Speciale Idrogeno

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IDROGENO, ULTIMA FRONTIERA A cura di Massimo De Donato

Con gli interventi di Albo degli Autotrasportatori, Alstom, A2A, Confindustria, Enea, Fincantieri, H2IT, MIMS, Snam

Prefazione della Viceministra per le Infrastrutture e Mobilità Sostenibili Teresa Bellanova



IDROGENO, ULTIMA FRONTIERA A cura di Massimo De Donato

Con gli interventi di Albo degli Autotrasportatori, Alstom, A2A, Confindustria, Enea, Fincantieri, H2IT, MIMS, Snam

Prefazione della Viceministra per le Infrastrutture e Mobilità Sostenibili Teresa Bellanova



Indice Prefazione Teresa Bellanova, Viceministra alle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili

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Introduzione Enrico Finocchi, Presidente Comitato Centrale Albo Nazionale degli Autotrasportatori

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Una scelta per il futuro Tra luci e ombre di Massimo De Donato L’ABC dell’idrogeno

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La strategia europea per l’idrogeno Gli obiettivi climatici dell’Unione europea Il programma dell’Ue sull’idrogeno e i trasporti

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La politica per l’idrogeno in Italia La strada italiana per la decarbonizzazione Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

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Hydrogen Valley, poli d’avanguardia Hydrogen Valley: i progetti in Italia

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Le opportunità per i trasporti L’idrogeno nei trasporti I progetti nel settore marittimo Le soluzioni per il trasporto ferroviario Mezzi a idrogeno anche su strada

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Strada: l’impegno delle case costruttrici Il futuro a idrogeno dei mezzi pesanti

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I protagonisti della transizione Il ruolo degli stakeholder Alstom Valter Alessandria A2A Lorenzo Privitera Confindustria Aurelio Regina Enea Giorgio Graditi - Giulia Monteleone Fincantieri Giuseppe Coronella Snam Alessio Torelli

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Teresa Bellanova Viceministra per le Infrastrutture e Mobilità Sostenibili

“Una strategia per l’idrogeno per un’Europa climaticamente neutra”: titolava così, nel 2020, il documento della Commissione europea che indicava le fondamenta alla base di una strategia sull’idrogeno condivisa a livello comunitario e precisava come la mobilità fosse uno dei campi d’azione privilegiati. Ed infatti è soprattutto in questo campo, nel Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, che si gioca la centralità dell’idrogeno nel nostro Paese, grazie ai massicci investimenti indicati e alle linee di sperimentazione previste. Punto di svolta non indifferente, se consideriamo come l’introduzione dell’idrogeno quale vettore energetico costituisca una novità assoluta nella gestione del sistema energetico italiano e come proprio in questa direzione si stiano concentrando player e investimenti privati di tutto rilievo. Ammontano infatti a 3 miliardi e 545 milioni gli investimenti di pertinenza Mims previsti dal PNRR (oltre a 3 miliardi e 110 milioni di pertinenza Ministero Transizione ecologica), confermando il ruolo cruciale dell’idrogeno nella transizione ecologica nel segmento della mobilità di persone e merci e nel raggiungimento degli obiettivi sulla neutralità climatica. Un cammino appassionante e decisamente in salita considerato come soprattutto l’idrogeno, pur rappresentando ad oggi solo una piccola parte del mix energetico mondiale ancora in grandissima parte presidiato dai combustibili fossili, sia chiamato a fronteggiare le esigenze di progressiva decarbonizzazione in tutti quei settori caratterizzati da un’assenza di soluzioni alternative o poco efficienti. Esigenza che in questo momento sta emergendo anche in tutta la sua drammaticità, obbligandoci ancora una volta a pensare la nostra strategia energetica soprattutto in termini di autonomia e diversificazione delle fonti. Una strategia dalle prospettive rilevanti, per una filiera che il Rapporto 4


dell’associazione H2IT “Strumenti di supporto al settore idrogeno. Priorità per lo sviluppo della filiera idrogeno in Italia” indica potrebbe contare su un giro di affari di 820 miliardi di euro l’anno, per circa 5,4 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2050 a livello europeo. In perfetta coerenza con gli obiettivi indicati dalla Commissione e con questo scenario, l’Italia è impegnata nel promuovere e favorirne la ricerca, la produzione e l’utilizzo attraverso lo sviluppo di progetti per l’impiego nei settori industriali hard-to-abate, a partire dalla siderurgia, ma anche favorendo la creazione di Hydrogen valley, aree industriali con economia in parte basata sull’idrogeno. E ancora supportando la ricerca e lo sviluppo, completando riforme e regolamenti volti a consentirne e sostenerne l’utilizzo, il trasporto e la distribuzione, e infine abilitando, anche tramite l’installazione di opportune stazioni di ricarica, l’uso nel settore dei trasporti. Ed è proprio nei trasporti, dove ridurre le emissioni è tanto complicato quanto necessario, che l’idrogeno può rappresentare una valida e concreta soluzione per la sostenibilità del settore, la modernizzazione e una più marcata ecocompatibilità della mobilità nel suo complesso. In questa strategia il nostro Ministero gioca un ruolo chiave. Penso alla sperimentazione dell’idrogeno per il trasporto ferroviario, dove l’obiettivo è convertire verso l’idrogeno le linee ferroviarie non elettrificate in quelle regioni caratterizzate da un elevato traffico e con un forte utilizzo di treni a diesel, con la produzione di idrogeno verde in prossimità delle stazioni di rifornimento. E penso al trasporto stradale dove obiettivo della sperimentazione è muovere verso la creazione di stazioni di rifornimento, almeno 40, realizzando corridoi green. Sono interventi di natura strutturale (300 milioni per la sperimentazione dell’idrogeno per il trasporto ferroviario e 230 per quello stradale) in forte sinergia con gli investimenti finalizzati all’acquisto di bus e treni verdi, ad emissioni zero, con alimentazione elettrica o a idrogeno e con la contestuale realizzazione delle relative infrastrutture di supporto dedicate all’alimentazione dei veicoli (circa 2 miliardi per il rinnovo flotte di bus e treni verdi, 600 milioni per autobus, 500 per il rinnovo treni). Interventi ambiziosi, che nel loro complesso rappresentano una grande opportunità per convergere verso una mobilità a emissioni zero, rendendo più sostenibili tutti i modi di trasporto, migliorando la qualità della vita, creando nuovi posti di lavoro, rafforzando la competitività del settore e sviluppando nuovi servizi. Ma soprattutto, interventi che pongono le basi per la creazione di un solido e robusto know-how energetico Made in Italy, da esportare anche all’estero. Stimolare la domanda di veicoli a idrogeno e al contempo accelerare con la realizzazione delle relative infrastrutture di rifornimento, promuovere la ricerca e la sperimentazione delle tecnologie basate sull’idrogeno e accrescerne la produzione, definendo un quadro normativo in grado di incentivarne l’utilizzo, sono le azioni da intraprendere per rendere l’idrogeno parte attiva nella transizione verso un’energia verde, in grado di garantire sostenibilità sociale, ambientale, economica e un pianeta da consegnare alle prossime generazioni. 5


Enrico Finocchi Presidente Comitato Centrale Albo degli Autotrasportatori

Ci troviamo nel mezzo di una fase epocale per il mondo dei trasporti. Il percorso verso la decarbonizzazione, avviato in Europa e in Italia in tutti i settori della produzione e dei servizi, sta subendo infatti un’accelerazione legata a necessità contingenti che rendono sempre più urgente la diversificazione delle fonti di approvvigionamento per l’energia a i carburanti. L’idrogeno è un elemento ormai sempre più centrale in questo contesto. Non l’unico, non la soluzione più a portata di mano, ma certamente un tassello importante nelle strategie per la transizione green che necessariamente stanno lavorando su più fronti. Una transizione che interessa in prima linea il settore della mobilità e dell’autotrasporto delle merci che è da anni impegnato in questa direzione. I carburanti sono certamente il primo livello in cui si è intervenuto e si sta ancora intervenendo, ma per vincere questa battaglia sappiamo bene che è necessario operare su più tecnologie e su più fronti, come quello della digitalizzazione e dell’ottimizzazione dei processi di produzione e di lavoro. Tutti temi importanti su cui bisogna rendere sempre più consapevoli le imprese di autotrasporto che, nonostante le difficoltà, non si sono mai tirate indietro di fronte a questa sfida. Il Comitato Centrale dell’Albo Nazionale per gli Autotrasportatori ha un compito importante da svolgere in questo senso e per accompagnare questo processo. Si tratta infatti di un percorso complesso su cui le aziende devono poter essere informate e seguite innanzitutto a partire dalla formazione. 6


La formazione è del resto una delle mission di questo organismo assieme alla comunicazione sulle principali tematiche che riguardano il settore. L’alternativa dell’idrogeno, per il momento, non è la più prossima da attuare perché prima di considerare i camion a idrogeno, una fra le tante opzioni realizzabili, bisognerà certamente risolvere alcuni limiti pratici, come quello della mancanza di una rete infrastrutturale di carica e quello dei costi dell’idrogeno verde, quello più sostenibile. Prima di arrivare a una disponibilità vera e diffusa, a una produzione in serie degli autocarri a idrogeno, bisognerà infatti aspettare ancora alcuni anni. Nel frattempo, però, come Albo possiamo lavorare per rendere sempre più consapevoli gli operatori e le imprese di questo strumento, delle sue peculiarità e delle sue potenzialità, per capire quale scelta sia più adatta alle proprie esigenze. Le flotte italiane dei veicoli industriali ha, infatti, un’età media di 14 anni. Su un totale di più di 700.000 veicoli circolanti, più del 57% è ante Euro IV. Il rinnovo del parco veicolare in Italia è un tema improrogabile e particolarmente sentito dalle aziende che hanno già iniziato a operare il ricambio guardando non solo al diesel di ultima generazione (attualmente l’alimentazione più diffusa), ma anche alle altre tipologie di veicoli. Molte imprese hanno già investito sul GNL, altre si stanno progressivamente avvicinando all’ibrido e all’elettrico, ma l’idrogeno rappresenta certamente una delle possibilità da cogliere da qui ai prossimi anni.

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Una scelta per il futuro

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Tra luci e ombre La pandemia, l’approvvigionamento energetico da zone del mondo che vivono situazioni complesse, la guerra in Ucraina hanno reso sempre più evidente come la dipendenza dalle fonti fossili non sia più solo un problema ambientale, ma anche geopolitico ed economico. Anche per questo le politiche europee negli ultimi anni si sono evolute nella direzione di una progressiva diversificazione delle fonti energetiche puntando sulle rinnovabili, con l’obiettivo di raggiungere la quota del 40% entro il 2030. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha spiegato che “prima passeremo alle energie rinnovabili e all’idrogeno, combinati con una maggiore efficienza energetica, prima saremo veramente indipendenti e controlleremo il nostro sistema energetico”. Questo volume sull’idrogeno si trova quindi ad essere pubblicato con uno straordinario tempismo. Un approfondimento che in circa 100 pagine si propone di chiarire una serie di aspetti che rendono questo elemento particolarmente interessante ai fini della sostenibilità ambientale. Una delle prime indicazioni di cui prendere nota è che l’idrogeno non è una fonte energetica, ma un vettore. Ciò vuol dire che le principali problematiche da affrontare riguardano la sua produzione: per far sì che sia uno strumento realmente pulito è necessario, come spiegato bene in più occasioni, che venga prodotto da fonti rinnovabili. C’è poi il tema di un mercato dell’idrogeno che non può prescindere dai suoi costi, attualmente ancora molto elevati, e dalla rete infrastrutturale, fondamentale per la sua diffusione. Un tema, quest’ultimo, particolarmente rilevante quando si parla di trasporti e soprattutto di trasporto pesante. Oltre a questo, daremo conto dei piani dell’Unione europea e del Governo italiano, a partire dal PNIEC e dal PNRR, e daremo spazio ai numerosi progetti in corso, sia per la realizzazione delle Hydrogen Valley, sia per l’impiego nelle diverse modalità di trasporto. Sin dalle prime pagine, inoltre, grazie al contributo di H2IT, 10


l’Associazione Italiana Idrogeno e Celle a Combustibile, verranno spiegate le sue caratteristiche tecniche. Nella parte conclusiva del volume, infine, i principali stakeholder come Enea, che ha siglato un accordo con il Ministero della Transizione Ecologica per attività di ricerca e sviluppo sull’idrogeno, Confindustria, Snam, Alstom, A2A e Fincantieri racconteranno i propri progetti di studio, produzione, diffusione e utilizzo dell’idrogeno. Il percorso verso l’idrogeno è relativamente recente, complesso e costellato anche da alcune criticità. Ciò vuol dire che quando si parla di idrogeno e dei suoi vari settori di applicazione è necessario tenere in considerazione anche le sue ombre. Tutto ciò è particolarmente vero a proposito del suo impiego nella mobilità e nel trasporto su gomma, che richiedono soluzioni nel breve termine verso le zero emissioni. Un’analisi del Fraunhofer Institute for Systems and Innovation Research, pubblicata recentemente, mette in luce proprio come il tempo rappresenti un elemento centrale. L’idrogeno, spiega la ricerca, svolgerà un ruolo fondamentale nell’industria, nel trasporto marittimo e nei carburanti sintetici per l’aviazione, ma per il trasporto su strada è necessario che la tecnologia compensi alcuni ritardi. Nonostante l’obiettivo di avere 100 mila autocarri a celle a combustibile sulle strade europee entro il 2030, prosegue l’analisi, l’inizio per la produzione in serie di camion elettrici a celle a combustibile è previsto solo intorno al 2027. Uno scenario che ci ricorda come la soluzione per la decarbonizzazione, nel medio e nel lungo termine, non potrà passare per una sola strada. Per raggiungere un obiettivo ormai irrinunciabile sarà necessario, quindi, far coesistere e ottimizzare tutte le risorse in campo: l’idrogeno è certamente una di queste. Massimo De Donato Direttore di TIR 11



L’ABC dell’idrogeno È l’elemento più presente nell’universo e il primo della tavola periodica, l’atomo più semplice e la sostanza più leggera. Eppure il suo peso nelle politiche internazionali per la decarbonizzazione è sempre più poderoso. L’idrogeno è, infatti, ormai uno dei simboli della transizione green e della necessità di ridurre in tempi brevi le emissioni climalteranti, dopo che per anni queste scelte sono state rimandate. La Commissione Ue con la European Clean Hydrogen Alliance ha deciso di puntare a questa come a una delle opzioni disponibili. Il portafoglio di soluzioni per la decarbonizzazione è infatti diversificato in base al settore di applicazione. Per quel che riguarda la mobilità, il trasporto pesante è quello che può trarne maggiore beneficio. Ma cosa si sa realmente dell’idrogeno dal punto di vista tecnico? Innanzitutto, bisogna dire che l’idrogeno non è una fonte energetica, ma un vettore. Significa che può essere prodotto tramite diverse fonti e ritrasformato successivamente in energia. Cristina Maggi, direttrice H2IT - Associazione italiana idrogeno e celle a combustibile, ci fornisce alcuni elementi chiave per comprendere meglio le caratteristiche di questo elemento. “L’idrogeno è molto diffuso in natura ed è uno degli asset centrali delle energie rinnovabili, la sua produzione però è piuttosto complessa – ci spiega Maggi –. È considerato essenziale per la transizione verso un sistema a zero emissioni poiché non contiene molecole di carbonio e, nel momento in cui viene bruciato oppure viene combinato con l’ossigeno elettrochimicamente, non produce CO2, ma ha come scarto vapore acqueo. Non comporta quindi emissioni climalteranti dirette. Nello specifico – continua Maggi – l’idrogeno è l’elemento più abbondante dell’universo, legato ad altri atomi per formare composti come l’acqua (H2O) oppure il metano (CH4), ma da solo nella forma biatomica H2 in natura è molto raro; per questo per averlo dobbiamo estrarlo da questi composti attraverso processi che richiedono ener13


gia. L’H2 nella sua forma gassosa è un gas molto leggero e volatile, ha una bassa densità energetica per unità di volume, per utilizzarlo è necessario comprimerlo, ma ha un’elevata densità energetica per unità di massa; tre volte più grande della benzina. Le pressioni utilizzate nella mobilità sono comunemente i 350 bar per i bus e i 700 bar per le auto”.

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Come viene ricavato l’idrogeno

La sua reale sostenibilità ambientale è legata però al modo in cui viene ricavato: attualmente l’idrogeno generato nel nostro continente è ottenuto da processi chimici che rilasciano CO2 nell’aria. “Più del 95% dell’idrogeno prodotto in Europa – prosegue Cristina Maggi – proviene dall’utilizzo di tecnologie convenzionali termiche come lo steam methane reforming o l’ossidazione parziale oppure è un prodotto delle attività industriali come le raffinerie; questi processi utilizzano combustibili fossili, che emettono CO2”.

Steam methane reforming

Lo Steam methane reforming è uno dei metodi principali per la produzione di idrogeno. Attualmente il 48% dell’idrogeno mondiale deriva da qui. Lo steam methane reforming si basa sulla conversione di gas naturale, principalmente metano CH4, attraverso il reforming con vapore. La reazione richiede l’introduzione di calore ad alte temperature (800-950°). La prima fase consiste nella decomposizione del metano in idrogeno e monossido di carbonio. Nella seconda fase il monossido di carbonio e l’acqua si trasformano in biossido di carbonio e idrogeno. Il monossido di carbonio, infatti, reagendo con il vapore, si trasforma in biossido di carbonio. Il processo permette di separare i componenti e di ottenere un idrogeno puro al 99%. Ad oggi è il percorso più diffuso e immediato per una produzione nel breve termine perché i suoi costi sono inferiori ad altre tecnologie.

Ossidazione parziale

Per l’ossidazione parziale la fonte principale è rappresentata da idrocarburi liquidi derivanti dalla lavorazione del petrolio che reagiscono con ossigeno e aria. Con questo processo ci si riferisce, infatti, alla trasformazione di combustibili liquidi o gassosi in syngas (una miscela di gas fra cui idrogeno e anidride carbonica).


La gassificazione è riferita alla trasformazione di combustibili solidi (carbone o biomassa). Nella gassificazione dalle biomasse, la biomassa viene trasformata in coke e poi in combustibile gassoso la cui energia deriva da idrogeno, metano e CO2. Anche in questo caso si arriva, attraverso varie fasi, alla separazione dell’idrogeno puro dai vari gas residui.

Gassificazione

Per l’elettrolisi la fonte è l’acqua ed energia elettrica. Con il termine elettrolisi si indicano le reazioni chimiche non spontanee di ossidoriduzione causate dal passaggio della corrente elettrica tra due elettrodi immersi in una soluzione acquosa. Si tratta di un metodo semplice e datato, realizzato scindendo la stessa acqua nei suoi componenti (idrogeno e ossigeno). L’idrogeno ottenuto non necessita di processi di purificazione, ma ha un costo di produzione più alto legato al prezzo dell’energia elettrica e dal tipo di fonte utilizzata per la stessa elettricità. Per abbassare costi ed emissioni si guarda alla produzione attraverso fonti rinnovabili. Attualmente questo processo copre solo una piccola parte del mercato, pari a circa il 5% della produzione mondiale.

Elettrolisi

Nei progetti dell’Unione europea per la decarbonizzazione si classificano diversi tipi di idrogeno in base alla fonte e alle emissioni rilasciate durante il processo di produzione. Fra le sorgenti primarie di idrogeno nel mondo ora c’è il gas naturale (circa 70 milioni di tonnellate di idrogeno prodotto ogni anno, utilizzando circa 205 miliardi di metri cubi di gas naturale). La seconda fonte è il carbone (circa il 23% della produzione globale). Il petrolio e l’elettricità rappresentano la restante produzione. La composizione chimica di questo elemento in ogni caso non cambia.

