School Magazine anno X agosto 2022

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MMXXI - MMXXII “Pacco” con sorpresa ... M S

Editoriale Linda DarlingHammond, una delle studiose americane di questioni educative più apprezzate, già docente alla Stanford University, ha scritto in molti articoli scientifici che la sopravvivenza della specie umana scaturirà da conoscenze e competenze tecniche, aggiungendo ad esse la “coltivazione” delle disposizioni e capacità personali come risolvere controversie, collaborare con gli altri, comunicare empaticamente, resistere allo stress prodotto da vari fattori mentaledisposizionesecondoleetà,studioolavoro,avereaunagrandeaperturaeunsanosensocritico.Neldecennalepercorsofinqui,di “School Magazine”, nonostante mari in tempesta, attacchi pirateschi, bordate, riconoscimenti ufficiali e attestati di stima ha sempre tenuto la barra dritta, mirando primariamente alla formazione personale dello studente lettore redattore, affinché fosse a tutto tondo e non solo settoriale. Nella “Scuola di Atene”, dipinta da Raffaello, non c’era competizione e concorrenza fra i docenti, eppure le dita di Platone e Aristotele indicavano cielo e terra. Un’idea di scuola quell’affresco la offre, perché senza le capacità e l’intelligenza “diverse” diprofessorie, soprattutto, dei giovani restiamo studio.valeinsiemenoiintrappolatidentrolenostrecrisi.Staacurareiragazzieformandocicustodiremoilfuturo.Eciòpertuttigliambitidilavoroe G.P, A.P

Via Don Giovanni Calabria, 16 - 20132 Milano

Responsabile editoriale e progetto grafico Prof. Antonio Pangallo Editing e web content editor Prof. Gianpaolo Palazzo

2 M S M S PeriodicoAnnoX - agosto 2022 I.I.S. “Giulio Natta”

Foto originali ed elaborazioni fotografiche Elisa Bozzi, Gianluca Burchi, Nicolò Carra, Ilaria Minichelli, Gianpaolo Palazzo, Antonio Pangallo, Valerio Andrea Pozzi, Quirinale, Giulia Vallini

Hanno collaborato a questo numero Ludovico Albertini, Marco Arena, Emilia Ariano, Angelica Jerena Asuncion, Massimo Ascanio Beretta, Elisa Bozzi, Gianluca Burchi, Alexander Buscaglia, Nicole Alice Chavez, Nicolò Carra, Matteo Dell’Aquila, Lorenzo Diambri, Manuel Di Salvo, Nicole Ganzero, Luna Gattoni, Sonia Lascar, Ndiaye Mada, Elisa Maggioni, Edoardo Maria Mandelli, Alice Martino, Ilaria Minichelli, Alessia Pititto, Valerio Andrea Pozzi, Simona Prosperini, Luca Puleo, Kristel Rosita, Denisse Aloise Rosita, Gaia Tarrano, Giulia Sardi, Viola Sfondrini, Luca Siviglia, Giulia Vallini Sito Magazine

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PaginaPagina166:Comunicareoggi168:Dichièlacolpa?Pagina170:IlmestieredistudentessaPagina174:EnglishExperinceCampPagina178:InsiemesivincePagina182:MonzAèrealtÀPagina184:FacieseoltrePagina188:NessunconfinePagina190:ComeondePagina193:ArtisticiincantiPagina198:MysteriousstarsforfiftyyearsPagina200:Neifraticidinoncisonovincitori

Pagina133:RimedatrecontinentiPagina134:AppuntidiunuomogentilePagina136:VisionidiversePagina144:ConfermamondialePagina148:AltissimopregioPagina152:Refinement,StyleandClassyPagina156:SurrealismandmagicPagina158:Avvoltidanuovefragranze

Pagina130:OmaggioaP.P.P. Pagina132:Parole“Note”fragenerazioni

paginaveritàdefinitive?72:SecoloanchediEmmepagina74:Duralex,sedlexPagina75:Lasciatosolopagina76:Nevalevalapenapagina80:NotizieeStorievissutedaifrontipagina94:NelnomediMariaGraziaeNafaspagina96:Desideriodicapireperscriverepagina98:Scattistoricipagina100:Geniocapacedifarridereecommuovere

Pagina160:Dalsalottoall’Hotel Pagina162:Paroledi-vino Pagina164:Phaquadretti

paginapagina102:Libertàvacercando103:Fortunadantescapagina104:Maestrodieleganzaesaggezzapagina106:PremiDavidDonatello2022pagina108:Nonperderesestessipagina110:ilTempodelleDonne

paginapagina6:AScuolapercostruireilfuturo12:FirmadeiPresidentipagina14:Iustitiaomniumestdominaetreginavirtutum(Lagiustiziaèsignoraereginadituttelevirtù)pagina20:Ciunisceedifferenzialacultura

Sommario La copertina del Magazine è stata disegnata da Elisa Bozzi

paginapagina28:Tempusfugit34:Acuoreapertopagina42:Piccoliesseripagina48:Culturaeinnovazionepagina52:Aspassoneltempoatempo pagina58:Ilfuturovistodall’impresa pagina60:Miniereacieloapertoodiscaricheinutili?pagina61:Untelefonoalgiorno,levailmedicoditorno pagina62:L’etàdell’oro pagina66:Nellastoriapossonoesistere

pagina24:Futurivisionari

4 M S In questo numero ospitiamo: Prof. Massimo Galli A cuore aperto Giornalista Alessio Lasta Notizie e Storie vissute dai fronti Fisico Giorgio Parisi Futuri visionari On. Sergio Mattarella A Scuola per costruire il futuro6 Prof.ssa Marta Cartabia Iustitia omnium est domina et regina virtutum 14 24 34 Giornalista Paolo Mieli Nella storia possono esistere verità definitive? 66 80

Perché nessuno è così folle da preferire la guerra alla pace: in pace i figli seppelliscono i padri, mentre in guerra sono i padri a seppellire i figli. Erodoto, Storie (libroI,87,4) οὐδεὶς γὰρ οὕτω ἀνόητος ἐστὶ ὅστις πόλεμον πρὸ εἰρήνης αἱρέεται·ἐν μὲν γὰρ τῇ οἱ παῖδες τοὺς πατέρας θάπτουσι, ἐν δὲ τῷ οἱ πατέρες τοὺς παῖδας. Statua di Erodoto, secolo XIX Parlamento di Vienna, Austria

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AScuola per costruire il futuro

Il primo giorno di scuola è sempre un giorno speciale, ricco di emozioni. Questo perché, anno dopo anno, ci rendiamo conto che stiamo crescendo e che il mondo dei “grandi” non è poi così lontano… Certo, non è stato facile per nessuno dover convivere per molteplici mesi con la didattica a distanza, ma è stato l’unico modo per andare avanti, nella speranza di una nuova (ri)partenza, un po’ come lo è stata la vittoria degli Europei 2020 dei nostri Azzurri.

6 M S di Ludovico Albertini

Questa ripartenza è avvenuta lo scorso lunedì 20 settembre 2021 con la 21esima edizione di “Tutti a Scuola”, condotta da Flavio Insinna e Andrea Delogu, Presso l’ITTL Nautico di Pizzo Calabro (VV).

La località di Pizzo Calabro è stata scelta appositamente come simbolo della ripartenza scolastica, con la speranza che studenti e docenti possano tornare a rivivere con le stesse emozioni e determinazione quello che solo la scuola può dare. Come ricorda il nostro Presidente della Repubblica «La scuola è ossigeno della società, il suo funzionamento è specchio di quello del Paese […]». Questo lo abbiamo vissuto con la vittoria degli Europei, ma anche con la pioggia di medaglie olimpiche ma anche paralimpiche di Tokyo 2020.

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Alla cerimonia hanno da partecipato come protagoniste delle scuole provenienti da tutta Italia, scelte dal Ministro dell’Istruzione, che si sono distinte realizzando i migliori percorsi didattici inerenti ai temi di legalità e cittadinanza. Con loro, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca, Patrizio Bianchi.

Tra gli ospiti sul palco si sono avvicendati i velocisti Marcell Jacobs e Monica Contraffatto; la velista Caterina Banti; i nuotatori Giulia Terzi e Stefano Raimondi e molti altri atleti. Un altro ospite è stato Leonardo Spinazzola, campione Europeo e reduce da un infortunio muscolare. Ci sono state anche tre sorprese canore: i cantanti Tancredi e Massimo Ranieri e anche il Coro dello Zecchino d’Oro. Gli ospiti sono stati accompagnati dal Presidente del Coni, Giovanni Malagò e il Presidente del Comitato Paralimpico, Luca Pancalli. Il Presidente Mattarella, durante il suo discorso ha ricordato che «siete voi, ragazze e ragazzi, che avete il compito e la responsabilità di scrivere la nostra storia, di essere i costruttori del nostro futuro. Nella scuola troverete gli strumenti per farlo». a pagina (Continua da

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Non dobbiamo neppure perdere il ricordo delle esperienze positive che sono giunte dalla risposta sociale, collettiva, alla pandemia. Questa risposta ha preso forma dal nostro comune impegno, dalla generosità, dal (Continua pagina

Dall’ITTL Nautico di Pizzo Calabro (VV) il presidente Sergio Mattarella, parlando ai presenti e ai telespettatori ha salutato l’istituto e la città ospitante, oltre al Ministro Patrizio Bianchi, i presentatori Flavio Insinna e Andrea Delogu, la Rai responsabile della diretta, gli artisti e sportivi che si sono avvicendati sul palco.

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Rivolgendosi agli studenti ha detto: «Oggi è un giorno speciale, allegro, di speranza, di impegno, per l’intero Paese. Come ogni anno, il primo giorno di scuola suscita festa e attesa. Ma quest’anno a essere speciale è l’anno scolastico che comincia. Voi, ragazze e ragazzi, tornate di nuovo tutti in aula, insieme ai vostri insegnanti. Dopo le tante sofferenze e le grandi limitazioni che la pandemia ci ha imposto, la ripartenza delle scuole a pieno regime è il segno più evidente della ripartenza dell’Italia.

La scuola non è un capitolo accessorio, bensì è assolutamente centrale in un Piano di ripartenza. Le conoscenze e la cultura delle giovani generazioni costituiscono il volano migliore per il domani di tutti noi. La pandemia ha prodotto una condizione drammatica e dolorosa. Ha recato tanto dolore e lutti. Ancora conduce a morte ogni giorno decine di nostri concittadini. Ha frenato le nostre vite, le nostre attività. Ha creato ulteriori diseguaglianze. Ha creato povertà nuova. Ha ridotto opportunità. I giovani, i ragazzi, i bambini hanno pagato un prezzo molto alto[…].

Con le scuole riaperte si riallacciano i fili che si erano interrotti o che erano diventati più esili: certo, anzitutto lo studio, ma anche le relazioni, le amicizie, l’insieme di quelle esperienze così decisive nella vostra formazione. E questo trasmette energia a tutta la comunità nazionale. La scuola è ossigeno per la società. Non riguarda soltanto voi che la frequentate. Il suo funzionamento è specchio di quello del Paese. Abbiamo una scuola di valore. Grazie alla passione degli insegnanti, alla dedizione del personale, all’impegno di voi studenti. Sappiamo che vi sono anche aspetti che devono essere migliorati. Soffriamo per ritardi antichi, per qualche inefficienza, per disparità e disuguaglianze[…].

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coraggio, dal senso del dovere e della responsabilità che tanti hanno dimostrato. Il mondo della scuola è stato un esempio di passione civile e di solidarietà.

Rinunciare alla scuola in presenza è stato un sacrificio pesante e sofferto. E’ giusto riconoscere che, grazie al lavoro di insegnanti, all’impegno di presidi, e alla collaborazione di genitori, è stato possibile, con la didattica a distanza, assicurare, pur in condizioni spesso estremamente difficili, la continuità possibile nell’insegnamento. E la Dad ha contribuito, pur nella sua inevitabile incompletezza, a incrementare le conoscenze, a far crescere l’alfabetizzazione informatica nelle famiglie. Nella scuola che riparte è bene dare continuità all’educazione digitale, favorendo l’integrazione dei nuovi strumenti nei programmi di studio. La società ha bisogno di crescere nelle conoscenze digitali. L’intera società, non soltanto alcuni suoi ambiti più o meno ristretti. Proprio la Dad ha evidenziato i divari di sviluppo tra le diverse aree del Paese. In alcuni territori, la rete non arriva o arriva male. Mediante le risorse messe a disposizione dall’Unione Europea si intende opportunamente correggere questa inaccettabile realtà. Quando è comparso il virus, la scuola è stata la prima a dover chiudere le sue porte. Ora, grazie alle vaccinazioni e alle nuove misure di precauzione, questo non deve più accadere. Abbandoni scolastici e impoverimento educativo, soprattutto nelle aree sociali già svantaggiate, si sono aggravati e rappresentano indubbiamente una pesante eredità di questa stagione. Per affrontare con energia questo aspetto possono esserci d’aiuto lo spirito e la passione civile che hanno consentito di limitare le conseguenze negative delle successive chiusure. L’abbandono e il disimpegno di ragazzi è stato contenuto dall’ingegnosità e dalla determinazione di insegnanti che hanno sovente rincorso gli assenti, che li hanno cercati pure quando era difficile muoversi da casa, che hanno costruito collegamenti, spesso grazie anche alla generosa collaborazione e al senso di solidarietà dei compagni di classe. Non sono rari i casi di giovani che hanno fatto da collettori di computer non più utilizzati, che li hanno mandati a riparare, per poi donarli a chi non ne aveva. L’espressione di questa solidarietà, la coscienza di appartenere a una (Continua da pagina 8) (Continua a pagina 10)

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10 M S comunità, di sentirsi responsabili gli uni degli altri, costituiscono un patrimonio prezioso da non disperdere, anzi da porre a frutto per il futuro e da far crescere ulteriormente.

A tante ragazze e tanti ragazzi la pandemia ha fatto comprendere il valore del “noi”. Li ha sollecitati a guardare oltre la propria individualità, a sentirsi parte di una comunità più grande, e questo nonostante i distanziamenti che frenavano i contatti personali. La condizione di solitudine sperimentata da tanti ragazzi ha lasciato talvolta delle tracce: vanno cancellate recuperando il valore della vita sociale a scuola e altrove. È incoraggiante e importante l’adesione dei giovani alla campagna vaccinale: numeri che speriamo diventino sempre più grandi.

Non di rado in famiglia sono stati proprio i giovani a spiegare le buone ragioni dell’immunizzazione, a rompere gli indugi e a fare per primi il vaccino, anche quando i genitori tentennavano. Volevano uscire da casa i ragazzi, tornare con gli amici, e così hanno aiutato tutta la società. Quando nascono grandi speranze sociali, i giovani sono protagonisti. Qualche volta le esprimono con radicalità. Merita attenzione la grande partecipazione degli studenti alla campagna vaccinale: rivela da che parte sta il desiderio di libertà, di vivere appieno la propria vita con gli altri, rispettandoli, e dove invece prevale una visione regressiva. Proprio il mondo della scuola, nel suo insieme, si è dimostrato un potente anti virus. Ne è testimonianza il dato del 94% di vaccinati tra il personale docente e non docente. Quello che per l’intera società è un obiettivo, la scuola lo ha già raggiunto. E vuole andare più avanti, per la sicurezza di tutti. Ancor più doverosa nei luoghi dei bambini e dei ragazzi. La scuola è l’argine più robusto ai comportamenti distruttivi; è luogo di formazione, promotore di solidarietà, di sapere diffuso, di etica civile. A questo tende la scuola: a essere motore della trasformazione sociale. Non ci sarà sviluppo sostenibile senza una scuola votata alla solidarietà e all’innovazione, capace di trasmettere intensamente cultura, in grado di accrescere sempre più il sapere dei ragazzi come garanzia della loro stessa libertà. Non ci sarà crescita di opportunità, se i ragazzi che provengono da famiglie meno abbienti troveranno ostacoli sulla strada di una propria affermazione. La scuola deve saper curare le eccellenze, perché tanto (Continua da pagina a pagina

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Celebrando i settantacinque anni della Repubblica ho ricordato che siete voi, ragazze e ragazzi, che avete il compito e la responsabilità di scrivere la nostra storia, di essere i costruttori del nostro futuro. Nella scuola troverete gli strumenti per farlo. Sarà un anno speciale. Buon anno scolastico!».

11 M S possono dare alla società, ma la condizione per farle sorgere consiste nel rendere aperto a tutti l’accesso effettivo all’istruzione e alla cultura per permettere che emergano talenti che altrimenti resterebbero inespressi. È scritto nella nostra Costituzione. Si trova nella scuola il capitale umano necessario a una vera crescita. Economica e civile. Sono la cultura, la responsabilità, la conoscenza, il metodo, le risorse di cui voi giovani avete bisogno per essere protagonisti in un tempo dove il mondo corre sempre più veloce e anche i lavori cambiano con una rapidità che mai la storia ha conosciuto. Il valore sociale della scuola sta anche nell’essere irrinunciabile presidio di integrazione e di coesione. La scuola è alle fondamenta dell’unità del Paese. Insegna a essere italiani. Questo percorso accomuna tutti i ragazzi che frequentano i diversi cicli di studio: quelli che provengono da famiglie con radici antiche nelle nostre città e nei nostri borghi e i nuovi italiani che hanno imparato o stanno imparando la nostra lingua e condividono la nostra vita. Le parole “integrazione” e “coesione” richiamano le istituzioni scolastiche a un dovere che la pandemia ha, se possibile, accresciuto nei confronti delle giovani e dei giovani portatori di una disabilità. I ragazzi con difficoltà e le loro famiglie hanno sofferto moltissimo in questi mesi. Vi sono ferite da rimarginare e sono certo che la scuola farà la sua parte. La scuola è il primo luogo dove la società sperimenta concretamente che le diversità sono ricchezze, che il valore di una persona, di ogni singola persona, è un bene a cui la comunità non deve rinunciare. Si è molto operato per incrementare il numero degli insegnanti di sostegno con più tempestive nomine. Ma tanto resta ancora da fare per colmare lacune e rimuovere ostacoli. Ci sono momenti in cui si avverte di trovarsi davanti a un bivio, nella necessità non solo di scegliere la strada giusta, ma anche di cambiare passo. Di andare più veloci. Guardare l’esuberanza dei nostri ragazzi, specchiarsi nella loro speranza, trasmette coraggio agli insegnanti, alle famiglie, a tutti noi.

M S Roma, Palazzo del Quirinale, 21 luglio 2022: «Come è stato ufficialmente comunicato, ho firmato il decreto di scioglimento delle Camere affinché vengano indette nuove elezioni entro il termine di settanta giorni indicato dalla Costituzione. Lo scioglimento anticipato del Parlamento è sempre l’ultima scelta da compiere, particolarmente se, come in questo periodo, davanti alle Camere vi sono molti importanti adempimenti da portare a compimento nell’interesse del nostro Paese. Ma la situazione politica che si è determinata ha condotto a questa decisione. La discussione, il voto e le modalità con cui questo voto è stato espresso ieri al Senato hanno reso evidente il venir meno del sostegno parlamentare al Governo e l’assenza di prospettive per dar vita a una nuova maggioranza. Questa condizione ha reso inevitabile lo scioglimento anticipato delle Camere. Il Governo ha presentato le dimissioni. Nel prenderne atto ho ringraziato il Presidente del Consiglio Mario Draghi e i Ministri per l’impegno profuso in questi diciotto mesi. È noto che il Governo, con lo scioglimento delle Camere e la convocazione di nuove elezioni, incontra limitazioni nella sua attività. Dispone comunque di strumenti per intervenire sulle esigenze presenti e su quelle che si presenteranno nei mesi che intercorrono tra la decisione di oggi e l’insediamento del nuovo Governo che sarà determinato dal voto degli elettori. Ho il dovere di sottolineare che il periodo che attraversiamo non consente pause negli interventi indispensabili per contrastare gli effetti della crisi economica e sociale e, in particolare, dell’aumento dell’inflazione che, causata soprattutto dal costo dell’energia e dei prodotti alimentari, comporta pesanti conseguenze per le famiglie e per le imprese. Interventi indispensabili, dunque, per fare fronte alle difficoltà economiche e alle loro ricadute sociali, (Continua a pagina 13)

Firma dei Presidenti

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Il Presidente Sergio Mattarella, ha ricevuto Luciana Lamorgese, Ministro dell’Interno e Mario Draghi, Presidente del Consiglio, che hanno presentato per la firma gli atti deliberati dal Consiglio dei Ministri, tra cui il decreto di convocazione dei comizi elettorali per le elezioni politiche del 25 settembre 2022. La data della prima riunione per le nuove Camere sarà il 13 ottobre 2022. soprattutto per quanto riguarda i nostri concittadini in condizioni più deboli. Indispensabili per contenere gli effetti della guerra della Russia contro l’Ucraina sul piano della sicurezza dell’Europa e del nostro Paese. Indispensabili per la sempre più necessaria collaborazione a livello europeo e internazionale. A queste esigenze si affianca – con importanza decisiva quella della attuazione nei tempi concordati del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, cui sono condizionati i necessari e consistenti fondi europei di sostegno. Né può essere ignorato il dovere di proseguire nell’azione di contrasto alla pandemia, che si manifesta tuttora pericolosamente diffusa. Per queste ragioni mi auguro che pur nell’intensa, e a volte acuta, dialettica della campagna elettorale vi sia, da parte di tutti, un contributo costruttivo, riguardo agli aspetti che ho indicato; nell’interesse superiore dell’Italia». (Continua da pagina

Il concetto di giustizia non ha un valore assoluto. È, invece, mutevole nel tempo e nello spazio. Società

di Emilia Ariano, Luca Siviglia, Ilaria Minichelli

diverse hanno differentemente definito che cosa fosse giusto e cosa non lo fosse e, anche quello che a noi sembra quasi “naturale” considerare giusto è, in realtà, un prodotto culturale.

La giustizia è signora e

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Le norme giuridiche determinano in maniera relativamente chiara che cosa sia “giusto incorporando e traducendo questo concetto all’interno del dettato normativo il quale definisce i confini della legalità. Ma qual è il fine della giustizia? Giustizia significa rendere ad ognuno ciò che gli spetta. Ma ciò che spetta ad ognuno è, anzitutto, (Continua a pagina

14 M S Iustitia omnium est domina

Quando si percepisce un’ingiustizia, poi si tende ad accumulare odio, vendetta e disonestamente a ritorcerla su altri, come nella tragedia di Eschilo “Orestea” citata dalla ministra. In questo modo, invece, di avvicinarci alla giustizia, ce ne allontaniamo, perché si produce il doppio delle ingiustizie che sono state provocate inizialmente. «Dobbiamo vivere sul piano del vissuto, perché ciò che è successo non si può (Continua da pagina (Continua a pagina

15 M Sdomina et regina virtutum e regina di tutte le virtù l’essere riconosciuto come persona uguale agli altri, perché portatore degli stessi diritti di libertà e dignità. Una società che non garantisce libertà e dignità a tutti è una società diseguale. La disuguaglianza è ingiustizia. Proprio legalità, libertà, diritti, doveri individuali e collettivi sono stati i principali temi affrontati nel corso dell’incontro con la Ministra della Giustizia, Marta Cartabia tenutosi a Milano l’11 ottobre 2021, presso il Centro Asteria, dedicato alle scuole secondarie di I e II grado, collegate anche on-line da tutta Italia. La ministra è stata Giudice e Presidente della Corte costituzionale, docente ordinario di Diritto Costituzionale e di Giustizia Costituzionale, presso l’Università “Bocconi” di Milano, inoltre, ministro della Giustizia nel governo presieduto dal professore Mario Draghi. Nel suo intervento ha subito rivolto agli studenti alcune domande che ci hanno guidato nella riflessione attorno ad alcuni temi fondamentali: che cos’è la giustizia? Quali concetti, idee, situazioni, immagini ci vengono in mente con la parola giustizia? Abbiamo mai pensato: “questo non è giusto”? «La risposta è che nemmeno i più grandi filosofi della storia e premi Nobel sono arrivati alla stessa conclusione: nessuno sa cosa sia la giustizia, ma tutti sappiamo cos’è l’ingiustizia. Mentre l’idea di giustizia è molto lontana e facciamo fatica a capirla, ogni uomo ha sperimentato l’ingiustizia. Mentre non si riesce a dare un volto alla giustizia, ma se ne ha solo una vaga idea, si sa benissimo darne uno all’ingiustizia».

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cambiare anche se è un’ingiustizia. I conflitti non possono essere evitati, ma vanno affrontati e nell’affrontarli non bisogna ricorrere alla violenza, ma alle parole. Oltre ai due litiganti, colpevole e vittima, sarebbe meglio se ci fosse una terza persona, il giudice, che sappia farli ragionare e metterli d’accordo». Libertà e giustizia sono in contrapposizione o sono “amiche”? «Tutti i principi costituzionali devono andare avanti a braccetto. La Corte costituzionale ha un principio che per lei è di grandissima importanza: bilanciare il valore secondo cui libertà e giustizia devono continuare ad andare avanti insieme e ciascuna non deve sovrastare l’altra, ma, se necessario, al contrario bisogna comprimerle quel tanto che basta per farle continuare ad andare avanti in accordo. Non ci può essere libertà senza giustizia perché sennò sarebbe anarchia».

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Qual è la funzione della pena? «Non tutte le Costituzioni al mondo dicono chiaramente quale sia lo scopo esatto della pena. Nella nostra, la pena ha una funzione precisa: rieducare. Molte volte, dopo aver scontato la condanna, l’individuo torna a delinquere. Dire che l’imminente riforma potrà evitare il ritorno al delinquere è troppo ambizioso. Ma dobbiamo considerare che, alcune volte, molti vengono portati in carcere per problemi accidentali. Quindi, incarcerare una persona che ha commesso un reato di poca importanza e ha la possibilità di scontare in un altro modo la pena è fondamentale, perché magari pagare il proprio debito diversamente non la porta verso il baratro».

Come si spiega il principio della finalità rieducativa della pena contenuto nell’articolo 27 della Costituzione italiana? «Solo se la pena mira a rigenerare, a ricostruire l’ordine generale, solamente se ha questo scopo, soddisfa due obiettivi contemporaneamente: garantire più sicurezza nella nostra società e dare una seconda possibilità. Queste due cose non sono in contrasto fra di loro, perché se la pena fallisce e, attualmente, i dati ci dicono che si (Continua da pagina 15) (Continua a pagina 17)

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17 M S verifica già il 68% di recidiva di un reato, non soltanto c’è stato un insuccesso nei confronti delle persone che hanno passato anni in prigione per poi ritornare alla vita normale e commettere nuovamente reati, dimostrando quindi fondamentalmente che li abbiamo abbandonati a loro stessi, ma non avremmo neanche soddisfatto quel bisogno fondamentale di sicurezza». Le leggi sono sempre giuste? «Ci sono delle leggi sbagliate, ma anche ingiuste, perché come umani l’errore è sempre dietro l’angolo. Penso, ad esempio, alle leggi razziali del 1938. Attualmente, però, ci sono anche dei sistemi per rimediare agli errori, poiché bisogna prenderne atto e provare a porvi rimedio. Un altro caso è la normativa sulla presunzione di innocenza: non è un’idea della ministra o del Governo, ma la necessaria attuazione di una direttiva europea, che risale al 2016. È una normativa essenziale per bilanciare due irrinunciabili principi della Costituzione italiana e del diritto europeo: da un lato, il diritto dei media d’informare e dei cittadini essere informati e, dall’altro, il diritto delle persone indagate e imputate di non essere rappresentate come colpevoli. La presunzione di innocenza da secoli è un caposaldo delle nostre democrazie, così come lo è il diritto all’informazione».

Alcuni ragazzi le hanno chiesto anche di esprimersi su Green pass e condanna di Mimmo Lucano. La ministra non ha potuto entrare nel merito delle questioni per rispettare il proprio ruolo super partes, affermando, che parlare della vicenda riguardante l’ex sindaco di Riace (RC), sarebbe stato inopportuno, dato che, le indagini erano in corso. Il consiglio, perciò, è stato quello che prima di esprimere giudizi e “sentenze sommarie”, occorra raccogliere il maggior numero d’informazioni possibili e approfondire le notizie per poi farsi un’idea sul caso specifico. L’incontro non ha esaurito tutti i dubbi e le questioni riguardanti la giustizia e le sue profonde relazioni con i concetti di libertà e uguaglianza, ma per noi ragazzi è stato sicuramente un’opportunità di crescita, che ha portato in dote nuove consapevolezze e conoscenze sull’essere cittadino. da pagina

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Il dottorato di ricerca presso l’European Università Institute di Firenze, con una tesi su Fundamental principles and European integration l’ha spinta a specializzarsi in questioni di giustizia costituzionale comparata. Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università “Bocconi”, di Milano - Bicocca, con precedenti incarichi pure presso l’Università di Verona e la Statale milanese, è esperta anche di diritto internazionale e dei temi dell’integrazione dei sistemi costituzionali europei e nazionali. Riguardo alla sua attività accademica internazionale ha partecipato a convegni e seminari in molte Università all’estero, tra cui quelle di Tours, Tolone, San Sebastian ed RicopreEichstätt. incarichi in numerose riviste di settore nazionali e internazionali ed è tra i fondatori e co direttori di “Italian Journal of Public Law”, la prima rivista giuridica italiana interamente in lingua (Continua

18 M S di Massimo Ascanio Beretta Marta Cartabia è nata a San Giorgio su Legnano (Milano) il 14 maggio 1963.

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Dopo aver conseguito la laurea con lode in giurisprudenza presso la Statale di Milano, seguita dai prof. Valerio Onida e Fausto Pocar, e aver partecipato a corsi internazionali in Francia e negli Stati Uniti, è stata ricercatrice di Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Milano e assistente di studio presso la Corte costituzionale.

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inglese. Da gennaio 2021 è co direttrice della rivista de il Mulino “Quaderni costituzionali”. Nel 2011 è stata nominata dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e Giudice della Corte Costituzionale, dal 2014 al 2019 è stata Vicepresidente della Consulta, anno in cui è stata eletta Presidente, prima donna a ricoprire tale carica, rivestita insieme a quella di Giudice fino al 2020. Il 9 dicembre 2020 le è stato conferito il dottorato honoris causa in Law dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa dove ha tenuto una lectio magistralis dal titolo “Per l’alto mare aperto. L’università al tempo della grande incertezza”. Dal 13 febbraio del 2021 è ministro della Giustizia nel governo presieduto da Mario Draghi. Si tratta della terza donna a ricoprire questo incarico, dopo Paola Severino e Annamaria Cancellieri. Nello stesso anno è stata nominata da Papa Francesco membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze sociali. Viene eletta Presidente della Casa di Dante a Roma nel 2022. Tra le sue pubblicazioni più recenti occorre citare:“Dieci casi sui diritti in Europa”, (il Mulino, 2011), “Giustizia e mito. Con Edipo, Antigone, Creonte” con Luciano Violante (il Mulino, 2018), “Cooperazione e mutualità: la Costituzione come storia di popolo”, (ECRA, Edizioni del Credito Cooperativo, 2019), “Un’altra storia inizia qui. La giustizia come ricomposizione” con Adolfo Ceretti, (Bompiani, 2020), “Una parola di giustizia. Le Eumenidi dalla maledizione al logos”, (Roma TrE Press, 2021), “The Constitution of Italy. A Contextual Analysis”, con Nicola Lupo, (Hart Publishing, 2022). (Continua da pagina 18)

Chiunque sia curioso o abbia voglia di conoscere cose nuove ha bisogno del suo pane quotidiano: la cultura. Essa è talmente importante che la ritroviamo nell’art. 9 della Costituzione Italiana: «La Repubblica promuove la cultura». Come ha ricordato Piergaetano Marchetti, Presidente della “Fondazione Corriere della Sera”, «il compito di chi governa la cultura di un Paese non è solo conservare e tutelare, ma valorizzare e farne un volano che crea nuova cultura e nuove prospettive».

Questo è il tema principale del quale si è parlato lo scorso 11 aprile 2022 presso la Sala Buzzati di Milano. Durante l’incontro, trasmesso in streaming e coordinato dalla giornalista di “Oggi”, Marianna Aprile, è stato presentato il libro “Con la cultura non si mangia?” (La nave di Teseo, 2022) di Dario Franceschini, Ministro della InCultura.sala erano presenti anche Elisabetta Sgarbi, Direttore generale ed editoriale, Eugenio Lio, Editor in chief della casa editrice “La nave di Teseo”, insieme a Vittorio Sgarbi, politico e critico d’arte. Il titolo è volutamente provocatorio e tante sono le risposte. Tra quelle che possono venirci in mente, (Continua a

di Ludovico Albertini

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Ci unisce e differenzialacultura

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alcune sono state date da Evelina Christillin, Presidente Museo Egizio di Torino, Lorenzo Casini, Presidente Lega Calcio Serie A, e dallo stesso autore. Con la pandemia abbiamo (ri)scoperto spazi sconosciuti, come il silenzio, la casa, la solitudine. È stato un periodo nel quale la vendita di libri è aumentata notevolmente, perché “avevi il tempo” ed esso veniva dedicato anche alla lettura: «La cultura non è solo il racconto di quello che siamo stati e che siamo, è il centro di una strategia per rilanciare lo sviluppo, per costruire un paese più inclusivo e accogliente, più forte nello scenario europeo e internazionale. Un Paese aperto al futuro. La vera sfida, quella che dovrebbe appassionare e coinvolgere tutti, istituzioni, autori, editori, distributori vecchi e nuovi, deve essere quella di allargare la platea dei lettori. Su questo fronte ci sono dei luoghi comuni da sfatare. Uno è quello che dipinge le nuove generazioni come allergiche alla lettura, una (Continua da pagina (Continua a pagina

da pagina(Continua21) a

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visione stereotipata, che non trova riscontro nella realtà. I dati testimoniano il contrario: giovani e giovanissimi rappresentano il segmento di popolazione italiana in cui si legge di più. Il tema è capire perché una volta entrati nell’età adulta si perde questa abitudine, ovvero, si verifica una sorta di selezione della “specie resistono solo i lettori più determinati e motivati. La scommessa, dunque, è irrobustire e consolidare l’attitudine alla lettura, far scoccare la scintilla di una passione che possa resistere al tempo e all’ingresso nel mondo adulto, in una platea larga e non solo nel recinto di pochi motivatissimi divoratori di pagine». La cultura, però, non è solo leggere, ma possiamo ritrovarla anche col turismo: attraverso viaggi verso mete che prima non avevamo mai visto o “nelle seconde case spesso abbandonate, ma anche verso destinazioni più vicine a noi e non all’estero. «Con 18app abbiamo tentato (Continua pagina

Un aspetto fondamentale che ha ricordato in conclusione Piergaetano Marchetti è che «finiti i bombardamenti, la Liberazione due cose si restaurarono a Milano: il Teatro alla Scala e la Pinacoteca di Brera». L’orgoglio di ripartire proprio da luoghi di cultura, ci fa capire quanto essa sia stata e sempre sarà indispensabile. «Chi viene nel nostro Paese, sostiene il Ministro, deve vedere il Colosseo, Venezia, Firenze, Pompei e anche i Bronzi di Riace. Non esiste, però, più il turismo solo per ammirare le cose ma anche per viverle. L’Italia ha un patrimonio tutto da scoprire. Per questo servono la promozione, le infrastrutture, collegamenti con gli aeroporti, strade comode e sicure e l’alta velocità». Quindi, alla domanda posta dal libro possiamo, rispondere in maniera affermativa, perché la cultura è parte della nostra vita. (Continua da pagina 22)

23 M S di dare un impulso, un segnale, partendo da una consapevolezza: i consumi culturali si alimentano a vicenda, non sono in competizione fra loro. Tendenzialmente chi legge libri va a teatro, al cinema o ai concerti, visita i musei più della media. E comunque la stragrande maggioranza dei buoni viene spesa in libri. Investire sull’istruzione, sulla cultura e sulla conoscenza significa offrire a tutti le stesse opportunità. La promozione della lettura in questo senso è un tema profondamente democratico, l’idea stessa delle biblioteche pubbliche nacque così: non per creare depositi di libri ma per rendere l’educazione e la libertà il più possibile diffuse».

(Continua a pagina 25) Futuri visionari

Quando mi era stato annunciato l’incontro con Parisi, in realtà, io mi aspettavo, e speravo, da amante della materia, che si parlasse principalmente di fisica. Inizialmente, quindi, sono rimasto un po’ deluso; poi, riflettendoci, mi sono accorto che c’era qualcosa di importante da cogliere. In effetti, il professore non ha usato termini e linguaggi tecnici come ci si aspetterebbe da un premio Nobel e non si atteggiava a “personaggio”. Era, invece, un divulgatore, un esempio di qualcuno che aveva già trovato la propria strada e l’aveva percorsa, contribuendo ad allargare il campo della conoscenza. “Insieme per capire” è la serie d’incontri organizzati dalla “Fondazione Corriere della Sera” e dal gruppo “Esselunga”, in collaborazione con importanti giornalisti ed esperti del mondo culturale, artistico e scientifico. “Costruiamoci il futuro” è il titolo della “lezione on line” che ha visto come protagonista il professore di fisica Giorgio Parisi, vincitore del premio Nobel 2021, per la scoperta “dell’interazione tra disordine e fluttuazioni nei sistemi fisici dalla scala atomica a quella planetaria”. In realtà, lo stesso docente, nella prima parte dell’incontro, ha affermato come quella motivazione sia molto compatta e poco dettagliata riguardo la scoperta in sé, tanto che neanche lui, sin da subito, era riuscito ad intendere a quale scoperta il premio si riferisse. In effetti, le poche righe sintetizzano al loro interno una grande varietà di sistemi

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25 M S fisici, «dalla scala atomica a quella planetaria”. Gli studi premiati spiegavano fenomeni e modelli che introducono il concetto di complessità: “dalla scala », di cui un esempio sono gli studi su modelli di materiali (reti di spin), «…a quella planetaria», la quale comprende fenomeni come le glaciazioni (mondiali) periodiche, dipendenti da un elevato numero di variabili. Altri esempi, invece, di fenomeni a metà tra le due scale sopracitate sono: la propagazione del fronte di fiamma sulla cartina di una sigaretta e la propagazione di una macchia di inchiostro, a cui i premi Nobel per la fisica sono riusciti a dare una spiegazione con un’equazione. Se l’introduzione dell’incontro ha consegnato una visione generale della fisica dietro il premio, le altre domande del giornalista Iacopo Gori sono state di natura diversa: alcune riguardavano il suo percorso come studente prima e fisico poi, mettendo in luce alcuni aspetti dell’ambiente in cui ha vissuto e lavorato, altre, soprattutto quelle rivolte dagli studenti, hanno riguardato il discorso sul futuro.

Per uno scienziato che voglia intraprendere la strada della ricerca, può essere particolarmente utile qualche anno fuori dall’Italia al fine di acquisire conoscenze, metodologie, competenze e valori nuovi. Un dato che può influire su (Continua da pagina 24) (Continua a pagina 26)

Per quanto riguarda l’esperienza maturata sul campo, sebbene abbia avuto un enorme successo, molto, secondo me, è dovuto a due fattori: il primo è l’utilità dello studio, o lavoro all’estero, mentre il secondo si basa sul rapporto che sussiste tra scienza e politica.

questa tendenza è anche il taglio di fondi per lo studio, almeno nel nostro Paese, il quale diminuisce le aspettative dei tanti giovani costretti ad Ancoraemigrare.più

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complesso è il legame tra ricerca e politica, l’una proiettata verso un futuro a lungo termine, l’altra spesso, non conoscendo problematiche e tempi, esige delle applicazioni e soluzioni immediate. In realtà, esiste una generale diffidenza nei confronti della cultura, causata da lacune nel metodo con cui viene trasmessa e da semplificazioni che portano a informare anziché formare. Frequentemente, ha affermato il professore, ciò che manca è l’insegnamento del metodo scientifico in sé, di come uno scienziato giunga a delle certezze. A dire il vero, non si può neppure parlare di certezza assoluta: «la caratteristica fondamentale della scienza è che, ogni volta che fa un’affermazione, dà il suo limite di validità». Lo scienziato convive con l’incertezza, ossia con i limiti dentro cui una determinata previsione è valida.

