UN SEGNALE
NUMERO 53
Giugno 2024
NUS BÂSTIN LI’ MÂNS Le
i bambini (foto Maria Bonutti)
Giornale del Gruppo Alpini di San Giorgio di Nogaro
Distribuito gratuitamente ai soci
AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE DI UDINE NUMERO 2/18 del 30-01-2018
DIRETTORE RESPONSABILE
Davide De Piante
REDAZIONE
Davide De Piante, Miriana De Piante, Valentino Loi, Michele Martin, Giovanni Sguassero, Anastasia Stella, Mentore Valandro
HANNO COLLABORATO
Luisella Bonetto, Miriana De Piante, Davide De Prato, Maria Fanin, Nicola Lazzarini, Giovanni Maran, Franco Moni, Marina Tell, Marco Zanon
GRAFICA
Gruppo A.N.A. San Giorgio di Nogaro
STAMPA
Rosso cooperativa sociale Gemona del Friuli (UD) Numero copie stampate 400 Copyright © 2024
CAPOGRUPPO
Davide De Piante
VICE CAPOGRUPPO
Valentino Loi
CONSIGLIERI
Giancarlo Bidoggia, Piergiorgio Bramuzzo, Francesco Cargnelutti, Augusto Cazzola, Samuele Del Bianco, Lino Marchi, Michele Martin, Franco Moni, Giovanni Pittis, Lucio Taverna, Luciano Tavian
CONSIGLIERI
Francesco Mastroianni, Mentore Valandro
Via Carnia, 9 33058 San Giorgio di Nogaro - Ud
sangiorgiodinogaro.palmanova@ana.it anasangiorgiodinogaro@pec.it
www.anasangiorgiodinogaro.it facebook, instagram, tiktok, youtube, pinterest
Il saluto del Capogruppo
Un segnale, un gesto, un valore
Ho scelto queste tre parole perché sono la sintesi delle attività del nostro Gruppo del secondo trimestre.
Il segnale è quanto ho osservato nell’ultimo periodo e mi fa pensare che, forse, il prossimo futuro potrebbe riservarci delle sorprese che speriamo sempre siano positive. Mi riferisco al Tricolore che, specie il 2 giugno, assurge a massimo valore di identità nazionale.
Ed è appunto la nostra Bandiera la protagonista.
Il 2 giugno, qualche Tricolore in più si è visto e ad esporlo sono stati anche i giovani (tra i quali Nicola, il mio vicino di casa). Un bel messaggio arriva poi dai ragazzi di 3a media che, dopo aver avuto in dono il tricolore dal nostro Gruppo (leggete l’articolo dedicato), hanno indossato il drappo. Ora, la speranza è che queste non siano le classiche meteore ma un primo segnale di cambiamento.
A prescindere, noi continueremo a far sventolare il Tricolore sia nella Baita del Gruppo che a casa mia!
Un gesto e un valore è invece quanto il nostro Davide De Prato ha realizzato nelle due scuole dell’infanzia. “Le figure del soccorso” è il progetto – dedicato ai bambini dai 3 ai 5 anni - che da oltre 12 anni Davide sta portando avanti per educare i piccoli alla conoscenza ed al rispetto delle Forze dell’Ordine. È un piccolo gesto ma di un grande valore per il futuro degli “enfants”.
Camminate bambini, staremo al vostro fianco per aiutarvi nel percorso di crescita!
Davide De Piante
Un saturimetro per la vita e non solo
È stata una giornata ricca di emozioni quella del 15 giugno presso il campo sportivo Collavin di San Giorgio di Nogaro dove si è disputata l’ottava edizione del torneo di calcio “insiemepervincerelafibrosi cistica”
Non contro, non per sconfiggere ma... per vincere, già, perché esserne contro quando ci nasci con questa patologia, non puoi, fa parte di te, per cui l’unica cosa che puoi fare è essere positiva e per cui aver voglia di vincere!!
l’acquisto di un macchinario, un saturimetro, da donare al centro regionale di Fibrosi cistica dell’ospedale “Burlo Garofolo di Trieste.
Ma partiamo dal principio “dando un po’ i numeri” spiegando cos’è la fibrosi cistica.
È la malattia genetica grave più diffusa.
È una patologia multiorgano, che colpisce soprattutto l’apparato respiratorio e quello digerente. È dovuta ad un gene alterato, cioè mutato, chiamato gene CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Regula-
La voglia di vincere che ha spinto la squadra “Fossalon” a portarsi la casa la coppa del primo posto al torneo! 8 squadre partecipanti, per disputare le partite di calcio a 7, circa 120 giocatori con annesse famiglie e figli, quest’ultimi hanno potuto divertirsi tutto il giorno grazie all’aiuto degli animatori “Teatro 73, gli incastorie” di Udine che magicamente tra caccia al tesoro, costruzioni di occhiali da sole e gavettoni hanno fatto trascorrere una giornata allegrissima a tutti i bambini presenti.
Una giornata ricca di colori e di sorrisi, tutti uniti per un unico obiettivo! Una giornata quindi, da ricordare come rimarrà nella mia memoria il 23 dicembre, giornata in cui gli Alpini di San Giorgio di Nogaro decisero di chiamarci per donarci un assegno per
tor), che determina la produzione di muco eccessivamente denso.
Questo muco chiude i bronchi e porta a infezioni respiratorie ripetute, ostruisce il pancreas e impedisce che gli enzimi pancreatici raggiungano l’intestino, di conseguenza i cibi non possono essere digeriti e assimilati.
La malattia non danneggia in alcun modo le capacità intellettive, non è contagiosa e non si manifesta sull’aspetto fisico, né alla nascita, né in seguito nel corso della vita, per questo viene definita la “malattia invisibile”. Una persona su 30 è portatrice sana di fibrosi cistica, ovvero non presenta sintomi ma può trasmettere le mutazioni della malattia ai figli.
Il consiglio dello sponsor
Gli imballaggi in acciaio vengono prima separati attraverso sistemi magnetici, seguono le operazioni di pulitura, frantumazione e destagnazione (per separare l’acciaio dallo stagno). Viene quindi inviato alle acciaierie, viene rifuso per produrre nuovo acciaio. Tornano a nuova vita sotto forma di semilavorati dai quali possiamo ottenere: parti in acciaio di veicoli, elettrodomestici, rotaie, tondino per l’edilizia, travi per ponti ed altro ancora.