I colori dell’idrogeno

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L’idrogeno verde detto anche idrogeno rinnovabile è considerato il più ambientalmente sostenibile. Ha una produzione priva di emissioni come l’elettrolisi dell’acqua che utilizza energia elettrica da impianti rinnovabili. C’è poi l’idrogeno blu ottenuto da steam reforming del metano, catturando circa il 90% della CO2 prodotta nel processo e stoccandola, attraverso tecnologie di Carbon Capture and Storage. “Diversi altri colori si possono aggiungere alla lista, il fulcro della suddivisione in futuro sarà l’emissione di CO2 per kg prodotto di idrogeno, spariranno quindi i colori ma si tratterà la suddivisione in-

L’ARCOBALENO H2

Il cosiddetto idrogeno grigio è quello attualmente più diffuso. Proviene da fonti fossili come il metano e nella sua produzione genera CO2. Esiste anche l’idrogeno nero, quello più inquinante perché per la sua creazione viene impiegata energia elettrica proveniente da centrali a carbone o a gasolio. L’idrogeno marrone arriva dalla lignite senza cattura del carbonio. Per l’idrogeno viola la corrente elettrica che si utilizza per l’elettrolisi proviene da una centrale nucleare. In questo caso, non c’è quindi produzione di anidride carbonica, quello che va considerato però in termini di sostenibilità ambientale è il processo di smaltimento delle scorie radioattive. L’idrogeno blu è, invece, prodotto come quello grigio, ma prevede una tecnologia per la cattura e stoccaggio della CO2 grazie a una reazione chimica che sequestra l’anidride carbonica immagazzinata successivamente sottoterra. Un processo che ha però costi elevati. L’idrogeno verde è l’unico realmente sostenibile perché generato mediante elettrolisi, a partire da semplice acqua e da elettricità rinnovabile (idroelettrica, solare, solare fotovoltaica, da vapore geotermico, delle maree, da correnti sottomarine, eolica). Non c’è quindi emissione di CO2.

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dipendentemente dalla tecnologia, ma solo guardando le emissioni”, continua Maggi. Se le tecnologie sono mature o comunque in via di affermazione, bisogna lavorare ancora sulle condizioni economiche politiche e normative per l’avvio del mercato. Il prezzo è certamente un elemento importante per la creazione di un vero e proprio mercato dell’idrogeno proveniente da fonti rinnovabili. Il costo è infatti fortemente dipendente dalla fonte di produzione e dalla tecnologia utilizzata. Sino ad oggi veniva prodotto per il settore industriale - principalmente raffinerie e industria chimica - come la produzione dell’ammoniaca, attraverso processi di estrazione dai combustibili fossili, il cosiddetto idrogeno grigio. In questo caso, il suo costo risulta legato al prezzo della fonte, il metano ad esempio. Essendo un processo semplice e industrializzato con questa modalità di produzione si arriva pagare 1,5 euro per chilogrammo. Ovviamente questi costi con l’attuale caro dell’energia potrebbero variare. Ma più ci si sposta verso soluzioni più pulite più i prezzi salgono; se parliamo di idrogeno blu dobbiamo aggiungere anche il costo della Carbon Capture and Storage che lo porta a 2,5 euro per chilogrammo; quello verde, dipendente dal costo dell’energia, è variaL’idrogeno può essere prodotto bile ma comunque ad oggi è 4/5 volte più in maniera alto di quello grigio. sostenibile Secondo gli obiettivi della Commissione eurodando vita ad pea per l’idrogeno verde si dovrebbe raggiungere, in un’economia ogni caso, un costo inferiore a 2,5 euro per chilogrammo. virtuosa Ma un altro elemento fondamentale per la sua diffusione è la creazione di una rete infrastrutturale di rifornimento in grado di rispondere alle esigenze dei fruitori, come previsto dalla direttiva DAFI in via di aggiornamento. Un tema centrale, questo, anche per quel che riguarda la possibilità di diffusione dei camion a idrogeno. Questo vettore, infatti, è particolarmente utile all’autotrasporto merci per le sue caratteristiche. Si tratta di un gas molto leggero con una bassa densità energetica per volume. Se compresso può dare la stessa energia dei carburanti

I costi

Le infrastrutture

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alternativi già in uso. Di conseguenza offre la possibilità di lunghe percorrenze e brevi tempi di ricarica. Come spiega ancora Cristina Maggi, lo sviluppo dell’idrogeno nei trasporti pesanti è attenzionato a livello internazionale, europeo e nazionale. I costruttori, nazionali ed esteri, sono fiduciosi di poter immettere i primi veicoli su strada già a partire dalla prima metà del decennio in corso, con fabbriche anche in Europa. “Le tecnologie non sono nuove, per quanto riguarda l’idrogeno abbiamo due possibilità per utilizzarlo: in una cella a combustibile in grado di produrre energia elettrica combinando elettrochimicamente idrogeno, contenuto in un serbatoio a 350 oppure 700 bar, e ossigeno dell’aria per produrre energia elettrica, con scarto di sola acqua, ad alimentare un motore elettrico rendendo il veicolo a tutti gli effetti un veicolo elettrico, oppure bruciandolo all’interno di un motore a combustione interna. Le tecnologie sono già state testate, nonché messe in commercio da diversi costruttori per quanto riguarda le auto. Ora, soprattutto a livello europeo e italiano, servono le politiche abilitanti per la costruzione di un’infrastruttura dedicata. Le linee guida per una strategia a idrogeno italiana vedono trasporto pesante e ferroviario come linee prioritarie da sviluppare con obiettivi come una penetrazione di almeno il 2% di camion a lungo raggio a celle a combustibile entro il 2030, e una potenzialità di conversione di tratte ferroviarie a diesel del 50% con treni a idrogeno. Questi obiettivi si completano con i fondi stanziati nel PNRR per la costruzione di stazioni di rifornimento sul territorio nazionale. Anche il trasporto marittimo e l’aviazione stanno guardando all’idrogeno e ai suoi derivati come combustibile del futuro e stanno esplorando le varie possibilità tecnologiche che questo vettore energetico offre”. Un altro tema chiave quando si parla di idrogeno e trasporti è la sicurezza legata alla sua alta infiammabilità. “Probabilmente – chiarisce la direttrice di H2IT – questa rappresenta una delle preoccupazioni più comuni sollevate quando si discute dell’uso dell’idrogeno. Tuttavia, l’idrogeno non è più pericoloso di altri combustibili infiammabili o delle batterie utilizzate nelle auto elettriche. I veicoli con serbatoi di stoccaggio del gas a pressione non sono una novità. Auto a celle a combustibile con serbatoi di idrogeno esistono già e girano per le nostre strade nonché stazioni di rifornimento sicure. Come gli altri combustibili alternativi la sicurezza è un tema importante che deve essere preso in debita considerazione”.

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La strategia europea per l’idrogeno

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Gli obiettivi climatici dell’Unione europea C’è un motto di spirito che per anni è circolato tra gli addetti ai lavori dell’industria energetica: “Hydrogen is the fuel of the future – and it will always be”. L’allusione è piuttosto chiara. Per decenni, il dibattito sull’impiego dell’idrogeno come fonte energetica alternativa ha appassionato la comunità scientifica e incuriosito l’opinione pubblica. Ciò nonostante, tra ondate di entusiasmo e risacche di scetticismo, la realizzazione di tale promessa è stata via via differita e proiettata su un orizzonte temporale sempre più incerto. Ora, tuttavia, sembra che siano maturate le condizioni affinché l’affermazione di una vera e propria “economia dell’idrogeno” smetta di essere un miraggio o una vaga speranza per concretizzarsi invece come scenario imminente (se non fattuale). Insomma, il motto di spirito di cui sopra ha i giorni contati. Le trasformazioni epocali che attualmente stanno attraversando la comunità internazionale, Europa in testa, hanno infatti impresso una notevole accelerazione nella ricerca di strategie energetiche alternative rispetto a quelle tradizionali. L’imperativo ormai ineludibile di contrastare il cambiamento climatico, abbattere le emissioni di GHG, dismettere le fonti fossili e virare verso modelli di sviluppo sostenibile, ha convogliato un fortissimo interesse, ma soprattutto ingenti risorse, verso la promozione delle fonti rinnovabili, tra cui l’idrogeno. 21


Gli obiettivi climatici dell’Unione europea

Com’è noto, negli ultimi anni, l’Unione europea si è posta degli obiettivi ambientali sempre più ambiziosi. Non si tratta solo di buoni propositi da realizzare in via opzionale, ma di precisi impegni assunti sia internamente che in ambito internazionale. Ricordiamo innanzitutto i target fissati dall’Accordo di Parigi del 2015 e ribaditi nel corso dell’ultima COP26 di Glasgow (tra cui quello di contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5° rispetto all’era pre-industriale) e quelli fissati, nel 2019, dal Green New Deal, che impone di ridurre del 55% entro il 2030 le emissioni rispetto ai livelli del 1990, di raggiungere la Cop21 carbon neutrality (ossia, azzerare le emissioni nette di Paris 2015 CO2) entro il 2050, di abbattere del 90% le emissioni di GHG legate al trasporto entro il 2050 e di immettere nel parco circolante 80.000 camion a zero emissioni entro il 2030. A ulteriore ratifica del proprio impegno nella realizzazione di tali obiettivi, l’Ue ha varato un pacchetto di riforme draconiane noto come “Fit for 55” che, tra le altre cose, vieterà l’immatricolazione di autovetture nuove a combustione interna a partire dal 2035 (per i veicoli pesanti il termine per il phase out è stato posticipato dall’Italia al Cop26 2040). Glasgow Per raggiungere gli impegnativi traguardi che sono stati delineati, non si potrà fare affidamento su una sola 2021 “silver bullet”, una singola soluzione in grado di dare risposte ugualmente efficaci in ogni ambito di applicazione. Al contrario, occorrerà diversificare e adattare le strategie a seconda delle specificità dei contesti in cui si dovrà intervenire. Ciò è vero tanto più quando si tratta dei trasporti. Già in una comunicazione del 2013, la Commissione europea rilevava come “con riguardo al futuro della mobilità non vi è un’unica soluzione in materia di carburante e occorre tener presenti tutte le principali opzioni per i combustiGreen bili alternativi, alla luce delle esigenze di ciascun modo di trasporto. Per rispondere al fabbisogno a lungo termine New Deal di tutti i modi di trasporto, l’Unione deve adottare un approccio strategico che poggi su una gamma completa di combustibili alternativi”. E in questo quadro, il ruolo dell’idrogeno non può essere sottovalutato.

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Il programma dell’Ue sull’idrogeno e i trasporti L’idrogeno, e in particolare l’idrogeno verde, è uno degli alleati chiave per migliorare le performance ambientali dei mezzi di trasporto, responsabili (tra mobilità privata, pubblica e delle merci) di circa un terzo delle emissioni totali di CO2 sprigionate ogni anno in Europa. Alla luce di questa considerazione, l’Ue ha deciso di intensificare gli sforzi per favorire l’aumento della quota dell’idrogeno nel proprio mix energetico, portandola dall’attuale 2% al 13-14% entro il 2050. I documenti programmatici principali che, nell’ultimo decennio, hanno definito l’orientamento dell’Ue sul tema dell’idrogeno e delle sue applicazioni all’ambito dei trasporti sono:

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la COM(2013) 17 del 24-01-2013 (“Energia pulita per i trasporti: una strategia europea in materia di combustibili alternativi”); la Direttiva 2014/94/UE del 22-10-2014, relativa alla realizzazione di una infrastruttura per i combustibili alternativi; la COM(2018) 773 del 28-11-2018 (“Un pianeta pulito per tutti. Visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra”); la COM(2020) 301 del 08-07-2020 (“Una strategia per l’idrogeno per un’Europa climaticamente neutra”) a cui ha fatto seguito la Risoluzione del Parlamento europeo 2020/2242(INI) del 19-05-2021; • La COM(2020) 789 del 9-12-2020 (“Strategia per una mobilità sostenibile e intelligente: mettere i trasporti europei sulla buona strada per il futuro”).

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la COM(2021) 103 dell’8-03-2021 relativa all’applicazione della direttiva 2014/94/UE sulla realizzazione di un’infrastruttura per i combustibili alternativi. La COM(2020) 301, in particolare, indirizza l’impegno dell’Ue lungo cinque direttrici principali. Vediamo quali.

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Sostenere la domanda

La prima linea di intervento delineata è sostenere la domanda di idrogeno verde, soprattutto nelle fasi iniziali di sviluppo della filiera. Attualmente, infatti, questo vettore ha un costo troppo alto sia rispetto all’idrogeno nero/grigio che rispetto ai combustibili tradizionali. Un chilogrammo di idrogeno verde costa circa 4 euro, mentre la stessa quantità di idrogeno grigio/nero può essere acquistata per 1,5 euro. Per incoraggiare lo sviluppo di questo nuovo mercato, sarà quindi necessario trainare la domanda grazie all’intervento pubblico, ad esempio, attraverso l’imposizione di quote minime di utilizzo di idrogeno verde nel mix energetico nazionale o l’introduzione dell’obbligo di dotare le flotte del trasporto pubblico locale di una percentuale di veicoli ad idrogeno. Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio europeo sui combustibili alternativi (aggiornati al 2020) attualmente il parco circolante di mezzi FCEV nell’intera Unione si compone di 92 autobus (di cui 54 in Germania), 1841 autovetture, 303 veicoli commerciali leggeri e appena 9 mezzi pesanti.

Delineare un quadro normativo e fiscale ad hoc

In secondo luogo, è opportuno creare un quadro normativo e fiscale idoneo a regolare il mercato dell’idrogeno. Una delle prime azioni in tal senso è aggiornare il sistema di scambio delle quote di emissione (ETS) e approntare strumenti e criteri univoci per la certificazione di impatto ambientale di ciascuna unità di idrogeno comprata e venduta sul mercato. Per stimolare l’espansione del mercato, la Commissione evidenzia anche la necessità di rivedere le norme sugli aiuti di Stato e i sistemi di tariffazione e tassazione dell’energia. Nella Risoluzione 2020/2242, il Parlamento europeo ha osservato che “l’idrogeno rinnovabile potrebbe diventare competitivo prima del 2030, a condizione che siano posti in essere gli investimenti necessari e un quadro normativo adeguato e che le energie rinnovabili siano competitive”.

Incrementare la produzione

La terza azione da compiere è incrementare la produzione di idrogeno da fonti rinnovabili. Ciò servirà non solo ad allineare l’offerta rispetto ai target prefissati, ma anche ad abbattere drasticamente i costi della materia prima. Attualmente, infatti, il prezzo dell’idrogeno verde è proibitivo anche perché se ne produce poco ma, aumentando la disponibilità sul mercato, tale vettore diventerà senz’altro più conveniente. C’è tuttavia anche un secondo ordine di ragioni per cui è legittimo attendersi, insieme all’aumento della produzione, anche una riduzione del costo dell’idrogeno. Secondo un recente studio della Oxford Martin School, l’andamento del costo di produzione dell’idrogeno verde (al pari delle altre rinnovabili e a differenza dei fossili) segue la cosìddetta “curva di Wright”: ogni volta che la potenza elettrolitica


installata raddoppia, il costo di produzione diminuisce di una percentuale costante. Insomma: quanto più idrogeno verde si produce, tanto meno costerà produrlo. Da ciò i ricercatori concludono che “se la diffusione del fotovoltaico, dell’eolico e degli elettrolizzatori continuerà ad aumentare seguendo l’andamento esponenziale attuale almeno per un’altra decade, arriveremo a un sistema di emissioni nette zero entro venticinque anni”. Oltretutto, su questo fronte, l’Europa può sfruttare una posizione di netto vantaggio rispetto agli altri competitor internazionali, avendo un ruolo preminente nel campo della ricerca sugli elettrolizzatori. La linea di intervento concerne il sostegno alla ricerca in innovazione. Lo sviluppo e la produzione su larga scala delle tecnologie abilitanti è ovviamente uno dei fattori chiave per rendere l’uso dell’idrogeno efficiente ed economicamente appetibile. La ricerca sul fronte della tecnologia delle celle a combustibile, fondamentale per l’applicazione dell’idrogeno al trasporto, è stata finora guidata dall’Impresa comune “Celle a combustibile e idrogeno” (FCH JU), finanziata dal programma Horizon 2020. Da novembre 2021, tutte le attività dell’FCH JU sono state assorbite dal nuovo Partenariato per l’idrogeno pulito, nato nell’ambito del programma Horizon Europe 2021-2027.

Finanziare l’innovazione

Ultimo, ma non ultimo, la messa a terra delle infrastrutture necessarie al trasporto (costruzione di nuovi idrogenodotti o riconversione di gasdotti già presenti), lo stoccaggio e la distribuzione di idrogeno. Particolare attenzione è dedicata alla realizzazione di una rete di ricarica capillare, possibilmente collegata ai corridoi TEN-T, come previsto ad esempio dal progetto del Brenner Green Corridor. La realizzazione di una rete di ricarica capillare e diffusa su tutto il territorio europeo ha una centralità strategica fine del successo dei nuovi modelli di mobilità sostenibile. Già nella Direttiva del 2014 si sottolineava come “i veicoli a motore alimentati a idrogeno (…) presentano al momento tassi di

Realizzare le infrastrutture

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penetrazione del mercato molto ridotti; la costruzione di una sufficiente infrastruttura di rifornimento per l’idrogeno è pertanto essenziale per rendere possibile una diffusione su larga scala dei veicoli a motore alimentati a idrogeno”. Tuttavia, a distanza di 7 anni, nella Relazione sull’applicazione della Direttiva la Commissione osserva che “la mobilità a celle a combustibile a idrogeno rappresenta ancora un mercato di nicchia. Alcuni Stati membri segnalano grandi ambizioni per quanto riguarda la diffusione dei veicoli a celle a combustibile a idrogeno, il cui numero nell’Ue potrebbe salire a circa 300.000 entro il 2030. Tuttavia, circa la metà degli Stati membri non ha fornito alcuna stima e molti non sembrano ancora disporre di una strategia per l’idrogeno. Nel 2020 erano in funzione 125 stazioni di idrogeno, mentre gli obiettivi degli Stati membri indicano circa 600 stazioni entro il 2030. Poiché circa la metà non prevede alcuna infrastruttura, l’attuale stato di attuazione della direttiva comporterebbe una connettività limitata per i veicoli a idrogeno nell’Ue.” Lo scorso 13 aprile, in una lettera alla Commissione, ACEA – l’associazione europea dei costruttori – e l’agenzia Transport & Environment, avevano denunciato il grande ritardo con cui i Paesi membri stanno provvedendo alla realizzazione delle infrastrutture di ricarica per i veicoli green e la grande disomogeneità nella distribuzione di tali impianti. Le associazioni chiedevano pertanto una revisione della direttiva sull’Infrastruttura per i combustibili alternativi che imponesse la realizzazione di 300 punti di ricarica per l’idrogeno entro il 2025, da portare a 1000 entro il 2030.

La roadmap e i finanziamenti

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L’attuazione di questo programma prevede tre fasi: Nella prima fase, dal 2020 al 2024, l’obiettivo strategico è generare una potenza elettrolitica di almeno 6 GW e produrre fino a 1 milione di tonnellate di idrogeno rinnovabile. Nella seconda fase, tra il 2025 e il 2030, l’idrogeno dovrà diventare una parte imprescindibile del sistema energetico integrato europeo. L’obiettivo è generare almeno 40 GW di potenza elettrolitica e produrre fino a 10 milioni di Ton di idrogeno rinnovabile.


