ADIPSO NEWS GIUGNO 2024 - SUPPLEMENTO GIORNATA MONDIALE DELLA PSORIASI

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PERIODICO DI INFORMAZIONE SU PSORIASI

E ARTROPATIA PSORIASICA

INCONTRI DI GRUPPO

per persone affette da Psoriasi

Sedi regionali

LOMBARDIA

ROSARIO MONTAGNOLI tel. 0331 1407952 rosario.montagnoli44@gmail.com

FLAVIA D’ALESSANDRO Como cell. 346 2521200 Lun-Ven. 12-17 fdadipso@gmail.com

TOSCANA

ELIO BONFIGLIOLI cell. 339 7878510

LAZIO

ROSANNA

IANNUCCELLI cell. 366 7422410 rosannaiannuccelli@gmail.com (ore 14.00-20.00)

MARCHE UMBRIA

GIANFRANCO NARDINI Via Salaria, 144/A 63040 Mozzano (AP) tel. 0736 310136 cell. 320 9485233 adipsomarcheumbria@libero.it (lun.-merc.-ven. re 15.00-16.30)

CAMPANIA

SALVATORE CRISCUOLO tel. 342.7698722 (lun.-merc.-ven. ore 16-18)

BASILICATA

DOMENICO LAMORTE Via G. Salvemini, 1/B Coop S. Marco 85028 Rionero in Vulture (PZ) tel./fax 0972 720322 cell. 328 7075489 lamortedomenico@libero.it

VINCENZO SANTO vince.santo49@hahoo.it

NICOLETTI ANNA anna.nicoletti@virgilio.it

CALABRIA

GIUSEPPE SERRANÒ Via Enotria, 39/c 89122 Reggio Calabria tel. 0965 42601 cell. 347 7656617 (ore serali) gserran@libero.it

ANTONO FABIANO

Via E. Vitale, 180 88100 Catanzaro tel. 0961 743205 cell. 334 7771714 afabia63@tin.it

SICILIA

PAOLA GIARDINA

Lentini CT cell. 392 3180987 giardina.paola@alice.it

SARDEGNA

VALTER MELONI

Sassari meloniv@tiscali.it cell. 348 0221431

M.ANTONIETTA SANNA

Cagliari cell. 347 6043147 (pomeriggio dal lun. al giov.)

ADIPSO NEWS

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RomaAutorizzazione

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Direttore Responsabile

Mara Maccarone

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Supervisore

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Sede A.DI.PSO. Via Tacito, 90 - 00193 Roma tel.-fax 06 3211545 06 45432400 Presidente

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9.30 - 13:30 (giorni feriali) Si riceve previo appuntamento

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Editing

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Stampa

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L’EDITORIALE

L’EDITORIALE

UN DOVEROSO

RICONOSCIMENTO

In questo momento storico i temi da affrontare sono molteplici, quali le liste d’attesa in sanità, i conflitti di politica interna, i femminicidi, i mutamenti climatici, ma soprattutto le guerre interminabili, che stanno succedendo nel mondo e stanno minando gli equilibri geopolitici del pianeta.

Tutte le guerre sono terribili e nascono per motivazioni che sembrano complesse, ma in fondo sono motivazioni di scarsa intelligenza come quelle tra Russia e Ucraina o quella in medio-oriente. Fatico a comprendere la stupidità della politica talvolta perché se capissi fino in fondo i limiti dell’uomo e dell’umanità certo non spederemmo il nostro tempo a farci la guerra in nome del maggior potere che potremmo ricavarne. Il potere genera le guerre e ha sempre qualcosa di ottuso e incomprensibile: è oscuro.

C’è bisogno di pace nel mondo per costruire società più stabili e giuste anche e soprattutto per le generazioni future. Gli argomenti citati sono meritevoli di essere trattati e approfonditi, ma per un momento vorrei sganciarmi da queste realtà per rendere omaggio a una persona che è mancata da poco ma che voglio ricordare con stima e affetto: Franco Di Mare, noto giornalista e conduttore RAI.

Ho avuto modo di conoscerlo qualche anno fa per un progetto sulla comunicazione a supporto di ADIPSO, perché avere oggi un ruolo di responsabilità nell’ambito istituzionale e associativo non vuol dire solo saper gestire adeguatamente le proprie mansioni ma anche saper comunicare verso l’esterno utilizzando i mezzi idonei nel modo più corretto.

Promuovere un corso di “media training” fu il suo suggerimento per far acquisire le capacità per utilizzare al meglio tutti gli strumenti della comunicazione, gli ambiti operativi a essa riconducibili e, soprattutto, ad aumentare e migliorare il proprio autocontrollo e a non subire l’incontro con i media siano essi televisione, radio o carta stampata. Il corso fu chiamato ‘Train the trainer’ ovvero ‘chi conduce il conduttore’ strutturato in modo tale da fornire ai rappresentanti ADIPSO gli strumenti necessari alla gestione degli incontri istituzionali. In quel periodo di programmazione ho potuto conoscere le doti umane, la gentilezza, l’intelligenza e la grande professionalità della persona.

Molto giusto e doveroso, quindi, dedicargli questo spazio per rendere un omaggio speciale da tutti noi dell’Associazione ADIPSO.