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Le previsioni meteo possono essere un esempio legato ai dubbi: partono da un’analisi di probabilità, ma segnalano solo a volte la percentuale che l’evento atmosferico si avveri. Si dice (indicando aree geografiche ampie e diverse orograficamente) “domani pioverà” e, invece, gli ombrelli restano chiusi. Ciò si traduce in progressivo scetticismo verso le Parisiscienze.ci

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avverte: «Si può usare anche la storia per prevedere il futuro, ma per quanti discorsi possiate fare per prevedere il futuro, questo vi sorprenderà». Dunque, il futuro ci meraviglierà e lo farà, soprattutto, con noi giovani, più sensibili verso questo argomento. Non a caso molti degli studenti hanno chiesto prospettive per il domani: come faremo con l’inquinamento? Sarà necessario ridurre i consumi? Da dove potremo ricavare l’energia che ci serve? Le risposte dipendono dai comportamenti mondiali. È necessario un impegno sia individuale, per ridurre i consumi, sia generale, che coinvolga l’arte del buon governo. Si veda il tema dell’energia nucleare, che promette altissimi standard di sicurezza ed efficienza con i reattori di quarta generazione, ma da noi sarebbero pronti tra almeno dieci anni. Come si può affrontare allora il futuro? Che cosa può fare un ragazzo con tutta la vita davanti? «Conosci te stesso suggerisce il nostro premio Nobel e non essere timido sui tuoi sogni». (Continua

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28 M S Tempus fugit di Marco Arena, Giulia Sardi Proviamo ad immaginare un mondo in cui il tempo non esiste. Tutto sarebbe immutabile, fissato in uno stato perenne. Anzi, neanche quell’eternità avrebbe alcuna ragion d’essere. Il nostro universo, invece, è in continuo movimento, reso possibile solo grazie al tempo, che scandisce ogni cosa secondo un prima e un dopo. Il tempo è immanente nella nostra esistenza, ma, talvolta, non ci accorgiamo di come esso sia uno degli elementi fondamentali di tutto lo spazio. Se qualcuno chiedesse che cosa sia, non sarebbe così semplice dare una risposta, eppure innumerevoli personaggi ci hanno tentato tra filosofi, religiosi, scienziati. Proprio per la natura affascinante di questa domanda, la serie d’incontri “Insieme per capire”, organizzata dalla “Fondazione del Corriere della sera”, in collaborazione con esperti del mondo culturale, artistico e scientifico, ha riservato una lezione on-line al tema. L’incontro “Tempo, tra fisica, filosofia o mito” ha avuto come ospite Guido Tonelli, professore ordinario di Fisica Generale presso l’Università di Pisa, partecipante e portavoce dell’esperimento CMS presso il CERN, che ha portato alla scoperta del bosone di Higgs. In quanto fisico, il docente non ha voluto intraprendere discorsi filosofici o religiosi, che sarebbero andati ben oltre le sue competenze, bensì si è fatto portavoce delle risposte che la scienza moderna propone sulla questione “tempo”. Come mai non della scienza in generale, ma solo di quella «Bisognamoderna?tenere in considerazione che, prima della scienza moderna, il concetto di tempo non era affatto estraneo, né a filosofi e scienziati, né al popolo. È il caso di accennare a Newton, uno dei padri della scienza come la conosciamo oggi. Deriva proprio da lui la concezione assolutistica di tempo, comune per tutti noi, considerato slegato da un qualsiasi luogo ed uniforme ovunque, un’esistenza in sé per sé. In questo modo, anche se ci sovrasta, il tempo può diventare (Continua a pagina 29)

29 M S strumento ed è ciò che effettivamente è successo. Misurandolo, via via con maggiore precisione, a pari passo con le necessità e il progredire della tecnologia, l’uomo ha da sempre cercato di strumentalizzarlo, senza quasi accorgersi del dominio che in realtà permane». È la routine che scandisce le nostre vite e Tonelli ce lo racconta attraverso un esempio: «non andiamo più a dormire perché siamo stanchi, andiamo a dormire perché è arrivata l’ora». Siamo abituati a questa concezione assolutistica di tempo da ormai quattro secoli. Ma allora cosa cambia tra il pensiero di Newton e la proposta moderna? La risposta sta in una rivoluzione, quella di inizio Novecento, il cui protagonista, nonché fautore, fu Albert Einstein (Ulma, 14 marzo 1879 - Princeton, 18 aprile 1955): il suo esperimento mentale mette in crisi la relatività classica, quella galileiana. «Supponiamo di essere su un treno che si muove in una direzione a velocità costante. Lanciando un oggetto, un sasso, nella stessa direzione del treno, la sua velocità (per qualcuno fuori dal treno) non è solo quella impressa dal lancio, va sommata anche la velocità del treno (relatività classica). In questo caso però Einstein immagina di “lanciare” un fotone, una particella di luce, che si muove a velocità C (300.000 km/ s), la massima consentita. Poiché, appunto, C è il limite, il fotone non potrà avere una velocità di C sommata a quella del treno. La sua velocità finale rimarrà C, mandando in crisi la relatività galileiana. Ma cosa lega tutto ciò al tempo? La velocità, che prima era intesa in funzione dello spazio e del tempo (v=s/t), ora è costante. Diventa necessario cambiare la concezione di spazio e di tempo, che diventano legati: dipendono uno dall’altro, ma soprattutto dalla velocità. Einstein inizia a parlare di spazio e tempo uniti (spazio tempo), influenzati dalla velocità, perciò dagli oggetti che si muovono. Più qualcosa è veloce, più lo spazio tempo ne è condizionato. La rivoluzione è proprio il passaggio dal considerare il tempo come qualcosa d’indipendente dallo spazio e dagli avvenimenti, ad intenderlo, invece, relativo rispetto (Continua da pagina 28) (Continua a pagina 30)

30 M S ad un luogo e alla velocità. Einstein non si limita solo a ridefinire lo spazio e in tempo, anzi cambia anche le concezioni di massa ed energia: ognuno di noi ha sicuramente sentito parlare di ‘E=mc²’, o almeno è molto probabile. In ogni caso, la formula evidenzia come massa ed energia in realtà coincidano. Anzi, dirò di più. Dieci anni dopo, Einstein sconvolse di nuovo la scienza: se prima si era dedicato alle particelle, corpi molto leggeri (relatività speciale), successivamente compie un passo agli antipodi, preoccupandosi di oggetti supermassicci (galassie e stelle). Inserisce la gravità all’interno della sua relatività e ne ridefinisce il concetto: forza che non agisce a distanza, ma conseguenza della deformazione dello spazio tempo. Nella sua “equazione di campo” Einstein congiunge spazio tempo e massa ed energia. Non è solamente la velocità di un oggetto a deformare lo spazio-tempo, ma anche la sua stessa presenza, quindi la massa: un po’ come succede quando, mettendo un peso al centro di un telo, un secondo peso, posto invece ad una estremità, viene attirato al primo seguendo la curvatura della superficie. Quando ci si immagina la gravità si può prendere come riferimento questo esempio e provare, nella propria mente, ad aggiungere la terza dimensione. Bisogna pensare che la stessa cosa accade anche con il tempo: la presenza di massa (di scala planetaria) può dilatarlo o contrarlo, farlo scorrere più velocemente o più lentamente». Le scoperte di Einstein hanno avuto, in realtà, innumerevoli implicazioni, che tengono in considerazione questa nuova concezione di tempo. Un esempio sono le onde gravitazionali, soluzioni ondulatorie all’equazione di Einstein: consistono letteralmente in “vibrazioni” dello spaziotempo, che, se si può deformare, allora dev’essere materiale, così come la massa e l’energia. Data l’esuberante quantità di energia necessaria a causare queste vibrazioni, inizialmente si pensava fossero solo delle “curiosità matematiche”, delle pure soluzioni dell’equazione. Si credeva che non potessero esistere dei corpi celesti abbastanza energetici da causarle, tuttavia oggi sappiamo che ciò non è vero: una (Continua da pagina 29) ( (Continua a pagina 31)

In generale, i buchi osservati finora sono stati suddivisi in macrocategorie: l’accademico ricorda i buchi neri compatti e quelli supermassicci, «i primi di massa relativamente ridotta, circa 30/40 masse solari, e diametro di poche decine di km, mentre gli altri, proprio come dice il nome, esageratamente massivi (milioni di masse solari), ma che non sono necessariamente altrettanto densi. Certamente, sono dei corpi celesti molto misteriosi; inoltre, proprio come le onde gravitazionali, anche loro fanno parte di quelle implicazioni e conseguenze della relatività di Einstein. Teoricamente sono stati scoperti (Continua da pagina 30) (Continua a pagina 32)

collisione tra buchi neri è in grado di far vibrare lo spazio tempo. Ma cosa sono i buchi neri? E come mai hanno così tanta energia?

Il professore Tonelli, mentre spiega come vengono avvistati, li chiama “stelle invisibili”: «In un sistema binario con una stella ed un buco nero, una parte della materia della stella viene attirata e si attorciglia ad una zona nera dello spazio, il buco nero. Sebbene sembrino dei buchi, in realtà non sono altro che veri e propri corpi celesti, che appaiono neri a causa della loro enorme massa. Si formano, infatti, quando la massa si concentra talmente tanto in una zona relativamente piccola e, di conseguenza, la gravità diventa abbastanza forte da non permettere neanche alla luce di scappare, motivo per cui ci appaiono neri. Da un punto di vista relativistico, avvicinandosi al buco nero, il tempo si dilata, rallenta, fino a quasi fermarsi al centro del buco, dove la massa si concentra (singolarità). In questa situazione neanche la luce sarebbe abbastanza veloce per controbilanciare la dilatazione temporale. Proprio per la natura intrinseca dei buchi neri, nessuna informazione riesce a uscire dall’orizzonte degli eventi, perciò non conosciamo effettivamente cosa ci sia e quale sia la struttura sottostante». Tuttavia, il professore suggerisce che, forse, catalogando ed analizzando una grande varietà di collisioni tra buchi neri, potremmo riuscire studiarli statisticamente, proprio perché la collisione è l’unico fenomeno di cui riusciamo ad avere informazioni, sotto forma di energia.

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32 M S vari tipi di buchi neri, tutti soluzioni dell’equazione di Einstein, e quindi potenzialmente esistenti. Dico “potenzialmente” in quanto solo di alcuni conosciamo l’esistenza effettiva. Un’altra teoria affascinante è quella del viaggio nel tempo, ripresa anche in alcuni film come “Interstellar”. Ipotizzando, per esempio, di vedere un fotone che impiega diversi anni per raggiungere la destinazione, dalla prospettiva dello stesso fotone saranno passati solamente un paio di secondi, a causa della dilatazione temporale. Allo stesso modo, avvicinandosi ad un corpo massiccio, come un buco nero, qualche ora trascorsa nelle sue vicinanze corrisponderebbero ad anni terrestri. In teoria, perciò, il viaggio nel futuro sarebbe possibile avvicinandosi ad un buco nero o viaggiando alla velocità della luce, ma chiaramente il problema è tecnologico. Chissà se un giorno saremo in grado di trovare una soluzione!» Durante l’incontro sono state poste alcune domande dai ragazzi come: riguardo la velocità della luce C, per esempio, è vero che è invalicabile? Non è che forse anche C dipende dal luogo? È sempre stata la stessa? Indipendentemente dalle risposte a queste domande, che ancora non abbiamo, il professore sembra metterci in guardia dalle teorie che non tengono in considerazione il tempo come elemento fondamentale. Lui stesso afferma che: «capendo cosa siano massa-energia e spaziotempo, si può comprendere l’intero universo. Quello che noi chiamiamo vuoto, per esempio, altro non è che uno stato materiale in cui da 0. Tutto ciò non esclude che l’universo possa essersi generato autonomamente dal vuoto, producendo due soli materiali: spazio tempo e massa energil’energia, la quantità di moto e la carica sono pari a zero. Tuttavia ciò non esclude, anzi il contrario si scontrerebbe con il principio di indeterminazione di Pauli, che lo 0 sia la somma di una realtà più complessa. Mi spiego meglio: il vuoto sarebbe uno stato materiale pieno di fluttuazioni quantistiche, delle “bollicine” di spazio tempo o di massa energia, entrambi materiali, che si formano e spariscono di continuo. Le somme di energia, quantità di moto e carica saranno pari a 0, ma le singole quantità, rispettive alle singole fluttuazioni, saranno negative o (Continua da pagina 31) (Continua a pagina 33)

Standard.positive,

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Guido Tonelli è un fisico, accademico e divulgatore scientifico italiano. Nato a Casola in Lunigiana l’8 novembre 1950 si è laureato in fisica all’università di Pisa nel 1975. Ha iniziato ad insegnare nello stesso ateneo nel 1992, quando gli è stata offerta la cattedra di Fisica Generale al corso di Laurea in Ingegneria Informatica, e ha continuato ad insegnare fino alla pensione. A partire dal 1976 ha lavorato nel campo della fisica delle alte energie, partecipando agli esperimenti NA1, NA7 e ALEPH al CERN di Ginevra, e all’esperimento CDF al Fermilab di Batavia. Fra i suoi contributi alla fisica ricordiamo le prime misure di precisione della vita media dei mesoni contenenti quark charm, test sperimentali di precisione delle interazioni fondamentali de Modello standard, ricerche del bosone di Higgs, di particelle supersimmetriche e di fisica oltre il Modello standard. Il 13 dicembre 2011, insieme a Fabiola Gianotti, portavoce di ATLAS, presenta in un seminario al CERN i primi dati di CMS sulla presenza del bosone di Higgs intorno a una massa di 125 GeV/ c 2. Tale evidenza viene confermata dagli ulteriori dati acquisiti nel 2012, raggiungendo la fatidica soglia statistica delle 5 sigma e consentendo, il 4 luglio 2012, l'annuncio da parte dei due esperimenti condotti con l'LHC dell'osservazione di un nuovo bosone compatibile con il bosone di Higgs. I nuovi risultati presentati da ATLAS e CMS alla Conferenza di Moriond il 14 marzo 2013, confermano che la particella osservata sia un bosone di Higgs del Modello ma in ogni caso diverse da 0. Tutto ciò universo possa essersi generato autonomamente dal vuoto, producendo due soli Avendo chiara questa nuova concezione di tempo, come facciamo a superare quella umana assolutistica? E in ogni caso, se riuscissimo ad abituarci, cosa cambierebbe nella nostra esistenza? Il fisico non crede che sia necessario stravolgere tutto, in fondo la vecchia idea di tempo ci può essere ancora utile sulla terra. Ciò che va colto e compreso è un messaggio più profondo. Non bisogna avere la presunzione di poter dominare il tempo, non dipende da noi. Dopotutto, come potrebbe dipendere dall’uomo, una parte irrisoria incastonata nel meccanismo grandioso dell’universo?

34 M S di Elisa Bozzi «La pandemia è stata dolorosa per i morti e la sofferenza che ha provocato direttamente in quanto malattia, senza dimenticare i numerosi strascichi e il numero di persone a cui ha inibito le cure o le visiter degli ospedali». Se il nuovo allarme per la variante Omicron 5 suscita nuovi dubbi e paure le parole di Massimo Galli, ex professore ordinario di Malattie infettive all’Università Statale di Milano e primario nell’Ospedale Sacco dal 2008 al 2021, restano un punto di riferimento importante. Il suo ultimo libro, “Gallipedia. Voglio dire...” (Vallecchi, 2022), è un racconto, scritto grazie alla collaborazione con la giornalista Lorella Bertoglio, sulla propria esperienza lavorativa a contatto con le malattie infettive e sugli ultimi anni passati ad affrontare la pandemia. Il titolo del

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enciclopedia vivente e noi, incontrandolo alla presentazione tenutasi presso la libreria Mondadori di Piazza Duomo a Milano, gli abbiamo chiesto di chi a quella “infinita conoscenza” crede poco: tanti l’accusano di aver sbagliato le previsioni sul Covid19, che cosa risponderebbe ora con il senno di poi? «Quelli che mi accusano dovrebbero anche rivedere le previsioni degli altri. Io credo che due siano le cose che hanno influito sulle nostre previsioni. Primo, tutti quanti noi, non uno escluso, ci siamo illusi verso la meta di febbraio che le cose andassero meglio di quanto stavano andando e che nessuno di noi poteva (Continua a pagina

In questi due anni, pur sotto il cappello della scienza tante sono state le voci dissonanti tra loro, perché? (Continua da pagina 35) (Continua a pagina 37)

immaginare che il sistema territoriale stesse fallendo in maniera clamorosa nell’identificare la presenza della malattia. Ricordo che all’epoca della Sars 1, nel 2003, in Italia avevamo avuto in tutto quattro casi e nessuno di questi aveva causato altre infezioni clinicamente rilevate. Era abbastanza difficile, con questo tipo di esperienza alle spalle, decidere di chiudere tutto. Il 20 Febbraio 2020 quel primo caso a Codogno (LO) e ciò che accadrà nei giorni successivi ci hanno pesantemente disilluso, dimostrando che avevamo ormai migliaia e forse più casi in tutta la Lombardia e in gran parte del Nord. Qualche cosa doveva spiegare questa diversità. La spiegazione è saltata fuori con il tempo: il massimo dell’infettività raggiunta da una persona affetta da Covid 19 è nei primi dieci giorni dalla contrazione, mentre nel caso della Sars del 2003 questa ricadeva nel periodo durante il quale i pazienti erano in ospedale. Tale connotazione e anche la presenza di una consistente quantità di casi asintomatici ha portato il Covid 19 ad essere altamente diffusivo. Tutto questo nessuno lo poteva sapere prima, ovviamente. In secondo luogo, avevo detto che il rischio da parte del Governo, rischio cosiddetto “ragionato”, riguardante le possibilità di riapertura era un rischio “ragionato, ma calcolato male” e ne sono ancora convinto. Quando il Governo ha preso determinate decisioni, in India si era manifestata la variante Delta; c’erano centinaia di migliaia di casi ufficiali al giorno ed era altamente verosimile che questa variante ci arrivasse addosso da un momento all’altro quando ancora il numero dei nostri vaccinati era molto basso. C’è da dire che per fenomeni assolutamente imprevedibili la variante ha dato il segno di sé in Italia molto dopo e, quindi, abbiamo fatto un’estate relativamente tranquilla».

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La terapia medica contro le malattie può essere uguale per tutti?«In medicina di uguale per tutti non c’è mai nulla. Ciascuno di noi è un unicum, geneticamente diverso dagli altri e come tale può rispondere meglio o peggio a determinati farmaci o vaccini. Questo è il vero problema di fondo che dev’essere sempre considerato. È evidente che la sperimentazione medica consente di dare delle indicazioni standardizzate per l’utilizzo di determinati farmaci i quali possono essere considerati come in grado di risolvere specifiche problematiche individuali e non solo quelle dell’intero gruppo e dell’intero genere umano. Resterà, però, sempre chi risponderà meglio e chi peggio, chi sarà portatore di una malattia clinica che non gli consentirà spazio di risposta, come chi in pochi giorni avrà risultati clamorosi. Dipende anche dal tipo di malattia». Durante la pandemia per far fronte all’emergenza sono state trascurate altre patologie, quali conseguenze potrebbero esserci? «Ci sono già evidenti e clamorose conseguenze. Ci sono stati dei decessi in più rispetto al previsto durante il periodo pandemico per una serie di malattie nei confronti delle quali non si è potuta mantenere la gestione corrente. Ci sono persone che hanno preferito evitare di recarsi negli ospedali, anche quando sarebbe stato necessario, temendo che questi ultimi fossero una sede per ammalarsi, soprattutto durante la prima fase della pandemia. Abbiamo migliaia e migliaia di visite di controllo e d’interventi chirurgici che non hanno avuto la possibilità di essere svolti da pagina 36) (Continua a pagina 38)

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«Innanzitutto bisogna un po’ distinguere tra le dissonanze date anche, in fondo legittimamente, dalla scarsa conoscenza che si poteva già avere di una malattia completamente nuova e che, quindi, abbiamo dovuto tutti apprendere in corso d’opera, e quelle dovute a motivi diversi in cui certe affermazioni venivano fatte basandosi su motivi che di scientifico avevano poco. Sono venute anche dal mondo della scienza? Sì, sono venute da alcune persone che avrebbero dovuto per la qualifica e per la posizione che ricoprono avere informazioni, capacità di giudizio, dati di studio migliori di quelli che hanno espresso».

M S nei tempi previsti. Questo ovviamente ha una importanza rilevante, pesa in maniera molto marcata sulla possibilità di un reale passaggio indolore della pandemia. È il motivo per il quale ritengo fondamentale contenere i (Continua da pagina 37)

M S il pidocchio. È chiaro che in entrambe le circostanze bisogna avere situazioni in cui ci sia intimità con questi animali e questo spiega le differenze. Recentemente ho partecipato alla scrittura di una monografia riguardante la peste a Milano del 1630, che si concentra sulla processioneantefatto studio sui morti registrati a Milano in quel periodo, che erano aumentati in maniera netta dopo quella processione, però sono aumentati in modo molto marcato nei quartieri centrali della città, mentre avevano raggiunto già un picco in quelli periferici. Quindi la domanda è: questo fenomeno è stato legato alla stagione estiva che ha facilitato la trasmigrazione, per altra della città portando la malattia più che quanto potessero fare gli umani, o se la sono trasmessa le persone durante la processione passandosi i pidocchi e, in subordine, (Continua da pagina 38)

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Ecco, una manifestazione ampia all’aperto facilita la diffusione per contatto stretto di malattie che si trasmettono per via aerea, molto meno per quanto riguarda le malattie da vettore. Qualcosa è successo e ha causato la diffusione della peste nei mesi di luglio agosto. Ciò giustificherebbe per la cosiddetta “peste manzoniana” del 1630 un evidente rapporto con le condizioni di stagione. Esattamente lo stesso si è visto in tutte le grandi epidemie pestose. come quella del 1485, di cui mi sto occupando in questo periodo, peste bubbonica della quale abbiamo dati finissimi, addirittura sul posizionamento dei bubboni e degli ascessi che causava. Si parla di una peste bubbonica, una peste che, comunque, fra le tante ebbe una grande diffusione in città». I vaccini di nuova generazione a RNA possono essere usati anche per altre malattie infettive? pagina pagina

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«Assolutamente sì. Anzi, credo che rappresentino il futuro, non soltanto come vaccini, ma anche come farmaci in ambito oncologico: l’utilizzo dell’RNA messaggero per far esprimere a determinate cellule determinati antigeni, che poi possano essere fonte di attivazione del sistema immune, potrà essere una loro applicazione. È stato dimostrato con fin troppa chiarezza che essi vincano nel confronto con i vaccini a vettore virale, quelli che abbiamo utilizzato e che si sono dimostrati per esempio efficaci sull’Ebola. Nel caso del Covid, se il vaccino a vettore virale non fa effetto alla prima dose ci troviamo davanti ad una realtà più triste: il secondo o il terzo utilizzo di questi vaccini sono sempre meno in grado d’indurre una risposta efficace, perché il nostro organismo reagisce anche contro il vettore, non soltanto contro il virus. Purtroppo questo tipo di vaccino funziona solo come la e se hanno bisogno di richiami non risulta Nonostanteottimale». tutto, sicuramente, la medicina, come ci dimostra il dottore Massimo Galli, non perde la speranza nel futuro e nelle nuove tecnologie. Un ancorapandemiaspera,rassicurante,auspiciosidopoannidinonsuperata.

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42 M S di Giulia Sardi, Giulia Vallini Ilaria Capua si è laureata in medicina veterinaria presso l’Università di Perugia, ha ottenuto la specializzazione all’Università di Pisa e ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università di Padova. Ha dedicato gran parte della sua carriera professionale alla virologia, approfondendo tematiche specifiche in diversi laboratori all’estero. Durante la sua carriera da virologa si è concentrata sulle infezioni virali degli animali che si possono trasmettere agli uomini e che aumentano il rischio di povertà e sicurezza alimentare. Nel 2007 ha ricevuto il premio “Scientific American 50” e nel 2008 è stata inclusa fra le “Revolutionary Minds” dalla rivista americana “Seed”. Passano quattro anni è risulta la prima donna a vincere il “Penn Vet World Leadership Award”. Dal 2013 al 2016 è stata vicepresidente della Commissione Scienza, Cultura ed Istruzione alla Camera dei OggiDeputati.dirige il Centro di eccellenza “One Health” dell’Università della Florida che promuove l’avanzamento della salute come sistema integrato attraverso approcci interdisciplinari. Da questa esperienza è nato il concetto di “Salute Circolare” che vede la salute come un sistema integrato che includa oltre alla salute dell’uomo, quella delle piante, degli animali e dell’ambiente. Dal 1993 a oggi ha pubblicato oltre 220 articoli (Continua a pagina 43) Piccoli esseri

43 M S su riviste internazionali e testi scientifici.

Durante l’incontro con le scuole del 10 maggio 2022 ha dimostrato ai ragazzi di tutta Italia come la salute dell’uomo sia effettivamente collegata con la salute del nostro pianeta. La discussione ha preso avvio dalla pandemia di Covid-19, che ci ha messi di fronte al disequilibrio creato nel rapporto con la natura, alla nostra vulnerabilità e all’arbitrarietà dell’organizzazione sociale e del concetto stesso di salute pubblica. «Questa è l’occasione per ripensare la nostra scala di valori e i nostri modelli di riferimento, riconoscendo che la salute dell’uomo e quella degli animali, delle piante e dell’ambiente sono interconnesse e che ogni nostro gesto ha un impatto sul sistema chiuso che è la Terra: se vogliamo tutelare noi stessi, quindi, dobbiamo considerare l’intero sistema, perché la salute dell’Homo sapiens dipenderà anche da quella degli animali e dell’ambiente. La connessione tra natura e uomo risulta sempre più evidente. Pensiamo alla nostra alimentazione: se quello che noi portiamo in tavola non è sano, nuocerà alla nostra salute. Non basta, però, preoccuparsi di animali e piante, che sono le nostre fonti di cibo, dobbiamo pensare anche ad aria ed acqua. Le polveri sottili presenti nell’aria aumentano il rischio di infezioni respiratorie e le acque inquinate rappresentano un considerevole rischio per la salute dell’ Dobbiamouomo.essere consapevoli di vivere nell’antropocene, l’era in cui l’essere umano è in grado di modificare l’ambiente intorno a sé. (Continua da pagina 42) (Continua a pagina 44)

Questa capacità può causare l’estinzione di moltissime specie, ma, allo stesso tempo, può essere la soluzione. Bisogna capire come le attività che svolgiamo influiscano sull’ecosistema per migliorare il nostro impatto ambientale e trovare un equilibrio globale tra le Unspecie».altroaspetto

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a cui la dottoressa Capua ha voluto dare particolare importanza è il microbioma terrestre, ovvero la popolazione di batteri che vivono sulla Terra. «Al contrario di quanto siamo abituati a pensare, la maggior parte dei batteri del pianeta sono“buoni”. Con la diffusione degli antibiotici e lo scorretto smaltimento che ne deriva, stiamo distruggendo i batteri buoni, mentre quelli “cattivi” mutano, diventando così superbatteri resistenti agli antibiotici. La pandemia da Covid 19 è un esempio concreto di salute circolare, in quanto ci ha mostrato come un virus possa passare tra specie diverse del regno animale. Alla fine dell’intervista, condotta da Massimo Sideri, spazio alle domande dei ragazzi lette dal giornalista con risposte chiare e che hanno affrontato, tematiche diverse, come quella del cambiamento climatico. Tra le tante, abbiamo scelto di segnalarne alcune: Sarebbe possibile vivere senza plastiche? Esistono prodotti non inquinanti, ma altrettanto efficienti? «Allora, io non sono un’esperta di plastiche, un mondo fantastico, però produrre plastica com’è stato fatto finora costa poco e inquina tanto. Noi dobbiamo abituarci ad usare, come stiamo facendo, i sacchetti biodegradabili (quelli dei supermencati), che sono, sostituti della plastica. Bisogna investire in ricerca. Credo che oggi non abbiamo le soluzioni, però di sicuro, non possiamo continuare a produrre tutta questa plastica. Dobbiamo inventarci degli altri sistemi per far funzionare questa contemporaneità, che però, deve contenere meno plastica, cioè bisogna andare verso una riduzione».

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Lo sviluppo, anche distorto, avvenuto fino ad oggi, ha consentito di migliorare la vita di molti e un aumento della popolazione, ma queste cose stanno rovinando l’ambiente. Siamo destinati a dover diminuire il benessere di molti per salvare il Pianeta? «Dobbiamo fare delle cose in maniera diversa. Il benessere è una parola che può abbracciare moltissime attività. Io credo che la parola d’ordine per il futuro sia flessibilità. Abbiamo bisogno di mettere in discussione determinate cose fatte finora e noi adulti dobbiamo stimolare i ragazzi a capire quali siano le tematiche sulle quali intervenire e dobbiamo sostenerli. Dovremo rinunciare a qualcosa, forse sì. Mi ha colpito molto una cosa detta da mia figlia, che ha più o meno la vostra età: “Mamma, ma tu lo sai che se continuiamo a questi ritmi di consumo delle risorse del pianeta, anche squilibrato, perché il cambiamento climatico è legato ai gas serra, (dovuti alla combustione di carburanti fossili etc), non riusciremo a raggiungere il target del grado e mezzo in meno, la mia generazione è l’ultima che avrà l’aspettativa di vita vostra?” Gli esseri umani sono programmati per vivere un certo numero di anni. Noi siamo riusciti ad allungare questo periodo di vita sulla Terra. I figli di mia figlia, cioè i vostri figli, non avranno questa aspettativa di vita, perché avremo talmente preso a calci il nostro sacco amniotico che non ci saranno risorse, ci saranno situazioni meteorologiche estreme, ci saranno squilibri giganteschi che potranno portare alla morte di tante persone. Secondo me, non abbiamo molta scelta e abbiamo, però, una finestra di opportunità incredibile, cioè la da pagina a pagina

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consapevolezza dataci dalla pandemia. Questi eventi devastanti, come la pandemia, portano con sé energia distruttrice. Questa lezione, questa sveglia che c’è stata data noi dobbiamo recepirla e, se non lo facciamo adesso, ci tocca aspettare la prossima pandemia. Secondo me, a quel punto siamo già troppo avanti. Un concetto che mi piacerebbe afferraste è quello legato al punto del non ritorno. Se noi continuiamo a prendere a martellate il nostro Ambiente, lo trattiamo con le nostre peggiori intenzioni e ce ne freghiamo, buttiamo le batterie dentro l’indifferenziato, non guardiamo dove buttiamo i farmaci, continuiamo a inquinare, a bruciare e a tenere condizionatori accesi, eccetera, eccetera, arriveremo al punto di non ritorno nell’equilibrio del Pianeta. Io mi auguro veramente che l’homo sapiens, noi ci chiamiamo homo sapiens, perché Madre Natura ci ha dotato di una macchina di pensiero che è forse la cosa più più importante e più bella che abbiamo, ecco usiamo il nostro cervello, però non solo per farci gli affari nostri e per essere, appunto, invasori e distruttori, ma capendo che siamo parte di un sistema “obbligato” a rimanere in equilibrio». Secondo lei, in futuro, potrebbero verificarsi altre pandemie simili a quella da Covid-19? «Di sicuro. Allora, cari ragazzi, come vi ho detto prima, noi apparteniamo alla casella animali. È abbastanza normale che fra gli animali ci si passi delle malattie, anche fra un cane e un gatto, che sono due specie molto diverse, e le pandemie avvengono da sempre, finché c’è uomo ci sarà pandemia, perché alcuni di questi virus che circolano nel serbatoio animale possono fare il salto di specie, se noi gli diamo l’opportunità di farlo. É uscito di recente un lavoro su un network che prevede da qui al 2050 la possibilità di altri 4.000 eventi di spillover, (salti di specie ndr), ma non tutti (Continua da pagina 45) (Continua a pagina 47)

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Per salvaguardare la salute dell’uomo è necessario, quindi, guardare il quadro generale, includendo nello schema l’Ambiente che ci circonda. Sta a noi giovani, ora, invertire il flusso di eventi negativi che le generazioni precedenti hanno avviato, lasciando che l’effetto domino trascini l’umanità sempre più vicina al punto di non ritorno. La circolarità del sistema non è per forza una cosa negativa, dobbiamo riuscire a far sì che, risolvendo un problema, si risolvano anche gli altri, per garantire un (Continua da pagina 46)

gli eventi di spillover risultano in una Quellopandemia.che occorre fare, cari ragazzi che siete qui ad ascoltare, è adoperarsi ed essere super pronti quando arriverà la prossima pandemia. Non dovrà fare il giro del mondo come ha fatto questa. Noi dobbiamo avere degli strumenti, dei super strumenti, per ridurre l’impatto della pandemia».

48 M S di Matteo Dell’Aquila, Luna Gattoni, Alice Martino «Bip bip bip. Suona la sveglia, accendo la luce, e subito dopo il cellulare per controllare i social; poi mi dirigo verso il frigorifero, preparo il caffè, tazza nella lavastoviglie, powerbank nello zaino. Nella stanza accanto una mano va allo spazzolino elettrico e l’altra nel cesto dei vestiti sporchi da infilare dentro l’oblò della lavatrice. Arranco tra aspirapolvere e ferro da stiro per raggiungere le scarpiera. Cellulare, portafoglio, chiavi della macchina e la porta si richiude alle spalle». Ecco, questa è una semplice mattina di una persona qualunque; poche ore in mezzo a molte apparecchiature elettriche che, a loro volta, finito il loro ciclo (10 anni al massimo) verranno chiamate RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche). Non si può assolutamente sottovalutare lo smaltimento di tali rifiuti ed è importante farlo nel modo più scientifico e tecnologico possibile. Essi sono, allo stesso tempo, una fonte di inquinamento e una risorsa di materiali utili e recuperabili per cicli successivi: argento, oro, rame, palladio, cadmio, cobalto, rutenio sono solo alcuni esempi di terre rare e metalli preziosi che, se recuperati nel giusto modo, permettono un risparmio di grande impatto sull’economia mondiale, ma che, al contempo, rischiano di minacciare la salute del Inpianeta.passato l’aspetto economico ha prevalso su quello ambientale e spesso il ciclo di recupero e smaltimento è stato portato avanti senza le più elementari misure di sicurezza. Con l’avvio del nuovo sistema di gestione RAEE, definito dal decreto legislativo 49 del 2014, oggi i grandi e piccoli elettrodomestici giunti al termine del loro utilizzo, devono essere recuperati e riutilizzati. I produttori di apparecchiature elettriche o elettroniche sono obbligati ad aderire ad uno dei Sistemi Collettivi esistenti, ai quali è affidato il compito di recuperare tutti i rifiuti di una certa categoria (classificati in domestici, giganti bianchi o rifiuti industriali) raccolti dalle piazzole ecologiche comunali o dalla distribuzione. Il consumatore dal canto suo, con l’eco contributo versato al momento dell’acquisto di un nuovo prodotto elettronico, finanzia l’intero sistema di riciclo. Tutti abbiamo, dunque, una grande responsabilità per contribuire alla salvaguardardia della nostra vita. Facciamolo e basta, come direbbe Greta Thunberg, «Bla bla bla».

Miniere a cielo aperto o discariche inutili?

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Un telefono al giorno, leva il medico di torno

Da semplice strumento per comunicare si è trasformato in passpartout, essenziale per gran parte della nostra vita: sarebbe difficile pensare di viverci Secondosenza!unaricerca di “Strategy Analytics” aggiornata a giugno 2021, circa metà dell’intera popolazione mondiale ha uno smartphone. Per raggiungere questo traguardo storico ci sono voluti 27 anni. Quattro miliardi di persone ne posseggono uno: questo dato assume un valore ancora più rilevante se consideriamo che la popolazione stimata include anche bambini e fasce di utenti meno interessate agli smartphone, i più anziani, in modo particolare. Spesso finiscono nel cestino quando il loro potenziale ciclo di vita non è ancora terminato: i consumatori, attratti da modelli di ultima generazione, promozioni di molti gestori telefonici, rateizzazione dei costi all’interno delle bollette telefoniche, perdono interesse per il “vecchio apparecchio” e lo sostituiscono senza ripensamenti. Da un’inchiesta di “Ting Mobile” su un campione di 3.640 utenti di telefonia mobile, il 55% degli utenti prevede di tenersi il proprio telefonino per 3 5 anni. Secondo la più recente relazione dello “European Environmental Bureau”, ogni anno nel Vecchio Continente si immettono nell’atmosfera 14 milioni di tonnellate di CO2 dal ciclo di produzione trasporto degli smartphone. Che cosa si può fare, dunque? In realtà, la risposta è semplice: accontentarsi del modello in uso o, se eventualmente si rompe, farlo riparare. Non saremo, magari, alla moda, ma l’Ambiente ci ringrazierà.

L’avvenire visto dall’impresa

M S Cos’è il progresso? Vedere il futuro partendo dalla storia. Vale anche per l’impresa di oggi, che devessere capace di rapportarsi con la cultura e la società, come scrive Antonio Calabrò. Intellettuale attento e curioso, si pone domande e propone sagge riflessioni nel suo ultimo libro: “L’avvenire della memoria. Raccontare l’impresa per stimolare l’innovazione”. Il volume, edito da “Egea”, casa editrice dell’Università “Bocconi”, è stato presentato presso l’Auditorium “Giorgio Sqinzi” di “Assolombarda”. Ha introdotto l’incontro il padrone di casa Alessandro Spada, presidente dell’associazione degli industriali milanesi, seguito dagli interventi di Andrée Ruth Shammah, direttore e presidente del “Teatro Franco Parenti” di Milano, Tommaso Sacchi, Assessore alla Cultura del Comune di Milano, Virginia Stagni, Head of Bussines Development & FT Talent Director di “Financial Times” e Marco Tronchetti Provera, vice Presidente Esecutivo e Amministratore Delegato di “Pirelli”. Un’occasione interessante per analizzare dati e guardare oltre i fatti e la narrazione, non sempre corretta, di questo periodo storico, dalla recessione alla pandemia, dal cambiamento climatico agli squilibri geopolitici, con i venti di guerra che

sembravano impossibili spirassero nuovamente nel vecchio continente. Come superare, quindi, le crisi e costruire migliori equilibri politici, civili, sociali ed economici? Calabrò suggerisce di partire da quell’umanesimo industriale al centro della storia italiana per poter progettare un futuro che si fondi davvero su una “ri globalizzazione selettiva”. E probabilmente è proprio questo il tema su cui Calabrò,ragionare.giornalista, scrittore e Presidente di Museimpresa, negli ultimi anni non ha soltanto raccontato i mutamenti della cultura d’impresa, ma anche come consentire all’imprenditore e ai dipendenti di esprimere i propri talenti. «Credo che l’impresa abbia di fronte, soprattutto in questo momento, una sfida straordinaria: la possibilità di incidere positivamente sull’ambiente, valorizzando le capacità delle ragazze e dei ragazzi che in essa possono trovare il luogo ideale per affermare la propria capacità (Continua da pagina 50)

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Cultura e innovazione di Gianluca Burchi La “Sala Alessi” di Palazzo Marino a Milano ha ospitato un incontro a più voci sul tema “Una storia al futuro. Pirelli, 150 anni di industria, innovazione, cultura”. Il Sindaco, Giuseppe Sala, il Vice Presidente Esecutivo e Amministratore Delegato di “Pirelli”, Marco Tronchetti Provera e altri rappresentanti delle istituzioni, del mondo accademico e industriale si sono confrontati sui temi dell’innovazione e della Glisostenibilità.interventi da remoto del Ministro, Maria Cristina Messa e dal Commissario Europeo per gli affari economici e monetari, Paolo Gentiloni si sono integrati con quelli in presenza del Rettore del Politecnico di Milano Ferruccio Resta, della giornalista e Social Equity Expert “Will Media”, Silvia Boccardi, moderati dal Direttore di “Fondazione Pirelli” e Responsabile Affari Istituzionali Pirelli, Antonio Calabrò. Il dibattito è stato arricchito da immagini dell’Archivio Storico Pirelli, fotografie e video firmati da Carlo Furgeri Gilbert: forme, trame, movimenti e colori delle (Continua a pagina

materie prime, ma anche sperimentazione e persone, arte e cultura, sport e innovazione Untecnica.

Maria Cristina Messa pone l’accento su «la determinazione, la forza, la competenza, (Continua da pagina 52) (Continua a pagina 54)

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“Umanesimo industriale” che caratterizza l’identità di Pirelli in ogni ambito della ricerca e dello sviluppo tecnologico di processi e prodotti nel settore della gomma dal «Pirelli1872.nella sua storia e siamo convinti nel suo futuro ha sottolineato Antonio Calabrò - è contemporaneamente due cose: è molto milanese, dunque molto italiana, e molto internazionale. Cioè risponde appieno alle caratteristiche di fondo di questa città dove Pirelli è nata, dove è cresciuta, da dove è partita per guardare sin da subito al mondo». Giuseppe Sala nel suo intervento ribadisce l’attenzione per: «Aziende che hanno una storia così lunga e così profonda, che vuol dire che sono passate attraverso errori oppure momenti gloriosi, consapevoli di come funzioni il mondo nelle sue sfaccettature, vanno guardate con molto interesse e chiamate al loro dovere».

