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In copertina
Arch. Matteo Defendini
Titolare della società
Defendini Architects
> 63° Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo
> Brescia Infrastrutture entra nelle scuole
> Nanni Nember: house of BMW
> Ovdamatic raddoppia a Milano
> L’evoluzione di Ila Malù
> Freccianera: la storia incontra il futuro
> Victoria Mater. L’idolo e l’icona
> In mostra la collezione fotografica di Massimo Minini
> Aerotropoli: nuovo terminal a Orio al Serio
Via Bono, 10 - Bergamo
Tel. 035 270989 www.editaperiodici.it

Aut. Tribunale di Brescia n°18 del 22/04/2004
Edizione cartacea distribuita nelle edicole e per abbonamento postale. Versioni digitali sfogliabili su:
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Direttore responsabile: Vito Emilio Filì segreteria@editaperiodici.it
Direttore editoriale: Patrizia Venerucci venerucci@editaperiodici.it
Responsabile redazione: Tommaso Revera redazione@qui.bg.it - redazione@qui.bs.it
Redazione eventi: Valentina Colleoni redazione.chicera@qui.bg.it
Marketing e pubblicità Valentina Visciglio valentina.visciglio@qui.bg.it
Fotografie di:
Federico Buscarino
Sergio Nessi
Matteo Marioli
Paolo Stroppa
Daniele Trapletti
Hanno collaborato: Anna Donatini
Maurizio Maggioni
Daniela Sangalli
Giorgio Paglia
Haim Reitan
Luca Ruggeri
Stampa: Euroteam Nuvolera (Bs)
Informazioni 035.270989
Stampato con inchiostri a base vegetale.

Un Natale sempre più splendente di luci. Ovunque voi siate in questi giorni, venite raggiunti dal bagliore di milioni di lucine a led tutte, quasi di sicuro, made in China, che rendono la città magica, fiabesca per accendere la fantasia dei bambini ai quali resteranno bellissimi ricordi del Natale.
Dall’alto di una terrazza panoramica posso scorgere il brulicare di tutto quello scintillio e il trambusto di bancarelle, giostre, video mapping, luminarie delle fogge più diverse, installazioni realizzate con raggi Laser, proiettori… La luce è diventata una delle tecniche espressive più in voga per molti artisti e ha una facilità di diffusione pazzesca, perché la corrente arriva ovunque. Non c’è paesino sperduto, sui monti o nella bassa, che non abbia i suoi giochi di luce, abeti incantevoli e i suoi festoni luminosi mentre, nei giardinetti delle villette e sui balconi delle palazzine, la gente fa a gara con angioletti, babbi natale con o senza slitta e renne (tramontati per fortuna quelli che si arrampicavano in cordata dai terrazzi o lungo le grondaie…) ma anche agnelli o capannine con la Madonna e tutti gli altri della compagnia di quella santa notte angeli e pastori compresi: interi presepi fatti con i Led. Per non parlare delle stelle comete, ormai ovunque, anche gigantesche. Ultimo trend: rivestire tutto un intero albero, ogni suo più piccolo rametto, con una rete fittissima di lucine. Bianche sono più raffinate, un po’ pacchiane quelle multicolor, ma tant’è che dalla Lina, in queste settimane, ci vedono di sicuro.
L’amico Catellani, che la sapeva lunga sull’argomento, mi raccontava già tanti anni fa come l’umore della gente cambia a seconda della luce. E non solo quella solare ma anche quella artificiale, quella che accendiamo nelle ore in cui il sole è tramontato.
La luce quindi entri in tutti noi, portandoci quell’energia e quello stupore che forse non è più facile trovare in giro a buon prezzo… E quei bimbi sognanti, in mezzo a tanta festosità natalizia, restino il più a lungo possibile bambini, sperando che non debbano mai vedere nel cielo altri lampi di luce meno rassicuranti.
Sono i figli dell’Italia di oggi, quelli che se appena possono scappano altrove… Figli d’Italia nati all’inizio della fine di un mondo che non hanno costruito loro e che dovranno smontare per sopravvivere sani di mente.
I figli, dopo i “fratelli” che l’hanno costruita con l’inno di Mameli, saranno loro a demolirla e ricostruirla.
Figli di un’Italia sempre più multicolore, multigender, multiconfessionale, multiculturale. Molto connessa ma quasi sempre “sconnessa”. Un’Italia un po’ cialtrona, che evade le tasse però fa le donazioni, che non si ferma col giallo e parcheggia sul posto dei disabili. Figli, eredi dei debiti dei dissennati padri, che loro dovranno pagare per tutta la vita. Figli che un giorno prenderanno il potere grazie agli algoritmi dell’intelligenza artificiale, che metterà in luce i più furbi.
Tanti ma tanti auguri a voi che vedo sorridere sulla giostrina con i cavallini che fanno su e giù, auguri anche a chi si nasconde dalle luci per stare in angolo a bere o a fumare o chiuso in camera a chattare. E sempre meno a fare l’amore. Auguri figli d’Italia.
cover
Matteo Defendini: 10 anni da architetto
pag 4
dell’essenza di Elda Zanoli


SANGUE BLU
Conti Donata e Giovanni Lechi: custodi della memoria
pag 40
Nanni Nember, house of BMW pag 10
Giovanni Sanga inaugura il nuovo Terminal dello scalo di Orio al Serio
pag 25



Zona Blu dona un ecografo alla Casa di Cura San Francesco
pag
storia incontra
AZIENDE
Ovdamatic raddoppia a Milano
pag 14
MUSICA
63° Festival Pianistico Internazionale Brescia Bergamo


SU STRADA
Geely Starray EM-i. Un nuovo modo di viaggiare
SHOPPING
Ila Malù, da Store a Stories pag 50


pag 34

Da Vittorio è tra i dieci migliori ristoranti al mondo
pag 46

pag 52 CHEF

MOSTRA
Tarocchi, le origini, le carte, la fortuna in Accademia
Carrara
pag 64
Paolo Cattin: Black Friday e orologi di lusso
pag 72


STORIE
Gloria Bartoli nuovo Segretario Generale dell’Associazione Musei d’Arte Contemporanea
pag 58
STORIA
Di Fortezza in Fortezza: Città Murate

pag 66

Brescia Romana

STORIE
Anna Lorenzetti: Violenza e linguaggio
pag 76


Matt Mullican: That Person’s Heaven pag

MEMORIE
Pacifico e l’addio ad Ornella Vanoni
pag 78









Nel 2026 Matteo Defendini celebrerà i primi dieci anni di attività. Un traguardo già segnato da molti progetti realizzati e premiati, anche a livello internazionale, che raccontano la filosofia dell’architetto: “Nel mio lavoro arriva sempre un momento dove le parole tacciono e lasciano spazio a ciò che ho realizzato: i progetti parlano da soli».
Laureato in Svizzera nel 2016, l’Architetto bresciano ha iniziato la sua attività dapprima come libero professionista per poi, collaborazione dopo collaborazione, fondare nel 2021 l’attuale società di progettazione integrata Defendini Architects: una struttura che riunisce un team di architetti, ingegneri, designer e geometri attiva nei settori dell’architettura, dell’ingegneria, dell’urbanistica e del design, sia in ambito pubblico che privato. Le esperienze e le relazioni internazionali dell’Architetto tra Svizzera, Francia, Africa, Australia e Sudamerica continuano a influenzare l’operato di Defendini Architects: «le radici sono ben consolidate a Brescia, ma spero che le fronde dell’albero che stiamo crescendo arrivino ancora molto lontano». Oggi la maggior parte dei progetti è nel Nord Italia e nel bresciano, ma la visione e l’approccio rimangono internazionali.
Sta per compiere dieci anni di attività. Che cosa rappresenta questo traguardo?
“È l’occasione per progettare i prossimi dieci. “Architetti non si nasce, si diventa” era scritto all’ingresso dell’università di Mendrisio dove mi sono laureato. Non essendo figlio d’arte, sono partito da solo, senza una rete preesistente. Oggi posso contare su una società strutturata, collaboratori di fiducia e competenze multidisciplinari che mi aiutano sicuramente a diventare l’architetto che sognavo di essere fin da bambino. La prossima estate ci ritaglieremo un momento per celebrare questo primo decennio di attività con clienti, fornitori e partner: è un traguardo raggiunto soprattutto grazie a loro”.
Una delle competenze che vi distingue sul mercato è la progettazione integrata. In cosa consiste?
“Significa mettere a sistema, attraverso i collaboratori interni alla nostra struttura, tutte le componenti progettuali - architettonica, strutturale e impiantistica - che caratterizzano ogni intervento: residenziale, commerciale, industriale o pubblico. È un modello operativo di società di progettazione che ho avuto modo di conoscere ed apprezzare soprattutto all’estero, in particolare nei Paesi oltreoceano con economie in via di sviluppo, dove gli studi di architettura ed ingegneria sono composti da vari team per gestire progetti complessi. Noi lo applichiamo su scala bresciana: un unico referente per tutto il processo, dal progetto su carta alla sua realizzazione in cantiere”.
Lei ha sempre rifiutato l’idea di specializzazione unica. Perché?
“Credo che la vera specializzazione sia saper affrontare in maniera sistematica progetti diversi. Ogni intervento di per sé è un unicum. Per questo disegniamo case, uffici, scuole, ristoranti, piazze e molti altri tipi di spazi. Alcuni colleghi hanno uno stile riconoscibile; a me non interessa che si veda “la mia mano” ma proporre progetti che rispettino il contesto e sappiano rispondere alle esigenze e ai gusti del cliente”.
Via Corfù, 94 - Brescia
Tel: 030 13879113
Mob: +39 375 5668203
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di un nuovo complesso residenziale a Podgorica in Montenegro
Entriamo nel concreto: quali progetti state seguendo oggi sul nostro territorio?
“Stiamo lavorando su più fronti. In città, abbiamo diversi cantieri per il restauro di palazzi storici in centro storico; in piazza Arnaldo stiamo realizzando un nuovo wine-bar che aprirà in primavera; in Maddalena, zona Borgo Trento e Mompiano, stiamo progettando la ristrutturazione di alcune ville unifamiliari ed appartamenti da locare. In provincia, a Botticino stiamo realizzando nuovi uffici e un capannone industriale; a Lonato, siamo impegnati nella progettazione del lungolago davanti al Cocobeach; in Franciacorta e nella bassa, stiamo ristrutturando delle case private e realizzando l’ampliamento di alcune aziende agricole. Uno dei progetti più impegnativi su cui stiamo lavorando è sicuramente la bonifica di un ex-area industriale a Rezzato per la costruzione di 24 nuovi appartamenti: un intervento di rigenerazione urbana che darà nuova vita ad un contesto degradato da molti anni”.


Progetti ed interventi davvero di vario tipo. Invece, che cosa sta seguendo all’estero?
“In Colombia, da cui sono rientrato da poco e dove ormai lavoro da 7 anni, stiamo progettando un nuovo hotel a Cartagena, sulla costa caraibica, e una torre residenziale alta più di 100 metri a Cali. A febbraio sarò a San José in Costa Rica dove progetteremo una nuova tenuta rurale, mentre a Podgorica, la capitale del Montenegro, abbiamo partecipato ad un concorso per la realizzazione di un nuovo complesso residenziale di 24.000mq. Sono progetti che ci consentono di maturare la vocazione internazionale della società e allo stesso tempo che arricchiscono il nostro bagaglio creativo e culturale per essere in grado di proporre sempre soluzioni innovative e sostenibili anche sul nostro territorio”.
Il tema della sostenibilità è centrale nel vostro approccio: come lo affrontate?
“La progettazione bioclimatica mi accompagna dai primi lavori in Africa e in Australia: sfruttare acqua, vento e luce naturale come strumenti progettuali è un approccio che ha contraddistinto il mio operato da sempre. Credo che gli architetti abbiano una grande responsabilità nel progettare spazi di vita per l’uomo più efficienti e sostenibili. Inoltre, la sostenibilità non si predica, si fa. Tant’è che non ci limitiamo a proporre soluzioni innovative e sostenibili, soprattutto in termini di scelta dei materiali e degli impianti, all’interno dei progetti che ci vengono commissionati. Come società, stiamo investendo oltre un milione di euro per la realizzazione di un impianto fotovoltaico a terra che, oltre a produrre energia pulita e far parte di una nuova comunità energetica, ci aiuterà a perseguire un certificazione ESG”.
Guardando al futuro, quali sono le sue aspettative?
“Il più grande sogno di un architetto penso sia vedere i propri progetti realizzati, vedere costruito ciò che ha immaginato. Quindi spero anzitutto che tutti i progetti su cui stiamo lavorando trovino forma e poi che Defendini Architects continui a crescere ed affermarsi senza mai perdere quella doppia identità che contraddistingue anche il sottoscritto: radici solide a Brescia e orizzonti verso il mondo intero”.




NANNI NEMBER INAUGURA LA NUOVA HOUSE OF BMW A BRESCIA OSPITANDO IL BMW ART CAR WORLD TOUR E L’ANTEPRIMA DELLA
NUOVA BMW IX3
Sabato 29 e Domenica 30 Novembre il rinnovato showroom Nanni Nember di Brescia ha ospitato tre iconiche BMW Art Car dove ha fatto tappa il World Tour per celebrare il 50esimo anniversario della collezione ed il sodalizio fra Nanni Nember, BMW Group e la città di Brescia. “From high tech to high touch”: questo lo slogan della filosofia House of BMW che ha ispirato la realizzazione del nuovo spazio espositivo. Tecnologia e fattore umano si sono combinate in un’esperienza unica dove gli strumenti digitali sono integrati nel dialogo tra persone e brand, fra tradizione ed innovazione. Innovazione, come la Nuova BMW iX3, primo modello della Neue Klasse, svelata in anteprima durante il weekend, inaugurando la nuova era del puro piacere di guidare full-electric grazie alla tecnologia BMW eDrive di sesta generazione, con un'autonomia fino a 805 chilometri ed una potenza di ricarica massima di 400 kW, definendo un futuro automobilistico finora inesplorato. Tradizione, come il progetto BMW Art Cars, leggendario legame tra auto iconiche e artisti di fama mondiale come Roy Lichtenstein o Jeff Koons che hanno realizzato vere sculture su quattro ruote. Da quando la prima BMW Art Car di Alexander Calder è apparsa sulla griglia di partenza nella leggendaria 24 Ore di Le Mans nel 1975, il Gruppo BMW ha permesso finora a 20 artisti di dare libero sfogo alla propria ispirazione. Arte e design, tecnologia e innovazione, automobilismo e ingegneria, espressi tramite vari canoni stilistici quali minimalismo, pop-art, realismo magico, astrattismo, arte concettuale e arte digitale.




Il 50 esimo anniversario della prima BMW Art Car è stato celebrato in tutti e cinque i continenti con il BMW Art Car World Tour e, il 29 e 30 Novembre scorsi, l’esibizione itinerante ha coinvolto anche il rinnovato showroom Nanni Nember di Brescia. Un’occasione imperdibile per vivere la concessionaria e provare le novità della gamma BMW e MINI: è stato, infatti, possibile ammirare dal vivo tre straordinarie vetture della preziosa collezione, ognuna espressione di un’epoca e di un manifesto artistico: BMW 3.0 CSL - anno 1975 – artista Alexander Calder, BMW 320i Turbo - anno 1977 –artista Roy Lichtenstein, BMW M3 GT2 – anno 2010 – artista Jeff Koons. Questi capolavori, vere e proprie opere d’arte su quattro ruote, sono accomunati da un minimo comune denominatore, essere state auto da competizione. Sia nel pomeriggio di sabato 29 che di domenica 30 novembre si sono svolti inoltre workshop su tematiche di arte, enogastronomia, lifestyle e motorsport. Assente nell’occasione, ma degna di nota per la sua straordinaria modernità, la BMW M Hybrid V8. Nel 2024, quasi 50 anni dopo la prima BMW Art Car, BMW realizza infatti una vettura straordinaria ed altamente performante, che chiude idealmente il cerchio: la prima già citata BMW Art Car, creata nel 1975 da Alexander Calder, aveva debuttato sul Circuit de la Sarthe di Le Mans. La BMW Art Car di Julie Mehretus, BMW Art Car numero 20, è scesa in pista a Le Mans dopo la premiere con il numero di gara 20. Per la realizzazione dell’opera, Julie Mehretu si era riproposta di creare uno spazio di gioco per l’immaginazione. Si era chiesta: che aspetto avrebbe il dipinto se l’auto lo percorresse e ne venisse influenzato? Per la creazione della BMW Art Car numero 20 Julie Mehretu mette pertanto al centro il vocabolario cromatico e delle forme del dipinto «Everywhen»: fotografie staniate, griglie precise, vernici spray color neon e tratti gestuali iconici.