La malattia si manifesta quando un bambino eredita due copie alterate, cioè mutate, del gene CFTR, una da ciascun genitore, così come trasmettono altre caratteristiche, come il colore degli occhi e dei capelli.
Quando due portatori sani, cioè portatori entrambi di una mutazione, si innamorano e hanno un figlio, esiste 1 probabilità su 4 che il bambino nasca con la fibrosi cistica.
Si stima che ogni 2.500-3.000 bambini nati in Italia 1 sia affetto da fibrosi cistica (circa 200 nuovi casi all’anno).
La malattia colpisce indifferentemente maschi e femmine. Oggi quasi 6.000 bambini, adolescenti e adulti affetti da tale patologia vengono curati nei Centri Specializzati in Italia.
Quando nacque mia figlia ovviamente la confusione era molta ma... ho sempre pensato che un problema condiviso pesi la metà e con questo spirito mi sono avvicinata alla Lega Italiana Fibrosi Cistica, Associazione Friuli Venezia Giulia Odv, che da anni è impegnata a migliorare la qualità di vita dei malati di Fibrosi Cistica, sostenendo le necessità del Centro Regionale Fibrosi Cistica presso l’Ospedale IRCCS “Burlo Garofolo” di Trieste finanziando borse di studio (per medici, fisioterapisti, psicologi e altri operatori), attraverso l’acquisto di strumentazioni mediche, investendo nella ricerca di base e in
master di specializzazione sulle problematiche della fibrosi cistica.
Quest’anno l’ospedale ci ha chiesto aiuto per l’acquisto di un “emogasanalizzatore” - macchinario utile al centro per effettuare l’emogasanalisi, ovvero un esame diagnostico che consente la misurazione di alcuni importanti parametri sanguigni, tra cui i livelli circolanti di ossigeno e anidride carbonica e il ph ematico - e perciò il ricavato del torneo verrà utilizzato per questo.
Ringraziamo ancora di cuore il Gruppo Alpini di San Giorgio di Nogaro per averci dato la possibilità di raccontarci, di farci conoscere e farvi entrare un po’ nel nostro mondo, perché siamo convinti che dalle grandi collaborazioni possano nascere solo grandi cose!!!
Con affetto.
(*) Marina Tell Vicepresidente LIFC FVG - Mamma di Gaia
Diamo un “calcio”
La nostra partecipazione al Trofeo Sezionale
la Redazione
“Dopodiversiannidipausa,sièappenasvoltaunanuovaedizionedeltorneodeglialpini.Èstatounvero piacere per me partecipare e insieme ai miei compagni e colleghi provare a guadagnarci un posto sul podio, sfiorato per poco, rispettando pur sempre il vero spirito di un’esperienza “made in alpini”: una buona pastasciutta e un bel bicchiere tutti insieme a fine partita!”
Questo è il commento di Simone al termine del Trofeo Sezionale di calcio a 7 disputato a Santa Maria che ha visto la nostra compagine arrivare quarta. Nella nostra rosa non c’erano giocatori nazionali ma dei Gruppi di Carlino e Morsano di Strada... perché è giusto stare assieme e sappiamo per certo che si sono divertiti.
Il consiglio dello sponsor
Il cibo è storia, e quella della Gubana ha radici antichissime. Forse risale al 1400, come eredità di un mix di etnie slave, nordiche e locali: si è chiamata per secoli “Gubana” (“Hubanza”) dal nome della credenza in legno dove un tempo veniva custodita al riparo dalla golosità dei bambini.
Festa della Famiglia... tutti in asilo
Un cammino... celeste
La Redazione
Non vogliamo essere annoverati per “chei da pastisute” ma quando ci viene chiesto un aiuto, non possiamo dire di no.
Questo è accaduto il 9 giugno quando, su richiesta dell’Asilo delle Suore, abbiamo allestito e gestito la cucina per la preparazione e distribuzione dei 36 kg di pasta per la Festa della Famiglia.
I commenti positivi non sono mancati e questo è l’aspetto che più ci appaga; non patacche e distintivi ma atti concreti per le realtà che ne hanno bisogno.
La Redazione
Uno dei motti del nostro Gruppo è “Un aiuto per un sorriso” ed è proprio quanto abbiamo intravvisto negli organizzatori del Cammino Celeste dopo aver visto all’opera i nostri tre prodi soci (Piergiorgio, Giancarlo e Lino).
Come da tradizione, la collaborazione prevedere la pulizia del tratto di 1,2 km dell’argine della laguna di Grado nel prologo che da Barbana giunge ad Aquileia (dove parte la 1a tappa).
Le due barre falcianti e le sapienti mani degli addetti hanno fatto la differenza e ora i pellegrini possono camminare con tranquillità.
Adunata è anche...
Senso di appartenenza e unione
Mi piace pensare che l’Adunata migliore debba ancora venire. Ogni anno vado all’adunata senza attese pronto per vivere il momento, “carpe diem” direbbero i latini. A Vicenza ho fatto un ulteriore step… ho osservato le cose in maniera oggettiva, ovvero vedere le cose “come realmente sono”, senza lasciare che le mie emozioni o aspettative ne distorcano la percezione. In sostanza, l’Adunata vista dall’esterno o, se preferite, da una visuale diversa.
Fin dal giovedì, la “Cittadella degli Alpini” e la “Cittadella della Protezione Civile” sono allestite. Mezzi, tende, materiali e attrezzature sono pronte per essere mostrate. Gli addetti ai lavori sono come formiche che lavorano alacremente. Che abbiano la tuta gialla con gli inserti blu per la PC o la mimetica per i militari, la sostanza non cambia. L’orgoglio di appartenere ad un corpo, ad un’organizzazione è contagioso e traspare nelle spiegazioni, nell’energia che trasmettono e nell’attività che fanno; non si lascia nulla al caso. Riescono a calamitare l’attenzione dei passanti; cittadini e alpini
sono riconoscenti tanto è il flusso di persone che chiede e si informa.