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l’imprenditorialità che ebbe Giovanni Battista Pirelli cento cinquant’anni fa. La storia dell’azienda c’insegna anche come lo studio, la conoscenza, la scienza sia importante per qualsiasi decisione. Ed è questo un concetto fondamentale quanto la conoscenza e la competenza portano all’innovazione».

Sulla stessa linea le parole di Paolo Gentiloni: «Nel corso di questo secolo e mezzo di Storia, Pirelli ha saputo interpretare i cambiamenti epocali nei processi produttivi e nella società: dalle grandi trasformazioni industriali all avvento della globalizzazione e delle tecnologie digitali fino alla leadership sui cambiamenti climatici, oggi. L’esperienza di Pirelli rappresenta un utile esempio per guidare la nostra politica economica e industriale». Conciso ma efficace, Marco Tronchetti Provera: «La costruzione di un’azienda è sempre la costruzione del domani».

Dal suo osservatorio accademico, Ferruccio Resta ricorda che: «Pirelli e il Politecnico hanno tenuto un filo conduttore. E quindici anni fa sono incominciate delle ricerche in maniera strutturata su alcuni temi. Il primo (Continua (Continua

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è il cyber tyre un pneumatico con dentro dei sensori che connettevano il veicolo all’infrastruttura. Oggi si chiamerebbe trasformazione digitale”. Il secondo sono i materiali naturali. Oggi si chiamerebbe “trasformazione green”. Forse non avevamo raccontata con queste parole ma era assolutamente intercettata come dimensione. E aggiungo una terza dimensione: con queste due tecnologie, però, si ragionava su come produrlo, quindi anche la fabbrica cambiava. E quindi di nuovo “transizione industriale” cioè accompagnare le transizioni green, le transizioni digitali nel far cambiare il mercato del lavoro e la fabbrica». Silvia Boccardi ha concluso sostenendo che: «oggi i consumatori non sono più passivi. Sono estremamente consapevoli quindi le imprese, le aziende devono assumere e assumono un nuovo ruolo sociale che in qualche modo si affianca anche a quello delle Istituzioni, si deve affiancare a quello delle Istituzioni. Mentre le persone, con il loro consumo critico, devono fare pressione affinché le aziende si rinnovino e siano sempre più al passo con i tempi».

M S di Gianluca Burchi L’edizione numero 40 della “corsa più bella del mondo” è tornata ad attraversare l’Italia, in senso orario, La Mille Miglia, rievocazione della storica gara, è partita da Brescia il 15 Giugno, per arrivare a Ferrara e poi spostarsi a Cervia Milano Marittima. Le successive tappe sono state: il 16 Giugno, Cervia Milano Marittima Urbino, da Urbino a Passignano sul Trasimeno, da Passignano sul Trasimeno a Terni, da Terni a Roma; il 17 Giugno, da Roma a Radicofani, da Radicofani a Siena, da Siena a Viareggio, da Viareggio a Parma; il 18 Giugno: da Parma a Stradella, da Stradella all’Autodromo di Monza e, infine, da lì fino a Brescia, con un ingresso trionfale per la tradizionale passerella in Viale Venezia. Al nastro di partenza 415 vetture, a tagliare quello d’arrivo e vincere la “1000 Miglia 2022”, altrimenti detta “museo viaggiante”, è stata l’Alfa (Continua a pagina 57)

Aspasso nel tempo a tempo

Romeo 6C 1750 SS Zagato del 1929 guidata da Andrea Vesco e Fabio Salvinelli; l’equipaggio fa il bis dopo l’affermazione nel 2021, mentre per Vesco, si tratta del terzo successo di fila, compresa la vittoria del 2020 al fianco del papà Roberto. L’Alfa Romeo, alla settima vittoria consecutiva, si conferma regina incontrastata. Accresce così, la sua leggenda, nata alla fine degli anni ‘20 come un’evoluzione della 1500 e dotata di numerose soluzioni tecniche all’avanguardia per l’epoca. Tra tutte, ricordiamo il motore da 64 CV con un rendimento termodinamico superiore alla media delle vetture contemporanee e un regime di rotazione Oltre alle autovetture storiche, la Mille Miglia ha visto sfrecciare lungo prestigiose case automobilistiche. In particolare, hanno attirato di più

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Maranello ha un motore endotermico associato a due motori elettrici che danno una potenza complessiva di 1000 cavalli, 300 in più rispetto al solo motore endotermico della vettura di Sant’Agata Bolognese. Invece, la casa tedesca risulta essere quella più sensibile all avendo sviluppato una vettura solo elettrica capace di erogare una potenza complessiva di 770 cavalli. Cilindrate diverse, secolo diverso, ma passione immutata alla fine del 1926, quando quattro bresciani, amanti dei motori, si ribellarono per la mancata assegnazione della competizione automobilistica a Brescia, perché era stato scelto di far correre il Gran Premio d’Italia nel nuovo autodromo di Monza (che quest’anno celebra i 100 (Continua a pagina

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settore automobilistico, si riscattarono ideando la Era una gara di velocità con partenza e arrivo a Brescia percorrendo diverse tappe, passando anche da Roma, per un totale di circa 1600 km equivalenti a 1000 miglia.

ultimo traguardo solo 55 vetture, poiché le altre, erano state costrette al ritiro. Un equipaggio bresciano, composto da Ferdinando Minoia e Giuseppe Morandi a bordo di una OM (Officine Meccaniche, Brescia) 665 “Superba” S (Continua a pagina 60)

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Alla prima edizione, partita alle ore 13:00 del 26 marzo 1927, parteciparono 77 equipaggi, dei quali due stranieri (al volante di Peugeot 5 CV).

M S torpedo arrivò primo, completando il percorso in 21 ore, 4 minuti, 48 secondi e 1/5 alla media di 77,238 km/h.

Dal 1977 la Mille Miglia rivive sotto forma di gara di regolarità storica a tappe la cui partecipazione è limitata alle vetture, prodotte entro il 1957, che avevano preso parte (o risultavano iscritte) alla corsa originale. (Continua da pagina 59)

L’atmosfera creata da Castagneto, aveva contribuito all’internazionalità degli ospiti, rendendo la città di Brescia, per una settimana, ciò che il “ Capitale dell mondiale.

Visto l’enorme successo, si decise di ripetere la prova negli anni a venire e l’evento divenne così importante, che il tracciato è stato modificato tredici volte per consentire il passaggio delle vetture d’epoca in altre città, aumentando così i fruitori dell’emozionante avventura. Le persone potevano vivere la Corsa, grazie agli altoparlanti, che lungo il percorso ne diffondevano la cronaca e ai tabelloni con le classifiche.

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62 M S di Nicolò Carra L’età dell’oro per l’esplorazione spaziale. Dal 2019 il mondo delle tecnologie spaziali si è evoluto in maniera esponenziale, proprio come negli anni della Guerra Fredda con la corsa alla Luna. Nonostante tutte le difficoltà riscontrate a causa della pandemia di COVID 19, istituzioni come la NASA (Agenzia Spaziale Americana), l’ESA (Agenzia Spaziale Europea) ecc… hanno iniziato un programma di collaborazione con agenzie spaziali private per sopperire ai costi e ai problemi logistici del rifornimento di risorse materiali e umane verso la Stazione Spaziale Internazionale, per concentrarsi totalmente sul programma Artemis per ritornare sulla Luna e costruirci una presenza umana permanente. Le maggiori agenzie spaziali private coinvolte sono SpaceX (Space Explorations Technologies Corporation, fondata da Elon Musk nel 2002) e la Blue Origin (Il cui fondatore è stato anche il CEO di Amazon, Jeff Bezos). SpaceX attualmente è la fornitrice per eccellenza di sistemi di lancio e trasporto da e per la Stazione Spaziale Internazionale, con il suo razzo di ultima generazione il Falcon 9. Questo vettore di lancio ha una particolarità che ultimamente è l’obiettivo di qualsiasi agenzia spaziale, ovvero di essere quasi totalmente riutilizzabile! Il primo stadio, il serbatoio del carburante principale è progettato per lanciare in orbita il carico utile e poi rientrare sulla Terra, su una “nave drone”, in pratica con questo sistema si vanno ad abbattere notevolmente i costi delle missioni, ed è possibile effettuare più lanci anche in un solo mese, cosa prima inimmaginabile. (Continua a pagina 63) L’età dell’oro

Non solo è stato costruito un razzo nuovo, ma anche una capsula di trasporto nuova, difatti fino ad ora l’unico mezzo che trasportava astronauti fino alla ISS, era la Soyuz prodotta dall’agenzia spaziale russa Roscosmos, con una capienza di tre astronauti. La NASA ha richiesto che fosse creata anche un’altra via di trasporto per arrivare alla Stazione Spaziale, e in questo senso SpaceX ha trovato la soluzione creando la capsula Dragon, in due versioni: Cargo e Crew (per umani). Oltre che ad essere un sistema totalmente innovativo dal punto di vista della tecnologia, è come il primo stadio del (Continua

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da pagina 62)(Continua a pagina 64)

64 M S razzo che la trasporta, riutilizzabile (a differenza della Soyuz), nonostante piccoli danneggiamenti che possono verificarsi nel rientro sulla Terra. Come accennato in precedenza, rendere i vettori di lancio e le capsule, riutilizzabili per decine di missioni, abbatte notevolmente i costi rendendo accessibile il volo spaziale non solo alle agenzie governative. Questo è il caso del turismo spaziale, attività ancora di nicchia dato che si, i costi sono minori, ma ancora molto alti per l’individuo medio, l’azienda che possiamo definire pioniera in questo campo è stata la Virgin Galactic. Fondata da Richard Branson, classe 1950 la missione della compagnia è quella di rendere il volo spaziale accessibile a tutti e diciamo che nel 2021 ci sono riusciti, portando in orbita i primi turisti spaziali. Ovviamente la risposta delle altre compagnie come Blue Origin e SpaceX non è tardata ad arrivare, Bezos fu il primo a superare la “Linea di Karman”, il limite tra la nostra atmosfera e lo spazio vero e proprio, mentre Elon Musk con la missione “Inspiration 4” ha battuto ogni record inimmaginabile portando quattro civili ad un’orbita di oltre 500 Km di altitudine la più alta mai raggiunta nella bassa orbita terrestre. Tornando alle missioni a scopo prettamente scientifico, il 20 Aprile 2022 partiranno dalla base di Cape Canaveral (Florida, USA) quattro astronauti, per la missione Crew 4, tra questi abbiamo per la prima volta un’ italianaastronautaabordo della navicella Crew (Continua da pagina 63) (Continua a pagina 65)

Dragon. Questa persona è Samantha Cristoforetti, astronauta ESA che ha già alle spalle quattro missioni a bordo della Stazione Spaziale Internazionale il che fa di lei una veterana in questo campo. In origine gli era stato assegnato l’incarico di “Comandante” della ISS ma a causa di motivi legati alla durata della permanenza a bordo (la sua missione durerà di meno rispetto a quella dei colleghi americani, visto l’arrivo di equipaggio civile a bordo con la missione Ax 1), l’astronauta sarà designata al ruolo di “Mission Specialist” tecnico specializzato della missione. In questi anni stiamo vedendo un progresso sempre più rapido nel campo delle tecnologie aerospaziali, le promesse della NASA e di altre agenzie sono quelle che entro il 2030 torneremo sulla Luna per restarci e infine, mettere piede su Marte. Le agenzie private stanno già lavorando a navicelle e moduli abitativi, per questa incredibile missione, nella quale anche il nostro Paese sta dando un importante contributo. Eh si il programma Artemis, servirà come terreno di prova per tutti noi, per vedere se siamo pronti a intraprendere una delle imprese più complicate ma importanti della nostra specie, diventare interplanetari. Come disse il presidente J.F.Kennedy, nel suo discorso che decretò l’inizio del programma Apollo, «Scegliamo di andare sulla Luna e di compiere altre imprese non perché siano facili, ma perché sono difficili, e questo ci servirà ad organizzare meglio le nostre energie e capacità, è una sfida che intendiamo vincere e ci Creditiriusciremo».immagini: NASA, ESA, SpaceX, Roscosmos. (Continua da pagina 64)

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M S di Emilia Ariano, Ilaria Minichelli Da sempre i fatti storici sono stati manipolati e mitizzati, addirittura falsificati, per sostenere un uso politico della Storia. È giusto, perciò, chiedersi se esistano verità definitive al di là di quelle fattuali e comprovate e quando possano essere definite tali. Proprio “Le verità nascoste nelle pieghe della Storia” sono state il tema al centro dell’incontro con Paolo Mieli e Pier Luigi Vercesi, proposto dalla “Fondazione Corriere della Sera” agli studenti delle scuole superiori italiane il 18 ottobre 2021. Mieli è un giornalista, autore e curatore di molti libri. Dopo aver lavorato a “l’Espresso” e “La Stampa”, ha diretto due volte il “Corriere della Sera”. Storico di formazione, ha avuto grandi maestri come Renzo De Felice. È noto al grande pubblico perché ogni giorno in televisione ci racconta pezzi della nostra storia, cercando di approfondire che cosa ci sia dietro i fatti. Che cosa vuol dire revisionismo? Quali sono i rischi del revisionismo? E perché si parla di revisionismo? «Le revisioni hanno due valenze, una è stata introdotta nel dibattito (Continua a pagina 67)

Nella storia possono esistere verità definitive?

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culturale dalla politica non dalla storia. Nel Novecento venivano accusati di essere revisionisti i membri del movimento socialista, ma anche tutti coloro che rivedevano ad uso dei tempi correnti le posizioni ortodosse iniziali. Quindi, nel mondo politico, nella storia della Sinistra, la parola revisionismo non dico che fosse una parolaccia, ma era certamente un atto d’accusa. Poi il revisionismo è entrato nel dibattito storiografico con il suo significato più autentico. Con quel termine intendiamo mettere in discussione le verità rivelate e vedere cos’è che non torna, se c’è qualcosa che non funziona oppure se sono emerse nuove carte che offrono prospettive sconosciute su quanto accaduto o, semplicemente, con l’andare dei tempi può cambiare l’angolo di visuale con il quale approcciamo i fatti del passato». C’è un minimo di complottismo, un minimo di retroscena che non si fa sapere alla gente? Esiste oppure no? «Sì, esistono tanti piccoli segreti della politica, alcuni vengono fuori dopo anni, altri non vengono fuori per niente o sono scoperti qualche decennio dopo dagli studiosi. Secondo me, quello che non esiste è il grande segreto. Per esempio, poco prima delle recenti elezioni amministrative è venuto

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68 M S presenza di quello che, ai miei tempi, si chiamava “il grande vecchio”, cioè di qualcuno che avesse ordito queste trame. Possiamo certamente affermare che ci sono delle cose poco chiare, questo sì, però non è mai venuto alla luce che ci sia qualcuno che abbia effettivamente organizzato quanto accaduto». In questi giorni si è ritornati a parlare di fascisti, ma esiste ancora il Fascismo?

Esiste un rischio di Fascismo, un rischio di dittatura in Italia? «No, assolutamente, non corriamo nessun rischio di un qualcosa simile a quello che capitò esattamente un secolo fa nel 1921 e poi portò nell’ottobre del 1922 alla marcia su Roma e successivamente alla dittatura fascista, penso che questo rischio non ci sia. Credo, invece, che ci sia un rischio relativo a “novità” che non tutti capiamo e a cui, per semplificazione, viene dato il nome di Fascismo. Di fronte a qualsiasi fenomeno nuovo, soprattutto nel momento in cui produce violenza, allora immediatamente noi tiriamo fuori dal nostro archivio la parola fascismo, ma io trovo che sia sbagliato e, soprattutto, che dia un’idea fallace. Noi da 70 anni il rischio di ritornare al Fascismo non l’abbiamo mai corso davvero, neanche quando si produssero all’inizio degli anni ‘70 dei bizzarri tentativi di colpo di Stato. Noi un rischio di un ritorno del Fascismo non l’abbiamo corso e non lo stiamo correndo. A furia di dire “Allarme, c’è il Fascismo!”, secondo me, rischiamo di farci sfuggire qualcosa di più serio, che può portare dei pericoli, rischiamo di non vedere il lupo e di non capirne le reali fattezze». Perché gli storici scelgono di mitizzare un evento piuttosto che un altro? «In genere gli storici mitizzano se stessi e attraverso la loro persona (Continua da pagina 67) (Continua a pagina 69)

69 M S l’epoca a cui appartengono. Mitizzano alcuni eventi per mostrare che loro stessi sono al potere, nel senso che contribuiscono a formare una coscienza nazionale. Raccontare la storia per com’è andata non toglie nulla ai meriti di coloro che hanno fatto trionfare il mondo democratico e liberale, ma questo desiderio di riempire in eccesso il mito, a volte, crea danni alla storia». La scelta di pubblicare un testo, saggio, articolo storiografico dipende anche dall’editore? Prima di pubblicare un testo storiografico ci dovrebbe essere un controllo sull’obiettività? «La scelta di pubblicare dipende dall’editore e nei Paesi totalitari vuol dire che dipende dal potere politico, che è dietro quell’editore. Noi dipendiamo dal lettore, ma ci sono talmente tanti editori veri e forti sul mercato per cui non si può parlare di una censura degli autori, ma di diverse possibilità nella pubblicazione. Ci sono degli editori notoriamente più di sinistra, editori che sono neutrali e tengono solo a pubblicare i libri che vendono bene sul mercato: la “Rizzoli” e la “Mondadori” sono editori di questo tipo. Infine, ci sono anche editori di destra o anche di estrema destra. La domanda sottintende “Ha mai visto la censura da parte degli editori?” La risposta è no. Gli editori se pensano che qualcosa abbia senso e soprattutto possa vendere, pubblicano, anche delle cose che andrebbero censurate. Il vaglio storiografico assoluto, invece, non esiste». Il caso Moro è stato del tutto chiarito o esistono ancora delle zone d’ombra? «È una domanda a cui è quasi impossibile rispondere, ma io voglio provarci lo stesso. In pubblico fa chic dire che i misteri del caso Moro sono miliardi, che niente è chiaro e poi avanzare delle proprie supposizioni, a volte, cervellotiche. Per quello che è documentabile, per quello che è dato sapere sulla base non di congetture, ma di documentazione, tutto è chiaro del caso Moro. (Continua da pagina 68) (Continua a pagina 70)

Ci sono, però, dei dubbi che i servizi segreti americani o sovietici o dei Paesi dell’est abbiano dato una mano fondamentale al rapimento e all’uccisione di Moro e ci sono delle coincidenze strane, delle cose che non tornano. Io me ne sono occupato abbastanza, anche perché poi, a suo tempo, fui addirittura testimone in due processi. In definitiva, per quello che è storicamente accertato, il caso Moro è stato chiarito, ci sono poi ancora dei misteri, ma quelli si chiariscono trovando nuove prove e nuove carte». Com’è cambiata la storiografia negli ultimi decenni? Le nuove tecnologie hanno cambiato il modo in cui si fa ricerca storica? «Sì, secondo me l’hanno molto cambiata. La ricerca del passato, in genere, avviene su documenti oppure su libri cartacei. Oggi la verifica si può fare in tempo reale, cioè, se tu ritieni di avere scoperto un nuovo documento in un archivio, attraverso Internet puoi facilmente capire se sei il primo ad averlo fatto o se, invece, altri nel mondo hanno avuto questa intuizione prima di te. Internet è uno strumento formidabile, ma è anche il nostro maggiore nemico per la storia, nel senso che diffonde tante bufale. Io penso che per ricostruire la storia ci si debba fidare di più dei libri pubblicati da editori che stiano in piedi, cioè non pubblicati da qualche editore sconosciuto. Chi pubblica dei libri e scrive una insaperconsapevolmentescemenzasolosostenereunasuatesibeneche,seticolgonoerrore,quell ’editore non ti pubblicherà mai più un libro e, (Continua da pagina a pagina

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probabilmente, neanche altri lo faranno in futuro. Se ti colgono in errore, pagherai un prezzo, mentre, invece, Internet è un mondo dove non si paga alcuna somma. Il Web rischia di essere qualcosa che si presenta come se fosse un insieme compatto, una lastra di marmo che, contrariamente, è piena di buchi e tu non sai che cosa è semplicemente sopravvissuto a quei buchi, cosa è vero e cosa non lo è. In questi anni si sono affermate due forme di stampa: la carta e Internet. La carta stampata fa fatica a reggere il confronto con Internet perché battuta in velocità, ma dobbiamo riconoscere anche che i libri resistono benissimo, non accusano clamorose flessioni. Bisogna tenere presente che quando si vuole pubblicare qualcosa su Internet basta scrivere la notizia e metterla in Rete; è tutto un sistema di filtri, di selezione che ne garantiscono la trasparenza, anche in termini di altronde la veridicità delle notizie, pubblicate in tempo reale, è estremamente attuale. Per essere cittadini davvero liberi abbiamo bisogno di saper distinguere tra bufale e È,verità.quindi, fondamentale che i giovani imparino a distinguere tra opinioni e fatti e ad identificare fonti credibili. Solo così si potranno operare scelte consapevoli per agire secondo convinzioni personali verificate e non sulla base di pregiudizi, ignoranza o, peggio ancora, attenendosi a slogan urlati da altri e acriticamente accettati.

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Massimo Popolizio, Antonio Scurati e il rettore dell’Università Iulm, Gianni Canova hanno presentato nell’Auditorium dell’ateneo milanese agli studenti e alla cittadinanza la genesi e i dietro le quinte dello spettacolo “M. Il figlio del secolo” portato in scena dal 2 al 26 febbraio al “Piccolo Teatro Strehler” di Milano. L’adattamento in trenta quadri del romanzo storico ha una struttura circolare, che si apre con l’ultima battuta del libro (scritto da Scurati) vincitore del Premio Strega 2019, per poi tornare a quella stessa fatidica frase pronunciata in Parlamento da Benito Mussolini, allora Presidente del Consiglio, al momento di “addossarsi la croce del potere”: «Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere». Il testo teatrale intende portare in scena una rappresentazione plastica ed espressionista dell’affermarsi del fascismo. «È una staffetta tra diciotto attori – ha spiegato Massimo Popolizio - che, lontano da ogni retorica, porta all’attenzione del pubblico il ritmo incalzante di una scalata al potere, avvenuta in un momento di profonda debolezza di istituzioni e partiti. È una storia che non si conosce mai abbastanza, in particolare quella dei sei anni che seguono la “Grande guerra” (1914 18), con l’impresa di Fiume, il basculare del Paese verso la rivoluzione socialista, la reazione e il dilagare dello squadrismo, la rocambolesca “Marcia su Roma” (di cui nell’ottobre di quest’anno ricorre il centenario) e l’inesorabile efficacia di una dottrina politica che si sottrae alle categorie di giudizio con l’azione violenta. Protagonisti ne sono il fondatore del Fascismo almeno quanto i suoi comprimari, che sentiamo esprimersi in terza e prima persona, Marinetti, D’Annunzio, Margherita Sarfatti, gli antagonisti Nicola Bombacci, Pietro Nenni e Giacomo Matteotti (colto anche nella commovente relazione epistolare con la moglie Velia), Italo Balbo, gli smobilitati della “Grande guerra” e altri individui venuti dal basso. Protagonista è l’intera comunità nazionale, “il paese opaco”, quasi che il fascismo non sia “l’ospite di questo virus che si propaga ma l’ospitato”».

Secolo anche di Emme

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74 M S “Formare l’Italia nuova. Einaudi e il giornalismo”. A sessant’anni dalla scomparsa, la “Fondazione Corriere della Sera” ha organizzato un incontro con il proprio presidente, Piergaetano Marchetti, Giuseppe Benedetto, responsabile della “Fondazione Luigi Einaudi”, Luciano Fontana, direttore del “Corriere della Sera” e Mario Monti, docente universitario, senatore a vita ed economista: «Un’altra importante lezione einaudiana riguarda la delicatezza del rapporto con la cosiddetta opinione pubblica: parlare chiaro e diretto è il miglior modo per assicurarsi che il libero scambio di idee possa poi trasformarsi in una soluzione di problemi reali. E non solo: Einaudi ha dimostrato con la sua esperienza accademica e politica come solo tenendo conto dell’opinione pubblica norme, leggi e codici possano essere utili affinché le regole siano veramente uguali per tutti». Al termine dell’incontro è stato presentato il francobollo commemorativo emesso dal Ministero dello Sviluppo Economico.

Luigi Numa Lorenzo Einaudi nato il 24 marzo 1874 a Carrù, in Piemonte, da famiglia borghese, laureato a Torino nel 1895, è stato professore all’Università di Torino dal 1902 al 1961, al Politecnico di Torino e alla Bocconi di Milano per quasi un quarto di secolo, sino alla sua estromissione ordinata dal regime fascista nel 1925. Dopo l’esilio in Svizzera, assume il governatorato della Banca d’Italia nel 1945 e per i 10 anni a seguire è protagonista assoluto della politica nazionale ai massimi livelli. Eletto alla Costituente, regge la politica economica del governo italiano sino al 1948 quando viene eletto Presidente della Repubblica.

Ritornato nel 1955 a vita privata di studioso e di instancabile giornalista, muore a Roma il 30

Dura lex, sed lex

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«La storia è nota ha dichiarato la Presidente del Corecom Lombardia, Marianna Sala - la studiamo, è sui nostri libri. Una pagina ancora pulsante nella vita sociale e politica legata al nostro Paese, che permette al regista di addentrarsi in una narrazione di ampio respiro, tanto da riuscire a suggerire alternative a ciò che è già stato e a modificare il corso degli eventi distorcendoli attraverso le lenti dei suoi personaggi. Nelle sei ore di narrazione, ogni personaggio diventa in qualche modo persona, con la sua fragilità e Presentataverità».inanteprima

Lasciato solo

Corecom Lombardia, ha dedicato un webinar, nell’ambito degli incontri una serie al mese, a “Esterno notte”, nuova monumentale opera del regista Marco Bellocchio, il quale racconta gli avvenimenti e i personaggi che ruotano attorno al rapimento di Aldo Moro (16 marzo 9 maggio 1978).

al Festival di Cannes in un’unica proiezione, la serie tv diretta dal regista italiano (vincitore della Palma d’oro onoraria 2021) è arrivata al cinema in due parti, la prima dal 18 maggio, la seconda dal 9 giugno 2022. Per il grande pubblico verrà trasmessa in autunno su Rai1. Il protagonista della serie è l’attore Fabrizio Gifuni, che veste i panni dell’onorevole Aldo Moro, rapito e poi ucciso dalle Brigate Rosse. A completare il cast nomi come quelli di Margherita Buy, Toni Servillo, Fausto Russo Alesi, Gabriel Montesi e Daniela Marra. La Presidente Sala, ha dialogato con Massimo Scaglioni, Professore ordinario di Storia dei media ed Economia e marketing dei media presso l’Università Cattolica di Milano, il quale ha ricordato come: «Non tutti i prodotti di fiction hanno ambizioni internazionali, ma ci sono storie che hanno viaggiato nel mondo portando con sé anche il made in Italy fuori dai confini nazionali».

valeva la pena di Emilia Ariano, Ilaria Minichelli Roberto Saviano rientra tra quei giornalisti e autori capaci di lottare contro la mafia usando il potere e la forza delle parole. Le parole sono pietre, armi per descrivere e denunciare la criminalità organizzata e i suoi legami, le faide, l’appartenenza, le strategie con cui si pianificano e realizzano massacri e omicidi, con cui si creano imperi economici per sostituirsi facilmente allo Stato. Questo impegno, che lo ha costretto a vivere sotto scorta, caratterizza tutta la sua opera e attività, come si evince anche dall’intervista rilasciata il 13 Ottobre 2021 nel corso durante l’incontro dibattito “Il coraggio di raccontare”, proposto da “Amici di scuola” e “Fondazione Corriere della Sera” agli studenti delle scuole superiori nell’ambito di una serie di lezioni on line sui temi di educazione civica, cultura e attualità.

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Nato a Napoli il 22 settembre 1979, nel quartiere di Chiaia, si trasferisce ben presto a Caserta. È figlio di Luigi Saviano, medico originario di Frattamaggiore, e di Maria Rosaria Ghiara, nata a Trento da genitori liguri di origine ebraica sefardita. Consegue la maturità presso il Liceo Scientifico “Armando Diaz” di Caserta e successivamente si laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Nel corso dell’intervista alla domanda su quanto abbia influito la formazione universitaria nelle scelte future Saviano risponde: «La mia formazione ha influito su tutto: ero un grande appassionato di Giordano Bruno, mi sono interessato alla sua storia, ai suoi libri, al filoso che ha pagato con la vita i suoi pensieri e ciò in cui credeva. Durante la mia formazione ho persino imitato alcuni suoi gesti ed abitudini». Nei suoi scritti, articoli e nel libro d’esordio “Gomorra», che lo ha portato alla notorietà, Saviano utilizza la letteratura e il reportage per raccontare la realtà economica, il territorio e la camorra e la criminalità organizzata in senso più generale. La Campania, Napoli, Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa e l’agro aversano sono luoghi dove l’autore è cresciuto e dei quali fa conoscere una realtà inedita agli occhi di chi da tali luoghi non proviene. Il libro parla di ville sfarzose, copiate da quelle di hollywoodiane, di campagne pregne di rifiuti tossici smaltiti per conto di (Continua a pagina 77)

mezza Europa, di una popolazione che non solo è connivente con questa criminalità organizzata, ma la protegge e ne approva l’operato. Racconta il “Sistema”, questo il nome usato per riferirsi alla camorra, che adesca nuove reclute non ancora adolescenti, facendo loro credere che quella sia l’unica scelta di vita possibile, di boss-bambini convinti che il solo modo di morire come un uomo vero sia quello di essere ammazzati e di un fenomeno criminale influenzato dalla spettacolarizzazione mediatica in cui i boss s’ispirano negli abiti e nelle movenze ai divi del cinema. Il libro ha avuto successo in Italia e all’estero. Da “Gomorra” sono stati tratti uno spettacolo teatrale, l’omonimo film con la regia di Matteo Garrone, vincitore al Festival di Cannes del Grand Prix Speciale della Giuria e, in seguito, anche una serie televisiva, intitolata “Gomorra - La serie”. Proprio a proposito di quest’ultima gli viene chiesto dal collega Marco Imarisio: La serie tv e il film “Gomorra” hanno alterato la percezione sulla Camorra? «La serie tv non è stata girata per “educare” le persone. La scelta di usare il dialetto e ricreare quelle stesse situazioni reali aveva il solo scopo di far conoscere il fenomeno camorristico così com’è. Anche la decisione di non inserire personaggi “buoni” è coerente: nella camorra non esistono buoni». Molti si domandano: Roberto ne vale la pena di denunciare il malaffare? «Da quando i Carabinieri mi dissero che avrei dovuto vivere per qualche giorno sotto scorta, sono ormai passati 15 anni. Per anni mi sono fatto coraggio, perché ho sempre pensato che era un previlegio poter parlare a tante persone. Trascorsi 2 3 anni non riuscivo a credere di essere ancora vivo, se avessero voluto uccidermi l’avrebbero già fatto. Vivere tanti anni con quest’angoscia è terribile: dal punto di vista personale non n’è valsa la pena, però dal punto di vista collettivo penso ancora di sì». Nonostante tutto, ancora oggi Roberto si adopera per diffondere la cultura della legalità. Anche se ha sempre avuto “una pistola puntata alla testa”, non ha mai (Continua da pagina 76) (Continua a pagina 78)

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78 M S smesso di parlare, scrivere e far sapere a tutti che cosa stesse succedendo. Poi si passa all’argomento riguardante la legalizzazione delle droghe leggere, verso cui lo scrittore si dice favorevole: «Parto dal dire che legalizzare non è promuovere la sostanza, tutt’altro. La droga è libera, già ora. Legalizzare significa non renderla libera, ma controllarla. Perché dico che è libera? Perché chi mi sta ascoltando dove ha preso il “fumo” ieri? L’erba dove la prendete? Ve la passano ed è libera. Legalizzando la controlli. Ne controlli la qualità; la maggior parte della roba che vi danno è proprio “merda” con additivi, tagliata male, parlo di hashish e marijuana. Legalizzare non vuol dire “Ah, fa bene!”, ma “C’è un problema, voglio che sia controllato”. L’alcool uccide più della marijuana. La marijuana no, fa male, ma è impensabile in questo momento non darla alle persone che soffrono, fibromialgia, cancro, Parkinson. Fanno fatica ad ottenere, anche se formalmente con ricetta medica potresti ottenere l’erba per contrastare il dolore. Ci sono stati dei casi, ne ho parlato sul “Corriere della Sera”, come quello di un ragazzo calabrese, sofferente di fibromialgia, che si coltivava l’erba in casa, perché non voleva andarla a comprare dai pusher di ndrangheta. Sono passati, per caso, i Carabinieri, hanno riconosciuto l’odore sono entrati in casa e hanno sequestrato tutto. Poi l’hanno processato e condannato ad una pena relativamente alta. Se lui avesse comprato da un pusher e l’avessero beccato gli avrebbero dato una multa. È incredibile questo, no! Legalizzare significa togliere questo mercato dalle mani delle organizzazioni criminali». Dopo una lunga digressione sull’alcol e il proibizionismo, riprendendo il ragionamento continua: «Parlare di legalizzazione delle droghe leggere non è affatto semplice, perché legalizzare viene percepito come “fate pure”, anzi “fatevi pure”. Anche adesso che in Parlamento finalmente comincia la discussione sul disegno di legge, la confusione tra (Continua da pagina 77) (Continua a pagina 79)

legalizzazione e l’incentivo a fare uso di droghe è il grande equivoco su cui discutere. Legalizzazione è esattamente il contrario della promozione al consumo. Legalizzarle indebolirà le mafie sottraendo loro capitali e allo stesso tempo ridimensionerà il mercato illegale. Eppure è così difficile fare breccia nei ragionamenti di chi è contrario senza appello. Di chi non vuole sentire ragioni perché dice: “Non si può scendere a patti con le mafie, non si può accettare il male minore, si devono debellare le droghe, non renderle legali”. Il mondo reale è quello in cui chi fuma due pacchetti di sigarette al giorno, ma anche uno, rischia di ammalarsi per il cancro. Il mondo reale è quello in cui quando bevi tre cocktail sei pericoloso per te stesso e per chi trovi sulla tua strada se poi ti metti al volante. In Italia le vittime del tabacco sono stimate sulle 80mila all’anno, mentre quelle dell’alcol 40mila». Detto questo, confessa onestamente che non riuscirebbe mai a convincere le persone diffidenti a rendere la cannabis legale come il tabacco, anche se immagina una società futura con tutte le droghe legalizzate, ma potrebbe richiamarli alla responsabilità ricordando che le droghe leggere sono merce di scambio tra organizzazioni criminali e organizzazioni terroristiche.

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Dopo altre domande sulla criminalità organizzata e altri problemi italiani, al termine dell’intervista gli è stato chiesto: Che rapporto ha con la sua città natale? Che cosa prova quando ci ritorna? «Personalmente ho un rapporto molto difficile con il mio paese, quando ci ritorno rivivo i miei traumi e provo rancore, perché mi sento cacciato. È un rapporto difficile. Ogni volta che ci vado cerco sempre su un app immobiliare cerco di trovare una casa in affitto. Una cosa assurda, chissà quando mai potrò farlo! Lo faccio sempre, però». In questa risposta c’è tutto il senso e la coerenza di un uomo, che ha saputo fare scelte molto importanti, ma soprattutto coraggiose. Il suo impegno è da sempre per la verità che devono essere testimoniate, essere, cioè, protette con il proprio corpo, con le proprie scelte. da pagina

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81 M S di Elisa Bozzi, Lorenzo Diambri «Ho sempre pensato che fare del sano giornalismo consistesse in questo: “saper togliere per poter poi aggiungere”, ovvero scalpellare quel blocco informe che è la singola, grezza informazione, eliminando da essa il superfluo e rendendola, in questo modo, comprensibile a tutti». L inviato della trasmissione “Piazzapulita” di La7, Alessio Lasta (classe 1977), nel corso dell’intervista tenutasi presso l’Università IULM di Milano, ha chiarito, senza mezzi termini, la propria visione del giornalismo e successivamente spiegato come spesso, il suo obiettivo possa essere frainteso o mal interpretato: «Dire che il mondo dell’informazione abbia il solo scopo di rassicurare non è, infatti, del tutto corretto. Al contrario, la realtà mediatica dovrebbe semplicemente limitarsi a raccontare i fatti e gli avvenimenti con trasparenza, anche quando le parole a cui si vuole ricorrere risultano dure o le immagini utilizzate appaiono forti. Ad un giornalismo che rassicura non ho mai creduto: una volta entrato nelle terapie intensive durante il primo periodo di questa pandemia, ho deciso, sin da subito, di riportare la cruda verità, perché in quel preciso momento era necessario mostrare agli italiani e al mondo che cosa davvero fossero e significassero quei reparti». Lasta ha realizzato inchieste e reportage anche per Rai (“Mi manda Raitre”, “L’ultima parola”, “La Gabbia” e “Ballarò”) e Mediaset con numerosi servizi per Tg4 e Tg5. In televisione e nel suo libro “La più bella. La Costituzione tradita. Gli italiani che resistono” ha raccontato l’Italia degli ultimi, quella dei furbetti, la crisi del Nordest, il crac delle banche; negli ultimi anni si è dedicato alla pandemia e nel 2022 alla prima fase dell’invasione russa in Ucraina, eventi, ancora non conclusi, che stanno cambiando il corso della Storia, riportando le lancette del tempo al secolo scorso. Ha vinto diversi premi giornalistici, tra cui quello dedicato a “Ilaria Alpi”, “L’anello debole” e “Giornalisti del Mediterraneo”. Quanto hanno contato la sua formazione teorica e pratica nella carriera giornalistica? «Moltissimo, io ho fatto la scuola di giornalismo (Continua a pagina 82)

82 M S dopo la laurea e oggi credo che sia proprio il percorso necessario per un giornalista, perché il mondo è complesso e la complessità è una delle caratteristiche principali del racconto. Essere formati a poterla, comprendere prima, e poi trasmetterla alle persone che, nel mio caso vedranno i reportage in tv, nel caso di altri colleghi leggeranno gli articoli sulla carta stampata oppure per chi fa radio o on line li ascolteranno e li leggeranno, per me è fondamentale. Il giornalista è lo “storico del presente” e per riuscire a leggere una realtà così complessa come quella odierna ha bisogno di strumenti: se tu non sei preparato a quello che potrebbe succedere davanti a te avrai più difficoltà ad interpretare questo tempo che devi poi raccontare. Raccontare il presente è quello che noi dobbiamo fare: andare in profondità e cercare anche le cose che sono più nascoste e che non si vedono. Il giornalista è un po’ come un archeologo, infatti io da piccolo, prima di fare ciò che avevo sempre voluto fare, ovvero il giornalista, ho avuto un periodo nel quale, dopo aver visto gli scavi di Pompei, volevo fare l’archeologo. Trovo che ci sia un’analogia incredibile tra l’archeologo e il giornalista, perché l’archeologo va e scavando trova delle tracce. Avendole trovate riporta come sono andate determinate cose e fa delle ipotesi che poi, però, sono suffragate dalle scoperte che fa, dalle datazioni e, quindi, da tutto quello che gli consente di trovare una verità. Qui c’era una casa? Di che epoca era questa casa? Guardando quella famosa immagine della persona con il cane a Pompei si potrebbe chiedere: questa era una persona che fuggiva? A quanto tempo fa risale? Perché si trovava qui? Ecco, il giornalista si chiede perché, cerca di capire come le cose siano accadute, ma siccome oggi le cose sono molto complesse, è costretto a scavare come l’archeologo. Se, però, ha scalpello e lima giusti, se riesce a spolverare bene, è più avvantaggiato. Questi strumenti sono sicuramente dati da una formazione universitaria. Detto questo, per diventare giornalisti professionisti si può anche cominciare dalle redazioni, facendo praticantato direttamente sul campo; solo che oggi quest’ultimo, a causa di una serie di motivi come i costi per (Continua da pagina 81) (Continua a pagina 83)

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alla domanda sull’informazione, credo che in questi due anni difficilissimi, nei quali è stata messa molto alla prova, con il racconto del Covid-19 prima e poi con l’Ucraina, essa abbia saputo in qualche maniera tenere la barra del racconto e anche fare quello che deve fare. Io, per esempio, durante la stagione del Covid 19, quando si diceva: (Continua da pagina a pagina

83 M S gli stipendi, viene concesso molto più raramente. Quindi la scuola, che è sostitutiva del metodo tradizionale, ti consente di avere strumenti in più, almeno nel mio caso mi ha dato questo e anche la possibilità di tessere relazioni durante gli stage, cosa che magari non sarei riuscito a fare se fossi stato da solo. Io ho cominciato facendo uno stage in una tv locale, per passare alla televisione nazionale, il TG4, e poi da lì è iniziata la mia carriera». Il mondo della comunicazione, negli ultimi due anni, ha saputo informare e formare l’opinione pubblica? «Io correggerei questa domanda e direi “informazione” e non “comunicazione”, che sono due cose diverse, perché informazione vuol dire “dare una forma”, quindi avere qualcosa che inizialmente non ha forma. Nel film “Pinocchio” (2019 ndr), dove Benigni interpreta Geppetto, partiva da un blocco informe di legno e, scalpellando scalpellando, da quel legno venivano fuori pezzi di corpo: da una spalla, al contorno della faccia, fino al naso lunghissimo. Ho sempre pensato che il giornalismo fosse questo: andare a togliere per aggiungere, cioè scavare per dare una forma al blocco di legno, fino a farne uscire un figlio. Geppetto, infatti, dice: “Mi è nato un figlio!” quando quel blocco informe diventa qualcosa, quindi quando un giornalista cerca di ottenere la verità di un fatto, per cercare scava, scavando toglie tutto l’inutile e il superfluo e togliendo dà forma. Quindi, informare vuol dire“dare una forma”. Comunicare, invece, non vuol dire questo, comunicare è “mettere in comune”, passare qualcosa che io possiedo anche a te, e questo è uguale anche nel giornalismo con l’aggiunta, però, del contesto che fa capire perché un fatto è successo e che cosa ci sia attorno, riferendosi al buon Rispondendogiornalismo.