La filosofia House of BMW ripensa lo spazio espositivo come luogo di innovazione e incontro, per valorizzare tutte le anime del brand: dalla tecnologia al valore umano, dal design all’esperienza, con una grande attenzione per sostenibilità e circolarità. Un “Wunderkammer” in cui vivere l’esperienza BMW Group, tra gli ultimi modelli, le icone che hanno scritto la storia del marchio, rilassarsi ed incontrare persone. Si è parlato di design con l’eclettico Enrique Napp, architetto argentino che – mosso da una vera e propria passione per le auto – nel 2000 ha lasciato Miami e Florida per trasferirsi a Castel d’Ario, paese natale di Tazio Nuvolari. E dalla sua viva voce, l’artista ha raccontato della sua vita, del suo stile artistico, e ha presentato due sue opere. Una ispirata proprio alle BMW Art Car, ed una inedita, omaggio ai designer italiani che hanno contribuito al successo di BMW. Nel weekend anche MINI ha mostrato la sua vena artistica ed un’auto è diventata essa stessa un’opera d’arte, grazie al contributo di Cris Devil, artista noto per la capacità di unire il mondo fisico con quello digitale, creando opere uniche che fondono pop art, surrealismo e musica. La passione per le chitarre, che lui stesso produce e suona, è un elemento centrale nelle sue creazioni, spesso arricchite con sculture e illusioni visive, con un linguaggio artistico fatto di colori intensi, squilibri prospettici e soggetti inusuali, un universo in continua evoluzione, dove passato, presente e futuro dialogano, proprio come il mondo MINI. Motorsport e DNA M sono valori che contraddistinguono la storia di Nanni Nember, concessionaria BMW per vocazione e per passione. Non poteva quindi mancare in queste giornate così speciali anche una moderna icona, la BMW M4 GT3 EVO con la livrea da gara di Valentino Rossi, che ha disputato con successo le più importanti competizioni europee durante la stagione 2025 per il Team BMW Italia / CeccatoRacing sotto la sapiente regia del “Doge” Roberto Ravaglia, che negli anni ’80 è stato indiscusso e plurivittorioso campione mondiale, europeo ed italiano nella categoria turismo con la mitica BMW M3. A raccontare i segreti della vettura è stato il bresciano Francesco Guerra, pilota ufficiale BMW, che proprio al volante della BMW M4 GT3 EVO ha partecipato anche nel 2025 al Campionato Italiano Turismo GT Endurance.




BMW Group è sinonimo di ricerca e personalizzazione, anche attraverso contaminazioni e collaborazioni tra differenti ambiti creativi strettamente interconnessi che si influenzano a vicenda in un dialogo continuo. Carattere ed unicità sono infatti i valori della GEN M: le prestazioni e la tecnologia incontrano un mondo più ampio, fatto di moda, musica, arte e lifestyle, trasformando la passione in esperienze, dando vita ad una vera e propria cultura M. Quindi, non solo automobili, grazie alla presenza di Francesco e Stefano Lancini di Laboratorio 17 e la loro idea imprenditoriale. Sneakers personalizzate divenute opere d’arte spesso dedicate ad importanti club di calcio, e loro creazioni esclusive sono state indossate da giocatori come Neymar, Ibrahimovic e tanti altri. Una vera e propria bottega artigiana grazie a creatività ed alta qualità reinventa la tradizione. Oltre che dalla creatività, Enrique Napp, Laboratorio17 e Cris Devil sono accomunati da un obiettivo benefico. Durante il weekend del 29 e 30 Novembre è stato infatti possibile acquistare creazioni degli artisti, opere uniche dedicate all’evento, il cui ricavato andrà a favore di La Zebra OdV e Fondazione Alessandra Bono per progetti di ricerca ed innovazione scientifica degli Spedali Civili di Brescia e della Poliambulanza. Per Nanni Nember inizia un nuovo capitolo di una lunga tradizione, che dura ininterrottamente dal 1967 a fianco dal BMW Group, l’impegno concreto per la mobilità premium del futuro, offrendo alla propria clientela uno spazio ospitale e rilassante, dove è possibile testare a 360° l’esperienza BMW e MINI.


QUESTO IL TEMA AL CENTRO DELLA GPP
FUORI MASTERCLASS
CHE È ANDATA IN SCENA IL 27 NOVEMBRE
SCORSO PRESSO LA CANTINA MONTEROSSA
DEL BARCO
Una serata dove tradizione, tecnologia e visione si sono incontrate dando vita a un dialogo ricco di spunti e ispirazioni. Un evento che ha unito esperienza, curiosità e networking in una location d’eccellenza nel cuore della Franciacorta. Questo, in estrema sintesi, quanto avvenuto il 27 Novembre scorso in occasione della GPP Fuori Masterclass, moderata dall’Avv. Francesca Allocco, consigliere AIGA Brescia, e alla quale sono intervenuti Emanuele Rabotti, Presidente Consorzio Franciacorta nonché Patron della Società Agricola Monte Rossa Srl che ha parlato di ‘Innovazione e robotica nel mondo vitivinicolo’, l’Avv. Gilda Gagliano, Studio Legale Gagliano Legal, che si è soffermata sul tema ‘La tutela dell’innovazione in campo agro-alimentare e vitivinicolo’, il Dott. Fabrizio Lavazza, Direttore commerciale RulAll SpA, che si è soffermato sull’’Innovazione digitale e tracciabilità: il valore dell’informazione al consumatore’.















ACQUISIZIONE STRATEGICA
E NUOVI INVESTIMENTI PER LA CRESCITA

Non ha certo bisogno di presentazioni OVDAMATIC, dinamica azienda bresciana della distribuzione automatica che da oltre mezzo secolo è parte integrante della quotidianità di imprese, enti, scuole e comunità. Dopo aver celebrato il traguardo dei cinquant’anni di attività, l’azienda si conferma una delle realtà di riferimento del vending in Italia, con una presenza capillare tra Brescia, Bergamo, Mantova e Cremona e una capacità di presidio sempre più solida anche nelle aree più competitive della regione. Il 2025 si apre per OVDAMATIC come un anno di consolidamento e accelerazione. La distribuzione automatica sta attraversando una trasformazione profonda, spinta dall’innovazione tecnologica e da un’attenzione crescente alla sostenibilità. In questo scenario – ricco di opportunità ma anche sfidante – il gruppo prosegue con una strategia chiara: crescere in modo equilibrato, investendo in innovazione e in nuovi mercati, senza perdere la propria identità e mantenendo il cliente al centro della mission aziendale. La crescita è alimentata da continui investimenti tecnologici e dalla digitalizzazione dei processi. L’interconnessione dei distributori rappresenta ormai un elemento strutturale del modello operativo: il 60% del parco macchine è integrato con sistemi 4.0, permettendo monitoraggio puntuale, diagnostica da remoto e una gestione più efficiente dei rifornimenti. In parallelo, l’introduzione di strumenti basati su intelligenza artificiale consente di ottimizzare i flussi operativi e migliorare l’esperienza degli utenti, rendendo i distributori sempre più efficienti, reattivi e interattivi. In questo percorso, tuttavia, la tecnologia non è mai fine a sé stessa. OVDAMATIC la interpreta come leva al servizio del lavoro delle persone: strumenti digitali e AI generano valore reale solo quando sono governati da competenze solide, senso di responsabilità e cultura del servizio. Per questo l’azienda continua a investire nella formazione e nella crescita dei propri collaboratori, valorizzandone la capacità di leggere i contesti, anticipare i bisogni dei clienti e trasformare l’innovazione in beneficio concreto. È la persona –con la sua esperienza, il suo giudizio e la sua umanità – a rendere la tecnologia uno strumento utile, affidabile e coerente con i valori dell’impresa. Un passaggio decisivo nel percorso di sviluppo arriva nel cuore del 2025. Il 1° ottobre 2025 OVDAMATIC completa l’acquisizione di una nuova azienda del vending con sede a Peschiera Borromeo, operazione che va a raddoppiare le dimensioni di QUICKMATIC, società controllata già attiva su Milano e hinterland. L’operazione rafforza in modo netto la presenza nell’area metropolitana, migliorando copertura, capacità operativa e competitività, e consolidando la leadership del gruppo in Lombardia grazie a nuove sinergie commerciali e organizzative. Accanto allo sviluppo industriale, OVDAMATIC ha confermato nel 2025 un impegno forte e misurabile sulla sostenibilità, intesa come responsabilità sociale, ambientale ed economica. A maggio è stato pubblicato il secondo Bilancio di Sostenibilità, che ribadisce la centralità di temi come legalità, inclusione, valorizzazione del capitale umano e dialogo con gli stakeholder. In questa cornice, l’azienda ha ulteriormente rafforzato le proprie politiche a favore dell’inclusività, della parità di genere e del rispetto dell’individuo, promuovendo percorsi di crescita e formazione che pongono al centro competenze, consapevolezza e benessere condiviso. Sul piano ambientale, il gruppo prosegue con determinazione nel ridurre l’impatto delle proprie attività: dall’impiego di distributori a minore impronta ambientale all’adozione di pratiche virtuose di raccolta differenziata, fino alla valorizzazione di prodotti a filiera corta e alla ricerca di soluzioni innovative per limitare l’uso della plastica Ogni scelta è orientata a una gestione più circolare e responsabile delle risorse, coerente con un’idea di progresso che non separa la crescita dal rispetto del territorio.
In parallelo, OVDAMATIC continua a consolidare un modello di business fondato su etica e integrità, rafforzando i propri strumenti di governance e prevenzione dei rischi, a tutela di relazioni trasparenti e corrette lungo tutta la catena del valore. È una visione che guarda al futuro con responsabilità: l’evoluzione tecnologica, l’intelligenza artificiale e l’attenzione ambientale vengono interpretate come sfide decisive, ma anche come opportunità preziose per innovare e crescere in modo sostenibile.

“Vogliamo continuare a creare valore nel tempo. Le persone, l’innovazione e il rispetto del territorio sono i punti fermi che ci guidano nel futuro, pronti ad affrontare nuove sfide con la stessa passione che ci accompagna dal primo giorno”. Pierpaolo Turotti, Amministratore Delegato di Ovdamatic

Via Giovanni Bormioli, 32-34 Brescia Tel: 030 376 1270 - www.ovdamatic.com
LA SOCIETÀ PUBBLICA IN HOUSE DI GESTIONE PATRIMONIALE CHE SI OCCUPA DI PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DELLE INFRASTRUTTURE DI PROPRIETÀ DELLA CITTÀ DI BRESCIA HA RISPOSTO ALL’INVITO DELL’ISTITUTO LUZZAGO DANDO VITA AD UNA MATTINATA DI ORIENTAMENTO NON SOLO PER RACCONTARSI MA ANCHE PER ATTRARRE I GIOVANI INGEGNERI E ARCHITETTI DI DOMANI
Il 21 Novembre scorso, presso l’istituto Luzzago di Via Monti, al cospetto della 5ªB SCA (Liceo Scientifico opzione Scienze Applicate) del Luzzago e del Prof. Luigi Rondina, insegnante di Storia e Filosofia, è stata ricevuta una delegazione di Brescia Infrastrutture, la società interamente partecipata dal Comune di Brescia, capitanata dal Presidente, l’Ing. Marcello Peli, per raccontare agli aspiranti ingegneri e architetti di domani quello di cui si occupa questa realtà con sede a Brescia in via Triumplina 14.
Un’iniziativa per favorire un’occasione di orientamento tesa da un lato a raccontare ciò che Brescia Infrastrutture sta sviluppando sul fronte educativo e infrastrutturale (con particolare riferimento alle opere di riqualificazione in corso in diversi istituti cittadini ma anche alla metropolitana intesa come infrastruttura strategica per la mobilità studentesca e per l’educazione civica alla sostenibilità) e dall’altro ad approfondire le politiche di gestione che stanno alla base di un’azienda pubblica il cui patrimonio appartiene al Comune di Brescia.


Alcuni scatti tratti dalla mattinata di orientamento svoltasi presso il Liceo Scientifico Luzzago di Brescia con visita ai cantieri del nuovo impianto sportivo indoor (Cluster 1) in realizzazione a Sanpolino

Durante il suo intervento, l’Ing. Marcello Peli ha ribadito la mission di Brescia Infrastrutture ovvero la gestione della manutenzione della metropolitana, dei parcheggi pubblici e di numerosi spazi ed edifici della città, oltre alla progettazione e realizzazione di infrastrutture pubbliche e per terzi, ma anche chiarito l’obiettivo della società nata lo scorso 2011: rendere la nostra città più efficiente, moderna e sostenibile. Un obiettivo lusinghiero ma certamente conseguibile vista e considerata l’esperienza conseguita in questi 14 anni, l’innalzamento del knowhow gestionale e dei vari livelli di competenza acquisiti da un team estremamente giovane composto da 39 dipendenti (20 uomini e 19 donne) tra cui 4 architetti, 14 Ingegneri, 6 laureati in Giurisprudenza e 3 in Economia.
Dopo la ‘teoria’ si è passati alla pratica: l’intera classe, infatti, dopo un rapido trasferimento in metro, ha fatto visita al nuovo impianto sportivo indoor (Cluster 1) in realizzazione a Sanpolino per testare con mano lo stato dell’arte dei lavori e per avere un’importante preview di un progetto, finanziato parzialmente dal PNRR, strategico per lo sport a Brescia, destinato all’atletica leggera, alle arti marziali e all’arrampicata.











PER LA PRIMA VOLTA IN MOSTRA LA COLLEZIONE FOTOGRAFICA DI MASSIMO MININI.
Una grande mostra inaugurata il 27 novembre alla Cavallerizza – Centro della Fotografia Italiana, in via Cairoli 9 a Brescia: per la prima volta, la collezione fotografica del gallerista Massimo Minini viene presentata al pubblico fino al 4 gennaio 2026. Non devono essere solo mie. Intuizioni e passioni di un collezionista di fotografie, a cura di Giovanna Calvenzi e Margherita Magnino, raccoglie 200 fotografie in un percorso inedito che attraversa più di un secolo e mezzo di storia dell’immagine. Dall’Ottocento alle sperimentazioni contemporanee, la mostra, articolata in diverse sezioni tematiche offre uno sguardo unico su come la fotografia si sia intrecciata con l’arte, la società e lo sguardo personale di uno dei più influenti galleristi internazionali. Il viaggio inizia nell’Ottocento, con opere di Julia Margaret Cameron, del barone Von Gloeden, di Francesco Paolo Michetti e di Felice Beato: immagini che spaziano dai nudi ai paesaggi architettonici, dal gusto pittorialista alle prime ricerche sulla luce e sulla figura. Segue la selezione delle foto di autori russi, dominata dalle geometrie visionarie di Alexandr Rodchenko e da altri interpreti dell’avanguardia sovietica, in cui la fotografia si fa linguaggio ideologico e costruttivo. Una parte ampia della mostra è dedicata agli "United Artists of Italy", titolo che richiama l’omonimo volume curato da Minini (Silvana Editoriale, 2021), dove i più grandi fotografi italiani, Claudio Abate, Aurelio Amendola, Gabriele Basilico, Sandro Becchetti, Gianni Berengo Gardin, Elisabetta Catalano, Giorgio Colombo, Mario Cresci, Mario Dondero, Federico Garolla, Mimmo Jodice, Nanda Lanfranco, Uliano Lucas, Nino Migliori, Ugo Mulas, Paolo Mussat Sartor, Paolo Pellion e Ferdinando Scianna raccontano i percorsi dell’arte italiana del secondo Novecento. La sezione dedicata al paesaggio riunisce maestri come Vittorio Sella, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Gianfranco Gorgoni, Jonathan Luckhurst e Paolo Novelli, in un dialogo di sguardi che ridefinisce continuamente il concetto di luogo e percezione. Chiude il percorso un sorprendente accostamento: le fotografie di Franco Piavoli, autore bresciano di grande sensibilità umana e visiva, vengono messe in relazione con i fotografi maliani Malick Sidibé e Seydou Keïta, e il fotografo nigeriano J.D. Okhai Ojeikere, anch’essi intenti a ritrarre la persona, in un confronto che trascende i confini geografici e culturali per interrogare il senso universale del volto e della presenza. Non devono essere solo mie non è solo una mostra, ma un atto di condivisione, un invito ad entrare nell’immaginario di Massimo Minini, dove la fotografia è memoria, gesto artistico e racconto collettivo. Un’occasione unica per scoprire, attraverso le immagini, la storia di uno sguardo che ha saputo attraversare e accompagnare decenni di arte italiana e internazionale.
FINO AL 4 GENNAIO 2026, ALLA CAVALLERIZZA –CENTRO DELLA FOTOGRAFIA ITALIANA DI BRESCIA, UN PERCORSO CHE RACCONTA COME INTUIZIONI E PASSIONI HANNO GUIDATO LO SGUARDO DEL COLLEZIONISTA