PRESIDENTE ADIPSO

Sommario Sommario

1 Editoriale

> Un doveroso riconoscimento

4 Associazione

> Incontri di supporto psicologico di gruppo

8 Associazione

> Autonomia differenziata

10 Dermatologia

> I trials clinici

14 Reumatologia

> Come la creazione del valore per il paziente può supportare le strategie cliniche e la ricerca

18 Psicologia

> Dal modello Bio-Psico-Sociale alla Psico-dermatologia

20 Posta

> Ad ogni domanda una risposta

Ricordiamo il servizio “Medico Risponde”

diretto ai Soci: un dermatologo risponderà, in tempi brevi, ai tuoi quesiti posti alla mail: segreteria@adipso.org

INFORMATIVA PRIVACY

Ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs 196/2003, la informiamo che l’utilizzo dei Suoi dati, trattati in forma scritta e/o con l’ausilio di strumenti informatici, è esclusivamente finalizzato all’invio della presente rivista. Titolare e responsabile del trattamento dei dati è A.DI.PSO.

con sede in Roma, Via Tacito 90, tel. 06 3211545. La informiamo inoltre che Lei può esercitare i diritti di cui all’art. 7 del citato decreto e che quindi in ogni momento potrà avere gratuitamente accesso ai propri dati e potrà richiederne l’aggiornamento, la rettifica, l’integrazione o la cancellazione se non desidera più ricevere la presente rivista.

Comitato scientifico

Andrea Altomare (MILANO)

Paolo Amerio (Chieti)

Nicola Balato (NAPOLI)

Luca Bianchi (Roma)

Maurizio Congedo (LECCE)

Andrea Conti (MODENA)

Francesco Cusano (BENEVENTO)

Ornella De Pità (ROMA)

Antonino Di Pietro (MILANO)

M. Concetta Fargnoli (L’AQUILA)

Raffaele Filotico (BRINDISI)

Pasquale Frascione (ROMA)

Giampiero Girolomoni (VERONA)

Paolo Gisondi (VERONA)

Giovanni Leone (ROMA)

Giuseppe Micali (CATANIA)

Luigi Naldi (VICENZA)

Giuseppe Novelli (ROMA)

Annamaria Offidani (ANCONA)

Manuela Papini (TERNI)

Aurora Parodi (GENOVA)

Giovanni Pellacani (ROMA)

Ketty Peris (ROMA)

Stefano Piaserico (PADOVA)

Oriana Scatolini (ROMA)

Incontri di supporto psicologico di gruppo per pazienti affetti da psoriasi condotti con tecnica

EMDR ( Eye Movement

Desensibilization and Reprocessing)

L’associazione ADIPSO ha il piacere di comunicare ai lettori e a tutti i soci che ha promosso e organizzato un progetto a favore delle persone con psoriasi con lo scopo di aiutarle concretamente a superare i problemi psicologici che essa comporta.

La Psoriasi non è solo una patologia dagli importanti risvolti di natura medica ma anche una condizione che provoca una enorme sofferenza psicologica nelle persone che ne sono affette, con significative ricadute trasversali nei più svariati ambiti di vita.

Diversi studi, di carattere nazionale ed internazionale, si sono focalizzati nel corso del tempo sulle ricadute emotive e sociali provocate dalla patologia evidenziando la presenza di vissuti ansiosi e depressivi, modalità di coping negative, isolamento relazionale con presenza di

REDAZIONE ADIPSO
Le malattie croniche- recidivanti come la psoriasi sono considerate, da un punto di vista psicologico, eventi equiparabili ad un vero e proprio trauma

stigmatizzazione e scarsa aderenza ai trattamenti prescritti. Dalle ricerche emerge come soprattutto il vissuto di stigmatizzazione correlato con aspetti depressivi rappresenti un fattore di rischio importante poiché alla base di condotte di auto-emarginazione ed atteggiamento passivo dinnanzi alla patologia con – di frequente- conseguente interruzione o non accesso alle cure mediche. Quanto descritto evidenzia quindi la necessità avallata da ricerche in tale ambito di un approccio di

cura alla persona affetta da psoriasi che oltre all’intervento farmacologico comprenda anche un supporto di natura psicologica finalizzato alla presa in carico della sofferenza emotiva provocata dalla patologia.

OBIETTIVI PREFISSATI

Gli obiettivi che ADIPSO si è posta è stata quella di promuovere e organizzare Interventi Psicologici di Gruppo strutturati mediante l’utilizzo della Tecnica EMDR ( EYE MOVEMENT DESENSIBILIZATION

AND PROCESSING). Tale Tecnica, evidence based è stata riconosciuta dalle principali associazioni Americane, dal Ministero della Salute e dal OMS come strumento efficace nel trattamento degli eventi traumatici.

Le malattie croniche- recidivanti come la psoriasi sono considerate, da un punto di vista psicologico, eventi equiparabili ad un vero e proprio Trauma per la loro capacità di imprimere un cambiamento (spesso sostanziale) nella Qualità di Vita, Immagine di sé, Relazioni interpersonali, Capacità di Coping del paziente con conseguenze sul Tono dell’umore ed emersione di vissuti Ansioso-Depressivi.

La strutturazione di un CICLO DI 8 INCONTRI DI GRUPPO condotti con tecnica EMDR si prefigge di: • Sostenere il confronto tra pazienti accomunati dalla medesima

esperienza di malattia;

• supportare il miglioramento del benessere emotivo della persona;

• coadiuvare il miglioramento delle relazioni interpersonali del paziente e del vissuto di stigmatizzazione associato alla patologia; Il Gruppo, infatti, costituito da persone che vivono la medesima condizione, permette al paziente affetto da psoriasi di non sentirsi più solo, sperimentando preziose esperienze di condivisione e rispecchiamento emotivo, fondamentali per aiutare la persona a superare vissuti di isolamento, stigma e perdita della speranza.