84 M S “L’informazione deve rassicurare” non ero d’accordo, perché penso che sia proprio il contrario. L’informazione non deve rassicurare, l’informazione deve informare, deve raccontare. Quando sono entrato nelle terapie intensive non ho pensato: “Mi conviene raccontare un po’ meno, perché, altrimenti, la gente a casa si spaventa”. Non ho pensato questo, perché bisognava mostrare agli italiani in quel momento che cosa fosse davvero la terapia intensiva, e rispondere alla frequente domanda di quel periodo: “Questo Covid 19 è solo una semplice influenza?”. E come poteva fare un giornalista televisivo se non con la forza della sua caratteristica cioè l’immagine, che per noi arriva prima della parola? Quindi, ho pensato che, rispettando le regole del nostro lavoro e la privacy, sarebbe stato necessario utilizzare l’immagine. Anche se la macchina è potente, noi la portiamo dove vogliamo che vada. Se, invece, non la governiamo, siamo sciatti e noi per primi non c’informiamo e siamo trascurati nel raccontare, facciamo, allora, un cattivo giornalismo». A quali fonti si è affidato per analizzare e poi dare le notizie sul Covid -19 e sul conflitto tra Russia e Ucraina? «Faccio l’inviato, quindi racconto quello che vedo. Questa è una fonte della quale ci si dimentica sempre: gli occhi sono una fonte testimoniale, una persona che va sul posto e vede un fatto è una fonte. Per entrare nelle cose la prima fonte sono gli occhi del giornalista. Tutto quello di cui io scrivo è perché l’ho visto. Ma io faccio l’inviato. Ci sono, magari, dei miei colleghi che, facendo un altro tipo di giornalismo, raccontano anche qualcosa che non hanno visto, servendosi di una fonte secondaria: dunque, ci deve essere un’altra persona che glielo racconta anche se non l’hanno visto con i propri occhi. Non possiamo sempre vedere tutto con i nostri occhi, perché non è facile essere in tanti posti contemporaneamente, ma ognuno di noi ha un “cono”, l’argomento che gli è stato assegnato, e dentro a quel cono deve documentare quello che Peraccade.quanto riguarda il Covid 19, la mia presenza all’interno delle terapie (Continua da pagina 83) (Continua a pagina 85)

85 M S intensive è la prima fonte dalla quale ho tratto un racconto, poi ci sono le statistiche dell’Istituto Superiore di Sanità. La necessità di saper leggere le carte e i dati è fondamentale e anche il non farsi traviare, per esempio, dai dati avulsi, ovvero fuori contesto. Quante persone ci sono in terapia intensiva oggi? Ce ne sono 5000. Va bene, ma è necessario sapere su quale platea, su quante persone in quella settimana: devi mettere a confronto i dati, non estrapolarli e guardarli da soli. Il giornalista e il giornalismo analizzano i dati e leggono le carte. Altre importanti fonti sono le interviste con i virologi; oltre a loro, primari di terapia intensiva, pneumologi, tutte le persone con una specialità medica che in qualche maniera ci consentiva di aggiungere dei dati a ciò che succedeva. Tutto questo per quanto riguarda il Covid 19. Molto più complicato, invece, è il discorso dell’Ucraina: in quel caso si era in un contesto di guerra. L’informazione, in quel caso, è molto viziata dalla propaganda, parola che sembra brutta, ma, in realtà, ha anche una connotazione positiva. Nasce come cosa positiva, cioè io propagando, ovvero diffondo, quello che ritengo sia giusto comunicare. La propaganda, però, in guerra vizia l’informazione. Propaganda che c’è stata sia da parte russa, sia da parte ucraina, naturalmente. Basta solo pensare al fatto che la maggioranza dei giornalisti italiani era in Ucraina per raccontare il conflitto e doveva sottostare alle regole dell’esercito nazionale in un contesto di guerra. Quindi, è chiaro che le informazioni provenienti dalle fonti ufficiali andavano prese con le pinze. Facendo un esempio, Volodymyr Oleksandrovyč Zelens’kyj, la vice premier Iryna Andrïïvna Vereščuk, il comando generale della difesa, sono tutte fonti ufficiali che diffondevano informazioni in inglese. Ho ancora una chat “WhatsApp” con tutti i giornalisti internazionali inseriti nella quale ogni due ore arriva un’informazione che ha bisogno, poi, di essere verificata: è davvero così? Stanno davvero così le cose? Questo è stato un elemento di grande difficoltà, perché eravamo in una realtà di guerra, ma non mancano anche qui in Italia le difficoltà. (Continua da pagina 84) (Continua a pagina 86)

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Ogni volta in cui il giornalista muove qualcosa che dà fastidio a qualcuno, questi, facoltà liberissima di poterlo fare, può querelarti e, naturalmente, si mette in moto la macchina della giustizia con i suoi tempi lunghi. Recentemente, il mio avvocato mi chiedeva conto di alcune visure camerali, quelle carte d’identità delle aziende che io ho citato in un mio servizio. La controparte ha contestato quei documenti, che, invece, noi abbiamo fatto vedere ed ecco perché le carte, ragazzi, sono importanti. Tornando all necessario anche non attingere solamente da fonti ucraine. È molto difficile, però, perché in quel contesto è davvero complicato non essere viziati e condizionati sia da una parte sia dall teneva una conferenza stampa in cui gli ucraini mostravano i prigionieri russi ai giornalisti. Ora, faccio io a voi una domanda: soldato russo catturato dagli ucraini e ti portassero in una conferenza stampa con i giornalisti internazionali diresti ancora che Putin è la persona in cui tu hai creduto o che la guerra di Putin e giusta?” Non lo diresti, perché sei in uno stato di detenzione, sei in mano agli ucraini e, quindi, non vai a dire bene del loro nemico. È chiaro che quelle conferenze stampa erano assolutamente viziate, perché chi parla non lo fa in maniera libera, non può dire quello che pensa, perché chiaramente dirà come dicevano: “Caro Putin, finiscila con questa guerra! Il popolo ucraino dev’essere libero”, lo stesso che tu russo hai bombardato fino al giorno prima. Difendersi dalla propaganda è proprio una delle sfide del giornalismo sul campo». Che cosa ha imparato stando a diretto contatto con pazienti, familiari e personale sanitario nei reparti di terapia intensiva durante l’emergenza Coronavirus? «Due cose: una la straordinaria abnegazione, un termine complesso, ma che significa volontà di spendersi, spendere il proprio tempo, la propria professione di medici e infermieri, cioè la volontà di combattere davvero il Covid-19 andando oltre il proprio orario di lavoro, salvando vite, la straordinaria efficienza dell’apparato umano e professionale dei nostri (Continua da pagina (Continua a pagina

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87 M S ospedali, poi la dignità del dolore nelle famiglie, perché esiste un dolore dignitoso. È un dolore che potete immaginare profondo. Ho raccontato la storia di una ragazza venticinquenne che ha visto il padre morire fra le sue braccia. ha raccontato nel suo tinello di casa in Val Seriana. La bombola ossigeno era arrivata mezz’ora dopo la morte del padre, nonostante avesse chiesta da ore. Quando ti metti di fronte a questa cosa qui, da giornalista intendo, davanti al dolore di una persona, scopri anche un è un valore che ti porti dietro anche tu quando vai a casa. È la di questo lavoro: portarsi un po’ delle storie a casa con sé, quindi trasformare anche quel dolore, essere vicino alle persone che racconti, essere lì, certo come giornalista, ma esserci anche come uomo. umanità è uno dei tratti fondamentali di questo lavoro. inefficienza del nostro sistema sanitario, assolutamente impreparato a gestire un’emergenza così impetuosa! Certo, ha molte attenuanti, sicuramente c’è piovuto addosso qualcosa di grande, però ci sono anche numerose colpe, perché negli anni precedenti non si era aggiornato il piano pandemico, per esempio, non si erano creati posti di terapia intensiva, come dovevano essere in rapporto alla popolazione, parlo soprattutto per la Lombardia». Qual è l’esperienza che l’ha colpita maggiormente? Perché? «Direi la pandemia e la guerra, perché sono arrivate in un periodo di maturità mia personale. Faccio il giornalista dal 1996, sono 26 anni. Ho iniziato a diciott’anni in un piccolo giornale dove non c’era Internet, ancora non c’erano i cellulari, ma il telefono fisso. La domenica sera, frequentavo l’ultimo anno di liceo, andavo e scrivevo i tabellini delle partite di calcio avendone vista solo una su dieci, perché il dono dell’ubiquità ancora non c’è e non c’era neanche allora. Le altre me le facevo raccontare al telefono. Ecco, ho iniziato così, romanticamente, in una piccola, anonima, redazione dove eravamo in due a scrivere col computer, a scattare e sviluppare le foto. C’era un fotografo che era in servizio, anche di sera. Stampavamo le foto e le mandavamo nella (Continua da pagina 86) (Continua a pagina 88)

redazione centrale di Bolzano con il treno. Oggi basta un click, per voi è fantascienza, però mi ricordo che alle 22:00 uscivo, mettevo cinque o sei foto in bianco e nero dentro una busta gialla, la portavo al capostazione che la faceva partire per la redazione. Tornando alla risposta, direi quelle due esperienze e anche un’altra: il racconto dei truffati dalle banche. Metterei il Covid 19 in primis, perché è un racconto in esclusiva fatto da me. Sono stato il primo giornalista italiano ad entrare in una terapia intensiva e, credo, il primo al mondo a documentare quanto vi accadesse, tanto che quel servizio è stato diffuso in 43 Paesi. Erano le primissime immagini della pandemia riprese live, proprio dal reparto e nessuno aveva mai visto niente di simile. Negli Stati Uniti la percezione della pandemia non era ancora arrivata! L’Italia era proprio al centro in quel periodo, se vi ricordate Marzo 2020, eravamo noi l’epicentro. Riguardo la guerra in Ucraina, io dico sempre che non sono un inviato di guerra e ci tengo a dirlo, però possiedo il racconto, cioè so raccontare. Conosco il mio limite, poiché non sono un esperto di guerre, ho fatto fatica sul terreno, perché mi mancava l’esperienza, però mi sono buttato, essendo solido su quei tre o quattro punti che possedevo e che mi sono stati dati negli anni dai tanti racconti di dolore che ho ripreso. Ho applicato quel bagaglio che possedevo, quindi la forma del racconto, anche se non avevo l’esperienza del racconto di guerra. Infine, il racconto dei truffati delle banche o dalle banche. Ho raccontato uno dei più grandi crac bancari italiani, quello di Banca Popolare di Vicenza e Veneto banca, due grossi istituti di credito che ora non ci sono più e che, per farvela semplice, vendevano delle azioni “tossiche” a poveri pensionati, agricoltori, gente con una bassa istruzione, magari neanche la quinta elementare. C’è un processo in corso, c’è stata una condanna in primo grado, probabilmente interverrà la prescrizione. Mi ha molto colpito quel racconto che, come gli altri, è stato fatto dove le persone vivono, io vado poi a cena con le persone mi portano nelle loro case. Ricordo che uno dei truffati, per ringraziarmi, pensate quanto fossero lineari, semplici, mi fa:“Ti do un regalo”. Va di là in una casa di campagna veneta in mezzo alla nebbia e torna con un (Continua da pagina a pagina

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cappone tenendolo a testa in giù e io dovevo tornare in treno a Milano col cappone. Questa era la genuinità della gente! Tu, però, devi saper entrare in relazione con le persone, cioè non raccontare solo una storia, ma entrarvi dentro senza essere nella storia ed è una distinzione fondamentale. Io non sono te che sei stato truffato dalle banche, non potrò mai avere il dolore, che ti ha spinto sull’orlo del suicidio, perché ti hanno rubato tutti i soldi, non sono te e questo è importante, perché mi garantisce un punto di vista esterno, meno viziato. Dentro quel racconto, dentro la tua storia in qualche modo, però, ci devo entrare, perché, altrimenti non capirò io stesso che cosa sto raccontando. Quindi, dobbiamo esserci non nella storia, ma dentro la storia». Da inviato ha sempre potuto raccontare tutto? «Allora, io ritengo questo, perché non vivo sulla Luna, vivo sulla Terra: ogni redazione ha un recinto, immaginate un recinto dentro cui voi siete, quel recinto è la linea editoriale della redazione. Ognuno ha un’idea su un fatto ed è giusto, secondo me, che ce l’abbia! Io non credo al giornalismo imparziale quella roba lì, british, perché poi neanche gli inglesi si comportano sempre bene. Abbiamo visto che cosa sia successo qualche anno fa sui tabloid: spiavano le conversazioni di poliziotti e tutta questa deontologia dov’è? Va bene che la insegnano sempre dall’alto, ma insomma hanno dimostrato anche nella storia di non saperla applicare.

C’è una bella frase di Ettore Mo che mi piace moltissimo. Lui è un grandissimo inviato, oggi novantenne, del “Corriere della Sera” che dice questo: “un racconto senza aggettivi non è mai riuscito a nessuno” ed è vero, non è mai riuscito a nessuno, perché significa spersonalizzarti. Io sono sicuro che se noi quattro raccontassimo quello che stiamo vedendo oggi, ognuno di noi lo racconterebbe in modo diverso: siamo tutti dentro una stanza di un’Università prestigiosa, con l’aria condizionata, voi due avete la camicia bianca e lei quella con le maniche corte, ma il modo di raccontare che avrai tu non sarà lo stesso suo. Non è un male, basta che questa rimanga un’Università e non uno scivolo acquatico a “Gardaland”. Ho fatto dei paradossi, però non credo che un punto di vista, un recinto sia un limite in sé. Dentro quel recinto, però, noi dobbiamo ampliare, (Continua da pagina 88) (Continua a pagina 90)

quanto più possibile, la nostra abilità di muoversi, ecco questo sì. Il recinto mi sta bene, però dentro di esso racconto quello che voglio io. Questa stanza non può diventare qualcosa di diverso e devo dire che, forse perché non mi sono mai occupato direttamente di politica, nei miei racconti ho sempre avuto estrema libertà e, anche quando la linea editoriale della trasmissione non era in linea, scusate il gioco di parole, con il racconto che io ho portato, quel racconto è andato, comunque, in onda. Non c’è mai stato nessuno che mi abbia chiamato per dirmi: “Questo non lo devi dire nel tuo pezzo”, mai capitato. Però, avviene e ne ho anche le prove». Quale capitolo, alla luce delle nuove esperienze, aggiungerebbe al suo libro “La più bella. La Costituzione tradita. Gli italiani che resistono”? «Sarebbe banale, ma ovviamente dedicherei, siccome si parla degli articoli disattesi, due capitoli l’uno all’articolo 11, “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, l’altro al 32 sulla tutela della salute “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Credo che manchino, perché un libro si chiude e i fatti che accadono dopo non posso sempre essere previsti. Aggiungerei questi due capitoli». C’è una collaborazione tra colleghi quando si rischia la vita in ogni istante? Quali difficoltà ha superato per cercare di far trasmettere i suoi reportage dai contesti di guerra? «Riconoscendo la mia inesperienza, perché è importante riconoscerlo, ho lavorato moltissimo e bene in pool, come si suol dire, insieme a due fotografi, fotoreporter di guerra con maggior tempo vissuto sul campo rispetto a me e, quindi, mi sono messo, banalmente, al loro traino. Loro scattavano foto, io lavoravo con le immagini in movimento, col mio cameraman e, certe volte, anche da solo col cellulare. Io credo che si possa collaborare, ma ce n’è di meno, lo devo dire, tra giornalisti italiani, soprattutto quando lavorano per lo stesso mezzo, la televisione oppure con la carta stampata. Rispetto ai giornalisti internazionali, l’italiano è (Continua da pagina 89) (Continua a pagina 91)

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91 M S ancora un po’ più provinciale, sotto questo punto di vista: c’è sempre la gara a chi ha portato più materiale ed è una gara che a me non piace, anche se sono competitivo, voglio portare qualcosa in più di un mio collega. Se ci dovessero essere delle difficoltà ci si aiuta:“Guarda ci sono andato io ieri in quel posto, ma non ti consiglio di andarci dopo le quindici, perché cala subito la luce e iniziano a bombardare”. Ci sia aiuta così, dando delle indicazioni, però, per quanto riguarda la mia esperienza, non è un ambiente di grande solidarietà». Nelle città ucraine ha visto scene a cui gli occhi degli Europei non erano più abituati. Dove ha trovato la forza e le parole per descrivere le tragedie della guerra? «Trovi le parole dentro di te, se entri in empatia con le persone, ribadisco questo. Devi saper metterti alla stessa altezza del dolore personale, cioè non troppo in alto rispetto al dolore, perché a quel punto sviluppi semplicemente del pietismo, della comprensione. Certo che ti comprendo, comprendere vuol dire abbracciare, ovvio che se sto sopra t’inglobo, però se sto troppo sotto al tuo dolore non riesco a comprenderlo, a guardarlo. Stare alla stessa altezza del dolore è difficilissimo, poiché quando perdi un familiare o un collega non è affatto facile. Non dimentichiamo che sul campo questa guerra ha lasciato molti giornalisti. Anche qui mi viene in soccorso Ettore Mo, il quale dice: “Quando torni nella tua stanza d’albergo devi scegliere le parole” Io parlo di “castità verbale” che significa riuscire a trovare le parole giuste senza far venir meno il dramma, senza far sì che il dramma arrivi così impetuoso da non lasciarti nemmeno il fiato e lo dico soprattutto per la tv, che lavora con le immagini. Occorre sceglierne una che sia non troppo forte da essere mostrata e che non risulti disfunzionale. Ciò sposterebbe tutta l’attenzione del racconto verso qualcosa che farebbe perdere di vista il resto e bisogna, dunque, scegliere di lasciare indietro ciò che i propri occhi hanno visto. Faccio un esempio: dentro le terapie intensive io ho assistito alla manovra di intubazione di un paziente ed è qualcosa che mi ha sconvolto, perché è molto dura. È una manovra invasiva e ho scelto di non mostrare quella (Continua da pagina 90) (Continua a pagina 92)

Nel mio secondo libro, che sto scrivendo, affronto un termine molto complesso, si chiama “disintermediazione” quando non c’è più la mediazione di un essere umano, non c’è più la mediazione di un giornalista. Tu vai su “Instagram” o “TikTok” guardi un video, magari falso, e pensi che quella sia la realtà, perché non hai nessuno che ti dà un contesto. Quando, quindi, abbiamo la pretesa che l’immagine parli da sola, che ci dica tutto, che sia “vera” perché l’abbiamo documentata, ci stiamo sbagliando. Abbiamo bisogno di professionisti dell’immagine, cioè di giornalisti che sappiano dare un contesto a quell’immagine, fare in modo che ci sia una comprensione di qualcosa che è avvenuto realmente. Per molti ora vale l’equazione giornalista terrorista, ma il mio non sarà un libro in difesa del giornalismo, però del buon giornalismo sì».

Il mondo della scuola come può aiutare a preparare i giornalisti del futuro? «Facendo entrare i giornalisti nelle scuole, per prima cosa, facendo in modo che professionisti dell’informazione incontrino i ragazzi e magari (Continua da pagina 91) (Continua a pagina 93)

92 M S cosa lì, però volevo mostrare che cosa significasse finire intubati. Come potevo farlo? Ho scelto questa forma: raccontare il momento in cui l’infermiera comunica al paziente che aria non c’è più e che l’unico modo per sopravvivere è quello di farsi intubare. Il racconto dell’intubazione è stato in quel dialogo in cui vedi quegli occhi che dipendono totalmente dal medico, ma che hanno paura. La paura è un sentimento molto umano, dobbiamo averne grande rispetto. Per me è più forte questo di vedere un tubo che ti viene infilato in gola, perché lì scatta tutta l’umanità degli sguardi, del paziente che reagisce, alla comunicazione. Se vi ho fatto un esempio concreto, è per dirvi che, certe volte, si può rinunciare a mostrare delle cose, perché con più tatto, con più raffinatezza di testa, quello del giornalista è un lavoro che va pensato, si riesce ad ottenere un effetto addirittura più dirompente e più utile al telespettatore.

93 M S incontrandoli nasca in qualcuno di loro una scintilla. Qualcuno può appassionarsi, finora non mi è mai capitato nessuno, anche se ho girato tante scuole, non ho trovato nessuno che volesse fare il giornalista. È un lavoro, come voi state dimostrando, che si può fare nelle scuole. Ai miei tempi collaboravo con il giornalino scolastico, non c’era “Instagram”, era cartaceo, però scrivevamo al computer. Si può fare informazione dentro la scuola, raccontare quello che avviene, dare ai ragazzi la possibilità di esprimere il loro pensiero su un argomento, scrivere dei piccoli editoriali. Credo che mettendo dentro la scuola questi semi di buone informazioni si possa sperare anche che qualcuno si appassioni. Adesso siete molto giovani, tuttavia, c’è la possibilità che qualcuno diventi, in futuro, un giornalista. Certo, se la scuola rimane solo chiusa dentro la sua torre d’avorio della nozione e non si apre a quelli che sono contesti anche più stimolanti per voi, ha perso la battaglia. Milano è una città che lo può fare, io vengo da una città di provincia, lassù in montagna molti esperti non venivano, ma siete in una città che offre molte opportunità e la scuola deve aprirsi, altrimenti rimaniamo sempre dentro uno schema, conosciamo tutto delle piramidi, ma il mondo intanto è andato avanti, che cosa ne sappiamo? Forse, anche per voi è utile sapere cosa ci sia di più concreto fuori dalle aule». Abbiamo conosciuto un professionista capace di cercare le notizie facendosi testimone delle stesse, raccontando dai luoghi di morte e sofferenza le tragedie che hanno riportato le lancette della storia al secolo scorso. Le sue parole ci hanno aiutato a capire che per fare del buon giornalismo occorra essere liberi da pregiudizi e precomprensioni, disposti a leggere la realtà e a cogliere l’essenziale, essendo capaci di far domande giuste e ascoltare, per davvero, le risposte, non guardando l’orologio, la data se c’è una festività o la vacanza da fare a tutti i costi, perché la notizia non aspetta.

In poche parole, bisogna essere umili, di quell’umiltà che permette di rispettare fatti e persone, di restare a schiena diritta davanti ai potenti e d’inchinarsi solo davanti al lettore. (Continua da pagina 92)

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Attuale anche più di vent’anni dopo. Il film “Viaggio a Kandahar”, proiettato dal cinema “Anteo” durante il ricordo che la “Fondazione Corriere della Sera” ha voluto rendere alla giornalista Maria Grazia Cutuli, scomparsa il 19 novembre 2001 proprio in Afghanistan, ha restituito senso a una condizione disagiata, quella del Paese e dei suoi cittadini. Avevamo già parlato in classe della situazione afghana, soffermandoci, però, sulla situazione attuale e su quanto accaduto negli ultimi mesi con il ritorno dei talebani. Non avevamo affrontato quanto accaduto prima delle “Torri gemelle” e della successiva guerra (2001 - 2021).

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La pellicola, diretta dal regista iraniano Mohsen Makhmalbaf collegato on -line e introdotta dalla giornalista del “Corriere” Viviana Mazza, si apre con l’estate del 1999. Nafas è una donna afghana rifugiata in Canada insieme ai pochi familiari a seguito delle guerre. Ha deciso di ritornare a casa dopo aver ricevuto la lettera di una sorella, la sola consanguinea rimasta nella terra d’origine, sposata con un uomo che l’umilia. Lo scritto annuncia l’imminente suicidio, che dovrebbe coincidere con l’ultima eclissi del secolo. Passando dal confine con l’Iran, Nafas decide di entrare in Afghanistan. Prima paga lautamente il passaggio su uno scassatissimo mezzo che viene sequestrato dai predoni del deserto, poi accetta l’invito di un ragazzino, appena espulso da una scuola coranica, che si offre di guidarla; in seguito viene accompagnata per un tratto di strada da un medico, che si finge talebano, e che, in realtà, è un nero americano arrivato per combattere i russi e poi trattenutosi in missione di solidarietà. Infine, dopo aver fatto sosta in un campo della Croce Rossa, dove molti uomini mutilati dalle mine, sparse dappertutto, attendono la distribuzione delle protesi, si mescola a un corteo di donne col burka che vanno a piedi a Kandahar per un matrimonio, sostituendosi alla cugina della sposa. Nafas non ritrova sua sorella, ma si appresta ad entrare in città al calare del sole. a pagina 95)

Nel nome di Maria Grazia e Nafas

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Il personaggio del sanitario ci ha molto colpiti: viaggiare alla ricerca di Dio, aiutando i più bisognosi, è una buona azione che non sempre capita di vedere in quelle zone bisognose di tutto. Inoltre, coglie nel segno la normalità con cui Khak, il ragazzino cacciato, perché non sa intonare bene il “Corano” in arabo, alla visione di un cadavere non inorridisca, ma si metta a cercare tesori da poter rivedere, segno che, ormai, questo tipo di vita sia un’abitudine per lui e tanti altri adolescenti. Ricorrendo a un linguaggio documentaristico, lo spettatore ha davanti a sé chiaramente una serie di esempi sulla vita afghana: in primo luogo il numero di mutilati, poi le donne, chiamate “teste nere” a causa del burka che copre l’intero corpo, successivamente la rassegnazione allo stato delle cose potenziata dalla fede religiosa, l’indottrinamento dei bambini all’interno delle scuole coraniche, l’inflessibilità dei mullah, la debolezza dell’Onu, che, inconsapevolmente, serve da copertura anche per alcuni atti criminali, il divieto per le donne di parlare direttamente con altri uomini eccezion fatta per il marito, costringendo la protagonista a usare il ragazzino come interprete, la scarsità dei mezzi per il trasporto, le vie percorse solo a piedi, la condanna all’invisibilità cui sono destinate le donne e gli Crediamoinfermi.che, attraverso la storia delle due signore, si possa leggere tra le righe un grido d’appello: la sorella della protagonista accende un faro sulle donne afgane, spesso sull’orlo tra la voglia di vivere e quella di morire, mentre la protagonista, Nafas, impersonifica noi occidentali, che potremmo essere d’aiuto dando risposte concrete a ragazze e ragazzi, donne e uomini, che non si tormentano su chi sia al potere nel loro Paese, ma che chiedono solamente pace, sicurezza, cibo, medicine, lavoro e accesso ai servizi di base. (Continua da pagina 94)

raccapricciante

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Maria Grazia Cutuli (Catania, 26 ottobre 1962 – Sarobi, 19 novembre 2001) si era laureata in filosofia all’Università della sua città e aveva esordito come collaboratrice del quotidiano “La Sicilia” e della televisione “Telecolor”. Trasferitasi poi a Milano, ha scritto per “Centocose” ed “Epoca”. Dopo aver collaborato in Ruanda con l’Unhcr, (Agenzia delle Nazioni Unite, che si occupa di rifugiati), aveva maturato una grande esperienza in politica estera. Arrivata al “Corriere della Sera”, venne assunta a tempo indeterminato dal luglio 1999. Le testimonianze raccontano che il 19 novembre 2001, Maria Grazia, insieme con Julio Fuentes, giornalista di “El Mundo”, e a due cronisti della “Reuters”, aveva lasciato Jalalabad per raggiungere Kabul. Non sarebbero mai arrivati alla meta. In una valle desolata, lungo la strada che portava alla città che l’aveva stregata anni prima e della quale voleva raccontare la liberazione, i giornalisti vennero uccisi.

Desiderio di capire per scrivere

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chiese e ottenne dal giornale di potersi fermare in Afghanistan altre due settimane, d’inseguire quella notizia che era convinta fosse uno scoop. Il giorno della sua morte il pezzo uscì sul “Corriere” e fu effettivamente una rivelazione: la presenza di gas nervino in un laboratorio abbandonato da al-Qaeda. Il Corriere e la sua Fondazione, hanno reso omaggio alla collega “Mary Grace” a vent’anni dalla morte con una giornata dedicata alle nuove generazioni, al diritto allo studio, al pensiero libero. Ospiti la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, l’Alto rappresentante dell’Unhcr, Filippo Grandi, la senatrice Emma Bonino, gli scrittori Edoardo Albinati, Paolo Giordano, Lawrence Wright, Alì Ehsani con Francesco Casolo, i cooperanti di “Emergency” e “Medici Senza Frontiere” Simonetta Gola, Eleonora Selmi, Marco Puntin, i musicisti Valerio Lisci, Giulia Rimonda, l’attrice Cinzia Spanò, studenti arrivati in Italia grazie ai corridoi universitari dell’Unhcr. (Continua

La mostra “Uno sguardo sulla nostra storia” al Museo Diocesano di Milano, con le fotografie di Maurizio Galimberti, ha ripercorso il ‘900, ma non solo. Dal primo marzo al primo maggio 2022 sono state esposte trenta autentiche opere d’arti con fotografie di grande formato scattate da Galimberti (Como, 1956), autore italiano tra i più conosciuti e celebrati del panorama artistico italiano e internazionale. Ambassador Fuji dal 2017, si è affermato grazie alle sue composizioni a mosaico, realizzate con macchine fotografiche istantanee, nelle quali, il soggetto, sia esso una persona o una porzione di città, viene scomposto in numerosi scatti, spesso corrispondenti a diverse prospettive, e ricomposto in un’immagine sfaccettata “a quadretti”. La rassegna è stata curata da Denis Curti, direttore artistico della “Casa dei Tre Oci” e consulente della “Fondazione di Venezia” per la gestione del patrimonio fotografico. L’ex geometra, protagonista della serata, famoso per i suoi ritratti alle celebrità di: cinema, sport, cultura, si confronta con la storia del Novecento, dando nuova vita agli scatti realizzati da altri autori. Il percorso espositivo si compone di sezioni che ritraggono i principali “attori” del secolo scorso, come Papa Giovanni Paolo II o Nelson Mandela nel suo simpatico incrocio di pugni con Muhammad Ali, o Nikita Krusciov mentre sbatte la propria scarpa sullo scranno dell’Assemblea delle Nazioni Unite a New York, di madre Teresa di (Continua a pagina 99) Scatti storici

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Calcutta teneramenteabbracciache un bambino, o Falcone e AttraversoBorsellino. i volti dei più piccoli, vengono raccontate le drammatiche immagini dei bambini di Auschwitz, della Cambogia di Pol Pot, del Vietnam, di Srebrenica, dei piccoli migranti morti su una spiaggia, oppure separati dai genitori sul confine tra Stati Uniti e Messico, o che cercano salvezza tra le braccia dei soldati. L’artista della “Polaroid” non si dimentica di documentare la piaga del terrorismo, come l’attentato alle Olimpiadi di Monaco del 1972, quello alle Twin towers di New York. o all’assalto ai militari italiani a Nassiriya, fino alla recente pandemia di Covid 19 e alla fuga della città di Kiev del 25 febbraio per l’inizio della guerra in AdUcraina.accompagnare l’esposizione due volumi Skira, con testi, Gianni Canova, Matteo Nucci, Maurizio Rebuzzini e di Denis Curti, lo stesso che ha curato l’ultimo libro di Maurizio “Il mosaico del mondo. La mia vita messa a fuoco” (Marsilio, 2022). (Continua da pagina 98)

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La “Cineteca Milano” ha presentato domenica 3 aprile il documentario “Charlie Chaplin, le génie de la liberté durante il festival dedicato al comico britannico organizzato dalla “Fondazione I Pomeriggi Musicali Teatro Dal Verme di Milano. La pellicola è un incredibile viaggio nella vita del grande artista, creato da due autori francesi, François Aymé e Yves Jeuland. A partire da preziosi materiali d viene ripercorsa la lunga carriera. Per realizzarlo la famiglia, che gestisce la maggior parte dei diritti di Sir Charles Spencer Chaplin, noto come Charlie (1889 1977), ha fornito preziosissimi film privati e assolutamente inediti. I due autori, cosceneggiatore e regista, non si affidano così a testimoni o a specialisti, ma preferiscono offrire una serie di materiali d’archivio commentati dalla voce fuori campo dell’attore francese Mathieu Amalric. I due avevano già proposto un film dello stesso tipo, “Un Français nommé Gabin” (2016), che era riuscito a offrire una nuova prospettiva sul mito del cinema francese, in particolare, grazie a molti documenti privati, sconosciuti o inediti, messi a disposizione dalla famiglia dell’attore. “Charlie Chaplin, le génie de la liberté” è un diario con foto e video, che hanno un andamento cronologico, ma il montaggio degli estratti filmati, con l’accompagnamento di (Continua a pagina 101)

100 M S Genio capace di far ridere e commuovere

101 M S testi e musica scritta da Chaplin, che era anche musicista e compositore, la qualità del testo e delle analisi portano a un risultato, capace di farci rivivere non solo gli anni ruggenti del cinema muto, ma anche quelli del colore dietro ma macchina da presa per dirigere in “La contessa di Hong Kong” con Marlon Brando e Sophia Loren. (Continua da pagina 100)

102 M S Nel “Purgatorio” il primo “protagonista” è Catone Uticense. Ad approfondirne la figura con la lezione “Dante tra Cesare e Catone” è stato Luciano Canfora, già professore ordinario di Filologia classica all’Università degli Studi di Bari, con letture di alcuni canti del “Purgatorio” e del “Paradiso” affidate all’attrice Valeria Perdonò. Ha introdotto la serata Paolo Di Stefano, giornalista del “Corriere della Sera” e ideatore del “Dantedì”. Il ciclo d’incontri a cadenza mensile dedicati a Dante e alla sua opera con l’obiettivo di offrire una riflessione a più voci sulla “Commedia” in occasione del 700 anniversario della morte dell’Alighieri, è stato voluto e organizzato, coinvolgendo anche il pubblico da casa, da “Fondazione Corriere della Sera”. Catone, racconta l’illustre grecista, è «l’intransigente “repubblicano”, la cui morte per suicidio in Nordafrica era stata l’immediata, ed estrema, risposta alla vittoria cesariana (46 a.C.). “Vidi presso di me un veglio, solo”. La sua dignità esteriore è subito enfatizzata: “degno di tanta reverenza in vista che più non dee a padre alcun figliolo”. Il Catone di Dante è quello della “Farsaglia”, del “Bellum civile” di Lucano: lo è già nell’immagine fisica, ricalcata, con adattamenti, all’immagine che ne traccia Lucano nel libro secondo del poema». Una sorpresa, non meno sconcertante, è l’assunzione tra i “salvati” di un pagano suicida. Basta pensare alla dura polemica di Tommaso d’Aquino e già di sant’Agostino (De civitate Dei I, 23 24) contro il suicidio di Catone, atto di debolezza, messo a raffronto dal vescovo di Ippona con la ben più ammirevole incrollabile resistenza di Giobbe al male. Per Dante, Catone è colui che “vita rifiuta” per la libertà. Dunque, secondo Canfora, è proprio quel gesto estremo che lo spinge a dargli un ruolo primario all’ingresso del regno della luce.

Libertà cercandova

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Il sommo poeta del silenzio è stato rivisto dalla prospettiva della zona arancione. Nel cortometraggio “Dante. Per nostra fortuna”, pensato e diretto da Massimiliano Finazzer Flory, con le coreografie Michela Lucenti, al montaggio Davide Trotta e musiche di Adriano Bassi, l’autore ha scelto il passo corto. In ventisette minuti, si apprezzano gli occhi dell’autore fiorentino bambino, amante della lettura attraverso la metafora del teatro vuoto, causa Covid 19, le riprese con il drone, la danza e 21 canti tra “Inferno”, “Purgatorio” e “Paradiso”. Le terzine più significative dell’opera sacra, vengono interpretate dal movimento di danzatrici e danzatori accompagnati dalla voce fuori campo dell’ex assessore alla cultura del Comune di Milano e dell’attrice Angelica Cacciapaglia, ora in prosa, ora in versi danteschi. La colonna sonora è stata composta ispirandosi ai segni e alle atmosfere delle cantiche per restituire il senso del viaggio ultraterreno. Durante il dibattito post proiezione tra l’attore regista e il giornalista Carlo Baroni è stato presentato il Dante con le sue tematiche sempre attuali e con un messaggio per l’uomo di ogni tempo. Il viaggio, infatti, da ottobre 2021 è continuato in 4K nei cinema con gli studenti per avvicinarli alla “Commedia”, ancora aperta a tante interpretazioni, ai suoi significati esoterici, parlando un “volgare illustre”, figlio del desiderio di conoscenza personale e interiore. In Italia il film aveva debuttato il 25 marzo 2021 a Ravenna per il “Dantedì” nella Sala Dantesca della “Biblioteca Classense” frutto della collaborazione con il Comune di Ravenna e in collegamento streaming con le scuole. Da allora ha diffuso la cultura italiana nel mondo toccando numerose città tra cui: Mosca, Manila, Hong Kong, Buenos Aires, Santo Domingo, Istanbul, Malta, Oslo, Tel Aviv, Miami e Montevideo. Fortuna dantesca

Maestro di eleganza e saggezza

Sono parole forti, capaci di far pensare che nella vita abbiamo spesso un’alternanza di gioia e sofferenza. Io non saprei esprimere meglio di cosi le mie sensazioni davanti a tante persone, ma le condivido molto. Dopo la parte dedicata alle (Continua a pagina 105)

dice Avati mi ha dato moltissime gioie, ma anche tanta sofferenza. Molte mattine andare sul set rappresenta la cosa che meno vorrei fare al mondo. E mi chiedo: ma perché mi sto costringendo a questa scelta di vita che mi espone continuamente a cercare la felicità?».

104 M S di Alexander Buscaglia Ricordi, riflessioni, fallimenti e successi. un docufilm con unico protagonista Pupi Avati, ha conquistato la platea dell’Università Iulm di Milano. La serata è stata condotta dal Rettore e Professore Gian Battista Canova, che ha presentato e accolto il regista bolognese insieme a tre ragazzi che si sono occupati delle riprese oltre a essere ex studenti dell alla regia, ed Hilary Tiscione, produttrice. L durante la Mostra Internazionale d La narrazione parte dal cimitero di San Leo, Sasso Marconi (BO) davanti alle tombe di alcuni familiari, passando per Bologna, il castello di Rocchetta Mattei, scelto per la pellicola uno dei primi insuccessi, gli uffici romani della «IlCinecittà.cinema

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riflessioni sulla propria carriera, Avati ha descritto la passione ultra ventennale per uno fra i padri della lingua confluita in “L’alta fantasia, il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante” (Solferino, 2021). Nel romanzo Giovanni Boccaccio, studioso dell’opera dantesca, riceve un incarico: andare nel convento di Ravenna, dove risiede la figlia dell’Alighieri, divenuta monaca con il nome di suor Beatrice, e consegnarle una somma di denaro per risarcire l’esilio subito dal padre. Boccaccio riesamina i momenti più importanti nella vita del sommo poeta, l’incontro con Beatrice, la politica, i tradimenti e l’amarezza per la cacciata da Firenze. Lui pure scrittore, si convince che il dolore promuova l’essere umano a una più alta Pupiconoscenza.Avaticiconsegna l’opera di tre vite: l’incontro impensabile attraverso i secoli tra un regista scrittore e due maestri della cultura italiana. Arricchiscono il libro, infine, alcuni suggerimenti di musica jazz e classica da ascoltare mentre lo si legge. Ad esempio: Ornette Coleman, Ludovico Einaudi, Sergej Rachmaninov. (Continua da pagina 104)

Inoltre, “Ariaferma”, diretto da Leonardo Di Costanzo ha visto premiare: Miglior attore protagonista (Silvio Orlando) e Migliore sceneggiatura, mentre il “Diabolik” dei Manetti Bros. si è dovuto accontentare del riconoscimento alla migliore canzone (“La profondità degli abissi” di Manuel Agnelli).