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di Valentina Colleoni - ph. Devid Rotasperti
Dal piccolo paese di Ghisalba ai mercati mondiali: il viaggio straordinario del brand Le Essenze di Elda. La storia di un olfatto speciale e di una realtà nata da un’intuizione e trasformatasi in un progetto imprenditoriale di successo, basato su qualità ed autenticità come Elda Zanoli - fondatrice del brand - ci racconta in questa intervista…
Elda, ci puoi raccontare come e quando è nata l’idea di “Le Essenze di Elda”? “L’idea è nata… in lavanderia! Precisamente nella mia lavanderia di Ghisalba. All’inizio è stata davvero dura: introdurre la cultura della lavanderia pubblica in un paese di 6.000 abitanti, in un periodo in cui le self-service erano pochissime, sembrava quasi una follia. Con il tempo però chi provava il servizio per curiosità ritornava. Le clienti apprezzavano ordine, pulizia, velocità e anche la socialità del luogo. Ma una cosa metteva tutte d’accordo: il profumo che rimaneva sui capi. La voce si diffuse velocemente e mi dissi: “Voglio creare una linea di profumi per i vestiti” Così è iniziato il mio percorso nel 2011, tra prove, tentativi e collaborazioni con aziende specializzate. Dopo mesi di ricerca è nato DIAMANTE, il profumo iconico, quello che ha fatto impazzire tutti e che molti cercano ancora oggi di imitare senza successo.Da lì è partito tutto: clienti da fuori paese, poi da fuori provincia e regione, negozianti interessati, richieste dall’estero. Nel 2013 ho aperto il primo shop online, nel 2015 il primo deposito e da lì la crescita è stata continua”.
Cosa ricordi di quel periodo e dei tuoi primi passi nel settore?
“Ricordo la paura, l’incertezza ma anche l’adrenalina. Sentivo che stava nascendo qualcosa di importante, ma mai avrei immaginato dove saremmo arrivati. Ricordo soprattutto le persone che mi hanno sostenuta e quelle che purtroppo oggi non ci sono più. E la mia famiglia da sempre al mio fianco. Tutti questi ricordi mi emoziono ancora”.
Quando hai capito: “Ok, questo è il settore giusto per me”?
“Quando le persone facevano la fila fuori dalla lavanderia per comprare le mie essenze. Quando arrivavano email da tutta Italia per chiedere DIAMANTE. Allora ho percepito che non era solo un prodotto… ma un’emozione che portava le persone a tornare”.
Dalla fondazione del brand ad oggi come si è evoluta l’azienda?
“In modo incredibile! Da una piccola realtà siamo passati ad un’azienda strutturata, con un catalogo da oltre 400 articoli suddivisi in 24 categorie. La pandemia è stata un momento difficile ma anche una grande spinta: l’online è esploso e ho investito molto in comunicazione, strutture e risorse. Nel 2022 abbiamo acquistato la nuova sede di Spirano, completamente ristrutturata, in cui ci siamo trasferiti nel 2023”.




Ci puoi parlare delle prime linee e di cosa oggi è possibile trovare?
“Sono partita da tre fragranze: Perla, Smeraldo e Quarzo. Oggi abbiamo creato ben 43 profumazioni per il bucato, oltre a detersivi, ammorbidenti, prodotti casa, profumatori per ambiente e per la cura della persona, prodotti dedicati agli animali e molto altro. Tutto rigorosamente a marchio Le Essenze di Elda”.
Il trasferimento nella nuova azienda ha segnato un nuovo capitolo. Quanto era necessario?
“Tantissimo. Avevamo bisogno di spazi più comodi e sicuri per chi lavora con noi, maggiore organizzazione degli stock, tempi ottimizzati. La nuova sede rappresenta anche, dal punto di vista istituzionale, la qualità del brand. Per me e la mia famiglia è davvero il coronamento di un sogno”.
Come è strutturata oggi la vostra realtà a livello di uffici e magazzino?
“Abbiamo una sede moderna, con zone dedicate alla gestione ordini, uffici, magazzini ampi e organizzati e spazi pensati per garantire sicurezza e serenità ai collaboratori”.
Com’è composto lo staff de Le Essenze di Elda?
“La struttura è volutamente snella. Mi avvalgo di professionisti esterni che coordino personalmente mentre i miei collaboratori interni gestiscono magazzino e spedizioni”.
Dov’è possibile trovare Le Essenze di Elda?
“Oggi il brand è conosciuto in tutta Europa, nel Medio Oriente e nel Nord America. Un risultato che mi riempie di orgoglio”.
A cosa ti ispiri quando crei una nuova essenza?
“A tutto quello che mi circonda: un luogo, un ricordo, un contesto particolare. Mi piace sperimentare, miscelare profumi personalmente e creare nuove declinazioni olfattive. Decido io cosa immettere sul mercato e cosa no. Credo di avere un dono: un olfatto super sensibile, da sempre”.











Lo Stato italiano stima di incassare quest’anno circa 750 miliardi di euro in tasse, ma la sua presenza invasiva non si ferma a mettere le mani nelle nostre tasche. Infatti, lo Stato ci deve controllare in modo sistematico ed oggi si avvale di sistemi di “spionaggio” sofisticatissimi e di indottrinamenti comportamentali indotti. Pensiamo solo alla diffusione massiva della gestione del denaro con sistemi di pagamento elettronici anche per piccole spese. Così i movimenti possono essere tutti tracciati e contabilizzati in tempo reale dalla Guardia di Finanza e dall’Agenzia delle
Entrate, devono avere l’indispensabile supporto del sistema bancario che incassa un pagamento per ogni operazione, ma peccato che se dovesse saltare momentaneamente il sistema informatico che gestisce tutte le transazioni, come è accaduto di recente in Spagna, nessuno avrebbe più i contanti nemmeno per comprarsi un panino. Poi lo Stato ti fornisce l’energia, sotto forma di benzina, elettricità, gas e acqua, per poter sopravvivere.
Per gestire il potere e per lobotomizzare i cervelli, lo Stato usa soprattutto una pachidermica burocrazia medioevale e una Giustizia lentissima, permissiva e che non garantisce la certezza della pena.
Così facendo il cittadino è inquadrato nel sistema, non ne può uscire e per mangiare, acquistare, istruirsi, curarsi e lavorare deve continuare a versare i suoi soldi nelle casse dello Stato.

Sembra un servizio, ma in realtà è un modo per controllare e tassare il cittadino, il quale non ha sistemi alternativi per approvvigionarsi (persino la legna nei camini è vietata) e non può trattare i prezzi delle forniture. Un solo esempio: sulla bolletta elettrica lo Stato applica, senza alcuna contestazione, l’Iva sulle accise, cioè mette una tassa su una tassa (guardare per credere). Aggiorna i prezzi delle forniture come e quando vuole: nessun calo proporzionato dei prezzi in questo periodo nonostante il gas abbia raggiunto il costo più basso da oltre un anno e mezzo (sotto i 30 € a megawattora). Per non parlare della benzina, le cui accise e l’IVA costituiscono il 60% del prezzo totale. Con le tasse lo Stato dovrebbe fornire servizi importanti alla sua popolazione.
E più le tasse sono alte e più i servizi pubblici dovrebbero essere eccellenti. Appunto, dovrebbero. Basta andare in Austria o nei paesi scandinavi per capire bene il concetto. Tra i servizi pubblici più importanti ci sono la sanità, la scuola e la sicurezza e non serve sprecare parole per criticare ulteriormente la situazione italiana.
Alla fine di novembre è successo un episodio incredibile che ha dimostrato come in Italia la libertà faccia più paura della delinquenza. Una famiglia anglo-australiana, che viveva felice nei boschi dell’Abruzzo, si è vista arrivare 4 auto dei Carabinieri a sirene spiegate che hanno prelevato i loro 3 bambini per portarli in una civilizzata casa famiglia sotto la tutela dei soliti assistenti sociali. Il vero problema è che i genitori sono fuori dalle “regole” della moderna civiltà: non vaccinano i figli, non gli danno un cellulare che li rincoglionisca, non li istruiscono in una scuola pubblica che insegna a conformarsi, non hanno un cesso dorato come i politici ucraini che finanziamo, non hanno bisogno dell’energia elettrica dalla rete pubblica.
Insomma non sono allineati, rassegnati e inquadrati come tutti noi.
Certo, la Magistrata, tal Cecilia Angrisano, probabilmente non aveva urgenza di perseguire chi ruba, chi accoltella, chi porta via i bambini dalle carrozzine, chi stupra, chi ammazza di botte, chi entra illegalmente in Italia e si fa mantenere dallo Stato, ma non poteva tollerare oltre modo che qualcuno vivesse sereno nella natura per i fatti suoi, con ritmi consapevoli e sani.
E allora, attenti allo Stato famelico, soprattutto se andate a funghi per boschi! Detto ciò, non mi resta che augurare a tutti voi Buone Feste in totale libertà!
Alla prossima e in alto i cuori leggeri.
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DEL NUOVO TERMINAL
L’etnologo e antropologo francese Marc Augé, nel suo libro del 1992, definiva gli aeroporti dei non luoghi… Per me è un terminal da cui ci si imbarca, dove si arriva e dove si accoglie chi transita, strutturato per fornire ogni servizio essenziale per le persone che prendono il volo. Nel nostro caso possiamo definirci, non me ne voglia la Sindaca Carnevali, una città nella città. Una città sempre in movimento che crea connessioni e attraverso cui è possible allargare la sfera delle relazioni, quali che siano le motivazioni alla base della scelta di volare verso una delle tante destinazioni da qui raggiungibili. Ci siamo chiesti da quale punto dovessimo considerare l’inizio del viaggio e abbiamo trovato la risposta nella multimodalità, un concetto caro agli esperti del settore e alle istituzioni. Ma la multimodalità cos’è? La combinazione di più modalità di mezzi di trasporto, al servizio del cittadino, per le sue svariate esigenze, anche tenendo conto delle sue attitudini e sensibilità. A tal proposito nel giro di un anno il treno collegherà direttamente l’aeroporto con Bergamo e Milano. Fino a 154 corse giornaliere alcune via Treviglio alcune via Carnate.
Premessa opportuna per l’evento di oggi, perché oggi raccontiamo un’importante tappa nella storia del nostro aeroporto che, nell’ultimo quarto di secolo, si è imposto nel panorama del trasporto aereo, nazionale ed europeo, diventando uno scalo strategico per il Paese. E tutto ciò grazie ad una rete di collegamenti sempre più estesa che ha agevolato le connessioni domestiche e reso possibile la crescita delle relazioni internazionali nell’ambito dell’economia, del lavoro, del turismo, dei rapporti interculturali, della formazione universitaria e dei servizi sanitari. Un processo che la pandemia ha rallentato ma non ha fermato. Un esempio di resilienza, di concretezza, della voglia di guardare al futuro con fiducia e la consapevolezza di dover andare avanti senza tentennamenti, facendoci trovare pronti per quando la vita sociale e le esigenze di mobilità sarebbero tornate come prima. Abbiamo creduto che, superata la drammatica fase dell’emergenza sanitaria, il trasporto aereo avrebbe segnato una ripresa progressiva. La ripresa c’è stata ed è stata anche sostenuta. L’abbiamo affrontata e gestita, rilevando con soddisfazione la preferenza accordata al nostro aeroporto, consapevoli che presto avremmo dovuto avviare il cantiere per allargare il fronte est e adeguare le nostre infrastrutture sotto l’aspetto dimensionale e tecnologico. Oggi celebriamo il completamento dei lavori avviati il 15 marzo dello scorso anno durati 622 giorni nell’assoluto rispetto del cronoprogramma. Lavori che hanno richiesto un investimento da parte di SACBO di 55 milioni di Euro, di cui 41 per la componente infrastrutturale e 14 per l’aquisto di macchine radiogene di ultima generazione.

L’area occupata dallo scalo aeroportuale





La prima parte, al piano terra, di 4300 mq, di cui 1500 per l’ampliammo delle sale check in e dei banchi di accettazione, con un nuovo sistema di gestione dello smistamento bagagli. La seconda parte al primo piano di 7500 mq in cui sono stati installati macchinari radiogeni che grazie agli algoritmi basati sull’ I.A. permettono di mantenere quanto contenuto nel bagagli a mano, in particolare dispositivi elettronici e liquidi, ovviamente garantendo che nessun tipo di oggetto proibito possa essere introdotto, innalzando i più alti standard di sicurezza internazionali. Sono a disposizione in totale 14 linee con criteri di priorità con una prima postazione per i passeggeri con ridotta mobilità e famiglie con bambini. Inoltre, si è provveduto anche a dotare l’area Schengen di una nuova sala imbarchi di 850 metri che ha migliorato ulteriormente il comfort dei passeggeri con aggiunta di spazi servizi e due nuovi gate.
La storia ci ha insegnato che il mondo dell’aviazione è stato precursore del cambiamento e del progresso. Lo sono e lo saranno anche gli aeroporti proiettati al futuro e con questa ambizione in nostro si configura come vero e proprio incubatore tecnologico e di innovazione. Proprio grazie alle innovazioni tecnologiche introdotte, i nostri passeggeri godranno la migliore esperienza di transito e permanenza con un servizio adeguato e un notevole risparmio di tempo in un contesto di assoluta garanzia e sicurezza. Una volta superati i controlli di sicurezza, i passeggeri si avvieranno verso i gates transitando nella nuova area Duty free che arricchisce la già notevole offerta commerciale disponibile nel terminal.
Da sottolineare che, la trasformazione del nostro aeroporto e la sua evoluzione, sono frutto di una politica di investimenti gestita da SACBO con risorse proprie, senza alcun apporto esterno. Il processo di adeguamento, che ha permesso di sostenere la domanda crescente e attrarre nuove compagnie, dal 2020, compresi i difficili anni delle pandemia, è dunque proseguito: il gruppo Sacbo ha programmato opere per un valore di circa 300 milionii che hanno permesso di migliorare sia l’efficienza delle attività propriamente aeronautiche sia i servizi di accessibilità per i passeggeri.

Il grande cambiamento si è prodotto da un quarto di secolo a questa parte ed è destinato a perdurare sotto la spinta di fenomeni globali che alimentano la mobilità delle persone nei vari contesti. L’avvento delle compagne low cost dei primi anni 2000, ha rivoluzionato i viaggi aerei a beneficio di un modello operativo che ha semplificato gli spostamenti e portato a volare nuovi soggetti e nuove categorie sociali. Il numero di rotte è cresciuto considerevolmente e il nostro aeroporto è diventato un asset strategico nel sistema trasportistico del paese.
Ci definivano un scalo secondario rispetto al contesto nazionale, confondendo il modello low cost delle compagne aeree con l’infrastruttura aeroportuale. Nel frattempo questa infrastruttura è cresciuta, dimensionalmente e tecnologicamente, insieme al traffico di passeggeri. Nel 2000 il totale dei passeggeri a livello mondiale non superava i due miliardi, mentre nel 2025 il traffico di passeggeri globali sfiorerà i dieci miliardi di passeggeri con 1,5 voli a persona nel mondo ed una crescita annua costante per raggiungere i 19 miliardi nel 2040.
Per l’Italia si passerà dai 220 milioni di passeggeri del 2024 a oltre 300 nel 2035. Se poi osserviamo le previsioni dei grandi mercati emergenti, Cina, India, Paesi Arabi e Sud America, la crescita del settore sarà dieci volte più rapida rispetto a quello che avverrà in Europa e negli Stati Uniti.
Da Dicembre raddoppieremo i voli per Dubai e Sacbo sta elaborando una progettualità di ampio spettro che parte dalle stime di traffico potenziale e dal Piano Nazionale degli Aeroporti per poi tradursi negli scenari futuri sostenibili con 4 punti focali: lo sviluppo aeronautico, l’impatto ambientale, la performance in termini di servizi e il processo di digitalizzazione, anche alla luce delle nuove sconvolgenti opportunità offerte dall’IA.
Vorrei lasciarvi non tanto una conclusione suggestiva bensì un pensiero di prospettiva che riprendo dagli studi del Consiglio Internazionale degli aeroporti. Come saranno gli aeroporti nel 2050? Sempre più grandi, più tecnologici, con tanti servizi e fortemente interconnessi con la città e le aree urbane. Avranno sempre più contatti con le università e i centri di ricerca e si creeranno quindi dei veri e propri “campus” aeroportuali con spazi per riposare, per lo svago e momenti di comunità. Queste sono le previsioni che gli analisti ci mettono di fronte. Del resto, se diamo un semplice sguardo al nostro contesto e con un pennarello segniamo su una cartina il collegamento fra la Fiera, che ha programmato di raddoppiare i suoi spazi, il collegamento ferroviario, l’autostrada, l’hotel che inaugureremo tra un anno, Orio Center qui vicino, e le tante altre iniziative che stanno sorgendo nei dintorni, possiamo dire che si sta già formando quella che gli esperti chiamano un’AEROTROPOLI
Sarà un’evoluzione naturale e noi siamo già un punto nevralgico del sistema.













La fede nuziale: l’emozione di una promessa Un cerchio senza inizio e senza fine, racchiude il significato più profondo dell’amore: la continuità. È il simbolo di due vite che si uniscono, scegliendosi ogni giorno con amore con la stessa intensità del primo. Non è un anello qualsiasi. È la voce silenziosa che, indossata sul dito, ricorda a chi ami: “Tu sei la mia scelta, oggi, domani e sempre.”