Nella terza fase, a partire del 2030 e con l’orizzonte temporale del 2050, le tecnologie basate sull’idrogeno rinnovabile dovrebbero raggiungere la maturità e trovare applicazione su larga scala. Di qui al 2050, gli investimenti complessivi in favore dell’idrogeno verde stanziati in Europa potrebbero attestarsi tra i 180 e i 470 miliardi. Solo il trasporto, la distribuzione e lo stoccaggio dell’idrogeno, insieme alle stazioni di rifornimento di idrogeno, richiederanno 65 miliardi di investimenti. In particolare, aprire altre 400 stazioni di rifornimento su strada di idrogeno di piccole dimensioni (in aggiunta alle 125 odierne) potrebbe richiedere investimenti compresi tra 850 milioni e 1 miliardo di euro. Pertanto, nell’immediato futuro, i fondi per l’attuazione della strategia per l’idrogeno saranno attinti principalmente dal Next Generation EU (si tenga presente, a questo proposito, che tra le aree di investimento individuate dal Next Generation EU ce n’è una espressamente dedicata al Recharge and Refuel) e da tutti i dispositivi ad esso connessi come il fondo InvestEU (le cui risorse sono per il 30% destinate alle azioni per il contrasto del cambiamento climatico), il fondo Horizon Europe, il fondo REACT-EU e il fondo per l’innovazione del sistema per lo scambio di emissioni (EU ETS). Per definire un’agenda di progetti strategici e coordinare le azioni tra i vari stakeholders coinvolti nella missione, l’Ue ha dato vita all’Alleanza europea per l’idrogeno pulito, un tavolo che vede la partecipazione di attori pubblici, esperti del settore, rappresentanti del mondo produttivo e della società civile. L’Alleanza ha attualmente individuato un insieme di quasi 1600 iniziative chiave che interessano tutti gli ambiti di intervento critici per l’affermazione di un’economia dell’idrogeno (produzione, distribuzione, applicazione alla mobilità, all’ambito residenziale e industriale) e in cui anche l’Italia è direttamente coinvolta. 27



La politica per l’idrogeno in Italia

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La strada italiana per la decarbonizzazione Al pari di altre Nazioni europee, l’Italia è attualmente impegnata nella realizzazione di un piano di riforme per convertire in ottica green ampie fette del proprio apparato produttivo. Nell’ambito dei nuovi dispositivi finanziari attivati dall’Unione europea per risanare le economie e le comunità nazionali dai disastrosi effetti dell’emergenza Covid-19, le risposte alla crisi pandemica si saldano indissolubilmente a quelle per la crisi climatica. Il programma Next Generation EU ha infatti stanziato ingenti risorse (più di 800 miliardi) per sostenere misure espansive e investimenti conformi ai quanto mai urgenti e non più differibili interventi in tema ambientale. Per poter attingere a tali fondi, ciascuno Stato membro è stato chiamato a presentare un piano di proposte in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione, digitalizzazione e semplificazione promossi dalla Comunità europea, prevedendo di destinare almeno il 37% del capitale eventualmente ricevuto alla transizione ecologica. I progetti dell’Italia sono articolati all’interno dell’ormai celebre Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Per orientare e coordinare l’azione dei sinPalazzo Chigi sede del Governo goli Stati membri, il Next Generation EU individua sette aree “flagship” per l’allocazione dei fondi, tra cui l’incremento della produzione di energia pulita, la promozione della mobilità sostenibile e l’aumento dei punti di rifornimento e ricarica per i mezzi a trazione alternativa. Energia e trasporti sono dunque due dei temi caldi su cui l’Europa intende sollecitare riforme radicali da parte degli Stati membri, e ciò non senza ragione. Come si legge nello Statistical Pocketbook pubblicato a 31


settembre dalla Commissione europea, le attività di trasporto producono mediamente il 25,8% delle emissioni complessive CO2 nell’Ue. Di queste, il 71% è imputabile al trasporto su strada, quota che in Italia sale al 79,4% (circa 95,8 milioni di tonnellate di CO2, su un totale di 120 legate direttamente al trasporto). Il settore dei trasporti è anche uno dei più energivori e, cosa che preoccupa maggiormente, è uno dei più legati all’uso di fonti fossili. Secondo i dati Eurostat, elaborati da GSE e riportati nella nota di approfondimento di giugno 2021, i trasporti sono responsabili di circa un terzo (34,5%) dei consumi finali di energia nel nostro Paese e a questa quota di consumi contribuiscono, purtroppo in maniera ancora preponderante, i prodotti petroliferi. A conti fatti, la quota di energia rinnovabile (o quota FER) impiegata in Italia dal settore dei trasporti, si aggira tra il 9% e il 10% ma, come osserva il rapporto GSE, su di essa incide principalmente il consumo di biocarburanti liquidi o gassosi – generalmente miscelati con i carburanti tradizionali di origine fossile – e di energia elettrica da fonti rinnovabili. L’impiego di altri vettori energetici rinnovabili (ad esempio l’idrogeno prodotto da fonti rinnovabili) è ancora estremamente limitato.

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Il Piano Nazionale per l’Energia e il Clima

Il Piano Nazionale per l’Energia e per il Clima, varato nel 2019, si propone di portare la quota FER nei trasporti al 20% entro il 2030. Formulando questo obiettivo, il PNIEC non solo recepisce ma rilancia le indicazioni contenute nella direttiva UE 2018/2001, che fissava la soglia minima da raggiungere al 14%. Naturalmente, la realizzazione di un target così ambizioso richiede l’attivazione di tutte le potenzialità latenti e l’esplorazione delle diverse alternative disponibili per far fronte alla domanda di trasporto. Il PNIEC insiste pertanto sul ruolo strategico dell’idrogeno, prevedendo che, entro il 2030, esso contribuirà per l’1% nel target FER-trasporti, soprattutto attraverso l’uso diretto in auto e autobus oltre che nella mobilità su rotaia.

Il piano MobilitàH2IT

Ma le prime indicazioni riguardo all’applicazione dell’idrogeno ai trasporti si trovano già all’interno del “Quadro strategico nazionale per lo sviluppo del mercato dei combustibili alternativi nel settore dei trasporti e la realizzazione delle relative infrastrutture” (D.Lgs. 16/12/2016, n.257). Il Decreto, dopo aver riconosciuto i vantaggi po-


tenziali dell’utilizzo di celle a combustibile, delineava uno scenario di introduzione dell’idrogeno nella mobilità italiana (MobilitàH2IT), individuando anche una mappa dei punti di ricarica da realizzare sul suolo nazionale entro il 2050. Rispetto alla realizzazione del piano MobilitàH2IT, nel testo erano evidenziati due ostacoli principali: il costo ingente dei veicoli FCEV e la carenza di impianti di produzione e di stazioni di distribuzione dell’idrogeno. Pertanto, si stimava opportuno lo stanziamento di fondi pubblici (europei, nazionali e locali) per 419 milioni nel periodo 2021-2025. Il decreto specificava, tuttavia, come non vi fosse ancora alcun impegno finanziario in tal senso. Il percorso tracciato dal Quadro strategico nazionale e dal PNIEC è stato ulteriormente sviluppato prima dalle “Linee guida preliminari della Strategia nazionale per l’idrogeno”, pubblicate nel 2020, e poi dalla “Strategia Italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra”, pubblicata nel gennaio 2021. Il primo documento stimava la penetrazione dell’idrogeno nella domanda energetica nazionale al 2% entro il 2030 e al 20% entro il 2050, prospettando, sempre entro il 2030, il raggiungimento di una capacità elettrolitica di 5GW. Per quanto concerne le applicazioni ai trasporti, nelle Linee guida si osservava che “Il mercato europeo dei camion a celle a combustibile sta accelerando, con i primi dieci camion a lungo raggio a celle a combustibile già operativi in Svizzera. L’Italia può seguire un simile percorso e si può prevedere una penetrazione di almeno il 2% di camion a lungo raggio a celle a combustibile entro il 2030”. Inoltre, per effetto di ulteriori strette sulle emissioni da parte delle autorità, “il segmento dei camion a lungo raggio potrebbe essere soggetto a una penetrazione più significativa, e crescere del 5-7% rispetto al suddetto 2%”. Più cauto invece l’outlook che emerge dalla Strategia italiana di lungo termine, secondo il quale “appare plausibile che nel trasporto passeggeri divengano dominanti elettricità e idrogeno (rinnovabili). Molto più complessa è la decarbonizzazione dei trasporti pesanti su strada, via nave e aerei”.

La strategia italiana

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Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza L’iniezione di risorse del Recovery Plan ha reso possibile un’accelerazione rispetto ai progetti inerenti la produzione e sperimentazione degli usi dell’idrogeno che sarebbe stata altrimenti impensabile e che scioglie qualsiasi riserva sulla loro importanza e fattibilità. Una quota consistente dei 222 miliardi stanziati dal PNRR e dal Fondo Complementare, infatti, è destinata alla transizione energetica (68,63 miliardi) e alla mobilità sostenibile (31,46 miliardi). Dei fondi destinati alla transizione energetica, 23,78 miliardi andranno alla missione M2C2 “energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile”, che punta, tra le altre cose, alla “promozione della produzione, distribuzione e degli usi finali dell’idrogeno”. Per questa finalità in particolare, vengono allocati 3,19 miliardi, di cui 300 milioni sono per la sperimentazione dell’idrogeno su rotaia e 230 milioni per la sperimentazione nel trasporto stradale. Per quanto riguarda questo secondo ambito, e nello specifico il trasporto merci, il PNRR conferma i trend di crescita ipotizzati nelle Linee guida preliminari, auspicando che l’incidenza sul mercato del segmento degli autocarri alimentati ad idrogeno possa raggiungere il 5-7% entro il 2030.

Le linee di intervento

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Il PNRR promuove in particolare alcune linee di intervento per l’incentivazione della mobilità a idrogeno. La prima condizione da soddisfare è innanzitutto l’incremento della produzione di idrogeno green (cioè quello ottenuto da elettrolisi dell’acqua con l’ausilio di energia rinnovabile). A questo proposito, occorre rilevare come, sebbene il PNRR ribadisca la volontà del Governo italiano di raggiungere una capacità di elettrolisi pari almeno a 5GW entro il 2030, esso stanzi risorse sufficienti solo per un impianto da 1 GW. Naturalmente, incrementare la produzione di idrogeno verde, richiede che si incrementi contestualmente anche la produzione di energia rinnovabile. Per questo, l’Italia dovrà riuscire a portare al 72% la


LE LINEE DI INTERVENTO

INCREMENTO DELLA PRODUZIONE DI IDROGENO GREEN

SPERIMENTAZIONE DELLE LINEE FERROVIARIE A IDROGENO

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INFRASTRUTTURA ADEGUATA ALLA DISTRIBUZIONE E AL TRASPORTO DI IDROGENO

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ASSICURARE IL PROGRESSO DELLA TECNOLOGIA DELLE CELLE A COMBUSTIBILE

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quota di energia elettrica verde, installando una capacità di almeno 70 GW di rinnovabili entro il 2030. In secondo luogo, occorre approntare un’infrastruttura adeguata alla distribuzione e al trasporto di idrogeno. Per quanto concerne il primo aspetto, il PNRR ha messo in agenda la creazione di 40 stazioni di rifornimento per il trasporto stradale e di 9 per quello ferroviario. La localizzazione di questi punti di rifornimento dovrà tenere conto di diversi fattori, tra cui la prossimità ai luoghi di produzione, agli snodi strategici (terminal, interporti) e alle tratte più battute dai mezzi a lunga percorrenza, con particolare riguardo per i corridoi TEN-T. A proposito delle infrastrutture per il trasporto dell’idrogeno, uno dei punti di forza dell’Italia sta nella capillare rete di gasdotti di cui dispone, che si può prestare, con i dovuti adeguamenti, ad un uso promiscuo metano-idrogeno. In terzo luogo, il PNRR incoraggia caldamente la sperimentazione delle linee ferroviarie a idrogeno. Questa è forse una delle applicazioni più promettenti dell’idrogeno nell’ambito dei trasporti: sappiamo, infatti, che i treni a celle a combustibile progettati da Alstom sono impiegati con successo ormai da qualche anno in Germania e progetti analoghi sono in fase di sperimentazione anche in altri Paesi. Soluzioni di questo tipo sarebbero particolarmente indicate anche in Italia, soprattutto come alternativa al diesel, lungo quei tratti di ferrovia non

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elettrificati e non elettrificabili. Nel Documento Strategico della mobilità ferroviaria, redatto dal Mims e pubblicato il 30 dicembre 2021, si osserva che l’implementazione di tecnologie a idrogeno è già da tempo allo studio e che “gli esiti di questa prima analisi interna hanno portato RFI a ritenere meritevoli di approfondimento oltre il 70% delle linee ad oggi oggetto di servizi regionali con materiale diesel (…) A conclusione di tali confronti, è risultato che dei circa 3.700 km di linee della rete RFI non elettrificati/non inseriti nei programmi di elettrificazione, l’estensione delle linee di possibile sviluppo dell’idrogeno nel breve-medio periodo è di circa 2.000 km per un fabbisogno complessivo nazionale di circa 5.000 Ton/anno. Il costo stimato degli impianti di terra per la produzione, l’accumulo e il rifornimento dei treni è, secondo una stima di larga massima, dell’ordine dei 160 milioni di euro, mentre quello in nuovi materiali rotabili a fuel cell e batterie è dell’ordine dei 1.150 milioni di euro”. Quarto punto, assicurare il progresso della tecnologia delle celle a combustibile, sfruttando soprattutto il know-how tecnologico che il Paese vanta. In questo modo, sarà possibile portare in tempi brevi tali soluzioni a un grado di maturità tecnologica tale da renderle pienamente affidabili e competitive sul mercato. Il PNRR promuove infine la riconversione di siti industriali attraverso la creazione di “Hydrogen Valley”, ossia aree in cui si concentrano la produzione e il consumo di idrogeno. Per la messa a terra di iniziative 36


di questo tipo, in cui si intrecciano e convivono interessi molteplici, è essenziale stabilire sinergie virtuose tra investitori pubblici e privati. Come è facile immaginare, la trasformazione green di intere filiere produttive, per quanto necessaria e auspicabile, non può dirsi mai indolore. Tuttavia, ciò che conta in questi casi sono soprattutto le prospettive di crescita che i cambiamenti dischiudono. Se molti modelli di business non sostenibili saranno destinati a cessare, è fondamentale che si generi parallelamente espansione in altri settori. A proposito degli effetti che la transizione energetica potrebbe avere sull’occupazione, le Linee guida preliminari pronosticavano che la catena del valore dell’idrogeno avrebbe portato alla creazione di 20mila nuovi posti di lavoro temporanei e 10mila posti fissi di qui al 2030. Recentemente, è intervenuto uno studio di Snam e The European House - Ambrosetti a dare delle stime riguardo al potenziale espansivo di questo nuovo corso in materia di politica energetica. Nel rapporto “H2 Italy 2050” si legge che l’intera filiera dell’H2, considerando effetti diretti, indiretti e indotto, nel periodo 2020-2050 potrebbe produrre tra gli 890 e i 1.500 miliardi di euro di valore. Ciò significherebbe un aumento, in termini di Pil, compreso tra 22 e 37 miliardi di euro al 2050. Per quanto riguarda l’occupazione, il rapporto stima che la filiera dell’idrogeno potrebbe creare un numero di nuovi posti di lavoro compreso tra 320 mila e 540 mila al 2050 (di cui 100mila entro il 2030).

L’impatto dell’idrogeno su Pil e occupazione

Un impianto di produzione di idrogeno in costruzione

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Hydrogen Valley, poli d’avanguardia

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Hydrogen Valley: i progetti in Italia La Strategia europea sull’idrogeno prevede la crescita dell’idrogeno verde nel mix energetico della Ue fino al 13-14% entro il 2050. In linea con gli obiettivi comunitari, l’Italia ha inserito nel PNRR alcune linee di azione in questa direzione. Fra queste ci sono interventi sulla ricerca e sugli usi finali che hanno lo scopo di promuovere le tecnologie legate all’idrogeno nella produzione, lo stoccaggio e la distribuzione. L’obiettivo del progetto è di sviluppare un vero network grazie anche alle cosiddette Hydrogen Valley, che altro non sono che veri e propri hub produttivi da realizzare in siti industriali dismessi. Si tratta, in generale, di aree poste in una posizione strategica per costruire una rete di produzione e distribuzione legata alle piccole e medie imprese e creare, così, un’economia in parte basata sull’idrogeno, dando a queste realtà una seconda vita e utilizzando, quando possibile, infrastrutture esistenti. Secondo quanto indicato nel documento del Governo italiano che accompagna il PNRR, da una prima indagine statistica del 2011 la superficie totale delle aree industriali nel territorio nazionale era allora di circa 9mila chilometri quadrati. Tanto per farci un’idea si tratta della stessa superficie che ricopre l’Umbria. L’idea, per contenere i costi nelle Hydrogen Valley, è di utilizzare aree già collegate alla rete elettrica. In una prima fase, si prevede una produzione di 1-5 megawatt per sito. In questa fase l’idrogeno sarà trasportato su camion o, nel caso in cui l’area di produzione sia già allacciata alla rete del gas, su condotte dedicate in miscela con gas metano. Si prevede anche la possibilità di effettuare rifornimento con idrogeno nelle stazioni per camion o trasporto pubblico locale. A tal proposito il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha inserito nelle sue missioni interventi con lo scopo di favorire la creazione di stazioni di rifornimento e implementare progetti di sperimentazione delle linee a idrogeno. Si tratta di distributori adatti per camion e auto, funzio41


nanti anche a pressioni di oltre i 700 bar. Si punta a promuovere la penetrazione del segmento degli autocarri a lungo raggio e a sviluppare circa 40 stazioni di rifornimento, dando priorità alle aree strategiche per i trasporti stradali pesanti come quelle in prossimità di terminal interni e più densamente attraversate da camion a lungo raggio. In Italia, iniziative in questa direzione sono presenti praticamente su tutto il territorio nazionale. Ne illustriamo alcune, partendo dal Nord e procedendo verso Sud.

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Il progetto in Val Camonica

In Lombardia, in Val Camonica, c’è un progetto che ha ricevuto anche il finanziamento da parte dell’Unione europea per la produzione e lo stoccaggio di idrogeno destinato al settore della mobilità, a partire dal trasporto ferroviario. L’iniziativa si chiama H2IseO ed è promossa da A2A, Snam e Ferrovie Nord Milano e prevede tre fasi. La prima riguarda l’arrivo dei primi 6 elettrotreni alimentati a idrogeno, realizzati da Alstom e consegnati entro il 2023. Entro lo stesso anno si lavorerà anche alla realizzazione di un primo impianto di produzione di idrogeno nella stazione di Iseo. La seconda fase vede l’arrivo di altri 8 elettrotreni; in questo modo verrà sostituita l’intera flotta in veicoli totalmente green. È prevista anche la realizzazione di uno o due ulteriori impianti di produzione di idrogeno in provincia di Brescia entro il 2025. Infine, nella terza e ultima fase, sarà possibile utilizzare l’idrogeno prodotto dagli impianti per altri veicoli oltre al treno.

Il polo in Piemonte

Fra le regioni italiane che si candidano come polo di produzione dell’idrogeno c’è anche il Piemonte. Con più di 3mila metri quadrati di aree dedicate, nella regione sono in corso importanti attività di sviluppo di soluzioni e prodotti. La Regione Piemonte, in collaborazione con la Città di Torino, ad


esempio, ha manifestato l’interesse nell’accogliere l’istituzione di un Centro Nazionale di Alta Tecnologia per l’Idrogeno, previsto dal PNRR. Ci si muove su 6 linee di intervento. Innanzitutto la ricerca, partendo da importanti realtà in questo campo come il Politecnico di Torino e l’Environment Park, con l’obiettivo di abbattere i costi. Poi la produzione di idrogeno verde da fonti rinnovabili, per cui possono essere utilizzate aree industriali dismesse. Successivo passo sarà la produzione dei treni e, ulteriore step, anche in questo caso, la conversione dal diesel di alcune linee ferroviarie. In programma c’è anche la realizzazione di stazioni di rifornimento per il trasporto pubblico locale e per quello commerciale su gomma. Infine, la conversione parziale del consumo di energia del settore industriale a idrogeno misto a gas, in particolare di quello alimentare, del cemento e del vetro. Per far questo la regione userà anche i fondi previsti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In Veneto, un’Hydrogen Valley sorgerà nell’area portuale di Porto Marghera, dove viene già sintetizzato idrogeno dalle industrie del settore chimico. Per questo è stato siglato memorandum di intesa tra Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale e il Gruppo Sapio con Hydrogen Park, consorzio nato quasi 20 anni fa con l’obiettivo di realizzare sperimentazioni su scala industriale relative all’idrogeno. L’idea è di un hub verde per trasformare l’ecosistema portuale in un polo energetico attraverso due progetti specifici. Il progetto PORTS8 mira a realizzare un centro di produzione di idrogeno e stazione di rifornimento stradale nell’area portuale di Porto Marghera; il progetto “SUNSHINH3” intende sviluppare un sistema di distribuzione innovativo di ammoniaca verde dal quale derivare l’approvvigionamento di idrogeno verde, azzerando le emissioni di anidride carbonica.