Ci sono anche i giovani allievi dei Campi Scuola dell’ANA che tanto investe sulle nuove generazioni. Partecipano alle attività con i volontari della PC e parlano tra loro delle esperienze scolastiche e lavorative… la compagnia è contagiosa e, spesso, non serve il telefono. Ricordano le avventure passate nei Campi Scuola e sorrido… sembriamo noi alpini che ripensiamo alla nostra naja. Sarà forse questo che ci lega indissolubilmente a questi ragazzi che hanno innato il nostro stesso spirito! Domenica pomeriggio, siamo pronti per la sfilata della nostra Sezione; in ammassamento siamo tutti sparsi alla ricerca di un po’ di ombra. Quando partiamo, tutte le file si serrano e si vede un unico colore, quello amaranto delle maglie sezionali. Per l’Adunata, siamo TUTTI SEZIONE DI PALMANOVA e questo trasmette un’unione e un pathos che non ha eguali.
E l’Adunata di Biella, come sarà?
Tutta da scoprire senza se e senza ma!
Adunata è anche...
La mattina di sabato 11 maggio, all’alba dell’adunata, Emanuele ed io ci siamo diretti verso Folgaria. Al confine col Trentino, più precisamente al Passo Coe, si trova la Base Tuono, l’ex base missilistica dell’Aeronautica Militare Italiana e della NATO che divenne operativa nel 1966, all’apice del confronto politicoideologico tra USA e URSS e della corsa agli armamenti nucleari, la cosiddetta “guerra fredda”. Gestita dall’Aeronautica Militare ed inserita nel sistema di Comando e Controllo della Difesa Aerea Integrata della NATO, era una delle dodici basi, dotate di missili Nike-Hercules, schierate nell’Italia nord-orientale per fronteggiare eventuali attacchi aerei. La Base fu chiusa nel 1977. Trentaquattro anni dopo, nel 2011, le infrastrutture sono state smantellate al fine di consentire la realizzazione di un grande bacino per l’innevamento programmato, venne mantenuta solo una delle tre sezioni di lancio (la “Alpha”) della vecchia struttura che era composta da:
• “area lancio” presso malga Zonta - passo Coe (1543 m) costituita da tre sezioni di lancio missili Nike-Hercules a testata convenzionale,
• “area controllo” (radar e carri comando) situata sulla sommità del vicino monte Toraro (1897 m), a circa 4 chilometri in linea d’aria (denominata appunto “Tuono” nelle comunicazioni radio in codice),
• “area logistica” a Tonezza del Cimone, a circa 17 chilometri di distanza.
Una volta entrati nella base, proprio davanti, si trovano i tre missili Nike-Hercules (inertizzati), terra-aria teleguidati capace di intercettare aerei ad alte prestazioni, sia singoli che in formazione. Era composto da un motore di accelerazione a razzo (booster) e dal corpo del missile vero e proprio.
L’Hercules seguiva la traiettoria definita dagli ordini di guida trasmessi dal radar di inseguimento del missile che erano elaborati da un computer in base ai dati ricevuti dal radar di inseguimento del bersaglio.
di Miriana De Piante
Situati nella zona più alta della struttura, con al di sotto i carri elettronici provvisti di postazione di controllo e di lancio dove c’era un bunker in cemento armato costituito da un corridoio d’ingresso, un vano centrale e un corridoio posteriore. Le porte esterne ed interne erano blindate. Nei due corridoi erano collocate quattro brande reclinabili per consentire il riposo dei componenti della Squadra per il mantenimento dello stato di prontezza d’allarme per lungo tempo. Nel vano centrale era posizionato il pannello di sezione, tramite il quale e sotto la supervisione del carro di controllo lancio, si eseguivano le azioni necessarie per la sequenza di fuoco. Nel caso di interruzione dei collegamenti, dal pannello di sezione era possibile effettuare il lancio del missile tramite l’esecuzione di procedure d’emergenza in collegamento radio. Al termine della preparazione dei missili sui lanciatori, tutti i componenti della Squadra operativa entravano nel bunker per continuare le operazioni, nonché per proteggersi dalla vampa di accensione del booster e da eventuali suoi malfunzionamenti.
Nel complesso una visita che, seppur piccola da vedere, ha tanto da raccontare.
A Bibione per il Raduno Triveneto
Tutti al mare!
Un raduno alpino al mare non è poi una novità.
Nel 2019, in occasione del 70° Anniversario della Brigata Alpina Julia, il Raduno Triveneto si svolse a Lignano Sabbiadoro.
Andiamo al 2022 ed è la volta di Rimini ad ospitare l’Adunata Nazionale.
Il 15 e 16 giugno siamo andati “di là da l’aghe” e ad accogliere le penne nere del 3° Raggruppamento (FVG, Veneto e Trentino AA) è stata Bibione che fa parte del Gruppo ANA di San Michele che è sotto la Sezione di Venezia. Le attività collaterali organizzate nella località balneare fin dal venerdì sono state improntate alla cultura grazie all’interessamento del Centro Studi di Raggruppamento e all’aggiunta di uno stand per i Campi Scuola. Sabato sera è stato piacevolissimo assistere alle esibizioni della nostra
La Redazione
Fanfara Sezionale che con grande capacità e competenza ha spaziato da musiche alpine a quelle più moderne.
La domenica assistiamo ad una sfilata molto partecipata sia di alpini che di villeggianti che, forse incuriositi dal nostro copricapo, non hanno abbandonato le prime file.
I soci del nostro Gruppo hanno sfilato sia con i giovani dei Campi Scuola ANA che con quello di San Pietro al Natisone e anche come Sezione di Palmanova con la ormai la classica maglia amaranto che ha riscosso tanto successo.
In sostanza, si è trattato di un bel raduno che, secondo noi, dovrebbe essere maggiormente valutato. Magari a Conegliano il prossimo anno...
I rappresentanti del Gruppo a Bibione con la maglietta sezionale e con quella del Campo Scuola “Anch’io sono la PC”
Vittime di una guerra finita
Gli innocenti
Come tristemente ci insegna la storia quasi mai la conclusione di una guerra segna anche la fine della lunga scia di distruzione e morte che di solito si accompagna ad un conflitto.
Se da un lato la firma di un trattato di pace pone fine alle ostilità tra gli eserciti, nella realtà dei fatti la guerra continua a produrre i suoi effetti devastanti: oltre a mietere vittime tra i soldati per i postumi delle ferite e delle malattie contratte in trincea, di fatto continua a colpire anche la popolazione civile a causa di armi cariche e proiettili inesplosi disseminati nelle città e nelle campagne dei paesi belligeranti.
