviamente, Sangiovese. Vini di forte identità, tra cui spiccano il suo Syrah Malbec e il Pinot Noir che nel 2017 hanno conquistato ben 91 punti della prestigiosa quotazione della rivista inglese specializzata “Decanter”. Molto particolare il Viña de Escorial 2017 Panquehue, Sangiovese 100%, prima produzione, di un bel rosso brillante cupo tendente al granato, tanta frutta rossa, prugna soprattutto e note
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In questa pagina, Antica 2017 Sangiovese della Napa Valley e, in basso, Teano 2017 Dalla Cia. A pagina 91, Roberto Lepori col produttore cileno Rodrigo Espinoza.
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speziate, cannella più che vaniglia, bella consistenza e buona persistenza che ne fanno un vino quasi sui generis rispetto ai noti standard del Sangiovese. Sempre sul fil rouge delle sfumature sensoriali impresse dal terroir, il Satera Kacha Valley 2016 Crimea Russia, Sangiovese 100%, vigneti a ridosso del Mar Nero, con venti freddi dal Nord, terreni ciottolosi e una buona escursione termica che favoriscono l’eccellenza, seppur percepita- come il vino precedente- in nuance decisamente differenti rispetto al Sangiovese nostrano. Bel colore rosso
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intenso, prugna tendente alla confettura, vaniglia ed affinamento in botti nuove per 24 mesi. Altro stile ancora per Dalla Cia Teano 2017, (80% Sangiovese con blend bordolese) Stellenbosch Sud Africa, risultato più elegante ed equilibrato, piacevole mix di frutta a bacca rossa, erbe officinali e lieve passaggio in legno, ben dosato. Last but not least, Antica
Napa Valley, Sangiovese 2017 Napa Valley, California (Usa), Cantina Antinori, pionieri della viticoltura di eccellenza dal 1385, 26 generazioni del vino e, da ultimo, l’ausilio del noto enologo Riccardo Cotarella. Sangiovese 95% e Malbec 5%, l’annata 2017 ha disvelato altre sfumature sensoriali, complice anche l’annata ideale, successiva a ben 5 anni di siccità prolungata, che ha regalato
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al vino in degustazione un bel rosso vivace, amarena e melograno, leggere note vanigliate e una piacevole morbidezza, non disgiunta ad una bella acidità. In sintesi, un’affascinante lettura di terroir, in cui ogni Sangiovese, seppur diverso da quello “canonico”, riesce a esprimere carattere ed identità proprie, ma sempre interessanti, regalando appassionate storie di uomini, fatiche e territorio. ▣
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La ‘Cerca e cavatura del Tartufo in Italia’ candidata a Patrimonio culturale immateriale Uno straordinario risultato, sostenuto dal Servizio Unesco del Ministero dei beni culturali. Testo di Carmen Guerriero – Foto Carmen Guerriero e Ente Turismo Alba
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n questo periodo così devastante per l’incolumità delle persone e dell’economia nazionale, arriva dal Piemonte la notizia
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dell’approvazione da parte del Consiglio direttivo della Commissione nazionale italiana per l’Unesco della proposta di candidatura a Patrimonio culturale
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immateriale della “Cerca e cavatura del Tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali‟, presentata al Segretariato Unesco entro martedì 31 marzo.