The Wedding Ring: The Emotion of a Promise
A circle without beginning or end, holding within it the deepest meaning of love: continuity. It is the symbol of two lives becoming one, choosing each other every day with the same intensity as the first. It is not just any ring. It is the silent voice that, worn on the finger, whispers to the one you love: “You are my choice, today, tomorrow, and always.”
fedi artigianali che respirano insieme a voi, ogni giorno, scolpite dalla mano dell’orafo con lentezza e dedizione.



L’ecografia è una metodica diagnostica non invasiva che utilizzando ultrasuoni (onde sonore) emessi da particolari sonde appoggiate sulla pelle del paziente, consente di visualizzare organi, ghiandole, vasi sanguigni, strutture sottocutanee ed anche strutture muscolari e tendinee in numerose parti del corpo. Durante l’esecuzione dell’ecografia, l’area da esaminare viene inumidita con un apposito gel, non tossico, che consente una migliore trasmissione degli ultrasuoni attraverso il corpo umano.
L’ecografia costituisce uno dei primi approcci allo studio del corpo umano, fatta eccezione della parte scheletrica e delle strutture interne alla scatola cranica. Gli ultrasuoni, infatti, non sono in grado di studiare le strutture ossee. Le ecografie sono, invece, molto utilizzate per lo studio del collo (tiroide, linfonodi), dell’addome (fegato, reni, milza, pancreas, eccetera), della pelvi (vescica, utero, ovaie, prostata), delle vene e delle arterie (carotidi, aorta, eccetera), dell’apparato muscolare (muscoli, tendini, legamenti).
L’ecografia non prevede emissione di radiazione di tipo X. Può essere, pertanto, effettuata con una certa frequenza qualora si rilevi la necessità di eseguire ripetute indagini in presenza di patologie note a scopo di monitoraggio.


DEL RETTO:

Pubblicati su “THE LANCET Oncology” i risultati dello studio coordinato da ricercatori dell’Ospedale Niguarda e dell’Università degli Studi di Milano, con il sostegno di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro.Un progresso importante è avvenuto di recente nella cura del tumore del retto: i risultati dello studio clinico NO-CUT, che modificano, migliorandola, la pratica clinica della terapia per questo tumore, sono appena stati pubblicati sulla rivista scientifica THE LANCET Oncology. Il tumore del retto colpisce nel mondo 700 mila persone ogni anno, e 340 mila di queste muoiono a causa della malattia. In Italia i casi annui sono oltre 14.000, e vengono registrati circa 5.000 decessi. Questi numeri, da soli, fanno comprendere l’urgenza di trovare nuove cure e l’importanza dei risultati ottenuti: in una persona su quattro, infatti, grazie al protocollo NO-CUT è stato possibile ottenere la remissione completa del tumore senza chirurgia.
“Complessivamente – ha commentato Salvatore Siena, direttore dell’Oncologia Falck all’Ospedale Niguarda di Milano e professore ordinario di Oncologia Medica all’Università degli Studi di Milano – possiamo affermare che l’approccio validato dalla sperimentazione clinica NO-CUT rappresenta un progresso significativo per le persone affette da carcinoma del retto ed è una pietra miliare dell’oncologia. I dati emersi nello studio NO-CUT dimostrano infatti che, quando le terapie preoperatorie eliminano il tumore, la chirurgia può lasciare il posto a un attento follow-up, offrendo così la possibilità di guarire senza necessità di intervento. I risultati raccolti hanno infatti confermato la sicurezza di questa strategia, che è diventata un’opzione consolidata nelle linee guida terapeutiche per il carcinoma del retto”.
I carcinomi del retto localmente avanzati, esclusi quindi gli stadi iniziali e quelli metastatici, sono circa un terzo di tutti i nuovi casi. Fino a oggi la guarigione è possibile con una terapia multimodale comprensiva di radioterapia, terapia medica oncologica e chirurgia del retto. Quest’ultima, grazie ai risultati dello studio NO-CUT appena pubblicati, può essere evitata in un quarto dei casi senza compromettere la possibilità di guarigione.
Fonte: Ospedale Niguarda di Milano
Dr. Haim Reitan
Direttore Sanitario
Studio Medici Associati
Una delle emergenze con le quali gli esperti dovranno confrontarsi sempre più spesso nei prossimi anni è la degenerazione maculare legata all’età, che attualmente interessa oltre 1 milione di italiani che hanno un “buco” al centro del campo visivo. Un panorama destinato a cambiare nel prossimo futuro grazie all’arrivo di nuovi farmaci e di innovative strategie di intervento.
“La maculopatia è una patologia che compromette in maniera significativa la qualità di vita dei pazienti ed è molto diffusa: riguarda il 2% degli italiani e aumenta al crescere dell’età – ha osservato Stanislao Rizzo, presidente Floretina ICOOR, direttore della Clinica Oculistica del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCSS, professore Ordinario di Oculistica presso Università Cattolica di Roma – È ormai una malattia sociale e rappresenta la causa più frequente di ipovisione e disabilità visiva dopo i 50 anni nel mondo occidentale. Ne esistono due forme, quella “secca”, la più comune (circa il 90% di tutte le forme), e quella umida o essudativa.

La maculopatia umida fino a qualche anno fa non era considerata curabile, ma i progressi terapeutici degli ultimi anni hanno consentito di rallentarne notevolmente la progressione e di ridurne la evoluzione“Purtroppo – mette in guardia l’esperto – molti pazienti arrivano alla diagnosi in ritardo perché non si sottopongono a visite oculistiche di controllo dopo i 50 anni e perché trascurano i sintomi iniziali, costituiti principalmente dalla visione un po’ distorta delle immagini: se l’altro occhio è sano, accade di non accorgersene subito e il disturbo progredisce, fino ad arrivare alla comparsa di una macchia scura potenzialmente irreversibile e indistinta in mezzo al campo visivo. L’obiettivo della ricerca di questi ultimi anni è stato perciò trovare farmaci che potessero essere più efficaci nel ritardare la progressione della perdita visiva, agendo anche su altri fattori di crescita coinvolti, e che rendessero più agevole la cura riducendo la necessità di somministrazioni intravitreali”.


Pier Carlo Orizio, Direttore Artistico del Festival Pianistico
Internazionale

Il 63° Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo presenta la nuova edizione “Oriente & Occidente - Da Chopin ad Arvo Pärt”, che si terrà dal 27 aprile all’1 ottobre 2026. Dopo l’immersione nel folclore dei paesi latini, il Festival dedica questa edizione ai repertori e agli autori dell’Europa orientale e slava. Accanto ai nomi immortali di Čajkovskij, Rachmaninov, Prokof'ev, Šostakovič e Scriabin, il pubblico incontrerà anche le voci di Bartók, Dvořák, Janáček e Arvo Pärt in un percorso che unisce tradizione e contemporaneità, come esprime il sottotitolo scelto per quest’edizione. Sui palcoscenici delle due città - a Brescia del Teatro Grande e del Teatro Sociale, che entra a pieno titolo tra i luoghi del Festival, e a Bergamo del Teatro Donizetti e del Sociale di Città Alta - si alterneranno i migliori pianisti della scena internazionale: Grigory Sokolov, Mikhail Pletnëv, Jan Lisiecki, Lilya Zilberstein, oltre che a giovani talenti che il Festival ha l’orgoglio di far conoscere al suo pubblico. Principale novità del 2026 sarà una ‘coda lunga’ della 63esima edizione con due appuntamenti di primo piano in autunno. Due eventi straordinari che escono dal periodo tradizionale del Festival: il ritorno di Yuja Wang, accompagnata dalla Mahler Chamber Orchestra l’8 settembre al Teatro Donizetti, e quello di Beatrice Rana, protagonista di un recital al Teatro Sociale di Brescia il 1 ottobre. Anche per questa 63esima edizione Intesa Sanpaolo sarà a fianco del Festival in qualità di Main Partner.
Il tema
“La seconda tappa del nostro itinerario prevede uno sguardo sull’Est d’Europa. Ritroveremo i volti familiari di molti compositori. Arvo Pärt, che è stato protagonista insieme a Beethoven del 44° Festival, oggi è tra i compositori viventi più eseguiti e amati dal pubblico. Di Chopin, in programma pure la scorsa edizione per via dei suoi trascorsi in terra di Spagna, riscopriremo le origini polacche. Pur avendo vissuto gran parte della sua vita in Francia, o forse proprio per questo, la musica
di Chopin è pervasa da un sentimento di nostalgia verso una Patria lontana e immensamente amata. È un sentimento comune a molti grandi compositori di area slava che si traduce in una “tinta musicale” (usando un’espressione cara a Giuseppe Verdi) che sembra accomunare Čajkovskij a Dvořák, Musorgskij a Rimskij-Korsakov” ha dichiarato il Direttore Artistico Pier Carlo Orizio.
Il ricordo di Gianandrea Gavazzeni nel trentennale della scomparsa
L’edizione 2026 sarà inoltre dedicata a una figura che ha segnato la storia del Festival e della musica italiana: Gianandrea Gavazzeni, nel trentennale della sua scomparsa. Il Festival ricorderà il direttore d’orchestra, compositore e musicologo bergamasco nella seconda parte del progetto Vite Parallele – inaugurato lo scorso anno in occasione del trentennale della scomparsa di Arturo Benedetti Michelangeli.
Il Maestro fu ospite due sole volte nel cartellone del Festival con memorabili concerti nel 1990 e 1991, tuttavia fu sempre vicino al Festival con incoraggiamenti e pubbliche manifestazioni di stima.
“Proprio nel 1991 il Maestro si esibì con la Sinfonia Varsovia a Brescia e a Bergamo, ecco spiegato il significato di questo ritorno – ha dichiarato la Presidente Daniela Gennaro Guadalupi – Con un brano di Gavazzeni si aprirà inoltre il concerto del 29 maggio con ‘La Nota in più’, una collaborazione dal grande valore artistico e sociale. È un’iniziativa di cui il Festival è particolarmente orgoglioso, perché ribadisce quanto la musica non sia soltanto esperienza artistica, ma possa essere strumento di inclusione e relazione. Per ricordare il nostro illustre concittadino il Festival, la Fondazione Teatro Donizetti e la Fondazione Polli Stoppani proporranno un calendario di iniziative lungo tutto l’anno che presto verrà svelato al pubblico”.























CAMPAGNA ABBONAMENTI E BIGLIETTI 2026
È possibile regalare per Natale un’esperienza al 63°Festival acquistando le opzioni disponibili per ogni città su Vivaticket dal 1 dicembre al 6 gennaio fino ad esaurimento posti disponibili. Le informazioni di biglietteria sono già consultabili sul sito del Festival: la campagna abbonamenti inizierà a Brescia il 21 gennaio e a Bergamo il 10 febbraio; la vendita dei biglietti serali partirà in entrambe le città il 26 marzo. Tutti i dettagli sono disponibili sul sito del Festival.


Oltre al cartellone principale torneranno le rassegne collaterali, che verranno svelate nei prossimi mesi. Sul sito (www. festivalpianistico.it) è possibile scaricare il calendario del 63°Festival con tutti i programmi nel dettaglio.



Il nostro viaggio alla scoperta delle famiglie nobili bresciane e bergamasche questo mese fa tappa in via Moretto, a Brescia, dove siamo stati ospiti della residenza nobiliare cittadina dei Conti Donata e Giovanni Lechi. L’origine della famiglia Lechi, o Leuco, in verità ha inizio a Lecco sulla riva orientale del lago di Como ma dal XIII secolo la famiglia si stabilì a Brescia.
Era, infatti, il 1274 quando comparve per la prima volta quel cognome in un rogito del Monastero di S. Chiara. Si tratta di una delle più importanti casate bresciane: tra i suoi esponenti, si ricordano i fratelli Teodoro e Giuseppe che servirono nelle file dell'esercito di Napoleone.
Tra le dimore della famiglia vi sono: Palazzo Lechi a Montirone (splendida dimora patrizia dove alloggiarono anche personaggi illustri del calibro di Amadeus Mozart e Napoleone Bonaparte, fresco di nomina a Re d'Italia), Palazzo Lechi a Brescia (ex Palazzo Avogadro, la residenza dove abbiamo ambientato questa intervista), Palazzo Lechi a Boldeniga e Palazzo Lechi a Calvisano, oltre al Museo Lechi di Montichiari.
Ad accoglierci presso il palazzo nobiliare di via Moretto 84 i Conti Donata e Giovanni Lechi che, con garbo e ospitalità, ci conducono nel suggestivo salone interno dove è stato impossibile non farsi rapire dalla bellezza delle importanti decorazioni e dagli affreschi che decorano il soffitto, così come dall’incantevole affaccio sul giardino interno.


Il vostro è un legame che dura da molto: come vi siete conosciuti?
“Tanti anni fa, quando entrambi frequentavamo l’università a Milano. Io alla Statale mentre Giovanni al Politecnico. Avendo amici comuni, ci siamo conosciuti ed è stato un colpo di fulmine. Al primo appuntamento - ci confida Giovanni - Donata non si presentò o meglio lo fece con estremo ritardo perché sbagliò indirizzo… Facevamo la classica vita degli studenti: io condividevo casa con una ragazza spagnola, figlia di un Generale, mentre Giovanni abitava in un appartamento di 37 mq con altri due ragazzi”.

A quando risale, invece, la vostra convivenza?
“Al ritorno di Giovanni dall’America. Ero stufa di non avere uno spazio per noi e così decidemmo di affittare una casa a Lambrate. O meglio per noi e i nostri tre gatti. E, in seguito, acquistammo un’abitazione a Brera, dove attualmente abitiamo, un quartiere che allora era ben diverso da quello che conosciamo oggi. Fu una grande intuizione…”.
Il segreto della vostra unione?
“Siamo molto diversi. Io più emotiva e ‘problematica’, lui decisamente più razionale e ‘scienziato’. Probabilmente ciò che ha temprato la nostra unione è stata questa diversità, oltre ad un affetto ed un amore incondizionato che ci ha portato al matrimonio nel Giugno del 1983”.
A dispetto di quel che si pensa, la vita da Conti è tutt’altro che spensierata, sbaglio?
“Proprio così. Al di là di alcune disgrazie familiari che ci hanno profondamente segnato, non è un titolo nobiliare o alcune dimore storiche di proprietà ad averci garantito una vita serena e spensierata, anzi. Solo per la tassa di successione, di cui ci siamo presi carico per ragioni affettive e non certo materiali, non ha idea dei sacrifici che abbiamo dovuto affrontare, così come per la gestione di queste proprietà che, ancora oggi, è integralmente a carico nostro vista l’impossibilità nel trovare qualcuno di fidato a cui delegare qualche incombenza”.

Come è scandito il vostro quotidiano?
“A dispetto dei giovani di oggi, una generazione per lo più di sdraiati e collaudatori di divani, ci alziamo presto ogni mattina e lavoriamo sodo. Prendersi cura di queste dimore e di alcuni terreni agricoli, infatti, richieste grande impegno e sacrificio (quasi una vocazione), oltre ad un innumerevole serie di contrattempi ed imprevisti a cui far fronte, coniugando il tutto con le tradizionali incombenze di una famiglia tradizionale per cui figli, nipoti, animali domestici &C. Di tempo, quindi, non ne abbiamo molto ma quando riusciamo a ritagliarcelo, ci piace chiacchierare e condividere. Qui (a Palazzo Lechi di via Moretto, ndr) vuoi per il silenzio e la tranquillità, vuoi per la diversa dimensione degli spazi, ci riesce molto bene”.
L’aspetto che vi gratifica di più?
“L’aver custodito la memoria famigliare è per noi un grande motivo d’orgoglio. Sarebbe stato molto più semplice cedere qualche proprietà per condurre una vita più agiata ma siamo fieri della nostra scelta. Una scelta che è anche un grande insegnamento di vita”.


D'azzurro alla pianta (leccio) di verde cucita, nodrita nella punta dello scudo, divisa in tre rami sostenenti ciascuno un'aquila di nero, cucita, coronata d'oro; il tronco sostenuto da due leoni di oro rampanti, affrontati; con una stella d'oro di otto raggi al cantone destro superiore.




FRANCIACORTA CHIUDE IL 2025 CON RICONOSCIMENTI DA TUTTO IL MONDO CHE PREMIANO LA SUA ECCELLENZA.
Nel cuore di Borgonato di Corte Franca c’è un luogo in cui il vino è solo il punto di partenza: la cantina Freccianera, una delle più premiate della Franciacorta. Freccianera oggi è il nome di una delle poche cantine della zona a non aver mai cambiato proprietà, della famiglia Berlucchi dal 1927. Nelle sue volte trecentesche, dove sono riemersi affreschi rinascimentali e armi medievali che ne ispirano il nome, si custodisce una tradizione viva, a cui oggi si unisce una rinnovata sensibilità verso la contemporaneità e il cambiamento. Una storia di bollicine importante dunque, ancora oggi celebrata dai numerosi premi internazionali. Per citarne alcuni, ricevuti nel 2025: la Platinum Medal Decanter 2025, le 5 medaglie d’oro allo CSWWC 2025, i 5 Grappoli Bibenda 2026, il WineHunter Award 2025, il Franciacorta Wine Producer Trophy IWSC 2025 e il riconoscimento di Tom Stevenson come Best Italian Sparkling Wine al Freccianera Brut Magnum 2018.