Basta ricordare in tal senso la bomba che esplose il 2 maggio 1945 presso la farmacia Toldi che provocò la morte di 23 concittadini (oltre ai tre soldati impegnati nelle operazioni) mentre assistevano al disinnesco dell’ordigno sganciato sul paese da un aereo alleato.
Meno nota è la vicenda che il 29 febbraio 1920 segnò tragicamente il destino di quattro ragazzini tutti residenti a San Giorgio di Nogaro.
Questi i fatti. Alla conclusione del primo conflitto mondiale poco fuori dal paese, lungo la strada che conduceva a Latisana (oggi SS 14), era stato creato uno spazio adibito a deposito di munizioni nel quale, nei mesi successivi alla conclusione del conflitto, erano stati ammassati dei proiettili (per buona parte inesplosi) recuperati nei campi attorno al paese.
In quella tragica giornata di fine febbraio, i quattro ragazzini (tre fratelli rispettivamente di 11, 9 e 7 anni e un loro amico di 8 anni), eludendo la sorveglianza delle guardie, penetrarono nel deposito superando il filo spinato che delimitava il luogo in cui erano raccolti gli ordigni; il destino volle che uno dei bambini, maneggiando una bomba raccolta sul terreno azionasse inavvertitamente il detonatore che, battendo sul percussore, innescò l’esplosione che investì mortalmente gli sfortunati bambini.
Le autorità militari avviarono subito un’indagine per cercare di riscostruire i fatti mettendo subito agli arresti il soldato impegnato
di Marco Zanon
nel servizio di guardia al momento dell’esplosione, anche se è di tutta evidenza che la responsabilità andava ricercata nella negligenza di aver deciso di costruire un deposito di armi inesplose nei pressi di una paese (e non in un luogo isolato) tra l’altro privo di un idoneo sistema di antintrusione (la recinzione era costituita da un reticolato formato da tre fili spinati con dei varchi larghissimi che permettevano l’agevole passaggio sia agli adulti che ai bambini).
Una tragedia terribile che all’epoca dei fatti impressionò profondamente tutta la comunità di San Giorgio di Nogaro.
Le figure del soccorso
Piccoli uomini crescono
di Davide De Prato
L’attività “Figure del Soccorso” è nata nel 2012 per coinvolgere i bambini fin da piccoli (negli asili) al concetto del volontariato facendo conoscere quali sono le figure che, in caso di bisogno, sono interessate ai soccorsi alla popolazione. Mi sono posto l’obiettivo di far conoscere e differenziare le varie specialità con l’allora numero di soccorso corretto (non vi era il numero unico 112 ma i vari 113, 118, 115,112).
Con il passare del tempo è stato implementato con altre nozioni utili quali uso del seggiolino in auto, cinture casco e protezione in bici. Una seconda parte, invece, prevedeva la presenza di un mezzo di soccorso per fare vedere e contestualizzare quanto osservato nei video e nelle immagini. Negli anni, ho chiesto la presenza della Guardia di Finanza, di un’ambulanza, di un mezzo della Protezione Civile e tutti quanti hanno riscosso emozioni e curiosità nei bambini.
Per l’edizione di quest’anno ho fatto un cambiamento: dopo una parte iniziale classica dedicata alle “Figure del Soccorso” ho pensato di integrarla con una presenza molto significativa.
Il dubbio fin da subito era incentrato sulla sensibilità e i timori dei bambini e sulla tipologia dei partecipanti.
Ma dopo alcune riflessioni e una telefonata con il Capogruppo, ho deciso di invitare il Nucleo Cinofilo della Sezione ANA di Palmanova per un’attività differente. Non immaginate lo stupore dei bambini nel trovarsi di fronte a questi cani, per loro enormi.
Le mie paure e i miei timori sono scomparsi dopo le prime leccate dei quadrupedi in faccia ai bambini. Nessuno è stato risparmiato… tutti ben sbavati hanno assistito alla dimostrazione dei nostri cinofili che si sono esibiti in esercizi vari assieme ai loro conduttori e amici. Grandi e piccini hanno dato il meglio per dimostrare le loro capacità.
Un grande grazie al coordinatore Sergio Penner e a tutti i volontari che ci hanno dimostrato ancor più lo spirito alpino unito all’amore e alla dedizione verso il prossimo e verso gli animali, un connubio fortissimo.
All’iniziativa si sono resi disponibili a partecipare all’attività anche due ragazzi dei Campi Scuola, Maria e Francesco, che alle prossime edizioni saranno parte attiva.
La burocrazia nell’asilo comunale ci ha fatto sudare non poco e fino all’ultimo siamo stati in forse... ma la voglia di fare e la collaborazione con le maestre ci hanno permesso di far passare una bellissima giornata ai nostri “piccoli uomini” che crescono.
Il Tricolore
C’è sempre un se e un ma...
“Una giornata assolata quella del 1° giugno, non a caso precedente alla Festa della Repubblica, scelta dagli alpini di San Giorgio di Nogaro della Sezione di Palmanova per incontrare ragazzi di 3a media; persone in formazione scolastica e in crescita nelle molteplici conoscenze ed esperienze che la vita presenta, per ricevere dalle loro mani il Tricolore, la bandiera italiana simbolo dell’Unità Nazionale e contemporaneamente ascoltare e fare propria una lezione di educazione civica improntata sulla conoscenza della sua storia e dei valori simboleggiati. Numerose le rappresentanze delle altre Associazioni d’Arma e le autorità presenti per assistere alla cerimonia dell’alzabandiera accompagnata dall’esecuzione cantata
dell’Inno Nazionale e alla successiva “adunata” nella corte interna del complesso scolastico intitolato a Nazario Sauro.”
Iniziava così la “cronaca” dello stesso evento del 2022, che si ripete annualmente e che banalmente potrebbe essere riferita in fotocopia se, - c’è sempre un se - non cambiassero i ragazzi, gli insegnanti, i dirigenti scolastici e quest’anno pure la scuola; infatti nel 2024 è stata chiusa la sede storica per carenze “statiche” ma - c’è sempre un ma - la Famiglia Alpina è rimasta, con i suoi obiettivi ben chiari, con la consueta capacità di adattamento alle diverse situazioni logistico/ambientali e anche questa volta è riuscita a trasmettere efficacemente ai ragazzi e agli adulti il significato della consegna del Tricolore e di una sintesi importante della Costituzione Italiana.