L’Utilizzo della TECNICA EMDR inoltre, permette una elaborazione profonda dell’esperienza traumatica legata alla patologia psoriasica, favorendo nel paziente l’emergere di modalità di coping reattive ed orientate sulla migliore gestione emotiva e pratica della patologia.

MODALITÀ

Tale Progetto ha come finalità il supporto emotivo a persone affette da psoriasi attraverso la parte-

cipazione dei pazienti a Incontri di Gruppo a cadenza quindicinale condotti con tecnica EMDR. Gli Incontri sono condotti da uno Psicologo-psicoterapeuta con specifica formazione EMDR ( I e II LIVELLO), si effettueranno in modalità online.

L’Organizzazione degli interventi è stata strutturata nel seguente modo:

• Partecipanti: dai 5 ai 10 partecipanti; i pazienti interessati all’ iniziativa verranno invitati ad un primo colloquio online di conoscenza con il Terapeuta responsabile del Progetto. Finalità del colloquio di conoscenza sarà quella di verificare con il paziente i suoi bisogni ed approfondire le principali finalità della partecipazione agli Incontri di Gruppo.

• Tempi: 8 Incontri a cadenza quindicinale

• Luogo: piattaforma VIP IN TOUCH online facilmente fruibile tramite PC o Smartphone

• Valutazione intervento: durante lo svolgimento degli Incontri verranno somministrati questionari finalizzati alla valutazione dell’efficacia dell’ Intervento.

I risultati ottenuti nel corso degli incontri saranno oggetto di valutazione statistica al fine di valutare se tale supporto unito alla terapia migliori la patologia della vita del paziente.

Gli Incontri di Gruppo sono iniziati il 23 maggio e termineranno entro la pausa estiva del mese di Agosto.

Il progetto fungerà come “progetto pilota”, ne seguirà un altro successivo nella seconda parte dell’anno in corso per cui le persone interessate a partecipare (GRATUITAMENTE) agli Incontri di gruppo possono mettersi in contatto con ADIPSO a: segreteria@adipso.org o al n. 06.45432400.

Autonomia differenziata

Era il 2001, al tempo di D’Alema e Berlusconi, quando si iniziò a parlare e discutere di riforma del titolo V della Costituzione per giungere a un’intesa tra Stato e Regione che prevedeva la richiesta dell’Autonomia differenziata, dalla salute alla scuola, dallo sport all’ambiente e quant’altro. Ora nel 2024 il Senato ha approvato il disegno di legge che prevede appunto l’attuazione dell’autonomia delle regioni a statuto ordinario e successivamente il d.d.l., collegato alla manovra passerà all’esame della Camera.

Non me ne vogliano i cittadini del Nord Italia, ma tale progetto rischia di far dipendere il Sud del Paese sempre più dipendente dalla Sanità del nord, obbligando moltissime persone a recarsi nelle regioni settentrionali per curarsi. Un report della Fondazione Gimbe ha analizzato il fenomeno della mobilità sanitaria interregionale evidenziando come nell’anno 2021 sia stata raggiunta una cifra elevatissima. In cima alla classifica si trovano non a caso la Lombardia, Emilia-Romagna (le

richiedenti dell’Autonomia) e in basso quelle del Mezzogiorno, quindi Calabria, Campania, Lazio, Puglia e Abruzzo.

Tale mobilità riflette le grandi disuguaglianze tra Nord e Sud del Paese e l’autonomia differenziata certificherà le disuguaglianze

del diritto alla salute come recita l’art.32 della Costituzione. La mobilità inoltre investe anche il personale medico e paramedico, che allettati da condizioni economiche più vantaggiose provocherebbero la fuga verso le regioni più ricche.

REDAZIONE ADIPSO

Attualmente il Servizio Sanitario

Nazionale è in affanno e per tale ragione impedisce di stanziare risorse sufficienti ad assicurare i Lea e colmare le disuguaglianze dell’assistenza sanitaria

ragione impedisce di stanziare risorse sufficienti ad assicurare i Lea (Livelli essenziali di assistenza), figuriamoci a colmare le disuguaglianze dell’assistenza sanitaria. Il dibattito sul regionalismo differenziato è giunto ormai a uno dei passaggi fondamentali che riguarda la definizione dei Lea, oggetto di ripartizione dei poteri e competenze tra Stato e Regione, un confronto complesso che coinvolge il concetto stesso dei Lea, stretti tra l’esigenza di garantire la realizzazione dell’uniformità e l’allocazione sostenibile della spesa pubblica. I dati del report confermano non solo come ci sia un divario tra il

mente destinato ad aumentare se verranno concesse maggiori autonomie alle più ricche Regioni settentrionali, compromettendo l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute.

Prima di arrivare all’autonomia servirebbe riequilibrare il Fondo sanitario con i criteri di riparto, promuovere la prevenzione con delle campagne create ad hoc e garantire omogeneità nel territorio nazionale.

Non rassegnarsi alle disuguaglianze!

Trials Clinici

Come funziona la sperimentazione clinica

Prima di poter essere messi in commercio, tutti i nuovi farmaci devono superare una lunga fase di sperimentazione. In generale si parla di sperimentazione clinica di un farmaco quando si vuole valutare l’efficacia /o la tollerabilità e/o la sicurezza di un trattamento farmacologico sull’uomo.