Freccianera è oggi tra le cantine più “social” e aperte della Franciacorta grazie a un calendario ricchissimo di attività: degustazioni guidate, pairing gourmet con eccellenze come Delizia Iberica e Serge Milano, Cooking Class in collaborazione con Franciacorta Tour, oltre a eventi d’arte realizzati insieme a Brescia Musei.
E il futuro si arricchisce di nuove prospettive per la prossima primavera: sessioni di yoga tra i filari, tour in e-bike con Orme Bike Experience, momenti di relax grazie ai cosmetici naturali di Be Cosmetics. Senza dimenticare che la prima Big Bench della Franciacorta è stata installata proprio nei vigneti Freccianera, a testimonianza dell’eccezionale accoglienza.
Proprio per unire gli appassionati di Franciacorta, tre anni fa è nato il Freccianera Club, il primo club dedicato a chi ama la Franciacorta e vuole viverla da vicino. Oggi il progetto unisce quasi 3.000 soci, offrendo anteprime, bottiglie rare, esperienze esclusive e un contatto diretto con la cantina. L’obiettivo è semplice: rendere il vino un linguaggio di relazione, accessibile anche a chi non è esperto ma desidera scoprire un territorio attraverso i sensi.
In Freccianera insomma il vino è cultura, natura, benessere, incontro. È un punto di vista nuovo sulla Franciacorta, capace di unire eleganza e autenticità. Una comunità che cresce, una storia che continua, un territorio che si racconta a chi vuole viverlo con curiosità e meraviglia: in fondo, il modo più autentico di scoprire la Franciacorta.
Freccianera www.freccianera.it Via Broletto 2, Corte Franca (BS) Tel. 030 984451 info@freccianera.it

A PARIGI, IL 25 NOVEMBRE SCORSO, IN OCCASIONE DEL DECIMO ANNIVERSARIO
DELLA “CLASSIFICA DELLE CLASSIFICHE”, IL
RISTORANTE TRISTELLATO DELLA FAMIGLIA
CEREA È ENTRATO PER LA PRIMA VOLTA AL VERTICE DELLA SELEZIONE DEI MIGLIORI
RISTORANTI AL MONDO
In attesa di festeggiare, il prossimo anno, i 60 anni di attività, la Famiglia Cerea di Da Vittorio chiude il 2025 celebrando un altro importantissimo traguardo: l’inserimento tra i 10 migliori ristoranti al mondo da La Liste, la guida francese - nata nel 2015 - che monitora 38.000 insegne e raccoglie ed elabora i giudizi espressi da più fonti (guide, blog, stampa) attraverso un algoritmo specifico. Con il punteggio di 99,5/100 Da Vittorio raggiunge per la prima volta la vetta della classifica, condividendo la posizione insieme ad altri nove ristoranti, tra cui alcuni mostri sacri della gastronomia mondiale: Guy Savoy di Parigi, Cheval Blanc di Peter Knogl (Svizzera), Le Bernardin (Stati Uniti), Schwarzwaldstube (Germania), SingleThread (Stati Uniti), Lung King Heen (Hong Kong), Matsukawa (Giappone) e le due new entry Robuchon au Dôme (Macao) e Martin Berasategui (Spagna).
Secondo i curatori de La Liste: “Al Da Vittorio non solo si mangia in maniera eccellente, ma si viene accolti dai migliori interpreti dell’ospitalità di classe, con un servizio impeccabile e sempre cortese. Chiunque entri al ristorante sa che ne uscirà felice”.
“Siamo veramente orgogliosi di essere stati inseriti in questo empireo della ristorazione mondiale. La nostra cucina è gioia, condivisione e qualità e il fatto che tutto ciò sia stato riconosciuto in un anno così importante per la cucina italiana, che potrebbe diventare patrimonio UNESCO il 10 dicembre, ha ancora più valore. Un grandissimo ringraziamento a tutto il team de La Liste!” ha commentato la famiglia Cerea al momento dell’annuncio.
La decima edizione della guida francese è stata anche l’occasione per tracciare un bilancio sulle ultime tendenze in cucina: il settore sembra voler tornare sempre più alle proprie origini, prediligendo il lavoro su prodotti davvero locali e immergendo i commensali in una dimensione più rilassata e accogliente. Due punti su cui Da Vittorio, dal 1966, costruisce ogni giorno la propria forza, credibilità e patrimonio.

DA VITTORIO NOMINATO TRA I 10 MIGLIORI
RISTORANTI AL MONDO PER LA GUIDA LA LISTE

Quella di Da Vittorio è la storia di un talento, quello della famiglia Cerea, capace di tracciare - in quasi 60 anni di attività - nuovi percorsi nel mondo della ristorazione e dell’accoglienza, inventando uno “stile” unico che oggi viene esportato in tutto il mondo. Nato nel 1966 con l’apertura della prima insegna a Bergamo, voluta da Vittorio Cerea e sua moglie Bruna, oggi Da Vittorio è un sistema di business articolato in diverse aree di offerta, tutte accomunate dallo stesso obiettivo: offrire ai propri clienti un’esperienza d’eccellenza a tutti i livelli. Accanto allo storico ristorante, oggi immerso nel verde della collina della Cantalupa a Brusaporto (dal 2010 insignito delle 3 Stelle Michelin), troviamo Da Vittorio St. Moritz e Da Vittorio Shanghai (entrambi 2 stelle Michelin dal 2020); la Dimora, sempre a Brusaporto, che con le sue 10 camere di charme fa parte del circuito Relais&Châteaux; la Pasticceria Cavour 1880, piccolo gioiello ristrutturato a Bergamo Alta e da tempo inserito nella lista dei Locali Storici d’Italia, cui si aggiunge la Locanda Cavour, che arricchisce la formula di accoglienza firmata Da Vittorio; un modello di ristorazione esterna pret-a-porter considerato tra i migliori al mondo; un sistema di ristorazione collettiva che offre competenza e qualità in ogni ambito; importanti consulenze per realtà di prestigio come Terrazza Gallia a Milano e Allianz Stadium a Torino; non ultimo, il casual dining, con una formula di cucina più informale e giocosa, inaugurato da DaV Cantalupa, seguito da DaV Mare presso lo Splendido Mare di Portofino, DaV Milano by Da Vittorio in Torre Allianz a City Life e il nuovissimo DaV by Da Vittorio Louis Vuitton, all’interno dello storico building che ospita la boutique della Maison. Con Da Vittorio Cafe Louis Vuitton e Da Vittorio Cafe Roma, si completa il pacchetto di offerta. La visione di papà Vittorio è oggi portata avanti dai figli insieme alla Signora Bruna: Enrico, detto Chicco, e Roberto (Bobo), sono entrambi executive chef. Francesco è responsabile della ristorazione esterna e degli eventi. Rossella cura l’ospitalità al ristorante e a La Dimora, segue la formazione del personale e l’innovazione di prodotto. Mamma Bruna continua a supervisionare il lavoro dei figli, ma anche delle mogli, dei mariti e dei nipoti che aiutano in cucina, in sala e in pasticceria. Il segreto del ristorante Da Vittorio è nella capacità di attuare il concetto di “tradizione lombarda e genio creativo”, unendo la grande tradizione culinaria italiana all’evoluzione della modernità.

ph. Adele Battaglia
GRANDE PARTECIPAZIONE ALLA SERATA DI GALA E RACCOLTA FONDI PROMOSSA DA ZONA BLU

È stata una serata di forte partecipazione e grande emozione “Evento Uno”, la cena di gala organizzata sabato 22 novembre presso [SETTECENTO] Ristorante & Hotel a Presezzo, a sostegno del progetto “Prevenzione è Cura” promosso da Zona Blu, il gruppo di donne imprenditrici e libere professioniste (Michela Patrini, Savina Baschenis, Anita Pezzotta, Alessandra Gotti e Laura Castoldi) che opera sul territorio bergamasco per diffondere la cultura della prevenzione e degli stili di vita sani. Il progetto ha permesso di donare un ecografo portatile e due postazioni informatiche alla Casa di Cura San Francesco di Bergamo. La serata si è aperta con IL RACCONTO, un momento dedicato a storie, visioni e competenze, che hanno dato voce ai valori del progetto. A guidare gli ospiti dentro il senso profondo di Zona Blu è stata Michela Patrini, co-founder di Zona Blu. Con parole luminose ha ricordato quanto la fiducia, le relazioni e la prevenzione siano valori capaci di generare impatto quando diventano azioni condivise. Zona Blu, però, è anche un insieme di racconti che possono ispirare chiunque e così è stata la testimonianza di Simone Trussardi, triatleta che ha raccontato la sua esperienza di vita: nel 2019, all’apice della performance sportiva, la diagnosi di tumore metastatico.


DONATI UN ECOGRAFO PORTATILE E DUE POSTAZIONI INFORMATICHE ALLA CASA DI CURA SAN FRANCESCO DI BERGAMO. PER FONDAZIONE BCC MILANO, MAIN SUPPORTER DI QUESTA INIZIATIVA, È IL PRIMO PROGETTO PORTATO A COMPIMENTO NELLA SUA NUOVA MISSIONE FILANTROPICA.

























La sua storia rappresenta un esempio di forza e resilienza. Se prima praticava lo sport come lavoro, oggi, dopo una laurea in ingegneria, si è messo al servizio degli altri, avviando un’attività di coaching e mettendo a disposizione del prossimo la sua esperienza sportiva e personale. A seguire sono intervenuti Savina Baschenis, co-founder di Zona Blu, che ha offerto una riflessione sul valore della prevenzione integrata nella vita quotidiana, e Francesco Nicotra, velocista bergamasco che ha iniziato a vincere in età adulta, portando un messaggio di costanza, speranza e determinazione. Il testimone, quindi, è passato ai medici della Casa di Cura San Francesco di Bergamo, al centro della missione del progetto “Prevenzione è Cura”: prima il Dott. Francesco Pattarino, cardiologo esperto in cardioncologia e cardiologia dello sport, ha spiegato come l’attività fisica sia uno dei più potenti strumenti di prevenzione delle malattie cardiovascolari e poi il Dott. Elio Maria Staffiere, responsabile della Cardiologia, ha fatto un interessante excursus sull’evoluzione della medicina negli ultimi decenni, ponendo l’accento sul cambio dell’aspettativa e degli stili di vita. A portare il ringraziamento a chi ha reso possibile questo importante risultato è stata Anita Pezzotta, una delle cinque organizzatrici di Zona Blu. Le sue parole hanno introdotto il ruolo fondamentale della Fondazione BCC Milano, rappresentata dal Vice Presidente Francesco Percassi, Main Supporter del progetto, il primo che la Fondazione porta a compimento nella sua nuova missione filantropica. Poco prima della cena di gala si è tenuta l’ufficializzazione della donazione dell’ecografo portatile e delle due postazioni informatiche alla Casa di Cura San Francesco: un passaggio simbolico e concreto che ha coinvolto Francesco Percassi, Vice Presidente della Fondazione BCC Milano, e il Prof. Antonello Zangrandi, Direttore Generale della Casa di Cura San Francesco. A dimostrazione che quando realtà operanti in settori diversi uniscono visioni e intenti, possono dare vita a progetti concreti, che lasciano il segno e fanno bene alla comunità. La serata è proseguita con la cena di gala, resa ancora più coinvolgente dall’intrattenimento di Omar Fantini, che, con la sua verve, ha accompagnato i vari momenti con ironia e comicità.
ph. Paolo Biava
Ogni evoluzione nasce da un incontro, da una visione condivisa e dal desiderio di crescere insieme. Da questa premessa prende forma Concept Stories, il nuovo progetto nato dalla collaborazione tra Ila Malù e Maison Cò: un passo naturale e al tempo stesso innovativo nel percorso del brand bresciano. Negli ultimi anni Ila Malù ha progressivamente ampliato il proprio raggio d’azione, superando il concetto tradizionale di store per abbracciare un modello fondato sull’esperienza, la relazione e la creatività condivisa. “Oggi alle persone non basta più acquistare un prodotto: cercano luoghi che raccontino qualcosa, spazi che trasmettano significato, luoghi di condivisione” ci ha spiegato Ilaria, founder di Ila Malù. “Concept Stories nasce proprio dall’idea di creare un ambiente che non si limiti a esporre, ma che metta in dialogo brand, persone e visioni diverse”. Il nuovo ufficio, all’interno del palazzo Maison Cò, rispecchia pienamente questa filosofia: un ambiente luminoso dove professionisti, idee e progetti si incontrano e si mescolano, generando collaborazioni e nuove direzioni. Al piano terra, l’ex bar si trasforma in Concept Stories, uno spazio dinamico e in continua metamorfosi dedicato ai brand del cuore di Ila Malù, alle edizioni limitate, ai pop-up e agli eventi. La collaborazione con Maria e Marta di Maison Cò nasce da una sintonia immediata, fatta di visione, energia e desiderio di superare i confini del consueto. “Con loro abbiamo trovato un equilibrio naturale: guardiamo nella stessa direzione e ci stimoliamo costantemente a sperimentare” ha aggiunto Martina. In questa nuova fase, Ila Malù rafforza anche un’altra dimensione centrale del suo DNA: il mondo degli eventi: dalla progettazione e produzione di esperienze ai lanci di prodotto, dagli workshop creativi agli appuntamenti lifestyle fino agli eventi privati e corporate. «Il nostro obiettivo è creare momenti che restino, che lascino un’impronta emotiva e che permettano alle persone di sentirsi parte di un mondo fatto di stile e bellezza», ha concluso Lucia. «Siamo partite come store. Oggi siamo stories. E la storia continua».








































Il futuro team
Audi F1 annuncia che Visit Qatar diventerà partner principale della squadra in vista del debutto a inizio 2026 nel Campionato Mondiale FIA di Formula 1. La collaborazione si basa su di un obiettivo condiviso: portare il Qatar al centro del mondo e della community globale della F1.

Tommaso Revera Ph. Sergio Nessi

SBARCA SUL MERCATO ITALIANO GEELY, IL COLOSSO CINESE AZIONISTA DI MAGGIORANZA DI VOLVO, LOTUS E POLESTAR
Le case produttrici cinesi di auto elettriche proseguono nella loro inarrestabile ascesa alla conquista del mercato europeo. Questa volta, però, a sbarcare sul mercato italiano, insieme a Jameel Motors, è il Zhejiang Geely Holding Group, il più grande costruttore cinese in mani private. Per darvi un’idea oltre quaranta stabilimenti in cui lavorano più di 120.000 dipendenti che nel 2022 ha venduto 2,3 milioni di auto in tutto il mondo. Un colosso che negli anni è divenuto azionista di maggioranza di brand del calibro di Volvo, Polestar, Lynk&Co e Lotus, ma anche Proton e LEVC (marchio nato dopo l’acquisizione della storica London Taxi International che produceva i famosi “taxi cab” neri). Geely, inoltre, dal punto di vista etimologico, è un adattamento del cinese che significa “di buon auspicio” per cui se tanto mi dà tanto… Geely a Bergamo ha come concessionaria ufficiale Iperauto Bergamo.
DESIGN GLOBALE, EFFICIENZA E ATTENZIONE
ALL’ESPERIENZA DELLA PERSONA
Sono questi i pilastri su cui poggia la filosofia di Geely Auto alla ricerca di un nuovo paradigma di mobilità: innovativo, tecnologicamente avanzato e centrato sulle persone. Una visione fondata su sostenibilità, design internazionale e integrazione tra cultura, progettazione e ingegneria.
IL DEBUTTO SUL MERCATO ITALIANO CON
GEELY STARRAY EM-I: SUV IBRIDO PLUG-IN
Si tratta di un SUV plug-in hybrid con una batteria, protetta dalla struttura dell’auto, dalle dimensioni maggiori (da 18.4 KwH) in grado di percorrere poco meno di 90 chilometri in modalità elettrica e di garantire un’autonomia complessiva di quasi 1000 chilometri (WLTP). Una vettura progettata per offrire un perfetto equilibrio tra l’efficienza dell’elettrico e la percorrenza di un motore termico.
Ad una prima occhiata esterna colpiscono le sfaccettature che caratterizzano il fianco della vettura che le conferiscono una linea morbida, avvolgente e delicata ma, al tempo stesso, garantiscono anche un gioco di luci e ombre che ne svela un fascino dinamico e raffinato.
Una volta a bordo stupiscono il design, caratterizzato da linee decise, e la tecnologia. Ogni angolo e ogni superficie (in versione bicolore tabacco/nero per la vettura che abbiamo provato), raccontano una nuova visione della mobilità: sicura e sorprendente. Generose le dimensioni (4740 mm per 1905 mm per 1865 mm) così come le dotazioni tra cui la configurazione flessibile degli interni, la regolazione dello schienale posteriore e, soprattutto, i sedili multistrato traspiranti con funzione memoria in ingresso e uscita, oltre a riscaldamento, ventilazione e massaggio. Bagagliaio leader nella categoria con una capacità di 1877 litri ed una struttura a tre strati e portellone elettrico.