Porto Marghera in Veneto

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Intanto, è stato avviato anche uno studio di fattibilità con Eni e Ansaldo Energia, per un impianto che potrebbe entrare in funzione entro il secondo semestre di quest’anno per la produzione di idrogeno verde oppure blu.

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Il porto di Genova…

Le realtà portuali sono piuttosto attente a questo tema e si contendono il primato di prima Hydrogen Valley. In Liguria, anche il Porto di Genova viaggia in questa direzione con un progetto presentato al Ministero della Transizione Ecologica nell’ambito del programma Green Port, un’iniziativa collegata al PNRR per cui il MITE ha a disposizione 270 milioni di euro da distribuire alle autorità di sistema portuali per l’efficientamento energetico, la riduzione delle emissioni di CO2 e di altre emissioni inquinanti nei porti. A Genova, oltre alla realizzazione di più impianti fotovoltaici nelle aree portuali industriali e commerciali di Levante e Ponente, è prevista l’installazione di un elettrolizzatore per la produzione di idrogeno verde, alimentato dagli stessi impianti fotovoltaici, per alimentare a idrogeno alcuni nuovi mezzi operativi dell’Autorità di Sistema Portuale. Infine, si prevede la sostituzione del parco macchine dell’AdSP con 21 mezzi operativi totalmente elettrici e 5 alimentati a idrogeno.

…e quello di Livorno

Anche la Toscana, con Livorno, si candida a nodo primario dell’idrogeno. L’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale ha adottato un nuovo obiettivo strategico denominato HY.PER – Hydrogen Project for Energy & Resilience, per sviluppare azioni pilota e best practice nel solco della strategia nazionale sull’idrogeno da fonti rinnovabili. Secondo un’analisi realizzata da The European House Ambrosetti proprio per l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale, la costa toscana ha tutti gli attributi utili a trasformarsi in Hydrogen Valley marittimo-portuale, coprendo tutti


i segmenti della filiera dalla produzione allo stoccaggio al trasporto all’utilizzo finale. I campi di applicazione identificati sono il trasporto pesante all’interno del Porto di Livorno, il trasporto pubblico locale nelle province di Livorno e Pisa e l’alimentazione dei traghetti e la decarbonizzazione dei settori industriali hard to abate. Ma una fra le prime Hydrogen Valley portuali italiana potrebbe essere nel Lazio, a Civitavecchia. Con il progetto ZEPHYRO, del valore di circa 25 milioni di euro, l’Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno Centro Settentrionale vuole fare di Civitavecchia un esempio di porto verde realizzando su scala reale una serie di impianti mirati ad inserire nel bilancio energetico quantità di energie rinnovabili e di idrogeno verde che consentano una dimostrazione su scala significativa delle tecnologie della catena dell’idrogeno. L’idrogeno sarà utilizzato sia come vettore di accumulo energetico (da riconvertire in elettricità se necessario), sia come combustibile per sistemi di movimentazioni merci a zero emissioni. Il Porto di Civitavecchia è anche parte del consorzio Life3H cofinanziato dall’Unione europea, che vede l’Abruzzo capofila nell’ambito di un’iniziativa che porterà alla realizzazione di tre Hydrogen Valley - siti di produzione, stoccaggio e utilizzo di idrogeno integrato - nel centro Italia: una tra Avezzano e Ovindoli (in provincia de L’Aquila); una nel Lazio, nell’area del Porto di Civitavecchia; una in Umbria, nella zona di Terni. L’idrogeno prodotto da Life3H verrà destinato ad autobus a emissioni zero. Ma sulla Hydrogen Valley sta puntando anche l’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, che vuole trasformare il suo centro ricerche sulla via Anguillarese, alle porte di Roma, in un incubatore tecnologico per lo sviluppo dell’idrogeno verde attraverso l’utilizzo dei rifiuti (biomasse residuali) e l’impiego del calore rinnovabile a media-alta temperatura prodotto da impianti solari a concentrazione (vendi anche intervista a pag: 83). L’idea è frutto di un investimento da 14 milioni di euro proveniente da una missione internazionale fra 22 nazioni e la Ue per accelerare la ricerca sulle tecnologie pulite. Ovviamente in questa rivoluzione a farla da padrone è proprio l’idrogeno verde che si ottiene da fonti rinnovabili - come il fotovoltaico e l’eolico - e garantisce il minore impatto ambientale.

Civitavecchia porto verde

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In Puglia tre impianti

La Puglia Hydrogen Valley realizzerà, invece, tre impianti di produzione di idrogeno verde a Brindisi, Taranto e Cerignola, in provincia di Foggia. L’obiettivo del progetto, nato dalla sinergia di Edison, Snam, Saipem e Alboran Hydrogen, è la realizzazione dei tre impianti di produzione di idrogeno verde per una capacità complessiva di 220 megawatt e alimentati da una produzione fotovoltaica. Una volta a pieno regime, sarà possibile produrre fino a circa 300 milioni di metri cubi di idrogeno rinnovabile all’anno.

L’interesse del Molise...

Nella confinante Molise l’idrogeno non è ancora realtà, ma una delibera dello scorso febbraio ha aderito alla manifestazione di interesse del Mite per individuare le Regioni e le Province autonome interessate ad avviare, nei propri territori, una procedura di selezione di progetti che prevedano la riconversione di aree industriali dismesse e la realizzazione di centri di produzione e distribuzione di idrogeno, prodotto utilizzando unicamente fonti di energia rinnovabili.

…e della Calabria

Anche in Calabria l’alternativa dell’idrogeno risulta particolarmente appetibile. Di fronte all’assegnazione dei fondi per l’acquisto di treni a idrogeno per i collegamenti intercity Reggio Calabria-Taranto, il Comitato H2KR, per la promozione della filiera dell’idrogeno a Crotone ha sottolineato la necessità, da parte della Regione, di avviare la progettazione di quello che hanno chiamato Hydrogen Valley dello Ionio. Una necessità ribadita ancor prima anche dal Distretto Matelios. Il consorzio pubblico – privato operante nella ricerca e sviluppo aveva chiesto alla Regione Calabria di candidarsi ad ospitare il Centro nazionale di alta tecnologia per l’idrogeno previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.

In Sicilia un centro di alta tecnologia

Più a sud, intanto, anche la Sicilia si è candidata a ospitare il Centro nazionale di alta tecnologia per l’idrogeno, sulla base di quanto prescrive il PNRR e cioè che circa la metà degli investimenti siano localizzati nel Meridione. In alcuni settori, come quello della logistica, della realizzazione degli elettrolizzatori e delle celle a combustibile, esistono già aggregazioni di imprese, centri di ricerca e centri di competenze. Le aree più interessate sono quelle dei poli di raffinazione di Priolo, Gela e Milazzo e in genere i distretti produttivi dell’Isola.

Un progetto anche in Sardegna

Anche la Regione Sardegna ha approvato la proposta del progetto SH0RE (Sardinia Hydrogen ecosystem on Zero-emission Renewable Energy) per la creazione, l’avvio e la dimostrazione di una filiera sostenibile della produzione di idrogeno sull’isola che copra l’intera catena, dalla produzione di idrogeno rinnovabile attraverso la distribuzione di condotte fino all’uso finale nelle applicazioni dell’idrogeno in mobilità, energia e uso industriale (vedi anche intervista a A2A a pag. 77).


Le opportunità per i trasporti

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L’idrogeno nei trasporti L’utilizzo dell’idrogeno sta evolvendo costantemente in tutti i settori della mobilità. L’idrogeno, infatti, si presta particolarmente bene alla decarbonizzazione di quei settori in cui le emissioni sono “hard-to-abate” come l’industria siderurgica e chimica, ma soprattutto i trasporti. La connessione tra il potenziamento dell’idrogeno e la transizione del comparto trasportistico ha trovato recentemente una declinazione all’interno dei quattro Glasgow Breakthroughs, stilati a margine della COP26, che sanciscono allo stesso tempo l’impegno della comunità internazionale a rendere accessibili e convenienti i veicoli per il trasporto su strada a zero emissioni entro il 2030 e, sempre entro tale data, a rendere disponibile e conveniente l’idrogeno ottenuto da fonti rinnovabili o con processi a basse emissioni. In particolare, nell’ambito del trasporto pesante di linea su gomma, aereo e marittimo, dove l’utilizzo di mezzi BEV (cioè mezzi elettrici a batteria) risulta poco conveniente o al momento impraticabile, le tecnologie che fanno leva sull’idrogeno sono una scelta quasi obbligata. Anche il trasporto ferroviario può vedere l’impiego dell’idrogeno come alternativa ecologica al diesel, soprattutto lungo quelle tratte che non si prestano all’elettrificazione diretta. Attualmente le tecnologie basate sull’idrogeno disponibili nell’ambito dei trasporti sono rappresentate dai motori elettrici a celle a combustibile alimentate ad idrogeno (FCEV) e dai motori alimentati con combustibili liquidi sintetici ricavati dall’idrogeno. Mentre questi ultimi sono indicati in particolare per il trasporto aereo e marittimo, i primi, oltre ad essere ormai ben rodati in ambito aerospaziale, sembrano essere anche la soluzione più idonea per decarbonizzare il trasporto pesante su gomma. Le celle a combustibile hanno il vantaggio di occupare e pesare, a parità di energia sprigionata, molto meno delle batterie a bordo di un veicolo commerciale o industriale. Inoltre, i tempi di ricarica sono più brevi. Occorre tuttavia ricordare che la discussione sui limiti e i vantaggi dell’impiego dell’idrogeno nei trasporti è aperta. Secondo una previsione elaborata da Transport And Environment nel report “Renewable electricity requirements to decarbonise transport in 49


Europe with electric vehicles, hydrogen and electrofuels”, la scelta di estendere più dello stretto necessario l’impiego di mezzi a celle combustibili porterebbe in Europa, da qui al 2030, ad un aumento del 23% del consumo di energia rispetto a quello che si avrebbe se si optasse per l’elettrificazione diretta; un aumento che arriverebbe addirittura al 71% in uno scenario ove fossero preponderanti i motori alimentati a combustibili sintetici. Alcune tipologie di veicoli a idrogeno sono già disponibili sul mercato mentre altre lo saranno tra qualche anno. Tutti i costruttori infatti, dal comparto aereo a quello marittimo, dal ferroviario al trasporto su strada, stanno sviluppando soluzioni di questo tipo, per segnare il passo della transizione energetica e per aumentare la loro competitività sul mercato.

Trasporto aereo

Concept di un Turbofan in grado di trasportare tra 120 e 200 passeggeri

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Partiamo dal settore aereo. Già a fine 2020 il costruttore europeo Airbus ha rivelato tre concept per un velivolo ad emissioni zero che potrebbe entrare in servizio entro il 2035. Tutti questi progetti, denominati “ZEROe”, si basano sull’idrogeno


Il progetto Blendedwing body

come fonte di energia primaria, un’opzione che Airbus ritiene estremamente promettente come carburante pulito per l’aviazione. Si tratta di mezzi alimentati da motori a turbina a gas modificati che bruciano idrogeno liquido come combustibile. Allo stesso tempo, usano anche celle a combustibile a idrogeno per creare energia elettrica che integra la turbina a gas, ottenendo un sistema di propulsione ibrido-elettrico altamente efficiente. Il primo concept è un turbofan in grado di trasportare tra i 120 e i 200 passeggeri, con un’autonomia di oltre 2.000 miglia nautiche, alimentato da un motore a turbina a gas modificato per funzionare a idrogeno, anziché a jet fuel. L’idrogeno liquido sarà immagazzinato e distribuito attraverso serbatoi situati dietro una paratia posteriore pressurizzata. Il secondo è un velivolo più piccolo, fino a 100 passeggeri, che utilizza un motore a turboelica, alimentato dalla combustione dell’idrogeno in motori a turbina a gas modificati. Sarebbe in grado di percorrere più di 1.000 miglia nautiche, quindi per i viaggi a corto raggio. Il terzo è un progetto “blended-wing body”, fino a 200 passeggeri in cui le ali si fondono con il corpo principale dell’aereo con una portata simi51


Il prototipo di aereo Flyzero

Gli aeroporti

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le a quella del concept di turbofan. La fusoliera, eccezionalmente ampia, apre molteplici opzioni per lo stoccaggio e la distribuzione dell’idrogeno e per la disposizione della cabina. Ma Airbus non è l’unico a studiare velivoli a idrogeno. Alla fine dello scorso anno l’Aerospace Technology Institute britannico ha presentato FlyZero, un prototipo di aereo a idrogeno liquido, in grado di trasportare 279 passeggeri su lunghe distanze senza scalo. L’aereo immagazzinerebbe l’idrogeno a -250 gradi Celsius in serbatoi di carburante criogenico nella parte posteriore dell’aereo e in due serbatoi “guancia” più piccoli lungo la fusoliera anteriore per mantenere l’aereo bilanciato. Anche ZeroAvia, una start-up anglo-americana con sede in California, sta portando avanti un progetto di un aereo alimentato a idrogeno. Un prototipo a idrogeno con motori elettrici ha già volato nel corso del 2020 e ZeroAvia prevede di offrire i primi piccoli voli commerciali già a partire dal 2023 su un modello in grado di trasportare fino a 20 passeggeri. Il passo successivo è quello di immettere sul mercato dell’aviazione entro il 2026 un aereo capace di trasportare 50-100 passeggeri e di volare per 1.600 chilometri con un solo rifornimento di idrogeno. L’idrogeno non solo potrà abbattere le emissioni degli aerei ma anche delle attività di trasporto aereo a terra. Ed è per questo che anche gli aeroporti stanno iniziando a ripensare a come le loro infrastrutture potrebbero essere progettate e gestite e come l’idrogeno potrebbe soddisfare le esigenze delle operazioni quotidiane. In Italia, ad esempio, l’aeroporto di Torino, ha siglato un accordo con Snam per la realizzazione di una cella a idrogeno che sarà installata sullo scalo nel secondo trimestre del prossimo anno. Si tratta di un impianto cogenerativo da 1,2 Mw di energia elettrica e 840 kWh di calore ogni ora e potrà essere alimentato con idrogeno miscelato, fino al 40% in volume, con gas naturale. Anche Sea, la società che gestisce gli aeroporti milanesi di Linate e Malpensa, ha stretto un accordo della durata di 22 anni con Snam per la fornitura di idrogeno. L’obiettivo è rendere Malpensa un hub di generazione e utilizzo di idrogeno verde per la logistica interna all’aeroporto e per eventuali collegamenti esterni. Anche in questo caso l’impianto dovrebbe essere pronto per il 2023-2024.


Ultimo in ordine di tempo è poi l’accordo firmato da Save, la Società che gestisce l’aeroporto Marco Polo di Venezia, con Airbus e Snam per promuovere l’utilizzo dell’idrogeno come vettore energetico sostenibile. La collaborazione tra le 3 società riguarderà l’infrastruttura tecnologica necessaria per il rifornimento di idrogeno sia agli aeromobili che ai mezzi aeroportuali, con la possibilità di valutare soluzioni efficaci anche per le necessità energetiche legate allo scalo, rendendo l’intero sistema aeroportuale a zero emissioni. Inoltre potrà essere attuata una sinergia intermodale con il trasporto su gomma e rotaia. Anche in Francia Air Liquide, Airbus e Groupe ADP hanno firmato un protocollo d’intesa per preparare gli aeroporti di Parigi all’era dell’idrogeno. Come primo step, verrà avviato uno studio che coinvolgerà un panel rappresentativo di circa 30 aeroporti in tutto il mondo per valutare le potenziali configurazioni per la produzione, fornitura e distribuzione di idrogeno liquido. Verranno poi elaborati scenari dettagliati e i piani per gli aeroporti parigini Paris-Charles de Gaulle e Paris-Orly. Questi scenari saranno essenziali nella definizione dell’infrastruttura richiesta e per identificare e integrare i vincoli relativi sia agli standard di sicurezza industriale, sia alle norme previste per l’aeronautica.

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I progetti nel settore marittimo

Il progetto HySeas III per il primo traghetto europeo a celle a combustibile

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Anche nel settore marittimo, che ad oggi rappresenta circa il 3% delle emissioni di C02 a livello globale, sono molti i progetti che vedono al centro l’idrogeno. L’Unione europea, ad esempio, sta finanziando il progetto HySeas III per realizzare il primo traghetto europeo alimentato a celle a combustibile, che sarà in grado di trasportare fino a 120 passeggeri e 16 automobili o 2 camion. La nave è stata progettata per percorrere la rotta tra Kirkwall e Shapinsay nell’arcipelago delle Orcadi, al largo della costa settentrionale della Scozia, dove il carburante a idrogeno è prodotto utilizzando l’energia eolica. Tuttavia, il traghetto sarà anche in grado di operare in altri porti dove potrà essere disponibile l’idrogeno. Un altro progetto europeo che ha preso il via lo scorso anno è e-SHyIPS (Ecosystemic knowledge in Standards for Hydrogen Implementation on Passenger Ship), volto a definire le nuove linee guida per un’efficace introduzione dell’idrogeno nel settore del trasporto marittimo di passeggeri. Ma anche l’italiana Fincantieri sta studiando l’idrogeno applicato alla propulsione delle navi (vedi anche intervista a pag. 88). La società ha da poco varato Zeus, Zero Emission Ultimate Ship, un’unità navale sperimentale alimentata tramite fuel cell per la navigazione in mare. Lunga circa 25 metri e pesante 170 tonnellate, ZEUS è un laboratorio galleggiante che acquisirà informazioni sul comportamento nell’ambiente reale delle fuel cell. L’impianto di Zeus, che si somma a un apparato ibrido diesel (2 diesel generatori e 2 motori elettrici), viene alimentato da circa 50 kg di idrogeno contenuti in 8 bombole a idruri metallici e un sistema di batterie. Insieme consentiranno un’autonomia di circa 8 ore di navi-


gazione a zero emissioni a una velocità di circa 7,5 nodi. Quattro le modalità di alimentazione dei motori, fra cui Zero Noise (solo batterie al litio, autonomia di 4 ore di navigazione alla velocità di 4 nodi) e Zero Emission (energia fornita dalle fuel cell). A luglio dello scorso anno, inoltre, Fincantieri ha firmato un Memorandum of Understanding con la Divisione Crociere del Gruppo MSC e Snam per valutare congiuntamente la progettazione e la realizzazione della prima nave da crociera al mondo alimentata a idrogeno. Le tre aziende realizzeranno inizialmente uno studio di fattibilità finalizzato a esaminare i requisiti per costruire la nave e le relative infrastrutture di stoccaggio. Oggetto di studio saranno l’organizzazione degli spazi a bordo per ospitare le nuove tecnologie H2 e le celle a combustibile, la definizione dei parametri tecnici dei sistemi di bordo, il calcolo dei potenziali risparmi sulle emissioni di gas serra e un’analisi tecnica ed economica della fornitura di idrogeno e delle relative infrastrutture. Le iniziative si stanno moltiplicando anche all’interno dei porti. L’Italia, anche attraverso Enea, partecipa ad esempio ad H2PORTS, un progetto europeo del valore di 4 milioni di euro, in base al quale il porto spagnolo di Valencia sarà il primo in Europa a sperimentare mezzi alimentati a idrogeno per ridurre l’impatto ambientale delle sue attività. Il progetto prevede l’installazione di una stazione di idrogeno mobile a supporto della decarbonizzazione della catena logistica del porto. Enea ha sviluppato un mezzo a idrogeno per la movimentazione delle merci appunto nello scalo dal Gruppo Grimaldi nel terminal ro-ro gestito dalla sua consociata Valencia Terminal Europa.