La sperimentazione clinica comporta un iter lungo e costoso, le cui diverse fasi sono descritte e stabilite dalla legge in modo da garantire procedure etiche e in grado di minimizzare i rischi per i pazienti.

Per indicare le sperimentazioni cliniche si usa spesso il termine più “italianizzato” trials clinici.

Dove avviene la sperimentazione dei nuovi farmaci

Le Sperimentazioni cliniche vengono in genere effettuate nelle strutture ospedaliere/ universitarie

REDAZIONE ADIPSO

pubbliche o private autorizzate.

L’azienda o l’istituzione che finanzia lo studio è detta sponsor.

Gli sponsor degli studi clinici sono quasi sempre le industrie farmaceutiche, interessate a sviluppare nuovi farmaci in vista della loro commercializzazione. Per questo

Uno studio randomizzato si dice in cieco (in inglese blind) quando i pazienti non sanno a quale gruppo sono stati assegnati.

investono somme ingenti, dato che gli studi clinici sono sempre lunghi e costosi.

Una parte minore di studi clinici è invece finanziata da organismi di ricerca pubblici.

Uno studio è detto multicentrico quando coinvolge più istituti o centri di ricerca.

Lo studio clinico controllato Negli studi clinici controllati un gruppo di pazienti riceve il trattamento sperimentale, mentre un altro gruppo - il gruppo di “controllo” - riceve una terapia standard ( ad esempio un farmaco già utilizzato per la stessa patologia), oppure (dove sia eticamente/clinicamente accettabile) un placebo, cioè una preparazione apparentemente identica a quella che si vuole testare ma che non contiene alcun principio attivo. L’efficacia del nuovo farmaco viene così confrontata con quella della terapia standard o del placebo. In uno studio controllato randomizzato (dall’inglese

“randomized” -cioè scelti a caso) i pazienti sono assegnati a caso al gruppo sperimentale o a quello di controllo, invece di essere scelti in modo deliberato dai ricercatori.

Gli studi in cieco e in doppio cieco Uno studio randomizzato si dice in cieco (in inglese blind) quando i pazienti non sanno a quale gruppo sono stati assegnati. Ovviamente prima di partecipare ad uno studio in cieco i pazienti devono essere messi al corrente della possibilità che non venga loro somministrato il farmaco sperimentale ma il placebo.In uno studio in doppio cieco (double blind in inglese), né i pazienti né i medici sanno chi sta assumendo la cura sperimentale e chi il placebo. Le etichette dei farmaci e dei placebo portano dei codici, che vengono svelati solo alla fine dell’esperimento, o in caso di necessità.

In uno studio in doppio cieco l’efficacia della terapia farmacologica viene valutata facendo il confron-

to tra i dati ottenuti nei pazienti trattati con il farmaco e in pazienti trattati con il placebo. Solo se c’è una differenza statisticamente significativa tra i due tipi di “trattamento” a favore del gruppo di pazienti che è stato trattato con il farmaco si può dire che quest’ultimo ha un’efficacia terapeutica.

Le diverse fasi della sperimentazione clinica

Non è sempre facile tracciare divisioni nette fra le diverse fasi della sperimentazione clinica, dato che a seconda del prodotto esaminato o della metodologia di studio alcune fasi si possono sovrapporre. Tipicamente, la sperimentazione avviene in 4 fasi, al termine di ognuna di esse i risultati determineranno se il farmaco sarà adatto ad entrare nelle fasi successive o se invece la sperimentazione verrà interrotta.

Fase I

Studio preliminare sulla sicurezza e sulla modalità di azione

Lo scopo principale di questa prima fase non è quello di valutare l’efficacia del nuovo farmaco, ma quello di dare una prima valutazione sulla sua sicurezza e allo stesso tempo di determinare quello che accade al farmaco nel corpo umano: come viene assorbito, metabolizzato ed escreto.

Lo studio è effettuato in generale su un piccolo numero di volontari sani. La fase I può anche servire ad evidenziare eventuali effetti indesiderati della sostanza in funzione del dosaggio.

Per passare alle fasi successive un farmaco deve dimostrare di non essere tossico, o perlomeno di avere una tossicità accettabile rispetto all’uso previsto.

Fase II

Studi terapeutici pilota

Lo scopo principale è quello di valutare l’efficacia del farmaco ( ad un preciso dosaggio e con una definita posologia) in un ristretto numero di pazienti affetti dalla malattia o dalla condizione clinica per la quale il farmaco è proposto.

Fase III

Studi terapeutici su più larga scala

Se la fase II fornisce risultati incoraggianti la fase III coinvolge un numero più ampio di pazienti al fine di approfondire i dati di efficacia, di valutare il dosaggio più opportuno, di monitorare gli eventuali effetti collaterali su un campione statisticamente più significativo.

Per la maggior parte, gli studi di fase III sono di tipo randomizzato e in doppio cieco e la loro durata è variabile a seconda degli obiettivi che la sperimentazione stessa

si pone. Durante questa fase viene sempre controllata con molta attenzione la tollerabilità (insorgenza di effetti indesiderati e/o collaterali) del farmaco. I farmaci che passano con successo la fase III della sperimentazione ottengono l’autorizzazione per la commercializzazione.