Un messaggio forte e una piccola lezione di educazione civica sono arrivati da Davide De Piante il quale, efficace e per certi versi sorprendente, ha scosso i presenti (alpini e autorità compresi!). Il Capogruppo degli alpini di San Giorgio dopo aver illustrato, esemplificato le opere e l’importanza del volontariato declamandone i valori, ha volutamente dimostrato ai ragazzi con un atteggiamento sprezzante e autoritario (improvvisando una scenetta con-
di Giovanni Maran
cordata con due alpini del Gruppo) come anche gli adulti possano mancare di rispetto e “bullizzare” qualcuno, sottolineando che i comportamenti sbagliati che alcuni ragazzi mantengono a scuola hanno radici vicine negli esempi che trovano, indipendentemente dalla provenienza, i ragazzi possono essere condizionati dai comportamenti della società degli adulti e dai modelli che gli vengono proposti e mostrati.
Un richiamo sull’attenzione all’altro attraverso la moderazione del linguaggio e all’impegno nel comprenderne le peculiarità. L’importanza del rispetto reciproco è emersa anche tra gli adulti, gli interventi delle autorità presenti lo hanno sottolineato ed il collegamento con il concetto di pace è stato naturale. Ancora un altro piccolo passo degli Alpinicon la cerimonia della consegna del Tricolore con i suoi colori di libertà, uguaglianza fede e amore - attenti alle nuove generazioni ma che coscientemente curano con attenzione anche gli adulti, per i quali un “ripassino” ogni tanto non guasta.
PROTEZIONE CIVILE
In... formazione
I nostri volontari impegnati nei corsi
di Davide De Piante
Formati ed informati.
Con questo assunto, la Sezione di Palmanova ha avviato la prima sessione di formazione per 24 volontari di Protezione Civile di cui ben 8 del nostro Gruppo che si è tenuta a Palmanova tra maggio e giugno 2024.
Si è trattato di un corso di 16 ore sulla sicurezza sui luoghi di lavoro che ha tenuto il preparato e competente docente Giorgio Bailo (alpino di Trieste) che, con esempi pratici e casi concreti, ha spiegato ai discenti le regole e le normative più importanti.
Questo percorso è la conseguenza dell’incidente mortale accaduto ad un volontario di Protezione Civile del Comune di Preone a fine 2023 che ha portato una seria riflessione tra Enti del Terzo Settore e Governo sugli ambiti di intervento.
Il 19 giugno è stata la votla del Corso HACCP (per la sicurezza alimentare) con 1 risorsa.
Oltre al corso sulla sicurezza, sempre grazie alla nostra Sezione, il 20 giugno una ventina di iscritti hanno partecipato al corso radio di 1° livello propedeutico all’utilizzo degli apparati radio in dotazione agli alpini; oltre alla Protezione Civile, questa preparazione risulterà utile ai partecipanti dei Campi Scuola (sia ANA che della PC afferenti all’iniziativa “anch’io sono la Protezione Civile”). Anche in questo caso, erano presenti 5 soci del nostro sodalizio oltre a 2 formatori.
Per completare il trittico formativo, sabato 22 giugno la Squadra Sanitaria FVG ha organizzato un corso di Primo Soccorso per i volontari che opereranno nel Campo Scuola ANA di San Pietro al Natisone; sapere cosa fare e cosa non fare è sempre uno degli aspetti importanti per garantire l’incolumità delle persone e, nel caso specifico, dei ragazzi partecipanti al campo. Del nostro Gruppo, eravamo in tre.
Alla fine, possiamo dire… e formazione sia!
Amico chiama, naja risponde
Sono Nicola, classe 1974, ho fatto la visita di leva a Udine nel 1993. A 20 anni uno non sa cosa aspettarsi, e la logica un po’ superficiale e sbarazzina della giovane età ti porta a sperare che forse troveranno qualche irregolarità, un pretesto per tornare a casa e non dover vivere un’esperienza di cui non si conosce ancora nulla e che quindi spaventa. Invece mi ritrovo l’anno successivo arruolato nel corpo degli Alpini: un veneziano che viene portato via dalla sua adorata laguna, terra del Corpo dei Lagunari e spostato a svariate centinaia di chilometri in quel del Friuli Venezia Giulia. All’inizio la situazione mi ha un po’ spiazzato, ma tutto sommato il fatto di conoscere una realtà tutta nuova che non aveva niente a che fare con l’ambito territoriale in cui avevo sempre vissuto poteva diventare per me motivo di crescita e in effetti ogni cosa per me era nuova e stimolante. I viaggi in treno che mi portavano alla caserma per me erano modo di scappare dalla quotidianità cui ero abituato. La prima tappa del mio viaggio si chiama Codroipo. La mia permanenza al Centro Addestramento Reclute si è risolta in maniera
di Nicola Lazzarini
vevano rendere la vita un inferno, ma così alla fine non è stato e conservo di loro un bellissimo ricordo).