I porti

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Lo yard truck sviluppato da Enea

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Si tratta di un trattore portuale 4x4 alimentato a idrogeno dotato di un propulsore ibrido a celle a combustibile e di batterie litio-ioni, che consentiranno di svolgere le consuete operazioni di logistica portuale di carico e scarico delle merci dalle navi cargo. L’utilizzo dell’idrogeno garantirà una buona autonomia operativa, tempi di rifornimento brevi, bassi costi di manutenzione e zero emissioni. Il sistema di accumulo del prototipo del trattore portuale avrà una capacità complessiva di circa 12 chilogrammi di idrogeno, in grado di garantire un funzionamento continuo di almeno sei ore. Oltre allo yard truck saranno messi a punto e validati sul campo dagli altri partner del progetto anche un carrello elevatore (reach stacker) e una stazione di rifornimento mobile. Anche il porto di La Spezia sta studiando soluzioni a idrogeno. Una possibilità potrebbe arrivare da ASG Superconductors, azienda italiana specializzata in magneti e cavi superconduttori, che ha illustrato le possibili sinergie della tecnologia superconduttiva ad alta temperatura mgb2 con le applicazioni legate al mondo idrogeno. In futuro, quindi, potrebbe bastare un cavo a trasportare, contemporaneamente, sia energia elettrica sia idrogeno con importanti benefici in termini di footprint e riduzione a zero delle dispersioni sia in applicazioni legate al mondo trasporti che al cold ironing nei porti. Il cold ironing consiste nella realizzazione di una rete di sistemi per la fornitura di energia elettrica dalle banchine alle navi ormeggiate, permettendo di ridurre al minimo l’attività dei motori e con esso anche le emissioni di nocive e l’impatto acustico. L’Autorità portuale di Amburgo ha invece siglato da poco un Memorandum of Understanding con il produttore di idrogeno Air Products per lo sviluppo di una completa catena del valore dell’idrogeno nel porto tedesco. I due partner mirano ad accelerare la produzione, lo stoccaggio, la distribuzione, l’utilizzo finale e il consumo di idrogeno nel nord della Germania.


Le soluzioni per il trasporto ferroviario Un altro settore di interesse per l’idrogeno è il trasporto ferroviario. I treni a idrogeno sono disponibili già da alcuni anni. Nel 2016, Alstom (vedi anche intervista a pag. 75) ha lanciato il Coradia iLint, diventando il primo produttore ferroviario al mondo a sviluppare un treno passeggeri basato sulla tecnologia dell’idrogeno. I primi due treni iLint 100% H2 di pre-serie sono entrati in servizio commerciale nel 2018 in Germania e hanno già percorso oltre 200.000 chilometri. La sperimentazione è andata molto bene tanto che la Germania ha ordinato 41 convogli che saranno consegnati a partire da quest’anno. A fine 2020 FS Italiane e Snam hanno sottoscritto un Memorandum of Understanding per valutare la fattibilità tecnico-economica e nuovi modelli di business legati allo sviluppo e alla diffusione dei trasporti ferroviari a idrogeno in Italia. L’accordo prevedeva la sperimentazione di soluzioni tecnologiche innovative legate alla produzione, al trasporto, alla compressione, allo stoccaggio, alla fornitura e all’utilizzo dell’idrogeno per contribuire allo sviluppo della mobilità sostenibile, anche partecipan-

Alstom Coradia iLint il primo treno basato sulla tecnologia a idrogeno

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do insieme a iniziative congiunte oggetto di potenziale finanziamento o gara d’appalto pubblica. Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono indicati diversi progetti di conversione a idrogeno di reti ferroviarie non elettrificate in Lombardia, Puglia, Sicilia, Abruzzo, Calabria e Umbria ed altri sono attualmente allo studio in Sardegna, Piemonte, Lazio, la Toscana e Emilia-Romagna. Sarebbero così 11 le regioni che potrebbero sperimentare, nell’immediato futuro, l’utilizzo di treni a idrogeno. Nel dettaglio, le linee sono la Cuneo-Ventimiglia e la Novara-Biella in Piemonte, la Brescia-Iseo-Edolo in Lombardia, la Lucca-Aulla e la Firenze-Faenza (Faentina) tra Toscana ed Emilia-Romagna, la Terni-Rieti-Sulmona, che attraversa Umbria, Abruzzo e Lazio, e la Alghero centro-aeroporto in Sardegna. Verso sud troviamo la Lecce-Leuca in Puglia, la Reggio Calabria-Catanzaro e, in Sicilia, le tratte Siracusa-Modica, Modica-Gela, Gela-Canicattì e Gela-Lentini. Uno dei progetti al momento più avanzati è H2ISEO, che persegue l’obiettivo di creare una Hydrogen Valley in Valcamonica. Grazie ad un accordo tra Ferrovie Nord Milano Alstom, già nel 2023 in Lombardia saranno operativi 6 treni a idrogeno, a cui se ne aggiungeranno altri 8 nel 2026, che andranno progressivamente a sostituire i 14 treni diesel attualmente in circolazione sulla linea ferroviaria Brescia-Iseo-Edolo. Il piano prevede inoltre la realizzazione di un primo impianto di produzione, stoccaggio e distribuzione di idrogeno blu (cioè ottenuto per steam reforming, ma con sistemi di cattura del carbonio) tra il 2021 e il 2023, nell’area deposito Trenord, dove attualmente avviene il rifornimento dei treni diesel. Entro il 2025 saranno realizzati anche uno o due ulteriori impianti di produzione e distribuzione di idrogeno verde, lungo il tracciato della ferrovia. Si prevede infine, sempre entro il 2025, di estendere la soluzione idrogeno al trasporto pubblico locale, a partire dai circa 40 mezzi gestiti in Valcamonica da FNMAutoservizi (società al 100% di FNM), con la possibilità di aprire all’utilizzo da parte della logistica merci e/o privata. L’investimento totale per il progetto H2ISEO è ad oggi preliminarmente stimato in circa 292 milioni, di cui circa 165 sono destinati alla ferrovia. 58


Mezzi a idrogeno anche su strada Anche per i produttori di mezzi pesanti l’idrogeno sta diventando un’alternativa percorribile e molti mezzi a idrogeno sono già stati svelati. Soprattutto per quanto riguarda le lunghe percorrenze, la via dell’elettrico è infatti piuttosto complicata: per garantire maggiore autonomia bisognerebbe ricorrere a batterie più grosse, che diventerebbero di fatto un ingombro. E il camion si ritroverebbe a trasportare meno carico per fare spazio alla batteria. Le case costruttrici sono già impegnate da tempo nello sviluppo di mezzi pesanti a idrogeno, da Hyundai a Volvo a Nikola. L’argomento sarà affrontato nel dettaglio nel prossimo capitolo ma possiamo anticipare che sono in corso diversi progetti per sviluppare la mobilità. Ad esempio, Iveco e Air Liquide hanno firmato un memorandum d’intesa con lo scopo di mettere a sistema le rispettive competenze: Air Liquide per quanto riguarda tutta la filiera di produzione, stoccaggio e distribuzione dell’H2 e Iveco nello sviluppo di mezzi pesanti con propulsione green. L’obiettivo dell’alleanza è quello di sviluppare parallelamente camion a fuel cell e una rete di HRS (Hydrogen Refueling Station) lungo i principali corridoi europei di trasporto, oltre a favorire la diffusione della mobilità a idrogeno attraverso iniziative che possano coinvolgere altri stakeholder lungo tutta la catena del valore. E a proposito di impianti di rifornimento, a settembre dello scorso 59


Impianto a idrogeno sull’autostrada del Brennero

anno si è svolto il primo rifornimento di un veicolo industriale in Italia, lungo l’asse del Brennero. Il primo impianto in Italia per la produzione, lo stoccaggio e la distribuzione di idrogeno verde è stato inaugurato a Bolzano Sud nel 2014. L’impianto, realizzato da Autostrada del Brennero è gestito dall’Istituto per Innovazioni Tecnologiche (IIT), è in grado di produrre 180 normal metri cubi di idrogeno all’ora, per un totale annuo di oltre 1,5 milioni di normal metri cubi di combustibile pulito, prodotto dalla centrale idroelettrica di Cardano. Il distributore di idrogeno ha la capacità di rifornire circa 15 autobus ad idrogeno al giorno con autonomia di 200-250 chilometri o fino a 700 autovetture. Alla fine di settembre 2021, un autotreno elettrico della Hyundai alimentato con celle a combustibile ha iniziato la sperimentazione lungo l’asse del Brennero e in questo contesto ha svolto il primo rifornimento di idrogeno.

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Strada: l’impegno delle case costruttrici

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Il futuro a idrogeno dei mezzi pesanti Un veicolo a idrogeno è un qualsiasi mezzo che utilizza l’idrogeno come carburante, capace dunque di convertire l’energia chimica di questo elemento in energia meccanica. Non potrebbe esserci, però, definizione più semplicistica di questa. Molto cambia, infatti, a seconda della tecnologia utilizzata per ottenere questa trasformazione e per far sì quindi che il veicolo si muova. Ad oggi la conversione da energia chimica a energia meccanica dell’idrogeno avviene principalmente in due modi che si riassumono in due sigle: HICEV (Hydrogen Internal Combustion Engine Vehicle), che fa riferimento a un processo in cui l’elemento chimico è bruciato in un motore a combustione interna, e FCEV (Fuel Cell Electric Vehicle), che descrive la tecnologia in base alla quale l’idrogeno reagisce con l’ossigeno in una pila a combustibile, producendo elettricità. Come funziona la combustione diretta dell’idrogeno? Volendo essere sintetici, i veicoli con tecnologia HICEV bruciano l’idrogeno nel motore per convertire la sua energia chimica esattamente come accade con gli altri combustibili, benzina o gasolio. Sebbene la tecnologia delle celle a combustibile, anche sulla scorta della generale spinta all’elettrificazione della mobilità, resti la più attenzionata, la versione dei veicoli a idrogeno con motore a combustione interna sta riprendendo piede. È certamente vero che il sistema fuel cell sia quello più green, dato che un mezzo con questa propulsione produce di fatto solo vapore acqueo e quindi zero emissioni. È anche vero, però, che i veicoli HICEV producono molte meno emissioni rispetto ai mezzi con alimentazioni tradizionali, fossili (generano tracce di ossidi di azoto dovute a minimali quantità di olio che possono finire in camera di scoppio, ma comunque non anidride carbonica).

La tecnologia HICEV

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Il dibattito attuale, d’altronde, appare meno netto di quello passato: se prima si andava spediti verso una repentina elettrificazione, oggi si comincia a considerare una transizione più morbida: certamente il futuro dei trasporti sarà elettrificato o comunque ad emissioni totalmente azzerate, ma nel frattempo, anche considerata l’impreparazione strutturale del nostro Paese (e non solo), una tecnologia di transizione – come quella che utilizza i motori endotermici tradizionali spinti da carburanti alternativi – può essere straordinariamente preziosa. In attesa dell’azzeramento delle emissioni, insomma, si può procedere quantomeno a una riduzione degli inquinanti, raggiungibile anche attraverso i veicoli con motore termico che però si riforniscono di idrogeno.

Daf

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Le case costruttrici hanno dimostrato di crederci e di investirci. È il caso di Daf che, mentre la casa madre Paccar si concentra sulla tecnologia delle celle a combustibile, ha deciso di sviluppare un motore a combustione interna che utilizza l’idrogeno. Rispetto alla soluzione con celle a combustibile, l’opzione con motore termico ha i suoi vantaggi: innanzitutto, non ha necessità di un sistema di accumulo dell’energia di grandi dimensioni e poi, come sostenuto dalla casa di Eindhoven, abbisogna di una capacità di raffreddamento inferiore e risente di una minore sensibilità alla purezza dell’idrogeno. Le case europee che si


occupano della produzione di veicoli industriali, anche sulla scia dei diktat dell’Unione europea sempre più stringenti, hanno unitamente espresso l’intenzione di non utilizzare più carburanti fossili sui veicoli commerciali già a partire dai prossimi decenni ma ritengono comunque che i motori a combustione interna possano costituire ancora un ottimo potenziale in ottica futura, in particolare nel segmento dei trasporti a lungo raggio per impieghi gravosi. Sarà proprio in virtù di questi vantaggi che il Daf XF H2, che monta il motore tradizionale alimentato a idrogeno, si è aggiudicato il Truck Innovation Award 2022, il riconoscimento legato al premio Truck of the Year che premia le nuove tecnologie promettenti in grado di giocare un ruolo cruciale nell’ottica di un futuro sostenibile nel settore dei veicoli per il trasporto merci. Anche Scania non si allontana eccessivamente dalla tecnologia HICEV. La casa svedese, insieme a Westport Fuel Systems, società impegnata nel settore dei combustibili gassosi, ha deciso infatti di lavorare su un camion (o autobus) a idrogeno, anche ad iniezione diretta. Il progetto di ricerca siglato tra le due aziende intende testare l’applicazione del più recente sistema di alimentazione HPDI 2.0TM ad idrogeno all’altrettanto recente motore per veicoli industriali Scania. L’utilizzo dell’idrogeno in un motore tradizionale con il sistema di alimentazione HPDI potrebbe offrire un nuovo percorso competitivo in termini sia di costi che di riduzione delle emissioni di CO2 nei trasporti. L’obiettivo è sempre il medesimo: trovare un’alternativa economica e competitiva alle celle a combustibile fornendo, allo stesso tempo, un profilo simile di riduzione delle emissioni di gas serra.

Scania

Anche in Italia si porta avanti lo studio sul motore a combustione interna alimentato ad idrogeno. A farla da protagonisti in questo senso sono Punch Torino, centro di ingegneria, e AVL, sede italiana della società austriaca specializzata nello sviluppo, simulazione e collaudo di powertrain, che hanno già assemblato un primo prototipo. L’unità motrice in questione, che si stima possa essere montata su un veicolo già alla fine del 2022, è di base un diesel di alta cubatura, un 6,6 litri per 200 kW di potenza dedicato ai veicoli pesanti. Alla sua prima applicazione penserà Industria Italiana Autobus, che lo installerà su un

L’HICEV in Italia

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veicolo urbano testato da Tper (Trasporto Passeggeri Emilia-Romagna). Dunque, la tecnologia HICEV è tornata al centro degli interessi di case automobilistiche e centri di ricerca. Le motivazioni sono da ravvisare, come già detto, in un’utilità dei mezzi dotati di questo tipo di motorizzazione in un’ottica di transizione morbida verso le emissioni zero. Ma perché proprio adesso si è riscoperta l’importanza dei motori termici alimentati ad idrogeno? Innanzitutto, perché dal punto di vista ingegneristico è cambiata la tecnologia, soprattutto per quanto concerne la camera di combustione, e perché si dispone di nuovi materiali avanzati, necessari per contrastare i problemi di corrosione che l’idrogeno può provocare. È inoltre cambiata anche la tecnologia dei serbatoi: quelli di nuovissima generazione, infatti, permettono di conservare l’idrogeno anche a una pressione di 700 bar. Allo stato attuale non si deve pensare comunque a una opposizione tra tecnologia fuel cell e tecnologia termica: l’adozione di un approccio multitecnologico, e quindi di un’offerta di prodotto variegata, deve essere considerata una risorsa, anche tenendo conto della necessità di non aumentare troppo il Total Cost of Ownership dei veicoli di cui le aziende sono dotate.

La tecnologia FCEV

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Sebbene i veicoli HICEV siano tornati d’attualità, la tecnologia Fuel Cell resta comunque la tecnologia di riferimento. L’idrogeno del futuro, d’altronde, è immaginato così: a emissioni totalmente azzerate. Ma comprendiamone meglio il funzionamento e le caratteristiche. I veicoli che sfruttano la modalità FCEV (appunto, i Fuel Cell Electric Vehicle) si muovono attraverso l’innesco di una reazione dell’idrogeno con l’ossigeno in una pila a combustibile. Si potrebbe credere che, per la sua portata innovativa, sia una tecnologia dell’ultimo presente, ma non è così: questa “scoperta” risale all’Ottocento ed è stata utilizzata sulle capsule spaziali dalla Nasa per la prima volta nel 1962. Andiamo ancora più nello specifico del funzionamento dei mezzi FCEV: la cella combustibile dei mezzi a idrogeno è dotata di due elettrodi, uno positivo, chiamato anodo e uno negativo, detto catodo, dall’unione dei quali si ottiene energia elettrica con un processo inverso a quello dell’elettrolisi. Dalla reazione chimica tra ossigeno, di cui è saturo l’elettrodo positivo, e l’idrogeno del polo negativo si genera l’elettricità con cui alimentare il movimento del veicolo, mentre gli scarti del processo sono semplicemente calore e acqua, uniche emissioni dei veicoli a idrogeno. Il principale vantaggio dei veicoli a idrogeno, come si è visto, riguarda la possibilità di ridurre drasticamente le emissioni nocive evitando la produzione di gas serra tramite lo scarico, da cui, al contrario, fuoriesce soltanto vapore acqueo.


I veicoli FCEV hanno dunque, come più volte ripetuto, il vantaggio ambientale di azzerare totalmente le emissioni (se si considerano solo, ovviamente, le emissioni a valle e non anche quelle a monte che attengono alla produzione, allo stoccaggio e alla distribuzione dell’idrogeno). In questo possono essere paragonati ai veicoli con tecnologia BEV (Battery Electric Vehicle), rispetto ai quali però si ritiene che quelli a idrogeno siano più vantaggiosi: i mezzi FCEV, rispetto a quelli BEV, permettono, infatti, di ricaricare le batterie del motore elettrico in maniera molto più rapida e offrono una densità specifica di energia molto elevata, pari a oltre 200 volte quella degli ioni di litio. A ciò corrisponde anche una maggiore autonomia, che rende possibile provvedere ad un rifornimento di idrogeno in pochi minuti rispetto ai veicoli a batteria, che richiedono, al contrario, diverse ore per essere totalmente ricaricati. Ovviamente non si tratta di una tecnologia da intendere, ad oggi, come la panacea di tutti i mali. Soprattutto per i tempi attuali, particolarmente immaturi sotto vari profili, i mezzi a celle a combustibile presentano anche degli svantaggi che ne condizionano la definitiva affermazione sul mercato. C’è in primo luogo il problema dell’assenza pressoché totale delle stazioni di rifornimento sul territorio, ma non solo: se da una parte questi veicoli richiedono bassi costi di manutenzione, dall’altra sono dotati di una tecnologia piuttosto costosa, che esige un ingente investimento iniziale. In ottica futura però, considerando l’espansione che la rete di idrogeno avrà anche sul territorio italiano, le case costruttrici stanno lavorando intensamente sulla tecnologia fuel cell. Daimler può essere considerata già a buon punto sulla strada dei mezzi industriali fuel cell. Nel 2021, infatti, dopo i necessari primi test svolti su pista, la casa con la Stella

Daimler Truck

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ha ottenuto l’autorizzazione a testare su strada il suo prototipo Mercedes-Benz GenH2 Truck, il camion appunto dotato di sistema di propulsione a fuel cell di idrogeno. Il mezzo, che era già stato presentato la prima volta nell’aprile 2020, ha ricevuto dalle autorità tedesche il via libera per l’utilizzo su strade pubbliche della Germania e ha dato così lo start a un passaggio fondamentale per lo sviluppo del mezzo. L’obiettivo di Daimler è particolarmente ambizioso: il veicolo dovrebbe riuscire a raggiungere, nella sua versione definitiva da produrre poi in serie, un’autonomia di 1.000 chilometri senza dover effettuare rifornimenti. Per la parte iniziale di sperimentazione è stata scelta la città tedesca di Rastatt, anche per permettere test comparativi tra il GenH2 e il modello battery-electric di Mercedes-Benz eActros. La sperimentazione su strada è un passo importante verso la produzione di serie e la commercializzazione che si stima possa iniziare già dal 2027, una data in linea con l’obiettivo della casa tedesca di vendere soltanto veicoli carbon neutral in Europa, Giappone e Nord America entro il 2039. L’impegno di Daimler sul fronte idrogeno, d’altronde, non si esaurisce solo nel GenH2 Truck: il gruppo è attivo da tempo con diverse iniziative, a partire da Cellcentric, la joint-venture costituita insieme alla svedese Volvo per sviluppare e commercializzare, anche a favore di altri player dell’automotive, sistemi di propulsione a fuel cell per camion, sfruttando anche tecnologie di fornitori terzi, tra cui Bosh.