Fase IV

Dopo la commercializzazione

Anche quando un farmaco viene venduto ed utilizzato da migliaia di persone in uno o più paesi gli studi clinici continuano con la fase IV. Gli studi di fase IV sono volti a confermare la sicurezza e la tollerabilità a lungo termine del farmaco, su un ampio numero di pazienti. I dati che si ottengono sono statisticamente importanti, dato che coinvolge un gran numero di uti-

lizzatori, spesso diversi per età, razza, sesso etc…

Le autorità che vigilano sui Trials Clinici

La sperimentazione clinica è posta sotto il controllo delle autorità sanitarie pubbliche (Istituto Superiore di Sanità, Ministero della Sanità, Comitati Etici regionali, Comitati Etici locali) e regolamentata da leggi precise. Per quanto riguarda i paesi dell’UE, è l’EMEA che ha lo scopo di coordinare e armonizzare le procedure in tutti i paesi dell’Unione Europea. Negli Stati Uniti l’autorità competente è la FDA (Food and Drug Administration).

Le autorizzazioni necessarie per la sperimentazione clinica E’ interessante sapere che di tutte le nuove molecole potenzialmente utili, solo 1 su 40.000 diventerà effettivamente un farmaco.

REDAZIONE ADIPSO

Come la creazione

del valore per il paziente può supportare le strategie cliniche e la ricerca

In un ambiente sanitario in rapida evoluzione, caratterizzato dall’ingresso di numerosi nuovi farmaci e meccanismi di azione innovativi, dall’avvento dei biosimilari e dall’aumento delle restrizioni sui bilanci Sanitari, il paziente rimane il fattore costante. Le attuali linee guida terapeutiche EULAR evidenziano la necessità di intraprendere decisioni di trattamento che siano condivise tra il paziente e il reumatologo1. Con la responsabilizzazione (Empowerment) del Paziente nasce la necessità per le persone di essere in grado di comprendere appieno le implicazioni della loro condizione, nonché la ragione e le conseguenze delle diverse strategie di gestione della malattia. Al centro, nell’interazione tra il reumatologo e la sua / il suo paziente c’è la necessità di capire quali aspetti della malattia e / o altri fattori debbano essere “ripristinati” così da permettere al paziente di raggiungere una situazione quanto più vicina ad uno stato di normali-

tà; questo obiettivo potrebbe essere definito altrimenti come ‘creazione di valore per il paziente’.

Generare valore per il paziente è fondamentale sia per lo sviluppo di nuovi farmaci sia per la gestione del paziente in terapia e richiede la considerazione di molteplici fattori, tra cui determinate convinzioni/ preferenze del paziente, la storia e il grado di conoscenza proprie della persona, il tipo / sottotipo di malattia e , infine, lo stadio e la gravità dei sintomi. Nel tentativo di migliorare la comprensione sull’importanza relativa di questi molteplici fattori, è stata condotta un’indagine su 450 pazienti dell’Unione Europea affetti da artrite psoriasica, spondiloartrite assiale e artrite reumatoide, la maggioranza dei quali in trattamento da meno di 10 anni.

L’indagine è stata sviluppata sulla base di una struttura teorica per valutare il valore per il paziente, osservando l’esperienza delle persone attraverso diverse dimensioni che

possono essere influenzate dallo stato della malattia (Figura 1):

1. Sintomatologia fisica

2. Dimensione mentale ed emozionale

3. Dimensione sociale

4. Impatto economico (produttività del lavoro e costo delle cure)

5. Impatto della malattia sulla famiglia / coniuge (ad esempio oneri sulla famiglia, la dipendenza per un aiuto, etc.)

Nella sezione relativa alla ‘comprensione del paziente’, l’indagine ha rilevato che i pazienti manifestano ancora sintomi infiammatori attivi su base giornaliera, nonostante il trattamento con farmaci biologici (31%), farmaci anti-reumatici modificanti la malattia (41%), farmaci antinfiammatori non steroidei (54%) o corticosteroidi (24%). L’impatto della malattia varia per Paese di provenienza, ma anche per tipologia di malattia: ad esempio i pazienti affetti da spondiloartrite assiale manifestano un impatto di grado più elevato dei loro sintomi. Non sorprende che il dolore

nella spondiloartrite assiale abbia un posto di rilievo sui sintomi riferiti, nonostante tutti i pazienti fossero in cura secondo le raccomandazioni standard. Incapacità di svolgere le attività quotidiane, dolore, rigidità e fatica sono stati i sintomi successivamente più citati.

In termini di importanza e impatto sulla vita del paziente, alla sintomatologia fisica è seguita la valutazione dagli aspetti mentali e di quelli sociali; problemi di salute mentale (depressione e ansia) sono riscontrati da più di un terzo dei pazienti (Figura 2).