Abbiamo provato la Geely Starray EM-i, il modello ibrido Plug-in Super Hybrid con cui Geely Auto ha fatto il suo battesimo sul mercato italiano


TECNOLOGIA EM-I SUPER HYBRID
Al cuore della Starray EM-i c’è l’avanzata tecnologia EM-i Super Hybrid, sviluppata per garantire massima efficienza, sicurezza e usabilità nella vita di tutti i giorni. Dal motore al sistema batteria, ogni componente lavora in armonia per farti arrivare oltre, in modo più sicuro e intelligente. Un motore a benzina ad alta efficienza termica completa il sistema. Un perfetto equilibrio tra l’efficienza dell’elettrico e la percorrenza di un motore termico. Guida in elettrico quando vuoi e passa all’ibrido quando serve: vivi il meglio dei due mondi, senza dipendere dalla ricarica.
DOTAZIONI PREMIUM E SICUREZZA AL TOP
Dotazioni ricchissime a dispetto del prezzo decisamente contenuto. Tra queste il Sistema Audio Flyme© da 1000 W - 16 casse di ultima generazione con casse integrate nei poggiatesta anteriori per messaggi personalizzati per il guidatore e 4 modalità di equalizzazione - ed un’ illuminazione ambientale intelligente con funzione rilassante in 256 colori.


Impressionante anche l’impianto di sicurezza integrato nella vettura grazie ai 16 sistemi di assistenza alla guida integrati tra cui il Lane Assist, che mantiene l’auto nella corsia di marcia intervenendo sul sistema di sterzo, il Cruise Control Intelligente grazie a cui gestire automaticamente la velocità e la posizione del veicolo sulla corsia di marcia, mantenendo la distanza di sicurezza, il monitoraggio dell’angolo cieco, che mostra avvisi luminosi quando un altro veicolo è in arrivo in un’altra corsia, e quello dell’ambiente circostante, grazie a cui visualizzare sullo schermo centrale la vista del veicolo da una prospettiva a volo d’uccello o in 3D, l’assistente alle manovre d’emergenza che interviene sulla sterzata nelle situazioni di pericolo, riducendo così il rischio di incidenti in presenza di possibili ostacoli o di portiere aperte.
La gamma Geely si struttura con un’offerta molto semplice: due allestimenti, Pro e Launch Edition, con dotazioni già molto complete sulla Pro (interni in ecopelle, guida autonoma di livello 2, sedili riscaldati, schermo da 15.4” touch 4k, cruscotto digitale) e tutto di serie per la Launch Edition (sedili ventilati, tetto apribile, illuminazione d’ambiente, cerchi da 19”, sistema audio a 16 altoparlanti con casse integrate nei poggiatesta, sistema di telecamere 360, ecc.). In pratica bisogna scegliere solo il colore esterno della vettura.
L’OFFERTA
Come offerta di lancio la Launch Edition è proposta allo stesso prezzo della Pro, ovvero 34.900 euro chiavi in mano. La garanzia del costruttore è di 6 anni sulla vettura e 8 sulla batteria. Ma attenzione: ai primi 1.000 clienti in tutta Italia, Geely offre la garanzia a vita.


IL NOSTRO GIUDIZIO
Ibrido Plug-in che monta un 1.500 benzina con un motore elettrico per un totale di 218 cavalli. Convincente l’estetica e molto piacevoli le sensazioni alla guida: compatta, nonostante le dimensioni generose, scattante, con una trasmissione di potenza fluida che non ti restituisce mai la sensazione di perdere il controllo, e silenziosissima. Dotazioni e tecnologie di segmento superiore. Se poi la batteria dura quanto promesso (testata per oltre un milione di chilometri)… Un affare ancor di più oggi che è garantita a vita per i primi 1000 clienti italiani!
Special thanks to:
Iperauto Bergamo S.p.A. Via Borgo Palazzo, 205 - Bergamo - Tel. 035 2924311 www.iperautobg.it/geely info@iperautobg.it
Location shooting:
Kaiser Farmhouse - Via Fontana, 15 - Bergamo - Tel. 035 339034 www.kaiserfarmhouse.com - info@kaiserfarmhouse.com



GLORIA BARTOLI NOMINATA
Il Consiglio Direttivo di AMACI, l’Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani, ha annunciato la nomina della dott.ssa Gloria Bartoli come nuovo Segretario Generale dell’Associazione, per il triennio 2025-2028. La dott.ssa Bartoli, che attualmente ricopre il ruolo di Responsabile Comunicazione e Relazioni Esterne della Pinacoteca Agnelli di Torino, ha un’esperienza pluriennale nel campo delle relazioni pubbliche, della comunicazione e della gestione di istituzioni culturali.
In passato ha ricoperto il ruolo di vicedirettrice artistica di Arte Fiera, Bologna, dove ha contribuito all’evoluzione del format curatoriale e alla valorizzazione della comunicazione e promozione della fiera; ha collaborato con il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci occupandosi di fundraising e relazioni esterne; e si è formata professionalmente presso la fiera internazionale Artissima di Torino, culminando il suo percorso in qualità di VIP Manager, dedicandosi all’ampliamento dei rapporti nazionali e internazionali. Laureata in Filosofia Teoretica presso l’Università di Torino e in Gestione e innovazione delle Organizzazioni Culturali e Artistiche presso l’Università di Bologna, ha maturato una solida esperienza nella progettazione culturale, nella comunicazione e nel fundraising per l’arte contemporanea.
Con la sua nomina, AMACI intende rafforzare la propria struttura operativa e promuovere una visione strategica sempre più incisiva a favore della diffusione dell’arte contemporanea, della ricerca e del dialogo istituzionale, a livello nazionale e internazionale.
Il Presidente Lorenzo Balbi, le Direttrici e i Direttori dei musei AMACI rivolgono alla dott.ssa Bartoli i migliori auguri di buon lavoro, certi che la sua professionalità, la competenza e la passione per la cultura contemporanea sapranno contribuire con energia e visione al consolidamento e alla crescita dell’Associazione nel prossimo triennio. La dott.ssa Bartoli succede alla dott.ssa Greta Gelmini, Segretario Generale dell’Associazione dal 2019, e al dott. Cristian Valsecchi, che ha ricoperto la stessa carica dalla fondazione di AMACI nel 2003 fino al 2019. Alla dott.ssa Gelmini va un sentito ringraziamento per il costante e infaticabile impegno a favore dell’Associazione: il Presidente, tutte le Direttrici e tutti i Direttori dei musei aderenti esprimono il loro profondo apprezzamento per la dedizione con cui ha accompagnato AMACI prima come project manager e poi come Segretario Generale.
Fondata nel 2003, AMACI –Associazione dei Musei d’Arte
Contemporanea Italiani è un’associazione non profit che riunisce 26 tra i più importanti musei d’arte contemporanea del nostro Paese. Nata con lo scopo di sostenere l’arte contemporanea e le politiche istituzionali legate alla contemporaneità, AMACI si propone ogni anno di rafforzare il proprio ruolo come punto di riferimento per la promozione dello studio, della ricerca e della diffusione dell’arte contemporanea in Italia e all’estero.

AMACI Via San Tomaso, 53 Bergamo Tel. 035 270 272 info@amaci.org www.amaci.org


L’installazione pone in dialogo due statue di arte romana antica di straordinaria bellezza ed eleganza: la Vittoria Alata di Brescia e l’Idolino di Pesaro proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze, in un inedito allestimento creato da Francesco Vezzoli per la cura di Donatien Grau. Il progetto segna la collaborazione tra la Fondazione Brescia Musei e il Museo Archeologico Nazionale di Firenze che, dall’11 dicembre 2025 al 9 aprile 2026, ospita un’esposizione gemella, dal titolo Icone di potere e bellezza, con tre teste bronzee di imperatori romani provenienti dalle Collezioni bresciane, in dialogo con materiali delle raccolte medicee. L’esposizione rientra nell’ambito dell’Olimpiade Culturale di Milano Cortina 2026.
L’installazione, dal titolo Victoria Mater. L’idolo e l’icona, in programma al Parco archeologico di Brescia romana, all’interno del Capitolium, fino al 12 aprile 2026, propone un confronto dialettico tra due bronzi di straordinaria bellezza ed eleganza, ma forse ancor di più di profondo senso e contenuto, che dialogano sullo sfondo creato da uno dei più riconosciuti e apprezzati artisti italiani a livello internazionale. In continuità con i progetti di valorizzazione e riqualificazione dell’area archeologica portati avanti negli ultimi anni e in linea con la strategia culturale di una costante e attiva contaminazione tra antico e contemporaneo, la Fondazione Brescia Musei ha, infatti, affidato a Francesco Vezzoli il compito di realizzare un’inedita installazione, curata da Donatien Grau, che faccia dialogare la Vittoria Alata, una delle opere più importanti della romanità per composizione, materiale e conservazione, e l’Idolino di Pesaro, esempio raffinato di artigianato classico proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze. L’intero progetto, promosso da Fondazione Brescia Musei e Comune di Brescia, in collaborazione con la Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura, il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, l’Opificio delle Pietre Dure e il fondamentale contributo di Intesa Sanpaolo, col patrocinio dell’Ateneo di Brescia - Accademia di scienze, lettere e arti, è stato appositamente studiato per accompagnare l’apertura delle celebrazioni per il Bicentenario della scoperta del deposito bronzeo del Capitolium bresciano, dove si conservava la Vittoria Alata, e in vista dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali di Milano Cortina 2026. L'iniziativa è finanziata da Regione Lombardia nell'ambito del bando Olimpiadi della Cultura ed è parte del programma Giochi della Cultura, promosso da Regione Lombardia in collaborazione con Triennale Milano. L’evento si inserisce nell’ambito dell’Olimpiade Culturale di Milano Cortina 2026: il programma multidisciplinare, plurale e diffuso che animerà l’Italia per promuovere i valori Olimpici e valorizzerà il dialogo tra arte, cultura e sport, in vista dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali di Milano Cortina 2026 che l’Italia ospiterà rispettivamente dal 6 al 22 febbraio e dal 6 al 15 marzo 2026. Con questa iniziativa si vuole, inoltre, ripercorrere la felice esperienza che, nel 2023, in occasione di Bergamo-Brescia Capitale della Cultura, aveva visto il museo bresciano presentare la Vittoria Alata accanto alla statua bronzea del Pugile a riposo del Museo Nazionale Romano. Anche in questo caso, si conferma il ruolo di Fondazione Brescia Musei quale acceleratore di sinergie per creare un consolidato sistema di collaborazioni tra alcune delle più prestigiose realtà culturali del Paese, per la promozione e lo studio del patrimonio artistico che gestiscono. L’esposizione, infatti, s’inserisce nel quadro istituzionale di una virtuosa collaborazione tra la Fondazione Brescia Musei e il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, sotto gli auspici della Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura, dal titolo complessivo Idoli di bronzo.
AL PARCO ARCHEOLOGICO DI BRESCIA ROMANA
Victoria Mater. L’idolo e l’icona, racconta e richiama il valore simbolico delle due statue, che sono “idolo”, ovvero figura e rappresentazione della divinità e, allo stesso tempo, “icona”, nel significato più moderno del termine, simbolo e portatore di valori universali. L’arte di Francesco Vezzoli si è sempre distinta per la capacità di fondere epoche, linguaggi e immaginari, trasformando la memoria del passato in un dispositivo critico e sensuale per leggere il presente. Da anni l’artista indaga il patrimonio iconografico della classicità, appropriandosi di forme e simboli della scultura antica per restituirli in chiave contemporanea, ibridata e spesso ironicamente sovversiva. Nel nuovo progetto, Vezzoli prosegue la sua riflessione sul dialogo tra archeologia e modernità, intervenendo con un gesto di ricomposizione e dislocazione.

Il suo intervento trasforma lo spazio sacro del tempio nello scenario di una installazione artistica attraverso l’inserimento di un terzo elemento in bronzo: una grande silhouette, che genera, con effetto trompe l’oeil, l’impressione di un’ombra impossibile che suggerisce un contatto virtuale, seppure non concretamente compiuto, tra le due figure. L’esperienza è ulteriormente arricchita da tre atmosfere luminose successive, che nell’arco di venti minuti permettono al visitatore di esplorare l’installazione da prospettive diverse. Le tre situazioni, evocative dei temi della luce, del tempo, della memoria e della metamorfosi, si susseguono nell’ordine: A New Dawn (Una Nuova Alba), The Golden Hour (L’Ora Dorata) e Afterglow (Il Riflesso dell’Attesa). Quello che si crea è la rappresentazione di una scena materna, in cui la Vittoria Alata si libera dello scudo, elemento di difesa, ma che riporta a situazioni di conflitto, per abbracciare teneramente la figura efebica dell’Idolino. Nell’aula che accoglie l’allestimento museale progettato dall’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg, il visitatore potrà incontrare la Vittoria Alata, un’opera celebrativa realizzata in bronzo con la tecnica della fusione a cera persa indiretta intorno alla seconda metà del I secolo dopo Cristo, e probabilmente ispirata a modelli più antichi. Accanto ad essa, si ammirerà il cosiddetto Idolino di Pesaro, scoperto nella città marchigiana nell’ottobre del 1530 a seguito dei lavori di scavo per le fondazioni della casa del nobile pesarese Alessandro Barignani, alle spalle del Palazzo Ducale. La scultura bronzea ritrae un giovane nudo, dal corpo leggero e armonioso, che reggeva originariamente nella mano sinistra un tralcio di vite destinato a sostenere lucerne e, con molta probabilità, un vassoio nella destra, qualificandosi così come una statua decorativa e funzionale, ovvero un lychnouchos o portalampade per illuminare, come descrisse Lucrezio in un passo del De rerum natura, i banchetti notturni. La visita alle opere è gratuita per tutti gli abbonati all’Abbonamento Musei Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta, grazie all’inclusione di Brixia. Parco archeologico di Brescia romana nell’offerta del circuito, per i cittadini bresciani, in virtù della gratuità istituita dopo l’anno di Brescia Capitale italiana della Cultura e, fino al 6 gennaio 2026 anche per i residenti e i nati nella Provincia di Brescia.
AL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI FIRENZE
Il gemellaggio, volto a valorizzare le collezioni di arte romana delle due capitali culturali italiane ponendole a confronto reciproco, si traduce, oltre al prestito dell’Idolino, in una mostra in programma al Museo Archeologico Nazionale di Firenze fino al 9 aprile 2026, dal titolo Icone di potere e bellezza. La rassegna, curata dal direttore del Museo fiorentino, Daniele Federico Maras, e dalla conservatrice Barbara Arbeid, è stata concepita per proporre e commentare lo sviluppo storico dell’uso delle immagini per la presentazione, conservazione e trasmissione del potere nell’ambito dell’Impero Romano, in una fase di crisi e di potenziale sfiducia quale quella sperimentata nel III secolo d.C. Il progetto ruota attorno a tre teste in bronzo dorato di imperatori romani provenienti dalle collezioni bresciane e parte anch’esse del deposito bronzeo del Capitolium, poste in dialogo con materiali delle raccolte medicee, in particolare monete dell’epoca, che veicolano il ritratto imperiale come simbolo e garanzia della continuità del potere, ma anche gemme della collezione del Museo fiorentino, destinate a un uso “privato”, ma non meno simbolico. La mostra offre, inoltre, l’opportunità di ammirare gli esiti del restauro, a cura dell’Opificio delle Pietre Dure, sia del ritratto bronzeo del cosiddetto Probo, in prestito dai Musei Civici di Brescia, sia una raffinata testa bronzea di Afrodite, afferente alle antiche collezioni medicee.




