2022

La premiazione della 67ª edizione dei David di Donatello si è svolta a Roma negli studi di Cinecittà. A condurre la serata su Rai1 Carlo Conti, affiancato da Drusilla Foer.

106 M S di Denisse Aloise Rosita, Nicole Alice Chavez

I film in gara con il maggior numero di candidature erano: “È stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino e “Freaks Out” di Gabriele Mainetti, entrambi con 16, seguiti da “Qui rido io” con 14 e le opere “Ariaferma” e “Diabolik” con 11 ciascuna. Durante la cerimonia sono stati consegnati i David alla carriera a Sabrina Ferrilli, Giovanni Ralli e al regista Antonio Capuano “La guerra di Mario”, e c’è stato un toccante ricordo di Monica Vitti scomparsa lo scorso febbraio. Il film di Sorrentino, si è aggiudicato 5 statuette tra cui Miglior regista e Migliore attrice non protagonista (Teresa Saponangelo) e un David Giovani. “Freaks Out” di Gabriele Mainetti, ha conquistato 6 David (Miglior suono, effetti visivi, scenografia e fotografia). “Qui rido io” di Mario Martone, ha vinto per i costumi e il Miglior attore non protagonista (Eduardo Scarpetta).

Migliore sceneggiatura originale: Leonardo Di Costanzo, Bruno Oliviero, Valia Santella “Ariaferma” (vincitori); Jonas Carpignano “A Chiara”; Paolo Sorrentino “È stata la mano di Dio”; Nicola Guaglianone, Gabriele Mainetti “Freaks Out”; Mario Martone, Ippolita Di Majo “Qui rido io”.

Miglior attore protagonista: Silvio Orlando “Ariaferma” (vincitore); Elio Germano “America Latina”; Filippo Scotti “È stata la mano di Dio”; Franz Rogowski “Freaks Out” Toni Servillo “Qui rido io” Migliore attrice non protagonista: Teresa Saponangelo “È stata la mano di Dio” (vincitrice); Luisa Ranieri “È stata la mano di Dio”; Susy Del Giudice “I fratelli De Filippo”; Vanessa Scalera “L’Arminuta”; Cristiana Dell’Anna “Qui rido io”.

Miglior regia: Paolo Sorrentino “È stata la mano di Dio” (vincitore); Leonardo Di Costanzo “Ariaferma”; Giuseppe Tornatore “Ennio”; Gabriele Mainetti “Freaks Out”; Mario Martone “Qui rido io”.

Miglior regista esordiente: Laura Samani “Piccolo corpo” (vincitrice); Gianluca Jodice “Il cattivo poeta”; Maura Delpero “Maternal”; Alessio Rigo de Righi, Matteo Zoppis “Re Granchio”; Francesco Costabile “Una femmina”.

Migliore attrice protagonista: Swamy Rotolo “A Chiara” (vincitrice); Miriam Leone “Diabolik”; Aurora Giovinazzo “Freaks Out”; Rosa Palasciano “Giulia”; Maria Nazionale “Qui rido io”.

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Miglior attore non protagonista: Eduardo Scarpetta “Qui rido io” (vincitore); Fabrizio Ferracane “Ariaferma”; Valerio Mastandrea “Diabolik”; Toni Servillo “È stata la mano di Dio”; Pietro Castellitto “Freaks Out”. Miglior compositore: Nicola Piovani “I fratelli De Filippo” (vincitore); Dan Romer e Benh Zeitlin “A Chiara”; Verdena “America Latina”; Pasquale Scialò “Ariaferma”; Pivio e Aldo De Scalzi “Diabolik”; Michele Braga e Gabriele Mainetti “Freaks Out”. Migliore canzone originale: “La profondità degli abissi” (musica e testo di Manuel Agnelli) “Diabolik” (vincitrice); “Faccio ‘A Polka” (musica di Nicola Piovani, testo di Nicola Piovani e Dodo Gagliarde)“I fratelli De Filippo”; “Just You” (musica e testo di Giuliano Taviani e Carmelo Travia) “L’Arminuta”; “Nei tuoi occhi” (musica di Francesca Michielin e Andrea Farri, testo di Francesca Michielin) “Marilyn ha gli occhi neri”; “Piccolo corpo” (musica di Fredrika Stahl, testo di Laura Samani).

Partecipanti e premiati

Miglior film: “È stata la mano di Dio”, regia di Paolo Sorrentino (vincitore); “Ariaferma”, regia di Leonardo Di Costanzo; “Ennio”, regia di Giuseppe Tornatore; “Freaks Out”, regia di Gabriele Mainetti; “Qui rido io”, regia di Mario Martone.

Non perdere se stessi

108 M S di Nicole Alice Chavez, Denisse Loise Rosita

Dopo la delusione per il mancato Oscar come Miglior film internazionale “È stata la mano di Dio” trionfa ai David di Donatello 2022. Il film di Paolo Sorrentino, anche lui vincitore nella sua categoria, è ambientato negli anni Ottanta a Napoli, città natale del regista, e racconta la storia di un adolescente, di destino e famiglia, sport e cinema, amore e Ilperdita.diciassettenne

Fabio Schisa è un ragazzo goffo che lotta per avere il proprio posto nel mondo, ma che trova gioia nella sua famiglia straordinaria e amante della vita. Fino a quando alcuni eventi cambiano tutto. Uno è l‘arrivo a Napoli di una leggenda dello sport, simile a un dio: l‘idolo del calcio mondiale Diego Armando Maradona, che suscita in Fabietto, e nell‘intera città, un orgoglio che all’epoca sembrava impossibile. L‘altro è un drammatico incidente, che farà toccare al protagonista il fondo, indicandogli la strada per il proprio futuro. Apparentemente salvato dal campione argentino, toccato dal caso o dalla “mano di Dio”, compete con la natura del destino, la confusione della perdita e l‘inebriante libertà di essere vivi. Nel suo film più commovente e personale, Sorrentino accompagna il pubblico in un viaggio ricco di contrasti tra tragedia e commedia, amore e desiderio, assurdità e bellezza. Il ragazzo orfano dei genitori, trova l‘unica via d‘uscita dalla catastrofe totale attraverso la propria immaginazione. Questo era il sesto David di Donatello su ben 23 candidature di Sorrentino, il quale alla premiazione molto emozionato ha voluto condividere il risultato dicendo: «Qui ci sono molte persone con le quali ho cominciato, tanti napoletani: ringrazio la troupe, gli attori, mia moglie Daniela, i miei figli. Dedico il premio a Ludovica Bargellini, che ha lavorato con me e purtroppo da pochi giorni non c’è più».

Il regista e sceneggiatore Paolo Sorrentino (Napoli, 31 maggio 1970), non è più una promessa, ma uno tra gli autori più interessanti del cinema italiano contemporaneo, in grado di conciliare il rigore formale con sceneggiature, da lui stesso scritte, estremamente originali, ricche di personaggi spesso sgradevoli, ma inconsueti.

Il suo debutto dietro la macchina da presa avviene nel 2001 con “L’uomo in più” (Nastro d’Argento come migliore regista esordiente), interpretato dall’attore Toni Servillo. Pubblico e critica si sono trovati concordi nell’apprezzarne il lavoro grazie a “Le conseguenze dell’amore” (2004), presentato al Festival di Cannes, con cui ha vinto tre David di Donatello (migliori regia, film e sceneggiatura). Seguiranno tanti successi come: “L’amico di famiglia” (2006); “Il divo” (2008), sulla figura del politico Giulio Andreotti, con il quale si è aggiudicato il premio della Giuria al Festival di Cannes; “L’Aquila 2009. Cinque registi tra le macerie” (2009) girato con Mimmo Calopresti, Francesca Comencini, Michele Placido e Ferzan Özpetek a pochi giorni dal sisma che ha sconvolto la città abruzzese; “La grande in concorso alla 66a edizione del Festival di Cannes e per il quale ha vinto gli European Film Awards come miglior regia e miglior film e nel 2014 il Golden Globe, il BAFTA, il Premio Oscar come miglior film straniero e nove David di Donatello (tra cui miglior regia); “Youth La giovinezza” (2015). Nel 2016 l’esordito in una serie televisiva di otto puntate, “The young pope”, narrazione del controverso pontificato di Pio XIII, premiato con il Nastro dell’Anno 2017; “Loro” (2018), Nastro d’Argento per la miglior sceneggiatura; “The new pope” (2019 20), Globo d’Oro 2020 alla miglior serie televisiva. Oltre alla pubblicazione di libri, ha scritto e diretto il film “È stata la mano di Dio” (2021).

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110 Forze della natura. L’ottava edizione de “il Tempo delle Donne”, dedicata a un altro genere di forza, e ritornata in Triennale Milano a settembre 2021 con incontri in presenza e in streaming. Il pubblico ha trovato inchieste dal vivo, dialoghi, performance, incontri, conversazioni e lezioni spettacolo. «Chi ha detto che la forza è una qualità maschile? Esiste un altro genere di forza, che ribalta il tradizionale paradigma della forza virile e appartiene a donne e uomini insieme. Una forza libera ha spiegato Barbara Stefanelli, vice direttrice vicario di “Corriere della Sera” - fatta di flessibilità, velocità, coraggio, immaginazione, creatività. Equilibrio. Forza è un sostantivo femminile. Una forza motrice di cambiamento nella costruzione del mondo che non può restare rinchiusa in affollati e soffocanti luoghi comuni. Il sesso debole non esiste».

Marisa Laurito (Napoli il 19 aprile 1951), sin da giovanissima ha avuto una grandissima passione per la recitazione. Esordisce a 18 anni, grazie alla compagnia teatrale di Eduardo De Filippo, nello spettacolo “Le bugie con le gambe lunghe”. Dopo le prime esperienze, recita accanto a nomi di grande importanza e rilievo del teatro italiano. Nel 1978 la vediamo con la coppia Bud Spencer e Terence Hill e ottiene enorme popolarità, in seguito, anche insieme a Luciano De Crescenzo. diventa volto noto del piccolo schermo, conducendo numerosi programmi a fianco di Renzo Arbore e altri volti famosi: Raffaella Carrà, Celentano, Pippo Baudo. Nel 1989 ha partecipato al Festival di Sanremo con la canzone umoristica “Il babà è una cosa seria”, classificandosi dodicesima. Tornata nel 1990 a “Fantastico”, dove affianca Pippo Baudo, l’anno successivo recita nel film “Terre nuove” (con Antonio Banderas): grazie a questo ruolo, vince il premio come migliore attrice protagonista al Festival del Cinema di Bogotà, in Colombia. Nel 1992 torna su Raiuno con “Serata d’onore”, varietà in dodici puntate che intende celebrare grandi personaggi dello spettacolo. Poco dopo passa alla Fininvest: insieme con Ezio Greggio conduce “Paperissima”, ma i risultati di ascolto sono inferiori rispetto alle edizioni precedenti. Anche per questo, torna in Rai già nel 1993, partecipando a “Pomeriggio in famiglia”, varietà della domenica pomeriggio di Raidue diretto da Michele Guardì e presentato da Alessandro Cecchi Paone e Paola Perego. Da allora tra RAI e Mediaset sono tanti i programmi di successo che ha condotto, portando con sé umorismo e creatività.

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Dal 2020 è direttore artistico del teatro della Canzone napoletana “Trianon Viviani”. Per “School Magazine” ha registrato un breve video nel quale esorta i ragazzi a frequentare la scuola, oltre che, a studiare per poter ottenere, dopo un duro lavoro, non solo tra i banchi, la realizzazione dei propri sogni.

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Amalia Ercoli Finzi, classe 1937, Grand’Ufficiale della Repubblica e professoressa emerita al Politecnico di Milano, è la prima donna a laurearsi in Ingegneria aeronautica in Italia. È consulente della NASA, dell’ESA e dell’ASI ed è tra i principali Investigator della Missione Rosetta, che porta con successo una trivella da lei progettata sul dorso di una cometa lontana 500 milioni di chilometri dalla Terra. Elvina Finzi, classe 1976, doppia laurea con lode al Politecnico di Milano e all’ENSTA di Parigi, ha conseguito un dottorato di ricerca in Ingegneria nucleare. Continua a collaborare con il Politecnico di Milano anche dopo il ritiro dall avanti studi sulla possibilità di atterraggio di un equipaggio umano su Marte e di realizzazione di un orto botanico sulla (Torino,Luna.2ottobre 1960) è un giornalista, scrittore e conduttore televisivo, Corriere della Sera”. ” (1985 nel 1988 è entrato nella dove si è occupato di inchiestasport Mani Pulite ed è stato inviato di guerra da Sarajevo (1993). Ha ottenuto i primi incarichi direttivi nel(inserto1998, settimanale del quotidiano torinese); otto anni più tardi La Stampa”. come editorialista e vicedirettore. Autore di saggi e romanzi, ha pubblicato tra gli altri: La patria, ultima riga delle favole!omonimo(2010); film); entrambi nel 2014, la raccolta degli articoli pubblicati su “La La magia di un Buongiorno” e il scritto in collaborazione con la Gamberale; ” (2020). Le parole della settimana” su

Chi è capace oggi di ispirare le nuove generazioni di donne? A questa domanda per “il Tempo delle Donne” hanno risposto Emma Bonino e Ilaria Capua, che ha invitato tutti ad andare oltre la distinzione tra modelli maschili o femminili: “Va preso il meglio ovunque si trovi. Sicuramente Marie Curie e Rita Levi Montalcini posso ispirare le scienziate, ma c’è stato ad esempio, anche un ricercatore olandese poco conosciuto che, appena dopo la guerra, ha scoperto un vaccino per i polli, cambiando il destino dell’umanità. La gallina non è solo carne, ma anche uova. Un piccolo patrimonio per la sopravvivenza. Io mi considero un “esperimento” vivente e apprendo e cerco di migliorare ogni giorno nella quotidianità anche nello scambio con la gente comune”. La Capua (Roma, 21 aprile 1966) è ricercatrice in virologia, accademica ed ex politica. Dopo la laurea in medicina veterinaria all’Università di Perugia, si è specializzata in quella di Pisa e ha conseguito il dottorato di ricerca all’Università di Padova. Come virologa ha approfondito tematiche specifiche in diversi laboratori all’estero. I suoi studi si sono concentrati sulle infezioni virali degli animali che si possono trasmettere agli uomini, aumentando il rischio di povertà e sicurezza alimentare. Nel 2007 ha ricevuto il premio “Scientific American 50” e nel 2008 è stata inclusa fra le “Revolutionary Minds” dalla rivista americana “Seed”. Cinque anni più tardi è la prima donna a vincere il “Penn Vet World Leadership Award”. Dal 2013 al 2016 è stata vicepresidente della Commissione Scienza, Cultura ed Istruzione alla Camera dei Deputati. Oggi dirige il Centro di eccellenza “One Health” dell’Università della Florida, che promuove l’avanzamento del benessere come sistema integrato attraverso approcci interdisciplinari. Da questa esperienza è nato il concetto di “Salute Circolare” che vede l’egritudine come un sistema integrato che includa oltre allo star bene dell’uomo, quella delle piante, degli animali e dell’ambiente. Dal 1993 ha pubblicato oltre 220 articoli su riviste internazionali e testi scientifici. (Testo di @viola.sf)

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Per la sua estensione vocale che gli permette di destreggiarsi con facilità tra falsetti e toni caldi e per la teatralità delle sue composizioni è stato paragonato a Freddie Mercury. Tra i suoi album successivi: “The boy who knew too much” (2009), “The Origin of love” (2012), che offre una straordinaria raccolta di eleganti sound elettronici, “No place in heaven” (2015) e “My name is Michael Holbrook” (2019).

Pochi giorni dopo esce un’ulteriore collaborazione intitolata “Me, Myself”, brano presentato insieme alla cantante messicana Danna APaola.maggio di quest’anno, insieme ad Alessandro Cattelan e Laura Pausini, ha condotto l’Eurovision Song Contest svoltosi a Torino, dove è stata premiata la formazione ucraina Kalush Orchestra con il singolo “Stefania”. Nella cui serata conclusiva Mika si è esibito in un medley dei suoi principali successi, oltre al nuovo singolo “Yo Yo”. A giugno è uscito il singolo “Bolero”, in collaborazione con la cantante Baby K. Dal 2013 al 2016 ha partecipato come giudice al talent show“X Factor Italia”, di nuovo nel 2020 e nel 2021, e dal 2016 al 2017 ha condotto lo show “Stasera Casa Mika”.

Il 28 agosto 2020 ha pubblicato due singoli collaborativi: “Le coeur Holiday” con il rapper francese Soprano e “Bella d’estate” con Michele Bravi, una reinterpretazione dell’omonimo brano di Mango.

114 M S Mika, pseudonimo di Michael Holbrook Penniman Jr. (Beirut, 18 agosto 1983), è cantautore e showman libanese naturalizzato britannico. Ha frequentato a Londra la “Westminster School” e il “Royal College of Music”, ha cominciato a cantare e comporre sin da giovanissimo, facendo subito emergere il carattere eclettico dei suoi gusti musicali, spaziando dalle registrazioni con la “Royal Opera House” ai jingle per la pubblicità. Si è fatto conoscere nel 2006 attraverso Internet, con una pagina su “Myspace”, con il singolo scaricabile “Relax, Take it easy”, fino a raggiungere il successo internazionale con la pubblicazione prima del singolo“Grace Kelly” poi dell’album di debutto “Life in cartoon motion”, che ha venduto milioni di copie e gli è valso quattro “World Music Awards”.

M S “Ridere ci rende forti con Katia Follesa intervistate dalla giornalista del Chiara Maffioletti. Katia Follesa all (Giussano, 12 gennaio 1976), è anche conduttrice televisiva e attrice. Deve la sua notorietà a dove con Valeria Graci interpretava una parodia di “Uomini e Donne Bisio). Qui lancia il suo diretto alla rivale. Tra i suoi ultimi successi ricordiamo “ e “Finchè social non ci separi Michela Giraud che è cresiuta e ha vissuto sempre nella Capitale, ad eccezione di una breve esperienza a Milano, dove si è recata per lavoro. Ha studiato al liceo classico e si è poi iscritta all Roma, laureandosi nel 2013 in Storia dell a teatro, ma è sui l’idolo di tanti ragazzi che la seguono con piacere, grazie ai suoi video di “Educazione cinica spettacolo “Michela Giraud: La verità, lo giuro! Madame, pseudonimo di Francesca Calearo (Vicenza, 16 gennaio 2002), è una rapper e cantautrice. Ha ottenuto notorietà nel 2019 grazie al brano “Sciccherie” e ha poi partecipato in gara al Festival di Sanremo 2021 con “Voce”. A soli sedici anni firma un contratto discografico con l’etichetta “Sugar Music”. La storia del suo successo si deve prevalentemente a Cristiano Ronaldo, che ha condiviso un video della ragazza con i suoi centinaia di milioni di followers. Caterina Caselli non si è lasciata sfuggire l’occasione, offrendo a Madame un contratto di tutto rispetto. Il suo debutto discografico era avvenuto avviene nel settembre del 2018 con il singolo “Anna”, prodotto da Eiemgei. Dopo altri successi, nel 2021 fa uscire quattro singoli: “Il mio amico”, “Voce” “Marea” e “Tu mi hai capito”. Quest’anno ad aprile nelle radio e sulle piattaforme dedicate alla musica è uscito “L’eccezione”.

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Diletta Leotta nasce a Catania il 16 agosto 1991. All’età di 17 anni inizia a collaborare con “Antenna Sicilia” in una trasmissione calcistica. Dopo essersi diplomata al liceo scientifico a indirizzo linguistico della città etnea, nell’ottobre 2015 si è laureata in giurisprudenza presso l’Università Luiss di Roma. A 15 anni aveva partecipato al concorso di bellezza Miss Muretto 2006; tre anni dopo si era presenta a Miss Italia 2009, ma venne eliminata alle preselezioni. Nel 2011 passa a Mediaset, dove conduce la trasmissione “Il compleanno di La5” sull’omonima rete televisiva del digitale terrestre. L’anno successivo diventa “meteorina” di Sky Meteo 24; conduce poi la striscia giornaliera sul Texas Hold’em “Come giochi?” su POKERItalia24. Nel 2014 è a “RDS Academy” il primo talent show dedicato alle radio, in onda su Sky Uno. Per la stagione sportiva 2015 2016 viene chiamata alla guida di “Sky Serie B” su Sky Sport 1. Nell’estate 2016 con Ilaria D’Amico conducono gli speciali di Sky dedicati al campionato europeo di calcio 2016. Da gennaio 2017 sostituisce Emis Killa alla conduzione di “Goal Deejay”. Il 7 febbraio 2017 è ospite della prima serata del Festival di Sanremo. Dal 31 ottobre 2017 è ai microfoni di “105 Take Away” insieme a Daniele Battaglia e precedentemente anche Alan Caligiuri. Nel luglio 2018 lascia Sky Sport, ma viene indicata dalla piattaforma di Rupert Murdoch come nuova conduttrice della quarta edizione del reality show “Il contadino cerca moglie”, che verrà trasmesso nell’autunno dello stesso anno. In seguito l’annuncio del suo approdo sulla piattaforma Dazn, per la quale, dall’ottobre 2018 è il volto del programma “Diletta gol”, mentre dal 2019 è sulla stessa piattaforma i programmi spin off “Diletta gol stories”, “Diletta gol in campo” e “Linea Diletta”. Ritorna all’Ariston con Amadeus nel 2020. Nello stesso anno fa una comparsata, interpretando se stessa, nel film “7 ore per farti innamorare”. A dicembre del 2021 conduce una puntata di “Striscia la notizia” in coppia con Alessandro Siani con cui è anche protagonista del film di Natale “Chi ha incastrato Babbo Natale?”.

Andrea Zorzi (Noale, 29 luglio 1965) è un ex pallavolista e commentatore televisivo, di ruolo opposto. “Zorro” così come veniva soprannominato, ha militato per tutta la carriera in Italia ritirandosi a soli 33 anni dall’attività agonistica. Membro della cosiddetta generazione di fenomeni, nel 1991 ha vinto il premio della FIVB quale giocatore dell’anno; ha conquistato, inoltre, due volte, nel 1990 e nel 1991, il titolo di MVP alla “World League”. Nel 2007 viene premiato con il titolo di MVP nel Campionato Europeo Veterans. Due volte campione del mondo (1990, 1994) e tre volte campione europeo (1989, 1993, 1995) ha partecipato a tre Olimpiadi (Seoul 1988, Barcellona 1992 ed Atlanta 1996) conquistando la argento ad Atlanta. Con i club si è aggiudicato: 2 scudetti Coppe Italia, 4 Coppe delle Coppe, 3 Supercoppe Europee, 3 Campionati Mondiali, 1 Coppa Campioni. Dopo il ritiro nel “Kataklò”, la compagnia di physical theatre che si esibisce nei teatri di tutto il mondo. Dopo le esperienze maturate con Raisport, Tmc e Tele+, collabora con Sky Sport seguendo le discipline olimpiche. Ha altri impegni con la FIVB (Fédération Internationale de Volleyball), il sito web del “Sole24ore”, “Radio 24”, “La Gazzetta dello Sport”, “Gazzetta.it”, “Al Jazeera Sport”. In collaborazione con “Rainews” e “Gazzetta.it” ha realizzato “Tracce di sport: un viaggio per lʼItalia” per fotografare lo stato di salute dell’attività agonistica italiana attraverso le interviste ai grandi campioni, ai rappresentanti delle istituzioni e dellʼassociazionismo. Collabora con la SDA Bocconi, con il MIP del Politecnico di Milano in qualità di formatore, utilizzando la sua esperienza di atleta nei corsi per manager dʼazienda. Nel dicembre 2012 ha debuttato come attore nello spettacolo di narrazione teatrale “La leggenda del pallavolista volante” con Beatrice Visibelli e la regia di Nicola Zavagli. Lo spazio del palco si trasforma in un campo da pallavolo, per rivivere le vittorie leggendarie e le sconfitte ancora brucianti, con momenti a tratti ironici ed esilaranti, a tratti malinconici o persino drammatici. Ha ricevuto il “Collare d’oro” al merito sportivo dal presidente del Coni, Giovanni Malagò, come riconoscimento per i titoli mondiali 1990 e 1994.

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Sul palco della Triennale Roberto Vecchioni il direttore di “La Civiltà Cattolica” Antonio Spadaro per “La cura (e la sua forza)”. Dopo la pandemia dobbiamo ancora considerarla una virtù e un impegno solo femminile? Roberto Vecchioni (Milano, 25 giugno 1943) è un cantautore, scrittore ed ex insegnante. Entra nel mondo della musica negli anni quando comincia a scrivere canzoni per artisti affermati. Circa dieci anni più tardi si propone come interprete e nel 1973 partecipa al Festival di Sanremo, ma il successo arriva più tardi con“Samarcanda”. Ha composto oltre 25 album e ha vinto premi e festival come il Premio Tenco nel 1983, il Festivalbar nel 1992 e il Festival di Sanremo nel 2011. Nella sua musica si possono trovare tracce autobiografiche fatte di sentimenti persi e ritrovati, di occasioni non colte, di affetti vicini o dimenticati, ma anche d’impegno, motivazione e voglia di agire. L’ultimo lavoro discografico risale al 2018, “L’Infinito”, e tra i libri più recenti ricordiamo: “Lezioni di volo e di atterraggio” (Einaudi, 2020) e “Canzoni (Bompiani, 2021)”. (Testo di @_denisseloise_) La cantautrice e polistrumentista Francesca Michielin (Bassano del Grappa, 25 febbraio 1995), si è raccontata nell’incontro “La forza del linguaggio”. Tra le artiste più complete ed interessanti del panorama attuale, il suo debutto avviene nel 2011, partecipando e vincendo “X Factor”. Passano cinque anni e con “Nessun grado di separazione” (doppio platino), arriva seconda al Festival di Sanremo; per quell’anno è stata lei a rappresentare l’Italia a “Eurovision Song Contest”, con una performance suggestiva e molto apprezzata. Tanti i riconoscimenti della Michielin ottenuti in carriera: 2015 - Wind Music Awards Premio Multiplatino Singolo con “Magnifico” insieme a Fedez; 2015 Premio Lunezia Pop per il brano “L’amore esiste”; 2016 Wind Music Awards Premio Oro Album con “di20are”; 2016 Wind Music Awards Premio Platino Singolo con “Nessun grado di separazione”. Nel 2021 sul palco dell’Ariston con il brano “Chiamami per nome” in coppia con Fedez, si classifica al secondo posto.

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Da sempre immersa nel mondo dei suoni e della musica comincia a studiare pianoforte classico all di 7 anni, sotto la guida del maestro Paolo Razzuoli, che le insegna la notazione musicale in collaborato più volte con l Massimo Nunzi (Jazz Big Band) come cantante e come pianista, all’Auditorium Parco della Musica di Roma. In qualità di ospite ha partecipato al Premio Bianca D cantautrici) nel teatro di Aversa (2017) e alla cerimonia di apertura degli Special Olympics 2018 presso l cantando davanti a diecimila persone. Spesso è stata ospite a sorpresa, nei concerti dei genitori in Italia e all del musical avendo partecipato come cantante a Pan” e “Jesus Christ meets the Orchestra Musicale “Giosuè Carducci quest’anno ha pubblicatoCompositricel e pianista, classe 1989, Giulia Mazzoni studia pianoforte presso la Scuola di Musica “Giuseppe di Prato sotto la guida di Susanna Sgrilli per poi proseguire gli studi di composizione al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano con il maestro Mario Garuti. Unica compositrice a vincere il nel 2013 pubblica nello stesso anno, in Italia, Cina e Taiwan, il suo primo album “Giocando con i bottoni” con 14 composizioni originali per pianoforte solo. Nel 2016 esce in Italia e all’estero “Room 2401” con Sony Music Entertainment, contenente 12 composizioni inedite più tre bonus tracks e una prestigiosa collaborazione con il Maestro Michael Nyman, uno dei padri della musica minimalista. Ha all’attivo molti concerti nei principali teatri e festival in Italia e nel mondo. Durante la sua carriera, Giulia ha anche tenuto masterclass internazionali, partecipato a numerose trasmissioni televisive, collaborato con il mondo del teatro ed è stata protagonista in numerosi eventi culturali e festival. Unisce lo stile classico al pop, permettendo agli ascoltatori di farsi trascinare dal suo “pianismo emozionale”. Attualmente sta lavorando al nuovo album in uscita quest

Frida Bollani Magoni, Stefano e della cantante Petra Magoni, nasce nel 2004.

120 M S Nina Zilli, pseudonimo di Maria Chiara Fraschetta (Piacenza, 2 febbraio 1980), è una cantautrice, personaggio televisivo e conduttrice radiofonica. Ha studiato canto lirico al Conservatorio, per poi completare la sua formazione musicale durante i due anni trascorsi a New York (conclusi gli studi superiori); qui si è avvicinata a rhythm and blues, reggae e soul. Dopo qualche esperienza come vj per MTV, ha girato l’Italia in tour con gruppi protagonisti della scena rocksteady quali gli Africa Unite; il successo è arrivato nel 2009 con il singolo “50mila” (con Giuliano Palma). Grazie a un mix di sonorità ispirato alla musica italiana degli anni Sessanta, ha scalato le classifiche con i suoi due album: “Sempre lontano” (2010) e “L’amore è femmina” (2012). Dopo aver vinto il Premio della critica intitolato a “Mia Martini” con “L’uomo che amava le donne” (2010), nel 2012 è tornata al Festival di Sanremo con il brano “Per sempre” ed è stata scelta per rappresentare l’Italia a “Eurovision Song contest”. Tre anni dopo è di nuovo a Sanremo con il brano “Sola” seguito dall’album “Frasi & fumo”; del 2017 è “Modern Art”. Dal 2015 al 2018 è stata anche uno dei giudici del talent show “Italia’s Got Talent” in onda su Sky. Nel 2018 nuova presenza a Sanremo con il brano “Senza appartenere”, incluso nell’album “Modern Art Sanremo Edition” pubblicato nello stesso anno. Due anni dopo è tra gli ospiti al 70º Festival di Sanremo, accompagnando, nella serata dei duetti, il futuro vincitore Diodato. Nel giugno 2020 durante la Giornata Mondiale dell’Ambiente e in collaborazione con Nitro, pubblica il singolo “Schiacciacuore”. L’anno successivo, insieme a Clementino, interpreta “Señorita”. L’ultimo lavoro musicale è uscito nella scorsa primavera con Danti dal titolo “Munsta”. Per la casa editrice “Rizzoli” ha pubblicato il romanzo “L’ultimo di sette” (2022), che ha come protagonisti Anna, pittrice sempre in giro per il mondo e Marco, marito incapace di farle provare l’entusiasmo e la complicità dei primi anni.

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Achille Lauro, pseudonimo di Lauro De Marinis (Verona, 11 luglio 1990), è un cantautore e rapper. Grazie al fratello nel 2012 pubblica il suo primo Barabba”, cui fa seguito un altro, “Harvard”. I suoi testi parlano delle difficoltà di vivere in periferia. Nel 2014, per l’etichetta Roccia Music” di Marracash, esce il primo album “Achille idol immortale” al quale collaborano numerosi artisti della scena rap, tra i quali lo stesso Marracash, Coez, Gemitaiz e Noyz Narcos. Un anno più tardi “nasce” l’album “Dio c’è”, seguito da “Ragazzi madre”, pubblicato per l’etichetta discografica da lui fondata “No Face Agency”. Insieme al produttore Edoardo Manozzi aka Boss Doms ha preso parte nel 2017 al programma televisivo “Pechino Express”. A giugno del 2018 lancia per Sony Music “Pour l’amour”, disco prodotto da Boss Doms in cui ci sono collaborazioni con Cosmo, Clementino, Rocco Hunt e Gemitaiz. Alla fine dell’anno viene selezionato per l’edizione 2019 del Festival di Sanremo, dove sarà in gara con “Rolls Royce”. L’album successivo è “1969” da cui vengono estratti i singoli “C’est la vie”, “1969” e “Delinquente”. Nell’ottobre dello stesso anno Lauro annuncia la svolta: dal 1969 del suo precedente progetto al 1990. Il disco è anticipato proprio dal singolo “1990” e dalla partecipazione al Festival di Sanremo 2020 con “Me ne frego”. “1990”, è composto da sette cover e include anche diversi featuring con, tra gli altri, Ghali, Gemitaiz, Annalisa e Massimo Pericolo ed è il primo di Achille Lauro per “Elektra Records”, etichetta della quale dal febbraio 2019 il rapper e cantante è direttore creativo. Nella primavera del 2020 è in libreria con il secondo libro, “16 marzo - L’ultima notte”, preceduto da “Sono io Amleto” del 2019. Il nuovo lavoro discografico, Lauro (2021) precede “Mille”, singolo cantato con Fedez e Orietta Berti. Quest’anno è tornato a Sanremo con “Domenica”. Avendo vinto poi “Una voce per San Marino”, rappresenta il piccolo Stato a “Eurovision Song Contest 2022”, ma non si qualifica per la finale.

Carmen Consoli, all’anagrafe Carla Carmen (Catania, 4 settembre 1974), è una cantautrice e polistrumentista. Nell’incontro per “il Tempo delle Donne”, intervistata da Andrea Laffranchi ha lasciato trasparire la propria autoironia, oltre che l’anima catanese. Avvicinatasi alla musica fin da giovanissima, esordì nel 1990 con la cover band“Moon dog’s party”. Nel 1996 uscì il suo primo album, “Due parole”, che conteneva il brano “Amore di plastica”, presentato al Festival di Sanremo di quell’anno. Sono poi seguiti “Confusa e felice” (1997); “Mediamente isterica” (1998); “Stato di necessità” (2000); “L’eccezione” (2002); “Eva contro Eva” (2006); “Elettra” (2009); “Per niente stanca” (2010); “L’abitudine di tornare” (2015); “Volevo fare la rockstar” (2021). A marzo 2022 è stata annunciata l’uscita di un’edizione speciale, in vinile, di “Confusa e felice”, in occasione del 25º anniversario. I suoi testi sono passati nel tempo da un’introspezione graffiante al racconto oggettivo, dal personale al collettivo. Nella sua lunga carriera ha ricevuto una Targa Tenco, due premi Lunezia, sette Italian Wind & Music Awards, un Telegatto, un Nastro d’argento (nel 2001, per il brano “L’ultimo bacio”, presente nel film omonimo di Gabriele Muccino) e un’ulteriore candidatura allo stesso premio nel 2009, due al David di Donatello, due agli MTV Europe Music Awards, il premio Amnesty Italia per il brano “Mio Zio” Dal 2012 è Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica ’incarico di maestra concertatrice, nel 2016, per la Notte della Taranta”. Cecilia Cantarano (Roma, 27 marzo 2000) diplomata al liceo artistico, ha una forte passione per il canto e la recitazione. TikTok” si è fatta notare e ha già collaborato con RTL 102.5 per commentare il Festival di Sanremo 2021. Ha pubblicato tre singoli “Adesso mi diverto”, “Sagapò” e “Effetto che su “YouTube” hanno raggiunto milioni di visualizzazioni e di ascolti. Su “TikTok” inizialmente condivideva video di lip sync, successivamente si è dedicata a filmati parlati che raccontano la sua quotidianità, a volta anche in compagnia della mamma, con ironia e comicità. Sono state proprio la sua simpatia e la sua genuinità a premiarla con milioni di fan che la seguono appassionatamente.

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Sul palco della Triennale per “il Tempo delle Donne” Giovanni Caccamo ha cantato accompagnandosi al pianoforte La cura” di Franco Battiato. Il cantante, nato l’8 dicembre 1990 a Modica (RG), aveva dimostrato sin da piccolo uno spiccato e innato talento. A soli 11 anni, partecipa al programma televisivo “Festa della mamma” 44ª edizione dello Zecchino D’Oro, in qualità di membro del coro; qualche anno più tardi tenta la scalata al successo partecipando ad “X-Factor”, ma non coglie gli obiettivi sperati. Nel 2013, dopo aver preso parte alla trasmissione “Sanremo Social” e aver visto sfumare l’opportunità di partecipare alla 62ª edizione del Festival di Sanremo nella categoria “Nuove Proposte”, conosce Franco Battiato, che gli permette di aprire i suoi concerti durante il tour “Apriti Sesamo” e l’anno successivo firma il suo primo contratto con la casa discografica Sugar Music. Il successo arriva due anni più tardi, quando riesce finalmente a presentarsi sul palco dell’Ariston, vincendo, con il brano “Ritornerò da te”, la categoria “Nuove Proposte” della 65ª edizione. A questa vittoria si aggiungono altri 3 riconoscimenti sanremesi: il Premio “Emanuele Luzzati”, il Premio della Sala Stampa “Lucio Dalla” e infine il Premio della Critica “Mia Martini” per la musica del brano “Adesso e qui”. L’anno seguente (2016) torna sul palco di Sanremo, ma questa volta è accompagnato dalla giovane Deborah Iurato (cantautrice italiana, vincitrice della 13ª edizione del talent show “Amici”) con la quale si cimenta in un duetto. “Via da qui”, il loro brano, ottiene la medaglia di bronzo della categoria “Big”. Il cantautore siciliano partecipa anche alla 68ª edizione del Festival della Canzone Italiana, classificandosi decimo con “Eterno”. La carriera artistica prosegue anche a livello internazionale, infatti, nel 2020 rappresenta l’Italia al “Festival Pathway to Paris: Earth to 50”. Nel 2021 viene accompagnato da Michele Placido nello spettacolo “Anteprima Parola Tour”, per presentare il proprio ultimo lavoro discografico “Parola”, preceduto da “Eterno” (2018), “Non siamo soli” (2016), “Qui per te” (2015). (Testo di @alessia_pititto)

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Eva Riccobono (Palermo, 7 febbraio 1983) è una supermodella, conduttrice televisiva, attrice e scrittrice. Da giovane si cimenta nello sport, giocando a pallavolo, poi, però, la sua passione per la moda ha il sopravvento e inizia la carriera di modella in Sicilia. Sull’isola è la protagonista di alcuni servizi fotografici, poi però decide di lasciare Palermo per tentare la fortuna a Milano. A diciannove anni si stabilisce nel capoluogo lombardo e debutta sulle passerelle di “Alberta Ferretti” e “Blumarine”. Nel 2002 posa per il calendario “Forme” di L’Oréal. Viene notata a Panarea dagli stilisti Dolce & Gabbana, che firmano con lei un contratto esclusivo, sia per la campagna pubblicitaria, che per le sfilate. Raggiunge così il successo internazionale partecipando alle fashion week più importanti. Nel frattempo, è apparsa sulle riviste patinate più conosciute e divenuta brand ambassador di diversi marchi legati al mondo della moda e del beauty. Compare anche in diverse pellicole tra cui “Grande, grosso e Verdone” (2008) del regista Carlo Verdone, “Passione sinistra (2013), “Io che amo solo te” (2015), “La cena di Natale” (2016). Nel 2017 debutta al Teatro Franco Parenti di Milano nel progetto itinerante “Stasera si può entrare, fuori” e due anni più tardi recita in “Coltelli nelle galline” per la regia di Andrée Ruth Shammah. Ha pubblicato “Mammitudine. Non sono nata mamma, lo sono diventata” (Rizzoli, 2021). (Testo di @nicoleaalice) nasce a Monza il 21 giugno 1990. Dopo un percorso di studi classici e aver conseguito la laurea in Giurisprudenza, decide di abbandonare i codici e intraprendere la strada dalla comunicazione. Conosciuta come Camihawke, è uno dei personaggi che ha saputo meglio coniugare la presenza sul Web con quella degli altri media: la sua esperienza alterna la radio all’intrattenimento televisivo. È stata co conduttrice del programma “Girl su Radio2; è tra le protagoniste di “Pink Different” su FoxLife; ha affiancato Carlo Cracco nel cooking show su Rai2. Nel 2019 Camihawke diventa Ambasciatrice AIRC, viene votata come Miglior Instagrammer ai Macchianera Internet Awards e partecipa come speaker a TedX Rimini. Ha pubblicato il romanzo Per tutto il resto dei miei sbagli” (Mondadori, 2021).