I pazienti hanno espresso un sentimento di frustrazione ed impotenza a causa della loro condizione, entrambi fattori importanti che influenzano il peggioramento della qualità della vita e che comportano un’esperienza

non ottimale del paziente in terapia. Sembra che, sebbene i medici abbiano potenti strumenti a disposizione nel loro armamentario per affrontare l’aspetto infiammatorio della malattia reumatica, la parte relativa al dolore, all’ansia e alla depressione spesso risulti non essere adeguatamente gestita. La domanda rivolta al paziente è stata: “Indichi quale ‘Aspetto che influenza la sua Vita ‘ ritiene più preoccupante’ e quale il ‘meno preoccupante’. I punteggi sono stati indicizzati in riferimento all’attributo che riceve il punteggio più alto (dolore) al quale è stato dato un punteggio di100: ad esempio, la mancanza di energia risulta creare tanta preoccupazione quanta ne genera il dolore. I valori qui evidenziati illustrano i risultati per gli attributi emersi come più rilevanti al termine del sondaggio. Il numero totale degli intervistati era 451 (provenienza: UK n = 91, Francia n = 90, Germania n = 90, Italia n = 90 e Spagna n = 90). Molti dei reumatologi (N = 141) presenti al congresso EULAR sono stati invitati a partecipare alla stessa indagine, sottoposta precedentemente ai pazienti. Pur non essendo un matched-controlled con l’indagine del paziente, si è evidenziata una marcata disconnessione nella percezione tra paziente e medico di cosa sia realmente

I pazienti hanno espresso un sentimento di frustrazione ed impotenza a causa della loro condizione, entrambi fattori importanti che comportano un’esperienza non ottimale del paziente in terapia

‘Valore per il paziente’. È emerso un buon livello di consenso tra medico e paziente sulla necessità di affrontare e contenere l’impatto fisico della malattia; tuttavia, per i reumatologi il carico emotivo della malattia è poco considerato nella loro lista di priorità di cura, nonostante sia stato invece chiaramente identificato dai pazienti come bisogno di attenzione. Il punto chiave che emerge è che i pazienti, pur essendo clinicamente trattati in modo adeguato secondo gli standard di oggi, soffrono ancora di ‘sintomi collaterali’, che potrebbero essere affrontati allargando il focus terapeutico. Questi risultati iniziali possono essere di ulteriore stimolo per la ricerca in specifiche aree di malattia, così come l’esplorazione di soluzioni su misura che potrebbero fare la differenza per i pazienti nella loro necessità di ristabilire un livello di normalità di vita. L’obiettivo finale di un processo decisionale condiviso può essere che, considerando questi ‘sintomi collaterali’ nel trattamento delle malattie reumatiche, i medici possano avere un maggior impatto nel percorso terapeutico dei pazienti attraverso soluzioni (ad indirizzo farmacologico e non), rispondendo ai bisogni del paziente in un modo più olistico, riuscendo a creare realmente valore per il paziente.

Patrizia Carlucci PSICOLOGA - PSICOTERAPEUTA

Fonte: Il Punto in dermatologia J.Medical Books Edizioni

Dal modello

Bio-Psico-Sociale alla Psico-dermatologia

Il modello bio-psico-sociale è una strategia di approccio alla persona, sviluppato da Engel sulla base della concezione multidimensionale della salute descritta nel 1947 dal WHO (World Health Organization). L’assunzione fondamentale del modello bio-psico-sociale è che ogni condizione di salute o di malattia sia la conseguenza dell’interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali (Engel 1977). Il modello bio-psico-sociale si contrappone al modello biomedico, secondo il quale la malattia è riconducibile a variabili biologiche che il medico deve identificare e correggere con interventi terapeutici mirati. La valutazione dei tre fattori psicosociali permette di dare delle raccomandazioni terapeutiche che possano affrontare più problematiche insieme attraverso un approccio interdisciplinare che coinvolga più professionisti del-

Il contributo psicologico può fornire al dermatologo delle ulteriori competenze nell’approccio verso la malattia psico-cutanea

la salute. Inoltre il modello definisce concretamente il rapporto che si può instaurare tra professionista e paziente. Un rapporto positivo tra questi può migliorare la relazione tra il paziente e i servizi messi a sua disposizione, l’efficienza della terapia e il decorso della malattia (Suls & Rothman, 2004).

Su questi principi si basa la psico-dermatologia, una branca della medicina che ha come oggetto di studio la relazione tra il cervello e la pelle e nello specifico le connessioni tra sistema nervoso, cognizio-

ni, emozioni, personalità e aspetti biologici e patologici (Jafferany & Franca, 2016). Essa si concentra sui disturbi cutanei che sono suscettibili a fattori psicologici come stress, ansia e volatilità emotiva. Questi fattori psicologici possono essere considerati responsabili della precipitazione del disturbo, della sua esacerbazione o del mantenimento. Tuttavia, i fattori psicologici che intensificano il disturbo cutaneo si riscontrano in una parte dei pazienti dermatologici, tra questi vi troviamo le persone affette da psoriasi.

Questo tipo di pazienti ha un’elevata responsività allo stress perciò la presenza di stressors si può tradurre con un’intensificazione dei sintomi (Brown et al., 2015).

Inoltre, i disturbi psicofisiologici, una delle classi di disturbi dermatologici studiati da questa disciplina in cui rientra la psoriasi, possono risultare associati a comorbidità psichiatriche come ansia, depressione e ideazione suicidaria (Kurd et al., 2010).

Vista la complessità della patologia psico-cutanea risulta necessario un approccio terapeutico di tipo multidisciplinare che vede coinvolte la figura del dermatologo, dello psichiatra e dello psicologo per avere una presa in carico del paziente nella sua totalità. Il contributo della psichiatria e della psicologia, in molti casi, non porta alla risoluzione completa della patologia ma focalizza la sua attenzione sugli stati mentali ed emozionali del paziente che fanno parte del quadro clinico e forniscono al paziente gli strumenti per affrontare il percorso di malattia in modo autonomo ed equilibrato (Azambuja, 2017).