“La notizia arriva in un periodo non facile per il nostro Paese, in cui la tragicità del momento storico sbiadisce ogni altra cosa” – ha affermato il presidente della Fnati Fabio Cerretano – “Tuttavia, in questa candidatura il mondo dei tartufai trova un attimo di respiro. Dopo il tanto lavoro fatto, sono grandi l’orgoglio e la soddisfazione per questo che è già un risultato enorme, perché dà modo di illuminare un mondo che è spesso sconosciuto ai più e, a volte, anche vittima di pregiudizio. Questa candidatura avvalora
ulteriormente l’apprezzamento universalmente tributato al prodotto tartufo, svelando la sua storia e il percorso che dal bosco lo porta sulle migliori tavole. Quando questo momento triste terminerà, avremo un motivo in più per gioire”. La candidatura è stata promossa dalla N E W S DAL L ’I T AL I A
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A pagina 93, Pavaglione 2.5, taglio del nastro stagione del tartufo d’Alba. In basso, manifesto Tuber Primae Noctis. In questa pagina, Liliana Allena, Presidente Ente Fiera Internazionale del Tartufo Bianco di Alba. A destra, il primo tartufo bianco del 2019. A pagina 95, agnolotti di fonduta con tartufo bianco d’Asti e torta di nocciole con crema allo zabaione e tartufo bianco.
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Federazione Nazionale delle Associazioni Tartufai (Fnati) e l’Associazione Nazionale Città del Tartufo che hanno espresso soddisfazione per il risultato ottenuto, ringraziando tutti coloro che hanno sostenuto il lungo e impegnativo processo, ciascuno per le proprie competenze. “I saperi e le buone pratiche di cui i tartufai sono portatori – hanno sottolineato tutte le Associazioni proponenti – testimoniano come si possa valorizzare e proporre a una società moderna l’importanza e la sostenibilità della manutenzione ambientale e un rinnovato modello di vita rurale, in funzione della tutela del territorio”. Uno straordinario risultato, sostenuto dal Servizio Unesco
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del Ministero dei beni culturali, che premia un progetto nato da un’idea di Giacomo Oddero, allora presidente del Centro studi tartufo di Alba, e la ricerca antropologica dei professori Piercarlo Grimaldi e Gianfranco Molteni. Per la prima volta, infatti, è previsto un lavoro di catalogazione finora mai realizzato, permettendo di documentare una tradizione secolare praticata e tramandata dai tartufai diffusi su gran parte del territorio nazionale. La tradizione dei trifolau, molto antica e di grande pregio, si svolge fra i boschi di Langhe e Roero e prevede un particolare e lungo addestramento dei cani da tartufo, chiamati in gergo, tabui. Ogni anno, ad Alba, provincia
di Cuneo, si svolge la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, l’evento più atteso della stagione autunnale piemontese, organizzato dall’Ente
Turismo Langhe, Roero e Monferrato, in associazione all’Ente Fiera Internazionale, che, lo scorso mese di ottobre è giunto alla 89° edizione, trasformando, come di N E W S DAL L ’I T AL I A
consueto, il centro di Alba in un enorme salone degustativo en plein air, tra appuntamenti, degustazioni, convegni e cene tematiche dedicate al pregiato fungo ipogeo. Tra questi, il più atteso è “Tuber primae noctis”, considerato il “Capodanno del Tartufo” che, di fatto, segna e festeggia i trifolau e i loro fedelissimi cani. Lo scorso 20 Settembre, al Pavaglione di San Bovo di Castino, ho avuto il piacere di partecipare alla speciale cerimonia presieduta dalla dottoressa Liliana Allena, Presidente Ente Fiera Internazionale del Tartufo Bianco di Alba e personalità istituzionali della filiera di valorizzazione del territorio e suggellato da un brindisi con Alta Langa DOCG, di buon auspicio per una prolifera stagione. “Pur tra tutte le difficoltà del momento accogliamo con soddisfazione la candidatura che, qualora venisse accettata, rappresenterebbe un grande aiuto per tutta la comunità nazionale del tartufo composta da circa 70mila tartufai e da quasi tutte le regioni italiane” – ha commentato il presidente delle Città del tartufo Michele Boscagli. - “Ciò rappresenta un’enorme prospettiva di sviluppo per tutti i territori rurali e i piccoli borghi interessati. Questa notizia è una luce in questo periodo così buio e un barlume di speranza affinché tutta la nostra comunità possa avere un futuro più roseo”. ▣
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