Hyundai

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Anche Hyundai lavora in modo serrato sulla tecnologia FCEV. Nel 2021 ha infatti presentato la nuova generazione di Xcient Fuel Cell, il camion alimentato a idrogeno che era stato già introdotto in Europa a titolo sperimentale l’anno precedente. Ad oggi si contano ben 46 unità di Xcient Fuel Cell in circolazione in Svizzera. Questi veicoli hanno finora percorso complessivamente oltre 750mila chilometri facendo risparmiare - su quella distanza e rispetto ai modelli con motore a gasolio - un totale di 585 tonnellate di CO2. Ma non è di certo finita qua: la casa coreana ha nei suoi piani la conse-


gna di ben 1.600 Xcient Fuel Cell entro il 2025. La nuova generazione di questi veicoli, che ha tra l’altro un design esterno rinnovato utile a rappresentare anche visivamente la trasformazione tecnologica, è dotata di un sistema di celle a combustibile a idrogeno da 180 kW con due pile di celle a combustibile da 90 kW ciascuna, appositamente modificate per l’impiego in un veicolo per trasporti pesanti. Con sette serbatoi a disposizione, si ha una capacità di stoccaggio combinata di circa 31 kg a cui si aggiungono tre batterie ad alta tensione che forniscono un’ulteriore fonte di energia, per un’autonomia massima di circa 400 chilometri. Toyota ha dimostrato a più riprese di ritenere l’idrogeno il carburante del futuro. La casa giapponese ha infatti lavorato sia sulla tecnologia HICEV sia sulle celle a combustibile. Per quanto riguarda la prima tipologia, il marchio ha recentemente annunciato la sperimentazione di un tre cilindri alimentato esclusivamente con l’idrogeno, conservato allo stato gassoso e in bombole ad alta pressione. Il motore in questione non è 100% green, ma è certamente più sostenibile dal punto di vista ambientale rispetto ad altre propulsioni. Ha poi un vantaggio dal punto di vista della fruizione: sebbene non sia spinto da carburanti fossili, beneficia di sistemi di alimentazione e iniezione simili a quelli utilizzati sui convenzionali motori a benzina. Il lavoro sulla tecnologia FCEV, invece, è ben più ampio. Toyota ha infatti sviluppato un modulo che integra le componenti principali del sistema FCEV, come lo stack di celle a combustibile, e ha inteso renderlo facilmente adattabile a una serie di prodotti, come camion, autobus, treni e navi, nonché generatori stazionari. Un esempio di applicazione è già stato fornito e “esibito” anche in Italia, a Terni, con la tappa del l’H2.City Gold, il bus per il trasporto

Toyota

Dettaglio del modulo Fuel Cell

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urbano che la casa giapponese ha sviluppato insieme all’azienda portoghese Caetano. Si tratta di un mezzo che, sebbene ospiti una tecnologia complessa e all’avanguardia che gli permette peraltro di fare il pieno in soli 9 minuti, riesce a non sacrificare spazi e accessibilità, montando buona parte delle componenti del powertrain sul tetto.

Iveco e Nikola

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Oltre che quella dell’elettrico tradizionale a batteria (BEV), Iveco e l’azienda americana Nikola battono anche la strada dei sistemi di propulsione a fuel cell. L’impegno sull’idrogeno, per di più, è anche dimostrato dalla recente alleanza con il TSO (operatore di trasmissione energetica) tedesco OGE, che gestisce una rete di gasdotti da 12.000 chilometri. Una partneship, questa, che si prefigge di sviluppare una struttura per il trasporto dell’idrogeno, tramite una rete di pipeline, dalle fonti di produzione fino alle stazioni di rifornimento per i veicoli a celle di combustibile. Nikola, peraltro, all’inizio del 2022, ha già ricevuto un ordine per ben 40 camion a idrogeno Nikola Tre a fuel cell di idrogeno (fuel cell electric vehicles – FCEVs) negli Stati Uniti. Le consegne, ovviamente subordinate al completamento con esito positivo dei programmi di sperimentazione attualmente in corso per questi mezzi, potrebbero già avvenire nel 2023, stando almeno alle previsioni dell’azienda.


I protagonisti della transizione

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Il ruolo degli stakeholder Quest’ultimo capitolo dello speciale è dedicato ad alcuni protagonisti della transizione energetica, attori che a vario titolo stanno contribuendo alla ricerca, alla produzione e alla promozione dell’uso dell’idrogeno nei vari settori dei trasporti, da quello marittimo a quello ferroviario. È quindi importante conoscere direttamente il loro punto di vista e le strategie che stanno mettendo in atto per raggiungere la decarbonizzazione. Gli interventi sono stati inseriti in ordine alfabetico. Partiamo quindi con Alstom, il gruppo industriale francese che opera nel settore della costruzione di treni e infrastrutture ferroviarie. Il suo Coradia iLint è il primo treno passeggeri al mondo alimentato da una cella a combustibile a idrogeno, già in funzione in alcuni Paesi e presto anche in arrivo anche in Italia. Proseguiamo poi con A2A che è pronta a produrre, tra l’altro, l’idrogeno verde che rifornirà i treni della linea Brescia-Iseo-Edolo al termoutilizzatore di Brescia. Ospitiamo poi l’intervento di Confidustria, impegnata in prima linea per definire la strategia per la promozione e lo sviluppo dell’idrogeno. Non a caso è stata la prima associazione datoriale italiana ad aderire alla European Clean Hydrogen Alliance (ECH2A), l’iniziativa della Commissione europea che mette insieme enti pubblici e privati, associazioni di imprese e cittadini. Fondamentale poi il contributo di Enea, che ha da poco firmato un accordo con il Ministero della Transizione Ecologica per attività di ricerca e sviluppo sull’idrogeno, finanziato con le risorse del PNRR. L’accordo prevede un contributo di 110 milioni e le attività di ricerca saranno incentrate sulla produzione di idrogeno verde e pulito; tecnologie innovative per lo stoccaggio e il trasporto dell’idrogeno e la sua trasformazione in derivati ed e-fuels; celle a combustibile per applicazioni stazionarie e di mobilità; sistemi intelligenti di gestione integrata per migliorare la resilienza e l’affidabilità delle infrastrutture basate sull’idrogeno. Anche Fincantieri, il gruppo guidato da Giuseppe Bono, sta sviluppando nuove tecnologie per contribuire a ridurre al minimo l’impatto ambientale e in quest’ottica ha anche varato la Zeus, acronimo di Zero emission ultimate ship, un’unità navale sperimentale alimentata a idrogeno tramite fuel cell per la navigazione in mare e prima nel suo genere al mondo. Infine, Snam che tra gli obiettivi si è posta quello di trasportare, entro il 2050, gas interamente decarbonizzato (non solo idrogeno ma anche biometano). La società sta avviando delle partnership con vari operatori per mettere insieme le rispettive competenze e abilitare lo sviluppo della filiera a livello nazionale ed europeo. 73



Valter Alessandria Alstom

Fra le realtà che stanno investendo sull’idrogeno nei trasporti c’è, ormai da qualche anno, Alstom, il gruppo industriale francese che opera nel settore della costruzione di treni e infrastrutture ferroviarie e che ha sede anche in Italia. Gli stabilimenti in Italia saranno impegnati anche nella produzione dei treni a idrogeno. Come ci spiega Valter Alessandria – Business Development & Public Affairs Director Italy di Alstom, – “la combinazione di velocità, capacità di spostare molte persone contemporaneamente e la sostenibilità renderanno il trasporto ferroviario sicuro protagonista della mobilità del futuro. Per ridurre le emissioni di gas serra è necessario, quindi, un cambiamento radicale dei trasporti incentivando nuove tecnologie ed utilizzando sistemi più efficienti. Il treno ad idrogeno è certamente la migliore risposta per la mobilità del futuro in quanto è privo di emissioni”. Quali sono i vantaggi in termini economici e ambientali? Un rotabile a celle a combustibile non emette alcun tipo di gas inquinante, è silenzioso ed emette in atmosfera solo vapore acqueo e acqua di condensa. L’impatto ambientale del suo inserimento sulle reti ferroviarie pertanto è notevole, in quanto un solo treno diesel nel suo servizio annuale di circa 100.000 chilometri emette mediamente 700 tonnellate di CO2, l’equivalente di 400 auto. In Italia, la presenza di linee diesel è all’incirca il 30% delle tratte complessive. Per questo l’introduzione di rotabili con tecnologie a idrogeno permetterebbe la decarbonizzazione di tali linee e renderebbe sostenibili e interconnesse tutte quelle zone oggi servite da mezzi di trasporto inquinanti senza necessità di modificare l’infrastruttura esistente. Sono necessarie nuove stazioni o i treni a idrogeno potranno sfruttare le infrastrutture già esistenti? Il treno a idrogeno non necessita di infrastrutture particolari se non la stazione di rifornimento del carburante, esattamente come i treni alimentati a combustibile fossile. Il consumo di idrogeno nel settore ferroviario è duraturo e di ordine di grandezza prevedibile e ripetibile, caratteristiche che consentono di dimensionare un sito di produzione di idrogeno che possa servire an75


che ad altri utilizzatori, come auto, bus, o altro, creando così un intero ecosistema a zero emissioni. Ma Alstom si occupa della produzione dei rotabili e della loro manutenzione e non è coinvolta nella localizzazione delle stazioni di stoccaggio e rifornimento. È necessaria la costruzione ex novo di treni o possono essere utilizzati componenti preesistenti? Alstom è stata pioniera nel mettere in servizio commerciale nel 2018 il primo rotabile alimentato a idrogeno, il Coradia iLint in Germania. Un treno la cui innovativa tecnologia è stata riconosciuta dall’industria con il conferimento del premio European Railway Award 2021. Per il mercato italiano Alstom ha sviluppato i treni di nuova generazione Coradia Stream nella versione alimentata a idrogeno. Sono altresì stati effettuati studi di fattibilità sia in Italia sia nel Regno Unito per la conversione di rotabili a trazione tradizionale in trazione a idrogeno, che ne hanno confermato la possibilità. Che autonomia avranno? Il treno a idrogeno garantisce le stesse prestazioni dei treni diesel ma senza gas inquinanti. L’autonomia del treno ad idrogeno è di 600 km, la stessa degli attuali treni diesel che circolano su linee non elettrificate e di conseguenza lo rende la vera alternativa economica e pulita al diesel. Dove saranno prodotti i treni in Italia? Il treno a idrogeno proposto in Italia è di stretta derivazione dal Coradia Stream che nella sua attuale versione elettrica viene già prodotto e consegnato ai clienti italiani dallo stabilimento di Savigliano. Anche per le soluzioni a idrogeno, Savigliano si conferma quindi il sito di sviluppo ed integrazione per l’Italia. Il sito di Vado Ligure sarà coinvolto nella produzione delle “power cars” per i futuri treni a idrogeno in Italia. Il sito di Bologna fornirà l’impianto di segnalamento e lo stabilimento di Sesto San Giovanni si occuperà della componentistica ed elettronica. Quali sono i tempi che prevedete? Nello stabilimento di Savigliano, Alstom ha sviluppato il centro di competenza per i treni monopiano Coradia Stream, la nuova piattaforma di treni regionali e, per il mercato italiano, è in fase di sviluppo una versione alimentata a idrogeno. Si tratta di un treno con una capacità totale di 250 posti a sedere. La prima linea in Italia su cui verrà introdotto il treno a idrogeno Coradia Stream è la linea non elettrificata della Valcamonica, che a partire da dicembre 2023 introdurrà in servizio commerciale i treni ad idrogeno in sostituzione degli attuali treni a motore diesel.

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Lorenzo Privitera A2A

Se l’elettrificazione dei consumi tramite energia rinnovabile resta la via prioritaria per raggiungere la decarbonizzazione, nei settori in cui non vi si potrà far ricorso - per motivi tecnici o economici - l’idrogeno sarà cruciale per il target zero emissioni. Questo il pensiero di Lorenzo Privitera, Head of Hydrogen Unit di A2A, società attiva nella produzione, distribuzione e vendita di energia elettrica, gas, gestione rifiuti. Come può l’Italia conquistare la leadership in questo settore? Occorrerebbe abilitare lo sviluppo di un mercato che ad oggi non esiste: l’idrogeno da fonti rinnovabili non è ancora competitivo rispetto ai combustibili alternativi e convertire la domanda in molti casi risulta caro. La mancanza di un contesto regolatorio chiaro, inoltre, genera incertezza e non favorisce la creazione di una pipeline di investimenti tale da abilitare lo sviluppo di un vero e proprio mercato. Affinché l’Italia conquisti la leadership in questo settore, pertanto, sarebbe necessario un chiaro contesto regolatorio che indichi ai player di mercato i binari in cui muoversi, lo sviluppo di nuova potenza installata rinnovabile - necessaria per ridurre il prezzo dell’energia elettrica e quindi dell’idrogeno da fonti rinnovabili - e un regime incentivante che possa fungere da volano per la creazione di un mercato autoconsistente. Quali passi intendete seguire e quali avete già intrapreso? A2A ha deciso di investire nello studio di fattibilità tecnico-economica di diverse iniziative di riconversione a idrogeno, per favorire la nascita di vere e proprie Hydrogen Valley. Il Gruppo, infatti, ha voluto porsi come attore di raccordo fra il mondo ferroviario e quello energetico con il progetto H2Vallecamonica, all’interno del progetto H2iseO promosso da FNM, finalizzato alla nascita di una Hydrogen Valley che alimenti una nuova flotta di treni alimentati ad idrogeno, completamente sostenibile, in occasione delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026. Per contribuire alla riconversione della linea ferrovia Brescia-Iseo-Edolo A2A, insieme ai partner FNM e Snam, ha previsto lo sviluppo di un impianto di produzione e stoccaggio di idrogeno direttamente collegato al termovalorizzatore di Brescia: sarà l’energia elettrica rinnovabile prodotta dall’impianto di A2A ad alimentare un elettrolizzatore da 6 MW, con possibilità di scale-up fino a 20MW. Si tratta di un progetto importante, come dimostra anche la recente assegnazione di un finanziamento europeo di 4,5 milioni di euro, derivante dall’Innovation Fund Small Scale. Abbia77


mo inoltre avviato il progetto H2 Darfo, per cui utilizzeremo la centrale idroelettrica A2A di Darfo Boario Terme per rifornire di energia green un elettrolizzatore da 2 MW. Questo progetto - che vede come partner Snam, Vallecamonica Servizi, il Comune di Darfo e la Comunità montana e bacino imbrifero della Vallecamonica - si inserisce in un’ampia iniziativa di riqualificazione di un’area industriale ormai abbandonata e sarà principalmente dedicato alla decarbonizzazione dei trasporti che servono la zona, a partire dai mezzi della raccolta rifiuti. Infine, una terza iniziativa riguarda l’utilizzo di energia eolica per la produzione di idrogeno: si tratta dell’H2 Valley Sardegna, progetto in collaborazione con Ardian - Fondo internazionale di investimento e partner di A2A nel mondo delle rinnovabili - che prevede la costruzione di un impianto di elettrolisi con una potenza di 20 MW collegato all’impianto eolico di Ardian in zona Oristano, in Sardegna. Contestualmente, vogliamo impegnarci anche nello sviluppo di un network di utilizzatori, principalmente legati al mondo dei trasporti”. Su quali leve potete contare? Le aziende come A2A svolgono un ruolo centrale nel processo di transizione ecologica, poiché si occupano quotidianamente di energia, acqua, ambiente. Sono inoltre player inevitabilmente coinvolti nello sviluppo dell’idrogeno come un naturale ampliamento del proprio portafoglio di soluzioni in ottica low-carbon e hanno la caratteristica di essere integrate su tutta la catena del valore, dall’upstream al downstream, permettendo l’abilitazione di modelli distribuiti e/o integrati (sector coupling), nei quali l’idrogeno ha un ruolo chiave. In particolare, il Gruppo A2A è già impegnato nel percorso di transizione energetica anche attraverso la realizzazione di nuova capacità rinnovabile ed è leader nella gestione di impianti complessi e tecnologicamente all’avanguardia per la generazione elettrica e nel settore ambientale. A2A gestisce inoltre le reti di distribuzione di gas ed elettricità in aree densamente popolate, cruciali per favorire un consumo in blending di idrogeno anche presso le utenze domestiche o per il trasporto verso centri di consumo specifici, oltre che favorire il sector coupling. Che tipo di collaborazione c’è tra le realtà che si stanno muovendo nella stessa direzione? L’idrogeno è in una fase che si potrebbe definire di start up, con un contesto competitivo molto differente da quello caratteristico di settori ben consolidati. Ad oggi, infatti, i principali player sul mercato collaborano tra loro con l’obiettivo di sviluppare ecosistemi fertili alla produzione di iniziative dedicate alla transizione ad idrogeno, coinvolgendo spesso anche i soggetti che costituiscono il potenziale di domanda all’interno delle compagini, provando a dar vita alle Hydrogen Valley. Inoltre, considerando i modelli di produzione di idrogeno basati sulla diretta connessione ad impianti di produzione rinnovabili che si stanno configurando, in questa fase si tratta ancora di un business “territoriale” dove l’impegno di ognuno è sviluppare la riconversione dei consumi dei territori limitrofi alle rispettive località in cui avviene la produzione. 78


Quali sono le criticità? Ad oggi l’idrogeno da fonti rinnovabili non è ancora competitivo rispetto a quello da altre fonti. Considerando però che circa il 50-60% del costo di produzione dipende dal costo dell’energia e circa il 20-30% dai capex derivanti dagli elettrolizzatori, si può supporre che nel medio periodo, con l’importante aumento di offerta di energia da fonti rinnovabili - in particolare nelle ore non di picco - il costo dell’idrogeno da fonti rinnovabili calerà. I risultati di un recente studio di Bloomberg NEF, condivisi dall’Hydrogen Council, stimano una competitività intorno al 2030 e un vantaggio in termini di prezzo nel 2050, sia sull’H2 blu che quello grigio. Per raggiungere questo scenario al 2030 e oltre è però necessario intervenire subito per gestire il transitorio, mitigando i costi di produzione e supportando gli investimenti con finanziamenti a fondo perduto. Da un punto di vista regolatorio e normativo vi sono infatti alcuni aspetti strategici che occorre vengano declinati: un esempio su tutti è la classificazione delle tipologie di idrogeno, essenziale per individuare i modelli produttivi meritevoli di sostegno e indirizzare gli investimenti necessari alla rapida creazione di un mercato. A tal proposito sarà necessario includere in queste categorie il combustibile prodotto a partire da tutte le fonti rinnovabili, a prescindere dalla condizione di impianto nuovo o esistente, e più in generale l’idrogeno a basso o nullo impatto emissivo. Per lo sviluppo della filiera idrogeno sarà poi determinante introdurre un sistema di Garanzie d’Origine che, correlato a PPA (Power Purchase Agreement) di lungo periodo con impianto identificato, potrà garantire la natura rinnovabile della molecola prodotta in caso di non prossimità tra impianto di produzione dell’idrogeno e fonte di energia. Dunque il nuovo quadro normativo dovrà andare in parallelo con veri e propri sistemi di supporto, quali incentivi alla produzione - per compensare i costi operativi di produzione che oggi affossano la competitività - e all’utilizzo, che supportino gli utenti finali nella riconversione delle proprie tecnologie ad idrogeno. A quali mezzi si applica meglio l’utilizzo dell’idrogeno? L’idrogeno può essere strategico per quelle applicazioni che si definiscono hard to abate: poco elettrificabili e ad alte emissioni. Nel mondo dei trasporti sono quelle che necessitano di grande potenza e molta autonomia. Fra queste, truck che trasportano carichi molto pesanti per lunghe percorrenze, bus che percorrono tratte magari regionali la cui operatività non è compatibile con le lunghe fermate necessarie per la ricarica elettrica, i treni che attraversano percorsi difficilmente elettrificabili. È inoltre certamente vero che, in prospettiva, anche il trasporto navale e l’aviazione avranno nell’idrogeno uno strumento chiave per la decarbonizzazione. Come cambia la circolazione con l’introduzione dell’idrogeno? L’introduzione dell’idrogeno non altera in alcun modo l’operatività tipica dei mezzi, ed è proprio questo uno vantaggi legati al suo utilizzo. È molto probabile, considerando i settori di destinazione più pronti alla transizione ad idrogeno, che i punti di rifornimento si svilupperanno nei principali interporti e sulle principali dorsali autostradali, ed è pertanto in queste aree che ci si aspetta il maggior traffico di mezzi alimentati ad idrogeno. 79