Un’equipe multidisciplinare è associata a migliori risultati clinici nei pazienti con patologie psico-dermatologiche (Mohandas et al. 2013; Shah & Bewley, 2014) e a un costo sanitario inferiore (Altaf et al. 2016). L’inserimento dell’intervento psicologico, in aggiunta al trattamento medico, può migliorare la condizione cutanea più rapidamente e in maniera più efficace della sola terapia medica (Piaserico et al., 2016).

Il ruolo dello psicologo in dermatologia

Il contributo psicologico può fornire al dermatologo delle ulteriori competenze nell’approccio verso la malattia psico-cutanea (Brown et al., 2015), migliorando la comunicazione e il rapporto medico-paziente e conseguentemente l’aderenza alla terapia e gli outcomes.

La comunicazione della diagnosi di malattia è un momento molto complesso e delicato in quanto il paziente acquisisce la consapevo-

lezza di essere affetto da una patologia visibile con cui dovrà convivere per tutta la vita. Si tratta di una malattia che può interferire nei diversi ambiti: lavorativo, sportivo, sociale e personale e più in generale nella qualità della vita della persona. Inoltre, le caratteristiche della patologia psico-dermatologica potrebbero portare a situazioni di stigmatizzazione e isolamento sociale oltre che a impattare negativamente il senso di autostima e la percezione dell’immagine corporea.

Lo psicologo in dermatologia trova la sua utilità promuovendo interventi di prevenzione e di psico-educazione fornendo al paziente dermatologico gli strumenti necessari per gestire e convivere con la malattia e il suo impatto emotivo e cognitivo e diminuire gli stili di vita mal adattivi che possono contribuire allo sviluppo e al mantenimento della malattia. Inoltre, questa figura professionale fornisce il sostegno psicologico necessario durante il percorso della malattia e la gestione delle comorbidità mediche, psicologiche e psichiatriche associate implementando le risorse della persona.

Gli aspetti psicologici della psoriasi

Diversamente da quanto si possa pensare l’impatto sulla qualità della vita dei pazienti affetti da psoriasi è molto forte, infatti anche se non si tratta di una malattia mortale, sembra avere un effetto comparabile a quello di pazienti colpiti da tumore, infarto o diabete (Rappe t al., 1999; Dubertret et al., 2006). La psoriasi è stata associata a numerose alterazioni di natura psicologica come basso senso di autostima, depressione, ansia, disfunzioni sessuali, ideazione suicidaria e dipendenza da alcool (Kimball et al., 2005; Taner et al., 2007; Nastreen et al., 2008; Van Voorhees & Fried, 2009; Boztas & Polat, 2010; Zarcovic et al., 2011; Rieder & Tausk, 2012).

Inoltre, il fatto che la psoriasi sia visibile e deturpante ha un profondo impatto sulla socialità e porta il soggetto colpito a evitare situazioni

che non garantiscono la privacy o che possano far sperimentare vissuti di vergogna e sconforto, limitando di fatto la possibilità di relazioni intime e compromettendo la sicurezza e l’autostima nei rapporti interpersonali. La natura cronica e recidivante di una patologia che richiede un trattamento a lungo termine destabilizza l’emotività e favorisce lo sviluppo di aspetti depressivi e talvolta di ideazione suicidaria. In aggiunta, anche la perdita degli aspetti di produttività associati alla malattia nonché la riduzione di interessi e attività personali (sport, hobby) aumentano il grado di disagio sociale e psicologico del soggetto psoriasico (Kouris et al., 2017).

Sebbene non sia stata ancora definita una struttura di personalità specifica della psoriasi, i pazienti affetti da questa patologia riportano maggiormente tratti ossessivi-compulsivi, relativi all’evitamento, schizoidi e passivi-aggressivi (Klitch et al., 2008). Un numero limitato di ricerche ha investigato il profilo temperamentale e caratteriale di questi pazienti, tuttavia, i risultati appaiono controversi.

I tratti temperamentali più comuni nei soggetti con psoriasi sono quelli relativi all’evitamento del danno, alla ricerca di novità e alla dipendenza dalla ricompensa, ricondu-

cibili rispettivamente a quattro emozioni fondamentali: la paura, la rabbia e attaccamento (Klitch et al., 2008; Ak et al., 2012). Queste proprietà giocano un ruolo determinante nella risposta dell’individuo a fattori di stress e alla capacità di coping.

Il temperamento sembra essere associato anche allo sviluppo di depressione e un elevato numero di comorbidità (Taner et al., 2007); Van Voorehes and Fried, 2009). La gravità della psoriasi sembra essere positivamente correlata al tratto evitamento del danno e dipendenza dalla ricompensa (Ak et al., 2012). Riguardo al carattere, i pazienti con psoriasi sembrano maggiormente auto-trascendenti (Ak et al., 2012) e in maniera minore autodirezionali (Klitch et al., 2008).

Questi risultati evidenziano che le persone affette da psoriasi sono più dipendenti a livello sociale ed emotivo, facilmente influenzabili, con un basso livello di accettazione di sé, orientati verso la spiritualità e un comportamento poco orientato al perseguimento di obiettivi (Kilic et al., 2008; (Ak et al., 2012).