125 M S Sofia Viscardi (Milano, 11 maggio 1998) si diploma nel 2017 presso il liceo di scienze umane. Nel 2011 decide di aprire il suo canale YouTube”: ha solo 13 anni e in questo periodo si comincia a intravedere il successo di questa piattaforma e la nascita dei Web, gli youtubers. Diventa famosa a partire dal followers video vlog in cui racconta la sua vita di adolescente e nel 2016 vince il premio come Youtuber Italiano preferito Tra le occasioni più importanti per Sofia c’è stata una rubrica condotta da lei all’interno del programma di Rai 3 intervista a Roberto Saviano pubblicata sul suo canale. Nel 2016 ha pubblicato il suo primo romanzo, “Succede”, da cui è stato tratto anche un film uscito nel 2018. Dello stesso anno è il secondo libro Dal 2019 porta avanti su “YouTube” e su “Spotify”, con “Venti” scritto con alcuni ragazzi di vent’anni: i temi trattati riguardano, principalmente, il passaggio dall’adolescenza Giulia Stabile, all’anagrafe Giulia Lola Stabile (Roma, 20 giugno 2002) è una ballerina vincitrice della ventesima edizione di “Amici di Maria De Filippi”. Fin da piccola coltiva la passione per la danza. Frequenta dal Accademia del Balletto di Roma, dalla quale ha ottenuto il diploma nel 2021. Esordisce in tv partecipando al programma “Ti lascio una canzone”, condotto da Antonella Clerici. Nel 2020 è entrata a far parte del programma televisivo “Amici di Maria De diventando la prima ballerina donna a conquistare il podio. Dopo quella vittoria ha partecipato a numerosi programmi tra cui “Una voce per Padre Pio”, “Fai un gavettone”, “Oreo challenge”, Intervista Stabile” per la piattaforma web “Witty TV”. È entrata a far parte del corpo di ballo di “Amici” e ha ricoperto il ruolo d’inviata nel backstage del programma “Tú sí que vales”. Quest’anno è stata scelta per doppiare la giovane Vedetta dell’Inevitabile nel film d’animazione “Il mostro dei mari” diretto da Chris Williams (Netflix).

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Carlotta Gilli (Torino, 13 gennaio 2001) ha frequentato da quando aveva cinque anni i corsi di nuoto. Detiene 12 record del mondo paralimpici (sette in vasca lunga e cinque in vasca corta) e ha vinto 20 medaglie d’oro tra Mondiali (10), Europei (8) e Paralimpiadi (2). È affetta dalla malattia di Stargardt, una retinopatia degenerativa su base genetica a trasmissione autosomica recessiva, legata a mutazione del gene ABCA4, che colpisce circa una persona su diecimila. Carlotta, però, non si è fermata e nuota dal 2013. È tesserata per la Rari Nantes Torino e per il gruppo sportivo Fiamme Oro della Polizia di Stato. Alle Paralimpiadi di Tokyo nella sua prima gara in carriera ha conquistato la medaglia d’oro nei 100 farfalla S13 precedendo la compagna di nazionale Alessia Berra e firmando il nuovo record paralimpico sulla distanza con il crono di 1’02”65. Il giorno seguente ha vinto l’argento nei 100 dorso S13 alle spalle della statunitense Gia Pergolini. Passano altre ventiquattrore e arriva un altro argento nei 400 stile libero dietro all’ucraina Anna Stetsenko. Due giorni più tardi conquista il bronzo nei 50 stile libero S13 alle spalle della brasiliana Maria Carolina Gomes Santiago e della russa Anna Krivshina. Il 30 agosto si aggiudica l’oro anche nei 200 misti SM13, firmando pure il record del mondo con il crono di 2’21”44. È iscritta al corso di laurea triennale in Scienze e Tecniche Psicologiche presso l’Università degli Studi di Torino, ma già quest’anno le è stata conferita la laurea honoris causa in Teoria e Metodologia dell’allenamento della facoltà di Scienza e Tecniche dello Sport.

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La giornalista Manuela Croci ha dato voce per “Generazione di ventenni” anche alla forza di: Asia Lanzi, skater; Sara Cardin, oro alle Paralimpiadi di Tokyo 2020. Esempio di determinazione per i più giovani e non solo Ariete, sul palco per “il Tempo delle donne” si è esibita con alcuni suoi brani. La giovanissima cantautrice romana Arianna Del Giaccio (Anzio, 27 Marzo 2002), meglio nota come Ariete, (nome d’arte, tratto dal segno zodiacale), a soli 17 anni si è messa alla prova partecipando al talent show musicale “X-Factor 2019”, dimostrando lì, per la prima volta, il talento e la tenacia, doti che non le sono mancate nemmeno una volta arrivata al termine della sua esperienza televisiva. Il suo primo inedito intitolato “Quel Bar” (2019) viene seguito dal singolo “01/12” e dal suo primo album “Spazio”, firmato dall’etichetta discografica Bomba Dischi, di cui fanno parte anche famosissimi artisti quali Calcutta e Franco126. La cantante non si ferma e nel settembre del 2020 collabora con gli Psicologi, duo composto da Marco De Cesaris e Alessio Aresu, per il brano “Tatuaggi”, il quale in pochissimo tempo diventa Disco D’Oro certificato Fimi. A seguire una serie di successi: “Venerdì”, il secondo Ep “18 anni” un altro Disco d’Oro con “Pillole”, la collaborazione con Rkomi in “Diecimilavoci” e, infine, il contratto con Netflix, che le ha proposto di utilizzare il suo brano “L’ultima notte” come colonna sonora di “Summertime”, una delle serie italiane più famose, della piattaforma. Nel febbraio di quest’anno pubblica il suo primo album in studio “Specchio”, contenente undici brani, con la partecipazione di Franco126 nella traccia “Fragili” e Madame in “Cicatrici”. A giugno esce il singolo “Tutto (con te)”. (Testo di @alessia_pititto)

La campionessa di skater, Asia Lanzi (Bologna, 9 gennaio 2002) è la prima italiana a detenere il titolo. età di due anni, grazie al padre, ha iniziato a snowboarding. A sei incomincia lo e dagli undici partecipa a gare internazionali. Ha partecipato a diversi campionati e ha ricevuto vari premi. È diplomata in Informatica e telecomunicazioni e ha intenzione di laurearsi in Ingegneria Informatica. Ha partecipato alle Olimpiadi di Tokyo 2020, ma nell’agosto 2021 ha avuto un infortunio alla mano che l’ha messa fuori dai giochi per un mese. A novembre dello stesso anno, durante una session al Ponte della Musica di Roma, si è procurata una frattura al crociato anteriore. Eppure, a soli sei mesi ultimo stop, è stata capace di conquistare il primo posto al CIS di Trento 2022. Ha fatto parte della delegazione di atleti che, nel maggio scorso, è stata ricevuta da Papa Francesco in occasione del centenario della Federazione Italiana Sport Rotellistici. (Testo di @_denisseloise_) Ambra Sabatini, nata a Livorno, ma cresciuta a Porto Ercole (GR) a diciannove anni è diventata campionessa paralimpica dei 100 metri con il tempo di 14”11, precedendo le connazionali Martina Caironi e Monica Graziana Contrafatto. Ambra dopo l’incidente, che le ha causato la perdita di un arto inferiore, si è dimostrata coraggiosa e intraprendente, anche dal letto d’ospedale o durante la Nelriabilitazione.2002havinto

il titolo italiano dei 200m T63 per il secondo anno consecutivo. Tempo da urlo con 29”78, il crono più veloce di sempre per la categoria; ad impedire però l’omologazione ufficiale è stato il vento di +2.8m/s. (Testo di @nicoleaalice)

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, nata a Conegliano (TV), il 27 Gennaio 1987, ha attività sportiva in giovanissima età, ottenendo ben presto risultati eccellenti nella specialità del kumite, nella quale è equilibrio corporeo e della gestione dello spazio. Caporale maggiore dell’Esercito e tesserata presso il Centro sportivo esercito, vanta un palmarès ricchissimo in cui spiccano l’oro individuale ai Campionati europei juniores del 2007, l’argento ai Mondiali del 2011, l’argento agli Europei del 2013 e l’oro agli Europei del 2014 e ai Mondiali di Brema del 2014, nella specialità kumite (categoria 55 kg.). Ha, inoltre, vinto 17 titoli italiani, tra individuali e a squadre, nelle differenti classi di età (da esordiente a senior). Ha pubblicato “Combatti! Ho scelto di vincere” (Baldini & Castoldi, 2019). Da sempre attiva nel sociale, è testimonial dell’associazione “FareXBene Onlus” e si batte contro ogni forma di violenza e Condiscriminazione.glistudenti ha un dialogo anche per il progetto “Allenarsi per il futuro”, attraverso il quale parla ai ragazzi di temi come resilienza, forza di volontà, spirito di adattamento e passione. (Testo di @viola.sf)

Omaggio

Borsalino: la lunga storia di un brend, simbolo dell italiana nel mondo. Il 4 aprile del 1847 adAlessandria, Giuseppe Borsalino avvia un piccolo laboratorio di cappelli, destinato a entrare nella storia del costume e della cultura come uno dei simboli di eleganza, stile e classe. Nel 1888 viene inaugurata la nuova manifattura, progettata da Arnaldo Gardella, oggi sede dell’ del Museo Borsalino.All’Esposizione Universale di Parigi del 1900, Borsalino riceve il Grand Prix, importante riconoscimento alla qualità dei suoi cappelli, che le consente di ampliare gli orizzonti del marchio e di diffondere la fama in tutto il Importantemondo.

Si laureò in lettere a Bologna nel 1942 con una tesi su Pascoli, lavorò come maestro e in quello stesso anno pubblicò la prima raccolta di versi “Poesie” a Casarsa in dialetto friulano (Casarsa, infatti è il paesino del Friuli da cui proveniva sua madre e dove egli trascorse alcuni anni della sua vita e (Continua a pagina 131)

è l’intuizione di legare il marchio al mondo dell’arte e alla comunicazione pubblicitaria. Nel ventennio del secolo scorso si collega ad alcuni dei più importanti artisti dell’epoca: Marcello Dudovich, Giorgio Muggiani, Gino Boccasile, Max Huber eArmando Testa. Nel 1930 il cinema hollywoodiano adotta i cappelli Borsalino come oggetti di culto, legame con mondo del cinema che dura ancora. Ricordiamo Humphrey Bogart e Ingrid Bergman nell’indimenticabile scena finale di Belmondo in “Fino all’ultimo respiro 1960) e Marcello Mastroianni in “81⁄2” 1963). Nel 1970 “Borsalino” conAlain Delon e Jean Belmondo di Jacques Deray, diventa un film (1° marchio di lusso a concedere l’uso del proprio nome), pellicola che otterrà un successo planetario. Il brend nel 1950 con una collezione di cappelli si apre al mondo femminile. Il logo dorato Borsalino, appare nel 1975 per la prima volta sui fiocchi che chiudono le cinte dei cappelli. Ancora cinque anni è alla collezione di cappelli in feltro, si a P.P.P. “Pasolini poeta. Una disperata vitalità”. La “Fondazione Corriere della Sera” ha proposto in presenza e on line una lezione di Edoardo Esposito, docente di Letterature comparate presso l’Università degli Studi di Milano. L’introduzione è stata curata da Paolo Di Stefano, “Corriere della Sera”, mentre Anna Charlotte Barbera de “Il Menu della Poesia” ha letto alcuni passi dell’autore friulano. Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 Roma, 2 novembre 1975) è stato un poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo, giornalista e filosofo, considerato tra i più grandi artisti e intellettuali del XX secolo. Frequentò il liceo classico bolognese “Galvani” e, grazie al professore Antonio Rinaldi, scoprì Rimbaud e l’antifascismo. Durante la Resistenza perse suo fratello che combatté con i partigiani e questa restò a lungo una ferita aperta. Lo scrittore, nelle sue opere, si soffermò sui rapporti con i genitori: aveva un grande attaccamento alla madre, mentre c’era grande freddezza con il padre ufficiale, che aveva idee diametralmente opposte alle sue. Culturalmente versatile, si distinse in numerosi campi, lasciando contributi anche come pittore, filosofo, romanziere, linguista, traduttore e saggista.

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131 M S alcuni periodi di Nelvacanza).1949 si trasferì con la famiglia a Roma, in un quartiere popolare periferico che costituì, più tardi, ambiente di molte sue opere e di nuove esperienze linguistiche. Roma è una scoperta: restò incantato dalle borgate e provocatoriamente dichiarò di amare chi non era andato oltre la quarta elementare e non era stato traviato dalla cultura piccolo borghese. Nella capitale, dove i primi tempi visse modestamente facendo l’insegnante in una scuola privata, a poco a poco si inserì nell’ambiente culturale facendosi conoscere e apprezzare come pubblicista e con la pubblicazione di altre raccolte di versi e di due romanzi. Negli anni Sessanta avvenne il passaggio al cinema e al teatro: il linguaggio cinematografico apparve a Pasolini il mezzo per uscire dai confini nazionali e dai limiti di una lingua, l’italiano, troppo ancorata ai modelli letterari. Collaborò alla sceneggiatura di film celebri come “Le notti di Cabiria” di Fellini e “II bell’Antonio” di Bolognini, e poi girò film suoi come “Accattone” (1961), “Il Vangelo secondo Matteo” (1964), “Teorema” (1968) conseguendo ottimi successi. Per la sua “Trilogia della vita”, “Il Decameron” (di Giovanni Boccaccio, 1971), “I racconti di Canterbury” (dalla raccolta di Geoffrey Chaucer, 1972) e “Il fiore delle Mille e una notte” (dall’omonima raccolta, 1974). Il suo ultimo film, “Salò o le centoventi giornate di Sodoma” (girato nel 1975 e ispirato a un romanzo del Marchese de Sade), sarà criticato aspramente da molti per le sue scene a contenuto fortemente sadomasochistico. Verso la fine della sua vita Pasolini intensifica la polemica contro lo sviluppo (non il progresso) a favore del consumismo e dell’appiattimento Fu ritrovato in un campetto di calcio fra le baracche del lido vicino all’Idroscalo di Ostia (Roma) assassinato in circostanze misteriose. (Continua da pagina 130)

Nella nuova traduzione dell’opera, scritta da Edgar Lee Masters, Alberto Cristofori, ha provato a darne una lettura diversa, immaginandola non più come un’antologia poetica, ma come un “romanzo”. Un organismo dinamico, i cui personaggi interagiscono, dialogando e contraddicendosi e spesso polemizzando a distanza fra loro.

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Il suo commento all’Antologia parte da tre gruppi di epitaffi collegati, da cui emergono alcuni dei temi principali dell’opera (psicologici, sociologici, religiosi, metaletterari), e la varietà di stili con cui lo scrittore americano ha caratterizzato i personaggi di“Spoon River”.

Borsalino: la lunga storia di un brend, simbolo dell’eccellenza italiana nel mondo. Il 4 aprile del 1847 adAlessandria, Giuseppe Borsalino avvia un piccolo laboratorio di cappelli, destinato a entrare nella storia del costume e della cultura come uno dei simboli di eleganza, stile e classe. Nel 1888 viene inaugurata la nuova manifattura, progettata da Arnaldo Gardella, oggi sede dell Università diAlessandria e del Museo Borsalino.All Esposizione Universale di Parigi del 1900, Borsalino riceve il Grand Prix, importante riconoscimento alla qualità dei suoi cappelli, che le consente di ampliare gli orizzonti del marchio e di diffondere la fama in tutto il intuizione di legare il marchio al mondo arte e alla comunicazione pubblicitaria. Nel ventennio del secolo scorso si collega ad alcuni dei più importanti artisti epoca: Marcello Dudovich, Giorgio Muggiani, Gino Boccasile, Max Huber eArmando Testa. Nel 1930 il cinema hollywoodiano adotta i cappelli Borsalino come oggetti di culto, legame con mondo del cinema che dura ancora. Ricordiamo Humphrey Bogart e Ingrid Bergman indimenticabile scena finale di “Casablanca”; Jean Paul ultimo respiro” (Jean-Luc Godard, “81⁄2” in (Federico Fellini, 1963). Nel 1970 “Borsalino” conAlain Delon e Jean Paul Belmondo di Jacques Deray, diventa un film (1° marchio di lusso a concedere l’uso del proprio nome), pellicola che otterrà un successo planetario. Il brend nel 1950 con una collezione di cappelli si apre al mondo femminile. Il logo dorato Borsalino, appare nel 1975 per la prima volta sui fiocchi che chiudono le cinte dei cappelli. Ancora cinque anni è alla collezione di cappelli in feltro, si Antologia di Spoon River” è arrivata in Italia nel 1943, con una prima, storica, traduzione a cura di Fernanda Pivano. Da allora, nelle numerose edizioni, è stata sempre presentata al lettore come una raccolta di poesie. È possibile oggi darne una lettura diversa? A parlarne Alberto Cristofori, traduttore, editor e scrittore con il giornalista Paolo Di Stefano nella “Sala Buzzati” per “Fondazione Corriere della Sera”. Le letture sono state curate dall’attrice Valeria Perdonò, “Il Menu della Poesia”, mentre la parte musicale ha visto l’esibizione del cantante The Andre. La lezione, insieme ad altre previste per l’intero 2022, ha proposto analisi e riflessioni sui grandi protagonisti della poesia italiana e internazionale del ‘900.

Parole “Note” fra generazioni

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Rime da tre continenti Il direttore della “Fondazione Corriere della Sera” Roberto Stringa, ha introdotto l’appuntamento dedicato a “Giuseppe Ungaretti e la coscienza della guerra” con il professore Carlo Ossola. A completare il “viaggio” tra i versi del poeta, le letture dell’attrice Valeria Perdonò. Profondo conoscitore dell’opera ungarettiana, il docente torinese ha messo a disposizione del pubblico, in sala e on line, la sua vastissima conoscenza, per portarci negli abissi di colui che è stato “poeta di tre continenti”. Il suo ruolo fondamentale nella poesia del Novecento italiano è «quello di aver fatto, come pochi altri artisti del XX secolo, della propria poesia crogiolo e specchio delle tradizioni europee, e dell’Europa una sola patria di arti e civiltà». La traduzione in italiano, partendo dai suoi maestri principali: Poe, Baudelaire, Mallarmé, è una sorgente della propria poesia e del comporre contemporaneo. Con lui entra la schiettezza della “parola nuda”. Egli disarticola l’endecasillabo e con il verso libero scoprirà la strada per una possibile ricomposizione. In raccolte come “Il Porto Sepolto”, “Allegria di Naufragi”, “Sentimento del tempo”, finalmente il concetto di «naturalezza del poeta» impreziosisce l’opera e la poesia. Lì si sceglie la via dell’immediatezza: «Da questo momento spiega l’accademico la verità della parola spoglia scrive frammenti istantanei per dare conto di un presente lacerato. Nell’esperienza poetica l’assoluto si arricchisce e l’istante di ogni verso guarda all’eterno. Ha così rivoluzionato, nonostante l’orrore vissuto nella guerra, la poesia nei suoi più intimi contenuti: una poesia concepita come educazione del cuore. Con la sua opera sostiene che la poesia abbia un solo compito: definire l’indefinibile. Questa è la missione che attende tutti coloro i quali si affannano a capire la poesia». La lezione novecentesca ungarettiana ha dato una risposta ad un interrogativo epocale. Dove risiede l’autenticità del poeta? Carlo Ossola attraversa la voce universale della sua poesia che celebra sempre il primato della «vita d’un uomo». Qui abita il poeta autentico. Ungaretti lo è stato intimamente, perché prima di tutto, non ha mai abdicato ad essere uomo del proprio tempo.

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Appunti di un uomo gentile

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Borsalino: la lunga storia di un brend, simbolo dell italiana nel mondo. Il 4 aprile del 1847 adAlessandria, Giuseppe Borsalino avvia un piccolo laboratorio di cappelli, destinato a entrare nella storia del costume e della cultura come uno dei simboli di eleganza, stile e classe. Nel 1888 viene inaugurata la nuova manifattura, progettata da Arnaldo Gardella, oggi sede dell Università diAlessandria e del Museo Borsalino.All Esposizione Universale di Parigi del 1900, Borsalino riceve il Grand Prix, importante riconoscimento alla qualità dei suoi cappelli, che le consente di ampliare gli orizzonti del marchio e di diffondere la fama in tutto il intuizione di legare il marchio al mondo arte e alla comunicazione pubblicitaria. Nel ventennio del secolo scorso si collega ad alcuni dei più importanti artisti epoca: Marcello Dudovich, Giorgio Muggiani, Gino BocAntologia di Spoon River è arrivata in Italia nel 1943, con una prima, storica, traduzione a cura di Fernanda Pivano. Da allora, nelle numerose edizioni, è stata sempre presentata al lettore come una raccolta di poesie. È possibile oggi darne una lettura diversa? A parlarne Alberto Cristofori, e scrittore con il giornalista Paolo Di Stefano nella Fondazione Corriere della Sera”. Le letture sono state Il Menu della Poesia”, parte musicale ha visto l esibizione del cantante The Andre. La lezione, insieme ad altre previste per l intero 2022, ha proposto analisi e riflessioni sui grandi protagonisti della poesia italiana e internazionale del opera, scritta da Edgar Lee Masters, Alberto Cristofori, ha provato a darne una lettura diversa, immaginandola non più antologia poetica, ma come un “romanzo”. Un organismo dinamico, i cui personaggi interagiscono, dialogando e contraddicendosi e spesso polemizzando a distanza fra loro. Antologia parte da tre gruppi di epitaffi collegati, da cui emergono alcuni dei temi principali dell’opera (psicologici, sociologici, religiosi, metaletterari), e la varietà di stili con cui lo scrittore americano ha caratterizzato i personaggi di“Spoon River”. La “Fondazione Giangiacomo Feltrinelli per “Bookcity Milano” ha presentato “Quaderni di Salvatore Veca/1 La libertà di porre domande”. Dopo i saluti e il ricordo commosso di Piergaetano Marchetti, amico e compagno di un viaggio lungo e intenso tra i saperi, è seguito quello di Carlo Feltrinelli da ragazzo, Sul palco Antonella Besussi, David Bidussa, Enrica Chiappero, Nuccio Ordine e Michele Salvati, coordinati da Massimiliano Tarantino, hanno ripercorso, con aneddoti, alcune frasi usate da Veca e il perché dei “Quaderni” in sua memoria: «Sono appunti di viaggio. Testi brevi che hanno accompagnato e scandito la riflessione di Salvatore Veca, note di lavoro che hanno avuto il merito di porre problemi e aprire una riflessione pubblica. Beni comuni globali per fare uguaglianza; diritti umani e sostenibilità per fare domani; giustizia sociale e amicizia per fare cittadinanza. Sono alcune delle parole chiave che con questi “Quaderni” ci proponiamo di rilanciare per continuare a pensare. Insieme». (Continua a pagina

Al termine, Andrée Ruth Shammah, direttrice del “Teatro Franco Parenti”, ha chiesto di ricordarlo come, una persona “gentile»: «Il nostro pensiero va, all’uomo Veca, capace di dialogare con esperti e professionisti di vari ambiti, incantandoci, con semplicità, ma soprattutto, saper dialogare e porgersi, ai giovani, A testimoniarlo ci sono i nostri redattori, come solo i Maestri del sapere sanno fare». Salvatore Veca (Roma, 31 ottobre 1943 Milano, 7 ottobre 2021) è stato un filosofo. Professore di Filosofia politica all’Università di Firenze e, dal 1994, all’Università di Pavia, dove è stato preside (1999 2005) della facoltà di scienze politiche e direttore (dal 2001) del Centro interdipartimentale di studi e ricerche in filosofia sociale e prorettore vicario dal 2005 al 2013. È stato presidente (19842001) della “Fondazione Giangiacomo Feltrinelli”, per la quale dal 2004 ha diretto la collana della “Biblioteca europea”, desig nato presidente onorario della stessa nel 2013, è stato anche direttore scientifico del suo “Laboratorio Expo” e dal 2014 della Casa della Cultura di Milano. Copiosa è la produzione saggistica. Tra opere più recenti si segnalano: “Quasi un diario. Socrate al caffè 2008 2018” (Casagrande, 2019); “Qualcosa di sinistra. Idee per una politica progressista” (Feltrinelli, 2019); “Libertà” (Treccani, 2019); “Prove di autoritratto” (Mimesis, 2020). Il secondo quaderno pubblicato quest’anno ha come titolo: “Diritto al pianeta”. Viene affrontato il tema di un ecosistema esposto allo scarto e allo spreco. Un futuro giusto scippato alle future generazioni.

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Come sfuggire alla trappola del breve termine? Come ricordarci che siamo una sola umanità in un solo pianeta? Il pensiero della sostenibilità chiama in causa questioni ambientali, sociali, politiche, economiche: una ridefinizione radicale dei nostri modi di convivere per uno sviluppo umano libero e uguale. (Continua da pagina 134)

M S di Elisa Bozzi Una “Iliade”, ma tra i fornelli con i “Food heroes”. A loro e stata è stata dedicata la tredicesima edizione di “Cibo a Regola d’Arte”, food festival del “Corriere della Sera”. Tutti hanno volti e storie da raccontare, finalmente, in presenza alla Fabbrica del Vapore di Milano. Attraverso la gastronomia hanno preso l’impegno di mettersi a disposizione nei confronti della collettività. Chef, attivisti, produttori, aziende piccole e grandi, più e meno note, hanno avuto a disposizione tre giorni per mettersi in vetrina davanti a un pubblico anche internazionale, grazie alla trasmissione in streaming. Un mix di attualità e divertimento, riflessione e spettacolo con ospiti di fama

Visionidiverse

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, assessore alla Cultura del Comune di a Modena, tre stelle Michelin, miglior chef del mondo 2016 e Marco Bizzarri, A tentare di presentare e condurre la serata, vista l anarchia” del cuoco modenese, Angela Frenda, responsabile editoriale di “Cook” e direttrice artistica dell’evento, coadiuvata da Massimo Gramellini, editorialista e vice direttore del “Corriere della Sera”, che esordisce chiedendo a Bizzarri, quale sia il suo eroe: «Sarebbe facile fare nomi di personaggi incredibili del mondo, ma, in realtà, alla fine sono le persone semplici che fanno la differenza. Per me, che sono cresciuto in una famiglia straordinaria, gli eroi sono sempre stati i miei genitori. Li conosco, so che cos’hanno vissuto, ne ho visto la quotidianità. È bello riferirsi a persone che abbiamo conosciuto brevemente o delle quali abbiamo letto sui libri, ma per me i veri eroi sono quelli che nel tempo hanno sofferto tanto per portar la famiglia ad un certo punto. In Italia, purtroppo, fa molto più rumore un albero che cade di un albero che cresce, invece, secondo me, dovremmo cambiare il tipo di approccio. Ci sono persone che adorano quelli che cadono, hanno problemi e, invece, di cercare di rimboccarsi le maniche per essere come loro, sono più critici che altro».

Per Bottura, invece, il suo idolo è Bob Dylan. «Lui che alla domanda “Qual è il segreto del successo?” risponde: Mi sveglio la mattina, vado a dormire la notte e nel frattempo faccio quello che ho scelto di fare. Cioè, è non lavorare, è vivere una vita senza lavorare, ma vivere una vita piena. E, soprattutto, facendo quello che hai deciso di fare tu, che, secondo me, è la cosa più straordinaria che ci sia».

Bottura: «Riferendomi al mio lavoro con i ragazzi aspiranti chef, quando vedo qualcuno che è fuori dalle righe, cerco sempre di trattarlo in modo gentile per fargli capire se sono nel posto giusto e nel momento giusto. In questo particolare periodo, tutti vogliono fare i cuochi e, se lo fanno perché lo amano veramente e hanno una passione, allora lo riesci a capire perfettamente. Se hanno una vocazione, vedi che vanno in profondità nelle cose. Per arrivare alle passioni e trasmettere le emozioni, si deve andare a scavare nelle cose. Questa generazione fa fatica a farlo. pagina pagina

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138 M S C’è una frase di tuo padre o di tua madre, visto che sono i tuoi eroi, che ti è rimasta impressa? «Io sono una persona che ha fatto l’università, si è laureato e ha cominciato a lavorare e a fare carriera velocemente. Per me la frase più importante è stata quella di mio papà, lui che non aveva mai viaggiato in aereo, che ha sempre vissuto nella stessa cittadina, mi disse qualcosa di straordinario dal mio punto di vista. Io, come quelli della mia generazione, ho cercato sempre di fare carriera, perché abbiamo tutti l’idea che il lavoro sia qualcosa nella quale occorra sudare e andare avanti. Lui mi disse: “A un certo punto l’albero finisce, tu scali e scali, ma arrivi dove non c’è più niente. Devi fermarti ogni tanto per goderti la vita e non solo lavorare”. Diciamo che questo consiglio da vecchio saggio, venendo da una persona “del territorio” è un riferimento alle radici, il significato è di stare tranquilli e non correre sempre dietro alle ambizioni. È stato importante per un ragazzo come me».

Voi siete riusciti ad avere successo e fin da giovani avevate una forte passione. Che consigli date a chi non ha una vocazione? Come si fa a capire cosa si vuole nella vita?

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Bottura: «È l’ossessione, l’ossessione della quotidianità. Se tu nella quotidianità hai un ossessione per qualcosa, verranno da tutto il mondo per scoprire cosa sia questa ossessione e quanto è importante questa ossessione».

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Utilizzando il cellulare, riescono ad avere tante informazioni, ma, alla fine, sanno niente di tutto. Andare in profondità nelle cose vuol dire leggere, toccare la carta, studiare, fissare nella memoria, provare e riprovare una salsa, capire cosa vada fatto nella lievitazione di un panettone. Questo è da applicare anche nella vita; serve insegnare ai ragazzi a non aver paura di fare degli errori ed è qualcosa di veramente importante. Anzi, si dovrebbe provare e riprovare e dall’errore, se non ci si perde nella quotidianità, si crea qualcosa di nuovo e si forma una possibilità per creare. Glielo leggi negli occhi quando hanno quella passione, quel sogno. Quando non hai il sogno, è molto difficile. Probabilmente, si dovranno rendere conto che sono lì solo perché vogliono essere lì, timbrano e vanno. Quello che voglio dire, però, è che a Modena pre pandemia eravamo 105 e ora siamo 150, quindi i ragazzi si sentono in famiglia e vogliono stare in famiglia». Qual è il segreto del successo?

Bizzarri: «Arrivare ad essere il delegato di “Gucci” o uno chef di fama mondiale non è stato facile. Io credo che si debba avere un sogno, ma anche una grande perseveranza. Ho iniziato a lavorare facendo le fotocopie. Il sogno dipende anche dall’ambiente di lavoro: è necessario lavorare con persone che stimi e, inoltre, ci sono delle piccole cose che devi trovare in te stesso». Come si supera la paura di sbagliare? Bizzarri: «Penso che sia sano aver paura di sbagliare: è un modo per migliorarsi. Penso anche che dipenda dalle persone intorno e da come valutino questo errore, come ti aiutino a cambiare. Più che da te stesso sono le persone che ti circondano a parti imparare quanto l’errore possa essere importante nel positivo. Se hai qualcuno come mentore o (Continua da pagina 138) (Continua a pagina 140)

superiore che ti massacra ad ogni sbaglio, tendi a diventare un burocrate, lo vediamo in ogni ufficio pubblico: nessuno prende una decisione, pensi solo a salvarti. È nelle corse quotidiane che poi, pian piano, cresci; il problema principale è quello di volere tutto subito. Tutto subito non è possibile. Ci vuole tanto tempo, lavoro, tanta passione, ma anche tanta perseveranza». La direttrice Frenda interviene dicendo che: «Per molti ragazzi, però, il problema sono le condizioni di lavoro. Aldilà del sogno, sembra che alcuni lavori siano destinati a scomparire per mancanza di personale, come sta succedendo nella ristorazione, forse perché i giovani non vogliono più farli oppure perché sono poco retribuiti». Bottura chiarisce: «Io ho parlato del segreto del successo, non tutti hanno certe ambizioni. Per esempio dopo il secondo lockdown mi sono chiesto “Da dove ripartiamo?” e la risposta è stata ripartiamo dalla cultura. La cultura deve essere condivisa con tutti, e più condividi, più il gruppo cresce. I ragazzi li tieni insieme solo stimolandoli culturalmente, se loro capiscono che hanno qualcosa da imparare, allora loro continuano a credere in te e viene reso visibile l’invisibile. Siamo andati in cucina e abbiamo cominciamo a parlare e a studiare il nostro passato. Tutte le ricette degli anni ‘50 ‘60, ‘70 e ‘80. Sapete perché? Perché la prima domanda che ho fatto è stata: “Ma voi in cucina conoscete qualcosa?”. Ho fatto loro alcuni nomi importanti di grandi cuochi e non ne conoscevano neanche uno! Allora abbiamo cominciato a leggere per 4 giorni. Essere contemporanei vuol dire aver letto tutto per poi dimenticarsi di tutto, ma per prima cosa devo avere letto tutto. Ho lasciato che ognuno (Continua da pagina 139) (Continua a pagina 141)

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Bizzari: «È verissimo, noi abbiamo ventimila persone che lavorano per Gucci, delle quali il 70% che lavora nei negozi. Quello che dice Massimo si applica, ovviamente, in modo più esteso alla nostra azienda. E ci stiamo riuscendo anche perché durante la pandemia noi siamo riusciti a pagare comunque tutti e nel frattempo abbiamo fatto anche sostegno psicologico. Questo ci ha fatto diventare un azienda di prima scelta, dando la possibilità consolidare un buon rapporto con i dipendenti vecchi e nuovi. È estremamente difficile perché non è mai finita, ogni giorno c’è qualcosa da ricostruire, da mantenere. Noi dobbiamo farlo con 500 mila negozi e lo si fa giorno per giorno senza mollare mai. Nel momento in cui pensi di essere il migliore del mondo, allora, è il momento nel quale inizi a cadere. A volte è stressante, ma ci continua a far lavorare». (Continua da pagina 140)

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Gramellini rivolgendosi all’amministratore delegato chiede: Marco vale anche per il vostro lavoro?

filtrasse attraverso la memoria questa esperienza per poi creare un menù, un esercizio culturale di ricostruzione della storia della gastronomia italiana, filtrandola attraverso la diversità biocuturale di ognuno dei nostri ragazzi. Da lì è nato un menù sulla nostra storia. Questa secondo me è la cosa fondamentale: fare partecipare tutti nel processo, coinvolgendo i ragazzi e alla fine condividere il merito del Il menù degustazione dell’Osteria is with the little help of my friends”. Non più solo io, ma noi. Da quel momento i ragazzi si sentono partecipi di questo esercizio culturale e di questa famiglia».

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“Cook Corriere”, diretto da Angela Frenda (ph. 1 3 8), è tornato come ogni anno a far conoscere eccellenze alimentari italiane, sapientemente proposte, in oltre cento appuntamenti, con ospiti italiani e internazionali. Da Londra è arrivato Giorgio Locatelli; dal Perù, Virgilio Martinez; dagli Stati Uniti, Dominique Crenn e Bryant Terry; dalla Slovenia, Ana Ros. Poi: Niko Romito (ph. 1 2), Norbert Niederkofler, Max Alajmo, Enrico Bartolini, Alessandro Borghese (ph. 3 4), Antonia Klugmann (ph. 9), Pino Cuttaia, Andrea Berton (ph. 8), Davide Oldani (ph. 5-6-9), Solaika Marrocco, Caterina Ceraudo, Giuseppe Iannotti solo per citare alcuni italiani. Nell’angolo di “Assaggi e parole” sono intervenuti i grandi maestri della lievitazione e della pasticceria, insegnando i loro segreti, da Iginio Massari a Ernst Knam, da Franco Pepe a Renato Bosco, da Davide Longoni ad Aurora Zancanaro, da Simone De Feo a Paolo Brunelli. Tra gli ospiti anche lo scrittore Erri De Luca (ph. 10), autore di un libro sul cibo, “Spizzichi e Bocconi” (Feltrinelli), insieme al nutrizionista Valerio Galasso. 10 7 8 9

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Confermamondiale

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L’importanza a livello mondiale del polo fieristico milanese si è rafforzata dopo due anni di stop legato all’ sanitaria,emergenzacon “Host”, che a promosso le eccellenze alimentari e artigianali italiane. L’accordo con “Informa Markets”, tra i leader mondiali del settore fieristico con 450 eventi in portafoglio, ha incrementato l’internazionalizzazione delle aziende italiane presenti. «La scommessa di tornare a incontrarsi di persona commenta Luca Palermo, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Fiera Milano si è rivelata vincente. C’era grande voglia di fare business dal vivo, come dimostrano gli incontri degli oltre 150 mila visitatori con più di 2.700 aziende. Insieme ai nuovi accordi siglati da Fiera Milano, questa vivacità rafforza l’approccio di filiera che occorre all’ecosistema italiano dell’agroalimentare e dell’ospitalità e fuoricasa per presentarsi all’estero in maniera organica».

Corsie gremite e vivaci scambi agli stand, hanno consolidato il crescente ruolo di Fieramilano come hub fieristico europeo e volano di internazionalizzazione per le imprese italiane di ogni dimensione. Una strategia continuativa e organica, come dimostra il costante incremento dei buyer internazionali, anche in collaborazione con ICE Agenzia. In tema di accordi, la nuova partnership con “Filiera Italia” e “Coldiretti” promuoverà il Made in Italy agroalimentare nel mondo con modalità innovative. L’obiettivo è di raddoppiare il valore dell’export. “La collaborazione tra Fiera Milano e Informa Markets - prosegue Palermoprende avvio dai settori Food & Hospitality, dove siamo leader a livello internazionale, per poi proseguire in altri settori. (Continua a pagina 145)

La nostra ambizione rimane invariata: vogliamo rafforzarci come hub europeo in grado di ospitare congressi e manifestazioni di respiro mondiale. Per questo siamo sempre più concentrati ad attivare partnership con grandi attori internazionali.

Siamo certi che l’alleanza possa rappresentare un’ulteriore opportunità di internazionalizzazione da offrire alle aziende che partecipano alle fiere.

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Se le delegazioni più numerose sono state quelle provenienti da Europa, Medio Oriente, Asia, Nord e Sud America e Africa, “di qualità” è stato anche il contributo portato dai molti top buyer presenti tra i padiglioni di Rho Fiera grazie agli accordi siglati con le più autorevoli associazioni di categoria nazionali e internazionali. Con questa edizione “HostMilano” e “TUTTOFOOD” si sono confermate come piattaforme non solo di business, ma anche di presentazione di dati e ricerche, condivisione di conoscenze, competizioni internazionali e scoperta di nuove tendenze.

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è l’intuizione di legare il marchio al mondo dell’arte e alla comunicazione pubblicitaria. Nel ventennio del secolo scorso si collega ad alcuni dei più importanti artisti dell’epoca: Marcello Dudovich, Giorgio Muggiani, Gino Boccasile, Max Huber eArmando Testa. Nel 1930 il cinema hollywoodiano adotta i cappelli Borsalino come oggetti di culto, legame con mondo del cinema che dura ancora. Ricordiamo Humphrey Bogart e Ingrid Bergman nell’indimenticabile scena finale di “Casablanca Belmondo in “Fino all’ultimo respiro” (Jean 1960) e Marcello Mastroianni in “81⁄2” in (Federico Fellini, 1963). Nel 1970 “Borsalino” conAlain Delon e Jean Belmondo di Jacques Deray, diventa un film (1° marchio di lusso a concedere l’uso del proprio nome), pellicola che otterrà un successo planetario. Il brend nel 1950 con una collezione di cappelli si apre al mondo femminile. Il logo dorato Borsalino, appare nel 1975 per la prima volta sui fiocchi che chiudono le cinte dei cappelli. Ancora cinque anni è alla collezione di cappelli in feltro, si

Borsalino: la lunga storia di un brend, simbolo dell italiana nel mondo. Il 4 aprile del 1847 adAlessandria, Giuseppe Borsalino avvia un piccolo laboratorio di cappelli, destinato a entrare nella storia del costume e della cultura come uno dei simboli di eleganza, stile e classe. Nel 1888 viene inaugurata la nuova manifattura, progettata da Arnaldo Gardella, oggi sede dell’Università diAlessandria e del Museo Borsalino.All’Esposizione Universale di Parigi del 1900, Borsalino riceve il Grand Prix, importante riconoscimento alla qualità dei suoi cappelli, che le consente di ampliare gli orizzonti del marchio e di diffondere la fama in tutto il Importantemondo.