tranquilla. L’unico rammarico è stato il giorno del Giuramento: tutti dicevano che la cerimonia si sarebbe svolta nello splendido scenario di Villa Manin di Passariano, ma all’ultimo hanno ripiegato nel piazzale della caserma. Emozionante ugualmente, tutta la mia famiglia si è mossa e tra vaporetti e macchina mi avevano raggiunto per accompagnarmi in una giornata tanto importante. La settimana successiva con mio grande stupore mi comunicarono che sarei stato assegnato al Corpo nella caserma “La Marmora” di Tarvisio; giù a Codroipo l’avevano definito “l’inferno bianco” il luogo più freddo d’Italia e quindi son partito con mille pregiudizi. Col morale sotto i tacchi mi caricano sul cassone di un ACL e arrivo a Tarvisio dove il termometro segnava una temperatura di soli otto gradi (era il mese di settembre). Arriviamo sull’ampio piazzale della caserma, ed i “fra” (fratelli, ndr) degli scaglioni più anziani ci accolgono, nascosti dietro le finestre delle camerate dei palazzoni che circondavano il cortile, tutti in coro con un sonoro quanto fastidioso miagolio (eh sì, noi eravamo i topi, e loro ci do-
Il nostro soggiorno al Corpo dura poco, infatti partiamo subito per Pontebba dove ci aspettano ben 20 giorni di campo base. Intanto il tempo passa e ho dovuto aspettare diverse settimane per poter ritornare a casa a riabbracciare la mia famiglia. Il ritorno al Corpo non mi ha permesso di continuare il tipo di addestramento cui mi avevano abituato al campo base, e l’assegnazione della compagnia mi porta a essere integrato nella Compagnia Comando e Servizi in vece di Furiere. In quell’anno la Caserma “La Marmora” era diventata, come Vacile, centro per il conseguimento delle patenti, un po’ di tutti i generi compresa quella della motoslitta, ma purtroppo il mio incarico non mi permetteva di partecipare ai vari corsi. Quando finalmente mi stavo abituando alla situazione mi convocano in ufficio alla presenza del Tenente Colonnello comandante di quel Battaglione, che mi aggrega alla RCST Julia di Udine in affiancamento al Genio Guastatori di Gemona, capitanati dal Tenente Colombo, e mi trasferiscono a Lignano Pineta per dismettere la Base Logistica Campeggio Estivo Ufficiali-Sottufficiali: il fondo era,
ed è tuttora, di proprietà dell’EFA-ODA, ed era stato dato a suo tempo in concessione all’Esercito Italiano.
Mi ritrovai quindi da Furiere in ufficio del Comandante di Compagnia a manovale in un cantiere. I lavori durano alcune settimane e la Brigata di Udine per risparmiare sulle vettovaglie ci mandava a casa quasi ogni fine settimana. L’inverno lì a Lignano poi non era così impegnativo, sicuramente per un lagunare meno traumatico di Tarvisio (ci limitavamo a sorvegliare la struttura, niente di più).
Il mio soggiorno lì alla Base Logistica si è protratto per parecchi mesi, fino a primavera inoltrata.
A Tarvisio alla fine ci ritorno solo per congedarmi, e mi dispiace solo non aver potuto rivedere i miei vecchi compagni di naja di Tarvisio per più giorni.
Alla fine di quegli 11 mesi e venti giorni di servizio militare posso sicuramente affermare che tutte le paure e le riserve che avevo inizialmente erano infondate. L’esperienza fatta nel corpo degli alpini è stata ricca di esperienze positive che mi hanno permesso di crescere e che mi hanno lasciato solo bei ricordi.
Ora esattamente come trent’anni fa è per me un onore indossare quel cappello e sentirmi parte di questa grande famiglia.
Nelle foto Nicola con i suoi commilitoni in uno scenario inusuale per un alpino... il mare
CULTURA
Alberi della Libertà
Buona vita
A partire dalla rivoluzione francese, anno 1789, gli alberi detti della libertà venivano piantati ovunque; il primo fu a Parigi nel 1790. Prima dei veri alberi, si piantavano pali che portavano in cima il berretto frigio e delle bandierine. Il berretto frigio era un copricapo con una punta che poteva cadere sul davanti o sul dietro. Si usava già dal VI al II secolo a.C. ed era arrivato a Roma tramite i soldati persiani.
Il berretto frigio veniva donato agli schiavi dai padroni che li liberavano dalla schiavitù e da allora è diventato emblema di libertà. Dalla rivoluzione francese in poi è stato usato con questo significato e compare tuttora in numerosi stemmi di tutto il mondo. Ma gli alberi della libertà, quelli veri, furono messi a dimora anche in Svizzera e in Italia, poi sradicati dagli avversari politici, dall’incuria e dal maltempo. Dei tanti che abbiamo avuto in Italia ne sopravvivono alcuni di cui uno, l’olmo a Montepaone (in provincia di Catanzaro), piantato nel 1799. Lo stesso anno era stato messo a dimora quello di Campodimele in Provincia di Latina, ora è un po’ ridimensionato ma è vivo; anche a Putignano, in Provincia di Bari, resiste un altro glorioso esemplare. Tutti e tre sono olmi, un genere diffusissimo in passato in tutta Europa. Un tiglio sempre nel 1799 era stato piantato a Montanera in Provincia di Cuneo; a Breno, in Provincia di Brescia c’è ancora ben vivo un grande platano da quando nel 1797 Napoleone, che amava i platani, è arrivato in Valcamonica. È naturale attribuire agli alberi la sensazione di libertà perché nonostante rimangano fissi nello stesso luogo si innalzano molto al di sopra del terreno, come
di Luisella Bonetto
guardando lontano, accolgono e proteggono gli altri esseri viventi, producono fiori e frutti e con le loro radici trattengono il terreno dal franare. Una delle usanze più diffuse anche oggi è piantare un albero quando nasce un bimbo o una bimba come simbolo di forza e augurio per una crescita sana. Essendo in viaggio nel nord della Francia decidiamo di andare a vedere uno di questi alberi della libertà che si trova a Bayeux. È una cittadina situata nella regione del Calvados distante solo 10 km dalle spiagge dello sbarco in Normandia. Bayeux è stata una delle prime città liberate dal nazismo a seguito
dello sbarco delle forze alleate nel 1944 ed è rimasta miracolosamente intatta e conserva tutto il fascino antico con le sue vie medievali, i canali con i mulini, le case colorate a graticcio e le chiese. La Cattedrale Notre-Dame, di architettura gotica normanna, è enorme, con gli interni illuminati da grandi vetrate colorate che creano suggestivi giochi di luce, consacrata nel 1077 alla presenza di due personaggi storici, il re Guglielmo il Conquistatore e la Regina Matilde. Ma quello per cui Bayeux è diventata Patrimonio Unesco è il suo strepitoso arazzo medievale (che merita una spiegazione a parte); qui invece racconto di uno degli ultimi Alberi della Libertà, un platano piantato nel 1797 vicino alla cattedrale. Sembra che l’albero di Bayeux sia il più bello di Francia. Quando ci siamo trovati ai suoi piedi ci sembrava di essere piccoli come formiche, guardandolo era come essere al cospetto di un personaggio importantissimo: lui aveva visto la storia! È sopravvissuto all’invecchiamento naturale del tempo, ma anche all’umore degli uomini che nel corso dei secoli hanno sradicato e distrutto. Fu
piantato il 10 GERMINALE ANNO V (10 marzo 1797) chiamato prima Albero della Fraternità poi Albero della Libertà. Poi arrivò Napoleone e li fece chiamare gli alberi di Napoleone, ma subito dopo, con il ritorno della monarchia in Francia, Luigi XVIII ne ordinò l’abbattimento. Per questo e per una naturale estinzione non sono rimasti molti di questi alberi. Alcune città hanno messo a ricordo una placca commemorativa sul luogo dove nel passato c’era l’albero, invece nella cittadina di Bayeux non solo si è salvato ma è in ottime condizioni. È diventato il simbolo della città e d’estate viene colorato di mille luci ed è simbolo della vita e della libertà. Non a caso l’albero è stato scelto per essere rappresentato sulle monete di un euro francese. Victor Hugo che adorava l’Albero della Libertà di Parigi diceva: “La libertà ha le sue radici nel cuore del popolo come l’albero ha le sue nel cuore della terra”. Dopo aver visitato le zone dello sbarco in Normandia, i Memoriali, i cimiteri, aver visto le falesie, bellissime, ma che hanno visto tanti morti durante la Seconda guerra mondiale, Bayeux con il suo Albero della Libertà sotto le cui fronde ci siamo rinfrescati ci ha fatto rincuorare e grazie a lui abbiamo rafforzato la convinzione che si deve pensare due volte prima di abbatterne uno perché l’albero è l’elemento che unisce la terra all’infinito del cielo.