Aurelio Regina Confindustria

La Confederazione generale dell’industria italiana crede nelle potenzialità dell’idrogeno e da anni lavora in questa direzione. Lo sottolinea il delegato per l’Energia Aurelio Regina con il quale ci siamo confrontati per approfondire il tema. “Confindustria ha cominciato a seguire il processo di definizione di un quadro sistemico sul tema nel 2019, partecipando al Tavolo del Mise: da allora ha coordinato la partecipazione delle imprese nazionali all’apposito IPCEI, aderendo, prima associazione datoriale italiana, alla European Clean Hydrogen Alliance (ECH2A), l’iniziativa della Commissione europea che mette insieme enti pubblici e privati, associazioni di imprese e cittadini, per definire le priorità strategiche dei prossimi anni per la promozione e lo sviluppo dell’idrogeno. Allo stesso tempo in Italia è stata promossa la creazione di un mercato efficiente mediante la stesura di un piano d’azione quale stimolo per le Linee guida preliminari alla Strategia Nazionale Idrogeno del Governo. Al momento stiamo lavorando su tre approfondimenti tematici in collaborazione con le aziende associate, l’Enea e il Sistema UNI con gli Enti federati per dare una risposta concreta alle barriere allo sviluppo dell’idrogeno riscontrate nel piano d’azione. Abbiamo deciso di confrontarci per definire la nostra posizione, per acquisire feedback e dare un contributo nel breve termine, vista la necessità di mettere a terra rapidamente i fondi del PNRR. Qual è la normativa europea? Quali sono le criticità? La Commissione Ue ha definito una Strategia europea nel luglio 2020 in cui punta sull’idrogeno rinnovabile (green) nel lungo periodo e sull’idrogeno low-carbon (blue) nella fase di transizione. Gli obiettivi sono ambiziosi, infatti, intende promuovere la creazione di un mercato efficiente che aumenti la quota dell’idrogeno nel mix energetico europeo dall’attuale 2% al 13-14% entro il 2050. A livello Ue si sta lavorando alla normativa sul tema, con un Pacchetto di proposte presentato lo scorso dicembre da parte della Commissione proprio sui mercati dell’idrogeno e del gas. Nei prossimi mesi i parlamentari dovranno discutere della revisione del regolamento sulle reti di trasporto del gas naturale, della direttiva sul mercato interno del gas naturale e dei relativi atti legislativi, per abilitare lo sviluppo dei gas a zero o basse emissioni di carbonio. Rileviamo, però, delle criticità su possibili approcci troppo restrittivi rispetto al criterio di addizionalità per quanto riguarda l’idrogeno green e alla tassonomia per quanto riguarda l’idrogeno a basse emissioni. 80


Cosa serve per sviluppare una filiera nazionale del vettore, rendendo l’Italia un hub dell’idrogeno? Crediamo serva seguire cinque azioni principali: rendere omogenei i criteri di classificazione e certificazione a livello internazionale, a partire dall’Ue; promuovere assetti di produzione, trasporto e consumo che privilegino i principi di neutralità tecnologica a parità di emissioni di gas serra evitate nel ciclo di vita del vettore; definire il potenziale dell’idrogeno nel nostro Paese in termini di volumi in consumo e di capacità produttiva nel breve, medio e lungo termine e questo perché, dopo la pubblicazione delle linee guida del Mise, il Governo non ha ancora presentato la Strategia Nazionale definitiva; avviare una semplificazione legislativa e sviluppare una normativa tecnica apposita; prevedere meccanismi di supporto all’idrogeno, dal punto di vista dell’offerta del vettore, della domanda finale e della filiera tecnologica, importante soprattutto nell’attuale contesto di mercato che ha alti costi di produzione dell’idrogeno decarbonizzato rispetto alle alternative tradizionali. Come spianare la strada alla produzione di idrogeno rinnovabile? Nelle Linee guida si prevede la penetrazione del vettore sugli impieghi finali dall’attuale 1% al 2% entro il 2030. Questo si potrà ottenere solo con un lavoro coordinato sotto il profilo della semplificazione autorizzativa e della promozione degli investimenti. In particolare, riteniamo che si debbano adottare misure concrete su più direttrici: la perentorietà dei termini autorizzativi e criteri sostitutivi in caso di inerzia; una norma di coordinamento tra la nuova disciplina nazionale e quelle regionali; un decreto che definisca nel dettaglio la differenza tra variante sostanziale e non sostanziale; una linea comune tra le istituzioni, i Ministeri e i vari organi tecnici dello Stato per ottenere le autorizzazioni previste. E, laddove elettrolizzatori e impianto rinnovabile costituiscono un’infrastruttura unica, anche l’iter autorizzativo dovrebbe essere uno solo. Per quanto riguarda gli investimenti, crediamo centrale incrementare l’efficienza e il funzionamento dell’intera catena con azioni mirate; saranno necessarie sperimentazioni dal lato della domanda e crediamo cruciale utilizzare in maniera efficace i 2 miliardi di euro stanziati dal PNRR per l’impiego dell’idrogeno nei settori industriali hard to abate, oltre agli 0,23 miliardi per il trasporto stradale e agli 0,3 per il trasporto ferroviario. Nel PNRR sono destinati 0,5 miliardi di euro per la produzione di idrogeno in aree industriali dismesse, ma altri sistemi di promozione dovranno essere attivati. Ci saranno nuovi impianti? Gli esempi di sviluppo imprenditoriale che negli ultimi mesi hanno caratterizzato il settore sono numerosi, come i progetti qualificati nell’ambito dell’European Clean Hydrogen Alliance: degli oltre 750 progetti europei, 110 riguardano l’Italia, con una distribuzione territoriale che vede ai primi posti Lazio (21 iniziative), Emilia-Romagna (19) e Lombardia (19), Veneto (17) e Puglia (10). Tra i promotori ci sono Enea, Enel, Snam, A2A, SGI, Edison e ENI, ma anche aziende come Dalmine e Solvay Italia, o provider tecnologici come SIT e rappresentanti del settore del trasporto come Stellantis, Fincantieri, Ro81


setti Marino e Iveco, oltre a imprese operanti nel mondo dei gas tecnici come Air Liquide Italia e Sapio. A breve altri impianti saranno sviluppati. L’industria meccanica italiana è pronta? Stiamo portando avanti con Anima lo sviluppo di una mappatura della filiera tecnologica del know-how di settore per analizzare, insieme alle aziende, le potenzialità delle filiere industriali dell’idrogeno sia dal punto di vista delle potenzialità di produzione ed utilizzo in Italia di idrogeno clean, basato sull’elettricità, low carbon, da rifiuti o trasformato in combustibili sintetici derivati, sia in riferimento all’evoluzione tecnologica dei processi industriali. Sarebbe, infatti, utile elaborare un database nazionale delle industrie che già utilizzano idrogeno nella loro filiera produttiva o che possono utilizzarlo in sostituzione dei combustibili fossili. Sono previsti decreti applicativi per definire la parte che riguarda il trasporto, l’ubicazione delle stazioni di rifornimento per i tir e le auto? I veicoli a idrogeno attualmente sono veicoli completamente elettrici, che usano gas compresso o liquido come combustibile e sono classificati unicamente come veicoli a idrogeno secondo il Regolamento della Commissione (Ue) n.406/2010 del 26 aprile 2010, che implementa il Regolamento (CE) N.79/2009 sull’omologazione dei veicoli a idrogeno. Il regolamento non è stato completamente adottato in Italia in questa fase, quindi attualmente non esiste una regolamentazione specifica per i veicoli a idrogeno. Pertanto viene utilizzata a livello internazionale la norma GTR13 che non trova riscontri in Italia. Lo sviluppo della rete carburanti alternativi è strutturata sulla base delle regole comuni europee definite dalla Direttiva DAFI, il cui obiettivo è lo sviluppo di un mercato ampio di combustibili alternativi per il trasporto, che sono individuati in elettricità, gas naturale e idrogeno. Nel luglio 2021 la Commissione ha presentato il Pacchetto di Proposte Fit for 55, nel quale viene indicata anche una revisione delle regole sulle stazioni di rifornimento e sulla rete distributiva dei carburanti: per quanto riguarda l’idrogeno, ritiene opportuna la presenza entro il 2030 di un numero minimo di stazioni di rifornimento pubblicamente accessibili sia sulle rotte TEN-T (massima distanza di 150 km tra due stazioni di idrogeno aventi capacità minima di 2 t/giorno ed equipaggiate con distributori con la pressione di 700 bar e massima distanza di 450 km fra le stazioni di idrogeno liquido) sia in ambito urbano (con almeno una stazione in ogni nodo urbano). La scelta dell’idrogeno porterà nuovi posti di lavoro? Stiamo lavorando nell’aggiornamento delle stime, ma le Linee guida per la Strategia Nazionale prevedono un impatto concreto sull’occupazione, con la creazione di oltre 200.000 posti di lavoro temporanei nei prossimi 10 anni, durante la fase di costruzione, e fino a 10.000 posti di lavoro fissi sul medio periodo. La capacità di gestire in modo efficiente questa transizione, da parte delle Istituzioni europee e degli Stati membri, sarà di fondamentale importanza per la competitività del sistema economico europeo e, in particolare, dei settori manifatturieri. 82


Giorgio Graditi

Giulia Monteleone

Enea Enea è l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, un ente pubblico finalizzato alla ricerca, all’innovazione tecnologica e alla prestazione di servizi avanzati nei settori dell’energia, dell’ambiente e dello sviluppo economico sostenibile. Tra le sue molteplici attività Enea presidia anche il settore dell’idrogeno con attività di ricerca, sviluppo e sperimentazione a 360 gradi. Ce ne parlano Giorgio Graditi, Direttore Dipartimento Tecnologie Energetiche e Fonti rinnovabili e Giulia Monteleone, Responsabile Laboratorio Accumulo di Energia, Batterie e Tecnologie per la Produzione e l’Uso dell’Idrogeno. L’idrogeno è uno dei vettori significativi per la transizione energetica. Quali sono le sue potenzialità per l’Italia? L’Italia ha avviato il proprio percorso verso la creazione di un’economia idrogeno nazionale nel 2019 aderendo a un’importante iniziativa progettuale nel contesto degli “Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo (IPCEI)” con l’obiettivo di “aggregare” diverse progettualità in un quadro di comune interesse europeo, supportandone gli investimenti in nuovi prodotti (R&S&I – ricerca, sviluppo e innovazione) e nella pre-commercializzazione (FID – first industrial deployment). Nel febbraio 2019 il Ministero dello Sviluppo Economico ha, infatti, pubblicato l’avviso di manifestazione di interesse per la partecipazione all’IPCEI sull’Idrogeno, ricevendo 180 proposte progettuali relative all’intera catena del valore dell’idrogeno - produzione, logistica e trasporto e usi finali - nei diversi settori di riferimento della filiera, ossia trasporto, industria e residenziale. Ad oggi sono già stati “costruiti” i primi due IPCEI sull’idrogeno: il primo intende creare un’economia europea per lo sviluppo delle tecnologie appartenenti all’intera filiera dell’idrogeno; il secondo IPCEI punta a favorire l’utilizzo dell’idrogeno a basso impatto ambientale in ambito industriale 83


(acciaio, raffinazione, industria chimica, etc). Gli IPCEI sono stati “pre-notificati” alla Commissione europea per valutazione e successiva approvazione; l’Italia è presente con 13 progetti di importanti industrie nazionali, di due enti pubblici di ricerca (tra cui Enea) e di una Università. Come si può fare dell’Italia un hub per l’idrogeno? L’industria nazionale è in grado di generare innovazione e sviluppo competitivo, nonché di accelerare la diffusione sul mercato dell’idrogeno, facendo leva sulla leadership tecnologica rivestita in alcuni settori manifatturieri (ad esempio il cluster termico e meccanico già oggi si identificano tra i primi due produttori continentali di tecnologie termiche e meccaniche e di impianti e componenti potenzialmente utilizzabili per l’idrogeno). Inoltre, l’asset esistente delle reti gas, diffuso e capillare nel contesto nazionale, può rappresentare l’infrastruttura di riferimento per il trasporto del vettore idrogeno, che - combinato a soluzioni di accumulo di piccola-media scala per contesti distribuiti e di grande scala per accumuli stazionari e stagionali - potrà dare un contributo, nel breve termine, a decarbonizzare parte degli utilizzi finali dalle utenze distribuite a quelle concentrate in cluster industriali. Ciononostante, la maturità tecnologica e la presenza di un’industria pronta a convertirsi al nuovo vettore energetico sono condizioni necessarie, ma non sufficienti. Alcune barriere, che possiamo definire non tecnologiche, devono ancora essere superate, attraverso una serie di azioni: definizione di una strategia/roadmap italiana sull’idrogeno che rafforzi le Linee guida già emanate; costruzione di un quadro legislativo/regolatorio e tecnico/normativo di riferimento chiaro e di facile applicazione, superando le barriere esistenti (soprattutto nell’ambito della sicurezza); attuazione di schemi di incentivazione sulle tecnologie a emissioni zero, in un’ottica di neutralità tecnologica, per il settore dell’idrogeno, guardando sia alla produzione sia al lato domanda. L’idrogeno verde in particolare ha tutte le caratteristiche per supportare la transizione energetica, ma i suoi costi sono ancora elevati. Cosa si sta facendo per ridurli? L’idrogeno verde, ossia quello prodotto da fonte rinnovabile, è quello su cui punta la Strategia europea: entro il 2024 bisognerà accrescere la capacità produttiva di elettrolizzatori di 6 GW (al momento gli elettrolizzatori installati nell’Ue hanno una capacità di circa 1 GW), per arrivare tra il 2024 e il 2030 ad installare almeno 40 GW di elettrolizzatori per produrre fino a 10 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile nell’Ue. Se guardiamo poi nello specifico all’Italia, l’obiettivo al 2030 prevede l’istallazione di 5 GW di elettrolizzatori. La tecnologia degli elettrolizzatori può considerarsi in parte disponibile (principalmente elettrolizzatori alcalini e a membrana polimerica), anche se ulteriori sforzi di ricerca, innovazione e sviluppo sono necessari per ridurne costi, consumi energetici e aumentarne durata e stabilità di funzionamento nel tempo, con l’obiettivo generale di raggiungere un costo di 84


produzione dell’idrogeno di 2 €/kg (attuale costo di produzione dell’idrogeno grigio). La ricerca è attiva anche sullo sviluppo di tecnologie di produzione idrogeno innovative che non contemplano solo i processi elettrolitici (elettrolizzatori con membrana a scambio anionico, a carbonati fusi e ad ossidi solidi), ma anche quelli termochimici, comunque integrati con fonti di energia rinnovabile, in modo da produrre idrogeno verde (processi di reforming del biogas, integrati con energia rinnovabile da fotovoltaico o solare termico). Le sfide tecnologiche vanno di pari passo con la necessità di definire politiche coerenti di incentivazione, di regolazione, standard, normative e processi autorizzativi, per cui ipotizzare delle dinamiche di prezzo non è semplice; le previsioni attuali indicano al 2030 il pareggio di costo tra idrogeno verde e idrogeno grigio. Quali sono i progetti che Enea sta portando avanti in questo campo? In Enea le prime attività di R&D sull’idrogeno risalgono agli anni ‘90 e sono proseguite con regolarità nel tempo, malgrado le ondate cicliche di grande entusiasmo e profondo scetticismo per questo vettore energetico. Oggi, grazie alle competenze ed esperienze acquisite, Enea mira a supportare la crescita di una filiera industriale nazionale sulla produzione, lo stoccaggio, il trasporto e l’utilizzo di idrogeno pulito e rinnovabile. A livello europeo, sul tema delle tecnologie dell’idrogeno, Enea è coinvolta in diversi progetti H2020 cofinanziati principalmente dalla Fuel Cells and Hydrogen Joint Undertaking (FCH JU). Molti di questi si focalizzano sullo sviluppo e la validazione di celle a combustibile ad alta temperatura, alcuni includono il tema dell’elettrolisi ad alta temperatura ed altri ancora riguardano il funzionamento delle celle a combustibile con biogas e syngas. Gli ultimi progetti finanziati trattano il tema dello sviluppo di un sistema completamente flessibile basato su celle a combustibile ad ossidi solidi (SOFC) per la generazione combinata di calore ed energia. Su scala pilota due progetti europei coordinati da Enea, COMETHY e PROMETEO, riguardano lo sviluppo di sistemi innovativi di produzione di idrogeno, basati sul reforming solare e sull’elettrolisi di ossidi solidi (SOE) assistita da energia solare. L’Enea è inoltre coinvolta, attraverso il distretto ATENA Scarl, di cui è membro, in due progetti nel settore marittimo e portuale, H2PORTS e e-SHYIPS. A livello nazionale, il progetto Enea di maggiore ambizione - finanziato con circa 14 milioni di euro dal Ministero della Transizione Ecologica nell’ambito dell’iniziativa internazionale Mission Innovation - riguarda la realizzazione della prima Hydrogen Valley italiana, che si identifica come un incubatore tecnologico che curi tutta la nascente filiera: dalla produzione alla distribuzione, dall’accumulo all’utilizzo. Il progetto prevede la realizzazione presso il Centro di Ricerche Enea della Casaccia, alle porte di Roma, di un insieme di infrastrutture hi-tech per attività di ricerca, innova85


zione e sperimentazione al fine di valorizzare l’utilizzo dell’idrogeno come vettore energetico e combustibile pulito per ridurre le emissioni di CO2 nell’industria, nella mobilità, nella generazione di energia e nel condizionamento ambientale nel settore civile e residenziale. Insieme alle azioni di tipo prevalentemente dimostrativo, condotte nel contesto dell’Hydrogen demo Valley, Enea conduce attività di R&D a livello di laboratorio nel contesto della Ricerca di Sistema Elettrico e del PNRR Ricerca Idrogeno, occupandosi di innovazione a partire dalla ricerca di nuovi materiali più sostenibili, allo sviluppo di componenti, fino ad arrivare alla realizzazione di prototipi, con riferimento alle diverse tecnologie appartenenti all’intera catena del valore dell’idrogeno (produzione, trasporto, distribuzione, stoccaggio ed usi finali). Quale tipo di investimento è previsto? Il Governo italiano, attraverso i diversi Ministeri titolari di azioni, ha promosso e sta promuovendo una serie di iniziative nel settore dell’idrogeno. Tra queste l’adesione all’iniziativa internazionale Mission Innovation, finalizzata alla ricerca con investimenti di qualche decina di milioni di euro. In particolare, con riferimento alla Challenge #8 “Renewable and Clean Hydrogen”, il Mite ha già finanziato la realizzazione della Hydrogen Valley Enea e sta partecipando ai lavori per la definizione dei programmi e dei progetti di ricerca relativamente alla “Clean Hydrogen Mission”, lanciata a giugno 2021 nel contesto di Mission Innovation 2.0 che ha come obiettivo generale di aumentare la competitività dell’idrogeno pulito riducendo i costi a 2 dollari per chilogrammo, entro il 2030. L’impegno previsto dal PNRR con 3,6 miliardi di euro di investimenti nell’ambito della mission M2C2 “Energia Rinnovabile, Idrogeno, Reti e Mobilità Sostenibile”, è ulteriore testimonianza del percorso intrapreso per favorire la creazione di un’economia idrogeno nazionale. Sono poi da aggiungere i 13 progetti nazionali pre-notificati in ambito IPCEI idrogeno, per investimenti pari ad alcuni miliardi di euro. Come anticipato, Enea sta realizzando una Hydrogen Valley vicino Roma. Di cosa si tratta nel dettaglio? L’Hydrogen Valley in corso di realizzazione presso il Centro Ricerche Enea Casaccia, con l’ambizione di essere il primo progetto dimostrativo dell’intera catena del valore dell’idrogeno, intende rappresentare un ecosistema che integra domanda e offerta di idrogeno, offrendo al contempo l’opportunità alle aziende nazionali di settore di fare innovazione e validare le proprie tecnologie in un ambiente dedicato con il supporto di infrastrutture di rilievo e di personale qualificato. Perché una Hydrogen Valley dentro un Centro di Ricerca? Il Centro di Ricerca Casaccia è il più grande ed esteso complesso di laboratori ed infrastrutture di ricerca dell’Enea e si sviluppa su più di 100 ettari di superficie, possiede una comunità di ricercatori e tecnici numericamente significativa (circa 1000) che si dedica alla sperimentazione e validazione di nuove tecnologie, componenti e sistemi per la decarbonizzazione delle tecnologie 86