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In occasione del centenario della creazione del celebre “Spiritello” di Leonetto Cappiello, la “Fondazione Corriere della Sera” e “Galleria Campari” vogliono riflettere sul rapporto tra arte, creatività e pubblicità, proponendo un ciclo appuntamenti in cui declinare i diversi aspetti di questa relazione. Sul palco per l’ultimo incontro dedicato a vazione: dallo spot all’intelligenza artificiale Francesca Fabbri Fellini, giornalista, scrittrice, regista e nipote di Federico Fellini, Marc D’Souza, production direction presso UNIT9 e Innovation Expert intervistati da Paolo Baldini del “Corriere della Sera”. Argomento principe della serata il documentario sul maestro Fellini raccontato da Marc D un piede nel futuro, non dimenticando il passato. ward” con la regia del premiato duo ZCDC, costituito da Zackary Canepari e Drea Cooper, esplora il mondo della creativiDa metà dell’Ottocento con una vite chiamata “Brunello” o “Brunellino” il vino “Brunello di Montalcino” si è affermato su scala internazionale solo dopo il 1980. Sono numerosi da allora i riconoscimenti, finiti nel racconto del giornalista Filippo Bartolotta durante “Milano Wine Week 2021” ospitata nel cortile di Palazzo Bovara. Collegato da Londra c’era un altro gruppo di esperti e amanti del nobile nettare pronto a sollecitare vista e olfatto, degustando le differenze tra i vigneti, ciascuno con caratteristiche uniche e particolari. Il Brunello “moderno” è invenzione della famiglia nobiliare “Biondi Santi”, ma la vocazione del territorio di Montalcino a produrre vini di grande qualità è nota già nel Medioevo. Gli statuti comunali regolamentavano la data d’inizio vendemmia, mentre durante l’assedio del 1553, il vino non mancò mai e Biagio di Monluc, alla difesa delle mura montalcinesi, per dissimulare le sofferenze «si arrubinava il volto con il robusto vino». Secondo il bolognese Leandro Alberti (1550 Montalcino è: «molto nominato per li buoni vini che si cavano da quelli ameni colli». L’auditore granducale Bartolomeo Gherardini nella sua visita a Montalcino del 1676-1677 segnala la produzione di 6050 some di vino descritto come «gagliardo, non però in gran Charlesquantità».Thompson

nel 1744 dice che «Montalcino non è molto famosa eccetto che per la bontà dei suoi vini». Fino alla seconda metà dell’Ottocento il vino più conosciuto ed apprezzato della zona era un bianco dolce, il “Moscadello di Montalcino”. Clemente Santi, un farmacista e rinomato autore nel campo delle scienze naturali, iniziò a sperimentare, come già anticipato poc’anzi, verso la metà dell’Ottocento, la produzione di un vino rosso. Presentò alla “Esposizione dei prodotti naturali (Continua a pagina 149) pregio

Altissimo

149 M S e industriali della Toscana” di Firenze due bottiglie di “vino rosso puro 1852”. La prima citazione scritta di un vino chiamato Brunello, tuttavia, avvenne nel 1869, quando Clemente Santi vinse due medaglie d’argento per il suo “vino rosso scelto (Brunello) del 1865” alla Fiera Agricola di Montepulciano. esempio di Santi altre famiglie locali iniziarono a produrre Brunello. Negli anni successivi arrivano altri importanti riconoscimenti internazionali battendo i rossi francesi persino a Parigi e a Bordeaux. Per molti anni il Brunello rimase una rarità destinata a pochi raffinati intenditori. È solo nella seconda metà del Novecento che, da una prelibatezza per pochi, si trasforma in un simbolo mondiale del migliore made in Italy. Nel 1966 diventa un vino Doc e l’anno dopo viene istituito il suo Consorzio. La prima Denominazione di Origine Controllata e Garantita” (DOCG) è del 1980. Da quel momento tutte le sue bottiglie vengono chiuse da un contrassegno di Stato che garantisce la loro provenienza. (Continua da pagina 148)

è l’intuizione di legare il marchio al mondo Secondo il disciplinare del 1998, il “Brunello di Montalcino” è ottenuto dalla fermentazione di uva Sangiovese in purezza con le seguenti caratteristiche: • resa uva: 80 quintali per ettaro; resa dell’uva in vino: 68 %; • affinamento minimo in legno 2 anni in rovere; • affinamento minimo in bottiglia 4 mesi (6 mesi per il tipo Riserva);

• sapore asciutto, caldo, un po’ tannico, robusto ed armonico; gradazione alcolica minima 12,5% Volumi;

• colore rosso rubino intenso tendente al granato per l’invecchiamento; • odore profumo caratteristico ed intenso;

M S Borsalino: la lunga storia di un brend, simbolo dell italiana nel mondo. Il 4 aprile del 1847 adAlessandria, Giuseppe Borsalino avvia un piccolo laboratorio di cappelli, destinato a entrare nella storia del costume e della cultura come uno dei simboli di eleganza, stile e classe. Nel 1888 viene inaugurata la nuova manifattura, progettata da Arnaldo Gardella, oggi sede dell del Museo Borsalino.All’Esposizione Universale di Parigi del 1900, Borsalino riceve il Grand Prix, importante riconoscimento alla qualità dei suoi cappelli, che le consente di ampliare gli orizzonti del marchio e di diffondere la fama in tutto il Importantemondo.

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Riguardo alle bottiglie molto invecchiate, è consigliabile la decantazione in caraffa di cristallo, al fine di ossigenarlo e di proporlo nella sua totale purezza.

Per gustarlo al meglio, dev’essere servito in bicchieri di cristallo dalla forma ampia, panciuta, al fine di poterne cogliere il bouquet composito e armonioso, ad una temperatura di circa 18 20 °C.

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Borsalino: la lunga storia di un brand, simbolo dell’eccellenza italiana nel mondo. Il 4 aprile del 1847 ad Alessandria, Giuseppe Borsalino avvia un piccolo laboratorio di cappelli, destinato a entrare nella storia del costume e della cultura come uno dei simboli di eleganza, stile e classe. Nel 1888 viene inaugurata la nuova manifattura, progettata da Arnaldo Gardella, oggi sede dell’Università di Alessandria e del “Museo Borsalino”. All’Esposizione Universale di Parigi del 1900, il fondatore viene premiato col “Grand Prix”, importante riconoscimento alla qualità dei suoi cappelli, che consente di ampliare gli orizzonti legati al marchio e diffonderne la fama in tutto il mondo. (Continua a pagina

Refinement, Style and Classy

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Importante è l’intuizione di legare la firma al mondo dell’arte e alla comunicazione pubblicitaria. Nel ventennio del secolo scorso si collega ad alcuni dei più importanti artisti dell’epoca: Marcello Dudovich, Giorgio Muggiani, Gino Boccasile, Max Huber e Armando Testa.

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Dal 1930 i grandi divi hollywoodiani adottano i cappelli italiani come oggetti di culto, legame con il mondo del cinema che dura ancora. Tra i tanti ricordiamo Humphrey Bogart e Ingrid Bergman nell’indimenticabile scena finale di “Casablanca”; Jean Paul Belmondo in “Fino all’ultimo respiro” (Jean Luc Godard, 1960) e Marcello Mastroianni in “8½” (Federico Fellini, 1963). Nel 1970 “Borsalino” con Alain Delon e Jean-Paul Belmondo di Jacques Deray, diventa un film (Continua da pagina (Continua a pagina

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154 M S (primo marchio di lusso a concedere l’uso del proprio nome), pellicola che otterrà un successo planetario. La collezione del 1950 si apre al mondo femminile. Il logo dorato appare nel 1975 per la prima volta sui fiocchi che chiudono le cinte dei cappelli. Ancora cinque anni e alla collezione dei copricapo in feltro, si affiancano i “Panama”, realizzati con la migliore paglia dell’Ecuador. “Triennale Design Museum” di Milano lo ha inserito, con l’esposizione “Serie fuori serie” (2009), fra le immortali icone del Made in Italy. (Continua da pagina 153)

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Borsalino: la lunga storia di un brend, simbolo dell’eccellenza italiana nel mondo. Il 4 aprile del 1847 adAlessandria, Giuseppe Borsalino avvia un piccolo laboratorio di cappelli, destinato a entrare nella storia del costume e della cultura come uno dei simboli di eleganza, stile e classe. Nel 1888 viene inaugurata la nuova manifattura, progettata da Arnaldo Gardella, oggi sede dell’Università diAlessandria e Esposizione Universale di Parigi del 1900, Borsalino riceve il Grand Prix, importante riconoscimento alla qualità dei suoi cappelli, che le consente di ampliare gli orizzonti del marchio e di diffondere la fama in tutto il intuizione di legare il marchio al mondo arte e alla comunicazione pubblicitaria. Nel ventennio del secolo scorso si collega ad alcuni dei più importanti artisti epoca: Marcello Dudovich, Giorgio Muggiani, Gino Boccasile, Max Huber eArmando Testa. Nel 1930 il cinema hollywoodiano adotta i cappelli Borsalino come oggetti di culto, legame con mondo del cinema che dura ancora. Ricordiamo Humphrey Bogart e Ingrid Bergman indimenticabile scena finale di Casablanca”; Luc Godard, 1960) e Marcello Mastroianni in in (Federico Fellini, conAlain Delon e Jean Belmondo di Jacques Deray, diventa un film (1° marchio di uso del proprio nome), pellicola che otterIl brend nel 1950 con una collezione di cappelli si apre al mondo femminile. Il logo dorato Borsalino, appare nel 1975 per la prima volta sui fiocchi che chiudono le cinte dei cappelli. Ancora cinque anni è alla collezione di cappelli in feltro, si René Caovilla ha presentato presso il proprio di Milano la collezione Primavera/Estate 2022, portandoci in una destinazione idilliaca con le meravigliose scarpe gioiello: “Cleo” e “Margot”. Realizzate a mano, garantiscono una qualità eccelsa con il loro sinuoso serpente: nelle prime è un gioiello insinua dentro la fascetta di camoscio nero, nelle seconde diventa una sensuale spirale lungo la gamba.

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Surrealism and magic

La famiglia Caovilla realizza le calzature a Fiesso Artico, una città industriale fuori Venezia, da quasi più di cento anni. Il brand dal 2009 al febbraio 2021 è stato sotto la direzione creativa di Edoardo Caovilla, (terza generazione della famiglia al timone). Il padre René Fernando Caovilla, con le sue 83 primavere è ancora presidente. La favola parte da nonno Edoardo nella bottega del 1923, undici anni dopo nasce il marchio e gli archivi vantano scarpe risalenti anche a quel periodo. Tra le creazioni della maison spicca il ”, che richiede due giorni di lavoro

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ciascuno e controlli con almeno venti passaggi. La bobina di serpente è creata con una lega di metallo che si avvolge intorno alla gamba come un leggero abbraccio, senza costrizioni o blocchi circolatori. Ancora oggi è uno dei modelli più amati, anche se negli anni ne sono stati creati altri sempre desiderati dalle donne di classe. Il cinturino alla caviglia, progettato da René nel 1969, s’ispira ai bracciali romani con i serpente arrotolati, risalenti al I secolo a.C. Nel 1975 la scarpa è stata anche esposta al museo del MoMA di New York. (Continua da pagina 156)

Le note di testa sono: limone, bergamotto, pepe rosa e pepe nero; le note di cuore sono shiso e rosmarino; le note di base sono legno di cedro e muschio. La nuova Colonia “Acqua di Parma” C.L.U.B (le cui iniziali stanno per Community Life Unique Bond), ha debuttato all’interno del suo primo pop up caffè meneghino, ospitato nel ristorante “Caruso” del “Grand Hotel et de Milan”, dal 16 al 23 marzo. L’atmosfera richiama la natura con un loggiato ad archi e una corda, elementi che rievocano le immagini della campagna scattate dal fotografo Koto Bolofo, dove tre giovani ragazzi sono immortalati in un momento di divertimento. Il locale temporaneo “L’Acqua di Parma Caffè” si compone di tre spazi distinti: una sala interna, una veranda con i caratteristici dettagli in giallo e un dehors caratterizzato da frutti d’oro e rigogliose piante del Mediterraneo. Gli ambienti sono stati resi confortevoli grazie agli arredi di “Poltrona Frau”, proseguendo la collaborazione del lancio dello Smart Home Diffuser e del Car Diffuser. La cura per i particolari si è vista anche dal corredo delle tovaglie di lino tessute a mano e realizzate insieme con “Luxury White”, marchio di Lucia Cavaliere che nell’atelier milanese rielabora, guardando alla contemporaneità, una tradizione familiare risalente al 1890, dai piatti realizzati in esclusiva da “Manifattura Geminiano Cozzi” di Venezia, con un decoro settecentesco nei toni del giallo, del bianco e del nero, i colori iconici della maison. A fare da contorno una serie di eventi tra aperitivi e laboratori. (Continua a pagina 159)

158 M S Avvolti da nuove fragranze

. (Continua

Primo appuntamento una master class dedicata all’arte del profumo seguita da “My Next Book”, incontro presentato da Caterina Balivo alla scoperta dell’ultimo lavoro letterario scritto dal marito Guido Maria Brera. La musica, unita alla poesia e al vino, ha animato “Parole al Vino”, un racconto farcito tra letteratura ed “estratto d’uva” con Francesco Quarna, dj e vignaiolo, e Maurizio Rossato, scrittore e direttore radiofonico.

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Il “Profumo di Papà”, dedicato ai bambini, è stato un laboratorio olfattivo a cura di “Kikolle Lab” dove sperimentazione, gioco e immaginazione li hanno guidato i bambini alla scoperta dei profumi per la Festa del Papà. Agli appassionati di fotografia, invece, è stato dedicato l’incontro “Scatti d’Autore” con Maurizio Galimberti, un workshop per carpire insieme a un professionista i segreti dietro la tecnica del “mosaico fotografico”. Con “I Colori della Primavera”, sono tornati al centro i profumi, grazie al designer Vincenzo Dascanio, che ha spiegato come creare bouquet profumati con le iconiche cappelliere firmate “Acqua di Parma” da pagina 158)

Dal salotto di casa, durante la pandemia, al format in cui Lei intervista Lui con pubblico in sala.

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Il protagonista inizia così a vagabondare in cerca di risposte nella metropoli trasfigurata e livida, a caccia del fantasma di Federico Caffè, di Roma, keynesiano rigoroso, è uscito

Dal salotto all’Hotel

Lei è Caterina Balivo, nota presentatrice di diversi trasmissioni televisive; lui è Guido Maria Brera finanziere e scrittore, nato e cresciuto a Roma da cui è andato via dopo la laurea per lavorare e specializzarsi prima a Milano, poi a Londra. Insieme al suo “collettivo” è tornato sugli scaffali con il libro: “Dimmi cosa vedi tu da lì”, il primo della nuova collana “Solferino”, dal titolo “NoNa: storie contemporanee” che giocano mescolando i generi, gli stili, i linguaggi. Intrigante il ménage familiare proposto con domande e risposte che hanno divertito con un’ironia, condita di mistero nascosto dietro i grandi “gnomi” dell’economia. Nel volume si parla dei cambiamenti non solo sociali, legati al Covid 19, che ha sconvolto gli equilibri mondiali. L’impensabile è accaduto. Il vecchio mondo venuto fuori della globalizzazione trema e l’eterno presente, iniziato con la rivoluzione conservatrice di Reagan e Thatcher, potrebbe cedere il passo a un’età nuova. Il futuro, però, è incerto. Quale prospettiva economica ispirerà la ricostruzione dopo la catastrofe?

161 M S di scena in un momento particolare: dopo la sconfitta della scuola di cui era capofila e il trionfo del corso neoliberista. In un viaggio nello spazio tempo, dall’università romana ai grattacieli del distretto finanziario di “Canary Wharf” a Londra, dai miraggi della lotta armata alle illusioni degli anni Novanta, prende corpo nel romanzo la storia rimossa sull’origine dell’oggi, di come ci siamo spinti fino all’orlo del burrone. Compare pure un’enigmatica matita parlante recita il “peana” del libero mercato, mentre una strana e mail promette una svolta epocale e nell’ombra si muovono i paladini dell’ Sonoordine.gliultimi gattopardi. Li chiamano “I Diavoli”, finiti anche in una serie televisiva di Sky. Intrecciando l’autofiction più vertiginosa alla confessione più intima, il racconto appassionato al saggio divulgativo, Brera, stuzzicato continuamente dalla gentil consorte, disegna lo scenario della grande guerra tra modelli economici che attraversa i decenni, ci proietta nel mezzo di una battaglia decisiva, pronuncia parole di riscatto e speranza.

Dalla passione per Amarone, Barolo, Brunello, Chianti, Sassicaia, solo per citarne alcuni, unita alla conoscenza del territorio e alla poesia, è nato il progetto live dal nome “Parole al vino”, presentato grazie ad “Acqua di Parma” presso il Grand Hotel et de Milan. È uno spettacolo itinerante in cui Francesco Quarna e Maurizio Rossato, già autore di “Parole Note” e regista radiofonico di “Catteland” e il “Volo del mattino”, raccontano la pregiata bevanda alcolica italiana attraverso il legame con la terra e l’arte dei versi. L’incontro all’insegna del vino e della poesia, da sempre grandi alleati, ha proposto, consigliato e fatto conoscere alcune realtà a cavallo tra i due mondi, appassionando anche chi si è avvicinato a questi elementi per la prima volta. Il percorso si è snodato tra i grandi autori della letteratura, in rapporto alle loro opere, al vino e al territorio. Tramite i pensieri scritti su carta, il pubblico ha scoperto come gli scrittori abbiano un legame speciale con quanto la terra offre agli uomini. Altro elemento fondamentale per un viaggio alla scoperta del lieo e dei versi è, sicuramente, la musica; l’intero appuntamento è stato accompagnato da una base musicale che ha aiutato i partecipanti a destreggiarsi tra vocaboli e metriche in un affascinante viaggio all’insegna della convivialità.

Francesco Quarna (30 ottobre 1980, Varallo), muove i primi passi nella radiofonia alla fine degli anni ‘90. Dopo le esperienze come fonico nelle emittenti regionali “Puntoradio 96” e “Radio Planet FM”. Nel 2003 approda a “Radio Deejay” e dal 2011 coordina la redazione del sito web dell’emittente e dei social media. Da giugno 2020 è in onda in radio e su “Deejay tv” con “Summer Camp”, insieme a Nikki e Federico Russo. Oltre alla musica, le sue passioni sono il vino Docg “Ghemme”, il “suo” Alto Piemonte, la vigna e la montagna.

(Continua a pagina 163)

Parole di-vino

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163 M S Maurizio Rossato (28 ottobre 1979, Pavia) produttore e regista appenaradiofonico,ventenne inizia a lavorare a “Radio 24”. Nel 2001 approda a Radio Deejay” dove dal 2003 è alla regia de “Il Volo del mattino”, passa poi al programma Catteland” (2018). Dalla sua passione per la poesia nel 2010 è nato Parole Note”. Durante il 2020 pubblica La poesia delle fiabe” con la voce dell’attore Stefano Accorsi. (Continua da pagina 162)

’artista Maurizio Galimberti ha sollecitato studenti e appassionati insegnando loro come ricercare soggetti, persone e ambienti prima del fatidico click per “Acqua di Parma”. Galimberti da ragazzo sviluppa la passione per la fotografia e inizia a partecipare a numerosi concorsi. Nel 1983 comincia a usare solo le Polaroid, anche perché può vedere subito il risultato dello scatto senza aspettare lo sviluppo della pellicola. Passano gli anni e nel 1991 collabora con “Polaroid Italia”, della quale diventa testimonial ufficiale. “Polaroid Pro Art” viene pubblicato nel 1995 e due anni dopo le sue istantanee a mosaico si affermano come vere e proprie opere d’arte. La tecnica, influenzata da Boccioni e Duchamp, consiste nello scomporre immagine in tante polaroid, ciascuna delle quali riproduce un (Continua a quadretti

a pagina 165) Ph

164 M S Una master class per fermare il tempo, utilizzando una piccola macchina in grado di fissare frammenti di realtà e visioni personali.L

165 M S particolare diverso dello stesso soggetto. Le stesse vengono, poi, accostate l’una all’altra per ricomporre l’immagine in un collage. Ha creato ritratti di star come Lady Gaga, Robert de Niro e Johnny Depp, Monica Bellucci, Lucio Dalla, Umberto Eco, Sting. Il punto di svolta è stato l’incontro con il gallerista Fumagalli grazie al quale l’artista cominciò a esporre in città internazionali come Venezia, Berlino e New York, delle quali realizzò dei bellissimi portfolio. (Continua da pagina 164)

Per riconoscere il cyberbullismo e i pericoli del Web, nell’ambito del progetto “LegalMente” in Rete, è stato tenuto un incontro in videoconferenza il 2 dicembre 2021 dal Sovrintendente della Polizia locale Antonino Lo Cascio. Grazie ad alcune slides in “PowerPoint” i ragazzi hanno potuto capire come la vita di una persona sia molto legata allo smartphone, lo sblocchiamo in media 80 volte al giorno, mentre con circa 2.617 gesti lo tocchiamo; vengono scambiati in ventiquattro ore oltre 46 miliardi di messaggi su “WhatsApp” e postate quasi 66 miliardi di foto su “Instagram”. Lo Cascio ha cercato frequentemente il dialogo con gli studenti facendo domande sulla loro vita durante la pandemia, sul concetto di resilienza, sulle loro abitudini etc. È poi passato ai consigli: utilizzare password sicure, tenendole riservate e cambiarle spesso; nelle chat, nei forum e nei giochi di ruolo non dare mai il proprio nome, cognome, indirizzo, numero di cellulare o di casa e l’e mail; se si ricevono messaggi, post o materiale diffamatorio è importante non interagire con coloro che ci stanno provocando; nel caso si venga in possesso di foto, filmati o messaggi diffamatori, non guardare il materiale, perché rinforza l’umiliazione e la vergogna subite, ma è buona cosa bloccare subito la persona o le persone che li diffondono. Naturalmente, è bene custodire i messaggi più offensivi da poter utilizzare in sede legale; occhio all’url (uniform resource locator). L della pagina è, di sicuro, uno dei primi elementi da controllare. Spesso capita che siti di fake news (Continua a pagina

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Comunicare oggi di Elisa Maggioni, Luca Puleo

Colpisce le persone giudicate più deboli attraverso le nuove tecnologie informatiche: social network, giochi on line, conversazioni via chat e forum. Derisioni, insulti, minacce e offese possono arrivare in tanti modi: foto o video imbarazzanti fatte alla vittima, messaggi offensivi per danneggiare la reputazione di chi è ritenuto “insolito”. La vergogna del soggetto preso di mira spesso ha il sopravvento, soprattutto se viene lasciato solo, con conseguenze anche fatali.

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Il cyberbullismo presenta cinque categorie: 1) assenza di confini spaziali e temporali; 2) impatto e permanenza; 3) difficoltà a nascondersi; 4) presunto anonimato; 5) il Web è recepito senza regole. Per questi motivi la vittima di cyberbullismo, dai 14 anni in su, può richiedere al gestore del sito internet la rimozione, il blocco o l’oscuramento dei contenuti lesivi. Se entro 24/48 ore non si ricevono comunicazioni e non avviene la rimozione, la richiesta va rivolta al Garante per la protezione dei dati personali (https://www.garanteprivacy.it/ temi/cyberbullismo).

(Continua

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come escamotage url simili a quelli conosciuti dagli utenti, omettendo o aggiungendo una lettera o invertendone l’ordine Sono state approfondite anche altre tematiche riguardanti: privacy, web reputation, nomofobia (no mobile phobia, vale a dire la paura di rimanere senza cellulare, sindrome da hand phone del telefono in mano), georeferenziazione (tecnica che attribuisce delle coordinate geografiche a un oggetto grafico, usata nelle procedure di cartografia computerizzata e nelle app per essere facilmente localizzati), phishing (il tentativo d’impadronirsi illegalmente dei dati personali e di altre utili informazioni) furto d’identità, hate speech (linguaggio d’odio), sexting (crasi dei termini inglesi sex e texting, la pratica d’inviare o postare messaggi di testo e immagini a sfondo sessuale e revenge porn (o revenge pornography, porno vendetta con la pubblicazione di scatti, video o altro materiale sessualmente esplicito senza il consenso della persona o delle persone per scopi vendicativi o di minaccia).

Il sovrintendente ha circoscritto anche il campo del bullismo, una forma di oppressione in cui la vittima sperimenta condizioni di sofferenza e svalutazione della propria identità. A praticarlo sono più soggetti: il bullo, colui/lei che compie l’azione; la vittima, colui/lei che subisce l’azione; i sostenitori e gli osservatori che vengono considerati ugualmente complici. Né i ragazzi né i genitori, a volte, denunciano, perché troppo spesso alla vergogna si somma la paura. Si può spezzare tale cortocircuito? Sì, con scelte educative contro ogni discriminazione, spiegando ai ragazzi che ogni “diverso” è, in realtà, identico a noi. da

Durante l’incontro, sono state affrontate diverse situazioni relazionali con protagonisti non solo adolescenti, ma anche adulti. Ambra ha affermato che la cosa principale da fare quando ci si trova davanti a queste circostanze è quella di cercare, in tutti i modi, il dialogo. Inoltre, ha sottolineato che anche i grandi possono essere vittime di bullismo oppure bulli. Abbiamo imparato che se questi ultimi non avessero il pubblico, perderebbero il palco su cui “esibirsi” e pure il gesto che stanno compiendo avrebbe meno forza. Un esempio che ci ha fatto riflettere è legato agli artisti e ai personaggi pubblici che in passato sono state bullizzati a causa di disturbi, malattie o difetti fisici. L’attrice ci ricordato che alcune vittime sono poi “esplose” trovando il successo, una sorta di rivincita o di rivalsa dopo tante umiliazioni e sofferenze. Sono state proiettate poi delle prove di scena tratte dallo spettacolo: la conversazione tra l’insegnante (Ludovica ottobre del 2021, sostituita da Arianna Scommegna) e la madre della vittima (Ambra). intervento di Irene Annalaura Simi de Burgis, psicologa, psicoterapeuta psicodiagnosta, si è approfondito il tema delle dinamiche legate al bullismo; presentando i ruoli: il bullo, la vittima e il gruppo (gregari). L’esperta ci ha consigliato di provare a mostrare tutti i nostri sentimenti, senza sentirci in imbarazzo. Ciò è utile per esercitarsi nelle relazioni con gli altri, aggiungendo anche di aprirsi con amici, parenti o docenti per avere un altro punto di vista o, semplicemente, per sfogarsi. a pagina chi è la colpa?

(Continua

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168 M S di Angelica Jerena Asuncion, Elisa Maggioni Ambra Angiolini e Arianna Scommegna, insieme ad alcuni responsabili della onlus milanese “FareXBene”, hanno dialogato con i ragazzi delle scuole superiori di tutta Italia e presentato il testo teatrale “Il nodo” di Johnna Adams, spettacolo doloroso.

Dopo lo straordinario successo avuto negli Stati Uniti, “Il nodo” della giovane Johnna Adams è andato in scena al “Teatro Franco Parenti” per la regia di Serena Sinigaglia. (Continua da pagina 168)

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La sinossi dello spettacolo racconta dell’incontro di in un’aula di una scuola pubblica e l’ora di ricevimento per una insegnante elementare. È tesa, ha la testa altrove, aspetta una telefonata che non arriva mai. Al colloquio si presenta inaspettatamente la madre di un suo allievo. Vuole parlarle, ma non sarà un dialogo facile. Suo figlio Gidion, un ragazzino delle scuole medie, è tornato a casa pieno di lividi ed è stato sospeso. Vittima di bullismo o molestatore? Lei vuole a tutti i costi capire il perché. Cercare la verità è l’unica possibilità a cui aggrapparsi. Perché, come conseguenza del fatto, il figlio ha commesso qualcosa di tremendo, di irreparabile

Molto toccante la storia testimonianza di un’alunna della professoressa Giusy Laganà: si chiama Miriam ed è stata vittima di bullismo per la sua altezza. A causa di una malattia aveva smesso di crescere e per questo veniva presa in giro, ma ne ha parlato con amici e genitori, superando così il problema. Passando al cyberbullismo. ci è stato suggerito di usare la testa e non far prevalere il nostro pollice sul Web. Altra frase che ci ha colpite riguarda le nostre mancanze, un’arma spesso usata contro di noi per fare del male.

… Solo un confronto durissimo tra le due donne potrà forse dare una risposta al dolore che attanaglia i due personaggi, allo smarrimento e al loro reciproco, soffocante senso di colpa. «“Il nodo” - dice la regista Serena Sinigaglia - non è semplicemente un testo teatrale sul bullismo (il che, comunque, basterebbe a renderlo assolutamente attuale e necessario), è soprattutto un confronto senza veli sulle ragioni intime che lo generano. Osa porsi domande assolute come accade nelle tragedie greche, cerca le cause e non gli effetti. Ed è questo aspetto ad attrarmi di più».

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di Nicole Ganzero A Roma i fanciulli giungevano a scuola del maestro Curio, liberto che insegnava la scrittura. Gli alunni imparavano l’aritmetica, le forme delle lettere, la lettura, la storia e la geografia. Il maestro impartiva agli alunni la dottrina ed era come se fosse un parente, talvolta li riprendeva e talvolta erano elogiati... Chi siano oggi gli studenti e i maestri, lo abbiamo chiesto ad una fresca diplomata dell’indirizzo Tecnico Biotecnologie Sanitarie “Giulio Natta” di Milano: Maria Giulia Astori. Ma chi era quell’adolescente il primo giorno di scuola? «Una ragazza determinata, con tanta voglia di lavorare e impegnarsi, ma, allo stesso tempo, insicura e spaventata da tutti i cambiamenti che i cinque anni di superiori le avrebbero portato».

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Il mestiere di studentessa

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Per raggiungere 100/100 nel tuo percorso scolastico a che cosa hai rinunciato? «Da sempre ho preso la scuola e tutto ciò che era correlato ad essa molto sul serio, riuscire ad avere bei voti ed impegnarmi è stato, sicuramente, il mio obiettivo fin dal primo giorno. Mi piace impegnarmi e vedere come questo impegno mi abbia portato ad un grande risultato finale, mi rende immensamente fiera del mio percorso. Indubbiamente, ci sono state delle rinunce nel corso di questi anni, molte volte anche io avrei preferito passare il pomeriggio fuori con i miei amici o un weekend al mare, però questo non è sempre stato possibile. Alcune volte l’ho fatto, tuttavia c’erano quei pomeriggi in cui dovevo solo stare seduta alla scrivania con il libro davanti e concentrarmi, anche se, in quel momento, non mi andava di farlo. Ma l’ho sempre saputo, se si vuole raggiungere un importante traguardo, qualche rinuncia va fatta». Dei cinque anni tra i banchi di scuola, scegli due scene che porterai nel cuore. «Una scena che non dimenticherò mai è stata il giorno in cui ho detto ai miei compagni di aver partecipato vinto una borsa di studio, offerta da “AE Foundation”. Era un’ora “buca”, in classe eravamo pochi e un mio compagno mi ha chiesto come stesse procedendo il progetto di cui gli avevo parlato. Al che, ho annunciato di averlo vinto e gli occhi di molti miei compagni, quelli con cui ero più legata, si sono illuminati. Alcuni mi hanno abbracciata, altri hanno fatto dei sorrisi che non dimenticherò mai ed erano così felici del fatto che fossi riuscita a raggiungere un obiettivo importante per me, tanto da farmi sentire davvero speciale. Un altro episodio che non scorderò mai, si è verificato in quarta superiore. Verso la fine dell’anno scolastico ho attraversato un periodo difficile, che aveva inciso sia sul mio andamento scolastico sia sul modo in cui interagivo in classe con i compagni e i professori. Un docente, che mi conosceva dalla prima, ha notato questo mio “cambiamento” e un giorno mi ha portata fuori dalla classe per parlare un po’ di quello che avessi. Gli ho raccontato quanto stesse accadendo e lui mi ha consigliato, aiutandomi nel periodo successivo. Porterò questo gesto sempre con me, perché (Continua da pagina 170) (Continua a pagina 172)

172 M S penso non sia facile trovare dei professori che s’interessano, realmente, ai loro studenti. Una tale attenzione mi ha particolarmente colpita». Hai parlato di una borsa di studio, il progetto, quali specifiche caratteristiche richiedeva? Da quella esperienza, che cosa hai imparato «Sono richieste: una grande determinazione, voglia di mettersi in gioco e una chiarezza d’intenti sul nostro futuro, su cosa e chi volessimo essere e diventare. Era necessario avere i piedi per terra e la testa focalizzata sul percorso da intraprendere, nonostante all’inizio potesse generare un po’ di paura. Sicuramente, questo progetto mi ha aiutata a crescere come persona, prima che come studentessa. Mi sono ritrovata a “lavorare” in un mondo di adulti, completamente diverso dalle mura scolastiche e dalla quotidianità. È stata un’esperienza di cui sapevo relativamente poco, con tanti professionisti che non conoscevo. Eppure, non mi sarei augurata cosa migliore: mi ha aiutato tanto potermi confrontare con specialisti che ne sapevano più di me sul lavoro che avrei voluto fare. Ho acquisito una maggior consapevolezza sulle mie capacità e sono stata aiutata ad uscire da quella zona di comfort in cui mi ero rifugiata. Non è stato facile! Sono stati necessari una autopresentazione scritta e orale, una selezione e numerosi incontri on line che prevedevano interventi di professionisti in diversi settori: docenti formatori, anche universitari, medici di fama internazionale, professori inglesi madrelingua, psicologi e (Continua da pagina 171) (Continua a pagina

altri esperti collegati con strutture pubbliche e private di Milano, Roma, Londra e New York.

Solo in primavera, dopo un’ultima convocazione via Web, ho avuto la certezza del superamento di tutti gli step».

M’immagino entusiasta del mio percorso e di quello che verrà. E soprattutto mi sento fiera di poter realizzare, anche grazie all’aiuto della borsa di studio, il sogno di quella ragazzina che ha iniziato il percorso tecnico in biotecnologie sanitarie di prima superiore». Grazie del bell’esempio che hai voluto condividere con noi!

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Come ti vedi tra cinque anni? «In Università studiando, finalmente, quel che mi piace, ovvero medicina.

Chi è Maria Giulia oggi? «Sono una persona diversa da quella ragazzina di prima superiore. Maria Giulia oggi è una ragazza sicura di sé e pienamente consapevole di avere tutte le qualità per poter raggiungere gli obiettivi che si è prefissata. È determinata, come lo è sempre stata. Ha scoperto che aiutare gli altri e poter fare qualcosa che possa fare la differenza, la rende felice e soddisfatta di sé stessa».

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174 M S di Sonia Lascar, Kristel Rosita Natta English Camp was held by three professor that came directly from the Britain for two weeks, they used school’s space. The professors took turns in every lesson from 8:30 am to 3:00 pm with work phrases and different methods, which were originals and interesting. Working together, without using the phone often, was so useful to see the reality from other point of views and to relate with other students, especially after all these years of COVID 19. It’s an experience that turned out to be positive and I would recommend to everyone, regardless of their level of knowledge of the language. inglese è stato tenuto da tre professori madrelingua per due settimane, utilizzando gli spazi dell’istituto. I docenti si sono alternati in ogni lezione dalle 8.30 alle 15 con fasi di lavoro e metodi diversi, originali e interessanti. Lavorare insieme, senza poter usare spesso il cellulare, è stato utile per vedere la realtà da altri punti di vista e per relazionarsi con altri studenti, soprattutto dopo gli anni del Covid 19. Un’esperienza rivelatasi, quindi, positiva e da consigliere a tutti, indipendentemente dal livello di conoscenza della lingua. di Hagar Gomaa At the “Natta English Camp” we learnt how to communicate effectively, thanks to games, music and other activities related (Continua a pagina 175) English Experience Camp

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(Continua

M S to graphics and the digital world. Our knowledge increased through the playful atmosphere created by “the hangman”, “Pictionary” and the classic “Chinese whispers” made it clear how to approach the world of work through a curriculum vitae capable of recounting acquired skills and knowledge. In the drafting, the appropriate use of colours, bullet points and short sentences were recommended, amongst others. Each of the participants then searched for information on their dream job, looking at the responsibilities, schedules, qualifications and skills needed and, finally, the salary.

The next step is team work with the tests useful for identifying, from a behavioural point of view, the strengths and relative weaknesses of people. The team spirit was enhanced, it was easier to prepare the digital magazine by choosing between editorial themes, design or the purchase and sale of goods, also taking advantage of the role of a social media manager chosen by the young people. Each team selected a topic, a name, a logo, a target audience, example articles and an example of an advertisement. In the end, each magazine created the first page of its website, which gave the opportunity to discover oneself and to become more aware by having new eyes and ears and being able to know how to read and listen to the ever-changing reality. da pagina a pagina

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M S Al “Natta English Camp” per imparare a comunicare in modo efficace, grazie a giochi, musica e altre attività legate alla grafica e al mondo digitale. Il confronto maturato attraverso l’atmosfera giocosa creata da “l’impiccato”, “il mimo” e il classico “telefono senza fili” ha fatto capire come avvicinarsi al mondo del lavoro tramite un curriculum vitae capace di raccontare competenze e conoscenze acquisite. Nella stesura sono stati consigliati, tra gli altri, l’uso appropriato dei colori, i punti elenco e frasi brevi. Ognuno dei partecipanti ha ricercato, in seguito, notizie sul lavoro dei propri sogni, badando a responsabilità, orari, qualifiche e competenze necessarie e, infine, alla retribuzione. Tappa successiva il lavoro in team con i test “Belbin Team Role” utili per identificare, da un punto di vista (Continua da pagina 175)

Potenziato lo spirito di gruppo, è stato più facile preparare il magazine digitale scegliendo tra tematiche editoriali, design o acquisto e vendita di beni, sfruttando pure il ruolo di un social media manager scelto dai ragazzi. Ciascuna squadra ha selezionato argomento, nome, logo, pubblico di riferimento e un esempio d’inserzione pubblicitaria. Alla fine, ogni rivista ha realizzato la prima pagina del proprio sito Web, dando la possibilità di scoprirsi più consapevoli avendo occhi e orecchi nuovi in grado di saper leggere e ascoltare la realtà in continuo divenire.

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comportamentale, i punti di forza e le relative debolezze delle persone.