Un progetto atteso da tempo: dopo più di un secolo saranno riunite le 74 carte del mazzo Colleoni, il più completo al mondo, conservate tra l’Accademia Carrara di Bergamo, The Morgan Library di New York e una collezione privata. L’occasione di questa eccezionale riunione ha avviato un progetto altrettanto unico: un percorso lungo sette secoli, dal Quattrocento al Novecento e oltre che, grazie a prestigiosi prestiti nazionali e internazionali, approfondisce la storia, la committenza, gli artisti, le tecniche – anche alla luce delle recenti indagini scientifiche -, la fortuna, le ispirazioni, il fascino che queste carte continuano ad avere. Nati come svago aristocratico e diffusi con l’invenzione della stampa, i tarocchi si sono affermati come strumento divinatorio nel XVIII secolo, raggiungendo un’enorme fortuna culturale e simbolica nel Novecento e oltre. I temi trattati all’interno del progetto restituiscono la più importante panoramica sui tarocchi mai realizzata: l’origine delle carte; l’ambiente raffinato e sfarzoso delle corti dell’Italia settentrionale in cui il gioco si diffuse intorno alla metà del Quattrocento; l’evoluzione da passatempo aristocratico a gioco popolare, per trasformarsi infine in una tecnica di divinazione del futuro; la fortuna dei tarocchi nel Novecento fino a oggi. La mostra è realizzata in collaborazione con The Morgan Library di New York e presenta prestiti straordinari provenienti da istituzioni quali la Bibliothèque National de France di Parigi, la Beinecke Rare Book and Manuscript Library della Yale University e la Biblioteca Nazionale di Firenze.




VictorBrauner
Le Surrealiste
Peggy Guggenheim Collection, Venezia
IL PROGETTO UNESCO “DI FORTEZZA IN FORTEZZA ATTRAVERSO UN TURISMO SOSTENIBILE” OTTIENE 200.000 EURO
DAL MINISTERO DELLA CULTURA
Il progetto “Di fortezza in fortezza attraverso un turismo sostenibile”, presentato dal Segretariato internazionale UNESCO presso il Comune di Bergamo (Bergamo è città referente per il sito seriale “Opere di difesa veneziane del XVI e XVII secolo. Stato di Terra – Stato di Mare Occidentale) nell’ambito del bando del Ministero della Cultura dedicato agli interventi a favore dei siti italiani iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale, ha ottenuto un finanziamento di 200.000 euro. Il bando ha ammesso 31 domande complessive, per un totale di 3.620.374 euro di risorse, suddivise tra due piani gestionali: il primo, da 1.900.374 euro, è destinato ai servizi di assistenza ai siti italiani tutelati dall’UNESCO; il secondo, pari a 1.720.000 euro, riguarda interventi di valorizzazione dei siti UNESCO.

Bergamo è infatti città referente per il sito seriale “Opere di difesa veneziane del XVI e XVII secolo. Stato di Terra – Stato di Mare Occidentale”. Il progetto, della durata di 18 mesi, sarà realizzato congiuntamente con le altre due città italiane comprese nel sito, Peschiera del Garda e Palmanova. L’iniziativa risponde a una delle sfide più urgenti del Programma UNESCO per il Patrimonio Mondiale e il Turismo Sostenibile, mirando a sviluppare soluzioni concrete per un turismo rispettoso dei luoghi e delle comunità che li abitano. Il risultato finale del progetto sarà la redazione del Visitor Management Plan, il Piano per la gestione dei visitatori: un documento operativo richiesto da UNESCO per garantire una gestione sostenibile dei flussi turistici, favorire la sensibilizzazione dei visitatori e coinvolgere attivamente le comunità locali, con l’obiettivo di promuovere comportamenti responsabili e strategie condivise.

Per affrontare il tema attuale e urgente del rapporto tra turismo, tutela del patrimonio culturale e qualità della vita nei centri urbani, il progetto prevede il coinvolgimento diretto degli stakeholder locali di ciascuna città attraverso tavoli di co-progettazione. Questo approccio collaborativo e inclusivo consentirà di elaborare un piano realistico e attento anche all’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile n. 11 dell’Agenda 2030, dedicato a città e comunità sostenibili. Ai tavoli prenderanno parte attori significativi dei settori del turismo, della mobilità, della tutela del patrimonio e della promozione culturale e dell’industria creativa.



Setting The Pace, dettare il ritmo o dettare il passo. Joe Lovano, per la terza volta Direttore Artistico di Bergamo Jazz, annuncia il titolo e la prima parte del programma dell’edizione 2026 del Festival, che si svolgerà dal 19 al 22 marzo nel solco di una celebrazione straordinaria: la ricorrenza del centenario della nascita di Miles Davis e John Coltrane, figure seminali e iconiche della musica afroamericana. Organizzato da Fondazione Teatro Donizetti, con il sostegno di Comune di Bergamo, MiC-Ministero della Cultura e di sponsor privati, il Festival giungerà alla 47esima edizione con un fitto programma di concerti al Teatro Donizetti, al Teatro Sociale e in altri luoghi della città, che ancora una volta si animerà dei mille suoni di una musica che a Bergamo ha messo da tempo salde radici.
“Nella vita, nelle arti, nelle scienze, nello sport e nel mondo degli affari ci sono state persone e organismi collettivi che hanno dettato il passo, il ritmo, con passione e amore, rappresentando per generazioni un modello. Bergamo Jazz ha ispirato negli anni altri festival jazz a raggiungere un alto standard di eccellenza nella programmazione e nell’organizzazione, dettando il ritmo da seguire”, ha specificato Joe Lovano nell’introdurre Bergamo Jazz 2026. “Come musicisti siamo costantemente impegnati nello studio e nello sviluppo per trovare la nostra voce. Questo percorso è alimentato dai suoni e dallo spirito dei maestri. Quelli che ci hanno dato e danno la fiducia e l’ispirazione per raggiungere gli elevati standard di oggi. Gli artisti che si esibiranno a Bergamo Jazz Festival 2026 stanno tutti “dando il ritmo” per celebrare l’eredità di Miles e Trane nel loro centenario”.

Immancabilmente fedele alla naturale visione internazionale del Festival, l’edizione 2026 di Bergamo Jazz sarà quindi come sempre una finestra spalancata sulla composita scena di un universo espressivo che continua a mostrare segni di vitalità nel suo essere ideale punto di incontro fra musiche e culture diverse, fra tradizione e modernità. Da sottolineare, ancora una volta, la folta rappresentanza femminile, oggi più che mai sotto i riflettori con musiciste e compositrici di assoluto valore.
Mentre sono in via di definizione numerose iniziative realizzate in collaborazione con altrettante realtà del territorio, inclusi gli incontri con le scuole curati dal CDpM e la sezione “Scintille di Jazz” curata da Tino Tracanna e dedicata ai giovani talenti, il cartellone dei concerti al Teatro Donizetti e al Teatro Sociale è già ultimato nei dettagli, così da poter dare avvio alla campagna abbonamenti e alla vendita dei biglietti. I vecchi abbonati potranno infatti procedere al rinnovo dal 3 al 20 dicembre 2025 (cambio posto dall’8 al 10 gennaio 2026), con diritto di prelazione per i concerti al Sociale. I nuovi abbonamenti saranno quindi disponibili dal 14 gennaio 2026, con possibilità di acquisto anche dei biglietti del Sociale, mentre i biglietti per le singole serate al Donizetti saranno in vendita dal 28 gennaio.
Venerdì 20 marzo, la prima delle tre serate in abbonamento al Teatro Donizetti, con inizio alle ore 20.30, amatissime sia dai bergamaschi sia da chi proviene da ogni parte d’Italia e da oltre confine, sarà aperta dal duo formato da un fuoriclasse del contrabbasso come Dave Holland e da Lionel Loueke, uno dei chitarristi più innovativi apparsi sulle scene del jazz negli ultimi decenni. Il duo ha pubblicato nel 2024 l’album United, disco che trascende la semplice collaborazione incarnando il dialogo tra le sensibilità di due musicisti dai background differenti, capaci di ascoltarsi a vicenda, di fondere le rispettive voci strumentali. Holland e Loueke faranno da “apripista” al concerto di Steve Coleman e dei suoi Five Elements: il sassofonista di Chicago tornerà sul palcoscenico del Donizetti a vent’anni esatti dalla sua precedente esibizione per proporre la sua rodatissima miscela di funk visionario in cui l’improvvisazione più immaginifica si compenetra a rigorose strutture compositive. La sera dopo, Bergamo Jazz offrirà all’ascolto uno dei gruppi del momento, i Bad Plus, in una special edition che vedrà i due membri fondatori, il contrabbassista Reid Anderson e il batterista Dave King, affiancati dal sassofonista Chris Potter e dal pianista Craig Taborn, ovvero altri due colossi del jazz contemporaneo nelle rispettive specificità strumentali.


Joe Lovano, per la terza volta Direttore
Artistico di Bergamo Jazz
(ph. Michael Kelly)
Al centro della musica del quartetto ci saranno composizioni scritte da Keith Jarrett per il suo glorioso American Quartet, quello in cui il pianista di Allentown dialogava con Dewey Redman, Charlie Haden e Paul Motian. Un gruppo passato giustamente alla storia per la sua forza espressiva e di cui i Bad Plus si candidano a degni eredi, prendendosi quelle libertà che caratterizzano ogni jazzista di razza. A seguire, si saluterà il ritorno di Lakecia Benjamin, che sarà di nuovo ospite di Bergamo Jazz dopo la sua partecipazione al Festival nel 2023, coronata da grande successo. La sassofonista newyorkese presenterà il suo nuovo album, forte delle cinque Grammy Nomination ottenute in poco tempo. La terza e ultima serata di Bergamo Jazz 2026 al Teatro Donizetti sarà interamente imperniata sul progetto speciale ideato dallo stesso Joe Lovano per ricordare il centenario della nascita di Miles Davis e John Coltrane. Una vera dream band: non si può definire altrimenti il cast artistico selezionato appositamente dal celebre sassofonista, la cui regia darà vita a combinazioni strumentali diverse e a momenti collettivi, facendo leva su affinità espressive, lunghe frequentazioni artistiche, grande stima reciproca. Alla tromba ci sarà Avishai Cohen, ormai da tempo uno dei nomi di punta del catalogo ECM, solista raffinatissimo e poeticamente figlio di Miles. Al sax tenore, oltre che lo stesso Lovano, sarà in campo un’altra autorità dello strumento, George Garzone, uno dei più profondi conoscitori di Coltrane. Un altro sassofonista, ma nell’occasione a vari tipi di flauti, sarà della partita: il britannico Shabaka Hutchings, tra le più forti personalità del nuovo jazz, già ospite di Bergamo Jazz in due precedenti occasioni. Nuova presenza sarà invece il pianista argentino Leo Genovese, rising star degli 88 tasti. Il danese Jakob Bro imbraccerà la chitarra, con il suo consueto stile raffinato ma incisivo. Infine, a contrabbasso e batteria Drew Gress e Joey Baron, una delle migliori sezioni ritmiche che oggi si possano immaginare.
JAZZ AL SOCIALE
Anche nel 2026 saranno due gli appuntamenti al Teatro Sociale di Città Alta, il primo dei quali, la sera di giovedì 19 marzo (ore 20.30,) proporrà dapprima il nuovo trio del pianista Franco D’Andrea, eccellenza del jazz made in Italy che avrà al su fianco due compagni di avventura d’eccezione quali il contrabbassista Gabriele Evangelista, abituale partner anche di Enrico Rava e Stefano Bollani, e il batterista Roberto Gatto, veterano di infinite battaglie musicali a suon di piatti e tamburi.

Shabaka Hutchings
Infine, Bergamo Jazz ha ora un nuovo sito dedicato, collegato al consueto sito della Fondazione
Teatro Donizetti, per dare ancora più rilievo comunicativo allo stesso Festival: il sito conterrà, in modo chiaro e di immediata consultazione, tutte le informazioni utili al pubblico.
Per informazioni, visitare il sito: www.bergamojazz.org
Dal blues al jazz delle origini, alle sue forme più avanzate e alla pura invenzione: D’Andrea, Evangelista e Gatto recuperano dalle origini del jazz un feeling bluesy che ne permea la poetica per dar vita a una musica libera, gioiosa ed estremamente comunicativa. La stessa sera sarà di scena il quartetto della sassofonista cilena Melissa Aldana, il cui brillante background tecnico è ben bilanciato da una cifra stilistica sempre più personale, figlia di Sonny Rollins ma anche di Wayne Shorter, come rivela il recente album Echoes Of The Inner Prophet. Domenica 22 (alle ore 17.00) Bergamo Jazz 2026 si aprirà al sofisticato mix di pop e jazz di Simona Molinari e del suo spettacolo “La Donna è Mobile”, un viaggio musicale e teatrale che racconta la figura femminile attraverso la musica e le sue infinite sfumature, ispirato all’iconica aria verdiana. Sul palco, accanto alla cantante, una band tutta al femminile composta da musiciste di vasta esperienza in vari ambiti musicali: la sassofonista e flautista Chiara Lucchini, la pianista Sade Mangiaracina, la bassista Elisabetta Pasquale e la batterista Francesca Remigi. Tutte insieme reinterpreteranno un repertorio eclettico che spazia dall’opera lirica a sonorità contemporanee, passando per l’eleganza di Lucio Dalla e le atmosfere intense di Milly, fino ad arrivare all’energia di Billie Eilish. Come già accennato, il programma Bergamo Jazz 2026 sarà completato da appuntamenti ospitati, anche la mattina e fino a tarda sera, in altri teatri, musei e locali, portando la musica jazz a contatto con il tessuto cittadino, contagiandolo con il suo spirito di avventura, con il suo messaggio universale di pace e di dialogo tra popoli diversi. Un messaggio attuale e necessario soprattutto in tempi complessi come quelli che stiamo vivendo.
Franco D'Andrea (foto Riccardo Musacchio)


PERCHÉ PER PAOLO CATTIN
IL VERO AFFARE NON È LO
SCONTO MA LA SCELTA
DELLA REFERENZA GIUSTA
Novembre è il mese in cui la parola “sconto” domina il linguaggio dei consumi. Dalle piattaforme di e-commerce ai negozi fisici, tutto ruota intorno al Black Friday, percentuali, codici promo, offerte temporanee. Ma nel mondo dell’orologeria di alta gamma, queste logiche semplicemente non esistono. Qui la dinamica non è mai quella del ribasso, ma della selezione. Non si cerca lo sconto ma si cerca il pezzo giusto, il modello che mantiene il suo valore nel tempo, la referenza che ha una storia, una coerenza e una desiderabilità reale. È una cultura completamente diversa da quella di qualunque altro settore del lusso.
A spiegarlo è Paolo Cattin, uno dei più autorevoli esperti italiani di orologeria contemporanea, autore dei volumi “Collezionare Orologi di Lusso” e “Investire in Orologi di Lusso”, tra i divulgatori più ascoltati dai collezionisti e protagonista di conferenze e workshop dedicati alla comprensione del mercato del secondo polso. La sua analisi non si limita alla dimensione estetica, ma entra nelle logiche tecniche, storiche e finanziarie che determinano la chiara differenza tra un acquisto impulsivo e una scelta di valore. “In orologeria non esiste la mentalità del Black Friday, semplicemente perché un orologio di livello non è pensato per essere scontato. È pensato per durare, essere tramandato e vivere molte vite” ha spiegato Cattin. “Quando qualcuno mi chiede dove trovare lo sconto migliore, rispondo che la domanda è sbagliata, il vero affare non è pagare meno, ma acquistare bene”. Secondo Cattin, l’equivoco nasce dall’idea che un prezzo più basso equivalga automaticamente ad un’opportunità. Nell’orologeria seria, è esattamente il contrario. Il valore non si misura nel momento dell’acquisto, ma negli anni successivi.
La referenza giusta ha stabilità, riconoscibilità, mercato. Un modello scelto solo perché “in offerta” rischia, al contrario, di perdere attrattiva già nel giro di pochi mesi. Ed è qui che il Black Friday mostra la sua incompatibilità con questo settore. “Il pubblico deve imparare a distinguere tra prezzo e valore, che non sono mai la stessa cosa” aggiunge Cattin. “L’acciaio, l’oro, le complicazioni tecniche, la storia di una cassa o di un quadrante non seguono logiche di saldi. Il mercato del secondo polso è meritocratico, premia la qualità e punisce le scorciatoie”. La visione di Cattin è ancora più interessante oggi perché coincide con uno dei progetti più ambiziosi a cui sta lavorando, ovvero la realizzazione del “Daytona Museum”, un percorso espositivo dedicato alla più iconica linea sportiva della storia dell’orologeria contemporanea. Non una raccolta di pezzi rari, ma un’esperienza culturale e analitica, concepita per raccontare perché alcune referenze hanno segnato epoche e plasmato intere generazioni di appassionati. “Il Daytona non è un oggetto, il Daytona è un linguaggio. Per questo il museo è il luogo ideale per far capire perché certi modelli diventano leggendari e altri si perdono” sottolinea Cattin. Il riferimento al Daytona non è casuale, perchè è l’esempio perfetto di un mercato che non segue mode improvvise, ma ha una coerenza costruita su decenni di design, materiali, calibro e competizione. È un caso di scuola che dimostra ciò che Cattin ripete da anni: “Il valore lo decide la storia, non lo sconto”. Nel mese del Black Friday, la vera notizia è che il mondo degli orologi insegna un principio controcorrente: l’affare non è risparmiare, ma scegliere con criterio. La differenza resta tutta lì. Chi compra un orologio come compra un elettrodomestico cerca lo sconto. Chi compra un orologio per quello che rappresenta cerca la referenza giusta. E questa, nel lungo periodo, è l’unica decisione davvero conveniente.