Da 226 anni l’Albero di Bayeux vive: buona vita!
CULTURA
Alla ricerca di... Teatro a San Giorgio
di Maria Fanin
I nostri nonni raccontavano che nella comunità di San Giorgio era sempre stata viva la tradizione di canti e sceneggiate negli eventi e nelle feste di paese. Qualcuno parla anche di un circolo delle nobili dame che facevano teatro agli inizi del 1900…
Da quando erano venute le suore nel 1913, i bambini fin da piccoli partecipavano alle recite (a ottant’anni mia madre Malvina, nata nel 1916, ci ripeteva ancora la sua parte, imparata a quattro anni, e anche quelle dei suoi piccoli amici).
Negli anni 1935, don Raffaele aveva fondato per giovani e ragazzi un ricreatorio e una biblioteca circolante e, subito dopo la guerra, dalla fine degli anni 1940 era diventata famosa la compagnia composta da Oreste Indri, Nino Bolzan, Adelchi Martin, Silvano Tomba, Mario Salvador, Paravano, i Brunato di prima generazione sangiorgina, i Regattin… Il regista era il signor Alessandro Mauro. La sala era quella della canonica, dove più tardi si sarebbero proiettate le prime pellicole cinematografiche.
Non era ancora comparsa nelle nostre vite la televisione, non c’era neppure la radio. E in una sala parrocchiale, piena di famiglie con bambini, neanche un sussurro… Una madre, regina, piangeva il principe neonato rapito dalla culla e separato dal fratello gemello. Sulla scena movimenti di uomini con picche e alabarde, una voce di fanciullo che cantava, da lontano le torri infuocate di un castello. Come si riempivano di stupore i nostri occhi a ogni suono, a ogni cambiamento di scena, anche noi pronti a entrare nel vivo dell’azione con tutta la nostra anima.
È stato il nostro primo impatto col teatro. E ancora emerge da un tempo lontanissimo la canzone del piccolo menestrello, con le stesse parole della preghiera della madre cui era stato sottratto “Vergine dolce e pia, che al tuo maternopettoripariilpargolettodall’avversamalia,pietàdinoi,pietà”, costretto dal malvagio padrone a cantare per quelli che stavano per morire, e per questo chiamato Menestrello della morte (interpretato da Giorgio Brunato, il Deto). Ma se lì avevamo pianto, nessuno sa quanto avevamo riso alla rappresentazione de “Il Trovatore Antonio Tamburo” di Pietro Zorutti, dove Adelchi, innamorato, declamava “Ecco che vuica il clostro del barcondicolei…Marcolfacara,tumifailarefuoridiscuara,esentounbrusighinchemirosea,che mi farà lare scleto sulla brea”. E risate da matti anche per il monologo “LapredicjedipreFlap” detto da un irresistibile Nino Bolzan, e per “I due in bicicletta” e “…barbari in Friuli” di Alviero Negro, rappresentate nell’ex GIL nel 1954. (Vi sarete accorti che ho fatto solo nome maschili. Sì, perché all’inizio non era previsto, se non in caso rarissimo che sul palco ci fossero donne vere, l’unico caso che ricordo è quello della zia Angelina ne “LaziadiCarlo”. Erano
gli uomini che si vestivano da donna, con effetti comici impressi a fuoco nei nostri ricordi. Le presenze femminili comparvero all’inizio degli anni ’50).
Noi eravamo venuti dopo di loro e da loro avevamo imparato come si sta sulla scena.
Da bambini avevamo interpretato piccole parti nelle feste dell’Asilo delle Suore, la più portentosa nel mese di maggio del 1950, in occasione della causa di beatificazione di Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, fondatrici della Congregazione di Maria Bambina.
Ma non sappiamo dire quando siamo diventati una Compagnia stabile. E lo siamo stati. Con tanto di regista, Oreste Indri prima, poi il signor Giacomo Del Piccolo, e di suggeritore. In realtà tutti a turno eravamo suggeritori, esposti ai grossi i rischi del mestiere, come perdere il segno o sbagliare pagina per le risate. Truccatore professionale era il signor Romeo Bramuzzo, armato di un turacciolo di sughero, che accendeva con un fiammifero per ottenere il colore nero di baffi e basette fenomenali, e capace di trasformare un ragazzo in un vecchio solo con poderosi sbuffi di borotalco.
E andavamo anche in tournee nei paesi vicini, Bagnaria, e lontani, Ara Grande di Tricesimo. Non si ride. Sessantacinque anni fa quelli erano spostamenti notevoli.