La stagione calcistica di Serie A 2021/2022 è stata speciale, perché, dopo dodici anni, lo scudetto si è deciso all’ultima giornata, con la vittoria del Milan, che ha battuto il Sassuolo 3 0, grazie alla doppietta di Giroud e al goal di Franck Kessié, l’ultimo in rossonero; inutile, la vittoria dell’Inter sulla Sampdoria, siglata da Joaquin Correa e Ivan Perišić. I tifosi hanno atteso tra poche gioie sportive e tante sofferenze ben undici anni. La stagione era iniziata con una vittoria il 23 agosto a Marassi contro la Sampdoria; il primo vero ostacolo si presenta alla quarta giornata di campionato con la Juve, reduce da risultati non esaltanti; la partita finisce in parità. Successivamente i diversi infortuni in casa Milan non hanno demoralizzato la squadra, che ha continuato a macinare punti battendo: Atalanta, Hellas Verona e Roma. Il 7 novembre è il giorno del derby, che finisce in parità con le reti del rossonero Stefan de Vrij e il gol dell’ex Hakan Çalhanoğlu. L’Inter, quindi, vede sfumare la possibilità di accorciare le distanze e rimane a meno 7 punti dalla vetta occupata dai cugini. Le differenze, tuttavia, vengono meno quando il Milan perde contro Fiorentina, Sassuolo e alla diciassettesima giornata dopo il pareggio 1 1 con l’Udinese. La serie negativa continua nello scontro diretto con il Napoli, permettendo ai rivali cittadini di essere “Campioni d’inverno”. (Continua a pagina 179) si vince

Insieme

M S di Edoardo Maria Mandelli

partite sono state un bellissimo botta e risposta tra le due formazioni sotto la Madonnina, ma il trionfo in piazza Duomo si è tinto di rossonero. Menzioni particolari per il risultato finale vanno: all’ giocatori,farformarefondamentaleallenatore,perilgruppoelavorarebeneicreando

La seconda metà del campionato inizia, per la formazione guidata da mister Stefano Pioli, con una vittoria contro la Roma, ma punti preziosi vengono persi in casa con lo Spezia (1 2) e con la Juventus (0 0), consentendo all’Inter di porsi davanti in classifica di quattro punti. Diventa, quindi, decisiva la stracittadina di ritorno. Un gol di Perišić manda l’Inter a un passo dallo scudetto, ma la doppietta di Olivier Giroud ribalta tutto e riapre il campionato. Le giornate successive, però, vedono le due milanesi in sofferenza, permettendo così al Napoli di riagganciarle; alla ventottesima giornata i partenopei ospitano i rossoneri e perdono con gol del solito Giroud. Si susseguono vittorie e pareggi, prima del 23 aprile in cui le capitoline “piangono” (Inter Roma, 3 1; Lazio Milan, 1 2). La partita chiave nella lotta scudetto della Seria A è quella di quattro giorni dopo tra Bologna e Inter, che termina 2-1. Le compagini di Spalletti col Napoli e Allegri con la Juventus sono tenute in piedi solo dai numeri, ma ormai sono fuori dai Legiochi.ultime

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una squadra spettacolare con uno stile di gioco innovativo; i tifosi lo ammirano tanto da avergli creato il coro ‘’Pioli is on fire’’; al portiere francese Mike Peterson Maignan, che portava su di sé alte aspettative, perché arrivava come sostituto di Donnarumma, ma ha impiegato pochissimo tempo a far innamorare i tifosi, che non rimpiangono affatto il trasferimento di Gigio; a Theo Bernard François Hernández, il miglior terzino del campionato, che con le sue accelerazioni ha regalato gioie importanti. Ad esempio, è stata spettacolare la cavalcata coast to coast, terminata con un goal nella gara di ritorno contro l’Atalanta; ai meno giovani ha ricordato la rete segnata in maniera simile l’8 settembre 1996 da George Weah contro il Verona; a Rafael Leão, MVP della serie A (Most Valuable Player, in italiano, giocatore di maggior valore). Ha fatto una stagione perfetta, trovando più continuità rispetto all’anno scorso, e si è messo a disposizione dei compagni, fornendo assist su assist ( da pagina (Continua a pagina

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come nell’ultima giornata, quando ha regalato tre passaggi che hanno permesso di segnare a Giroud e Kessié; e, infine, ultimo, ma non per ultimo, a Zlatan Ibrahimović, forse il vero leader, che ha evitato di farsi operare al ginocchio, tenendosi il dolore, pur di essere vicino e aiutare lo spogliatoio, contribuendo a formare quel gruppo unito, vera e propria chiave di un Milan vincente.

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MonzA è realtÀ

Delegato Adriano Galliani lo ha portato dalla Serie C alla Serie A, per la prima volta in 110 anni di storia. Una città, una provincia e un popolo, quello brianzolo, che possono finalmente festeggiare un traguardo sfumato per un soffio alla fine degli anni ‘70. “Chi ci crede combatte, chi ci crede supera tutti gli ostacoli, chi ci crede vince”: il motto scelto da Silvio Berlusconi ha ispirato i biancorossi, che hanno saputo rialzarsi dopo momenti difficili dentro e fuori dal campo, come quando a dicembre sono stati colpiti dal Covid nel loro momento migliore e si sono dovuti fermare per tre settimane.

Il Grande Sogno è finalmente realtà. Grazie alla vittoria incredibile 4-3 a Pisa, il Monza conquista la sua prima storica promozione in Serie A. Promessa mantenuta per Silvio Berlusconi, che il 28 settembre 2018 ha acquisito il club biancorosso e insieme al Presidente Paolo Berlusconi e all’Amministratore

182 M S di Giulia Vallini

Il quarantesimo campionato di Serie B della storia del Monza è stato tra i più difficili e imprevedibili di sempre, ma i biancorossi non hanno mai smesso di crederci. Il finale di stagione è stato un ottovolante di emozioni per cuori forti. Dalla prima festa rimandata, alla bagarre dei playoff, che il Monza ha saputo affrontare nel modo migliore.

Dopo la doppia vittoria sul Brescia in semifinale, il destino ha voluto che l’ultimo avversario sulla strada fossero i pisani, per una rivincita attesa dalla finale playoff di Serie C nel 2007. Questa volta i monzesi hanno saputo difendere la vittoria dell’andata e all’Arena Garibaldi sono stati dei guerrieri, vincendo come aveva chiesto il cavaliere nelle sue visite a Monzello dei giorni precedenti, che hanno dato grande carica a tutto l’ambiente. Da quella sera MonzA si scrive con la A maiuscola in fondo: quella che fa sognare tutta la Brianza. E con una certezza: la Serie A non è un punto di arrivo, ma di partenza.

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184 M S di Gaia Tarrano

(Continua a pagina 185 Facies e oltre

Al Menotti dopo i successi internazionali sono finalmente tornati i “Familie Flöz”, la compagnia berlinese che vanta, con i suoi spettacoli silenziosi, migliaia di repliche in 34 Paesi e di premi negli ultimi 25 anni. Fascino, ironia, poesia, malinconia, sogno e ilarità rendono le loro esibizioni come le più recenti “Teatro Delusio” e “Feste”, imperdibili. La poesia delle maschere e le fulminee trasformazioni trascinano il pubblico in un mondo di luminosa comicità, dando vita a indimenticabili suggestioni e magia. Nel nuovo lavoro, si presentano sulle scene tre tecnici instancabili Bob, Bernd e Ivan divisi dal luccicante mondo del palcoscenico solo da un misero sipario e lottano per realizzare i propri sogni. Le loro vite, all’ombra della ribalta, si intrecciano al mondo scintillante dell’apparenza. Improvvisamente si ritrovano ad essere i protagonisti di quel palcoscenico che, in fondo, equivale al loro mondo.“Teatro Delusio” gioca con le innumerevoli sfaccettature della recitazione. In scena e dietro le quinte, fra illusioni e disillusioni, nasce uno spazio magico carico di umanità. Il palco diventa backstage e lì si rappresentano diversi generi teatrali, dal mondo opulento dell’opera a selvaggi duelli di spada, da intrighi lucidamente freddi a scene d’amore passionali. Il secondo appuntamento con le favole senza parole, anche per adulti è stato “Feste”. La performance si svolge in una maestosa villa sul mare. Tutto è pronto per la celebrazione di un matrimonio e della successiva festa vista dal retro dell’abitazione, che nasconde un cortile, sporco e caotico, dove il personale lavora senza sosta per cucinare, preparare, sorvegliare, pulire, ordinare. Poetica e coinvolgente l’armonia fra tragedia e comicità, i personaggi cercano di assicurare l’approvvigionamento e il perfetto funzionamento della elegante casa sul mare. Condannati, però, a rimanere fra i deboli

185 M S e i vinti, lottano per la loro dignità e il rispetto da parte dei ricchi padroni. Che fantastico spettacolo! Mi sono sentita travolgere da un insieme di luci, musica, colori, e poesia. Senza sentire una singola parola, sono stata trasportata in un mondo di magia. Com’è possibile che solo tre attori, grazie a delle maschere, siano riusciti a interpretare un numero indefinito di personaggi? Non so come, ma è stato possibile. Sentirsi catapultata in storie, a volte, delicatamente tragiche, mi ha permesso di entrare in sintonia con quanto vedevo, occupando un posto nel mio cuore. Ogni personaggio cerca qualcosa che non trova e sembra che tutti ci perdano, ma, alla fine, è importante l’immensa magia in cui si ritrova lo spettatore. È una favola per noi ragazzi che non siamo più bambini, capace di immergerci nella tenerezza, di cui, a volte si ha bisogno. Attraverso i “profumi” che aleggiano nell’aria, tutta la platea sembrava in viaggio verso la tranquillità con un’armonia perfetta. Pur nella loro immutabilità le figure ci hanno fatto capire che, al di là della condizione sociale di ognuno, possono emergere inquietudini e angosce esistenziali. Più i commedianti erano maldestri, più sembravano vicini al mio stato d’animo. La storia tragicomica sulla ricerca della felicità individuale, mi ha fatto capire che occorra andare oltre le apparenze. (Continua da pagina 184)

Familie Flöz, o Familie Floez, è una compagnia di teatro internazionale con sede a Berlino. Gli spettacoli che realizza e produce prendono vita da un lungo processo introspettivo e collettivo, attraversando differenti discipline fra le quali il teatro di figura, quello di maschera, la danza, la clownerie, l’acrobazia, la magia e l’improvvisazione. Nel proprio lavoro gli attori utilizzano un linguaggio del corpo non convenzionale che, attraverso l’uso di maschere e travestimenti, rivela quanto si nasconde nell’animo umano. La Familie Flöz si avvale di mezzi definiti “antelinguistici” poiché le maschere non hanno solo una forma, ma anche un contenuto, che si sviluppa con la maschera e la recitazione, fino all’atto simbiotico con l’attore come risultato finale.

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La compagnia Tieffe Teatro, la più antica struttura con attività continuativa operante in città dopo il Piccolo Teatro, gestisce dal 2010 il “Menotti Filippo Perego”, luogo ormai “storico” nella mappa culturale della città e sul quale sono stati sviluppati nuovi scenari, come la ristrutturazione e la creazione di una nuova sala. Tutto parte dalla Cooperativa Compagnia Stabile del Teatro Filodrammatici, costituita nel 1969 da ex allievi dell’Accademia dei Filodrammatici, per la gestione del teatro omonimo collezionando 38 stagioni sino al 2008. Da subito si specializza per l’innovazione teatrale e la ricerca di nuove drammaturgie.

Molti attori e registi di fama nazionale hanno collaborato negli anni alle produzioni, facendo acquisire al teatro un carattere ed una notorietà di rilievo e ottenendo il riconoscimento pubblico del Ministero dei Beni Culturali dalla metà degli anni ‘70 (attualmente è uno dei 28 centri di produzione teatrale riconosciuti da MIBACT). Diventa uno dei primi convenzionati con il Comune di Milano e con la Regione Lombardia. Dagli anni 2000 con la direzione artistica di Emilio Russo (attualmente in carica) ottiene un carattere di maggiore impatto sulla scena italiana e internazionale, aprendosi anche a nuovi scenari sul territorio milanese e lombardo, come le stagioni di teatro contemporaneo alla “Fabbrica del Vapore” di Milano (Vapori, 2006 08), il teatro estivo all’Accademia di Brera (Cortile della Magnolia), la gestione dello SPAZIO MIL di Sesto San Giovanni (con lo spazio teatrale ricavato nei magazzini dell’ex Breda). Contemporaneamente dal punto di vista produttivo e di ospitalità le stagioni teatrali si arricchiscono di importanti collaborazioni e di progetti ambiziosi e apprezzati in sede nazionale che premiano la struttura con il riconoscimento ministeriale nel 2003 come Teatro Stabile di Innovazione. In seguito all’abbandono del Teatro Filodrammatici, nel 2008 la struttura modifica il proprio nome in TieffeTeatro Milano Impresa Sociale, in continuità artistica e amministrativa. Nel 2010, dopo un accordo con il Comune di Milano, viene acquisita la nuova sede nell’ex “Teatro dell’Elfo” di via Menotti a Milano, che viene rinominato “Teatro Menotti”. A fine 2019 il rischio della sua chiusura è scongiurato dall’intervento del mecenate brianzolo, Conte Filippo Perego di Cremnago, architetto d’interni, il cui nome viene aggiunto all’intestazione.

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Nessun confine di Valerio Andrea Pozzi Il “No’hma libero, senza limiti o preclusioni, perché indipendente. Rappresenta da molti anni, sul territorio milanese, un progetto che, a partire dal nome in greco nóēma cioè pensiero, opera per far riflettere sulla condizione umana con spettacoli provenienti da ogni angolo del mondo. Lo spettatore può così beneficiare gratuitamente di un ampio panorama culturale per incentivare lo sviluppo di un pensiero volto al cambiamento del proprio essere. Da ventisei anni lo “spazio” fondato da Teresa Pomodoro continua ad essere, difatti, uno “specchio del mondo”, soprattutto grazie al Premio Internazionale. L’obiettivo di ogni stagione è proprio raccontare i differenti angoli del Pianeta e le diverse sfaccettature della nostra anima. Il tema della stagione 2021 2022 “Senza confini” la dice lunga su un palinsesto che quasi ininterrottamente da ottobre a luglio il mercoledì e il venerdì e, a volte, anche la domenica di ogni settimana, ha fatto arrivare compagnie e artisti. Esibizione dopo esibizione è diventato uno spazio di relazioni e sollecitazioni culturali, per dimostrare, con i fatti e le parole, come sia un luogo votato al dialogo, all’inclusione sociale e alla narrazione di comunità. Su questa linea di pensiero il concerto “Our Nostos: oltre il confine”, giovedì ventotto ottobre, diretto dal maestro Dino Betti van der Noot con una big band da 22 elementi, ha proposto un percorso sonoro che è andato oltre ogni definizione musicale, rivelandosi sintesi di una molteplicità di linguaggi ed esperienze. Partendo dalla pubblicazione dell’album “The Silence of the Broken Flut”, il quindicesimo firmato da Betti van der Noot, la scaletta nella serata d’apertura ha raccolto una selezione di brani densa e ricca di dettagli. Non solo timbri e colori tipici del jazz, ma anche viola e sitar, flauto contralto e arpa celtica. Un insieme di suoni ed echi dal mondo per inaugurare una (Continua a pagina

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189 M S nuova, lineasempreLiviaavventurasorprendentedirettadaPomodoro,inprimanella promozione degli eventi culturali. Seconda tappa di rilievo è stato l’evento “Un dono alla Città di Milano”, che nella Chiesa milanese di Santa Maria del Suffragio ha visto esibirsi Achinoam Nini, per tutti Noa, stella acclamata della world music. Il suo canto, accompagnato dalla chitarra di Gil Dor e dalle percussioni di Gadi Ser, ha mescolato jazz, rock americano e suggestioni mediorientali, superando tutte le frontiere culturali. Proprio come è accaduto durante l’esibizione di Edoardo Bennato le cui note dal palco milanese hanno raggiunto il Padiglione Italia dell’Expo 2020 Dubai. La voce del cantautore napoletano è da sempre impegnato a promuovere pace, condivisione di culture, commistione di lingue e generi musicali, rispetto delle diversità e fratellanza tra i popoli. Il gran finale per celebrare, il 14 luglio 2022, i successi di un altro anno è stato nuovamente in musica e, per di più, itinerante, essendo partito dai giardini dedicati a Teresa Pomodoro con il Corpo Bandistico di Lizzana e le sue majorette, che hanno accompagnato il pubblico fino al teatro, dove la scena è stata ceduta alla storica band di Peppe Barra, esibitasi davanti a un dipinto di Kengiro Azuma dedicato alla fondatrice. Non è mancata la contaminazione di alcuni brani tradizionali legati ad autori come Leonardo Vinci, Ferdinando Russo, E. A. Mario, pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta, per arrivare a composizioni più recenti, come quelle di Pino Daniele, Bob Marley, Enzo Gragnaniello. Degna chiusura di una stagione ricca di appuntamenti imperdibili, finalmente in presenza, con varie discipline artistiche unite assieme, ulteriore dimostrazione di quell’eclettismo che è, dalla nascita per No’hma, vanto e spinta alla ricerca del diverso. Un diverso fisico e incorporeo da raggiungere convinti che il teatro non sia il luogo dove la vita sembra migliore, ma è certamente il posto dove le vite possono migliorare. 188)

di Valerio Andrea Pozzi Emozioni al “No’hma”. Allo Spazio Teatro tanta la commozione, dalla direttrice Livia Pomodoro, che ha salutato e ringraziato il pubblico non meno emozionato, all’attore Sergio Múñiz, tornato al calcare un palco di una sala con i posti disponibili esauriti. Un teatro (sempre “aperto” in streaming) tornato a essere il luogo libero dove gli spettatori vengono coinvolti da racconti come “L’onda che verrà”, che ha lanciato messaggi e domande come: Chi è il mare? Chi sono io? poste nella rappresentazione teatrale di e con un artista oggi poliedrico. Lo spettacolo è stato realizzato in occasione di “Generazione Oceano” e “Decennio del Mare” (2021-2030), il primo evento nazionale di respiro globale, organizzato dalla Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’UNESCO per la tutela degli Oceani, che si è tenuto proprio nel teatro diretto da Livia Pomodoro, titolare della prima Cattedra Unesco presso l’Università Statale di Milano per il Diritto al Cibo e la Sostenibilità. «Per noi, la priorità ecologica e quella ambientale con le quali l’umanità deve fare i conti sono sempre state urgenze da raccontare anche sul palcoscenico. Ci piace diffondere spiega la Pomodoro con la nostra proposta artistica e culturale iniziative sempre attente a temi urgenti e sociali come quelli ambientali. I linguaggi del teatro arrivano all’anima e da lì condizionano azioni, comportamenti, abitudini». Múñiz (Bilbao, 24 settembre 1975) ha messo in scena il delicato rapporto tra l’Uomo e il Pelago. La scenografia, ci porta nel garage con lui alla ricerca del leash (un laccio utilizzato per non perdere la tavola da surf in caso di caduta) e portarlo con sé il giorno dopo. Tanti gli oggetti che trova, capaci di evocare ricordi, narrati anche con citazioni di poesie e canzoni, con una costante comune: l’oceano, vissuto da surfista e pescatore, alla continua ricerca dell’equilibrio tra queste sue due anime. Sergio racconta sé stesso, dando l’opportunità a ciascuno di potersi riconoscere, con debolezze, manie, fragilità, non tralasciando le nostre forze, affetti e idee da preservare e difendere.

(Continua a pagina 191) Come onde

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E ci ricorda, anche, le caratteristiche del mare: accogliente e spaventoso, affascinante e terribile, generoso e inesorabile, con la sua schiuma e le maree, infinito, come le esperienze, specchio della nostra vita, che tanto e tutto ci dà, chiedendoci solo di rispettarlo e non trattarlo come pattumiera. Una voce narrante, chiude la performance con una forte osservazione: «Perché, in fondo, tutti Noi siamo Oceano».

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Onda che verrà” vuole incoraggiare una riflessione condivisa sul ruolo delle distese d’acqua nella vita umana e stimolare il senso di responsabilità delle persone verso l’Ambiente. «Raccontare l’oceano in uno spazio come il “Teatro No’hma”, che nasce da una stazione in disuso dell’erogazione dell’acqua potabile, rafforza la potenza simbolica dello spettacolo. È stata una grande emozione - conclude Sergio Múñiz esibirsi su questo palcoscenico che, da anni, porta avanti un’idea di teatro libero, aperto e indipendente». La regia della rappresentazione è di Francesco Facciolli. Sergio Múñiz firma la drammaturgia con il regista e i testi delle canzoni. Le sonorizzazioni sono curate da Massimo Cordovani, la scenografia da Lodovico Gennaro, i video di scena da Paolo Fineschi, l’audio e le luci da Tonico Service, co produzione Vincenzo Fazio & Arturo Morano per “Art Show”. (Continua da pagina

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Artistici incanti di Ilaria Minichelli

Il 16 agosto del 1972, un ragazzino di 12 anni Cosimo Alì, vide affiorare dal fondale il braccio di una statua. La notizia si diffuse rapidamente una volta tornato sulla spiaggia di Riace Marina e a tuffarsi nuovamente furono il fratello Antonio e i compagni Giuseppe Sgrò e Domenico Campagna. Sull’arenile c’era anche il sub e fotografo romano Stefano Mariottini, che seguendo la segnalazione a circa 200 metri dalla costa e alla profondità di 8 trovò le due statue. La sua denuncia di ritrovamento, secondo la verità giudiziaria, arrivò alle 21:00 stando alla testimonianza del soprintendente Giuseppe Foti. Il Tribunale di Roma attribuì così al sub il premio (125 milioni di lire). Quest’estate ricorre il 50° anniversario dal recupero dei Bronzi e sono state programmate tante manifestazioni fino a quella del “Metropolitan Museum” di New York nel quale sono esposte due copie in bronzo con arredi e colori che dovevano avere in origine.

Il ministro Dario Franceschini ha dichiarato: «c’è una grande sfida: far diventare i Bronzi di Riace uno dei più grandi attrattori del turismo internazionale del nostro Paese». Le due statue, inizialmente custodite presso il Museo di Reggio Calabria, furono inviate nell’anno 1975 al Centro di Restauro di Firenze. In seguito, vennero esposte per la prima volta al pubblico dal 15 dicembre 1980 al 24 giugno 1981 presso il “Salone del Nicchio” del Museo Archeologico (Continua a pagina 194)

Carmelo Malacrino, in carica da 2015, abbiamo chiesto come sia cambiato il Museo Nazionale con l’esposizione definitiva dei famosi guerrieri di Riace e quali siano i progetti futuri per la valorizzazione del polo museale: «Il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, dal 2016, anno della riapertura dei quattro livelli della collezione permanente, ha vissuto un percorso di crescita, sia in termini di visitatori, sia in termini di attività scientifiche, di ricerca e didattiche, in senso lato, tali da renderlo uno tra principali attrattori culturali di tutta la regione. I Bronzi di Riace, certamente, sono i reperti archeologici più importanti e per i quali la Calabria e la città di Reggio sono conosciute in tutto il mondo, ma le bellezze archeologiche e il patrimonio artistico custodito al MArRC, raccontano la storia millenaria di un territorio nel quale sono state ritrovate altre meravigliose testimonianze.

Penso al Kouros di Reggio, in marmo pario del VI secolo a.C., ai Dioscuri del tempio di Marasà, della seconda metà del V secolo a.C. e provenienti da Locri, la Coppa di Varapodio, un eccellente manufatto in vetro con lamina d’oro di età ellenistica, esemplare magnificente delle tecniche da pagina 193) a pagina 195)

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Nazionale del capoluogo toscano. Dal 29 giugno al 12 luglio 1981 per volere del Presidente Sandro Pertini rimasero in mostra al Quirinale. Arrivarono nel Museo reggino il 15 luglio 1981 e furono svelate il 3 agosto 1981 per l’inaugurazione della Sezione AlSubacquea.direttore

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artigiane dell’epoca. E sto citando solo alcuni esempi che, tuttavia, ritengo siano indicativi, di reperti eccezionali che, accanto ai Bronzi, rendono la visita del MArRC, esperienza gratificante e suggestiva. Certamente la valorizzazione del Museo passa dalla volontà di continuare a lavorare, a fare ricerca, a scoprire e riportare alla luce tutte quelle testimonianze ancora poco note al grande pubblico, che rimangono custodite nei depositi. Questo dal punto di vista archeologico. Dal punto di vista della divulgazione del sapere, continueremo a promuovere la già proficua rete con le istituzioni e le associazioni del territorio, sinergie che sono state costruite in questi anni e che si sono manifestate altamente produttive, sia in termini di relazioni, sia in termini di contributo scientifico». In occasione dei cinquant’anni dalla loro scoperta, ci racconti le iniziative più importanti per celebrarli? «Il Cinquantesimo dei due capolavori indiscussi della bronzistica (V secolo a.C.) ha avuto il merito di far confluire energie preziose in ogni settore: da quello strettamente archeologico e artistico, a quello letterario e scientifico, a quello musicale e, infine, artigianale e gastronomico. È difficile individuare quale iniziativa sia più prestigiosa o blasonata tra quelle che abbiamo messo in campo con tutti gli attori istituzionali e (Continua da pagina 194) (Continua a pagina 196)

196 M S con il Comitato delle Sicuramente,celebrazioni.

l’aspetto più significativo è quello di un processo di comunicazione, inclusione e partecipazione che ha permesso di far parlare della città di Reggio, della Calabria, dell’Italia e naturalmente, del MArRC che ha l’onore di custodirli». Dopo mezzo secolo i Bronzi riservano ancora sorprese (scansione ad alta definizione e copia a colori in 3D) quali sono le ultime? E che cosa dobbiamo ancora aspettarci? «Le indagini scientifiche sui Bronzi non si sono mai fermate. La tecnologia ci aiuta e contribuisce a risolvere alcuni dubbi e interrogativi sulla loro origine, la loro costruzione e la loro storia. Le ricostruzioni sono certamente suggestive e rendono all’immaginario umano quanta bellezza dovessero rappresentare nel mondo antico. L’archeologia, gli scavi e le ricerche riservano sempre grandi sorprese agli studiosi, poi c’è l’emozione straordinaria, il fascino e il mistero che, da sempre, queste statue suscitano tra i visitatori». Tra le proposte per le celebrazioni, rientrano “Le notti d’estate”, dalla terrazza panoramica del MArRC, dove le direttrici: Cecilie Hollberg della Galleria dell’Accademia di Firenze e (Continua da pagina 195) (Continua a pagina 197)

Serena Bertolucci del Palazzo Ducale di Genova hanno condiviso e raccontato la propria esperienza sui grandi lavori svolti o in fase di completamento, per ammodernare le strutture museali e curare anche la loro promozione culturale. Ciò ha permesso di avvicinare sempre più pubblico, compresi gli adolescenti, e allungare il loro tempo di permanenza nelle sale. Pensando a come bisogna agire e, non solo nel mondo dell’arte, torna utile il termine “mirare” di Leon Battista Alberti, il cui significato era “guardare con attenzione” e tendere verso il meglio. da pagina 196)

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198 M S Mysterious stars for fifty years

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La sede istituzionale dell’archeologia reggina, dal 22 luglio fino al 6 novembre 2022 per celebrare i Bronzi di Riace, si è aperta a relazioni con altre scienze e saperi, coinvolgendo realtà pubbliche e private, capaci di trovare un unico obiettivo, pur partendo da prospettive diverse: arte, fisica, filosofia, poesia, astronomia, restauro, musica, fotografia, comicità.

Al noto studioso del mondo antico abbiamo chiesto chi siano i bronzi di Riace? «Sono statue della metà del V secolo a.C., realizzate a poca distanza temporale l’una dall’altra, nella stessa bottega, ma da maestranze diverse. Si è capito che B (Eteocle) corregge gli errori di A (Polinice), ed è la statua più perfetta nella tecnica di fusione del bronzo tra quelle arrivate sino a noi. Secondo l’unica ricostruzione che tiene conto di tutti i dati, dovrebbero essere parte del gruppo dei fratricidi di Pitagora di Reggio, che noi conosciamo a Roma dal I secolo d.C. fino alla fine del III, inizio del IV e questo (Continua a pagina 201)

200 M S Nei fraticidi non ci sono vincitori di Emilia Ariano, Ilaria Minichelli Nei cinquant’anni di vita del tempo contemporaneo e a duemilacinquecento circa dalla loro “nascita” sono tante le paternità attribuite ai Bronzi di Riace, tra arte più note al mondo ma, al contempo, essi conservano ancora molti anniversario del loro ritrovamento, il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria con il patrocinio del Ministero della cultura, sta organizzando nella città che li ospita e non solo, tantissime iniziative. Fra queste il 29 luglio “I Bronzi di Riace tra i Tesori del Mediterraneo: cultura, arte, curiosità” ospitata sulla terrazza del complesso museale in sinergia con l’Accademia di Belle Arti, la Città metropolitana reggina e l’associazione “Nuovi Orizzonti” che hanno organizzato l’evento inserito nella kermesse “Tesori del Mediterraneo”. Nel corso della serata, tanti i panel, come l’approfondimento riguardante le tecniche di realizzazione dei bronzi a cura di docenti dell uno era sulle diverse teorie legate ai colori dei bronzi. Il relatore, Daniele Castrizio, professore ordinario di Iconografia e storia della moneta antica e medievale, di Numismatica presso l’Università degli Studi di Messina ha esposto la propria teoria.

201 gruppo rappresenterebbe con cinque statue il momento di più alta tensione nella storia del duello tra i figli di Edipo: Eteocle e Polinice. È l’attimo in cui la madre Euryganeia, di fronte ai figli che stanno per affrontarsi in singolar tenzone, si frappone e, seguendo il testo di Stesicoro, rimastoci con le parole pronunciate dalla genitrice (papiro di Lille) propone che, siccome l’indovino Tiresia ha previsto la morte di entrambi i fratelli in caso di scontro diretto, sia necessario abbandonare le contese e fare un sorteggio. Chi vince si sarebbe preso il trono di Tebe, il perdente avrebbe avuto il bestiame, tutti gli averi mobili e se ne sarebbe andato per sempre. I due erano d’accordo, ma poi nel papiro di Lille si vede che Tiresia interviene e dice che non è possibile dare il trono a Polinice, il quale ha portato l’esercito argivo in armi contro una città facendo tanti morti. Quindi, sarebbe impossibile averlo come tiranno, come re. Gli consiglia di tornarsene ad Argo, nel Peloponneso greco, dove, avendo sposato la figlia del re, sarebbe diventato il signore della città. Le ultime parole che si leggono nel papiro di Lille riguardano Polinice il quale si arrabbiò ed è proprio come lo vediamo rappresentato nel bronzo B, l’unica statua del mondo classico che mostra i denti, addirittura inarcando le labbra per sollevarle, assumendo un atteggiamento Ilostile.bronzo B nella ricostruzione, l’unica possibile seguendo i dati a disposizione, seguendo ciò che è rimasto nel bronzo, sarebbe Eteocle che porterebbe sul capo la korinthie kunē, un’accoppiata tra l’elmo corinzio e una cuffia con paranuca a ricciolo e paraorecchi, che va verso dietro, il segno distintivo del (Continua da pagina 200) (Continua a pagina 202) M S

202 M S re, del tiranno e del comandante militare. Publio Papinio Stazio, I secolo d.C. nella 396 402), preciso, Polinice fratrem” ostile il fratello, perché gli vede sulla testa l cimiero del re che esiste nel mondo antico è questo, la korinthie kunē, i bronzi e li sta descrivendo. Da questa storia, dal papirodi Lille e dal gruppo dei fratricidi di Pitagora di Reggio, così espressamente chiamato dall’apologeta cristiano Tarziano, che li vede a Roma, forse esposti nell’area del Teatro di Pompeo nel II d.C. e ne parla nella lettera ai Greci (considerati pagani). Secondo la nostra ipotesi, il gruppo statuario dipende letterariamente dalla Tebaide di Stesicoro di Metauro, che racconta la scena alla quale è ispirata l’iconografia. Esso è stato replicato in varie maniere su sarcofagi, addirittura forme del pane sacro, urne cinerarie e a Roma soltanto, da nessun’altra parte si trovano. Si è capito che i bronzi realizzati ad Argo, perché la terra di fusione è argiva, poi sono stati portati, probabilmente, nel I secolo secolo d.C. a Roma da Augusto per celebrare la fine delle guerre civili, poiché il gruppo è proprio un inno alla fine delle guerre tra fratelli. Il messaggio dei bronzi è: se due fratelli si battono, moriranno entrambi, non ci possono essere vincitori. Siamo riusciti a ricostruire la storia di questo gruppo nato ad Argo con cinque statue Eteocle e Polinice, la madre al centro, Tiresia e Antigone. Poi il loro trasferimento a Roma non sappiamo se tutti e cinque, ma almeno tre: Eteocle, Polinice e la madre. Dopodiché scompare dalla letteratura, dalle copie fatte in varie forme, sarcofagi e urne cinerarie all’inizio del IV secolo d.C. Perché scompare? Probabilmente perché Costantino, (Continua da pagina

203 M S che nel 311 ha inaugurato Costantinopoli, li sta portando lì oppure ci prova. Questo ci è testimoniato dalla ceramica che è stata trovata concrezionata sui bronzi, tutta ceramica del IV secolo d.C.. Un’ulteriore dimostrazione viene dal secondo libro dell’Antologia Palatina nel quale sono elencate tutte le statue che Costantino e i suoi figli avevano fatto partire dalla collezione imperiale di Roma verso Costantinopoli. Questa, in estrema sintesi, la storia che tiene conto di tutti i dati archeometrici, letterari e iconografici portandoci a questa conclusione, che bisognerà ancora approfondire». Qualcuno parla dell’esistenza di una terza statua nel mare di Riace, è davvero così? «C’è questa voce insistente, io non faccio il giornalista d’inchiesta o il magistrato, ognuno fa il suo mestiere. C’è una voce che sia andato al “Paul Getty Museum” o da qualche altra parte, ma non c’è nessuna prova provata. Io sono più convinto che siano stati venduti, perché le voci sono tante, e ci sono riferimenti di persone credibili, almeno uno dei due elmi, i due scudi e la lancia. Credo che siano stati ritrovati, perché spiegherebbe per quale motivo abbiano rinvenuto dopo tanti secoli questi bronzi. È un mio pensiero: immagino dei pescatori con reti impigliate, che abbiano “pescato” le statue e siano riusciti a portare via ciò che potevano, le prime cose trasportabili, perché i bronzi pesavano 400 chili. Quello che è successo, comunque, lo sanno solo i protagonisti». In base agli studi sul modo e sui materiali con cui sono stati realizzate le statue e dopo i restauri quali altre informazioni possiamo trarre? «Nella storia dei bronzi abbiamo sicurezze, avendo io letto le tre analisi prima quella di Massimo Vitale e la (Continua da pagina 202) (Continua a pagina 204)

204 M S sua equipe, poi da una altra equipe internazionale a Glasgow nel 2013 sulla terra di fusione di Argo (quella che trovavano, l’argilla comune non doveva essere speciale). Queste statue hanno argilla dello stesso posto, le stesse dimensioni, le stesse proporzioni, lo stesso ritmo e sono quasi sovrapponibili nell’App, sponsorizzata dall’Università di Messina, che abbiamo creato per potere permettere ai visitatori di poterli vedere con le armi e la colorazione originaria. L’App non riesce a distinguere il bronzo A dal bronzo B, sono troppo uguali. Sono due statue di una complessità e, soprattutto la A, di una capacità tecnica sia dal punto di vista della fusione del bronzo sia dai tanti particolari fusi a parte, che ci testimoniano una qualità eccelsa, forse sono le statue più capolavori, da un punto di vista tecnico del mondo antico. Mentre A era modellato tutto a mano, pensiamo al lavoro realizzare i riccioli dei capelli singolarmente, in B, per simulare le costole, i maestri inserirono nel modello dei salsicciotti d’argilla. I Bronzi in origine erano esposti ad Argo, furono portati nella Capitale, come ho detto prima, ma erano già passati più di quattrocento anni. Qui furono esposti almeno fino al IV d.C. In questo periodo, B ricevette un braccio destro e un avambraccio sinistro nuovi realizzati su calco dei vecchi e con una fusione e una saldatura eseguita in maniera magistrale. Anche la lancia che si era rotta nella mano del bronzo B con del piombo fuso a mo colla viene riattaccata nella parte superiore del pugno e l’altra metà nella parte inferiore. Un (Continua da pagina 203) (Continua a pagina 205)

Nei musei capitolini abbiamo due statue con le stesse caratteristiche che sono state dimostrate proprio dal sovrintendente di Roma, il professore Claudio Parisi Presicce.

Per lui il cosiddetto “cavallo di Hegias” (cavallo dei Dioscuri, fatto dal maestro di Fidia), ha la zampa posteriore sinistra rotta; di fronte, ci sarebbe quello che sostiene essere altra famosa opera di Pitagora di Reggio, “Europa sul la cui pancia era stata danneggiata, ed era considerata dall’antichità arte più bella del mondo antico. Hanno avuto entrambe lo stesso trattamento nelle parti rovinate: fatto prima il calco, a seguire la fusione e poi la saldata, restauro riservato solo ad opere di altissimo pregio. I bronzi, per uniformarli, essendo in materiali diversi dagli originali, furono colorati di nero, con una pittura allo zolfo le cui tracce sono state notate sulle natiche da Koichi Hada, professore dell’Università Cristiana di Tokio, e confermate dalle prove trovate da Giovanni Buccolieri, docente di Fisica applicata ai Beni Culturali dell’Università del Salento. Il professore Koichi Hada ebbe l’intuizione che le statue fossero state ridipinte con una pittura nera lucida, di cui rimangono alcune tracce molto evidenti, ma che non erano mai state valorizzate. Quindi, per coprire tutte queste differenze di colore, fu utilizzata la vernice nera lucida che li ha fatti diventare color “bronzo di Corinto”. Non sappiamo bene cosa sia, ma conosciamo dalle fonti che è un nero lucido; pertanto, si tratta di (Continua da pagina 204) (Continua a pagina 206)

restauro complesso che solo a Roma, a quello che sappiamo, erano in grado di fare; ad A furono sostituiti, invece, elmo e scudo.

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una storia anche questa molto affascinate, unita al significato morale che le statue avevano. Esso, probabilmente, fu colto da Augusto, dalla sua cerchia tanto che i bronzi furono messi in grande evidenza, si pensa al teatro di Pompeo, per monito contro le guerre civili, guerre tra fratelli».

Si ha l’idea dei bronzi di color verde o dorati, ma, nell’antichità, dovevano assomigliare alle persone. Hanno usato il rame, in verità è bronzo con una grande percentuale di rame per ottenere il rosso dei capezzoli e delle labbra; poi sono stati utilizzati l’argento per i denti, la calcite, che è un quarzo per i bulbi oculari semitrasparenti, le iridi erano colorate in pasta di vetro e, la cosa più sorprendente, hanno la caruncola lacrimale, una pietrolina rosa che si trova nella parte più interna dell’occhio, vicino al naso. La prima fu scoperta dal restauratore reggino Nuccio Schepis, l’altra l’abbiamo trovata io e Saverio Autellitano, il grafico che cura le ricostruzioni in 3D per il sito e le App. Questo ci ha portato al capitolo del colore. Il professor Vinzenz Brinkmann della Liebieghaus ha colorato una copia dei bronzi, o meglio, è stata sua moglie con colori mediterranei, ad esempio i capelli neri. Noi, invece, siamo convinti sugli studi di Eriberto Formigli, di Koichi Hada, i provini e campionature del bronzista reggino, Domenico Colella, e pensiamo di aver dimostrato che la percentuale“assurda” di stagno nella lega dei bronzi, il 12%, sia esagerata, perché di solito va al 3%. Lo stagno costa caro e più se ne aggiunge più il bronzo è debole. Per quale motivo l’hanno fatto? L’unico motivo è ottenere quel colore e le nostre prove hanno dimostrato che il 12% di stagno porta il bronzo ad avere una colorazione biondo acceso. Questo verosimilmente è servito per poter fare

Si parla di Bronzi, ma furono realizzati anche con altri materiali… «I materiali servivano per il colore, per farli apparire umani, quindi, colorati. Dovevano avere un colore comprensibile ed essere riconosciuti.

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207 M S i capelli e la barba. Per il corpo e la pelle ci aiutano gli studi del professor Giovanni Buccolieri, il quale ci dice che nelle patine ce n’è una superficiale di zolfo in tutti i bronzi. Da questo risultato abbiamo capito che fu utilizzato il “fegato di zolfo” ancora oggi impiegato per poter scurire il bronzo e dargli la tonalità e la gradazione di scuro scelte. Può esserci poco “fegato di zolfo” per una pelle femminile, se ne può mettere molto per rappresentare un uomo di colore. Ci sono tutte le gradazioni possibili. Grazie ai provini di Colella e alle campionature di Autellitano si è capito che questa cosa funzionava. Ecco perché abbiamo dei bronzi a colori. Ogni ricciolo dei bronzi, A ne ha una ventina per barba e capelli, è stato fuso a parte e saldato uno per uno con percentuali di stagno diverse. Nei provini si è notato che, c’è meno stagno, in questa lega, e quindi, il colore è più rossastro con differenti riflessi. Bisogna immaginare il bronzo A con la barba bionda e dei riccioli più o meno rossastri. Chi volesse vederli così, può andare sul sito https://magnagrecia3d.com/, che raccoglie le interpretazioni portate avanti da me con Autellitano». In occasione dei festeggiamenti per i cinquant’anni, ci sono nuove rivelazioni in arrivo dalla comunità accademica? «Sì! Sono in uscita sul prossimo numero monografico speciale di agosto dedicato ai Bronzi da “Archeo”. Le tesi sono di Christos Piteros, un archeologo che già nel 1991, ad Argo, aveva trovato una statua di bronzo, con fattura eccelsa, delle stesse dimensioni dei nostri eroi. Massimo Vitale si era recato ad Argo per prendere le campionature e fare i confronti con la terra di fusione dei bronzi, dimostrando, che era la stessa. Piteros è convinto che si tratti di una delle cinque statue, per quello che è rimasto, perché purtroppo, non è integra e pensa sia Tiresia. Quindi, delle cinque statue, in questo momento ne avremmo tre». Da questi chiarimenti del professore Castrizio, supportati dalla continua ricerca storica, letteraria, scientifica, iconografica, mitologica e dalle tecniche di restauro, possiamo dire che i bronzi, parafrasando Guido Gozzano, rimangono un mistero senza fine bello! (Continua da pagina 206)

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