energetiche, fonti rinnovabili, all’efficienza energetica, all’economia circolare. Inoltre, il centro possiede una rete autonoma del gas e dell’energia elettrica, circa 200 edifici, strade e servizi. Un tratto della rete interna di distribuzione del gas naturale (circa 1 km) sarà dedicato alle attività di caratterizzazione e sperimentazione di sistemi che producono e utilizzano l’idrogeno. Attraverso l’uso della rete del gas si dimostrerà il ruolo che l’idrogeno può svolgere come connessione tra la rete elettrica e quella del gas e di bilanciamento della rete elettrica nel caso di sovrapproduzione di RES: l’energia rinnovabile in eccesso viene convertita in idrogeno che può essere trasformato in metano o immesso tal quale nella rete del gas naturale (sector coupling). Quali sono le prospettive e le criticità nel settore dei trasporti? Considerata l’attuale assenza sul territorio nazionale di infrastrutture per il rifornimento dell’idrogeno, come settori a maggior potenziale, nel breve periodo, si identificano le filiere del trasporto su gomma degli autobus e dei mezzi pesanti, material handling, trasporto ferroviario e marittimo. Infatti, il ricorso a flotte di mezzi (trasporto pubblico, mezzi per la raccolta dei rifiuti, mezzi di movimentazioni merci) potrebbe accelerare la penetrazione dell’idrogeno nel settore della mobilità, garantendo la possibilità di ricorrere a stazioni di rifornimento centralizzate. Nel lungo periodo, per favorire la penetrazione e la diffusione omogenea delle tecnologie a idrogeno per la mobilità, sarà necessario incentivare la realizzazione di stazioni di rifornimento di idrogeno, sebbene inizialmente in numero ridotto, su tutto il territorio nazionale, almeno nelle sue principali direttrici di trasporto di persone e di merci. Insieme alla diffusione dell’idrogeno è da perseguire la prospettiva di “decarbonizzare” i carburanti tradizionali: la combinazione di idrogeno, ottenuto dal surplus di rinnovabili, con la CO2 da effluenti industriali o da impianti a biogas/biometano, permetterebbe la produzione di combustibili a bassa impronta di carbonio, favorendo al tempo stesso la crescita di un settore industriale fondato su impianti, filiere e su competenze italiane, in termini di manifattura, già esistenti e di riconosciuto valore nazionale. Idrogeno nel trasporto pesante: di cosa c’è bisogno perché questo cambiamento si attui? Sebbene ad oggi siano ancora pochi i veicoli ad idrogeno con celle a combustibile pronti ad essere messi su strada, numerosi sono i progetti avviati a livello nazionale ed europeo. Ad esempio, nel contesto IPCEI idrogeno è presente Iveco-CNH con un progetto orientato allo sviluppo di mezzi per il trasporto pesante su gomma. Tuttavia, perché tali mezzi a idrogeno possano divenire competitivi è necessario supportare parallelamente l’industria delle celle a combustibile, per le quali si rende necessaria una riduzione drastica dei costi e un incremento della durabilità, affidabilità e stabilità nel tempo; oltre che incentivare la realizzazione di stazioni di rifornimento di idrogeno su tutto il territorio nazionale. 87


Giuseppe Coronella Fincantieri

Il colosso della cantieristica italiana Fincantieri sta accelerando i suoi sforzi per integrare l’idrogeno nel settore marittimo. La società punta ad un continuo miglioramento delle performance energetiche delle nuove navi attraverso il ricorso a combustibili green, come il gas naturale liquefatto, l’idrogeno e le celle a combustibile. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Coronella, Direttore Innovazione del Gruppo. Qual è il contributo che l’idrogeno può offrire per la decarbonizzazione? La transizione energetica è oggi il tema economico più importante su cui sta lavorando la società moderna. Infatti, la concentrazione di anidride carbonica è il principale responsabile dei cambiamenti climatici in corso e minaccia alla radice la sostenibilità del nostro pianeta, delle attività dell’uomo, dei modelli economici e del benessere collettivo. Se vogliamo limitare questo effetto, non abbiamo scelte: dobbiamo trovare soluzioni che abbattano l’anidride carbonica emessa, oppure spostarci verso nuovi vettori energetici e combustibili. Il metodo più diretto sembra quello di spostarsi verso combustibili non fossili. In questo contesto l’idrogeno assume un ruolo fondamentale perché è derivabile da un elemento, l’acqua, disponibile ovunque e nella sua conversione in energia elettrica, non emette anidride carbonica. La transizione da fonti fossili a idrogeno non è però priva di ostacoli. Le tecnologie che permettono di utilizzare l’idrogeno, almeno per il settore navale, non sono ancora pienamente mature, sono particolarmente costose e mancano di un adeguato contesto normativo di riferimento. La necessità di evolvere verso una società eco-sostenibile ha recentemente dato un impulso importante allo sviluppo di queste tecnologie, che sono una condizione necessaria ma non ancora sufficiente per garantire l’inevitabile transizione energetica. L’infrastruttura rappresenta un altro elemento cruciale. L’industria degli idrocarburi ha infatti lavorato più di un secolo per sviluppare l’attuale capacità produttiva e distributiva dei combustibili fossili. Se vogliamo abilitare in ampia scala l’impiego di vettori energetici come l’idrogeno verde ad impronta carbonica neutra, dovremo percorrere la medesima curva di sviluppo in un tempo brevissimo. Un altro aspetto critico da gestire nel caso dell’idrogeno sono le caratteristiche fisiche della molecola. L’idrogeno infatti ha una bassa 88


densità energetica volumetrica, ciò significa che, se si vuole stoccare la stessa energia contenuta nel combustibile fossile tradizionale, occorrono volumi significativamente più elevati. Questo rappresenta un problema nelle applicazioni per la mobilità, dove in genere il volume disponibile a bordo è limitato. Il problema risulta ancora più critico nel settore marittimo, contraddistinto da potenze installate di decine di mega watt e da un’autonomia di navigazione misurata in settimane. Ecco quindi che l’idrogeno può trovare un suo ruolo nella catena di distribuzione e trasporto ma, quanto meno per il settore navale, dovrà confrontarsi con altri vettori energetici come LOHC (Liquid Organic Hydrogen Carriers), ammoniaca, combustibili fossili di sintesi, etc. Quali sono le potenzialità dell’idrogeno, in particolare per l’Italia? Per sviluppare il potenziale dell’idrogeno è necessario intervenire sull’intera filiera: dalla produzione, alle reti di trasporto e distribuzione, alle tecnologie d’impiego, sia per applicazioni relative alla mobilità che ad usi industriali. L’Italia potrebbe contare su importanti poli petrolchimici che, nei loro processi, sono sia produttori che consumatori di idrogeno. La prima potenzialità nel nostro Paese risiede proprio nel far leva su quei siti e processi per poter generare un’offerta di idrogeno capace di alimentare la domanda iniziale nei settori di utilizzo. La sfida consisterebbe nel rivedere i processi di produzione dell’idrogeno per abbassarne l’impatto ambientale, traguardare volumi sufficienti e prezzi di prodotto sostenibili. Servono quindi le infrastrutture di collegamento per connettere questi centri con i punti di consumo. In questo contesto i porti sono destinati a svolgere un ruolo chiave di hub energetici sia per la ricezione, stoccaggio e distribuzione dell’idrogeno, la cui produzione richiede una certa contiguità con l’acqua, sia per la generazione e la distribuzione di energia prodotta con l’idrogeno, che il porto potrebbe fornire non solo alle navi dotate di shore connections, cioè prese di energia elettrica da terra, ma anche alla rete elettrica terrestre. È opportuno, infatti, notare che il fabbisogno energetico delle flotte di navi in sosta nei vari porti è spesso dello stesso ordine di grandezza del fabbisogno del territorio urbano circostante. Queste considerazioni sono di particolare importanza anche nell’ottica delle più recenti tensioni geopolitiche che richiedono soluzioni tali da ridurre la dipendenza energetica da Paesi esteri non europei. Quali sono le prospettive e le criticità nel settore dei trasporti? Per il settore navale vedrei tre segmenti principali: navi a lunga percorrenza (es. bulk carriers, cargo, porta containers); navi caratterizzate da cicli operativi periodici e flessibili (es. navi da crociera e traghetti); navigazione fluviale. Il settore delle navi a lunga percorrenza, per le quali è richiesta 89


un’autonomia di navigazione di diverse settimane, è penalizzato dalla bassa densità energetica volumetrica dell’idrogeno. Questo è il motivo per cui molti operatori guardano con favore ad altri vettori energetici come l’ammoniaca o i LOHC, ovvero vettori organici di idrogeno, per i quali comunque rimangono da risolvere altri problemi legati alla tossicità e al bilancio energetico complessivo. Il secondo settore, del quale fanno parte navi da crociera e ferry, se da un lato vede potenze installate significative (fino a 50-60 MW), dall’altro vede alternare soste giornaliere nei porti a brevi o medi percorsi di navigazione. In questi casi, l’impiego di idrogeno in sistemi ibridi di generazione elettrica che integrino motori a combustione interna dual fuel con celle a combustibile e batterie al litio potrebbe rappresentare una soluzione sulla quale lavorare per affinare le tecnologie. In questo segmento si potrebbe anche includere il naviglio portuale come i mezzi di bunkeraggio, pilotine, rimorchiatori, ecc., che necessita di un’autonomia limitata per operare in loco. L’ultimo settore, quello delle navi fluviali, nonostante debba confrontarsi con le criticità relative all’alterazione del rapporto fra la stazza di una nave ed il volume destinato ai sistemi di propulsione e stoccaggio del carburante, potrebbe essere avvantaggiato dalla maggiore disponibilità di rifornimento da terra. Fincantieri ha già dato vita ad una serie di progetti nel settore dell’idrogeno: la nave laboratorio Zeus, l’accordo con MSC e Snam per la realizzazione della prima nave da crociera a idrogeno, la partnership con Enea. A che punto sono? Zeus è un prototipo di nave a propulsione ibrida dalla quale vogliamo partire per studiare le successive fasi di scale up. Si tratta di un prototipo di nave che stiamo realizzando in proprio, varato a febbraio e attualmente in fase di allestimento finale in vista delle prove a mare previste entro l’estate. La nave fa parte di un percorso di acquisizione delle tecnologie relative alla generazione di potenza ad idrogeno iniziato diversi anni fa con la realizzazione di due laboratori, a Savona e a Trieste, dedicati allo studio dell’intera value chain dell’idrogeno: produzione, stoccaggio, distribuzione e generazione elettrica. Attraverso questi laboratori ricreiamo e affiniamo le condizioni operative dei sistemi di gestione dell’idrogeno e della conseguente generazione di potenza. In questo modo siamo in grado di approfondire varie direttrici di sviluppo legate al prodotto, alla sua operatività, all’industrializzazione, alla taratura della supply e value chain, rendendo più efficaci le interazioni con università, centri di ricerca e con gli stessi clienti, essenziali per un’appropriata identificazione dei requisiti tecnici ed operativi. Peraltro, in relazione al tema idrogeno, per valorizzare tutte le esperienze accumulate e in corso nell’ambito del Gruppo Fincantieri, abbiamo creato un centro di competenza gestito dalla nostra consociata Isotta Fraschini che sta contribuendo in maniera importante ad accelerare la maturazione delle tecnologie selezionate.


L’obiettivo è quello di passare in breve a prime applicazioni su navi in scala reale, e di creare quindi i presupposti per una crescente domanda di idrogeno. Domanda che dovrebbe, a sua volta, stimolare l’incremento della produzione di questo vettore energetico. Ci sono altre iniziative che state portando avanti in questo campo? La relativa maturità delle tecnologie legate all’idrogeno, e la conseguente attuale fase di sviluppo della supply chain, impone anche a degli integratori di sistema come noi un coinvolgimento più attivo nel merito dei verticali tecnologici con lo scopo di accelerarne la maturazione. Questo ci porta non solo ad occuparci dei sistemi di bordo, dallo shore connection alle fuel cell, dagli impianti di bunkeraggio a quelli di stoccaggio, ma anche a valorizzare talune soluzioni per settori contigui o alternativi come applicazioni in ambito portuale per la generazione di potenza green o generazione di energia da rinnovabili in ambito offshore. Con riferimento a questo ultimo tema stiamo ragionando con il CNR su un concetto di “arcipelago energetico” dove creare sinergia fra diversi sistemi di generazione di energia (da eolico, solare, moto ondoso) ed i suoi potenziali impieghi in loco (acquacultura, desalinizzazione dell’acqua, produzione di idrogeno, attività di bunkeraggio, ecc.). Peraltro, nell’ambito del più ampio obiettivo della de-carbonizzazione, siamo impegnati a sviluppare modelli matematici e digitali sempre più sofisticati per incrementare l’efficienza energetica e la performance idrodinamica della nave.

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Alessio Torelli Snam

Snam è una delle principali società di infrastrutture energetiche al mondo. Grazie a una rete sostenibile e tecnologicamente avanzata, garantisce la sicurezza degli approvvigionamenti e abilita la transizione energetica. Tra le sue prospettive, al 2050, quella di trasportare gas interamente decarbonizzato (non solo idrogeno, ma anche biometano), contribuendo a rafforzare il ruolo dell’Italia come un hub europeo, anche nell’ottica di export di energia pulita verso il Nord Europa. Pertanto, oltre a preparare la propria infrastruttura al trasporto e allo stoccaggio dell’idrogeno, Snam ha avviato delle partnership con vari operatori, nel rispetto della normativa unbundling, per mettere insieme le rispettive competenze e abilitare lo sviluppo della filiera a livello nazionale ed europeo. Per saperne di più, a cominciare dalle potenzialità dell’idrogeno, abbiamo raggiunto Alessio Torelli, in Snam da settembre 2020, e da ottobre dello stesso anno Ceo di Snam4Mobility e Chief Mobility Officer. L’idrogeno rappresenta una potenziale svolta per il mondo dell’energia e per i sistemi economici. Quali sono i suoi punti di forza? L’idrogeno è una delle nuove e più promettenti frontiere della transizione ecologica. Il grande vantaggio consiste nella sua versatilità: l’idrogeno può infatti essere prodotto a partire da fonti rinnovabili tramite elettrolisi, azzerando le emissioni di CO2, utilizzato al posto dei combustibili fossili nei settori cosiddetti “hard-to-abate” o difficili da decarbonizzare – tra i quali il trasporto pesante – e impiegato anche per stoccare energia per lunghi periodi. Istituzioni e aziende europee sono in prima linea: basti pensare alla Hydrogen Strategy varata nel 2021 dalla Commissione europea e ai progetti che stanno prendendo corpo nell’ambito del capitolo rivoluzione verde del PNRR. L’idrogeno presenta anche un’altra carta vincente, cioè il fatto di poter essere trasportato e stoccato nelle infrastrutture gas esistenti, come quelle di Snam. Secondo le previsioni di Irena (International Renewable Energy Agency) e Bloomberg, nel 2050 potrebbe rappresentare tra il 15 e il 25% del mix energetico globale. Quali sono le mosse da compiere per dare impulso a questa rivoluzione? Il principale ostacolo da superare è rappresentato dai costi. Recen92


temente sono stati fatti progressi importanti, ma non ancora sufficienti ad assicurare la competitività dell’idrogeno – soprattutto di quello verde, prodotto con rinnovabili – rispetto alle fonti fossili. Secondo il Dipartimento per l’energia degli Stati Uniti è possibile ridurne ancora il costo di produzione, fino a un dollaro al chilogrammo (dagli attuali cinque), rendendolo competitivo in cinque anni con il diesel e in dieci con il carbone. Per accelerare questa transizione, occorre rendere scalabili le tecnologie che abbiamo già a disposizione, cioè gli elettrolizzatori, e promuovere l’utilizzo dell’idrogeno nei settori a maggior potenziale: la mobilità è sicuramente uno di questi. Quali i cambiamenti che sta ponendo in essere Snam? Quali passi ha compiuto in questi anni e qual è l’obiettivo finale? Snam è stata tra le prime aziende a muoversi sull’idrogeno. Già nel 2019 abbiamo sperimentato il trasporto di mix idrogeno-gas in un tratto di rete nazionale e oggi sappiamo che gran parte delle infrastrutture – compresi gli stoccaggi – è compatibile. Il piano strategico di Snam prevede la realizzazione, entro il 2030, della prima rete a idrogeno che percorrerà l’Italia da Sud a Nord per circa 2.700 chilometri. Inoltre, stiamo investendo in tecnologie di elettrolisi e siamo impegnati a favorire lo sviluppo infrastrutturale necessario a dare impulso all’economia dell’idrogeno, incluse stazioni di rifornimento per camion e bus. Stiamo lavorando anche sulle ferrovie, ad esempio, attraverso la collaborazione con FNM (il principale Gruppo integrato nella mobilità sostenibile in Lombardia) e A2A (società multi-utility italiana, opera nei settori ambiente, energia, calore, reti e tecnologie per le città intelligenti) finalizzata a creare una Hydrogen Valley in Valcamonica. Idrogeno nel trasporto pesante: di cosa c’è bisogno perché questo cambiamento si attui? Il trasporto pesante è uno dei settori a più elevato potenziale per l’idrogeno. Mentre i veicoli a batteria sono destinati a prevalere nella mobilità privata, soprattutto nelle città, le fuel cell possono essere la carta vincente per percorrenze più lunghe, in virtù dei ridotti tempi di ricarica. Pensiamo che l’idrogeno e il biometano, in forma di BioGNL (biometano liquido), possano diventare i vettori di riferimento per camion, bus e altri segmenti come quello dei veicoli commerciali e quello dei mezzi agricoli. Quello che serve ora è che i produttori sviluppino modelli e che operatori infrastrutturali come Snam mettano a disposizione soluzioni logistiche e di approvvigionamento. In due parole, occorre fare sistema. E proprio su questo ci stiamo impegnando. Quali sinergie e alleanze state costruendo per favorire questa svolta? Proprio in un’ottica di sistema, stiamo collaborando sia con le case automobilistiche sia con operatori del trasporto pubblico locale. Cito ad esempio le sinergie avviate con Toyota e CaetanoBus, sullo svilup93


po della mobilità a idrogeno per il trasporto pesante e leggero, e con Arriva Italia, per progetti legati agli autobus. Promuovere uno sviluppo sinergico di mezzi e infrastrutture è fondamentale per consentire alla mobilità a idrogeno di decollare. Con lo stesso spirito ci stiamo impegnando nei settori ferroviario, portuale e aeroportuale. L’Italia è un Paese pronto per l’accelerazione globale prevista sull’idrogeno? L’Italia ha un posizionamento ideale per beneficiare di questi nuovi scenari e ha tutte le carte in regola per mettersi alla guida dello sviluppo dell’ecosistema idrogeno. La nostra posizione geografica di ponte naturale tra il Nord Africa e il Nord Europa – rispettivamente una delle aree con il maggior potenziale di produzione di idrogeno verde e una di quelle a maggiore domanda – e la leadership di aziende chiave nel settore tecnologico ed energetico ci candidano a diventare leader in questo percorso. Dove si deve ancora intervenire? Servirà ora compiere gli ultimi decisivi passi, dall’abbattimento dei costi di produzione alla determinazione di regole e standard comuni finalizzati a favorire l’impiego di idrogeno soprattutto nei settori a più elevato potenziale, come quello dei trasporti.

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Idrogeno, ultima frontiera

Allegato a Tir

La rivista dell’autotrasporto Periodico del Comitato Centrale per l’Albo Nazionale degli Autotrasportatori di Cose per Conto di Terzi COMITATO SCIENTIFICO PRESIDENTE Enrico Finocchi

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