Molti autori evidenziano come la presenza di tratti alessitimici, ossia l’incapacità a riconoscere ed elaborare le emozioni, possa essere un fattore di rischio per l’insorgenza e il mantenimento delle patologie

dermatologiche (Willemsen et al., 2008). Un recente studio italiano multicentrico evidenzia una prevalenza di alessitimia nel 24,8% dei pazienti con psoriasi i quali mostrano una peggiore qualità della vita, più elevati livelli di ansia e depressione, un maggior rischio di sviluppo di dipendenza da alcol e una maggiore compromissione in ambito lavorativo rispetto ai pazienti non alessitimici (Sampogna et al., 2017). I risultati delle ricerche che hanno preso in considerazione questo costrutto sottolineano che il peggioramento delle patologie, quali la psoriasi, è associato alla presenza di tratti alessitimici, all’evitamento di relazioni che necessitano vicinanza emotiva e intimità, e a una bassa percezione di supporto sociale (Picardi et al., 2005). In base alle ricerche effettuate per indagare le strategie di coping utilizzate dai soggetti psoriasici, i risultati indicano che quelle maggiormente utilizzate sono prevalente strategie di coping focalizzate sull’emozione,

l’evitamento, il distanziamento, la negazione, il distacco comportamentale, l’abuso di sostanze e alcool (Zalewska et al., 2007).

Inoltre, le persone affette da psoriasi sembrano ricorrere a strategie di coping prevalentemente passive, come nascondere le lesioni cutanee, parlare agli altri della propria patologia ed evitare i contatti sociali Rapp et al., 2001). Infine, è importante sottolineare che il coping, essendo un processo di valutazione cognitiva, è influenzato dalle rappresentazioni di malattia che il paziente ha della sua patologia. Esse sono schemi o filtri interpretativi che mediano le tre principali fonti di informazioni sulla malattia, ossia: le informazioni ricavate dal contesto sociale e dalle conoscenze culturali di malattia; l’ambiente interpersonale costituito da amici o parenti e da fonti ritenute autorevoli come il medico e i siti web; i sintomi attuali e le esperienze di malattia (Hagger & Orbell, 2005). Questo costrutto assume una specifica rilevanza cli-

nica poiché la rappresentazione di malattia da parte del paziente non influisce solo sull’attribuzione causale e sulla narrativa dei sintomi ma anche sul decorso della patologia e sulla persistenza dei sintomi cronici (Petrie et al., 2007).

Quale conclusione

Il ruolo che lo psicologo potrebbe esercitare sulla presa in carico globale del paziente potrebbe realizzarsi nell’aiutare il soggetto a riconoscere eventuali cognizioni distorte, percezioni abnormi di malattia e strategie di coping disadattative, nonché sostenerlo nel fronteggiare le emozioni negative attraverso interventi psicoeducativi o terapeutici laddove necessari. Queste finalità implicano un coinvolgimento attivo del paziente nel processo di gestione e cura della malattia. Inoltre, lo psicologo sarebbe in grado di affiancare il medico aiutandolo a individuare in prima battuta i segnali di disagio psicologico e curare quegli aspetti comunicativi indispensabili per creare una buona relazione medico-paziente indispensabile per creare un’alleanza terapeutica funzionale. Per intervenire sulle conseguenze psicosociali della malattia, l’approccio più auspicabile per il trattamento dei soggetti psoriasici sembra essere quello di tipo multidimensionale e olistico, che includa in fase diagnostica l’utilizzo di misure per valutare non solo gli aspetti prettamente fisici, ma anche quelli psicologici (Pakran, Riyaz & Nandakumar, 2011). Ciò può essere ottenuto tramite un’adeguata attenzione alla qualità di vita dei pazienti e a quegli aspetti che possono peggiorarla.

Affinché ciascun paziente possa quindi trovare la terapia ottimale è necessario che lo specialista integri la valutazione clinica con un quadro quanto più possibile completo e aggiornato sull’impatto complessivo della malattia sulla vita quotidiana del paziente. In un’ottica multidimensionale è necessario, infatti, che i pazienti psoriasici seguano un approccio integrato che coinvolga

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> Continua in questo numero del nostro magazine la rubrica dedicata alla posta dei nostri lettori. Una finestra aperta attraverso la quale trovare una risposta competente ai vostri quesiti

Spett.le associazione ADIPSO Odv,

mi chiamo Eleonora, scrivo dalla provincia di Alessandria e sono una mamma preoccupata per mia figlia Sofia di 21 anni con delle chiazze di psoriasi alle ginocchia, ai gomiti e nella zona lombare della schiena. Il medico specialista le ha prescritto delle creme e prodotti gel da somministrare sulle chiazze ma i risultati sono stati deludenti.

Ultimamente abbiamo notato che un paio di unghie della mano dx ha modificato l’aspetto… sono molto preoccupata perché ho letto in una rivista specializzata che alla psoriasi si può associare anche l’artrite. A questo proposito vorrei sapere, quali sono i sintomi dell’artrite psoriasica?

Grazie in anticipo della risposta che mi invierete

Cordialmente

Eleonora v.

L’artrite psoriasica non è direttamente collegata alla psoriasi cutanea, è stato osservato che solo il 30% di pazienti con psoriasi presenta l’artrite. I sintomi più significativi di questa patologia sono una rigidità che persiste per più di 2 ore dopo il risveglio, gonfiore di un dito della mano o del piede, che assume l’aspetto di un salsicciotto, ma anche presenza di piccole strie o solchi delle unghie delle mani e/o dei piedi, come sembra nel caso di suo figlio. A volte anche dolori nella parte posteriore del tallone di Achille.

L’artrite può provocare danni alle articolazioni colpite se non viene trattata per tempo. E’ importante perciò diagnosticare e trattare il disturbo il più precocemente possibile.

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