Prove ogni sera, anche per una sola battuta come “Oh, e je ca siore Nene” (e Sergio cantilenava “Nene balene, Nene balene”. Il dubbio era se lo avrebbe detto anche la sera della prima. No, non lo avrebbe detto, ma avrebbe mimato il gesto, e Marcella se lo sarebbe trovato davanti senza poter ridere!). Perchè l’ordine perentorio era proprio quello, mai ridere sulla scena, il pubblico doveva ridere, non l’attore! E se ne inventavano di tutti i colori, come affidare l’unica battuta “Siorparon,sioreparonealèscampâtilpurcitcunduc’ipurcituts”, che diventava “Siov pavon, siove pavone al è scampat il puvcit cun duc’ i puvcituts” perché il giovanissimo attore non diceva la erre! O come recitare in playback: una sera nessuno di noi riusciva a ricordare la parte che non avevamo studiato. E ci siamo messi d’accordo. I suggeritori dietro le quinte, testo alla mano, recitavano le varie battute, noi muovevamo la bocca e facevamo gesti e movimenti prescritti… è andata avanti finché il regista non si accorto di qualcosa di strano, allora ha afferrato un ramo frondoso e ci ha rincorsi battendo a caso questo e quello, che tanto eravamo tutti coinvolti, escluso Franco Miatto, che sapeva sempre alla perfezione la sua parte e anche le nostre. Ma a lui capitò che, in una scena in cui era venuto a chiedere la mano della ragazza, il padre della promessa sposa gli offriva da bere. Sul tavolo il fiasco c’era, non c’era il bicchiere (ricerca istantanea dietro le quinte, trovato un fantasma di bicchiere coperto di polvere e ragnatele, ripulito malamente, comparso, riempito e svuotato di colpo dal protagonista). Il giorno dopo, un febbrone a 39°.
A Bagnaria Arsa era di scena “Ilpalissondalmartar”.
Nella disputa tra due dei protagonisti, Maria mollò un ceffone a Silvio come da copione, solo un po’ più forte, molto più forte. Usciti, Silvio di nascosto le legò la stringa del grembiule alla quinta, e quando lei cercò di rientrare in scena si accorse che non poteva muoversi.
Da sx
Accovacciati:
“Il palisson” (1967-1968)
Dal palco Franco chiamava “Chevegni,che vegni”, e lei non poteva tirare che altrimenti veniva giù tutto il fondale, “Ma che vegni indenant po, aje paure…” “No pos, ch’al spieti un moment, o soi imbredeade cul scarpet”. E lì anche Franco dovette inventare, mentre gli sciagurati ridevano come matti tra le quinte, finchè lei non riuscì a staccarsi di dosso il grembiule!
Si andava avanti, prove su prove, e le scenografie, e i mobili e gli oggetti di scena, e i costumi, racimolati negli armadi o nei bauli delle soffitte di casa, con spettacoli in tutte le feste comandate, in sale sempre piene di risate (e noi sul palco, ancora di più) e con le nuove generazioni che si avvicinavano per la prima volta alla recitazione.
Nel 1965, commemorazione dei cinquant’anni dell’inizio della Prima guerra mondiale.
Sala piena, il coro, che doveva sottolineare con i canti la lettura delle poesie, schierato al completo. Ci accorgiamo che due dei protagonisti non ci sono.
La mattina Carlo era andato a Mestre a trovare la morosa, e Sergio con lui… e avevano perso il treno!
Si andò in scena con don Aldo, nostro insuperabile suggeritore - manager dal 1962, che sostenne le parti di tutti e due (ma quando arrivarono trafelati, maridicôr,zetampiestade!).
Non abbiamo tenuto un archivio, abbiamo tante fotografie, quelle piccole di una volta, e ricordi, magari confusi per quanto riguarda date e titoli, ma vivissimi per quanto riguarda il nostro modo di essere stati, così intensamente coinvolti nell’interpretazione, e più spesso, in veri momenti di creazione esclusiva all’interno dell’opera teatrale. Non c’è mai stata una recita uguale a un’altra.
Quelle sono state le nostre prove di iniziazione per il passaggio tra adolescenza e gioventù, con imprevedibili ostacoli da superare all’istante, e tanta comicità fulminea che ci attraversava l’anima e ci legava per la vita a doppio filo ritorto.
Negli anni molti di noi se ne sono andati all’ESTERO, per così dire… Ma oggi siamo ancora sulla scena. E loro con noi.
Note:
... Remigio, Severino, Luigi, Giorgio il Deto, Mario, Richetto, tutti Brunato, Graziano e Fredo Regattin, sorelle e fratello Fabbris, Dino Seretti, Elisa Arreghini, fratelli Titton, Dirce Martin e oltre…
CULTURA
Il cjanton da puisie
di Maria Fanin
Da zumiele da semenzis
Da zumiele da semenzis si davuelz il fîl mai dismenteât dal sflurî…
e sule belanze un sofli di vivôr al compense il pês da burascjadis
e al fâs nassi cunvignis dilunc i fossâi
pleantsi suli rivis une danze nuvizâl di blancjs alis di garzêts
Dalla conca dei semi
Dalla conca dei semi si svolge il filo delle fioriture,
e sulla bilancia del tempo un soffio di vigore compensa il peso delle tempeste, e fa nascere prodigi lungo i fossi,
dove si piegano bianche le ali degli aironi, in danze nuziali sulle rive.
Il cjanton da rizete
di Franco Moni
Terrina di Pollo
• 1 petto di pollo lesso
• 400 g di prosciutto cotto
• 1 uovo
• 4 albumi
• 1 limone
• 1 vasetto di yogurt
• una decina di foglie di bieta
• 1/2 kg di fagiolini verdi lessi
• 1/2 kg di carote lesse
• 1/2 kg di pisellini
• olio extra vergine di oliva
• burro
• sale e pepe nero
Sbollentate le foglie di bieta, scolatele, asciugatele leggermente e rivestite uno stampo da plum-cake precedentemente imburrato.
Tagliate a tocchetti il petto di pollo e raccoglieteli nel bicchiere del mixer.
Unite il prosciutto, l’uovo e gli albumi, aggiungete lo yogurt, irrorate con il succo del limone, condite con un filo di olio extravergine di oliva, sale e pepe e frullate fino a ottenere un composto spumoso.
Sistemate a strati prima la mousse, poi i fagiolini, ancora mousse, poi le carote infine mousse e pisellini. L’ultimo strato dev’essere di mousse.
Coprire con un foglio di carta di alluminio e fate cuocere a bagno maria in forno caldo a 200°C, per una mezz’oretta.
Mettete in frigo e servitela a fette.
Buon appetito!