REPERTI VINTAGE RECUPERATI NEL DELTA DEL PO
UN WEEKEND CON LA PLASTICA
CHE RACCONTA 70 ANNI DI INCURIA AMBIENTALE
Oggetti in plastica degli anni ’50, confezioni integre di detersivi degli anni ’60, flaconi scoloriti degli anni ’70: a prima vista sembrano cimeli da collezione, ma sono rifiuti ritrovati negli ultimi anni nel cuore del delta del Po dai volontari di Plastic Free durante le attività di raccolta ambientale. Nasce così “Plastic FreeStory”, la mostra aperta al pubblico a fine novembre presso la Pescheria Nuova di Corso del Popolo a Rovigo. La mostra era il fulcro del Plastic Free Weekend, evento patrocinato dal Comune di Rovigo nell’ambito della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti (S.E.R.R.), e rappresenta un’esperienza unica nel suo genere: una collezione di “reperti plastici” che raccontano decenni di abitudini, consumi e incuria. “Questi oggetti – ha raccontato Riccardo Mancin, referente provinciale di Plastic Free – sono emersi da fiumi, argini e spiagge dopo 60 o 70 anni. Non è una mostra nostalgica, ma una testimonianza cruda di quanto sia duratura la plastica nell’ambiente. Alcuni pezzi sono così ben conservati da far paura. Parlano di un’Italia passata, ma ci ricordano il peso che lasciamo in eredità al futuro”.



Plastic FreeStory non è solo una mostra: è un racconto visivo sull’impatto dei rifiuti nel tempo, rivolto a cittadini, famiglie, scuole e amministratori. Un’iniziativa nata a Rovigo che, nelle intenzioni degli organizzatori, punta a diventare un progetto itinerante per tutto il Polesine, e non solo. “L’obiettivo è rendere la mostra itinerante in tutto il Polesine – ha spiegato Riccardo Mancin, referente provinciale di Plastic Free. Gli oggetti in esposizione raccontano un’Italia che non c’è più, ma ci ricordano il peso dell’eredità che lasciamo a chi verrà domani, se manca educazione e rispetto per l’ambiente”. All’evento parteciperà anche Anna Nicoli, responsabile regionale del progetto scuole di Plastic Free, che evidenzia l'importanza educativa dell’iniziativa: “Far vedere ai ragazzi questi oggetti ha un impatto maggiore di qualunque slide. Sono testimoni silenziosi della nostra storia, ma anche campanelli d’allarme. E i giovani lo capiscono”. Plastic FreeStory sarà visitabile gratuitamente. Per informazioni è possibile contattare i referenti locali dell’associazione tramite i canali ufficiali Plastic Free.
Tra gli articoli in esposizione: involucri di merendine anni ’80, tappi di bibite degli anni ’70, flaconi di shampoo e detergenti con grafiche d’epoca, oggetti del quotidiano ormai scomparsi ma ancora perfettamente riconoscibili. Tutti recuperati nel delta del Po, una delle zone più ricche di biodiversità d’Europa e oggi anche tra le più colpite dall’inquinamento da plastica.



Nuovi spunti da un “cantiere aperto” contro la violenza di genere arrivano dall’Università degli studi di Bergamo. È stato infatti predisposto dalla professoressa Anna Lorenzetti, ordinaria di diritto costituzionale dell’Ateneo e docente del corso dedicato alla violenza di genere, il documento “Linguaggio e violenza di genere nella giurisdizione: un cantiere aperto”, recentemente pubblicato dall’Osservatorio permanente sull’efficacia delle norme in tema di violenza di genere e domestica del Ministero della Giustizia, coordinato dalla dottoressa Maria Rosaria Covelli.
Già punto di riferimento nella formazione alla magistratura, il documento nasce dal gruppo di lavoro sul linguaggio coordinato all’interno dell’Osservatorio dalla stessa Lorenzetti, chiamata a farne parte dall’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia. L’obiettivo è chiaro: favorire una riflessione consapevole sull’importanza delle parole nella redazione delle pronunce e innalzare il livello di sensibilità sul rapporto tra violenza di genere e narrazione giurisdizionale. Un orientamento ancora più urgente alla luce delle condanne rivolte all’Italia dalla Corte europea dei diritti umani e dal Comitato Cedaw, tra cui l’ultima, di poche settimane fa, nel caso Scuderoni.
“È importante tenere conto di come si sia, tutte e tutti, spesso involontari portatori di un utilizzo sessista della lingua che influenza la rappresentazione della realtà – ha spiegato Anna Lorenzetti. La lingua non soltanto definisce, ma prescrive l’immaginario, anche simbolico, su cui il diritto si costruisce. Così, il diritto giurisprudenziale può rischiare di assorbire condizionamenti che danno spazio a stereotipi e pregiudizi, impattando sulla vittima”.
Il documento, costruito con taglio operativo e destinato prioritariamente alla magistratura ma accessibile a tutte e tutti, mette dunque in evidenza come la narrazione giudiziaria possa contribuire alla vittimizzazione secondaria attraverso l’uso di espressioni radicate nel pregiudizio e nella stereotipia. Senza entrare nei contenuti delle decisioni – ambito non rientrante nelle competenze dell’Osservatorio – il lavoro sviluppa un percorso di consapevolezza sugli impliciti linguistici che incidono sul vissuto delle vittime nei procedimenti giudiziari.
Caratterizzato da una veste grafica immediata e dinamica, curata da Flavia Pellegrinelli, il documento raccoglie gli spunti provenienti dalla Corte EDU e dal Comitato Cedaw e resterà, come indica il sottotitolo, “un cantiere aperto”, pensato per aggiornarsi nel tempo, anche sui nuovi temi della violenza online e della cyberviolenza, richiamati dalla recente Direttiva europea 1384/2024.
Il testo è arricchito da numerosi rimandi multimediali, QR Code e riferimenti alle pronunce più significative, e può essere liberamente scaricato dal sito del Ministero della Giustizia (https://ovg.giustizia.it/), che ospita anche la raccolta normativa di tutte le fonti interne e sovranazionali in materia di violenza di genere, pubblicata lo scorso anno in occasione dell’8 marzo e coordinata dalla dottoressa Giuseppina Casella.



21 Novembre 2025
Ho avuto la fortuna che abbiamo avuto tutti, quella di ascoltarla. I grandi artisti si appiccicano alle persone che amiamo, quelli che ci girano per casa. Ornella stava sulle spalle di mia madre, che affrontava armata di straccio la finestra cantando l’Appuntamento, sostituendo il testo con un insistito nananana, per poi scandirlo corretto e a squarciagola sul ritornello, “… Amore fai presto, io non resistoooo”, passaggio cantato con rinnovato vigore per accompagnare il gesto necessario a togliere un alone resistente dalla vetrata. Ornella veniva giù dalla radiolina sul frigorifero, appena dopo un notiziario, mentre il caffè risaliva allegro e riempiva la cuccuma - mio padre ignaro del potenziale criminoso dello zucchero, ne versava dentro un paio di cucchiaini abbondanti, mescolandolo al caffè direttamente nella caffettiera. Ornella usciva dalla radio estraibile della Seicento, o della Simca, o della Panda - sempre avuto un debole per le fuoriserie in famiglia. E chissà in quante docce, in quanti abitacoli, in quanti impianti stereofonici gracchianti o ad alta fedeltà c’era Ornella. Per non dire della televisione, o del cinema. Si dice degli artisti “era uno di casa”, mi sembra appropriato.
Poi ho avuto il privilegio di frequentarla. Un primo incontro anni fa, grazie a Mario Lavezzi, nel suo magnifico appartamento di Largo Treves. Poi c’è stato un Sanremo insieme, una canzone bellissima scritta per lei con Francesco Gabbani. E infine il privilegio di starle vicino per un anno e mezzo continuativamente, per scrivere la sua biografia. O meglio, come puntualizzava, il suo Diario Sentimentale. Mi aspettava, immancabilmente elegante, nel salotto, seduta in poltrona, incorniciata nella finestra. In quella finestra ho visto le giornate buie già dal primo pomeriggio, l’intermittenza delle luminarie natalizie - che detestava. Poi la finestra l’ho vista aperta due dita, per far entrare la primavera tiepida. E infine di nuovo l’ho vista chiusa, nel tentativo di resistere all’assedio dell’afa.
A volte mi accoglieva con un ricordo urgentissimo, “scrivi scrivi, che se no lo perdo!!” Altre volte era in silenzio, di profilo - mi stupiva, non mi ero accorto di quanto fosse bello il suo profilo. Con gli occhi puntava il muro, lo trapassava e si allontanava. Ogni tanto trovava qualcosa e mi chiamava, io accorrevo e segnavo. Era come stare con una cesta sotto un grande albero capace di spostarsi, che ogni tanto si scuoteva e lasciava cadere frutti. Era notoriamente spiritosissima, di quell’umorismo milanese che avevano perfezionato, intorno ai tavoli di bar e osterie, lei, Jannacci, Gaber e Pozzetto.
La battuta era implacabile, un bisturi, caustica ma mai malevola. Più che altro un ridimensionamento bonario, “se, ciao, è arrivato il Maradona!!”. Essendo io un musicista, la prossimità, la frequentazione, mai mi ha fatto perdere di vista la grandezza dell’artista che avevo davanti. E uno dei ricordi più vibranti che ho, ancora e spero per sempre acceso dentro, è la sua figura, vista da dietro il pianoforte, sul palco di Sanremo. Di tre quarti, le guance con ancora sopra le pugnalate di una lontana acne. Dritta, maestosa, che rovesciava sulla platea quella voce e tutto il teatro, tutto lo champagne, tutta la depressione, tutto il sesso, tutta l’amicizia, tutto il dolore, tutto l’appetito, tutto il divertimento che è stata capace di accumulare.
Spadaccina implacabile e vittoriosa contro avversari che non potevano minimamente tenerle testa, la Noia, il Prevedibile, la Prudenza. Tutti a terra, uno dopo l’altro. Mi infilo nel coro di ringraziamenti. E cercherò, nonostante tutto il mio impaccio, di sostenere fino alla fine il tuo proposito:
“Non puoi risparmiare nella vita, in amicizia come in amore, non puoi essere tirchio. Se sei al mondo, non puoi non partecipare. Nel fuoco delle passioni bisogna entrarci. E io dell’amore conosco l’ustione”.
Pacifico
Proseguelacollaborazione conLucaRuggeri,daun latoilsuopercorsoconla malattia,difronteisuoi ricordiealcune riflessionisullavita.
(tratto da il gatto del presidente di Luca Ruggeri)

Siamo ai primi freddi autunnali e il mio Arrigo inizia a farsi vedere. Di pomeriggio dorme con me sulla coperta. Io sono felicissimo di averlo vicino. Con l’associazione devo far fronte ad un altro allontanamento: si tratta della psicologa di Aisla Brescia. Mi schiero con lei. Non voglio un incontro per chiarire: andare a rovistare nel recente passato la spingerebbe a dimettersi e io non voglio perderla. Guardo Arrigo che chiude gli occhi: anche lui è d’accordo con me. Io insisto con il mio Consiglio Direttivo ma non riesco ad evitare l’incontro. Porto dalla mia parte la maggioranza del Consiglio Direttivo ma non è sufficiente.
La psicologa, dopo averci pensato per qualche giorno, capisce di non avere la fiducia di tutti e consegna le dimissioni. Mi spiace tantissimo, ho con lei un ottimo rapporto e spero di mantenerlo. Un’altra delusione. Questi primi mesi di associazione non mi sono piaciuti, troppi abbandoni. Oltre alla dottoressa se ne andrà tutto il team, psicologhe e parecchi volontari legati a lei. Associazione dunque da ricostruire. Tanto lavoro da fare, ma il nostro è un gruppo che non si perde d’animo e piano piano lo ricostruiremo. Introduciamo vari progetti per i nostri ammalati che prenderanno il via dopo poche settimane, oltre a due nuove psicoterapeute che inizieranno anche loro poco dopo. Ma il mio problema vero non è l’associazione, bensì il mio deperimento. La SLA non si ferma mai. Non riesco ad espellere le secrezioni e rischio più volte di soffocare.
Guardo Arrigo che dorme sulle mie gambe col pelo morbido e i suoi colori che vanno dal bianco all’arancione con una simmetria perfetta. Il disegno che ha sulla parte sinistra, si ripete uguale sulla parte destra, come se fosse un peluche stampato. Invece, è la natura che ancora una volta dà dimostrazione della sua superiorità. Ho un forte desiderio di accarezzarlo, se potessi lo accarezzerei tutto il giorno; ma la SLA mi ha impedito di abbracciare Marina il giorno del suo matrimonio e di abbracciare Lucia all’anniversario del nostro trentesimo anno di matrimonio. Dunque, Arrigo, porta pazienza, hai un padrone difettato.
Il mio vero problema non è Arrigo o l’associazione ma la SLA. Dopo aver rimandato per tre volte il banchetto solidale per raccogliere donazioni per l’associazione a causa del maltempo, arriva la domenica giusta. Anche se fa un po’ freddo, io
di Luca Ruggeri
non posso mancare. Ci sono i miei conoscenti, amici, parenti, tutte persone che ci tengono a vedermi. Rimango all’evento quasi tutto il giorno e sono molto soddisfatto del risultato e di aver visto tanta gente che mi vuole bene. Ma l’aria fredda mi ha causato una bronchite che dopo alcuni giorni è diventata difficile da contenere; fino a che una mattina mi sono arreso e ho chiesto al medico rianimatore del 112 di portarmi in ospedale a fare la tracheostomia, precisamente al Poliambulanza di Brescia. All’ospedale arrivo abbastanza tranquillo, la crisi respiratoria si è calmata. Indosso la maschera della bipap con aggiunto l’ossigeno a 12 litri. Dopo aver dichiarato sia io che le mie donne che voglio fare la tracheostomia, i medici del pronto soccorso mi portano in reparto medicina e mi riferiscono che prima di effettuare l’operazione devono indagare sulla bronchite, che dagli esami risulterà una broncopolmonite al polmone sinistro. Così, dopo poche ore, mi ritrovo in stanza con un anziano che dorme. Purtroppo sono solo. Lucia deve aspettare l’esito del tampone Covid prima di venire in reparto con me. Io al momento sono relativamente tranquillo quando, all’improvviso, la mia paura più feroce si realizza: ho un attacco respiratorio. Non sono attaccato al saturimetro che potrebbe fare suonare l’allarme in caso di crisi respiratoria. Non muovendo né mani né braccia non riesco a far funzionare l’allarme. Il mio compagno di stanza dorme e gli infermieri che girano in reparto e che potrebbero sentirmi tossire non ci sono. È quasi mezzanotte e non ho più forze; sono rassegnato al peggio. Mi sento soffocare, ho molta paura, cerco disperatamente l’aria che non c’è.
Ma la caparbietà di mia moglie Lucia che, nonostante in pronto soccorso l’abbiano invitata a tornare al mattino seguente, mi salva. Malgrado l’ora tarda insiste per rimanere e dopo aver ricevuto il risultato del tampone covid, si precipita in reparto come se presentisse qualcosa. Mi trova semicosciente e con la faccia viola. Chiama immediatamente i soccorsi. I medici e il rianimatore intervengono velocemente. L’ultima cosa che ricordo sono gli infermieri che mi tagliano la maglietta intima con le forbici in tutta fretta.
Dopodiché mi risveglio intubato, con un fastidio incredibile in gola, ma capace di nuovo di respirare. Passati tre giorni, mi operano e mi inseriscono la tracheostomia. Vengo poi trasferito alla clinica Don Gnocchi di Rovato. Il mio umore non è dei migliori ma ho raggiunto due risultati: essere ancora vivo e aver fatto la tracheostomia.
L’intervento degli Stati Uniti nell’imporre la pace alla guerra tra Ebrei e Arabi di Palestina non è completo manca di un ingrediente determinante cioè due popoli due stati, tutto il mondo lo sa che questa è l unica strada da percorrere! Sembra chesoloStatiUnitieIsraelenonlosappiano!Noncapiscocosac’èsottoquestomistero,senonlofaranno scommettoche ci sarà una ripresa dei combattimenti tra non molto! Quanto alla guerra tra Russia e Ucraina le condizioni per una pace, sempreconl’avallodiStatiUnitieRussia,sonoumiliantiperl’Ucraina,nonmipiacemoltoZelenskichevorrebbeportarein guerraEuropaeStatiUniticontrolaRussia,manonèpossibileunapaceaquestecondizioni:lasciareiterritoriconquistati dai Russi, diminuire il numero dei soldati Ucraini a una cifra ridicola, rinunciare alla entrata dell Ucraina nella Nato e nella comunitàEuropea,einfineperdareilcolpodigrazia alladignità delpopoloUcrainointroduzionedellalinguarussacome madre lingua dell Ucraina! E la comunità Europea, sta a guardare, come al solito non sanno che strada prendere!





